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La Ziràda del Bècolo a Venèssia

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La Ziràda del Bècolo a Venèssia

Sant’Andrea de la Zirada o del Bècolo… così i Veneziani chiamavano l’attuale zona di Piazzale Roma, che un tempo era totale perifera di Venezia. E’ quella fra i Tre Ponti, il Canal Grande e il Rio de le Burchielle dove finiva o iniziava la Città, ma che allora non era una vera “Porta della Città Acquea” com’è adesso … Un paio di secoli fa qui era tutto diverso: niente Peoople Mover, né Bus e Tram. Non c’erano gli storici megapalazzoni dei Garages e i scarsi parcheggi … Niente anche Marittima del Porto e Tronchetto … Niente di niente insomma: non c’era neanche quella che oggi è la Casa-Albergo di Sant’Andrea, cioè l’ex Monastero di Clausura del Nome di Dio oggi proprietà della Caritas Veneziana, niente Caserma della Polizia di Santa Chiara, niente Bar del Cielo, Casa Rossa e Hub di Biello ... C’erano solo acque lagunari che si traducevano in basse stagnanti, canneti, paludi fangose e canali e canalicoli imbovolati e tesi a finire su se stessi ... Era la zona della Scomenzera di Venezia: già il nome dice tutto, e della Ziràda dove il Canal Grande faceva una secca svolta iniziando o finendo le sue celebri sponde e tragitto.

Un Bècolo, invece, che cos’era ? … che significava ? Forse un becco adunco, un sinistro uccello notturno rapace ... un vaso alchemico forse ? … o un canale che svolta a gomito da assomigliare a un becco ? … Boh ? … Non si sa bene.

Quasi ovunque comunque: viottole strette, franose, invase dalle erbe selvatiche, fangose quando pioveva o cresceva e tracimava l'acqua della Laguna. Più che vere e proprie strade che univano i punti abitati, gli orti e gli squeri cinti da alte e basse palizzate e murette, c’erano spesso vaghe tracce dove passavano pochi ... Quasi sempre gli incerti passaggi andavano a perdersi sul bordo della laguna, accanto a una piatta e leggera barca ormeggiata, o su magre e spoglie rive friabili dove non ormeggiava quasi nessuno ... Perfino il Monasterio delle Muneghe Agostiniane di Sant’Andreade la Ziràda era come un’Isola nell'isola ... Non c'era sempre di traverso la traballante tavolata mobile che fungeva da ponte a collegarlo con tutto il resto di Venezia. Spesso le Monache, i fattori e i frequentatori Nobili parenti andavano e venivano in barca. Qualche volta alcuni inservienti, garzoni o massère che dovevano recarsi là, per la fretta, soprattutto nella bella stagione s’avventuravano scalzi a guadare quell’acqua bassa fangosa e incerta.

E ancora ... poco discosto, là intorno, e tanto diversamente da oggi, nella stessa zona acquitrinosa regno di fugaci pesci e infiniti insetti, sorgevano piccole aree cintate strappate alle acque bonificate della Laguna. Fazzoletti di terra fragile e molle, che valeva e non valeva … Lì sorgeva anche un cimiterietto arraffazzonato e carico di tombe storte e fosse giustapposte buone per ogni tasca e nome. Non a caso chiamavano quel posto anche “il Campo Morto” dove c’erano affacciate sull’acqua anche due-tre piccole rimesse-squeri per piccole barche da poca spesa … Catapecchi traballanti più che veri e propri squeri … Gli orti poi erano striminziti e speso invasi da alte erbacce, Topi e Pantegàne da rio … Si salvavano, invece, ed erano curatissimi quelli delle Monache e dell’unico palazzo che sorgeva in zona ... Beh: palazzo ? … Non proprio un palazzo, ma una grossa casa di pietra che sorgeva là unica e sopraelevata differenziandosi dal mare di stagoli, baracche, stamberghe, magazzini e pollai sparsi per tutta l’area.

Era più o meno così la zona di Sant’Andrea de la Zirada ... Oggi è il Piazzale: del tutto irriconoscibile ovviamente, tutto cambiato, tutt’altra cosa.

