#unacuriositàvenezianapervolta
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Rio de le Burchielle … Ci sono sempre le
Stelle in alto.
E’
notte adesso a Venezia, proprio buia e profonda ... La linea luminescente e
mobile dell’acqua dentro ai canali s’increspa sfiorata leggermente dal vento notturno. Il tratto bagnato s’insegue, ondeggia, si
sovrappone lento contenuto dalle rive: è la risacca di una barca che è appena
passata in fondo, e il va e vieni della sessa della marea che cresce e cala
ogni sei ore … da sempre.
Gli
anelli infissi sul dorso delle rive a pelo d’acqua, giusto sopra la linea verde
delle Alghe: riverberano nel buio ... E verzure pendule di ogni sorta
tripudiano scure negli angoli, fra i masegni delle Fondamente, sugli archi dei
ponti, e ai piedi delle facciate ombrose di caxette e palazzi umidi, sgretolati
e mangiati dalla salsedine, dall’incuria umana, e dal Tempo impietoso ...
Venezia è così: si sa.
E’
di nuovo notte anche per me che me ne sto tornando a casa dall’Ospedale
attraversando ancora quest’angolo remoto e periferico di Venezia. Fa ancora
fresco, non è ancora tornata del tutto la Primavera ... Non c’è nessuno in giro,
passa frettolosamente solo chi deve andare in giro per forza, o chi porta fuori
controvoglia il Cane.
Passandogli
di lato, osservo il canale scuro: oggi non c’è più nessuna Burchiella
che transita, o che sta ormeggiata qui dentro al Rio delle Burchielle:
neanche una sola.
Burchieri e Cavacanali sono cose del passato ingoiate dal Tempo e dalla Storia. Come tante altre sono trascorse e non ci sono più. E’ rimasta solo qualche traccia incastrata e nascosta qua e là in giro da queste parti: qualche raro toponimo, o qualche striminzita nota storica.
Alzo
lo sguardo in alto: stassera il Cielo è pulitissimo, è davvero limpido e trapuntato
di luminosissime Stelle. Sembra proprio che buchino il Cielo nero in maniera
quasi prepotente ... Ve la ricordate l’idea della “Rachia” degli
Antichi vero? Pensavano che la notte fosse come un’immane coperta bucata che il
Carro del Sole si trascinava dietro tramontando. Essendo bucata,
qua e là continuava ad apparire la Luce dell’Universo e del Giorno che attraversava
l’immensa rete dei buchetti: ecco quindi le Stelle.
Ieri
come oggi: che fascino osservarle ! … Anche se ora s’intravvedono appena per il
troppo inquinamento luminoso che c’è anche qui in Laguna e a Venezia.
Mi
emoziona sempre e comunque questo buio notturno per il suo mistero. Continuo
ogni volta a stupirmi quando butto gli occhi lassù in alto nel buio tempestato di
magnetiche luci lontane … Camminando penso … Chissà com’erano un tempo queste
Contrade Veneziane senza l’illuminazione pubblica. Doveva essere tutto diverso,
ogni cosa di notte doveva essere alterata, cambiata e nascosta. Doveva esserci davvero
buio: uno scuro quasi da tagliarlo a fette … E quando c’erano, ci doveva essere
il riverbero luccicante delle Stelle e della Luna, che si specchiavano fin
dentro al Rio delle Burchielle e sui Rii di Santa Maria
Mazòr e Santa Marta ... Ogni tanto ci doveva essere qualche finestra delle
basse caxette pallidamente illuminata: una lanterna o una candela, quasi come
in un presepio ... E su qualche angolo o svolta di Calle c’era qualche Altarolo-Capitello
illuminato da flebili notturni cesendelli … Chi accendeva e pagava quei lumini
? Chissà ? … Forse erano a spese delle facoltose
Monache della Ziràda.
La
Ziràda ? … nome strampalato … proprio da Veneziani.
Provo ancora a immaginare: chissà come dovevano essere questi luoghi ieri … Non so … Le barche legate “da notte” alle rive come oggi, la fondamenta polverosa, a tratti fangosa con le pozzanghere dell’ultima pioggia … Nessuno in giro come adesso, la calma della sera alla fine di un’altra intensa giornata di lavoro. A Venezia ci si guadagnava a fatica il pane quotidiano: bisognava industriarsi per farlo, sudarselo per davvero … Niente era scontato e dovuto in Laguna … Beh: un po’ come accade ancora oggi … Ma si era forse più attorniati di Bellezza rispetto ad oggi: si esperimentava forse di più la gratuità, l’immediatezza, la libertà e il valore delle cose e della Vita, s’incontravano e apprezzavano di più le persone che si avevano attorno ... Ci si guardava forse di più intorno, si alzava di più lo sguardo, e si lasciava … forse … che emergessero di più i pensieri … Lo scorrere del Tempo era forse più magico, l’esistente ... forse … era meno scipito.
Romanticume
nostalgico ? … Non so … Venezia di certo è sempre stata affacciata sulle acque
di sotto, sul Cosmo dei Cosmi in alto, e sulle pagine diuturne della Storia … Una
specie di Porta socchiusa sul Cielo, sulla fatalità e gli eventi.
Oggi
i Rii Terà, cioè tombati e interrati, nascondono molto,
trasformano e mascherano quello che c’era un tempo nel territorio urbano
Veneziano. L’imbonimento e la bonifica progressiva di tante aree strappate alle
acque e alla barena, hanno cambiato e allargato mille volte Venezia lungo i
secoli. Sembra quasi un’altra vedendola così com’è, e si strabuzzano gli occhi
dalla sorpresa quando s’intravedono tracce di quello che è stata qualche tempo
fa. Rivedo le donne con lo scialletto in spalla raggiungere le loro caxette
prima dell’incipiente tramonto ... La lunga fila delle Tabacchine odorose
uscire dalla Fabbrica dei Tabacchi…Gli uomini sporchi e sudati armeggiare
dentro alle Burchielle per metterle “da notte”
terminato il lavoro.
Mi
fermo in cima ai Tre Ponti di Piazzale Roma proprio dove inizia
il Rio delle Burchielle, e faccio una specie di giochino mentale …
Compiendo una serie di clic cancellatori di quanto vedo, provo a togliere dalla
veduta d’insieme che ho di fronte, quanto s’è costruito e aggiunto lungo il
tempo ... Oggi come ieri, qui terminava e incominciava Venezia … Ma quanto
diversa era un tempo questa zona !
Fino
al 1800 compreso, quest’area estrema e periferica del Sestiere di Santa
Croce era un dedalo di piccoli canali e rii contrassegnati da strette
fondamente quasi sempre in terra battuta ed erbosa. Ad ogni pioggia si
trasformavano in piccoli e lunghi pantani, che venivano percorsi ogni giorno
avanti e indietro dai Pescatori, Barcaroli, Bastazi e Ortolani della
Contrada, e dal nutrito numero delle Monache che popolavano i
chiacchieratissimi chiostri della zona.
Fra
turisti, pendolari e valigie faccio un primo clic cancellatorio. Spariscono
nella mia mente il Garage Comunale e il GarageSan
Marco. Sullo stesso terreno nel 1785 era attiva la Compagnia
con “la marca privilegiata del Ranuncolo” appartenente ad Antonio
Duodo e Nicolò Retti che gestivano una Fabbrica Sociale di Saponi
“a tre caldaie” con capitale sociale investito di 15.000 ducati … Dieci
anni dopo circa, la Compagnia si rinnovò associando al Retti anche il Conte
Angelo Maria Revedin e Giovanni Francesco Cappellis ... Tutto scomparso
oggi.
Secondo
clic cancellatorio, e scompare tutto il Piazzale dei Bus e dei Tram
... Al loro posto c’erano il pantano e la terra battuta dell’ultima periferia
Veneziana ricoperta da Catapècchi(capanni), dagli Orti
dei Nobili Barbaro e Franceschi, da una Carbonèra, da un
laborioso Squero per barche, dalle Sàcche di
risulta Zuccolo, Barbaro e Catapàn degradanti verso le rive della
Volta-Ziràda del Canal Grande, e dalla Vigna delle Muneghe
de Sant’Andrea ... Decisamente questo spazio Veneziano era configurato
diversamente.
Altro clic, il terzo, e tolgo il palazzo in primo piano di destra con la Banca, l’area dei Portabagagli, e già che ci siamo anche il cacciaroso chioschetto posto ai piedi del ponte ... C’erano più spazi vuoti allora, forse meno va e vieni, e poco casino rispetto ad adesso.
Quarto
clic pulitivo: e sparisce anche la scura Cittadella della Giustizia
ancora in costruzione al centro della scena. Un tempo era il luogo della Cereria(Fabbrica di Cere Reali), e del largo complesso della Manifattura
dei Tabacchi di Girolamo Manfrin e delle famose Tabacchine
Veneziane.
Nel
1786 la Manifattura venne portata qui dalla Madonna dell’Orto e
dalla Fondamenta delle Penitenti di Cannaregio, e si fecero gli edifici
del Tabacco attorno a un ampio cortile con pozzo centrale dove si distendevano
le foglie ad asciugare al sole. Tutto attorno c’erano laboratori, servizi,
stalle per gli animali, depositi, macine e stufe per asciugare … Poco distante
dal 1877 si realizzò anche un “l’Asilo per lattanti e slattati”
voluto dai Giustinian e dalla Direzione della Manifattura a sostegno dei figli
delle Tabacchine.
Oggi oltre al grande complesso “a Villa Veneta con Barchessa”, rimangono ancora l’edificio a scavalco del canale che portava a magazzini di stoccaggio e agli uffici affacciati sul Rio dei Pensieri.
Finiti
i clic di cancellazione … Che ne è rimasto dell’intera scena ?
Poche
cose ... In fondo, isolato al centro fra verzure, canali e lavorio di persone,
c’erano affacciati sull’attuale Canale della Scomenzera, e dove
oggi sorge il People Mover e gli Uffici della
V.E.R.I.T.A.S.: il Monastero della Monache di Sant’Andreade la Ziràda con l’annesso Cimitero, e l’Ospedaletto
dei Samiteri e delle stesse Monache.
Più
discosto a destra, c’era e c’è la vicinissima Isola-Monastero delle
Mùneghe Urbaniste di Santa Chiara della Ziràda(oggi Caserma della
Polizia ai piedi del lungo Ponte Traslagunare). L’intera zona era quindi in
buona parte in mano alle Monache, ma era conosciutissima e frequentatissima dai
Veneziani. Solo oltrepassato l’intrico dei Tre Ponti, che già
c’erano, ci si avviava verso il cuore vivido e pulsante di Venezia entrando
nelle popolari Contrade di Santa Margherita, dell’Anzolo Raffaèl,
San Basilio e San Trovaso che poi si diramavano e allargavano in quelle
di San Nicolò de la Mendigolae Santa Marta da una
parte, e di San Pantalon dall’altra. Là s’incontravano le Case
Fondaco dei Nobili, le illustri e sfarzose Schole Grandi dei
Carmini e San Rocco, la nutritissima schiera delle altre Scholette
Piccole di Arte, Mestiere, Nazionalità e Devozione, e la trafila dei
Monasteri e delle Fraterie, con le Terziarie, i Pizzoccherai, gli Ospizi e gli Hospedaètti
... le botteghe, i Traghetti, le Zattere.
Tolentini
di San Nicola, Benedettine e Agostiniane di Ognissanti e Santa Marta, San
Sebastiano dei Gerosolomini, i Carmini dei Carmelitani Scalzi, San Ludovico dei
Vècci in Calle Rossa, le Orsoline,
e le Terese affacciate sull’acqua estrema Veneziana ... C’era un
po’ di tutto … e tutto e tutti erano mescolati, quasi conditi con la laboriosa
e variopinta presenza del vivere “intenso e accanito” dei
popolani Veneziani attaccatissimi al loro Vessillo flottante di San Marco.
Tornando
alla mia scena rivista e tagliata … A sinistra rimane ciò che m’interessa di
più, cioè: il Rio delle Burchielle, con la Fondamenta, la Calle e
le caxette omonime. E’ qui che volevo arrivare col discorso ... Le Burchielle
? … Curiosiamo un poco.
