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Rio de le Burchielle … Ci sono sempre le Stelle in alto.

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#unacuriositàvenezianapervolta 321

Rio de le Burchielle … Ci sono sempre le Stelle in alto.

E’ notte adesso a Venezia, proprio buia e profonda ... La linea luminescente e mobile dell’acqua dentro ai canali s’increspa sfiorata leggermente dal vento notturno.  Il tratto bagnato s’insegue, ondeggia, si sovrappone lento contenuto dalle rive: è la risacca di una barca che è appena passata in fondo, e il va e vieni della sessa della marea che cresce e cala ogni sei ore … da sempre.

Gli anelli infissi sul dorso delle rive a pelo d’acqua, giusto sopra la linea verde delle Alghe: riverberano nel buio ... E verzure pendule di ogni sorta tripudiano scure negli angoli, fra i masegni delle Fondamente, sugli archi dei ponti, e ai piedi delle facciate ombrose di caxette e palazzi umidi, sgretolati e mangiati dalla salsedine, dall’incuria umana, e dal Tempo impietoso ... Venezia è così: si sa.

E’ di nuovo notte anche per me che me ne sto tornando a casa dall’Ospedale attraversando ancora quest’angolo remoto e periferico di Venezia. Fa ancora fresco, non è ancora tornata del tutto la Primavera ... Non c’è nessuno in giro, passa frettolosamente solo chi deve andare in giro per forza, o chi porta fuori controvoglia il Cane.

Passandogli di lato, osservo il canale scuro: oggi non c’è più nessuna Burchiella che transita, o che sta ormeggiata qui dentro al Rio delle Burchielle: neanche una sola.

Burchieri e Cavacanali sono cose del passato ingoiate dal Tempo e dalla Storia. Come tante altre sono trascorse e non ci sono più. E’ rimasta solo qualche traccia incastrata e nascosta qua e là in giro da queste parti: qualche raro toponimo, o qualche striminzita nota storica.

Alzo lo sguardo in alto: stassera il Cielo è pulitissimo, è davvero limpido e trapuntato di luminosissime Stelle. Sembra proprio che buchino il Cielo nero in maniera quasi prepotente ... Ve la ricordate l’idea della “Rachia” degli Antichi vero? Pensavano che la notte fosse come un’immane coperta bucata che il Carro del Sole si trascinava dietro tramontando. Essendo bucata, qua e là continuava ad apparire la Luce dell’Universo e del Giorno che attraversava l’immensa rete dei buchetti: ecco quindi le Stelle.

Ieri come oggi: che fascino osservarle ! … Anche se ora s’intravvedono appena per il troppo inquinamento luminoso che c’è anche qui in Laguna e a Venezia.

Mi emoziona sempre e comunque questo buio notturno per il suo mistero. Continuo ogni volta a stupirmi quando butto gli occhi lassù in alto nel buio tempestato di magnetiche luci lontane … Camminando penso … Chissà com’erano un tempo queste Contrade Veneziane senza l’illuminazione pubblica. Doveva essere tutto diverso, ogni cosa di notte doveva essere alterata, cambiata e nascosta. Doveva esserci davvero buio: uno scuro quasi da tagliarlo a fette … E quando c’erano, ci doveva essere il riverbero luccicante delle Stelle e della Luna, che si specchiavano fin dentro al Rio delle Burchielle e sui Rii di Santa Maria Mazòr e Santa Marta ... Ogni tanto ci doveva essere qualche finestra delle basse caxette pallidamente illuminata: una lanterna o una candela, quasi come in un presepio ... E su qualche angolo o svolta di Calle c’era qualche Altarolo-Capitello illuminato da flebili notturni cesendelli … Chi accendeva e pagava quei lumini ? Chissà ?  … Forse erano a spese delle facoltose Monache della Ziràda.

La Ziràda ? … nome strampalato … proprio da Veneziani.

Provo ancora a immaginare: chissà come dovevano essere questi luoghi ieri … Non so … Le barche legate “da notte” alle rive come oggi, la fondamenta polverosa, a tratti fangosa con le pozzanghere dell’ultima pioggia … Nessuno in giro come adesso, la calma della sera alla fine di un’altra intensa giornata di lavoro. A Venezia ci si guadagnava a fatica il pane quotidiano: bisognava industriarsi per farlo, sudarselo per davvero … Niente era scontato e dovuto in Laguna … Beh: un po’ come accade ancora oggi … Ma si era forse più attorniati di Bellezza rispetto ad oggi: si esperimentava forse di più la gratuità, l’immediatezza, la libertà e il valore delle cose e della Vita, s’incontravano e apprezzavano di più le persone che si avevano attorno ... Ci si guardava forse di più intorno, si alzava di più lo sguardo, e si lasciava … forse … che emergessero di più i pensieri … Lo scorrere del Tempo era forse più magico, l’esistente ... forse … era meno scipito.

Romanticume nostalgico ? … Non so … Venezia di certo è sempre stata affacciata sulle acque di sotto, sul Cosmo dei Cosmi in alto, e sulle pagine diuturne della Storia … Una specie di Porta socchiusa sul Cielo, sulla fatalità e gli eventi.

Oggi i Rii Terà, cioè tombati e interrati, nascondono molto, trasformano e mascherano quello che c’era un tempo nel territorio urbano Veneziano. L’imbonimento e la bonifica progressiva di tante aree strappate alle acque e alla barena, hanno cambiato e allargato mille volte Venezia lungo i secoli. Sembra quasi un’altra vedendola così com’è, e si strabuzzano gli occhi dalla sorpresa quando s’intravedono tracce di quello che è stata qualche tempo fa. Rivedo le donne con lo scialletto in spalla raggiungere le loro caxette prima dell’incipiente tramonto ... La lunga fila delle Tabacchine odorose uscire dalla Fabbrica dei Tabacchi…Gli uomini sporchi e sudati armeggiare dentro alle Burchielle per metterle “da notte” terminato il lavoro.

Mi fermo in cima ai Tre Ponti di Piazzale Roma proprio dove inizia il Rio delle Burchielle, e faccio una specie di giochino mentale … Compiendo una serie di clic cancellatori di quanto vedo, provo a togliere dalla veduta d’insieme che ho di fronte, quanto s’è costruito e aggiunto lungo il tempo ... Oggi come ieri, qui terminava e incominciava Venezia … Ma quanto diversa era un tempo questa zona !

Fino al 1800 compreso, quest’area estrema e periferica del Sestiere di Santa Croce era un dedalo di piccoli canali e rii contrassegnati da strette fondamente quasi sempre in terra battuta ed erbosa. Ad ogni pioggia si trasformavano in piccoli e lunghi pantani, che venivano percorsi ogni giorno avanti e indietro dai Pescatori, Barcaroli, Bastazi e Ortolani della Contrada, e dal nutrito numero delle Monache che popolavano i chiacchieratissimi chiostri della zona.

Fra turisti, pendolari e valigie faccio un primo clic cancellatorio. Spariscono nella mia mente il Garage Comunale e il GarageSan Marco. Sullo stesso terreno nel 1785 era attiva la Compagnia con “la marca privilegiata del Ranuncolo” appartenente ad Antonio Duodo e Nicolò Retti che gestivano una Fabbrica Sociale di Saponi “a tre caldaie” con capitale sociale investito di 15.000 ducati … Dieci anni dopo circa, la Compagnia si rinnovò associando al Retti anche il Conte Angelo Maria Revedin e Giovanni Francesco Cappellis ... Tutto scomparso oggi.

Secondo clic cancellatorio, e scompare tutto il Piazzale dei Bus e dei Tram ... Al loro posto c’erano il pantano e la terra battuta dell’ultima periferia Veneziana ricoperta da Catapècchi(capanni), dagli Orti dei Nobili Barbaro e Franceschi, da una Carbonèra, da un laborioso Squero per barche, dalle Sàcche di risulta Zuccolo, Barbaro e Catapàn degradanti verso le rive della Volta-Ziràda del Canal Grande, e dalla Vigna delle Muneghe de Sant’Andrea ... Decisamente questo spazio Veneziano era configurato diversamente.

Altro clic, il terzo, e tolgo il palazzo in primo piano di destra con la Banca, l’area dei Portabagagli, e già che ci siamo anche il cacciaroso chioschetto posto ai piedi del ponte ... C’erano più spazi vuoti allora, forse meno va e vieni, e poco casino rispetto ad adesso.

Quarto clic pulitivo: e sparisce anche la scura Cittadella della Giustizia ancora in costruzione al centro della scena. Un tempo era il luogo della Cereria(Fabbrica di Cere Reali), e del largo complesso della Manifattura dei Tabacchi di Girolamo Manfrin e delle famose Tabacchine Veneziane.

Nel 1786 la Manifattura venne portata qui dalla Madonna dell’Orto e dalla Fondamenta delle Penitenti di Cannaregio, e si fecero gli edifici del Tabacco attorno a un ampio cortile con pozzo centrale dove si distendevano le foglie ad asciugare al sole. Tutto attorno c’erano laboratori, servizi, stalle per gli animali, depositi, macine e stufe per asciugare … Poco distante dal 1877 si realizzò anche un “l’Asilo per lattanti e slattati” voluto dai Giustinian e dalla Direzione della Manifattura a sostegno dei figli delle Tabacchine.

Oggi oltre al grande complesso “a Villa Veneta con Barchessa”, rimangono ancora l’edificio a scavalco del canale che portava a magazzini di stoccaggio e agli uffici affacciati sul Rio dei Pensieri.

Finiti i clic di cancellazione … Che ne è rimasto dell’intera scena ?

Poche cose ... In fondo, isolato al centro fra verzure, canali e lavorio di persone, c’erano affacciati sull’attuale Canale della Scomenzera, e dove oggi sorge il People Mover e gli Uffici della V.E.R.I.T.A.S.: il Monastero della Monache di Sant’Andreade la Ziràda con l’annesso Cimitero, e l’Ospedaletto dei Samiteri e delle stesse Monache.

Più discosto a destra, c’era e c’è la vicinissima Isola-Monastero delle Mùneghe Urbaniste di Santa Chiara della Ziràda(oggi Caserma della Polizia ai piedi del lungo Ponte Traslagunare). L’intera zona era quindi in buona parte in mano alle Monache, ma era conosciutissima e frequentatissima dai Veneziani. Solo oltrepassato l’intrico dei Tre Ponti, che già c’erano, ci si avviava verso il cuore vivido e pulsante di Venezia entrando nelle popolari Contrade di Santa Margherita, dell’Anzolo Raffaèl, San Basilio e San Trovaso che poi si diramavano e allargavano in quelle di San Nicolò de la Mendigolae Santa Marta da una parte, e di San Pantalon dall’altra. Là s’incontravano le Case Fondaco dei Nobili, le illustri e sfarzose Schole Grandi dei Carmini e San Rocco, la nutritissima schiera delle altre Scholette Piccole di Arte, Mestiere, Nazionalità e Devozione, e la trafila dei Monasteri e delle Fraterie, con le Terziarie, i Pizzoccherai, gli Ospizi e gli Hospedaètti ... le botteghe, i Traghetti, le Zattere.

Tolentini di San Nicola, Benedettine e Agostiniane di Ognissanti e Santa Marta, San Sebastiano dei Gerosolomini, i Carmini dei Carmelitani Scalzi, San Ludovico dei Vècci in Calle Rossa, le Orsoline, e le Terese affacciate sull’acqua estrema Veneziana ... C’era un po’ di tutto … e tutto e tutti erano mescolati, quasi conditi con la laboriosa e variopinta presenza del vivere “intenso e accanito” dei popolani Veneziani attaccatissimi al loro Vessillo flottante di San Marco.

Tornando alla mia scena rivista e tagliata … A sinistra rimane ciò che m’interessa di più, cioè: il Rio delle Burchielle, con la Fondamenta, la Calle e le caxette omonime. E’ qui che volevo arrivare col discorso ... Le Burchielle ? … Curiosiamo un poco.

