#unacuriositàvenezianapervolta 317
NE FODIAS !
Non scavare qui ! … Sono sepolti gli appestati.
Il caso dell’Isola di Poveglia nella Laguna di Venezia nel giugno 1793.
Mancava proprio un niente, solo un attimo, alla fine della Serenissima. Si era proprio agli sgoccioli del suo storico successo millenario … anche se Venezia non lo sapeva, o meglio: forse fingeva di non aspettarselo continuando a sussistere intorno al suo ultimo Doge Ludovico Manin(1789–1797).
Tutto accadde una mattina qualsiasi d’inizio estate di quell’anno. Come si era soliti a Venezia, le navi entravano dalla Bocca di Porto di Malamocco, venivano valutate e controllate dall’Ammiraglio, e poi condotte lungo il Canale Fisolo fin nei pressi dell’Isola di Poveglia. E lì espletate le formalità burocratiche e i controlli, si dava il via all’attività commerciale di scarico per cui le navi erano approdate fino in Laguna.
Quasi come Formiche attorno a un’appetibile mollica di pane, una piccola folla di Bastazi (Facchini)Venezianisi avvicinò alla Tartanella Turca “San Nicolò” comandata dal Greco Zuanne Mechxì, arrivata da poco ad affacciarsi in Laguna con 30 uomini d’equipaggio a bordo. Per un giorno intero si calarono giù nelle barche lungo gli scivoli (le gòrne) di legno della nave le merci che si stavano aspettando: 9.000 pezze di formaggio salato, ma giunto il tramonto s’era optato per concludere l’operazione il giorno dopo.
Arrampicatosi di nuovo il Sole in Cielo la mattina seguente, i Bastazi tornarono ad avvicinarsi alla Tartanella per continuare l’operazione.
Fu allora che accadde il “patatràk” ... Cioè: si videro i Marinai appesi agli alberi della nave che urlavano e mandavano via chiunque provasse ad avvicinarsi. Era successo qualcosa di grave a bordo nottetempo: un Marinaio, si seppe dopo, aprendo un fagotto d’abiti s’era sentito male, e dopo una veloce crisi di dolori e vomito era rimasto morto stecchito sul fondo della nave. Altri gravi malori avevano colto ulteriori tre Marinai in seguito ... e c’era anche un Bastazo Veneziano, che aveva fatto la spola il giorno precedente fra le barche e la nave, che non si sentiva affatto bene.
Scattò l’allarme … A riprova che la Serenissimaera ancora viva ed efficiente, anche se pareva dormire sulle sue glorie come un gattone paffuto piuttosto d’essere il feroce Leone di un tempo, in pochissimo tempo si attivò una specialissima e quasi spettacolare reazione. La squadra dei 5 Provveditori dell’Ufficio di Sanità(i Nobili: Lippomano, Marcello, Zen, Minotto e Tiepolo) si mise in moto, e in brevissimo tempo l’Isola venne considerata come una bocca dell’Inferno da cui bisognava assolutamente difendere tutta Venezia e i Veneziani.
Per nessun motivo sarebbe dovuta succedere in Laguna un’altra Peste simile a quella della Salute e del Redentore… Erano bastate … e anche l’episodio recente di Pellestrina del 1716 aveva indotto tutti a tenere gli occhi ben aperti e a non abbassare mai la guardia.
A differenza forse di quanto abbiamo saputo fare solo parzialmente noi di oggi col Covid, Venezia trasformò un’altra volta in un battibaleno l’Isola di Poveglia in un efficiente Lazzaretto.
Mandò subito a chiamare il maggior esperto in materia rintracciabile allora “sul mercato”: il Conte Costantin Dalla Decina, che risiedeva e praticava come Priore nel Lazzaretto di Spalato, e lo invitò a precipitarsi subito in Laguna.
Allo stesso tempo si bloccarono tutti i traffici in entrata e uscita dalla Laguna e dall’Adriatico… La voce-notizia del probabile contagio scappò via comunque e si diffuse in un attimo, perciò lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana prima di altri proibirono a qualsiasi naviglio e persona Veneziana e Veneta di navigare dalle loro parti e attraccare dentro ai loro Confini.