Nel
Rio delle Burchielle stazionavano appunto le Burchielle:
basse barche coloratissime, che servivano per trasportare cose diverse, molto
spesso di risulta. Il colore indicava il tipo di materiale che trasportavano,
così che si potevano riconoscere facilmente anche da lontano. L’uso di questa
particolare tipologia di barche piatte era riservato ai Lavoranti e
Mastri dell’Arte dei Burchieri: una delle tante Arti di Mestiere
presenti per secoli in Laguna. I Burchieri erano distinti a
seconda delle mansioni che eseguivano e per ciò che trasportavano. C’erano Burchieri
da Rovinassi(macerie e calcinacci), Burcjèri Cavafanghi o
Cavacanali, Burcieri “da Stiòre”(stuoie), “da
Legna da ardere”, ma anche Burcieri Casaròtti cioè “da
Frumento” o “da Molino” abilitati ad andare ai "molini
per fontego e servizio di Marchadanti, Pistori, Monasteri e Lasagneri".
Nel
1661 i Soprastanti
a le Biave puntualizzavano
che i 25 Burcj utilizzati dai Compagni della Schola dei Burcèri Casarotti erano di proprietà della Serenissima
Signoria. Erano autorizzati a trasportare per ogni viaggio non più di 15 staia
di Frumento da macinare … I trasgressori venivano multati "a favore
dell'Ospedale della Pietà".
La
Schola d’Arte, Devozione e Mestiere dei Burcièri e Burchiellanti
faceva riferimento e aveva sede presso il Campo e Convento delle Monache
di Sant’Andreade la Ziràda sotto il titolo patronimico
della “Madonna Assunta e de Sant’Andrea de le Mùneghe”. L’Arte esisteva praticamente da sempre a
Venezia, ma era nata ufficialmente verso il 1503, quando l’attività venne presa
in gestione privativa ed esclusiva da una trentina di Famiglie, che concedevano
i lavori come in subappalto a Betolini e Burchieri:“che
portavano paltàn, ruinazzi e sabion associati a tutti li patroni de burcj che
sono soliti andar a molini per il Fontego et a servir Merchadanti giurando
onestà nelle transizioni”… La Serenissima controllava e tampinava di
continuo tutto e tutti senza scampo né eccezioni.
I
Burcièri e i Burchiellanti prelevavano fanghi, macerie, immondizie
dalle “scoazère” cittadine, e acque residue dalle fosse
putride che trasportavano in aree apposite di discarica e bonifica, le così
dette: “Sacche” cinte da palade
(palizzate), create appositamente
dalla Serenissima per salvaguardare strade, Contrade e Canali … e Veneziani: “il Consiglio
dei Dieci concesse il 30 dicembre 1529 ai Burceri de burchi
ferrati di potersi riunire in Schola per sostegno agli anziani dell'Arte,
inabili al lavoro o ammalati, per procurare dignitosa sepoltura
ai Compagni, soccorrere con elemosine le figlie o le sorelle che si
dovessero maritare.”
La “sanitate et bono terrae”, cioè il buon equilibrio e la salvaguardia dell’ambiente, e la Salute delle persone è sempre stata all’apice degli interessi e dell’attenzione dei Veneziani di ogni epoca.Già nel maggio 1333, infatti, il Maggior Consiglio decretava che i canali Veneziani dovevano essere periodicamente dragati per salvaguardare la bontà, la scorrevolezza e pulizia delle acque “per la salute di tutti i Veneziani”… Per lo stesso motivo nel 1413 durante un’epidemia, e in diverse altre occasioni, lo stesso Consiglio proibì la tintura delle stoffe nelle acque cittadine destinandola in esclusiva alle acque aperte di periferia lagunare. Stessa cosa era accaduta in precedenza anche con i Verieri e Conciapelle, relegati fuorimano a Murano e alla Giudecca ... Sempre per timore di epidemie dovute ad acque fetide e stagnanti, si chiese e ottenne dai Signori di Notte e dai CapiSestiere di segnalare periodicamente i Canali, Rii, Rieli, Laghi e Piscine di Venezia bisognosi di drenaggio o bonifica, e offrendo denaro s’incoraggiò e s’indusse perfino i Giudici e i Funzionari del Piovego e delle varie Magistrature a controllare meticolosamente certi traffici e l’uso delle acque, e a raddoppiare gli sforzi per recuperare dalle acque altro suolo pubblico usurpandolo se necessario anche a Nobili privati, Preti e Monasteri.
Nelle
undici Contrade di Dorsoduro e della Giudecca si provvide a
scavare: “il Rielo a San Gregorio che ha un capo nel Rivo che va alle
Fornaci, e l’altro al Rivo che va al Salarios Comunis.”… “Certi
dorsi del Rivo maestro di San Vito davanti alla chiesa, le proprietà di Ser
Nicolò de le Sevele e del Prete Jacopo Pedegelle.”… “un Rivo a
Sant’Agnese, una Piscina dietro la chiesa di San Trovaso”… “il
Lago di San Basegio detto da Molino”, e a prosciugare il “Lago di
San Pantalon nei pressi di Cà Lin”.
Stessa
cosa accadde nelle Contrade di Santa Croxe e Castello: Sestieri
estremi di Venezia, apici opposti della Città Lagunare: “con la Piscina
di San Zuane Novo verso l’Orto e le Vigne di San Zaccaria da prosciugare e
scavare” … e si scavò e asciugò a Santa Maria Formosa e Santa
Marina, verso la Crosaria di Santa Giustina, giù in fondo
alla Celestia, San Martin, Sant’Anna e San Daniele, e a San
Severo, San Lorenzo e Sant’Antonin, fra le proprietà e i Fonteghi di Cà
Trevisan, Morosini, Vitturi, Lombardo, Delle Boccole, Giustinian, Badoer e
Contarini… Si bonificò anche dove si conducono le zattere del legname
per l’Arsenale, si scavò e imbonì anche “al Bressaglio”, e accanto
alle caxette nei pressi e all’interno della stessa Casa dell’Arsenale… Era tutto un riportare continuo di rovinassi e fango e terra sottratti dalle
acque da una parte, e riversati dentro alle acque da un’altra.
Anche
nel Sestiere di Cannaregio s’interrò, scavò e imbonì allargando e
stringendo: “in Contrada di San Canciano interrando un Rielo verso la
Vigna e le Chiòvere dei Crociferi (Gesuiti), a Santa Caterina dei
Sacchiti, a Santa Sofia, a San Marcilian vicino al Rio di Santa Fosca e Cà
Diedo, a San Marcuola, alla Maddalena, San Leonardo, e a San Giovanni
Crisostomo verso Rialto.”
Nel
centralissimo Sestiere di San Marco si lavorò dietro alle Taverne
presso il Ponte del Malpasso, e al Ponte delle Ancore ...
Si scavò a San Moisè, Santa Maria Zobenigo, San Maurizio, Sant’Angelo e
San Luca accanto e attorno alle proprietà dei Nobili Donà,
Barozzi, Duodo, Gradenigo e Miani ... Venezia si allargava di continuo
traendo dal fango sempre nuovi terreni trasformati in asciutto anche a San
Vidal e San Samuel: dietro alle chiese, alle case e alle corti dei
Piovani ... E poi ancora: da una parte e dall’altra del Canal Grande,
e tutto intorno all’Emporio Realtino… Si scavava e imboniva
nelle Contrade di San Cassian verso Rialto, a San Giacomo dell’Orio, San
Boldo, Sant’Agostin e Santa Maria Materdomini, e accanto ai posti e alle
possessioni di Cà Zane, Gabriel, Venier e Foscarini, Tron, Istrego,
Armato, Trevisan e Schiavo ... S’interrò a San Simeon Maggior
cioè: Grando, e a Sant’Aponal, San Tomà e San Silvestro presso il
Fontego del Frumento e le Case del Patriarcato, nonchè
attorno alle proprietà degli Emo, Fabbro, Corner, Orio e Bernardo.
I
Burchieri e gli uomini delle Burchielle insomma avevano sempre un gran da fare,
così come i Battipalo, e quelli che rinsaldavano le rive e costruivano
i ponti … C’è stato un immane quanto interminabile lavoro portato a compimento
a Venezia lungo i secoli.
Come
dicevo, i Burchieri con le Burchielle trasportavano anche generi
alimentari di prima necessità dei Veneziani: il Frumento da
macinare, oppure l’Acqua.
Sentite,
ad esempio, che cosa recitava questa “partedi metà
settembre 1675” emessa dal Magistrato delle Biave della
Serenissima, e pubblicata sulle Scalee di San Marco e Rialto ...
Marco Molin con Alvise Mocenigo erano: Sopra Proveditori, mentre Vincenzo Da
Mula, Gerolimo Giustinian e Ottaviano Pisani erano: Proveditori alle Acque: “Pena
di Bando, Prigione, Galera e altre all’arbitrio del Magistrato riguardo alla
qualità del delitto e dei delinquenti, Ordini e Capitoli contenuti nei Proclami
e Terminazioni dovevano essere prontamente eseguiti … Per colpa di perniciosi
disordini, ritardi, abusi e confusioni e accadute nelle Macine dei Formenti
della Serenissima causate dai Monari e dai Burchieri delle condotte … Non
possano i Burchieri ricevere Frumenti sia dalla Serenissima che dai Pistori
prima che il prodotto sia correttamente bollato in piombo, così da non poterne
aggiungere o togliere alcuna benchè minima quantità … I Monari devono
rilasciare precisa ricevuta del macinato eseguito e della sua provenienza. Così
i Burchieri non possano trasportare senza apposita bolletta … Il Soprastante
dei Molini nel Trevigiano deve emettere le Bollette, e tener notadei Burchi che
arriveranno al Molino e dei nomi dei Burchieri, rendendo conto di mese in mese
dei Frumenti arrivati, macinati e delle farine partite… Il Soprastante è
obbligato a controllare contraffazioni e intacchi sul Frumento e riferirle al
Magistrato… A campione si dovrà macinare il Frumento sotto gli occhi dei
Soprastanti … Il Monaro è tenuto a conservare le bollette del giusto numero dei
Sacchi di Frumento ricevuto da macinare …Che nessun Monaro dopo aver ricevuto
dai Burchieri i Frumenti da macinare nei Mulini, non osi mescolare le farine
con altre, ne darne parte ai Burchieri stessi sminuendone il Partidor… Monari e
Pistori dovevano tenere le stive delle farine sempre ben separate, e le farine
tutte sempre ben esposte così da poterle controllare …”
I
Burchiellanti-Burchieri-Cavacanali-Conzarovinassi erano quindi
una categoria di lavoratori, un’“Arte di meccanismo” indispensabile,
che agiva ovunque in giro per Venezia, facendo “base” nel Rio
delle Burchielle, dove in buona parte abitavano nelle caxette fatte
costruire e messe a disposizione dalle Monache di Sant’Andrea.
Gli
iscritti all’Arte dovevano essere“nazionali”, cioè: Veneziani
o Veneti, ed aver prestato quel lavoro in Laguna da almeno 4 anni. Al
culmine della loro secolare storia, i Burchieri-Cavanacali
regolarmente iscritti all’Arte erano più di 650: con una quarantina di
CapiMastri, e oltre 600 Lavoranti e Garzoni addetti … Più di 300 di loro erano addetti a manovrare e guidare le Burchielle.
Esisteva a Venezia anche un’altra ottantina
di persone dette: Scovolini. Per lo più erano Chiavenaschi
provenienti dai Grigioni, non iscritti all’Arte, che vuotavano latrine
senza permesso e ignorando le tasse:“Portavano
pregiudizio all’arte … gente che davasi la muda un anno per l’altro, e che
estraevano circa 8000 ducali all'anno togliendo l’impiego a sudditi.” … Era obbligatorio iscriversi all’Arte, ma
siccome costava parecchio, non tutti potevano permetterselo. A fine 1700, cioè al
definitivo declino della Repubblica Veneziana, si contavano ancora più di 30 Burchieri
regolarmente iscritti, e c’erano altri 400 “Burchieri da Legna”,
che assoldavano un loro Medico Fisico: Piero Orteschi, che li
assisteva gratuitamente loro e le famiglie … 50 Burcjeri presenziarono a una
riunione dell’Arte agli Incurabili sulle Zattere diretta da uno
dei Giustizieri Vecchi della Serenissima.