Quella volta era del tutto buia di notte quella specie di Contrada estrema di Venezia ... Il sole di giorno illuminava pallidamente quei luoghi traslucendo dalle nebbie autunnali e invernali solo vagamente ... D’estate, invece, l’aria era malsana, torrida, bollente da respirare, e si stava immersi nel sudore dentro a nugoli di Zanzare che facevano da padrone ... Dove abitavano le Monache andava un po’ meglio: c'era qualche lume, spazio asciutto, maggiore comodità ... ma non più di tanto. Il Sant’Andrea del Bècolo o de la Ziràda era uno fra i Monasteri Veneziani più modesti, che pur ospitando parecchie figlie di Nobili Casati, rimaneva pur sempre un Convento considerato di seconda, o anzi: di terza classe ... Non si distingueva affatto … Niente a che vedere con gli splendidi e maestosi grandi Complessi Monastici e Fratereschi Cittadini come: i Frari, San Zaccaria o i Santi Giovanni e Paolo, o San Salvadòr o l’Isola di San Giorgio Maggiore dei Cipressi ... Quelli erano il top dei top.

Sant’Andrea de la Ziràda al confronto: era poco cosa, robetta … e appena uscivi da quelle mura, c'era soltanto quel mare di desolazione tutto attorno ... Un posto “dove stava la Morte in vacanza” diceva qualcuno.

Ed era vero … Perché quel cimiteriolo de la Ziràda, infatti, era davvero un posto da brividi: un tetro luogo gotico, nero, depresso e inquietante abitato forse più dai Morti e dai fantasmi che dai vivi … Non a caso sorgeva là da qualche parte, e ci rimase fin oltre la metà del 1700, la Schola dei Morti e della Croxe ... Anche in questo caso: niente a che vedere con le pompose Schole Veneziane… Parevano gente fuoriuscita da quelle tombe e dall’Aldilà, s’aggiravano foschi e nebbiosi come tutto il resto del luogo … Erano uomini e donne aggregati fra loro … Quasi un paio di centinaia, che a volte neanche si conoscevano fra loro perché molto spesso indossavano cappucci sul volti quando uscivano in parata ... Parata o Processione ?

Mah ?  

Un paio di volte all’anno usciva dalle nebbie di quel posto palustre una lunga colonna di Congregati che si portava dietro a un pesante Cristo Nero appeso a una grezza Croce altrettanto nera … Spesso smunti, ossuti e tirati, quasi febbrcitanti, si portavano, scalzi molti, lungo i margini dei canali e poi lungo Fondamente, Calli e Callette fino a Campo Santa Margherita, i Tolentini e San Pantalon per poi voltarsi e tornare indietro fino a rientrare alla Ziràda. Parevano mugugnavano a volte, sospirare e mancare di respiro … “Agonizzanti che zòmpano e camminano ondulando” diceva qualcuno ... Se ne andavano a volto coperto e vestiti di tonache nere o sbiadite in grigio lunghe fino a terra ...  Sotto a quei cappucci c’erano uomini e donne pii, Nobili e comuni popolani … La Serenissima sapeva tutto … Era tutto permesso e regolare …Quelli della Croxe de la Ziràda avevano anche il permesso del Doge di questuare per tutta Venezia “per i Morti”.

Per i Morti ?

Ma di che avevano bisogno i Morti ? Forse di soldi per sussistere ? … Ma anche no.

Si questuava sulle rive del Porto, sulle Zattere fino alla Punta dei Sali, e sui Moli di San Marco, nei Mercati, sui gradini dei Ponti e delle facciata delle Chiese e Monasteri, nelle Osterie, e porta a porta per sussidiare i vivi rimasti e suffragare i Morti ... Suffragare i Morti ? … Già … Grandi e piccoli a Venezia, uomini e donne, ricchi e poveri avevano la convinzione che non solo i Morti fossero “sofferenti e inquieti” nel loro stato di attesa di Giudizio e Assenza, ma che anche i Vivi dovessero prevenirsi a suon di Messe e Orazioni per finire nell’Aldilà “alla meno peggio … senza tanti danni eterni.”

Se poi avevi commesso qualche marachella, o avevi vissuto un’esisteza sregolata … Ecco che allora era più che necessario premunirsi “a riparare e a quietare l’Eterno predisponendo a suon di palanche che Preti, Frati e Mùneghe orassero e implorassero ogni angolo del Cielo per scamparla e salvarsi in qualche modo”.