Era un gran peccato, perché in quei giorni era imminente la grande Fiera di Senigaglia: l’appuntamento annuale economico-commerciale più prestigioso che c’era allora. Un gran guaio, insomma, per i Mercanti e le Economie della Serenissima ... Mai disperare però: il Papa “patròn della Fiera” fin da subito si dimostrò speranzoso e possibilista accennando a un eventuale prolungamento dell’appetitoso appuntamento commerciale.
L’Isola di Poveglia intanto, con tutte le paludi e le acquee limitrofe, venne trasformata in un vero e proprio Fortino. Si attuò un triplice cordone d’isolamento militare di sorveglianza dando all’Ammiraglio Michiel Vitturi il comando dell’Operazione e dei soldati “Oltremarini”.
L’Ammiraglio di Malamocco diede ordine di chiudere le Bocche di Porto a qualsiasi natante, e di allontanare ogni nave dagli approdi dell’Isola di Poveglia ormeggiandole nel vicino Canale Fisolo. I Provveditori a loro volta, ordinarono d’evacuare ogni residente dell’Isola eccetto l’Oste, e d’inviare al loro posto oltre a Medici e Chirurghi Specializzati (Dr. Drimi, Dr. Lotti, Dr. Urbani Protomedico di Marina), un paio di Preti (Don Moscopulo Elissandro: Padre Greco, e Don Stefano Vianelli Cappellano della chiesa di San Vitale e del famoso Cristo Miracoloso di Poveglia) per l’assistenza spirituale e giuridica-testamentaria, nonchè una Squadra di sette Arsenalotti e Rimorchianti guidati da un Perito dell’Arsenale, e una di Addetti all’Assistenza dalle idee piuttosto chiare.
Erano morti intanto altri due Marinai della nave: uno dei quali quattordicenne con un bubbone che gli prendeva mezzo volto e tutto il collo, ed altri sei Marinai s’erano ammalati uno dopo l’altro ... S’ammalò in fretta e morì poco dopo anche uno dei Bastazi-Facchini Veneziani che avevano partecipato allo scarico della nave, e un altro Bastazosi trovò alle prese con spasmi, emicrania e febbre … La Tartanellaaveva fatto scalo in Siria, dove aveva arruolato alcuni Marinai, fra i quali: quelli morti di Peste.
Per accedere all’Isola superando quel triplice controllo acqueo, serviva uno speciale permesso. Erano autorizzati a passare fra i pochi: l’Oste di Malamocco e quello dell’Isola di Poveglia, un Sarto, un Fornitore di legna da fuoco, un altro di catrame, uno di lenzuola e ferramenta, uno di tele, un Tagjapiera, un Marangòn (falegname), un Fabbro e un Fornitore di Caldière, due Fornitori d’acqua dolce, un addetto alle fornaci, un Burcjèr e un Peatèr, alcuni Murèri (Muratori), e un Fornitore di Macchine Idrauliche.
Su indicazione “dell’esperto” entrato in azione, l’Isola intera venne scombussolata, modificata e attrezzata allestendovi appositi padiglioni e rifornendola di ogni materiale considerato necessario:“corredi di camicie, scovoli, berrette, stramàssi (materassi), coperte e imbottite, sacchi”… L’intera Tartanella ogni cordame compreso, insieme a persone e merci dovevano essere lavati e del tutto sanificati e spurgati.
Si allestì su una porzione estrema dell’Isola un nuovo Cimiteriettoapposito: “selciandolo tutto, irrorando tutto il terreno d’acqua salata, e cingendolo di muro”, e siabbandonò il vecchio Cimitero di Poveglia. In mezzo alla nuova area con le tombe coperte da mattoni, si issò una colonna con cartelli minacciosi col monito: “NO FODIAS ! VITA FUNCTI CONTAGIO REQUIESCUNT”… “Non scavate qui! Perchè qui riposano e sono sepolti i morti del contagio” ... Più chiaro di così ?