I
Cavanali-Burchieri, che avevano propri siti e stazi di
carico e scarico in giro per Venezia, non potevano
trasportare “rovinàzzi” dopo il tramonto: “così era
comandato affinchè fra le tenebre non si facilitassero le disobbedienze, e non
si vuotassero le Burchielle in qualche sito da formarvi scanno o sedimento.”… Le
Buchielle si dovevano quindi obbligatoriamente “mettere da notte”
ormeggiandole nel Rio delle Burchielle ... L’Arte manteneva e
riattava anche le Portesine del Bondante salariandone il custode,
con “homeni de le Burchielle e Capiburcio” partecipava
alla Festa della Sensa e ad altri eventi Pubblici facendo
spettacolare contorno coreografico alla Signoria e al Doge con le barche e vele
coloratissime ... La Mariegoladei Burchieri in
pergamena “scritta a grandi lettere e con miniature” cadde purtroppo
in tempi recenti in mano a un venditore di canzonette, che la cedette a sua
volta a un Oste altrettanto ignorante, che la stracciò e la fece a pezzi
incartando bottiglie e liquori.
Per modernizzare
e sostituire l’Arte dei Cavafanghi-Cavacanali s’inventarono in
tempi diversi contestatissime macchine per l’escavazione dei canali. Una nel 1545
a cinque cucchiai: “buona, ma tarda al lavoro e nel perfezionamento d'opera”;
un’altra di proprietà di Piero Contarini, che agiva tramite una
ruota: “ma senza frutto, anzi dannosa, e come tale fatta disfare”.
I Burchieri-Cavanali-Cavafanghi temevano grandemente di perdere il lavoro, perciò
si rifiutavano di usare le nuove macchine su barca, di mettere a disposizione
le Burchielle, e nottetempo affondavano le nuove macchine autorizzate dal
Senato assoldando qualche poveraccio disperato che ruotava intorno all’Arte.
Giunsero a
Venezia anche dei periti dall’estero con progetti e idee innovative “atte
a cavar in ogni fondo sabbioniccio, giajoso, creoso, duro, facendo il tutto
piano e prestissimo, scavando 460 Burchielle al giorno a una profondità fino a 50
piedi”. Uno sfortunato Grassino se ne tornò in Francia
subito: “per non aver da perder il tempo, la spesa, e l’opera ...Anche
qui molte difficoltà insorsero: e finalmente nello spazio di mesi quattro e
colla spesa di 15.000 ducati fu fabbricata la macchina; ma per quanto si
facesse, quelli dell’Arte de’ Cavacanali, malgrado la obbligazion loro non
vollero servire loro burchielle alla prova della macchina. Finalmente senz’aver
uopo di quelle dell’arte, fabbricate altre burchielle, fu fatta la prova: con
stupore non solo del Magistrato delle Acque et Ministri ma eziandio de’
contradditori capi dell'arte, defraudatori del danaro pubblico e fu assegnato
da Savii ed Essecutori alle Acque di far il nuovo canale drio la Zudecha
impossibile a farlo a ognuna delle altre tecniche; sebbene siane poi stata
sospesa l’esecuzione per la troppa spesa.”
Alla fine “il
Pubblico” di Venezia approvò una spesa di 4000 ducati per una macchina capace
di cavare e riempire 300 Burchielle al giorno.
I Burchieri e
Burchiellanti non gradirono molto la scelta … Si fecero sentire, ma
inutilmente.
Con la bufera
napoleonica la Confraternita-Schola
dei Burchieri venne spazzata via da Sant’Andrea,
come tutto il resto, e provò a trasferirsi e radunarsi nella chiesa di San Gregorio, dove per un
certo periodo continuò ad avere altare e sepoltura sotto i vecchi titoli dell’Assunta
e San Nicolò. Ancora nel 1803, i Burcieri pagavano i Preti per
celebrare una Mansioneria Quotidiana di Messe, un Esequiale e 40 Messe per i Burcèri
Casaròtti ... poi fu la fine, e i Burcieri-Cavacanali-Burcellanti
e Casaròtti scomparvero del tutto.
Le
caxette che sono state dei Burchieri in Rio de le Burchielle sono
visibili ancora oggi prospicenti il Rio. Vennero fatte “ristorare e
riattare” insieme al Campanile di Sant’Andrea nel maggio 1752, al tempo della Nobildonna Elisabetta Maria Diedo:
“la Badessa Immortale”, e della Nobildonna Rota Camerlenga,
e della Nobildonna LionScrivana del Monastero de la ZIràda.
Per l’occasione si immise in muro una
bella statuetta di Sant’Andrea con apposita iscrizione a memoria per ricordare
a tutti che quelle caxette erano “di ragione del Monastero di Sant’Andrea”.
Per secoli (1376-1646) i
documenti testimoniano di Burchianti e Cavacanali
quasi sempre ridotti in mal arnese, indebitati fino all’osso, ma perennemente in
lite con le Monache di Sant’Andrea per gli affitti delle sette
caxette con orticello delle Burchielle. Senza tante remore le Monache trascinavano
ogni volta i Burchieri a processo esigendo da loro fino all’ultimo
soldo se non di più ... Capitò, ad esempio, che neanche i Burcieri Fieramonti
da Brescia riuscirono a trarre
vantaggio dal fatto che Concordia
Fieramonti loro parente fosse la
Badessa di Santa Maria delle
Grazie di Mestre ... Niente da
fare: le Monache di Sant’Andrea non guardavano in faccia a nessuno.
I
Burchieri del Rio delle Burchielle erano comunque uomini vispi,
giovani e aitanti ... C’era modo e modo di pagare le Monache, e sia Burchieri
che Monache si diedero parecchio da fare al riguardo creando diverse occasioni e
modi per sanare e appianare certi debiti ... Avete già capito come, vi lascio
immaginare … Perciò a volte fra Burcièri e Monache di Sant’Andrea
scattavano certe storiche scintille, che avviarono inevitabili falò di
connivenze e convivenze “di sicuro poco Ortodosse, poco Morali, e poco Ecclesiastiche”.
Nel
1622, al culmine dell’ennesimo litigio, venne
intimato dalla Badessa di Sant’Andrea al Gastaldo dei
Burcieri di riconsegnare le chiavi della loro sede che ospitava anche molte
Arche delle Monache… Vista la “confidenza” assunta
con diverse Monache, non le aveva più restituite: “e da quella parte si
andava e veniva di giorno e di notte liberamente fin dentro al Monastero”… Poi Burchieri e Monache si riappacificarono un’altra volta,
stipularono nuovi accordi per nuove Messe mensili cantate dalle Monache
sull'altare della Madonna in
chiesa, si ridiede in uso all'Arte i
luoghi delle Monache, e la facoltà ai Burceri “di Ridursi lì dentro per i
loro Riti e Capitoli” ... e non solo.
Per
questo sorrido fra me e me ogni volta che rincaso di sera passando da quelle
parti, perché rivado a tutte quelle cose che sono accadute un tempo fra Burchieri
e Monache in quella location oggi così solitaria e desueta del Rio
delle Burchielle.
Insieme all’Arte dei Burchieri, le Monache di Sant’Andrea ospitarono presso di loro
anche “l’Esotica
Schola dell’Arte dei Muschieri” con tutte le sue fragranze, profumi e aromi, e l’antica Schola di Sant’Andrea
e Giacomo dei Pescatori e CompraVendi Pesce del 1347, espressione del Lavoro delle povere
Contrade limitrofe di San
Nicolò de la Mendigola, Santa Marta e Anzolo Raffael… In fondo Sant’Andrea Apostolo era un Pescatore … No ?
Nel 1239 il Pescatore Filippo Bacari di Malamocco pagava 4 ½ Lire Veronesi l’anno, 2 paia di Anitre
selvatiche a Natale, e qualche regalia di Pesce nelle grandi Feste a Ottone e Giovanni
Gradenigo di San Giovanni di Rialto per poter pescare e uccellare in 1/8 della Pescaria detta Cancto Grosso ... Nel 1381 il Senato affittò all’incanto le acque di Jesolo col diritto di pesca. Quasi tutto il pescato veniva acquistato
all’ingrosso da Sava,
Sisto e Basilio Balbi che poi lo vendevano
“affisso al palo
di Rialto e San Marco” pagando 3
ducati l’anno per l’esclusiva ... Durante il 1600: gli Stazi e i Banchi delle Pescherie
di Rialto “col
solo selciato e con nulla sopra il capo” erano 41, con una rendita di ducati 417 per lo Stato. La gestione di un
singolo Banco
da Pesce costava da 6 a 68
ducati ... Il Pesce doveva arrivare al mercato entro poche ore dalla pesca:
poteva restare sulle rive di Dorsoduro da un’ora prima del tramonto a un’ora
prima del sorgere del sole … Non si doveva insanguinare il pesce per farlo
sembrare fresco, né venderlo guarnito d’Alghe … Si poteva salarlo solo dopo che
un Fante
della Giustizia Vecchia ne avesse costatato la freschezza.
I Pescatori, nonostante le limitate risorse
economiche di cui godevano, erano tenuti a corrispondere alla Schola
dei Compravendi Pesce di Sant’Andrea di appartenenza una bella cifra: 2 ducati iniziali
per la Tassa
di Benintrada cioè d’iscrizione, e poi altri 20 soldi annui ... Durante le
illuminazioni Liturgiche e le varie coreografie dei Cortei Funebri dovevano pagare altri
2 grossi di Tassa di Luminaria per il consumo di
cere e candele … Poi pagavano 4 monete di piccoli i maschi, e 2 monete di
piccoli le femmine ogni volta che si riunivano“a
Capitolo o Tolèlla”, e altrettanti in aggiunta ogni volta che capitava di partecipare
obbligatoriamente a un “Corpo”, cioè: un Funerale ... Che spesa essere semplici
Pescatori !
In cambio le Monache di Sant’Andrea garantivano una
bella Messa
ConventualeCantata
con Litanie
e Processione l’ultima domenica di ogni mese ... e garantivano con le loro
orazioni, una specie di buon assaggio-anticipo sulla probabile Salvezza
Eterna che
attendeva in Cielo … per tutti quelli
che pagavano ... Gli altri ? … Mah ? … Chissà ?
La Schola dei Pescatori di Sant’Andrea non doveva comunque passarsela tanto male, perché obolo dopo obolo, riuscì
a mettere insieme presso le Monache un bel tesoretto. Nel 1430, infatti: “si fece costruire da PierPaolo dalle Masegne
un bel bassorilievo col Cristo e i Dodici Apostoli, e nell’Oratorio annesso
alla chiesa fece collocare altre dodici tavolette dipinte da mano eccellente”.
Ancora e sempre ospiti “dalle Mùneghe de la Ziràda” c’erano i Muschieri o Profumieridella Natività della Vergine, che avevano comesimbolo dell'Arte: una Croce di Malta con una pomata ... La Schola dei Muschieri si distingueva dagli Unguentari e Speziali cioè dagli Aromatori considerati “i veri Professionisti” della Categoria. I Muschieri erano Artigiani e Bottegai che preparavano e vendevano profumi, cosmetici, oggetti da toeletta e guanti profumati. Fabbricavano, importavano e commerciavano inoltre in: acque odorose, olii profumati, unguenti, saponi, e vendevano anche Polveri di Cipro, cioè: la Cipria.
Durante il 1500 i Muschieri Veneziani, uniti
per un certo periodo ai Marzeri e ai Stazionierida
Vetro, erano numerosissimi, e stampavano perfino ricettari
e manuali descrivendo la composizione delle sostanze odorifere che preparavano
e vendevano: dei veri e propri Cataloghi di vendita antelitteram … l’Amazon, la
Vestro di allora.