Nel Rio delle Burchielle stazionavano appunto le Burchielle: basse barche coloratissime, che servivano per trasportare cose diverse, molto spesso di risulta. Il colore indicava il tipo di materiale che trasportavano, così che si potevano riconoscere facilmente anche da lontano. L’uso di questa particolare tipologia di barche piatte era riservato ai Lavoranti e Mastri dell’Arte dei Burchieri: una delle tante Arti di Mestiere presenti per secoli in Laguna. I Burchieri erano distinti a seconda delle mansioni che eseguivano e per ciò che trasportavano. C’erano Burchieri da Rovinassi(macerie e calcinacci), Burcjèri Cavafanghi o Cavacanali, Burcieri “da Stiòre”(stuoie), “da Legna da ardere”, ma anche Burcieri Casaròtti cioè “da Frumento” o “da Molino” abilitati ad andare ai "molini per fontego e servizio di Marchadanti, Pistori, Monasteri e Lasagneri".

Nel 1661 i Soprastanti a le Biave puntualizzavano che i 25 Burcj utilizzati dai Compagni della Schola dei Burcèri Casarotti erano di proprietà della Serenissima Signoria. Erano autorizzati a trasportare per ogni viaggio non più di 15 staia di Frumento da macinare … I trasgressori venivano multati "a favore dell'Ospedale della Pietà".

La Schola d’Arte, Devozione e Mestiere dei Burcièri e Burchiellanti faceva riferimento e aveva sede presso il Campo e Convento delle Monache di Sant’Andreade la Ziràda sotto il titolo patronimico della “Madonna Assunta e de Sant’Andrea de le Mùneghe”.  L’Arte esisteva praticamente da sempre a Venezia, ma era nata ufficialmente verso il 1503, quando l’attività venne presa in gestione privativa ed esclusiva da una trentina di Famiglie, che concedevano i lavori come in subappalto a Betolini e Burchieri:“che portavano paltàn, ruinazzi e sabion associati a tutti li patroni de burcj che sono soliti andar a molini per il Fontego et a servir Merchadanti giurando onestà nelle transizioni”… La Serenissima controllava e tampinava di continuo tutto e tutti senza scampo né eccezioni.

I Burcièri e i Burchiellanti prelevavano fanghi, macerie, immondizie dalle scoazère” cittadine, e acque residue dalle fosse putride che trasportavano in aree apposite di discarica e bonifica, le così dette: “Sacche” cinte da palade (palizzate), create appositamente dalla Serenissima per salvaguardare strade, Contrade e Canali … e Veneziani: “il Consiglio dei Dieci concesse il 30 dicembre 1529 ai Burceri de burchi ferrati di potersi riunire in Schola per sostegno agli anziani dell'Arte, inabili al lavoro o ammalati, per procurare dignitosa sepoltura ai Compagni, soccorrere con elemosine le figlie o le sorelle che si dovessero maritare.”

La “sanitate et bono terrae”, cioè il buon equilibrio e la salvaguardia dell’ambiente, e la Salute delle persone è sempre stata all’apice degli interessi e dell’attenzione dei Veneziani di ogni epoca.Già nel maggio 1333, infatti, il Maggior Consiglio decretava che i canali Veneziani dovevano essere periodicamente dragati per salvaguardare la bontà, la scorrevolezza e pulizia delle acque “per la salute di tutti i Veneziani”… Per lo stesso motivo nel 1413 durante un’epidemia, e in diverse altre occasioni, lo stesso Consiglio proibì la tintura delle stoffe nelle acque cittadine destinandola in esclusiva alle acque aperte di periferia lagunare. Stessa cosa era accaduta in precedenza anche con i Verieri e Conciapelle, relegati fuorimano a Murano e alla Giudecca ... Sempre per timore di epidemie dovute ad acque fetide e stagnanti, si chiese e ottenne dai Signori di Notte e dai CapiSestiere di segnalare periodicamente i Canali, Rii, Rieli, Laghi e Piscine di Venezia bisognosi di drenaggio o bonifica, e offrendo denaro s’incoraggiò e s’indusse perfino i Giudici e i Funzionari del Piovego e delle varie Magistrature a controllare meticolosamente certi traffici e l’uso delle acque, e a raddoppiare gli sforzi per recuperare dalle acque altro suolo pubblico usurpandolo se necessario anche a Nobili privati, Preti e Monasteri.

Nelle undici Contrade di Dorsoduro e della Giudecca si provvide a scavare: “il Rielo a San Gregorio che ha un capo nel Rivo che va alle Fornaci, e l’altro al Rivo che va al Salarios Comunis.”“Certi dorsi del Rivo maestro di San Vito davanti alla chiesa, le proprietà di Ser Nicolò de le Sevele e del Prete Jacopo Pedegelle.”“un Rivo a Sant’Agnese, una Piscina dietro la chiesa di San Trovaso”“il Lago di San Basegio detto da Molino”, e a prosciugare il Lago di San Pantalon nei pressi di Cà Lin”.

Stessa cosa accadde nelle Contrade di Santa Croxe e Castello: Sestieri estremi di Venezia, apici opposti della Città Lagunare: “con la Piscina di San Zuane Novo verso l’Orto e le Vigne di San Zaccaria da prosciugare e scavare” … e si scavò e asciugò a Santa Maria Formosa e Santa Marina, verso la Crosaria di Santa Giustina, giù in fondo alla Celestia, San Martin, Sant’Anna e San Daniele, e a San Severo, San Lorenzo e Sant’Antonin, fra le proprietà e i Fonteghi di Cà Trevisan, Morosini, Vitturi, Lombardo, Delle Boccole, Giustinian, Badoer e Contarini… Si bonificò anche dove si conducono le zattere del legname per l’Arsenale, si scavò e imbonì anche “al Bressaglio”, e accanto alle caxette nei pressi e all’interno della stessa Casa dell’Arsenale… Era tutto un riportare continuo di rovinassi e fango e terra sottratti dalle acque da una parte, e riversati dentro alle acque da un’altra.

Anche nel Sestiere di Cannaregio s’interrò, scavò e imbonì allargando e stringendo: “in Contrada di San Canciano interrando un Rielo verso la Vigna e le Chiòvere dei Crociferi (Gesuiti), a Santa Caterina dei Sacchiti, a Santa Sofia, a San Marcilian vicino al Rio di Santa Fosca e Cà Diedo, a San Marcuola, alla Maddalena, San Leonardo, e a San Giovanni Crisostomo verso Rialto.”

Nel centralissimo Sestiere di San Marco si lavorò dietro alle Taverne presso il Ponte del Malpasso, e al Ponte delle Ancore ... Si scavò a San Moisè, Santa Maria Zobenigo, San Maurizio, Sant’Angelo e San Luca accanto e attorno alle proprietà dei Nobili Donà, Barozzi, Duodo, Gradenigo e Miani ... Venezia si allargava di continuo traendo dal fango sempre nuovi terreni trasformati in asciutto anche a San Vidal e San Samuel: dietro alle chiese, alle case e alle corti dei Piovani ... E poi ancora: da una parte e dall’altra del Canal Grande, e tutto intorno all’Emporio Realtino… Si scavava e imboniva nelle Contrade di San Cassian verso Rialto, a San Giacomo dell’Orio, San Boldo, Sant’Agostin e Santa Maria Materdomini, e accanto ai posti e alle possessioni di Cà Zane, Gabriel, Venier e Foscarini, Tron, Istrego, Armato, Trevisan e Schiavo ... S’interrò a San Simeon Maggior cioè: Grando, e a Sant’Aponal, San Tomà e San Silvestro presso il Fontego del Frumento e le Case del Patriarcato, nonchè attorno alle proprietà degli Emo, Fabbro, Corner, Orio e Bernardo.

I Burchieri e gli uomini delle Burchielle insomma avevano sempre un gran da fare, così come i Battipalo, e quelli che rinsaldavano le rive e costruivano i ponti … C’è stato un immane quanto interminabile lavoro portato a compimento a Venezia lungo i secoli.

Come dicevo, i Burchieri con le Burchielle trasportavano anche generi alimentari di prima necessità dei Veneziani: il Frumento da macinare, oppure l’Acqua.

Sentite, ad esempio, che cosa recitava questa “partedi metà settembre 1675” emessa dal Magistrato delle Biave della Serenissima, e pubblicata sulle Scalee di San Marco e Rialto ... Marco Molin con Alvise Mocenigo erano: Sopra Proveditori, mentre Vincenzo Da Mula, Gerolimo Giustinian e Ottaviano Pisani erano: Proveditori alle Acque: “Pena di Bando, Prigione, Galera e altre all’arbitrio del Magistrato riguardo alla qualità del delitto e dei delinquenti, Ordini e Capitoli contenuti nei Proclami e Terminazioni dovevano essere prontamente eseguiti … Per colpa di perniciosi disordini, ritardi, abusi e confusioni e accadute nelle Macine dei Formenti della Serenissima causate dai Monari e dai Burchieri delle condotte … Non possano i Burchieri ricevere Frumenti sia dalla Serenissima che dai Pistori prima che il prodotto sia correttamente bollato in piombo, così da non poterne aggiungere o togliere alcuna benchè minima quantità … I Monari devono rilasciare precisa ricevuta del macinato eseguito e della sua provenienza. Così i Burchieri non possano trasportare senza apposita bolletta … Il Soprastante dei Molini nel Trevigiano deve emettere le Bollette, e tener notadei Burchi che arriveranno al Molino e dei nomi dei Burchieri, rendendo conto di mese in mese dei Frumenti arrivati, macinati e delle farine partite… Il Soprastante è obbligato a controllare contraffazioni e intacchi sul Frumento e riferirle al Magistrato… A campione si dovrà macinare il Frumento sotto gli occhi dei Soprastanti … Il Monaro è tenuto a conservare le bollette del giusto numero dei Sacchi di Frumento ricevuto da macinare …Che nessun Monaro dopo aver ricevuto dai Burchieri i Frumenti da macinare nei Mulini, non osi mescolare le farine con altre, ne darne parte ai Burchieri stessi sminuendone il Partidor… Monari e Pistori dovevano tenere le stive delle farine sempre ben separate, e le farine tutte sempre ben esposte così da poterle controllare …”

I Burchiellanti-Burchieri-Cavacanali-Conzarovinassi erano quindi una categoria di lavoratori, un’“Arte di meccanismo” indispensabile, che agiva ovunque in giro per Venezia, facendo “base” nel Rio delle Burchielle, dove in buona parte abitavano nelle caxette fatte costruire e messe a disposizione dalle Monache di Sant’Andrea.

Gli iscritti all’Arte dovevano essere“nazionali”, cioè: Veneziani o Veneti, ed aver prestato quel lavoro in Laguna da almeno 4 anni. Al culmine della loro secolare storia, i Burchieri-Cavanacali regolarmente iscritti all’Arte erano più di 650: con una quarantina di CapiMastri, e oltre 600 Lavoranti e Garzoni addetti … Più di 300 di loro erano addetti a manovrare e guidare le Burchielle. Esisteva a Venezia anche un’altra ottantina di persone dette: Scovolini. Per lo più erano Chiavenaschi provenienti dai Grigioni, non iscritti all’Arte, che vuotavano latrine senza permesso e ignorando le tasse:“Portavano pregiudizio all’arte … gente che davasi la muda un anno per l’altro, e che estraevano circa 8000 ducali all'anno togliendo l’impiego a sudditi.” … Era obbligatorio iscriversi all’Arte, ma siccome costava parecchio, non tutti potevano permetterselo. A fine 1700, cioè al definitivo declino della Repubblica Veneziana, si contavano ancora più di 30 Burchieri regolarmente iscritti, e c’erano altri 400 “Burchieri da Legna”, che assoldavano un loro Medico Fisico: Piero Orteschi, che li assisteva gratuitamente loro e le famiglie … 50 Burcjeri presenziarono a una riunione dell’Arte agli Incurabili sulle Zattere diretta da uno dei Giustizieri Vecchi della Serenissima.