In tal caso: chi più aveva e poteva, più spendeva e investiva per l’Aldilà, e chi non poteva, invece … Beh: ci pensavano quei “penitenti de la Croxe itineranti per tutta Venezia” a racimolare qualche denaro per dare a tutti almeno un po’ di conforto e una qualche chanche di “beatitudine oltremorte”, o perlomeno di “sollievo spirituale e interiore”.

Attorno a questo sentimento incontenibile e radicato nell’Animo di tutti i Veneziani e non, l’Ecclesia fece affaroni e s’impinguò per secoli ... E anche alla Ziràda col limitrofo Cimiteriotto quel “sentire suffragante” si concretizzava alla grande con grande dispendio e girar di risorse.

Perfino i massicci e determinati Bombardieri Veneziani della Serenissima, che andavano ad esercitarsi in quelle parti desolate di Venezia, se ne andarono in fretta altrove all’inizio 1500 sottraendosi da quel luogo troppo lugubre e malandato. Pur frequentando la zona per le esercitazioni, andarono a congregarsi “al sole” dall’altra parte della Città: in Contrada di Santa Maria Formosa e a Castello, dove di certo c’era più vita e normalità ... Rimase nella zona de la Ziràda di Sant’Andrea solo il piccolo ma vispissimo gruppetto dei Pescatori della limitrofa Santa Marta, Santa Maria Mazòr e San Nicolò della Mendigola che frequentavano e lavoravano in quelle acque desuete trovando di che vivere.

Fin dal lontano 1347 una quarantina di quei cacciarosi, vivissimi e grossolani Pescatori e  Venditori di Pesce divennero assidui nel frequentare la loro Schola di Sant’Andrea e San Giacomo posta proprio in Sant’Andrea del Bècolo e de la Ziràda… A differenza di quelli de la Croxe, i Pescatori erano solari e tutta vitalità … anche se quasi tutti indebitati con le Monache de la Ziràda, o indotti a chiedere prestiti a loro per via della loro estrema indigenza e delle tante bocche da sfamare che li attendevano a casa.

I Pescaòri ben rappresentati dagli Apostoli Pescaòri pure loro, che pescavano impressi sulla facciata della chiesa de la Ziràda, pagavano le Monache de la Ziràda per far celebrare ogni ultima domenica del mese una Messa ConventualeCantata e partecipata da tutte le Monache … Con quelle si univano a cantare sguaiatamente e pressappoco Litanie in Latino incomprensibile, e si tiravano poi a lungo in processione per le vie, i fanghi, lungo i canali e fra le alte erbe de la Ziràda ... Erano il contraltare allegro alla lugubre processione dei Morti che facevano quelli della Croxe … e la Ziràda si animava brevemente con tutto quell’andare avanti e indietro per un motivo o per l’altro ... Erano stagioni effimere come le vite di quegli Insetti, Pesci e Uccelli che riempivano l’aria e le acque e i fanghi d’intorno.

Anche i Pescatori de la Ziràda erano debitamente controllati a distanza dai Quattro Provveditori della Giustizia Vecchia della Serenissima: niente sfuggiva alla Repubblica … neanche un piccolo sommovimento in Laguna … I Pescatori avevano un loro Gastaldo eletto che li guidava e rappresentava aiutato da cinque Soprastanti… Nel 1610 era Francesco Lautero… E si autotassavano i Pescatori, pur nella loro miseria … Per congregarsi fra loro nella Schola dei Pescatori pagavano 2 ducati d’iscrizione e 20 soldi annui di rinnovo … Pagavano poi da 2 a 4 piccoli a ogni “levar di tolella”(la riunione che si teneva ogni giovedì, e i nel speciale Capitolo che si teneva circa due volte l’anno … Quasi sempre quelle riunioni finivano in volgarotta e sguaiata bisboccia e bubbaràta)… I Pescatori si aggiravano per la Ziràda del Bècolo a “tòcchi e boccòni”, le mogli e i figli andavano a raccattarli per riportarli a casa, o finivano pure loro a dormire “còtti” fra le tombe del Cimiteriolo… Pagavano ancora anche 3 grossi di Tassa di Luminaria per finanziare le cere in chiesa e quelle portate in Processione: “Qua si pesca per pagare.” brontolava qualcuno:“Chissà che serva per morire se non ci serve per vivere.”