Nel 1773 la statistica Veneziana contava ancora 18 Muschieri attivi in 16 botteghe e 2 mezadi … Le Monache di Sant’Andrea oltre ad ospitarli, erano fra le migliori clienti.
Quasi tutte Nobildonne oltre che Donne, andavano matte per tutte quelle
proposte presentate dagli abili e avveduti Muschieri: “Le Monache della Ziràda, ma anche
le altre di Venezia, credevano che ogni prodotto dei Muschieri era adattissimo,
quasi inventato a posta e su misura per loro: cose per cavàr le macchie al
volto … Cazàr le cotture del sole, e cazàr via le volàdeghe … A guarir li gossi
de ogni sorte, a saldar zenzive e far bianchi li denti; a far il fiato odorifero,
a far che li peli nasceranno, a cazàr viceversa li peli che non vi nascano più …
A guarir li calli dalli piedi, a far che li capelli non diventeranno canuti … A
far acqua de bionda per capelli perfettissima ... A far nascere la barba a un
giovene avanti tempo … e molto altro ancora: tutte cose buone a far diventar
bella la Donna.”
Sapete poi, che attorno ai Monasteri e ovunque
sparso per le Contrada Veneziane, esisteva da sempre un proficuo Mercato del Sesso e della Bellezza offerto e interpretato da una vera e propria folla
di Cortigiane,
Meretrici, NobilDonne, Popolane … e Monache, che procurava introiti e grandi soddisfazioni a
molti. Perché non dirlo ? … In buona parte l’Arte dei Muschieri serviva e riforniva tutto quel mondo rosa, roso, ambiguo, libertino e
dorato delle Nobili e dei Monasteri rimpinzandolo di volta in volta con: “Liscii et belletti, Blacca, Solimado,
Lume di scaiola, Lume zuccarino, Fior di cristallo, Fior di boraso raffinato,
Molle di pane, Aceto lambicato, Acqua di fava, Acqua di sterco di bue, Acqua di
amandole di Persico, Sugo di limoni, Rose, Vino, Lume di rocca, Draganti per
indurire la carne., Semenze di codogni, Penuria nel lume di feccia. Calcina
viva per liscia e farsi i capelli biondi ... e molto altro ancora secondo la
Moda del momento, e quanto giungeva a Venezia dall’Estero, dall’Africa e dal
lontano Oriente.”
I Muschieri si vantavano d’aver “prodotti e Secreti”, che tali in realtà non erano, ma che facevano parte del “nutrito catalogo” del loro amplissimo commercio: “Profumo da uccelletti: a strènzere le lacrime de gli occhi e a far andare via le lentizine. Pirole finissime contro il puzòre de la bocha. Acqua per far lustro il viso e per far lo volto colorito e bello. Unguento da viso qual usava la Regina d’Ungaria. Polvere di Zibetto e di Muschio a far Polvere di Cipro. Moscardini eletti per bocca. Tintura negra per li capelli et barba, opera de la magnifica Madonna Catarina da Forlì et Signora di Mola. Belletto e Ballottine per donne. Ad restringendum vulva. Oglio odorifero. Ballotte da Barbieri notabile … e altro, molto altro ancora.”
Che commercio ! … E immaginate: che personaggi ! … e che promozioni e proposte commerciali.
E
ancora … Accanto al Monastero de la Zirada sorgeva l’Ospissio
dei Samitèri usato anche dalle stesse Monache. All’Ospizio così come al
Cimiteriolo di Sant’Andrea erano annesse “come realtà
sussidianti utilissime quanto opportune”: la Schola dei Morti e quella
de la Santa Croxe de Sant’Andrea. Si trattava di altre due realtà aggregative
che ruotavano attorno ai decessi e all’infinita catena dei Suffragi per Vivi e Morti
che si celebravano senza fine a Sant’Andrea.
I
Samitèri erano gli Artieri Tessitori produttori dei Samitti,
ovvero: anche i Tintori della Seta. Il Setificio s’era affermato
ed era fiorito a Venezia fin dall’inizio del 1300, quando erano arrivati i Lucchesi
esuli dalla Toscana. Almeno fino al 1660, a Venezia erano attivi ben 3.000
telai che lavoravano Seta spedita soprattutto nell’Europa di Ponente.
Altri 1.000 telai circa, si dedicavano, invece: a soddisfare il bisogno interno
della Città e dello Stato Veneto. Alla fine dell’epopea della Serenissima, cioè
alle porte del 1800, si contavano solo 350 telai ridotti sempre di più: metà
pel il Levante, e metà per le Provincie Venete. Le Schole-Confraternite dell’Arte-Mestiere-Devozione
dei Tessitori di Seta erano sparse come gli Artigiani un po’ in
tutta Venezia. Facevano però capo e riferimento soprattutto all'Abazia della
Misericordia, a quella dei Servi, e ai Gesuiti.
Nel 1597 l’Arte sembrò toccare il culmine della sua magnificenza, quando
partecipò in maniera importante al solenne ingresso della Dogaressa Morosina
Morosini: “Nelle stanze dei Signori di Notte al Criminal di
Palazzo Ducale, vennero allestiti due gran pilastri con un grosso architrave
sopra, coperto di panni di Seta d'oro variopinti, in forma di portone, e dalle
bande del corridoio lunghi teli di raso giallo e di damasco chermesino. Dentro
nell'Uffizio c’era: un fornimento di tela d'oro pieno di cordelle d'argento con
fregi lavorati d'argento e d'oro. E si coprì la tavola delle argenterie con
tabì d'oro, tutto disegnato ed orlato all'interno di tabì d'argento, pieno di
fogliami di seta verde e d'oro.”… un successone insomma.
Nella location remota di Sant’Andrea, i Tessitori di Panni e
Seta avevano quindi due case attaccate al Monastero usate come Ospizio-Ospitale
riservato ai poveri, gli infermi e le Vedove degli iscritti all’Arte. Si
ospitavano solitamente “sotto varie discipline”: 18 donne, “alle
quali le Monache facevano tutte le spese per ordinazione testamentaria di chi
aveva lasciato la maggior parte de’ suoi beni al Monastero stesso…”
Qualche volta attorno all’Ospizio ruotavano e venivano ospitati
impropriamente anche degli Esposti, cioè bimbi e bimbe
abbandonati, o trovatelli e orfani “inerenti l’Arte dei Testori”...
Chissà di chi erano figli ?
I Tessitori attivi a Venezia erano più
di 850, e tendevano sempre ad escludere i Foresti che intendevano entrare a far
parte dell’Arte Veneziana. Eventualmente preferivano quelli che arrivavano in
Laguna con moglie e figli ... Chi voleva tentare la Prova da Mastro Tintore
dovevano prima prestarsi per almeno quattro anni come semplice Lavorante o
Garzone: alla pari con i figli dei Mastri dell’Arte. Trascorsi quegli
anni di lavoro previsto, i Lavoranti che superavano “la Proba”
dovevano pagare 3 lire di Tassa di Benintrada ... C’era una specie
di lista d’attesa per poter accedere all’Arte e diventare così: CapoMastri
Testori… Il Governo della Serenissima e l’Arte stessa
ostacolavano molto chi intendeva recarsi a lavorare all’Estero esportando
l’Arte. Venivano loro inferte grosse pene pecuniarie, si perdeva il diritto
d’esercitare l'Arte, e si finiva un anno in prigione ... Nessuno poteva
utilizzare telai fuori di casa, neanche i Mastri: pena diversi ducati di multa
e sequestro di telai e panni ... Se si facevano entrare a Venezia panni d’oro o
di seta esteri: venivano confiscati, multati di duecento ducati i
contravventori, e si tagliavano per lungo e per largo i panni … eccetto quelli
preziosi importati dal Levante. I Consoli
dei Mercanti proibirono perfino d’insegnare l’Arte a chiunque, in
particolare si vietava d’insegnarla a persone “in Sacris”, cioè a
Frati, Preti, Monaci e Zaghi, perché erano solitamente “persone
traffeghine” che si davano parecchio da fare, e che viaggiavano e si
muovevano spesso.
Furono le guerre “colTurco e la
Moscovia” che fecero cadere improvvisamente le grandi commissioni per
il Levante: “e ciò provocò un vero e proprio incaglio e
arenamento dell’Arte e di una gran parte dei lavori. Alcuni Testori si
disfecero dei telai; altri disertarono il mestiere gettandosi in altre
professioni, o alla questua … Il disordine si fece sentire in tutti gli ordini
degli operai dell'uno e dell’altro sesso. La deviazione dei CapiMastri portò
inoltre la minorazione degli allievi. Molti si alienarono dall’iniziar i loro
figli in un mestiere che loro sembrava incerto, e non atto a dar sussistenza.
Vero è che si rimise buona parte del Commercio, ma non fu rimesso il numero
degli operai … mancarono particolarmente le Lassariole ...”
Insolitamente, i Samitèri davano spesso
lavoro a più di 300 donne, che si prestavano come: Lazzariole,
Inviareste, Dioaresse, Binareste, Spoline, Orditrici, Incadiresse, Rimoline,
Imbarbaresse, Levaresse e Dropparesse… A fine 1700 si contavano
almeno 38 CapoMastre dell’Arte.
Secondo tradizione, già dal 1329 quattro
Nobildonne: Francesca Corner, Elisabetta Gradenigo, Elisabetta Soranzo e
Maddalena Malipiero avevano ottenuto dal Capitolo delle Monache di Santa Croxe il permesso
di costruire entro i confini della Contrada un Ospeàl con annesso Oratorio da
adibire a Ricovero di povere donne. Alla fine di quello stesso anno,
individuarono e comprarono un terreno libero affacciato sulla laguna “in cào de la Ziràda”.
Non fu facile avviare l’iniziativa, perché le donne si trovarono subito
a combattere contro l'aperta ostilità delle Monache
Clarisse del vicino Convento di Santa Chara in isola de la Ziràda.
Pur professando assoluta povertà, le Monache temevano grandemente di veder
ridurre la quota di elemosine che erano solite ricevere dai Veneziani e dalla
Pubblica Carità dello Stato … Solo qualche anno dopo, durante il Dogado
di Andrea Dandolo, si riuscì con fatica ad avviare il Monastero
di Clausura delle Monache Agostiniane
di Sant’Andrea de la Ziràda ... e solo più di un secolo dopo, a seguito di grosse donazioni, si
mise in piedi la chiesa visibile ancora oggi … Una Congrega di dodici Nobili poi, finanziava nella stessa epoca
l’Ospedaletto di Sant’Andrea“per l’utilità dei poveri”.
Poi venne “il maltempo delle Monache” annunciato già
in una Relatione di Suor Piera Malipiero del 1651-53. La Badessa
definendo l’Ospizio di Sant’Andrea come “parte del Priorato di
Sant’Andrea di Ziràda”, diceva: “L’Ospizio-Ospitale, ospita
alcune buone e sante donne che si alimentano di giorno in giorno dal Monastero,
essendo esse venute quali con duecento ducati per una sola volta, quali con
poco più, quali con molto meno ... Si fa notare l’impossibilità di continuare
in cotesto mantenimento, anche per l’insubordinazione di talune.”
La Badessa Elena Malipiero poi, durante il suo
secondo Priorato del 1657-59 scrisse fra l’altro: “Hora non si trova più
in conto alcuno simile Hospedale, nè per le scritture tutte che si sono vedute
si sa come si sia perduto … Disordini succeduti, attesa la comunanza indistinta
di uomini e di donne povere, non si sarà più voluto accettare esposti et
huomini, e si sarà ridotto l’Ospitale nelle persone degne del solo sesso
femminile.”
Infine nel 1684 si toccò l’apice di quella vera e propria “bufera”, con l’Ospissio dei Samiteri che divenne “luogo di bistrattamenti e disgrazie”, per cui venne soppresso dal Patriarca Alvise Sagredo“che impose alle Monache di tradurlo in Educandato per Converse e giovani donne sprovviste di dote”.