I Cavanali-Burchieri, che avevano propri siti e stazi di carico e scarico in giro per Venezia, non potevano trasportare rovinàzzi” dopo il tramonto: così era comandato affinchè fra le tenebre non si facilitassero le disobbedienze, e non si vuotassero le Burchielle in qualche sito da formarvi scanno o sedimento.”… Le Buchielle si dovevano quindi obbligatoriamente “mettere da notte” ormeggiandole nel Rio delle Burchielle ... L’Arte manteneva e riattava anche le Portesine del Bondante salariandone il custode, con “homeni de le Burchielle e  Capiburcio” partecipava alla Festa della Sensa e ad altri eventi Pubblici facendo spettacolare contorno coreografico alla Signoria e al Doge con le barche e vele coloratissime ... La Mariegoladei Burchieri in pergamena “scritta a grandi lettere e con miniature” cadde purtroppo in tempi recenti in mano a un venditore di canzonette, che la cedette a sua volta a un Oste altrettanto ignorante, che la stracciò e la fece a pezzi incartando bottiglie e liquori. 

Per modernizzare e sostituire l’Arte dei Cavafanghi-Cavacanali s’inventarono in tempi diversi contestatissime macchine per l’escavazione dei canali. Una nel 1545 a cinque cucchiai: “buona, ma tarda al lavoro e nel perfezionamento d'opera”; un’altra di proprietà di Piero Contarini, che agiva tramite una ruota: “ma senza frutto, anzi dannosa, e come tale fatta disfare”. I Burchieri-Cavanali-Cavafanghi temevano grandemente di perdere il lavoro, perciò si rifiutavano di usare le nuove macchine su barca, di mettere a disposizione le Burchielle, e nottetempo affondavano le nuove macchine autorizzate dal Senato assoldando qualche poveraccio disperato che ruotava intorno all’Arte.

Giunsero a Venezia anche dei periti dall’estero con progetti e idee innovative “atte a cavar in ogni fondo sabbioniccio, giajoso, creoso, duro, facendo il tutto piano e prestissimo, scavando 460 Burchielle al giorno a una profondità fino a 50 piedi”. Uno sfortunato Grassino se ne tornò in Francia subito: “per non aver da perder il tempo, la spesa, e l’opera ...Anche qui molte difficoltà insorsero: e finalmente nello spazio di mesi quattro e colla spesa di 15.000 ducati fu fabbricata la macchina; ma per quanto si facesse, quelli dell’Arte de’ Cavacanali, malgrado la obbligazion loro non vollero servire loro burchielle alla prova della macchina. Finalmente senz’aver uopo di quelle dell’arte, fabbricate altre burchielle, fu fatta la prova: con stupore non solo del Magistrato delle Acque et Ministri ma eziandio de’ contradditori capi dell'arte, defraudatori del danaro pubblico e fu assegnato da Savii ed Essecutori alle Acque di far il nuovo canale drio la Zudecha impossibile a farlo a ognuna delle altre tecniche; sebbene siane poi stata sospesa l’esecuzione per la troppa spesa.”

Alla fine “il Pubblico” di Venezia approvò una spesa di 4000 ducati per una macchina capace di cavare e riempire 300 Burchielle al giorno.

I Burchieri e Burchiellanti non gradirono molto la scelta … Si fecero sentire, ma inutilmente.

Con la bufera napoleonica la Confraternita-Schola dei Burchieri venne spazzata via da Sant’Andrea, come tutto il resto, e provò a trasferirsi e radunarsi nella chiesa di San Gregorio, dove per un certo periodo continuò ad avere altare e sepoltura sotto i vecchi titoli dell’Assunta e San Nicolò. Ancora nel 1803, i Burcieri pagavano i Preti per celebrare una Mansioneria Quotidiana di Messe, un Esequiale e 40 Messe per i Burcèri Casaròtti ... poi fu la fine, e i Burcieri-Cavacanali-Burcellanti e Casaròtti scomparvero del tutto.

Le caxette che sono state dei Burchieri in Rio de le Burchielle sono visibili ancora oggi prospicenti il Rio. Vennero fatte “ristorare e riattare” insieme al Campanile di Sant’Andrea nel maggio 1752, al tempo della Nobildonna Elisabetta Maria Diedo: “la Badessa Immortale”, e della Nobildonna Rota Camerlenga, e della Nobildonna LionScrivana del Monastero de la ZIràda.  Per l’occasione si immise in muro una bella statuetta di Sant’Andrea con apposita iscrizione a memoria per ricordare a tutti che quelle caxette erano “di ragione del Monastero di Sant’Andrea”.

Per secoli (1376-1646) i documenti testimoniano di Burchianti e Cavacanali quasi sempre ridotti in mal arnese, indebitati fino all’osso, ma perennemente in lite con le Monache di Sant’Andrea per gli affitti delle sette caxette con orticello delle Burchielle. Senza tante remore le Monache trascinavano ogni volta i Burchieri a processo esigendo da loro fino all’ultimo soldo se non di più ... Capitò, ad esempio, che neanche i Burcieri Fieramonti da Brescia riuscirono a trarre vantaggio dal fatto che Concordia Fieramonti loro parente fosse la Badessa di Santa Maria delle Grazie di Mestre ... Niente da fare: le Monache di Sant’Andrea non guardavano in faccia a nessuno.

I Burchieri del Rio delle Burchielle erano comunque uomini vispi, giovani e aitanti ... C’era modo e modo di pagare le Monache, e sia Burchieri che Monache si diedero parecchio da fare al riguardo creando diverse occasioni e modi per sanare e appianare certi debiti ... Avete già capito come, vi lascio immaginare … Perciò a volte fra Burcièri e Monache di Sant’Andrea scattavano certe storiche scintille, che avviarono inevitabili falò di connivenze e convivenze “di sicuro poco Ortodosse, poco Morali, e poco Ecclesiastiche”.

Nel 1622, al culmine dell’ennesimo litigio, venne intimato dalla Badessa di Sant’Andrea al Gastaldo dei Burcieri di riconsegnare le chiavi della loro sede che ospitava anche molte Arche delle Monache… Vista la “confidenza” assunta con diverse Monache, non le aveva più restituite: “e da quella parte si andava e veniva di giorno e di notte liberamente fin dentro al Monastero”… Poi Burchieri e Monache si riappacificarono un’altra volta, stipularono nuovi accordi per nuove Messe mensili cantate dalle Monache sull'altare della Madonna in chiesa, si ridiede in uso all'Arte i luoghi delle Monache, e la facoltà ai Burceri “di Ridursi lì dentro per i loro Riti e Capitoli” ... e non solo.

Per questo sorrido fra me e me ogni volta che rincaso di sera passando da quelle parti, perché rivado a tutte quelle cose che sono accadute un tempo fra Burchieri e Monache in quella location oggi così solitaria e desueta del Rio delle Burchielle.

Insieme all’Arte dei Burchieri, le Monache di Sant’Andrea ospitarono presso di loro anche “l’Esotica Schola dell’Arte dei Muschieri” con tutte le sue fragranze, profumi e aromi, e l’antica Schola di Sant’Andrea e Giacomo dei Pescatori e CompraVendi Pesce del 1347, espressione del Lavoro delle povere Contrade limitrofe di San Nicolò de la Mendigola, Santa Marta e Anzolo Raffael… In fondo Sant’Andrea Apostolo era un Pescatore … No ?



La Schola dei Pescatori(trasferitasi in seguito ai Carmini) radunava circa 40 lavoratori-artieri a cui annualmente la Schola regalava pesanti gabbani (cappotti) di pelliccia il giorno di Sant’Andrea(30 novembre): giorno ufficiale della chiusura della stagione estiva e inizio di quella invernale.  I Compravendi Pesci percepivano “secondo Mariegola” il 10% sul venduto ... Fin dall’antichità la categoria era esclusa dai Pubblici Uffici, pur tributando annualmente 2.400 cefali ai Giudici del Proprio, e 200 cefali direttamente al Doge a cui spettava anche “il quarantesimo” dei Gamberi ... A Venezia si uccellava e pescava pagando annualmente pegno allo Stato e ai proprietari dei terreni e delle peschiere: Vescovi, Nobili e Monasteri… La pesca nelle acque di Porto Secco e Lio Maggiore era vietata dallo stesso Doge e dal Consiglio dei Dieci da San Martino in poi … Fin dal 1308: “graticci o grisiole e clausuris cannarum”, cioè: le “seràgie da pesca” si potevano porre in Laguna 15 giorni prima della Quadragesima e fino all’Ottava di Pasqua ... A Chioggia era proibito pescare “a Tratta o strascico” da aprile a tutto giugno. Le barche dei Pescatori a loro volta pagavano specifiche tasse per “barche da togna, da fossina, da cappe, da bragozzo o tartana o rete strascico, da tratolina da man o strascico da palude, da cievali o cerberare o comeagne, da trato, da cògoli o cogoleti, o reti da anguille a cappuccio, da bevaroni delli re roversi o zatere, da ostreghe da mar, da cazzo o conchiglie dette bibaraze o bevarase, da ostreghe da canal” ... e altro ancora.

Nel 1239 il Pescatore Filippo Bacari di Malamocco pagava 4 ½ Lire Veronesi l’anno, 2 paia di Anitre selvatiche a Natale, e qualche regalia di Pesce nelle grandi Feste a Ottone e Giovanni Gradenigo di San Giovanni di Rialto per poter pescare e uccellare in 1/8 della Pescaria detta Cancto Grosso ... Nel 1381 il Senato affittò all’incanto le acque di Jesolo col diritto di pesca. Quasi tutto il pescato veniva acquistato all’ingrosso da Sava, Sisto e Basilio Balbi che poi lo vendevano “affisso al palo di Rialto e San Marco” pagando 3 ducati l’anno per l’esclusiva ... Durante il 1600: gli Stazi e i Banchi delle Pescherie di Rialto “col solo selciato e con nulla sopra il capo” erano 41, con una rendita di ducati 417 per lo Stato. La gestione di un singolo Banco da Pesce costava da 6 a 68 ducati ... Il Pesce doveva arrivare al mercato entro poche ore dalla pesca: poteva restare sulle rive di Dorsoduro da un’ora prima del tramonto a un’ora prima del sorgere del sole … Non si doveva insanguinare il pesce per farlo sembrare fresco, né venderlo guarnito d’Alghe … Si poteva salarlo solo dopo che un Fante della Giustizia Vecchia ne avesse costatato la freschezza.

I Pescatori, nonostante le limitate risorse economiche di cui godevano, erano tenuti a corrispondere alla Schola dei Compravendi Pesce di Sant’Andrea di appartenenza una bella cifra: 2 ducati iniziali per la Tassa di Benintrada cioè d’iscrizione, e poi altri 20 soldi annui ... Durante le illuminazioni Liturgiche e le varie coreografie dei Cortei Funebri dovevano pagare altri 2 grossi di Tassa di Luminaria per il consumo di cere e candele … Poi pagavano 4 monete di piccoli i maschi, e 2 monete di piccoli le femmine ogni volta che si riunivano“a Capitolo o Tolèlla”, e altrettanti in aggiunta ogni volta che capitava di partecipare obbligatoriamente a un “Corpo”, cioè: un Funerale ... Che spesa essere semplici Pescatori !

In cambio le Monache di Sant’Andrea garantivano una bella Messa ConventualeCantata con Litanie e Processione l’ultima domenica di ogni mese ... e garantivano con le loro orazioni, una specie di buon assaggio-anticipo sulla probabile Salvezza Eterna che attendeva  in Cielo … per tutti quelli che pagavano ... Gli altri ? … Mah ? … Chissà ?

La Schola dei Pescatori di Sant’Andrea non doveva comunque passarsela tanto male, perché obolo dopo obolo, riuscì a mettere insieme presso le Monache un bel tesoretto. Nel 1430, infatti: “si fece costruire da PierPaolo dalle Masegne un bel bassorilievo col Cristo e i Dodici Apostoli, e nell’Oratorio annesso alla chiesa fece collocare altre dodici tavolette dipinte da mano eccellente”.