Addirittura si contornò tutta l’area del Cimiterietto con una palafitta protettiva per impedire che le maree, o eventuali “burrasche” andassero a intaccare le tombe.
L’ampio tesone dell’Isola e il cantiere di rimessaggio che accolse la Tartanella vennero chiusi ponendovi robuste sbarre: “doppie sprangonàte” alle finestre, cancelli, reticolati e steccati tutto attorno all’isola e al “campo del Pozzo”. In tre aree distinte vennero collocati: gli affetti dal morbo in quarantena (fatti uscire all’inizio nudi dalla nave), l’equipaggio della Tartanella e i Bastazi Veneziani rimasti illesi ma considerati “di rispetto” da tenere controllati, e i Guardiani che vigilavano e assistevano gli appestati.
Ulteriori aree distinte poi accoglievano i “contumaciali guariti dal Morbo” in convalescenza, mentre in un’area distinta a parte soggiornava “la Milizia”, cioè i Militari che vigilavano sull’Isola e acquee limitrofe: o imbarcati su uno Sciabecco, e su Galiòttee Feluche, o affacciati come sentinelle di guerra da apposite “Garritte”e “Caselli” da dove sovraintendevano sulla situazione.
Nei cortili e nei magazzini “a tramontana” si depositarono “le ròbe del carico e gli attrezzi infetti”, che una nutrita Squadra di 12 Guardiani di Sanità e Bastazimovimentava con ogni cura ogni giorno nel “Serraglio degli Espurghi”e negli “Steccati delle Ventilazioni” secondo i precisissimi ordini del Sovraintendente agli Espurghi: lo stesso Costantin Dalla Decima ... Apposite vasche piene d’acqua erano indicate per contenere gli effetti del Primo Espurgo, mentre in un capannone apposito si provvedeva al lavaggio, bollitura, vaporizzazione e disinfezione di ogni cosa ... Si abbrustoliva di continuo perfino l’ortaglia e l’erba dei prati dell’isola.
Chi operava con due enormi caldière(caldaie)per l’espurgo e l’arieggiamento delle merci, o assisteva i contagiati doveva denudarsi e lavarsi prima d’indossare: guanti e abiti catramati.
L’Isola veniva rifornita di continuo con una grande quantità di: China, Canfora, Zolfo, Catrame, Aceto, Calce e di Balsami e Profumi. Ogni giorno arrivava il rifornimento “d’acqua dolce” potabile con apposite betoline serbatoio che andavano ad attingerla direttamente alla Fonte della Seriola di Liza Fusina sul bordo della Laguna, e arrivavano poi in quantità: pane, verdure, vino e sciroppi corroboranti.
Burchielle di ogni sorta trasbordavano persone e cose attraccando su un apposito pontile con cavana che introduceva all’isola attraverso un foro controllato del muro perimetrale di cinta. Il Gastaldo delle Barche Giovanni Tosarin vigilava su tutto, e annotava ogni arrivo, partenza o spostamento dei natanti.
E poi c’erano giorno e notte: fuochi e affumicamenti, quasi un attacco sfegatato e mai stanco di Venezia all’invisibile Mostro-Morbo che veniva combattuto con tutti mezzi che si aveva a disposizione.
La Tartanella dei Greci, cioè il “bastimento infetto” venne letteralmente preso e ribaltato in tutti i modi. Dopo 50 giorni dall’approdo a Poveglia, persone ricoperte di abiti catramati vi salirono a bordo, abbrustolirono tutta la coperta lignea della nave, incatramarono dal basso all’alto tutti gli alberi e le sartie delle vele. Le corde vennero abbrustolite a loro volta, o portate a terra e “spurgate”insieme a pennoni e antenne, mentre diverse legature sospette vennero tagliate e date alle fiamme. Per tre giorni poi si riempì il sottocoperta di forti profumi, poi con pompe idrauliche si riempì d’acqua, ogni volta per 24 ore, l’intero bastimento per quattro volte consecutive. Infine uomini “ben approntati”visitarono ogni angolo della stiva della nave sventrando ogni fodera e frugando in ogni ripostiglio, dando così alle fiamme qualsiasi cosa ritenessero di qualche pericolo. Infine tutto venne raschiato e intonacato con Fior di Zolfo e Acqua di Calce.