Da tempi immemori, sempre a Sant’Andrea della Ziràda c’era anche il
Cimiteriotto de la Ziràda considerato “area di Pubblico Interesse
di Venezia”. Si trattava di un: “Trabocchevole luogo straripante
di Arche, Lapidi e Iscrizioni in pietra e rame infisse ovunque fra chiesa,
sagrato, portici e stanze delle Monache, dove si seppelliva a iosa in
un’infinità di tombe … C’erano Morti ovunque: grandissimo affare per le Mùneghe,
che molto ruotavano e guadagnavano attorno a quell’idea.”
Per tradizione diversi Veneziani Nobili, ma anche abbienti e popolani,
amavano farsi seppellire in quel tranquillo “loco delle Mùneghe”
alle quali lasciavano per testamento più che spesso: beni, terreni, denari e
case, ma anche un po’ di tutto: orologi, argenti, libri, abiti, panni,
mantelli, suppellettili, mobili, stampe, quadri, cere e perfino numerose
galline, che era risaputo: piacevano molto alle Nobili Monache.
Anche Preti e Confessori delle Monache, e i Vicari
di Sant’Andrea si facevano seppellire dentro al pavimento della chiesa,
sul sagrato, e nei luoghi limitrofi delle Monache che avevano a lungo tutelato
e servito. Con loro c’erano i Nobili: Zane, Bembo, Minio, Steno, Corner, Garzoni,
Zorzi, Soranzo, Loredan, Marin, Girardi, e i Mercanti Arimondo
che avevano una Nave per il Viaggio di Fiandra, e i Nobili Nave
fra cui Bartolommeo Nave: “che teneva uno studio di
anticaglie, e di gioje che commerciava fra i primi della Citta; e fra queste
gioje c’era un diamante grossissimo del prezzo di venticinque mila ducali; e
forestieri e cittadini andavano continuamente a visitare quel museo.”
Il Nobile Bartolomeo Barbadico, cioè Barbarigo,
sepolto nello stesso Cimitero della Ziràda: “lasciò al Monastero di
Sant’Andrea col testamento dell’ultimo di luglio 1471 diversi beni e una casa
in Contrada di Santa Malgarita, lasciandone un’altra al suo figlio naturale Fra
Simon Monaco nell’Isola di San Zorzi d’Alega, e il residuo dei beni liberi con
alcuni mobili alla sua massèra.”
Fra 1500 e 1600, pure i Nobili Barbaro del Ramo di San
Samuel avevano “fossa di famiglia” in Sant’Andrea. Infatti:
esisteva proprio nel Campo erboso di Sant’Andrea detto già “Arzere”, una
Casa-Priorato di Cà Barbaro in seguito “data a pigione a
Fabbricatori di Tele Cerate e Ombrellami esitati in parte in Venezia e in parte
spediti nello Stato e Luoghi Esteri, che superavano in qualità e vaghezza quelli
famosi di Dongia in India.” … I Nobili Barbaro si
trovarono spesso a contrastare con le Monache di Sant’Andrea,
perché come loro erano interessati ad allargarsi “con novi horti et
bonifiche dentro al Confinio de la Croxe”. Il Nobilissimo Marco
Barbaro comunque finì lo stesso col scrivere nel suo testamento: “Il
mio corpo voglio sia sepelido in la Chiesa de Santo Andrea de Venezia, e che in
la stessa cjesia sia fatta un’arca alta da terra, et che in la detta non sia
speso manco de ducati della mia sostanza … et il mio corpo sia vestido cum
l’habito de San Francescho ...”
Sempre là: “fra le mura amiche delle Mùneghe de la Ziràda de
Sant’Andrea” finirono inumati e “trovarono pace e riposo eterno” anche
epici eroi di diverse battaglie della Serenissima … C’era lì seppellito anche
un curioso “Nobile gobbo”, e un “Prete spione della Repubblica
di San Marco”: Don Francesco Zoppala “che vedeva ed osservava
tutte le cose dell’Ambasciator di Francia, quasi che ne fosse un esploratore, e
che potevasi comprendere havesse de gran negozi nella testa ma che non se no
lasciava intendere a essendo accortissimo.”
Nel 1442 pure la Dogaressa Marina Gallina Steno si
fece seppellire “nella terra de la Ziràda”, e due anni dopo,
anche Marco De Gusmieri Piovano di Santa Croxe del Luprio e
celeberrimo Giurisperito, Vescovo di Napoli di Romania in Morea, e Confessore e
Notaio dei Capitoli e testimone delle elezioni delle Badesse di Sant’Andrea.
Perfino i Gela di Puglia si fecero seppellire alla Ziràda:
“… uno dei quali Horatio di Giulio, Oratore eccellentissimo et fortunato
sopra ogni altro dell'età sua, che morendo improvvisamente nell’arengo … lasciò
più che cento e settantamila ducali a due suoi figliuoli, i quali nello spazio
di otto anni distrussero ogni cosa ... Giulio il maggiore, presa moglie
Caterina Bottoni con ducati cinquantamila di dote, non hebbe mai figliuolo
alcuno da lei, et havendosi giocato ogni cosa se ne mori fallito …”
Quante storie succedevano a Venezia !
Divenne così tanto, e tale, e grande “il traffico di Morti e
cose, e lasciti, e denari, e annessi di Sant’Andrea”, che nel marzo
1528 il Doge stesso “schifato” diede ordine: “… inibito
sia il tumular cadaveri nel Cimiterio o sia terreno delle Monache di
Sant’Andrea.”
Il troppo stroppia … Le Monache erano subissate di donazioni,
lasciti e denari in cambio di Sepolture e garanzie di Perpetuo Suffragio: “Era
una vera e propria lucrosa industria dei Morti” ... Le Monache erano
diventate una specie di Passaporto per il Cielo a pagamento: “A
Sant’Andrea un Sacerdote di buona vita avrebbero celebrato opportune Mansionerie
di Messe: quali garanzia efficace per l’Eterna Salvezza.”
Anche il Patriarca Francesco Vendramin si fece più
volte sentire visitando la chiesa e vedendo l’immane ammasso delle sepolture: “sparse
ovunque ben oltre il bordo del Cimitero diventato troppo grande, allargatosi davanti
alla porta Maggiore della chiesa verso tramontana, sui muri, la facciata e il
cantone della stessa chiesa, e fin sulla riva e tutto il resto del Campo.”
Per cui ordinò: “che non si debba adoperar più … e che il Cimitero
sia confinato, e che tutto il resto del Campo s’intenda come Luogo Sacro, nè si
possa seppellir più in esso nè fuori nei pressi.”
Sapeste quanti testarono a favore del “Monastero della
Zirada”... non lo immaginate.
Preti e Religiosi anzitutto: Giovanni Giustinian Piovano di San
Maurizio (1349); Antonio
David Prete a Santa Maria Zobenigo (1407); Prete Angelo da Macalò da Gravina Cappellano del Monastero (1495), e Prete Eustachio Calderoni da
Gravina detto “ad Angelum”, da
Monte Rua sui Colli Euganei, Confessore delle stesse Monache (1518); Moro Tommaso Frate in San Pietro
di Murano (1509); Prè
Angelo Dei Rossie Caterina sua sorella(1508-1514)… E poi ancora: uomini, donne e personaggi illustri, o Nobili come il Doge Antonio Venier(1411), e Francesca della Fontana sorella del Doge Michiel Steno(1404); Antonio Contarini Procuratore di San Marco(1440) come Orsato Giustinian: Milite e Procuratore(1462), e Girolamo Donà di Andrea(1483);
Andrea Dandolo Dottore(1465); Bartolomeo Verde Capitano alle Carceri di Padova(1420); Ser Lorenzo Dolfin del Confinio di Santa Giustina (1475); Ser Marino Corner del Confinio di
Santa Marina(1521); Nani Francesco della Contrada di
Santa Croce(1513) ... si potrebbe
continuare a lungo.
Le Monache di Sant’Andrea ricevettero
lasciti e donazioni anche da Artieri e persone qualsiasi come: Alvise Spin Drappiere(1573); Vincenzo di Lorenzo Cimadòr (1588); Giovanni Busato da Maerne (1593); Giovanni di Costantino Mercante in
Contrada di San Silvestro a Rialto (1426); Paolo di Gualtiero da Alemagna (1435); Scortega Simone Battioro (1447); Michele di Giorgio Calafàto(1502); Bartolomeo di Francesco detto Bertazi: Fante alla Stimaria del Vin
de Rialto (1502); e Michiel
Marino da San Marcuola (1546)
... e tanti altri ancora.
C’era poi la folla delle tante donne
benestanti ma anche no: Agnesina
Soranzo della Contrada di Santa Marina(1411); Maria
moglie di Federico Barcarolo della Contrada di San Basilio (1414); Antonia di Bartolomeo Samitario
moglie di Pietro pittore(1420);
Maddalena Degli Scrovegni già del
Confinio di Santa Margherita (1421); Anna
De Redolfi(1422); Fiorina figlia del defunto Buona Fruttivendolo
(1616); Maria
Barbarigo moglie di Paolo dal Confinio di San Geremia (1439); Chiara Papason di San Geremia(1478); Lisa Redolfi uxor del Medico-Fisico Pantaleone Quaian (1479)… e poi
le donne per lo più vedove ospitate nell’Ospedaletto dei Samiteri di Sant’Andrea: Caterina
Botto vedova di Mastro Giovanni delle Armi del Confinio di San Zulian (1439); Angela moglie di Giovanni Portadòr
di pietre(1508); Meneghina vedova di Albertino di
Giacomo da San Danieledi Castello (1485); Chiara Doelai vedova di Antonio
del Confinio di Santo Stefano di Murano (1494); Antonia vedova di Leonardo Peltrinèr (1465); Agnese vedova di Giovanni Filator
de Samitti (1426); Filippa
Franco vedova di Giosafat Rosso del Confinio di Santa Croce (1478); e Dorotea Rizzo, Costanza Emo, Lucia
Barozzi: ospiti, e Cristina Barbarigo (1457), Samaritana
Contarini (1489), Barbarella
Zenta(1462), e Maria (1496): tutte
Monache in Sant’Andrea … Solo per citarne alcune.
Quello delle Mùneghe Agostiniane di Sant’Andrea “in Cào de
la Ziràda o del Bècolo” era un Monastero Veneziano di 2° Classe o
Categoria. “Cào” significava: estremità, capo estremo, e
indicava un posto dove Venezia terminava o incominciava: “Dove si perde il Canal Grande e dominano acquitrini, e
terra e acqua s'incontrano affacciate sull'ampio spazio lagunare verso
la Terraferma.”
Le
Monache erano di “seconda categoria”, cioè pur accogliendo donne
Nobilissime, era di fatto “seconde” per prestigio, blasone,
potere, ricchezza e influenza, ai grandi nomi delle realtà Religiose Femminili
Veneziane: San Lorenzo, San Zaccaria e Santa Maria delle Vergini di
Castello.
Quante
ne hanno combinate le Monache de la Ziràda !
Nel 1334 l'Ospedale “aperto sulla palude alla mercé delle acque, e circondato da semplice palàda (palizzata) de legno”, ricevette una Grazia-sussidio dallo Stato Veneziano in quanto troppo povero e incapace di provvedere a lavori indispensabili. Tre anni prima era già sorto accanto un piccolo Monastero promiscuo abitato da 5 uomini-Frati Minori e da una decina di donne-Monache insieme ... Un bell’intreccio, e una gran confusione … Una decina d’anni dopo, infatti, Nicolò Morosini Vescovo di Olivolo-Castello“per metter ordine” concesse di aggiungere ufficialmente all’Ospedale un regolare Monastero Grigio, cioè di Regola Agostiniana, esente dalla sua stessa giurisdizione, ma soggetto a Juspatrocinio Dogale: “le Monache di Sant’Andrea erano solite offrire in San Marco nella Domenica dell’Olivo a Doge, Dogaressa, Ambasciatori e Primicerio della Ducale Basilica, e dei lavori fatti dalle loro mani formati da bellissime palme con fogliami d'oro, argento e seta riunite in mazzi di vaghissime tinte.”