Ancora e sempre ospiti “dalle Mùneghe de la Ziràda” c’erano i Muschieri o Profumieridella Natività della Vergine, che avevano comesimbolo dell'Arte: una Croce di Malta con una pomata ... La Schola dei Muschieri si distingueva dagli Unguentari e Speziali cioè dagli Aromatori considerati “i veri Professionisti” della Categoria. I Muschieri erano Artigiani e Bottegai che preparavano e vendevano profumi, cosmetici, oggetti da toeletta e guanti profumati. Fabbricavano, importavano e commerciavano inoltre in: acque odorose, olii profumati, unguenti, saponi, e vendevano anche Polveri di Cipro, cioè: la Cipria.

Durante il 1500 i Muschieri Veneziani, uniti per un certo periodo ai Marzeri e ai Stazionierida Vetro, erano numerosissimi, e stampavano perfino ricettari e manuali descrivendo la composizione delle sostanze odorifere che preparavano e vendevano: dei veri e propri Cataloghi di vendita antelitteram … l’Amazon, la Vestro di allora.

Nel 1773 la statistica Veneziana contava ancora 18 Muschieri attivi in 16 botteghe e 2 mezadi … Le Monache di Sant’Andrea oltre ad ospitarli, erano fra le migliori clienti. Quasi tutte Nobildonne oltre che Donne, andavano matte per tutte quelle proposte presentate dagli abili e avveduti Muschieri: “Le Monache della Ziràda, ma anche le altre di Venezia, credevano che ogni prodotto dei Muschieri era adattissimo, quasi inventato a posta e su misura per loro: cose per cavàr le macchie al volto … Cazàr le cotture del sole, e cazàr via le volàdeghe … A guarir li gossi de ogni sorte, a saldar zenzive e far bianchi li denti; a far il fiato odorifero, a far che li peli nasceranno, a cazàr viceversa li peli che non vi nascano più … A guarir li calli dalli piedi, a far che li capelli non diventeranno canuti … A far acqua de bionda per capelli perfettissima ... A far nascere la barba a un giovene avanti tempo … e molto altro ancora: tutte cose buone a far diventar bella la Donna.”

Sapete poi, che attorno ai Monasteri e ovunque sparso per le Contrada Veneziane, esisteva da sempre un proficuo Mercato del Sesso e della Bellezza offerto e interpretato da una vera e propria folla di Cortigiane, Meretrici, NobilDonne, Popolane … e Monache, che procurava introiti e grandi soddisfazioni a molti. Perché non dirlo ? … In buona parte l’Arte dei Muschieri serviva e riforniva tutto quel mondo rosa, roso, ambiguo, libertino e dorato delle Nobili e dei Monasteri rimpinzandolo di volta in volta con: “Liscii et belletti, Blacca, Solimado, Lume di scaiola, Lume zuccarino, Fior di cristallo, Fior di boraso raffinato, Molle di pane, Aceto lambicato, Acqua di fava, Acqua di sterco di bue, Acqua di amandole di Persico, Sugo di limoni, Rose, Vino, Lume di rocca, Draganti per indurire la carne., Semenze di codogni, Penuria nel lume di feccia. Calcina viva per liscia e farsi i capelli biondi ... e molto altro ancora secondo la Moda del momento, e quanto giungeva a Venezia dall’Estero, dall’Africa e dal lontano Oriente.”

I Muschieri si vantavano d’aver “prodotti e Secreti”, che tali in realtà non erano, ma che facevano parte del “nutrito catalogo” del loro amplissimo commercio: “Profumo da uccelletti: a strènzere le lacrime de gli occhi e a far andare via le lentizine. Pirole finissime contro il puzòre de la bocha. Acqua per far lustro il viso e per far lo volto colorito e bello. Unguento da viso qual usava la Regina d’Ungaria. Polvere di Zibetto e di Muschio a far Polvere di Cipro. Moscardini eletti per bocca. Tintura negra per li capelli et barba, opera de la magnifica Madonna Catarina da Forlì et Signora di Mola. Belletto e Ballottine per donne. Ad restringendum vulva. Oglio odorifero. Ballotte da Barbieri notabile … e altro, molto altro ancora.”

Che commercio ! … E immaginate: che personaggi ! … e che promozioni e proposte commerciali.

E ancora … Accanto al Monastero de la Zirada sorgeva l’Ospissio dei Samitèri usato anche dalle stesse Monache. All’Ospizio così come al Cimiteriolo di Sant’Andrea erano annesse “come realtà sussidianti utilissime quanto opportune”: la Schola dei Morti e quella de la Santa Croxe de Sant’Andrea. Si trattava di altre due realtà aggregative che ruotavano attorno ai decessi e all’infinita catena dei Suffragi per Vivi e Morti che si celebravano senza fine a Sant’Andrea.

I Samitèri erano gli Artieri Tessitori produttori dei Samitti, ovvero: anche i Tintori della Seta. Il Setificio s’era affermato ed era fiorito a Venezia fin dall’inizio del 1300, quando erano arrivati i Lucchesi esuli dalla Toscana. Almeno fino al 1660, a Venezia erano attivi ben 3.000 telai che lavoravano Seta spedita soprattutto nell’Europa di Ponente. Altri 1.000 telai circa, si dedicavano, invece: a soddisfare il bisogno interno della Città e dello Stato Veneto. Alla fine dell’epopea della Serenissima, cioè alle porte del 1800, si contavano solo 350 telai ridotti sempre di più: metà pel il Levante, e metà per le Provincie Venete. Le Schole-Confraternite dell’Arte-Mestiere-Devozione dei Tessitori di Seta erano sparse come gli Artigiani un po’ in tutta Venezia. Facevano però capo e riferimento soprattutto all'Abazia della Misericordia, a quella dei Servi, e ai Gesuiti. Nel 1597 l’Arte sembrò toccare il culmine della sua magnificenza, quando partecipò in maniera importante al solenne ingresso della Dogaressa Morosina Morosini: “Nelle stanze dei Signori di Notte al Criminal di Palazzo Ducale, vennero allestiti due gran pilastri con un grosso architrave sopra, coperto di panni di Seta d'oro variopinti, in forma di portone, e dalle bande del corridoio lunghi teli di raso giallo e di damasco chermesino. Dentro nell'Uffizio c’era: un fornimento di tela d'oro pieno di cordelle d'argento con fregi lavorati d'argento e d'oro. E si coprì la tavola delle argenterie con tabì d'oro, tutto disegnato ed orlato all'interno di tabì d'argento, pieno di fogliami di seta verde e d'oro.”… un successone insomma.

Nella location remota di Sant’Andrea, i Tessitori di Panni e Seta avevano quindi due case attaccate al Monastero usate come Ospizio-Ospitale riservato ai poveri, gli infermi e le Vedove degli iscritti all’Arte. Si ospitavano solitamente “sotto varie discipline”: 18 donne, “alle quali le Monache facevano tutte le spese per ordinazione testamentaria di chi aveva lasciato la maggior parte de’ suoi beni al Monastero stesso…”

Qualche volta attorno all’Ospizio ruotavano e venivano ospitati impropriamente anche degli Esposti, cioè bimbi e bimbe abbandonati, o trovatelli e orfani “inerenti l’Arte dei Testori”... Chissà di chi erano figli ?

I Tessitori attivi a Venezia erano più di 850, e tendevano sempre ad escludere i Foresti che intendevano entrare a far parte dell’Arte Veneziana. Eventualmente preferivano quelli che arrivavano in Laguna con moglie e figli ... Chi voleva tentare la Prova da Mastro Tintore dovevano prima prestarsi per almeno quattro anni come semplice Lavorante o Garzone: alla pari con i figli dei Mastri dell’Arte. Trascorsi quegli anni di lavoro previsto, i Lavoranti che superavano “la Proba” dovevano pagare 3 lire di Tassa di Benintrada ... C’era una specie di lista d’attesa per poter accedere all’Arte e diventare così: CapoMastri Testori… Il Governo della Serenissima e l’Arte stessa ostacolavano molto chi intendeva recarsi a lavorare all’Estero esportando l’Arte. Venivano loro inferte grosse pene pecuniarie, si perdeva il diritto d’esercitare l'Arte, e si finiva un anno in prigione ... Nessuno poteva utilizzare telai fuori di casa, neanche i Mastri: pena diversi ducati di multa e sequestro di telai e panni ... Se si facevano entrare a Venezia panni d’oro o di seta esteri: venivano confiscati, multati di duecento ducati i contravventori, e si tagliavano per lungo e per largo i panni … eccetto quelli preziosi importati dal Levante.  I Consoli dei Mercanti proibirono perfino d’insegnare l’Arte a chiunque, in particolare si vietava d’insegnarla a persone “in Sacris”, cioè a Frati, Preti, Monaci e Zaghi, perché erano solitamente “persone traffeghine” che si davano parecchio da fare, e che viaggiavano e si muovevano spesso.

Furono le guerre colTurco e la Moscovia” che fecero cadere improvvisamente le grandi commissioni per il Levante: “e ciò provocò un vero e proprio incaglio e arenamento dell’Arte e di una gran parte dei lavori. Alcuni Testori si disfecero dei telai; altri disertarono il mestiere gettandosi in altre professioni, o alla questua … Il disordine si fece sentire in tutti gli ordini degli operai dell'uno e dell’altro sesso. La deviazione dei CapiMastri portò inoltre la minorazione degli allievi. Molti si alienarono dall’iniziar i loro figli in un mestiere che loro sembrava incerto, e non atto a dar sussistenza. Vero è che si rimise buona parte del Commercio, ma non fu rimesso il numero degli operai … mancarono particolarmente le Lassariole ...”

Insolitamente, i Samitèri davano spesso lavoro a più di 300 donne, che si prestavano come: Lazzariole, Inviareste, Dioaresse, Binareste, Spoline, Orditrici, Incadiresse, Rimoline, Imbarbaresse, Levaresse e Dropparesse A fine 1700 si contavano almeno 38 CapoMastre dell’Arte.

Secondo tradizione, già dal 1329 quattro Nobildonne: Francesca Corner, Elisabetta Gradenigo, Elisabetta Soranzo e Maddalena Malipiero avevano ottenuto dal Capitolo delle Monache di Santa Croxe il permesso di costruire entro i confini della Contrada un Ospeàl con annesso Oratorio da adibire a Ricovero di povere donne. Alla fine di quello stesso anno, individuarono e comprarono un terreno libero affacciato sulla laguna “in cào de la Ziràda”. 

Non fu facile avviare l’iniziativa, perché le donne si trovarono subito a combattere contro l'aperta ostilità delle Monache Clarisse del vicino Convento di Santa Chara in isola de la Ziràda. Pur professando assoluta povertà, le Monache temevano grandemente di veder ridurre la quota di elemosine che erano solite ricevere dai Veneziani e dalla Pubblica Carità dello Stato … Solo qualche anno dopo, durante il Dogado di Andrea Dandolo, si riuscì con fatica ad avviare il Monastero di Clausura delle Monache Agostiniane di Sant’Andrea de la Ziràda ... e solo più di un secolo dopo, a seguito di grosse donazioni, si mise in piedi la chiesa visibile ancora oggi … Una Congrega di dodici Nobili poi, finanziava nella stessa epoca l’Ospedaletto di Sant’Andrea“per l’utilità dei poveri”.

Poi venne “il maltempo delle Monache” annunciato già in una Relatione di Suor Piera Malipiero del 1651-53. La Badessa definendo l’Ospizio di Sant’Andrea come “parte del Priorato di Sant’Andrea di Ziràda”, diceva: “L’Ospizio-Ospitale, ospita alcune buone e sante donne che si alimentano di giorno in giorno dal Monastero, essendo esse venute quali con duecento ducati per una sola volta, quali con poco più, quali con molto meno ... Si fa notare l’impossibilità di continuare in cotesto mantenimento, anche per l’insubordinazione di talune.”