I discorsi, gira e volta quindi: erano sempre gli stessi e ricorrenti … Se moriva un Pescatore gli altri si tassavano di 4 piccoli da versare alla sfortunata famiglia del Morto.

I Compravendipesci della piccola Corporazione percepivano il 10% sul pescato venduto ... Erano esclusi dai Pubblici Uffici, anche se tenuti a portare ogni anno 2.400 Cefali come tributo ai Giudici della Corte Criminale-Civile, e altri 200 Cefali al Doge tramite il Gastaldo di tutti i Nicolotti ... e d’altra parte, pur essendo vispi, non sapevano né leggere né tantomeno scrivere, né distinguere la destra dalla sinistra … Al Doge spettava anche il quarantesimo di tutti i Gamberi anche se vietava la pesca“da San Martin in poi” nelle acque di tutta la Laguna e di Porto Secco e Lio Maggior.… Nel 1308 i graticci o grisiole da pesca: i famosi “clausuris cannarum” dei documenti, si potevano collocare nelle acque lagunari 15 giorni avanti Quadragesima, e fino a 8 giorni dopo Pasqua ... e poi in seguito da metà luglio  fino alla chiusura della stagione: a Sant’Andrea… a fine novembre ... Il Senato Veneziano di solito affittava all’incanto le acque da pesca Veneziane, ma anche quelle di Jesolo, Chioggia e Caorle col relativo diritto esclusivo di pesca ... Non si poteva vendere fra Jesolo, Chioggia, Caorle e Treporti se non sotto il controllo dei grossisti del Pesce autorizzati … Nel 1381 quasi tutto il pesce di Venezia veniva comprato all’ingrosso da Sava Sisto e Basilio Balbi che ne avevano l’esclusiva pagante, e facevano rivendere poi tutto il pesce “al palo” nelle Pescherie di Rialto e San Marco ... I Pescatori de la Ziràda erano soggetti e dipendevano da loro: “Pescavano con barche e zattere: Càppe, Bevaràsse, Ostreghe e Cièvali o Cerberare o Comeàgne, e Anguille in acque aperte o palude con cogòli, cogolèti, reti e infilando i bràssi fin dentro ai buchi e le tane del Pesce … Pescavano a bragòzzo, a tartàna strascico, a trattolina da man … e a tògna, e a fòssina.”

Ciascuna categoria di Pescatori doveva pagare apposite tasse alla Serenissima ... ed era vero: “Era tutto un pagare.”… oggi come allora: sopravvivere era un’impresa ... Pesci e Crostacei dovevano arrivare ai quarantuno stazi o banchetti delle Pescherie di San Marco e Rialto entro poche ore dalla pesca ... A Dorsoduro il pescato poteva restare sulle rive da un’ora prima del tramonto ad un’ora prima del sorgere del sole e non di più … Non si doveva insanguinare il Pesce per farlo sembrare fresco, né venderlo guarnito d’Alghe ... Si poteva salarlo solo dopo che era stato certificato per scritto dai Fanti della Serenissima che era effettivamente fresco ….

Quasi a voler mitigare tutto il puzzo e la desolazione “del luogo di acque immote e putride de la Ziràda del Bèccolo”, rimasero per un certo presenti e attivi nella remota Contrada anche gli esotici e profumati MuschieriVeneziani. Non rimasero là in quanto amassero particolarmente la zona, ma per l’opportunità strategica del posto dove potevano tenere i loro magazzini dei commerci a Venezia e non lontano dalla Terraferma.