Risultato ?
Morirono in tutto: 12 persone, cioè 4 Marinai(Apostoli, D’Anagosti, D’Andrianò, Sarandachi) e 8 Bastàzi-Facchini(Bagatin, Biseghin, Dalla Pietà, Osvaldin Bortolo e Pietrantonio, Tonetti e Venere detto Massaria: Bastazo Beccamorto). Con loro morì anchePietro Missero: morto per sfinimento eccessivo e troppa fatica per l’intenso lavoro svolto nel gestire e approntare l’Isola, e scavare le buche per seppellire i Morti ... Commovente la supplica alla Serenissima dei suoi genitori anziani, che chiedevano un sussidio in quanto la Peste li aveva privati del figlio loro unica fonte di sussistenza … Si ammalarono ma guarirono, sopravvissero e si salvarono fortunatamente altri 17 Bastazi Veneziani(Chiesura, Trentinaglia, Sgualdin, Coana, Peresin, Dal Borgo, Pastori, Minotto, Miani, Da Poz, Fiorito, Folin Osvaldo e Zorzi, Marcantonio, Lazzari, Galetto).
Commoventi da leggere le note testamentarie di qualcuno di quei semplici Bastazi Veneziani: tutta gente semplice, lavoratori qualsiasi molto “alla mano” ... Lasciavano le loro poche e povere cose ai vivi, pregavano di sanare i debiti lasciati irrisolti, e supplicavano di ricevere un po’ di “Pietas” per le loro “Anime da Morti”, sperando in orazioni e Messe: “per aver almeno in Morte un po’ di serenità e pace”… Parole da brividi.
Poi già verso metà luglio di quello stesso anno terminò tutto, e si concluse per il meglio … Veneziasi salvò, e il contagio non si propagò più … L’operazione Pestilenza di Poveglia venne dichiarata conclusa dalla Serenissima, e si diede ordine di tornare alla più completa normalità.
Il Senato della Serenissima elogiò un po’ tutti, destinò perfino 460 ducati per fare un gran festone conclusivo per lo scampato pericolo. Si fece una gran sfilata di barche con spari d’artiglieria, suono di campane a distesa e “Gran Messòni Cantati” … Si coniò anche un’Osellad’argento commemorativa, e si commissionarono ai Preti centinaia di Messe di Suffragio per i Morti offrendo loro anche un prezioso Ostensoriod’argento-dorato fatto apposta per la chiesa dell’Isola … Si volle anche che tutta questa storia venisse scritta in un Diario, e che si ponesse una lapide sui muri dell’Isola a perpetua memoria dell’accaduto ... Si pensò infine anche di supportare in qualche modo le famiglie dei Morti, e l’equipaggio della Tartanella finito del tutto in miseria.
21 settembre 1793: “In Poveglia tutto respira Salute, ed ai 15 del prossimo ottobre scade la pratica che anelano quei giulivi contumacianti.”
La Tartanella Turca “San Nicolò” girata e voltata come un calzino, quasi irriconoscibile per quanto le era stato fatto per sanarla, potè finalmente rirendere il mare con a bordo quanto rimaneva del suo equipaggio … Era il 13 ottobre 1793, e il Conte Della Decimadopo 151 giorni se ne ritornò a Spalato.
I Veneziani seppero così contenere ed evitare l’ennesima epidemia … Complimenti ! … Davvero bravi visti i mezzi limitatissimi di cui erano dotati allora … Di sicuro in quell’occasione Venezia riuscì ad evitare un’altra moria di migliaia di Morti di Peste.
Da imparare direi, e non credo d’esagerare nell’affermarlo.