La Badessa Elena Malipiero poi, durante il suo secondo Priorato del 1657-59 scrisse fra l’altro: “Hora non si trova più in conto alcuno simile Hospedale, nè per le scritture tutte che si sono vedute si sa come si sia perduto … Disordini succeduti, attesa la comunanza indistinta di uomini e di donne povere, non si sarà più voluto accettare esposti et huomini, e si sarà ridotto l’Ospitale nelle persone degne del solo sesso femminile.”

Infine nel 1684 si toccò l’apice di quella vera e propria “bufera”, con l’Ospissio dei Samiteri che divenne “luogo di bistrattamenti e disgrazie”, per cui venne soppresso dal Patriarca Alvise Sagredo“che impose alle Monache di tradurlo in Educandato per Converse e giovani donne sprovviste di dote”.


Da tempi immemori, sempre a Sant’Andrea della Ziràda c’era anche il Cimiteriotto de la Ziràda considerato “area di Pubblico Interesse di Venezia”. Si trattava di un: “Trabocchevole luogo straripante di Arche, Lapidi e Iscrizioni in pietra e rame infisse ovunque fra chiesa, sagrato, portici e stanze delle Monache, dove si seppelliva a iosa in un’infinità di tombe … C’erano Morti ovunque: grandissimo affare per le Mùneghe, che molto ruotavano e guadagnavano attorno a quell’idea.”

Per tradizione diversi Veneziani Nobili, ma anche abbienti e popolani, amavano farsi seppellire in quel tranquillo “loco delle Mùneghe” alle quali lasciavano per testamento più che spesso: beni, terreni, denari e case, ma anche un po’ di tutto: orologi, argenti, libri, abiti, panni, mantelli, suppellettili, mobili, stampe, quadri, cere e perfino numerose galline, che era risaputo: piacevano molto alle Nobili Monache.

Anche Preti e Confessori delle Monache, e i Vicari di Sant’Andrea si facevano seppellire dentro al pavimento della chiesa, sul sagrato, e nei luoghi limitrofi delle Monache che avevano a lungo tutelato e servito. Con loro c’erano i Nobili: Zane, Bembo, Minio, Steno, Corner, Garzoni, Zorzi, Soranzo, Loredan, Marin, Girardi, e i Mercanti Arimondo che avevano una Nave per il Viaggio di Fiandra, e i Nobili Nave fra cui Bartolommeo Nave: “che teneva uno studio di anticaglie, e di gioje che commerciava fra i primi della Citta; e fra queste gioje c’era un diamante grossissimo del prezzo di venticinque mila ducali; e forestieri e cittadini andavano continuamente a visitare quel museo.”

Il Nobile Bartolomeo Barbadico, cioè Barbarigo, sepolto nello stesso Cimitero della Ziràda: “lasciò al Monastero di Sant’Andrea col testamento dell’ultimo di luglio 1471 diversi beni e una casa in Contrada di Santa Malgarita, lasciandone un’altra al suo figlio naturale Fra Simon Monaco nell’Isola di San Zorzi d’Alega, e il residuo dei beni liberi con alcuni mobili alla sua massèra.”

Fra 1500 e 1600, pure i Nobili Barbaro del Ramo di San Samuel avevano “fossa di famiglia” in Sant’Andrea. Infatti: esisteva proprio nel Campo erboso di Sant’Andrea detto già “Arzere”, una Casa-Priorato di Cà Barbaro in seguito “data a pigione a Fabbricatori di Tele Cerate e Ombrellami esitati in parte in Venezia e in parte spediti nello Stato e Luoghi Esteri, che superavano in qualità e vaghezza quelli famosi di Dongia in India.” … I Nobili Barbaro si trovarono spesso a contrastare con le Monache di Sant’Andrea, perché come loro erano interessati ad allargarsi “con novi horti et bonifiche dentro al Confinio de la Croxe”. Il Nobilissimo Marco Barbaro comunque finì lo stesso col scrivere nel suo testamento: “Il mio corpo voglio sia sepelido in la Chiesa de Santo Andrea de Venezia, e che in la stessa cjesia sia fatta un’arca alta da terra, et che in la detta non sia speso manco de ducati della mia sostanza … et il mio corpo sia vestido cum l’habito de San Francescho ...”

Sempre là: “fra le mura amiche delle Mùneghe de la Ziràda de Sant’Andrea” finirono inumati e “trovarono pace e riposo eterno” anche epici eroi di diverse battaglie della Serenissima … C’era lì seppellito anche un curioso “Nobile gobbo”, e un “Prete spione della Repubblica di San Marco”: Don Francesco Zoppala “che vedeva ed osservava tutte le cose dell’Ambasciator di Francia, quasi che ne fosse un esploratore, e che potevasi comprendere havesse de gran negozi nella testa ma che non se no lasciava intendere a essendo accortissimo.”

Nel 1442 pure la Dogaressa Marina Gallina Steno si fece seppellire “nella terra de la Ziràda”, e due anni dopo, anche Marco De Gusmieri Piovano di Santa Croxe del Luprio e celeberrimo Giurisperito, Vescovo di Napoli di Romania in Morea, e Confessore e Notaio dei Capitoli e testimone delle elezioni delle Badesse di Sant’Andrea.

Perfino i Gela di Puglia si fecero seppellire alla Ziràda: “… uno dei quali Horatio di Giulio, Oratore eccellentissimo et fortunato sopra ogni altro dell'età sua, che morendo improvvisamente nell’arengo … lasciò più che cento e settantamila ducali a due suoi figliuoli, i quali nello spazio di otto anni distrussero ogni cosa ... Giulio il maggiore, presa moglie Caterina Bottoni con ducati cinquantamila di dote, non hebbe mai figliuolo alcuno da lei, et havendosi giocato ogni cosa se ne mori fallito …”

Quante storie succedevano a Venezia !

Divenne così tanto, e tale, e grande “il traffico di Morti e cose, e lasciti, e denari, e annessi di Sant’Andrea”, che nel marzo 1528 il Doge stesso “schifato” diede ordine: “… inibito sia il tumular cadaveri nel Cimiterio o sia terreno delle Monache di Sant’Andrea.”

Il troppo stroppia … Le Monache erano subissate di donazioni, lasciti e denari in cambio di Sepolture e garanzie di Perpetuo Suffragio: “Era una vera e propria lucrosa industria dei Morti” ... Le Monache erano diventate una specie di Passaporto per il Cielo a pagamento: “A Sant’Andrea un Sacerdote di buona vita avrebbero celebrato opportune Mansionerie di Messe: quali garanzia efficace per l’Eterna Salvezza.”

Anche il Patriarca Francesco Vendramin si fece più volte sentire visitando la chiesa e vedendo l’immane ammasso delle sepolture: “sparse ovunque ben oltre il bordo del Cimitero diventato troppo grande, allargatosi davanti alla porta Maggiore della chiesa verso tramontana, sui muri, la facciata e il cantone della stessa chiesa, e fin sulla riva e tutto il resto del Campo.”

Per cui ordinò: “che non si debba adoperar più … e che il Cimitero sia confinato, e che tutto il resto del Campo s’intenda come Luogo Sacro, nè si possa seppellir più in esso nè fuori nei pressi.”

Sapeste quanti testarono a favore del Monastero della Zirada”... non lo immaginate.

Preti e Religiosi anzitutto: Giovanni Giustinian Piovano di San Maurizio (1349); Antonio David Prete a Santa Maria Zobenigo (1407); Prete Angelo da Macalò da Gravina Cappellano del Monastero (1495), e Prete Eustachio Calderoni da Gravina detto “ad Angelum”, da Monte Rua sui Colli Euganei, Confessore delle stesse Monache (1518); Moro Tommaso Frate in San Pietro di Murano (1509); Prè Angelo Dei Rossie Caterina sua sorella(1508-1514)… E poi ancora: uomini, donne e personaggi illustri, o Nobili come il Doge Antonio Venier(1411), e Francesca della Fontana sorella del Doge Michiel Steno(1404); Antonio Contarini Procuratore di San Marco(1440) come Orsato Giustinian: Milite e Procuratore(1462), e Girolamo Donà di Andrea(1483); Andrea Dandolo Dottore(1465); Bartolomeo Verde Capitano alle Carceri di Padova(1420); Ser Lorenzo Dolfin del Confinio di Santa Giustina (1475); Ser Marino Corner del Confinio di Santa Marina(1521); Nani Francesco della Contrada di Santa Croce(1513) ... si potrebbe continuare a lungo.

Le Monache di Sant’Andrea ricevettero lasciti e donazioni anche da Artieri e persone qualsiasi come: Alvise Spin Drappiere(1573); Vincenzo di Lorenzo Cimadòr (1588); Giovanni Busato da Maerne (1593); Giovanni di Costantino Mercante in Contrada di San Silvestro a Rialto (1426); Paolo di Gualtiero da Alemagna (1435); Scortega Simone Battioro (1447); Michele di Giorgio Calafàto(1502); Bartolomeo di Francesco detto Bertazi: Fante alla Stimaria del Vin de Rialto (1502); e Michiel Marino da San Marcuola (1546) ... e tanti altri ancora.

C’era poi la folla delle tante donne benestanti ma anche no: Agnesina Soranzo della Contrada di Santa Marina(1411); Maria moglie di Federico Barcarolo della Contrada di San Basilio (1414); Antonia di Bartolomeo Samitario moglie di Pietro pittore(1420); Maddalena Degli Scrovegni già del Confinio di Santa Margherita (1421); Anna De Redolfi(1422); Fiorina figlia del defunto Buona Fruttivendolo (1616); Maria Barbarigo moglie di Paolo dal Confinio di San Geremia (1439); Chiara Papason di San Geremia(1478); Lisa Redolfi uxor del Medico-Fisico Pantaleone Quaian (1479)… e poi le donne per lo più vedove ospitate nell’Ospedaletto dei Samiteri di Sant’Andrea: Caterina Botto vedova di Mastro Giovanni delle Armi del Confinio di San Zulian (1439); Angela moglie di Giovanni Portadòr di pietre(1508); Meneghina vedova di Albertino di Giacomo da San Danieledi Castello (1485); Chiara Doelai vedova di Antonio del Confinio di Santo Stefano di Murano (1494); Antonia vedova di Leonardo Peltrinèr (1465); Agnese vedova di Giovanni Filator de Samitti (1426); Filippa Franco vedova di Giosafat Rosso del Confinio di Santa Croce (1478); e Dorotea Rizzo, Costanza Emo, Lucia Barozzi: ospiti, e Cristina Barbarigo (1457), Samaritana Contarini (1489), Barbarella Zenta(1462), e Maria (1496): tutte Monache in Sant’Andrea … Solo per citarne alcune.

Quello delle Mùneghe Agostiniane di Sant’Andrea “in Cào de la Ziràda o del Bècolo” era un Monastero Veneziano di 2° Classe o Categoria. Cào” significava: estremità, capo estremo, e indicava un posto dove Venezia terminava o incominciava: Dove si perde il Canal Grande e dominano acquitrini, e terra e acqua s'incontrano affacciate sull'ampio spazio lagunare verso la Terraferma.”

Le Monache erano di “seconda categoria”, cioè pur accogliendo donne Nobilissime, era di fatto “seconde” per prestigio, blasone, potere, ricchezza e influenza, ai grandi nomi delle realtà Religiose Femminili Veneziane: San Lorenzo, San Zaccaria e Santa Maria delle Vergini di Castello.

Quante ne hanno combinate le Monache de la Ziràda !

Nel 1334 l'Ospedale “aperto sulla palude alla mercé delle acque, e circondato da semplice palàda (palizzata) de legno”, ricevette una Grazia-sussidio dallo Stato Veneziano in quanto troppo povero e incapace di provvedere a lavori indispensabili. Tre anni prima era già sorto accanto un piccolo Monastero promiscuo abitato da 5 uomini-Frati Minori e da una decina di donne-Monache insieme ... Un bell’intreccio, e una gran confusione … Una decina d’anni dopo, infatti, Nicolò Morosini Vescovo di Olivolo-Castello“per metter ordine” concesse di aggiungere ufficialmente all’Ospedale un regolare Monastero Grigio, cioè di Regola Agostiniana, esente dalla sua stessa giurisdizione, ma soggetto a Juspatrocinio Dogale: “le Monache di Sant’Andrea erano solite offrire in San Marco nella Domenica dell’Olivo a Doge, Dogaressa, Ambasciatori e Primicerio della Ducale Basilica, e dei lavori fatti dalle loro mani formati da bellissime palme con fogliami d'oro, argento e seta riunite in mazzi di vaghissime tinte.”