Anche la Schola dei Muschieri o Profumieri o negozianti di oggetti da toeletta e cosmetici, e guanti profumati era quindi ospite stabile delle Monache de la Ziràda… Anzi: lavorava in perfetta sincronia con le Reverende e Nobili Monache stesse, che erano le prime clienti, e a loro volta solerti e abili venditrici alle Veneziane … L'Arte dei Muschieri riuniva gli artigiani che preparavano e vendevano profumi, cosmetici, e Polveri di Cipro (la cipria) per la quale venivano chiamati anche Muschieri da Polveri ... Nel 1535 il Garzoni distingueva i Profumieri-Unguentari dagli Speziali-Aromatori ... Uniti per un periodo con i Marzèri e con i Verièri Stazionieri Ambulanti, i Muschierifabbricavano e fornivano soprattutto: Acque Odorose, Oli Profumati, Unguenti e Saponi, ma non solo … Loro simbolo era una Croce di Malta unita a una pomata ... Loro Patrona era la Natività della VergineMadonna … Durante il 1500 i Muschieri Veneziani erano numerosissimi, e stampavano perfino vari Ricettari e Manuali sulle sostanze e composizioni odorifere ... Nel 1773 la statistica cittadina contava ancora 18 Muschieri presenti e attivi in 16 botteghe e 2 mezzadi sparsi in Città. Era questa nota la sintetica immagine del definitivo e irreversibile declino di quella particolarissima Arte.

A dire degli stessi Muschieri, loro erano: “Saggi-esperti che meglio dei Cirologi sapevano riassumere e trovare Rimedi, Composizioni Odorifere, e Secreti Tesori per la vecchiezza e la siccità del corpo”I Muschieri erano come una fucina della Bellezza e della Cosmesi Veneziana, conoscevano i Notandissimi Secreti dell’Arte Profumatoria e dei Semplici Aromati, così come: “i Rimedi per cavar le macchie dal volto, cazàr via le cotture del sole, le volàdeghe, guarir li gòssi de ogni sorte, saldàr zenzive e a far bianchi li denti, far il fiato odorifero, far che li peli nasceranno, cazàr li peli che non vi nascano più, guarir li calli dalli piedi, far che li capelli non diventeranno canuti, far acqua de bionda per capelli perfettissima, e far nascere la barba a un giovene avanti tempo.”

Per tutto questo sia le basse Meretrici di Venezia, ma anche le sostenutissime Cortigiane Veneziane, le Nobildonne e le Reverendissime Badesse e Monache cercavano senza sosta i Muschieri approfittando di continuo dei loro puntuali servizi ... Si sa: erano donne sempre desiderose di curare la propria bellezza, il candore bianco latteo della pelle, la lucentezza, i riflessi e la tinta delle chiome … Sempre a caccia “di rimanèr in qualche modo giovani” si addizionavano con creme, detergenti, speciali acque, decotti e maschere per il viso ed ogni angolo della pelle … Correvano quindi di continuo a la Ziràda sia a piedi che su barche e barchette da ogni parte di Venezia, ed era lì o a servite a domicilio dai facchini dei Muschieri, che si rifornivano di: “Oli Odoriferi, Profumi da Uccelletti, Paternostri e Liscii, Ballottine e Belletti, Blacca o Cèrusa da donne, Calcina viva per far la liscia o farsi biondi i capelli o efficaci tinture negre per scurire barba e capelli .. Le donne compravano anche Solimado, Polvere di zibetto, di muschio e di Cipro, Lume di Scajola e di Zuccarino, Creme di Bardana per i foruncoli, Lume di Rocca o raro Lume di feccia di Vino, Semenze di Codogni, Farina di Senape, Fior di Cristallo o di Boràso raffinato, Aceto lambicato, Draganti per indurire la carne, e speciali Saponetti per ammorbidirla e renderla lucente.”

Le stesse Monache di Sant’Andrea sapevano procurare e vendevano alle donne:“Incenso maschio, Piante Esotiche e Fiori introvabili di Ninfea e Sambuco … Distribuivano soprattutto: Acque Speciali di fragola, di Rose, di Fiori di Fava, di Rosmarino, di Latte di Capra o  d’Asina, di sterco di Bue, di donna, di bianchi d’ova, di Amandorle e Persico, di foglie tenere di Salice”… Le Monache de la Ziràda insegnavano anche:“Ricette per far buona la pelle”: “Trovate 30 Lumache bianche, due lire di Latte di Capra, tre once di Grasso di Porco o di Capretto Fresco, una dramma di Canfora … Dopo questo: distillate l’Acqua, la quale sarà eccellente in nettàre e far bianca la vostra carne.”