Capitò
quasi subito una delle ricorrenti ondate di Peste, che mietè buona parte delle
Religiose di Sant’Andrea ... Elisabetta Soranzo sopravvissuta passò
a tenere i conti del Monastero divenendone poi la Badessa, seguita
a ruota dalla storica e pluri ricordata Badessa Tommasina Corner:“la Badessa immortale” che morì centenaria … Anche Suor Scolastica non scherzò con gli anni arrivando a
contarne ben 105:“Le Mùneghe de Sant’Andrea sa viver con un pie(piede)
de già in Paradiso”.
Nei
primi decenni del 1400 quando il Maggior Consiglio e quello dei Dieci
concessero alle Monache la Grazia di far interrare e bonificare “una
piscina-lago” in zona di Sant’Andrea per trasformarlo in Orto, il Monastero
s’era già emancipato ulteriormente passando alle dipendenze dirette del
Papa con la Sede Apostolica di Roma… Nel 1505 si concesse alle Monache
d’interrare un altro piccolo Rio che attraversa il loro terreno “purchè
ne facessero e pagassero un altro più ampio in un altro luogo”.
Dal
1445 al 1728 la NobilDonna Chiara Pisani diede ordine di pagare“un annuo livello di ducati 14” a favore del Monastero di Sant’Andrea,
e una Mansioneria Perpetua di Messe del valore di 20 ducati, che
venne data da celebrare anno dopo anno al Cappellano-Confessore pro
tempore delle Monache di Sant’Andrea, che abitava in Fondamenta de la
chiesa in una caxetta appartenente al Monastero.
Nel 1482-84 un
Frate Vincenzo “apostata dell’Ordine Domenicano” venne degradato
dal Giudice Ecclesiastico, e poi impiccato per sentenza del Consiglio dei Dieci
“per latrocinii commessi particolarmente nella chiesa di Sant’Andrea de
la Zirada” ... Inutilmente l’Avvocato Marco Pesaro provò
a difenderlo.
L’8
agosto 1509, invece, il Monastero de la Ziràda accolse mogli e
figli di Janno ed Eugenio figli naturali di Giacomo già Re
di Cipro fuggiti da Padova. Per l’ospitalità e il mantenimento di
quelle sette persone, la Repubblica assegnò alle Monache prima 10 ducati mensili
complessivi, e poi 15 ducati annui per ciascuno.
Nel
suo testamento del 1605 il NobilHomo Giacomo Bragadin ordinò alla
moglie:“… di pagar ogni anno alla mia direttissima sorella Suor Lodovica
Bragadin nel Monasterio di Sant’Andrea: ducati 40 et tutto quello che a lei
facesse bisogno per la sua persona alla qual mia moglie pregola di haverla e
tenerla per sua cara sorella et come se fusse la persona mia propria et questo
dico all’anno fin che la vive …”
Lungo i secoli, e ancora nel 1620-60, nel Sant’Andrea primeggiavano le Reverende Monache NobiliDonne di Cà Balbi, Cà Corner e del Casato Malipiero ...E qui vi voglio … Come ben sapete meglio di me, nei Monasteri Veneziani (come ovunque allora) confluì a vivere per secoli il fior fiore delle figlie della Nobiltà Veneziana. Beh … Dicendola tutta: Sant’Andrea de la Ziràda non era una soluzione di primissima scelta, ma era di sicuro un Monastero importante e facoltoso, per cui molte NobilDonne Veneziane finirono internate proprio lì dentro.
Di
sicuro le giovani donne Nobili non erano entusiaste d’essere rinchiuse lì, per
cui vivevano depresse, “come murate vive”, subendo
quell’isolamento dorato, con poca dote, niente uomini, scarse comodità, e poche
opportunità e privilegi. Sapete bene come reagirono: se la spassarono lo stesso
più che poterono, spesso lottando contro le Regole, aggirando e imponendosi sulle
Badesse, esulando le volontà dei Padri e del Casato, e quasi, e senza quasi: sfidando
Inquisizione, Serenissima e Patriarchi.
Sant’Andrea
della Ziràda entrò alla
perfezione in quel ruolo storico di libertinaggio e contestazione inanellando
tutta una serie di storie e storiacce diventate Memoria. Le Monache di
Sant’Andrea ne combinarono un po’ di tutti i colori mettendo in piedi connivenze,
visite diurne e notturne non autorizzate, ruberie e sotterfugi, amoreggiamenti,
fughe, intrallazzi e conseguenti indagini, arresti, processi e condanne da
parte del Consiglio dei Dieci, Inquisizione e Patriarchi … Soldi e cose di
pregio giravano ovunque passando di mano in mano in chiesa e nei Parlatori del Convento,
così come allo stesso modo facevano le Galline che vagavano ovunque nel
Sant’Andrea: in Chiesa, nel Refettorio, in Capitolo, nella Biblioteca, e fin sotto
ai letti nei Dormitori delle Educande e delle Converse, e dentro alle Celle delle
Monache.
Nel
gennaio 1631 si giunse a processo “per visite di un Secolare a una Monaca
del Sant’Andrea” ... Già un secolo prima, nel 1529 e 1579: due Monache
del Sant’Andrea erano state più volte processate “per tentata fuga e
varie accuse” ... Nel 1566 alcune Monache salirono “allegre”
in cima al campanile mostrandosi nude ai vicini ... I Provveditori ai
Monasteri dovettero entrare in azione investigando, e il Patriarca
Priuli anni dopo, siccome gli episodi non terminavano, diede ordine: “che
il campanile debba essere permanentemente chiuso a chiave.”… Nello stesso
anno venne intentato contro le Monache un altro processo “per Musiche in
Parlatorio”, e un altro ancora due anni dopo “per tresca amorosa”
... Ancora nel 1673 “per frequenza di persone scandalose nei Parlatori di
Santa Chiara e Sant’Andrea de la Zirada”… Nella primavera-estate del
1684 si tennero ulteriori processi che non mancarono di destare grande scalpore:
si condannò un Capitano del Magistrato Sopra i Monasteri“per
infedeltà, e perché riceveva mance dalle Monache del Santo Sepolcro, del Santa
Caterina, di Sant’Alvise, Sant’Andrea della Ziràda e diversi altri per lasciar
entrar nei Monasteri chiunque a loro piacimento.”
Si processò
“per serenate alle Monache di San Daniele a Castello, a San Cosmo della
Giudecca, e a Sant’Andrea de la Ziràda … Non si riusciva a dar pace ai
Monasteri della Zirada, e neanche agli altri.”
Sbirciando nei documenti, si evince che nel 1567-68 si toccò quasi
l’apice dei disordini del Sant’Andrea ... Le donazioni reciproche fra Monache e
Laici estranei al Monastero intaccarono fin quasi a prosciugarle le floride risorse
e finanze del Convento, e accadde anche una lunghissima serie di disobbedienze,
discordie, relazioni illecite e violazioni della Clausura da parte delle
Monache. I Provveditori della Serenissima andarono a pizzicare e interrogare
fra i coinvolti, anche: Zorzi Barcarolo, che abitava sul Rio
de le Burchielle. Si limitò a rispondere: “Faccio tutti quelli servitii che
le Muneghe me fa far, et vado de fuora a scuòder quando le me manda … Vado a
spender per el Monasterio et anco pel Cappellan.”
Toccò poi a Girolamo Bastàzo(Facchino)
d’essere interrogato. Trasportava cose per il Monastero: “Servo anco adesso al Monasterio
al formento, alla farina, alle legne et a quel che fa bisogno, et secondo che
me vien ordinado …”
S’individuò poi: “un gruppo di donne pettegole che vivevano a
spalle del Convento.” Fra queste c’era una certa Zuàna detta Gagiàrda:
“Ella
tien le galline da otto a diese de Madonna Suor Gabriella a casa sua, et essa Madonna
Suor Gabriella la sustenta de pan et de vin et di ogni altra cosa accio la ghe
nutrisa queste galline …”
Peggio nel
peggio, c’era poi anche una certa Felicita,
amante non così segreta del Confessore delle Monache, che non
solo conviveva in casa sua a spese del Convento, ma faceva mantenere dal Prete
anche i suoi 8 figli. Sua figlia Tesaura veniva impiegata nell’Ospizio
delle Vedove collegato al Monastero, mentre Felicita
flirtava letteralmente con tutte le Monache.
Il Barcarolo Zorzi raccontò: “Vedo quella Felicita andar
dentro della porta, sentarse su quelli banchi in compagnia con queste Reverende
Monache, con Madonna Suor Gabriela et le altre, et subito che le sono la vedo
darghe la man, una con l’altra basàrse, et Felicita metter le man in sen a Madonna
Suor Gabriella, et basàrse una parte et l’altra …”
Il
risentimento delle Vedove dell’Ospizio dei Samiteri verso le Monache
e le Domestiche che dovevano accudirle divenne altissimo per via delle privazioni
a cui erano sottoposte. Alla fine esplose: “Se muor de fame qua dentro, par el mal
governo …”
Si
raccontò e svelò di “persone losche” che ruotavano attorno al
Monastero di giorno e di notte, esplicitamente appoggiate da Suor Anna
Giustinian, Suor Gabriella Salomon, Suor Elena Cappello, Suor Beatrice Moro
e dalla Conversa Suor Anfrosina.
Elena: una delle Vedove dell’Ospizio dei
Samiteri testimoniò: “Vedèmo a portar fuora cesti, sacchi per
quelle so femine, per quelle so petegole et certi della villa che porta galàni,
et se ghe da: pan, semolei, farina et altro … e a nu: niente.”
Le
“pettegole” portavano di continuo notizie ambitissime dalle
Monache della Clausura: Donna Felicita raccontava a tutte quanto
trapelava nel Confessionale svelato da suo amante: il Confessore. Maria:
un’altra delle Vedove dell’Ospizio raccontò:“Et sta continuamente, et li fu
anco hieri, et porta parole su et zòzo, che la sta le belle tre hore in
celletta a rasonàr con quelle Muneghe che ho ditto, et tolleva ciànce de qua,
et le portava de là, et me par che la repòrta le cose de la Confessione, et a
ogni Confessiva se feva un scandalo perché la riferiva alle Muneghe quel che se
haveva confessà …”
A
dir di tutte: le Monache erano disimpegnate, prive di vocazione: un disastro: “Quelle
che tende alla porta: sempre stanno là, né mai vanno né in Choro, né in Refettorio
insieme con le altre, né danno obedientia alcuna a Madonna la Priora …”
Il
Barcarolo Zorzi raccontò ancora come una volta Suor
Beatrice gli aveva chiesto di recapitare della farina nascosta tra
panni sporchi da lavare a una delle sue sorelle: “Suor Beatrice Moro mi fece
barecchiàr la barca, et mi mette in barca, et fece portar via tre corbe de
drappi con drappi sporchi, et sotto quelli drappi per ogni corba vi era un
sacchetto di farina … et le scargàssemo a Santa Caterina a casa de una sorella
di essa Madonna Suor Beatrice …”
Nel luglio 1568 dopo due anni d’indagini dei Provveditori,
venne interdetto a 8 donne e 3 uomini, pena “il bando da Venezia”,
di recarsi al Convento, di parlare con le Monache, di avvicinarsi al Parlatorio
e all’area circostante il Convento, e di frequentare la zona della Croxe. Vennero
condannati: “Zuana Gagliarda sta su la Fondamenta Sant’Andrea in calesela, et sua
fia Pasqua Furlana che sta a Santa Chiara ... Lucretia Zotta che sta a San Polo,
Franceschina vedova che sta al Ponte de legno in chàvo del Campo … Anzola Sartòra
a Santa Chiara … Madalena sta a Santa Chiara … Donado Fachin sta alli Frari …
Donna Andreinna Filachanevo sta per mezzo la chiesia … Alvise fio de Donna
Felicita già bandito dal Convento un anno prima … Zan Francesco Sartòr al Ponte
di Legno in cavo il Campo.”