Capitò quasi subito una delle ricorrenti ondate di Peste, che mietè buona parte delle Religiose di Sant’Andrea ... Elisabetta Soranzo sopravvissuta passò a tenere i conti del Monastero divenendone poi la Badessa, seguita a ruota dalla storica e pluri ricordata Badessa Tommasina Corner:“la Badessa immortale” che morì centenaria … Anche Suor Scolastica non scherzò con gli anni arrivando a contarne ben 105:“Le Mùneghe de Sant’Andrea sa viver con un pie(piede) de già in Paradiso”.

Nei primi decenni del 1400 quando il Maggior Consiglio e quello dei Dieci concessero alle Monache la Grazia di far interrare e bonificare “una piscina-lago” in zona di Sant’Andrea per trasformarlo in Orto, il Monastero s’era già emancipato ulteriormente passando alle dipendenze dirette del Papa con la Sede Apostolica di Roma… Nel 1505 si concesse alle Monache d’interrare un altro piccolo Rio che attraversa il loro terreno “purchè ne facessero e pagassero un altro più ampio in un altro luogo”.

Dal 1445 al 1728 la NobilDonna Chiara Pisani diede ordine di pagare“un annuo livello di ducati 14” a favore del Monastero di Sant’Andrea, e una Mansioneria Perpetua di Messe del valore di 20 ducati, che venne data da celebrare anno dopo anno al Cappellano-Confessore pro tempore delle Monache di Sant’Andrea, che abitava in Fondamenta de la chiesa in una caxetta appartenente al Monastero.

Nel 1482-84 un Frate Vincenzo “apostata dell’Ordine Domenicano” venne degradato dal Giudice Ecclesiastico, e poi impiccato per sentenza del Consiglio dei Dieci “per latrocinii commessi particolarmente nella chiesa di Sant’Andrea de la Zirada” ... Inutilmente l’Avvocato Marco Pesaro provò a difenderlo.

L’8 agosto 1509, invece, il Monastero de la Ziràda accolse mogli e figli di Janno ed Eugenio figli naturali di Giacomo già Re di Cipro fuggiti da Padova. Per l’ospitalità e il mantenimento di quelle sette persone, la Repubblica assegnò alle Monache prima 10 ducati mensili complessivi, e poi 15 ducati annui per ciascuno.

Nel suo testamento del 1605 il NobilHomo Giacomo Bragadin ordinò alla moglie:“… di pagar ogni anno alla mia direttissima sorella Suor Lodovica Bragadin nel Monasterio di Sant’Andrea: ducati 40 et tutto quello che a lei facesse bisogno per la sua persona alla qual mia moglie pregola di haverla e tenerla per sua cara sorella et come se fusse la persona mia propria et questo dico all’anno fin che la vive …”

Lungo i secoli, e ancora nel 1620-60, nel Sant’Andrea primeggiavano le Reverende Monache NobiliDonne di Cà Balbi, Cà Corner e del Casato Malipiero ...E qui vi voglio … Come ben sapete meglio di me, nei Monasteri Veneziani (come ovunque allora) confluì a vivere per secoli il fior fiore delle figlie della Nobiltà Veneziana. Beh … Dicendola tutta: Sant’Andrea de la Ziràda non era una soluzione di primissima scelta, ma era di sicuro un Monastero importante e facoltoso, per cui molte NobilDonne Veneziane finirono internate proprio lì dentro.

Di sicuro le giovani donne Nobili non erano entusiaste d’essere rinchiuse lì, per cui vivevano depresse, “come murate vive”, subendo quell’isolamento dorato, con poca dote, niente uomini, scarse comodità, e poche opportunità e privilegi. Sapete bene come reagirono: se la spassarono lo stesso più che poterono, spesso lottando contro le Regole, aggirando e imponendosi sulle Badesse, esulando le volontà dei Padri e del Casato, e quasi, e senza quasi: sfidando Inquisizione, Serenissima e Patriarchi.

Sant’Andrea della Ziràda entrò alla perfezione in quel ruolo storico di libertinaggio e contestazione inanellando tutta una serie di storie e storiacce diventate Memoria. Le Monache di Sant’Andrea ne combinarono un po’ di tutti i colori mettendo in piedi connivenze, visite diurne e notturne non autorizzate, ruberie e sotterfugi, amoreggiamenti, fughe, intrallazzi e conseguenti indagini, arresti, processi e condanne da parte del Consiglio dei Dieci, Inquisizione e Patriarchi … Soldi e cose di pregio giravano ovunque passando di mano in mano in chiesa e nei Parlatori del Convento, così come allo stesso modo facevano le Galline che vagavano ovunque nel Sant’Andrea: in Chiesa, nel Refettorio, in Capitolo, nella Biblioteca, e fin sotto ai letti nei Dormitori delle Educande e delle Converse, e dentro alle Celle delle Monache.

Nel gennaio 1631 si giunse a processo “per visite di un Secolare a una Monaca del Sant’Andrea” ... Già un secolo prima, nel 1529 e 1579: due Monache del Sant’Andrea erano state più volte processate “per tentata fuga e varie accuse” ... Nel 1566 alcune Monache salirono “allegre” in cima al campanile mostrandosi nude ai vicini ... I Provveditori ai Monasteri dovettero entrare in azione investigando, e il Patriarca Priuli anni dopo, siccome gli episodi non terminavano, diede ordine: “che il campanile debba essere permanentemente chiuso a chiave.”… Nello stesso anno venne intentato contro le Monache un altro processo “per Musiche in Parlatorio”, e un altro ancora due anni dopo “per tresca amorosa” ... Ancora nel 1673 “per frequenza di persone scandalose nei Parlatori di Santa Chiara e Sant’Andrea de la Zirada”… Nella primavera-estate del 1684 si tennero ulteriori processi che non mancarono di destare grande scalpore: si condannò un Capitano del Magistrato Sopra i Monasteri“per infedeltà, e perché riceveva mance dalle Monache del Santo Sepolcro, del Santa Caterina, di Sant’Alvise, Sant’Andrea della Ziràda e diversi altri per lasciar entrar nei Monasteri chiunque a loro piacimento.”

Si processò “per serenate alle Monache di San Daniele a Castello, a San Cosmo della Giudecca, e a Sant’Andrea de la Ziràda … Non si riusciva a dar pace ai Monasteri della Zirada, e neanche agli altri.”

Sbirciando nei documenti, si evince che nel 1567-68 si toccò quasi l’apice dei disordini del Sant’Andrea ... Le donazioni reciproche fra Monache e Laici estranei al Monastero intaccarono fin quasi a prosciugarle le floride risorse e finanze del Convento, e accadde anche una lunghissima serie di disobbedienze, discordie, relazioni illecite e violazioni della Clausura da parte delle Monache. I Provveditori della Serenissima andarono a pizzicare e interrogare fra i coinvolti, anche: Zorzi Barcarolo, che abitava sul Rio de le Burchielle. Si limitò a rispondere: “Faccio tutti quelli servitii che le Muneghe me fa far, et vado de fuora a scuòder quando le me manda … Vado a spender per el Monasterio et anco pel Cappellan.”

Toccò poi a Girolamo Bastàzo(Facchino) d’essere interrogato. Trasportava cose per il Monastero: “Servo anco adesso al Monasterio al formento, alla farina, alle legne et a quel che fa bisogno, et secondo che me vien ordinado …”

S’individuò poi: “un gruppo di donne pettegole che vivevano a spalle del Convento.” Fra queste c’era una certa Zuàna detta Gagiàrda: “Ella tien le galline da otto a diese de Madonna Suor Gabriella a casa sua, et essa Madonna Suor Gabriella la sustenta de pan et de vin et di ogni altra cosa accio la ghe nutrisa queste galline …”

Peggio nel peggio, c’era poi anche una certa Felicita, amante non così segreta del Confessore delle Monache, che non solo conviveva in casa sua a spese del Convento, ma faceva mantenere dal Prete anche i suoi 8 figli. Sua figlia Tesaura veniva impiegata nell’Ospizio delle Vedove collegato al Monastero, mentre Felicita flirtava letteralmente con tutte le Monache.

Il Barcarolo Zorzi raccontò: “Vedo quella Felicita andar dentro della porta, sentarse su quelli banchi in compagnia con queste Reverende Monache, con Madonna Suor Gabriela et le altre, et subito che le sono la vedo darghe la man, una con l’altra basàrse, et Felicita metter le man in sen a Madonna Suor Gabriella, et basàrse una parte et l’altra …”

Il risentimento delle Vedove dell’Ospizio dei Samiteri verso le Monache e le Domestiche che dovevano accudirle divenne altissimo per via delle privazioni a cui erano sottoposte. Alla fine esplose: “Se muor de fame qua dentro, par el mal governo …”

Si raccontò e svelò di “persone losche” che ruotavano attorno al Monastero di giorno e di notte, esplicitamente appoggiate da Suor Anna Giustinian, Suor Gabriella Salomon, Suor Elena Cappello, Suor Beatrice Moro e dalla Conversa Suor Anfrosina.

Elena: una delle Vedove dell’Ospizio dei Samiteri testimoniò: “Vedèmo a portar fuora cesti, sacchi per quelle so femine, per quelle so petegole et certi della villa che porta galàni, et se ghe da: pan, semolei, farina et altro … e a nu: niente.”

Le “pettegole” portavano di continuo notizie ambitissime dalle Monache della Clausura: Donna Felicita raccontava a tutte quanto trapelava nel Confessionale svelato da suo amante: il Confessore. Maria: un’altra delle Vedove dell’Ospizio raccontò:“Et sta continuamente, et li fu anco hieri, et porta parole su et zòzo, che la sta le belle tre hore in celletta a rasonàr con quelle Muneghe che ho ditto, et tolleva ciànce de qua, et le portava de là, et me par che la repòrta le cose de la Confessione, et a ogni Confessiva se feva un scandalo perché la riferiva alle Muneghe quel che se haveva confessà …”

A dir di tutte: le Monache erano disimpegnate, prive di vocazione: un disastro: “Quelle che tende alla porta: sempre stanno là, né mai vanno né in Choro, né in Refettorio insieme con le altre, né danno obedientia alcuna a Madonna la Priora …”

Il Barcarolo Zorzi raccontò ancora come una volta Suor Beatrice gli aveva chiesto di recapitare della farina nascosta tra panni sporchi da lavare a una delle sue sorelle: “Suor Beatrice Moro mi fece barecchiàr la barca, et mi mette in barca, et fece portar via tre corbe de drappi con drappi sporchi, et sotto quelli drappi per ogni corba vi era un sacchetto di farina … et le scargàssemo a Santa Caterina a casa de una sorella di essa Madonna Suor Beatrice …”

Nel luglio 1568 dopo due anni d’indagini dei Provveditori, venne interdetto a 8 donne e 3 uomini, pena “il bando da Venezia”, di recarsi al Convento, di parlare con le Monache, di avvicinarsi al Parlatorio e all’area circostante il Convento, e di frequentare la zona della Croxe. Vennero condannati: “Zuana Gagliarda sta su la Fondamenta Sant’Andrea in calesela, et sua fia Pasqua Furlana che sta a Santa Chiara ... Lucretia Zotta che sta a San Polo, Franceschina vedova che sta al Ponte de legno in chàvo del Campo … Anzola Sartòra a Santa Chiara … Madalena sta a Santa Chiara … Donado Fachin sta alli Frari … Donna Andreinna Filachanevo sta per mezzo la chiesia … Alvise fio de Donna Felicita già bandito dal Convento un anno prima … Zan Francesco Sartòr al Ponte di Legno in cavo il Campo.”