Si diceva anche che le Monache de la Ziràda conoscessero, conservassero e vendessero i Secreti Medicinali del famoso Mastro Guasparino, che era dovuto fuggire da Venezia e dalla Laguna perché sminuito e disprezzato, e anche minacciato … Il Maestro Profumieroe Unguentario s’era dovuto allontanare da Venezia fino a Verona per trovare un po’ di quiete e poter lavorare in santa pace. Nella stessa Città di Verona finalmente, era riuscito a trovare la giusta considerazione e opportuna ospitalità per il suo laboratorio presso il Castel di San Felice.

A Mastro Guasparinorisalivano le famose Ricette “per strenzere le lacrime de gli occhi, fare andare via le lentizine, far fare colorita e bella la pelle” ... e sempre di sua invenzioni erano: “i Moscardini eletti per bocca e le rinomate pirole finissime contro il puzore de la bocha, e l’Acqua per far lustro il viso e far lo volto colorito, l’Unguento da viso qual usava la Regina d’Ungaria, et Madonna Catarina da Forlì, et la Signora di Mola … e sue erano anche le famose pirole ad restringendum vulva che si diceva fossero quasi miracolose.”

In parallelo alle Monache de la Ziràda, anche le Nobildonne Veneziane si davano un gran da fare sull’argomento, cimentandosi nel migliorarsi e prendersi cura scrupolosamente di se stesse e dei giusti prodotti. Alcune di loro più acculturate e propositive si cimentavano perfino nel scrivere Libri di Ricette e Consigli, e piccoli Trattati per suggerire alle altre donne di come farsi più belle: “Per la pelle secca piglia Albume de ova de Gallina, lardo di Porco raspato, Oleo comune, Aceto o varo Agresti et mescola omne cosa insieme a modo de confetione, et con questo ugne la faccia e il collo, le mano diventeranno bianche et lucente come argento.”

Che poi a seguito di tutto questo sommovimento, sul “Confine della Ziràda del Bècolo Veneziano” finiva col capitare un po’ di tutto … Divenendo quasi parte di quello strano clima esoterico che vagheggiava e si respirava in quel “campo morto di confine de la Ziràda”, alcune Nobildonne si spingevano a scrivere d’Alchimia, d’Esorcismi e Scongiuri andando a impattare e inquietare e attrarre le attenzioni dell’Inquisizione Veneziana:“sempre all’erta e attenta a indagare eccessi e concezioni d’ispirazione mortifera, peccaminosa e diabolica.” … Qualche Nobildonna e Monaca finì in disgrazia.

Quante Storie, fatti, accadimenti, circostanze e storiacce che si susseguirono nell’area remota e desueta de la Ziràda del Bèccolo di Venezia ... All'imbrunire, ma anche di notte, all’ombra dei catapecchi, al riparo delle barche rovesciate in secca, o fra le erbe alte nell'ora più calda del giorno, non mancavano anche giovani animosi che andavano a stringersi, sospirare e sognare sotto al Cielo Veneziano.

Poi bastava ogni tanto un colpo di vento, l'alzarsi della marea, due gocce di pioggia, e tutto quel mondo effimero scompariva ... e tornava a prevalere quel modo funesto e abbrunito d’essere tipico della Ziràda ... La zona si svuotava, rimanevano solo quei pochi “scuri o bìgi” timorosi o che riuscivano a far temere e inquietare gli altri … Era comunque Venezia lo stesso.

Le Nobili Monache de la Ziràda intanto, chiuse per modo di dire nel loro Claustro, ne combinavano un po’ di tutti i colori ... Ma si sapeva: Venezia era così, e non solo Venezia in quell’epoca: “Ogni tanto le Mùneghe più giovani salivano fino in cima al campanilotto a cipolla de la Ziràda per ridere e scherzare, per godersi l'ameno panorama lagunare dall'alto, o per far tiri birboni alle vecchie Monache chine nell'orto di sotto col di dietro per aria … A Suor Pasquina soprattutto, che di fatto quasi viveva nel Pollaio, e avrebbe voluto trasformare l’intero Monastero in qualcosa del genere ... Aveva Galline dappertutto: quasi fossero sue creature ... Riempiva il Sant’Andea di Galline ovunque: ce n’erano in Biblioteca, in Refettorio, sotto ai letti delle Monache, nella Sala del Capitolo e della Badessa ... e che affari faceva vendendo tramite le sue serventi le loro ova fresche in giro per tutta Venezia.”