Più volte ancora nel 1592 e 1596 i Patriarchi corsero di nuovo “a visitare d’urgenza il Monastero de la Ziràda” con le sue 70 Monache. Nell’occasione condannarono le Monache trovate piene di ricche lenzuola e coperte ricamate … Molte Monache consideravano le celle del Monastero alla stregua dei loro Palazzi arredandole e addobbandole“nobilmente”… Si condannò il fatto che il giardino del Monastero era diviso in un mosaico di appezzamenti personali dove le Monache coltivavano a piacimento Fiori e Ortaggi … Si sollecitarono le Badesse a ispezionare di sorpresa le stanze delle Monache almeno quattro volte l’anno, andando a cercare dentro alle casse, gli armadi e negli scrittoi di ciascuna che non ci fossero violazione delle Regole con: “libri, abiti, scritture, quadri disonesti, e cani, uccelli, altri animali, e altro ancora di proibito.”… Si consigliò alle Monache Anziane di visitare ogni sera tutte le celle dopo il suono della campana della notte, controllando che le giovani Monache non condividessero celle e letti, che non vi fossero chiavistelli e serrature, e che nei Dormitori si tenessero tutta la notte le candele accese ... Si raccomandò alla Badessa: “Procuri con ogni spirito che sia provvisto alli bisogni delle Monache in sanità et infermità, et che il denaro, l’entrate et le spese siano manegiate come habbiamo ordinato … Si sforzi che le Monache non patiscano per negligenza del suo governo o per sua avarizia, ma prudentemente provveda alli bisogni loro secondo la possibilità del Monastero.”… Il Patriarca non dimenticò d’invitare le Monache “annoiate” a recarsi a frequentare il Coro: “…né ridendo né facendo alcun atto che sia di scandalo … Siate osservantissime della Clausura non uscendo mai fuori di essa per un passo, né in chiesa né in Paralatorii, né ricevendo alcuno in essa, sia di che stato, conditione et età si voglia senza nostra espressa licenza in scritta ... Rendete il vostro Spirito più pronto alla Devozione mortificando la vostra carne.” … Lo stesso Patriarca propose poi di rispolverare i tradizionali Digiuni e le Flagellazioni Penitenziali, e incoraggiò le giovani Monache Nobili a partecipare agli incontri“del Capitolo delle Colpe almeno una volta alla settimana … Dove non si vada escusando i propri difetti, ma liberamente li accusi, et incolpi la medesima.”… La Badessa venne anche incaricata di distribuire le opportune punizioni, mentre “per gli affari extra Convento”, il Patriarca ordinò infine: “che vi provvedessero quattro Converse che passino 40 anni, et che per altre condizioni siano delle più discrete del Monastero…”
Nel 1598: si
proibì anche di stendere lane e biancherie ad asciugare nei pressi e sulle mura
del Monastero, s’impedì il transito inutile per la zona, e di giocare “al
balòn e al pàndolo, a carte, dadi e altri giochi, nonché di fermarsi a
tumultàr, strepitàr e biestemàr, o proferire parole oscene e disoneste, o
compiere atti scandalosi nel Campo di Sant’Andrea, vicino alla chiesa, e
nell’Orto delle Monache ... Pena di bando, voga in Galèa, frusta, berlina e
prigione per i trasgressori … e premio di 200 lire e anonimato garantito per i
delatori-accusatori .“
Vennero
inserite sulle mura esterne del Monastero affacciate sul campo e nel prato
erboso prospicente: alcune punte di ferro e rampini triplici, duplici e
semplici per impedire che si giocasse al pallone … Dopo le ripetute visite al Monastero dei Patriarchi,
il numero delle Monache da CoroNobili scese a 45 “forse
per via dei troppi frequenti scandali” ... Si continuò comunque a registrare “di quattro
Mùneghe che se astenevano di cenare con le altre preferendo assumere i pasti
nelle celle” ... Una lettera anonima di una Monaca lamentò che non si
poteva camminare nel Monastero senza calpestare lo sterco dei Polli che le
Monache continuavano ad allevare privatamente ovunque ... A poco erano serviti,
anzi: erano stati del tutto inutili i richiami e le ammonizioni del Patriarca di
non introdurre Maschere nei Parlatori, e di non tenere animali da
compagnia: “ne chizze (cagne) né cagnuoli”… Le Monache non avevano dismesso l’uso di stoffe fini e colorate e in seta, “né
intendevano indossare un alto soggolo, tantomeno una lunga veste a coprire
spalle e petto scoperti, nè tenevano i capelli tagliati corti, ma con boccoli o
zuffi diabolici fuori dalle tempie e in capo” ... Se ne infischiavano
dell’indicazione delle Regole d’indossare solo scarpe basse, e abiti e
biancherie del tutto identiche: “… non potendo le Monache per voto della
povertà che fanno, tener proprio, si esortano tutte di far quello ch’è consueto
in tutti gli altri Monasteri, ossia di metter il denaro in deposito dalla Madre
Priora, pregando la Superiora che lo metti da parte, acciò che occorendole per
un uso suo proprio bisogno di vestimenti … non havendo le Monache alcun, che il
sol uso et non il dominio di quello…”
Nell’agosto
1610 una Monaca del Sant’Andrea venne di nuovo processata “per visite di Secolari”
... L’anno seguente la prostituta Novella venne processata perché
frequentava di continuo il Parlatorio della Ziràda, dove aveva fatto
gran chiasso in chiesa durante una Funzione Religiosa, ed era entrata nel Convento
dov’era attesa da una combriccola di Gentiluomini ammirati per i
quali cominciò a litigare con un’altra “Nobildonna del suo tipo” ...
Due anni dopo ancora: nuovo processo contro una Monaca del Sant’Andrea “per
colloqui illeciti con un Prete”.
Nel 1657,
quand’era Doge Bertucci Valier, le Monache del Sant’Andrea si spaventarono
moltissimo perchè nel contiguo Campo di Sant’Andrea vennero
trasportate dal Lazzaretto alcune mercanzie ritenute a sufficienza spurgate, ma
scoperte, invece, ancora contagiose. Venne fatto bruciare tutto, e si
demolirono perfino alcune caxette attaccate al Monastero dove c’erano stati “degli
accidenti pestilenziali”… “A fine secolo si abbellirono i vecchi altari
di legno della chiesa della Ziràda trasformandoli in maestosi altari di marmo,
e decorandoli con statue leggiadre … Si fece sontuosi e belli soprattutto l’Altar
Maggiore, quello della Madonna, e quello dello stesso Sant’Andrea.”
Ancora nel 1767, dal testamento del
Nobile Gaetano Molin della Maddalena sposato con la Nobile Elisabetta
Cappello, si evince che le loro due figlie maggiori si trovavano “in
educazione nel Monastero de la Ziràda”, raggiunte in seguito anche dalle
sorelle minori ... Il padre stabilì che dopo la sua morte le figlie avrebbero potuto
liberamente scegliere del loro futuro secondo la loro vocazione. La figlia
maggiore sposò allora un Patrizio di una Casato povero, mentre le altre tre
sorelle presero, invece, il velo del Convento della Ziràda dov’erano
entrate fin da bambine, e dove risultavano ancora presenti all’atto della
soppressione del Monastero del 1806 con altre 26 Monache di cui sei erano Nobili
Veneziane.
Nell’occasione della soppressione napoleonica accadde una storica grandissima confusione. Vennero prima buttate in strada e trasferite al Sant’Andrea le 22 Monache Agostiniane del Monastero di Santa Lucia dell’oltreCanale di Cannaregio(dove sorge oggi la Stazione Ferroviaria), che risiedevano là da ben tre secoli con oltre 70 Monache e almeno 20 Educande: “Secolari Donzelle delle Famiglie più illustri di Venezia”. Scoppiarono veementi contestazioni delle Monache di Santa Lucia per la ristrettezza degli ambienti insufficienti del Sant’Andrea guidato dalla Nobildonna Badessa Chiara Foscarini. Alla fine le Monache di Santa Lucia con la loro altrettanto Nobildonna Badessa Luigia Maria Lippomano vennero rimandate al luogo di provenienza ... Si concentrarono allora a Sant’Andrea le Monache di San Maffio di Mazzorbo, e poi le Canonichesse Lateranensi: le Mùneghe Bianche di San Daniel de Castelo… Altro ingarbuglio: quelle di San Daniel erano Monache di Prima Classe, che non si consideravano adatte a stare né nel Monastero Cistercense della Celestia, né alla Ziràda: Monasteri di classe inferiore ... Alla fine, nel 1810, tutte le 52 Religiose concentrate nel Sant’Andrea vennero buttate indistintamente in strada solo con ciò che indossavano, e l’ex Monastero de la Ziràda venne trasformato in caserma militare, mentre i locali accanto alle absidi della chiesa, usati un tempo dalla Schola dei Burchieri-Cavacanali vennero dati in uso a una Fabbrica di Carta Grossa da Becchèri (Macellai) gestita da Marco Danesi. Per prima cosa costui rimosse e vendette l’Insegna dell’Arte dei Burchieri posta sopra alla porta del posto, e se ne sbarazzò dandola a un negoziante d’anticaglie.
Quanta Storia di Storie ! … e chi
tristo finale della tanta ricca Nobiltà Monacale de la ZIràda.
Ricca ? … Beh: le Monache
della Ziràda erano ricchissime … Sbirciando i Libri e le carte dei loro
Archivi ho provato a farmi un’idea dei Capitali che gestivano ... Da rimanere a
bocca aperta … Un vero e proprio tesoretto sparso un po’ ovunque a Venezia, in
Laguna, in tutto il Veneto e anche altrove: “Un gran ben di Dio e della
Provvidenza”, che le Nobilissime Monache di Sant’Andrea seppero con
capacità e arguzia mettere abilmente a frutto per secoli.
Accanto
alle “Carte
normali” compilate dalla Monaca Camerlenga che segnava le spese per il legname, l’olio, il
Luganeghèr, la Pistoria, la Spezieria “alle Tre Trezze”, e il restauro e la manutenzione del
campanile, c’era anche tutta una serie di“note di spesa”
gestite dal Gastaldo del
Monastero, che conduceva a nome
delle Monache perfino un’azienda che produceva e commerciava vestiario ...
Dettagliatissimi, meticolosi, quasi caparbi e ossessivi erano i dettagli delle
Entrate e Uscita, così com’erano di continuo aggiornate le Tabelle del Cambio delle Valute annesse, e i Cataloghi col valore delle merci
visionate, seguite, approvate, e comprate e vendute dalle Monache.
Oltre a
possedere e gestire un considerevole numero d’immobili in tutta Venezia, le
Monache s’erano comprate anche una “Libertà
del Traghetto di Santa Maria Zobenigo” vicino a San Marco, cioè gestivano una licenza da Gondoliere per il
trasporto di persone e cose ... L’affittavano ovviamente a un Gondoliere, ma
era un investimento strategico fra i migliori: in uno “Stazio da barche” non lontano da Piazza San Marco
affacciato sul Canal Grande, non lontano dalla Dogana da Mar da una
parte, e dall’Emporio
di Rialto dall’altra.
E non è affatto
tutto ! … Le Monache de la Ziràda per far affari e investimenti arrivarono
anche comprare, vendere e affrancare Schiavi. Si … Avete letto giusto: non solo
pagavano per liberarli, ma letteralmente li compravano e rivendevano ... Gli
affari erano affari.
Donazione
dopo lascito, e dote Monastica dopo testamento, le Monache di Sant’Andrea hanno
messo in piedi un notevolissimo insieme di proprietà “di Dentro e di
Fuori Venezia” che seppero far ruotare, ampliare e integrare di
continuo per secoli, come una vera e propria grossa AgenziaImmobiliare
di allora.
Dal “Libro Mastro degli Affittuari”emerge un quadro
chiarissimo delle proprietà delle Monache, abilissime non solo nella compravendita,
permuta e gestione di terreni, case e botteghe, ma anche nella realizzazione e
manutenzione di Ponti, Rii, strade, Corti, Procuratie, esenzioni fiscali e
conti di fabbriche … in Calle delle Rasse, in Calle delle Ballotte e in
Calle della Testa.