Più volte ancora nel 1592 e 1596 i Patriarchi corsero di nuovo “a visitare d’urgenza il Monastero de la Ziràda” con le sue 70 Monache. Nell’occasione condannarono le Monache trovate piene di ricche lenzuola e coperte ricamate … Molte Monache consideravano le celle del Monastero alla stregua dei loro Palazzi arredandole e addobbandole“nobilmente”… Si condannò il fatto che il giardino del Monastero era diviso in un mosaico di appezzamenti personali dove le Monache coltivavano a piacimento Fiori e Ortaggi … Si sollecitarono le Badesse a ispezionare di sorpresa le stanze delle Monache almeno quattro volte l’anno, andando a cercare dentro alle casse, gli armadi e negli scrittoi di ciascuna che non ci fossero violazione delle Regole con: “libri, abiti, scritture, quadri disonesti, e cani, uccelli, altri animali, e altro ancora di proibito.”… Si consigliò alle Monache Anziane di visitare ogni sera tutte le celle dopo il suono della campana della notte, controllando che le giovani Monache non condividessero celle e letti, che non vi fossero chiavistelli e serrature, e che nei Dormitori si tenessero tutta la notte le candele accese ... Si raccomandò alla Badessa: “Procuri con ogni spirito che sia provvisto alli bisogni delle Monache in sanità et infermità, et che il denaro, l’entrate et le spese siano manegiate come habbiamo ordinato … Si sforzi che le Monache non patiscano per negligenza del suo governo o per sua avarizia, ma prudentemente provveda alli bisogni loro secondo la possibilità del Monastero.”… Il Patriarca non dimenticò d’invitare le Monache “annoiate” a recarsi a frequentare il Coro: “…né ridendo né facendo alcun atto che sia di scandalo … Siate osservantissime della Clausura non uscendo mai fuori di essa per un passo, né in chiesa né in Paralatorii, né ricevendo alcuno in essa, sia di che stato, conditione et età si voglia senza nostra espressa licenza in scritta ... Rendete il vostro Spirito più pronto alla Devozione mortificando la vostra carne.” … Lo stesso Patriarca propose poi di rispolverare i tradizionali Digiuni e le Flagellazioni Penitenziali, e incoraggiò le giovani Monache Nobili a partecipare agli incontri“del Capitolo delle Colpe almeno una volta alla settimana … Dove non si vada escusando i propri difetti, ma liberamente li accusi, et incolpi la medesima.”… La Badessa venne anche incaricata di distribuire le opportune punizioni, mentre “per gli affari extra Convento”, il Patriarca ordinò infine: “che vi provvedessero quattro Converse che passino 40 anni, et che per altre condizioni siano delle più discrete del Monastero…”

Nel 1598: si proibì anche di stendere lane e biancherie ad asciugare nei pressi e sulle mura del Monastero, s’impedì il transito inutile per la zona, e di giocare “al balòn e al pàndolo, a carte, dadi e altri giochi, nonché di fermarsi a tumultàr, strepitàr e biestemàr, o proferire parole oscene e disoneste, o compiere atti scandalosi nel Campo di Sant’Andrea, vicino alla chiesa, e nell’Orto delle Monache ... Pena di bando, voga in Galèa, frusta, berlina e prigione per i trasgressori … e premio di 200 lire e anonimato garantito per i delatori-accusatori .“

Vennero inserite sulle mura esterne del Monastero affacciate sul campo e nel prato erboso prospicente: alcune punte di ferro e rampini triplici, duplici e semplici per impedire che si giocasse al pallone … Dopo le ripetute visite al Monastero dei Patriarchi, il numero delle Monache da CoroNobili scese a 45 “forse per via dei troppi frequenti scandali” ...  Si continuò comunque a registrare “di quattro Mùneghe che se astenevano di cenare con le altre preferendo assumere i pasti nelle celle” ... Una lettera anonima di una Monaca lamentò che non si poteva camminare nel Monastero senza calpestare lo sterco dei Polli che le Monache continuavano ad allevare privatamente ovunque ... A poco erano serviti, anzi: erano stati del tutto inutili i richiami e le ammonizioni del Patriarca di non introdurre Maschere nei Parlatori, e di non tenere animali da compagnia: “ne chizze (cagne) né cagnuoli”… Le Monache non avevano dismesso  l’uso di stoffe fini e colorate e in seta, “né intendevano indossare un alto soggolo, tantomeno una lunga veste a coprire spalle e petto scoperti, nè tenevano i capelli tagliati corti, ma con boccoli o zuffi diabolici fuori dalle tempie e in capo” ... Se ne infischiavano dell’indicazione delle Regole d’indossare solo scarpe basse, e abiti e biancherie del tutto identiche: “… non potendo le Monache per voto della povertà che fanno, tener proprio, si esortano tutte di far quello ch’è consueto in tutti gli altri Monasteri, ossia di metter il denaro in deposito dalla Madre Priora, pregando la Superiora che lo metti da parte, acciò che occorendole per un uso suo proprio bisogno di vestimenti … non havendo le Monache alcun, che il sol uso et non il dominio di quello…”

Nell’agosto 1610 una Monaca del Sant’Andrea venne di nuovo processata “per visite di Secolari” ... L’anno seguente la prostituta Novella venne processata perché frequentava di continuo il Parlatorio della Ziràda, dove aveva fatto gran chiasso in chiesa durante una Funzione Religiosa, ed era entrata nel Convento dov’era attesa da una combriccola di Gentiluomini ammirati per i quali cominciò a litigare con un’altra “Nobildonna del suo tipo” ... Due anni dopo ancora: nuovo processo contro una Monaca del Sant’Andrea “per colloqui illeciti con un Prete”.

Nel 1657, quand’era Doge Bertucci Valier, le Monache del Sant’Andrea si spaventarono moltissimo perchè nel contiguo Campo di Sant’Andrea vennero trasportate dal Lazzaretto alcune mercanzie ritenute a sufficienza spurgate, ma scoperte, invece, ancora contagiose. Venne fatto bruciare tutto, e si demolirono perfino alcune caxette attaccate al Monastero dove c’erano stati “degli accidenti pestilenziali” “A fine secolo si abbellirono i vecchi altari di legno della chiesa della Ziràda trasformandoli in maestosi altari di marmo, e decorandoli con statue leggiadre … Si fece sontuosi e belli soprattutto l’Altar Maggiore, quello della Madonna, e quello dello stesso Sant’Andrea.”

Ancora nel 1767, dal testamento del Nobile Gaetano Molin della Maddalena sposato con la Nobile Elisabetta Cappello, si evince che le loro due figlie maggiori si trovavano “in educazione nel Monastero de la Ziràda”, raggiunte in seguito anche dalle sorelle minori ... Il padre stabilì che dopo la sua morte le figlie avrebbero potuto liberamente scegliere del loro futuro secondo la loro vocazione. La figlia maggiore sposò allora un Patrizio di una Casato povero, mentre le altre tre sorelle presero, invece, il velo del Convento della Ziràda dov’erano entrate fin da bambine, e dove risultavano ancora presenti all’atto della soppressione del Monastero del 1806 con altre 26 Monache di cui sei erano Nobili Veneziane.

Nell’occasione della soppressione napoleonica accadde una storica grandissima confusione. Vennero prima buttate in strada e trasferite al Sant’Andrea le 22 Monache Agostiniane del Monastero di Santa Lucia dell’oltreCanale di Cannaregio(dove sorge oggi la Stazione Ferroviaria), che risiedevano là da ben tre secoli con oltre 70 Monache e almeno 20 Educande: “Secolari Donzelle delle Famiglie più illustri di Venezia”. Scoppiarono veementi contestazioni delle Monache di Santa Lucia per la ristrettezza degli ambienti insufficienti del Sant’Andrea guidato dalla Nobildonna Badessa Chiara Foscarini. Alla fine le Monache di Santa Lucia con la loro altrettanto Nobildonna Badessa Luigia Maria Lippomano vennero rimandate al luogo di provenienza ...  Si concentrarono allora a Sant’Andrea le Monache di San Maffio di Mazzorbo, e poi le Canonichesse Lateranensi: le Mùneghe Bianche di San Daniel de Castelo… Altro ingarbuglio: quelle di San Daniel erano Monache di Prima Classe, che non si consideravano adatte a stare né nel Monastero Cistercense della Celestia, né alla Ziràda: Monasteri di classe inferiore ... Alla fine, nel 1810, tutte le 52 Religiose concentrate nel Sant’Andrea vennero buttate indistintamente in strada solo con ciò che indossavano, e l’ex Monastero de la Ziràda venne trasformato in caserma militare, mentre i locali accanto alle absidi della chiesa, usati un tempo dalla Schola dei Burchieri-Cavacanali vennero dati in uso a una Fabbrica di Carta Grossa da Becchèri (Macellai) gestita da Marco Danesi. Per prima cosa costui rimosse e vendette l’Insegna dell’Arte dei Burchieri posta sopra alla porta del posto, e se ne sbarazzò dandola a un negoziante d’anticaglie.

Quanta Storia di Storie ! … e chi tristo finale della tanta ricca Nobiltà Monacale de la ZIràda.

Ricca ? … Beh: le Monache della Ziràda erano ricchissime … Sbirciando i Libri e le carte dei loro Archivi ho provato a farmi un’idea dei Capitali che gestivano ... Da rimanere a bocca aperta … Un vero e proprio tesoretto sparso un po’ ovunque a Venezia, in Laguna, in tutto il Veneto e anche altrove: “Un gran ben di Dio e della Provvidenza”, che le Nobilissime Monache di Sant’Andrea seppero con capacità e arguzia mettere abilmente a frutto per secoli.

Accanto alle “Carte normali” compilate dalla Monaca Camerlenga che segnava le spese per il legname, l’olio, il Luganeghèr, la Pistoria, la Spezieria “alle Tre Trezze”, e il restauro e la manutenzione del campanile, c’era anche tutta una serie di“note di spesa” gestite dal Gastaldo del Monastero, che conduceva a nome delle Monache perfino un’azienda che produceva e commerciava vestiario ... Dettagliatissimi, meticolosi, quasi caparbi e ossessivi erano i dettagli delle Entrate e Uscita, così com’erano di continuo aggiornate le Tabelle del Cambio delle Valute annesse, e i Cataloghi col valore delle merci visionate, seguite, approvate, e comprate e vendute dalle Monache.

Oltre a possedere e gestire un considerevole numero d’immobili in tutta Venezia, le Monache s’erano comprate anche una “Libertà del Traghetto di Santa Maria Zobenigo” vicino a San Marco, cioè gestivano una licenza da Gondoliere per il trasporto di persone e cose ... L’affittavano ovviamente a un Gondoliere, ma era un investimento strategico fra i migliori: in uno “Stazio da barche” non lontano da Piazza San Marco affacciato sul Canal Grande, non lontano dalla Dogana da Mar da una parte, e dall’Emporio di Rialto dall’altra.

E non è affatto tutto ! … Le Monache de la Ziràda per far affari e investimenti arrivarono anche comprare, vendere e affrancare Schiavi. Si … Avete letto giusto: non solo pagavano per liberarli, ma letteralmente li compravano e rivendevano ... Gli affari erano affari.

Donazione dopo lascito, e dote Monastica dopo testamento, le Monache di Sant’Andrea hanno messo in piedi un notevolissimo insieme di proprietà “di Dentro e di Fuori Venezia” che seppero far ruotare, ampliare e integrare di continuo per secoli, come una vera e propria grossa AgenziaImmobiliare di allora.

Dal “Libro Mastro degli Affittuari”emerge un quadro chiarissimo delle proprietà delle Monache, abilissime non solo nella compravendita, permuta e gestione di terreni, case e botteghe, ma anche nella realizzazione e manutenzione di Ponti, Rii, strade, Corti, Procuratie, esenzioni fiscali e conti di fabbriche … in Calle delle Rasse, in Calle delle Ballotte e in Calle della Testa.

Il Monastero de la Ziràda possedeva case con impresso il “logo di Sant’Andrea” nelle vicine Contrade di Santa Margherita e San Pantalon, all’Anzolo Raffael, a Santa Croxe e in Calle del Passamonte ai Tre Ponti dove avevano due case e una bottega appigionate a Giacomo Passamonte Fruttarol a inizio 1700. Avevano poi altre case e caxette a Santa Chiara, San Nicolò dei Mendicoli, San Vio, Sant’Agnese e San Barnaba, e un’altra ai Tolentinidata in uso all’Ortolano del Monastero. Poi ancora: nelle Contrade più lontane del Sestiere di Cannaregio: a San Geremia e San Giobbe, San Marcuola e San Marcilian, Santa Caterina, ai Biri di San Cancian, e a Santa Sofia “zòso del Ponte di Ruga Do Pozzi” dove sorgeva la “ruga di casedelle Reverende Madri di Sant’Andrea” con tanto di bassorilievo dell’Apostolo Andrea ... Nel 1582 le Monache ricavavano complessivamente dai loro immobili in Venezia: 86 ducati annui d’affitto.

Il Monastero de la Zirada era anche proprietario di altri immobili a San Rocco, Sant’Agostin, Sant’Aponal e San Mattio sulla strada per Rialto, e a San Luca, Sant’Angelo, San Paternian, San Salvador, Santa Maria Zobenigo e San Samuel nel centralissimo Sestiere di San Marco. E poi ancora: a San Severo, San Giovanni in Bragora e Santa Marina nel più discosto Sestiere di Castello e del Vescovo dall’altra parte di Venezia … Pure nell’Isola di Murano, nel Confinio di Santo Stefano avevano una proprietà per via di una donazione di Elisabetta Diedo del 1501.

A metà 1600, dopo una settantina d’anni, le rendite annuali d’affitto dagli immobili Veneziani “erano ascese a quasi 2.000 ducati”, e lievitarono ulteriormente a più di 3.000 nel primo decennio del 1700.

Che ve ne pare ? … L’avreste mai detto ?

E questo si riferiva solo ai “beni di dentro”, cioè posseduti a Venezia e in Laguna … C’erano poi le “proprietà de fòra”, cioè quelle della Terraferma. Sfogliando i “Libri e le Filze delle Rendite, Affittanze e Riscossioni” dell’Archivio di Sant’Andrea, le Monache avevano beni in Villa, e in varie altre località dell’Area Trevigiana: 100 campi nel Colmello di San Nicolò del Bosco, a Terzo, e nel Comello di Fontana, Bojòn, Marcon, Scorzàn (Scorzè), Maerne, Martellago, Spinea, Formiga sotto Mirano, Padernello, Villanova sotto Camposampiero, San Prosdocimo, Villafora, Zero, San Donà di Piave… e altri 22 campi a Peseggia venduti poi al Spongèr (affarista ?) Bernardo Gervasoni … e un’Osteria a Marocco di Treviso.

Non è ancora tutto … Sant’Andrea aveva “Molini sotto Mestre”, e affittava beni perticandoli di frequente (misurandoli)“in ville nove e vecchie nella Podesteria di Mestre e in Mestrina”, 15 campi di Bosco a Carpenedo per lo sfruttamento e il taglio dei cui roveri le Monache entrarono in lunga lite (1565-81) col Reggimento di Mestre, che avviò un“processo criminale”, al tempo della Priora Caterina Mauro, contro Luca Botazzo Colono del Monastero di Sant’Andrea. Altre proprietà della Ziràda di Venezia c’erano a Chirignago per i quali il Monastero andò a scontrarsi con i Nobili Contarini; e a Massanzago dove rivaleggiò con i Nobili Cappello. Altri beni ancora a Casale sul Sile, Zermàn, Lugugnana sotto Treviso, Preganziol, Martorigo, e in Villa di San Zulian e Favaro per i quali andò in causa “per debiti d’affitto e altre turbative” recate alle proprietà delle Monache.

Vi pare che basti ? … Invece: ancora no … Sant’Andrea aveva ancora una Vigna al Bosco di Sacco in Saccisica, terre e case a Scaltenigo, Lancenigo, Chioggia, Mirano e Codevigo lasciate da Marcolina Storlato in Trevisan; e poi ancora: a Dolo, Caltana, nei pressi del Portello di Padova, a Campo Cesarano in Zianigo e Fratte. Più lontano da Venezia e fuori dal Veneto le Monache gestivano beni in Villa di Arzeretto e ad Argere di Cavalli sotto Padova, a Vicenza e Lonigo, a Rovato di Brescia, in Val Brembana, Bergamo e in Bergamasca, nel Bosco Vecchio del Polesine, e nel Ferrarese a Villa di Fuora, Saletta, Copparo e Ruina.

Mamma mia ! … Un fiume di guadagni e rendite insomma, che secondo il “Libro dei Capitali presso i Pubblici Depositi” venivano poi puntualmente investiti e tradotti quasi in automatico in “partite dell’Officio ai pro della Zecca di San Marco”, e fatti fruttare ulteriormente impegnandoli all’Officio del Vin, del Sal, alla Ternaria dell’Oglio, nelle Casse Bastioni, all’Officio dell’Uscida e ai Governatori-Revisori-Regolatori delle Intrade, al Bancogiro, alla Camera degli Imprestidi, presso i Tre Savi sopra gli Offizi e la Cassa Decime, nella Scuola Granda di San Rocco, ai Cinque Savi alla Mercantia, alla Màsena e alle Cazude, e nell’Officio degli Argenti in Zecca a Venezia.

Le Monache di Sant’Andrea, come buona parte dei Religiosi dell’epoca, forti del loro blasone e del prestigio fornito dalla loro figura, nonché dall’entità imponente delle loro “economie” non guardavano in faccia, né temevano alcuno. Di volta in volta si scontravano sfacciatamente e apertamente un po’ con tutti: con i potenti Monaci Benedettini di San Giorgio Maggiore di fronte a Piazza San Marco, ad esempio, e con i Carmelitani Scalzi di Cannaregio e dei Carmini, con Casati Nobili come i Querini, e con gli Uffici dei Dieci Savi, e i Provveditori alle Acque della Serenissima per questioni di terreni e paludi pubbliche, e “per la Sacca di Sant’Andrea presso il Campo della chiesa”.

Tornando al Rio delle Burchielle e ai Burchieri-Cavacanali, le Monache litigarono a lungo anche con loro“per Livelli e debiti di fitto” inerenti le 7 caxette poste sul Rio delle Burchielle. Contro Bianchi Zanetto, Arcangeli, Nicolò Donà e Zanco Barcarolo, ad esempio, e contro i Burchieri Fieramonti da Brescia che vi abitavano … Andarono a contrasto anche con l’intera Arte dei Burchieri e Cavacanali per l’uso dei locali della Schola, e contro Piero Squerariòl dello Squero del Campazzo di Sant’Andrea, che sorgeva non lontano dalla Cereria sita a due passi dalla Contrada della Croxe: sulla fondamenta che dai due ponti andava verso Sant’Andrea, proprietà anch’essa del Monastero. C’era sempre stato “odio-amore” fra le Monache e i Squerajoli della zona, che però fecero costruire le balaustrate della Cappella Maggiore della chiesa, e furono anche Gastaldi della Schola di Sant’Andrea.

Mi fermo qua … Credo sia sufficiente per stavolta.

Termino questa lunga “curiosità” con due ultime note sulle Monache di Sant’Andrea, e ancora sul Rio de le Burchielle.

La prima … Il 05 agosto 1849, le Mùneghe rientrate provvisoriamente nel Monastero dopo lo sconquasso napoleonico, si trovavano tranquillamente per la quotidiana “Hora di Coro e la successiva Messa” nel Barco sopraelevato in fondo alla chiesa comunicante col loro Convento. Si sentì soltanto un soffio e un sibilo sottile quasi impercettibile, e una bomba sparata dal Campo Austriaco di Mestre centrò in pieno la chiesa di Sant’Andrea de la Ziràda: “… una palla infocata forò il tetto della chiesa vicino al Coro, e franse due quadrelli allato destro di una sepoltura …”

Immaginatevi solo per un attimo le 42 Monache Clarisse sgomente e spaventate … Qualche ora dopo il Prelato Confessoree Tutore delle Monache le convinse finalmente a non rimanere più sotto la minaccia della pioggia delle bombe, e un’ora prima di mezzanotte abbandonarono il Convento recandosi in Contrada di San Cassian ospiti a casa del Signor Andrea Pinasso Procuratore del Monastero: “Animato della più viva Carità e premura, l’uomo mise a disposizione delle Clarisse la propria abitazione e la Cappella nella quale fu conservato il Venerabile per special privilegio accordato da Sua Eminenza il Patriarca, onde anche in quel tempo non venisse interrotta la perpetua Adorazione dell’Augustissimo Sacramento dalle povere Clarisse, giusto secondo gli umili voti delle medesime ... Dimorarono così le suddette dividendo col l’egregio Procuratore le comuni angustie, fino al 30 luglio susseguente: giorno in cui essendovi capitata un’altra bomba, nuovo ordine gli giunse dal Vigile Prelato di procurare una più sicura abitazione per tutti. Così il 04 agosto, dopo l’Ora Meridiana, le Monache di Sant’Andrea si trasferirono a San Francesco della Vigna presso i Reverendi Padri Osservanti li quali cedettero un loro conventino con Cappella, e là rimasero come nel proprio Monastero finché a Dio piacque si calmassero le insorte civili turbolenze … Solo il 27 dello stesso agosto alle 9 antimeridiane con indicibile giubilo del loro cuore rientrarono le Clarisse in numero di 43, compresa una Novizia, nel loro Monastero ritrovato, si può dire: quasi miracolosamente illeso dalle temute bombe, ad eccezione di una caduta il primo agosto nell’interno del Monastero che non portò gran danno, e di quella poi che fu (cosi permettendolo Iddio) slanciata nel destro angolo della Chiesa il 19 agosto cagionando grave danno come si può vedere dall’esterno diroccamento.”

La seconda e ultima nota … Ancora oggi di giorno è bella, curiosa e amena la zona dei Treponti di Piazzale Roma col Rio delle Burchielle e la zona di Sant’Andrea, anche se diventata del tutto diversa ... Di sera e di notte poi ? … E’ ancor meglio: tutt’altra cosa ... Induce a pensare, e un po’ a sognare, come capita a me quando rientro a casa dal lavoro a sera passando proprio di là ... Ci sono sempre le stesse Stelle in alto da ammirare, quelle che osservavano i Veneziani di ieri.

L’altro pomeriggio, invece, passando ai piedi del Ponte di ferro sul Rio delle Burchielle, quasi come con i “bravi” di Manzoniana memoria, mi sono imbattuto in un gruppo di Poliziotti agghindati di tutto punto in perfetta tenuta antisommossa. C’era nell’aria, e stavano aspettando l’arrivo a Venezia dei facinorosi Anarchici intenzionati a manifestare ed eventualmente mettere a ferro e fuoco Venezia.

Povera Venezia … Diventata palcoscenico di chiunque vuole inventarsi in ogni strampalata maniera ... Non solo Venezialand, ma anche luogo di sfogo di ogni evasione e alterazione scomposta, e di ogni assurda iniziativa e improbabile smargiassata.

Ne rimarrà qualcosa ?

Quasi distrattamente, i poliziotti mi hanno osservato dandomi una veloce “radiografata” silenziosa. Si sono presto convinti che non c’era nulla da temere da quel mezzo rimbambito dal pelo bianco di passaggio. Non potevo di certo essere uno di quei bellicosi che stavano aspettando. Per fortuna poi che non è accaduto niente di particolare a Venezia: nessun insano Barbaro è riuscito stavolta ad approdare. Sono potuto passare tranquillamente quindi, col mio solito zainetto carico di pensieri e forse di nostalgici sogni … Lasciatemi almeno sognare.


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