Il Monastero de la Ziràda possedeva case con impresso il “logo di Sant’Andrea” nelle vicine Contrade di Santa Margherita e San Pantalon, all’Anzolo Raffael, a Santa Croxe e in Calle del Passamonte ai Tre Ponti dove avevano due case e una bottega appigionate a Giacomo Passamonte Fruttarol a inizio 1700. Avevano poi altre case e caxette a Santa Chiara, San Nicolò dei Mendicoli, San Vio, Sant’Agnese e San Barnaba, e un’altra ai Tolentinidata in uso all’Ortolano del Monastero. Poi ancora: nelle Contrade più lontane del Sestiere di Cannaregio: a San Geremia e San Giobbe, San Marcuola e San Marcilian, Santa Caterina, ai Biri di San Cancian, e a Santa Sofia “zòso del Ponte di Ruga Do Pozzi” dove sorgeva la “ruga di casedelle Reverende Madri di Sant’Andrea” con tanto di bassorilievo dell’Apostolo Andrea ... Nel 1582 le Monache ricavavano complessivamente dai loro immobili in Venezia: 86 ducati annui d’affitto.
Il Monastero de la Zirada era anche proprietario
di altri immobili a San Rocco, Sant’Agostin, Sant’Aponal e San
Mattio sulla
strada per Rialto, e a San Luca, Sant’Angelo, San Paternian, San
Salvador, Santa Maria Zobenigo e San Samuel nel centralissimo
Sestiere di San Marco. E poi ancora: a San Severo, San Giovanni in Bragora e
Santa Marina nel più discosto Sestiere di Castello e del Vescovo dall’altra parte di
Venezia … Pure nell’Isola di Murano, nel Confinio di Santo Stefano avevano una
proprietà per via di una donazione di Elisabetta Diedo del 1501.
A metà 1600, dopo una settantina d’anni, le rendite
annuali d’affitto dagli immobili Veneziani “erano ascese a quasi 2.000 ducati”, e lievitarono
ulteriormente a più di 3.000 nel primo decennio del 1700.
Che
ve ne pare ? … L’avreste mai detto ?
E
questo si riferiva solo ai “beni di dentro”, cioè posseduti a
Venezia e in Laguna … C’erano poi le “proprietà de fòra”, cioè
quelle della Terraferma. Sfogliando
i “Libri e le Filze delle
Rendite, Affittanze e Riscossioni” dell’Archivio di Sant’Andrea, le Monache avevano beni in Villa, e in varie altre località dell’Area Trevigiana: 100
campi nel Colmello di San Nicolò del Bosco, a Terzo, e nel Comello di
Fontana, Bojòn, Marcon, Scorzàn (Scorzè), Maerne, Martellago,
Spinea, Formiga sotto Mirano, Padernello, Villanova sotto Camposampiero, San
Prosdocimo, Villafora, Zero, San Donà di Piave… e altri 22 campi a Peseggia venduti poi al Spongèr (affarista ?)
Bernardo Gervasoni … e un’Osteria
a Marocco di Treviso.
Non è ancora tutto … Sant’Andrea aveva “Molini
sotto Mestre”, e affittava beni perticandoli di frequente (misurandoli)“in
ville nove e vecchie nella Podesteria di Mestre e in Mestrina”, 15 campi di Bosco a
Carpenedo per lo sfruttamento
e il taglio dei cui roveri le Monache entrarono in lunga lite (1565-81) col
Reggimento di Mestre, che avviò un“processo criminale”,
al tempo della Priora Caterina Mauro, contro Luca Botazzo
Colono del Monastero di Sant’Andrea. Altre proprietà della Ziràda
di Venezia c’erano a Chirignago
per i quali il Monastero andò a scontrarsi con i Nobili Contarini; e
a Massanzago dove rivaleggiò con i Nobili Cappello. Altri beni ancora a Casale sul Sile, Zermàn, Lugugnana sotto
Treviso, Preganziol, Martorigo, e in Villa di San Zulian e Favaro per i quali andò in causa “per debiti d’affitto e altre turbative”
recate alle proprietà delle
Monache.
Vi pare che basti ? … Invece: ancora no … Sant’Andrea aveva ancora una Vigna
al Bosco di Sacco in Saccisica, terre e case a Scaltenigo, Lancenigo, Chioggia, Mirano
e Codevigo lasciate da Marcolina Storlato in Trevisan; e poi ancora: a Dolo,
Caltana, nei pressi del Portello di Padova, a Campo Cesarano in Zianigo e
Fratte. Più
lontano da Venezia e fuori dal Veneto le Monache gestivano beni in Villa
di Arzeretto e ad Argere di Cavalli sotto Padova, a Vicenza e Lonigo, a Rovato
di Brescia, in Val Brembana, Bergamo e in Bergamasca, nel Bosco Vecchio del
Polesine, e nel Ferrarese a Villa di Fuora, Saletta, Copparo e Ruina.
Mamma mia ! … Un fiume di guadagni e rendite
insomma, che secondo il “Libro dei Capitali presso i Pubblici
Depositi” venivano poi puntualmente investiti e tradotti quasi in automatico in “partite
dell’Officio ai pro della Zecca di San Marco”, e fatti fruttare
ulteriormente impegnandoli all’Officio del Vin, del Sal, alla Ternaria
dell’Oglio, nelle Casse Bastioni, all’Officio dell’Uscida e ai
Governatori-Revisori-Regolatori delle Intrade, al Bancogiro, alla Camera degli
Imprestidi, presso i Tre Savi sopra gli Offizi e la Cassa Decime, nella Scuola
Granda di San Rocco, ai Cinque Savi alla Mercantia, alla Màsena e alle Cazude,
e nell’Officio degli Argenti in Zecca a Venezia.
Le Monache di Sant’Andrea, come buona parte dei
Religiosi dell’epoca, forti del loro blasone e del prestigio fornito dalla loro
figura, nonché dall’entità imponente delle loro “economie” non guardavano in
faccia, né temevano alcuno. Di volta in volta si scontravano sfacciatamente e
apertamente un po’ con tutti: con i potenti Monaci Benedettini di San Giorgio
Maggiore di fronte a Piazza San Marco, ad esempio, e con i Carmelitani
Scalzi di Cannaregio e dei Carmini, con Casati Nobili come i Querini, e con gli Uffici
dei Dieci Savi, e i Provveditori alle Acque della Serenissima per questioni di terreni
e paludi pubbliche, e “per la Sacca di Sant’Andrea presso il Campo della
chiesa”.
Tornando al Rio delle Burchielle e ai Burchieri-Cavacanali, le Monache litigarono
a lungo anche con loro“per Livelli e debiti di fitto” inerenti le 7
caxette poste sul Rio delle Burchielle. Contro Bianchi
Zanetto, Arcangeli, Nicolò Donà e Zanco Barcarolo, ad esempio, e
contro i Burchieri Fieramonti da Brescia che vi abitavano … Andarono
a contrasto anche con l’intera Arte dei Burchieri e Cavacanali per l’uso dei locali
della Schola, e contro Piero Squerariòl dello Squero
del Campazzo di Sant’Andrea, che sorgeva non lontano dalla Cereria sita a due passi dalla
Contrada della Croxe: sulla fondamenta che dai due ponti andava verso Sant’Andrea,
proprietà anch’essa del Monastero. C’era sempre stato “odio-amore” fra le Monache e i Squerajoli
della zona, che però fecero costruire le balaustrate della Cappella Maggiore
della chiesa, e furono anche Gastaldi della Schola di Sant’Andrea.
Mi
fermo qua … Credo sia sufficiente per stavolta.
Termino
questa lunga “curiosità” con due ultime note sulle Monache
di Sant’Andrea, e ancora sul Rio de le Burchielle.
La
prima … Il 05 agosto 1849, le Mùneghe rientrate provvisoriamente nel
Monastero dopo lo sconquasso napoleonico, si trovavano tranquillamente per la
quotidiana “Hora di Coro e la successiva Messa” nel Barco
sopraelevato in fondo alla chiesa comunicante col loro Convento. Si sentì
soltanto un soffio e un sibilo sottile quasi impercettibile, e una bomba
sparata dal Campo Austriaco di Mestre centrò in pieno la chiesa
di Sant’Andrea de la Ziràda: “… una palla infocata forò il tetto della chiesa vicino
al Coro, e franse due quadrelli allato destro di una sepoltura …”
Immaginatevi solo per un attimo le 42 Monache Clarisse sgomente e spaventate … Qualche ora dopo il Prelato Confessoree Tutore delle Monache le convinse finalmente a non rimanere più sotto la minaccia della pioggia delle bombe, e un’ora prima di mezzanotte abbandonarono il Convento recandosi in Contrada di San Cassian ospiti a casa del Signor Andrea Pinasso Procuratore del Monastero: “Animato della più viva Carità e premura, l’uomo mise a disposizione delle Clarisse la propria abitazione e la Cappella nella quale fu conservato il Venerabile per special privilegio accordato da Sua Eminenza il Patriarca, onde anche in quel tempo non venisse interrotta la perpetua Adorazione dell’Augustissimo Sacramento dalle povere Clarisse, giusto secondo gli umili voti delle medesime ... Dimorarono così le suddette dividendo col l’egregio Procuratore le comuni angustie, fino al 30 luglio susseguente: giorno in cui essendovi capitata un’altra bomba, nuovo ordine gli giunse dal Vigile Prelato di procurare una più sicura abitazione per tutti. Così il 04 agosto, dopo l’Ora Meridiana, le Monache di Sant’Andrea si trasferirono a San Francesco della Vigna presso i Reverendi Padri Osservanti li quali cedettero un loro conventino con Cappella, e là rimasero come nel proprio Monastero finché a Dio piacque si calmassero le insorte civili turbolenze … Solo il 27 dello stesso agosto alle 9 antimeridiane con indicibile giubilo del loro cuore rientrarono le Clarisse in numero di 43, compresa una Novizia, nel loro Monastero ritrovato, si può dire: quasi miracolosamente illeso dalle temute bombe, ad eccezione di una caduta il primo agosto nell’interno del Monastero che non portò gran danno, e di quella poi che fu (cosi permettendolo Iddio) slanciata nel destro angolo della Chiesa il 19 agosto cagionando grave danno come si può vedere dall’esterno diroccamento.”
La seconda e ultima nota … Ancora
oggi di giorno è bella, curiosa e amena la zona dei Treponti di Piazzale
Roma col Rio delle Burchielle e la zona di Sant’Andrea,
anche se diventata del tutto diversa ... Di sera e di notte poi ? … E’ ancor
meglio: tutt’altra cosa ... Induce a pensare, e un po’ a sognare, come capita a
me quando rientro a casa dal lavoro a
sera passando proprio di là ... Ci sono sempre le stesse Stelle in alto da
ammirare, quelle che osservavano i Veneziani di ieri.
L’altro pomeriggio, invece, passando ai piedi del
Ponte di ferro sul Rio delle Burchielle, quasi come con i “bravi” di Manzoniana
memoria, mi sono imbattuto in un gruppo di Poliziotti agghindati di tutto punto
in perfetta tenuta antisommossa. C’era nell’aria, e stavano aspettando l’arrivo
a Venezia dei facinorosi Anarchici intenzionati a manifestare ed eventualmente mettere
a ferro e fuoco Venezia.
Povera Venezia … Diventata palcoscenico di chiunque vuole inventarsi in ogni strampalata maniera ... Non solo Venezialand, ma anche luogo di sfogo di ogni evasione e alterazione scomposta, e di ogni assurda iniziativa e improbabile smargiassata.
Ne rimarrà qualcosa ?
Quasi distrattamente, i poliziotti mi hanno osservato dandomi una veloce “radiografata” silenziosa. Si sono presto convinti che non c’era nulla da temere da quel mezzo rimbambito dal pelo bianco di passaggio. Non potevo di certo essere uno di quei bellicosi che stavano aspettando. Per fortuna poi che non è accaduto niente di particolare a Venezia: nessun insano Barbaro è riuscito stavolta ad approdare. Sono potuto passare tranquillamente quindi, col mio solito zainetto carico di pensieri e forse di nostalgici sogni … Lasciatemi almeno sognare.