Lo immagino il Sant’Andrea de la Ziràda nel buio fitto del primo mattino di quel ieri lontano … Giusto un po’ più su del campanilotto della Ziràda, ieri come oggi splendeva prima dell’alba o nel cuore della notte l’arcana e bellissima in Cielo Costellazione di Orione: la “magica Farfalla Celeste” tanto inseguita, vagheggiata e sognata dagli Antichi di tutto il Bacino Mediterraneo, Africano e Orientale.

Che bellezza !

Chissà se le Monache del Sant’Andrea alzavano qualche volta gli occhi al Cielo per rimirare tanto arcano splendore ?

Mah ? … Qualche dubbio ce l’ho, perché quelle Nobildonne erano spesso un po’ troppo “terra-terra” anche se ufficialmente edotte, privilegiate e potenti, e tutte dedite “a stare sulla soglia delle cose di Lassù”.

Le Cronache Veneziane sono fitte delle vicende contorte, rosa, e di tutti i colori vissute per secoli dalle Monache de la Ziràda su quel perimetro estremo di Venezia. Le Monache si occupavano di tante cose, intrallazzavano parecchio, e più di qualche Nobile Mercante Veneziano o NobilHomo libertino a caccia di avventure approfittò della posizione strategica e defilata del Monastero per utilizzarlo come “base” utile per i propri affari e aneliti più o meno puliti ... E pure le Monache figlie di tanta Nobiltà, non si tirarono affatto indietro nell’interpretare desideri, scopi, sogni e propositi che avevano ben poco di spirituale e monastico.

Così andavano certi ambienti Veneziani … Però voglio pensare anche che all’alba di ogni giorno, quando ancora d’inverno era notte piena e gelida, almeno alcune delle Monache del Sant’Andrea bene o male, si recassero nel Barco sopraelevato del Coro che stava sopra alla porta principale della chiesa (esiste ancora). Lì: “… come dentro all’Alcova del Convento, le Monache de la Ziràda si dedicavano a quel che doveva essere “il meglio” della loro presenza in quel luogo remoto ma interiore … Le Monache indugiavano a pregare e meditare insomma, e stavano là a implorare Benedizioni, Suffragi e Misericordia su se stesse, e verso la Città Eterna di Venezia, sul Principe Dogale, e sull’intera Serenissima ... Ecco quale dovrebbe essere il senso di tante realtà Monasteriali ed Ecclesiastiche presenti a Venezia: la Città dai mille campanili e campanelle: un immane “Calamita Cosmica” capace d’attrarre ogni Grazia Divina Superiore sulla nostra Specialissima Laguna.”

Tale “sentire”è di certo superato e cosa obsoleta per noi moderni di oggi. Noi fatichiamo a capire e intendere così la Storia: abbiamo un’altra percezione delle dinamiche dell’esistenza e del Mondo e della Società in cui viviamo immersi ... Viviamo altri Tempi: più laici, concreti e fin troppo eterei e corporei.

Cosa curiosa, tornando alla Ziràda del Bèccolo …. In quello stesso luogo ancora prima delle Monache del Sant’Andrea sorgeva l’Ospedàl dei Samitèri: due casette adiacenti in tutto all’inizio, cioè quelle visibili ancora oggi accanto alla chiesa di Sant’Andrea (gli Uffici della Veritas di Venezia)… Credo di non esagerare nel dire che quell’Ospissio de la Ziràda era una delle tante piccole “discariche umane di Venezia” dove si andava a finire miseramente i propri giorni in qualche modo. Chi entrava là, al massimo una ventina fra maschi e femmine: soprattutto vedove di quelli dell’Arte della Seta, terminava d’esserci finendo in mano a volonterose quanto spicce assistenti che badavano ai presenti al modo in cui le Monache accudivano le Galline nel vicino Monastero ... Non era granchè l’Assistenza Sanitaria Veneziana di un tempo.

Già nel 1346, durante il Dogado di Andrea Dandolo, venne meno l'utilizzo di buona parte dell’Ospedale, che venne trasformato in Monastero Agostiniano di Clausura ... Nacque così il Monastero di Sant’Andrea della Ziràda ... Nel successivo 1475 si demolì anche l’Oratorio dell’Ospizio ridotto a un paio di casupole, e si utilizzò una donazione dei Cittadineschi Bonzio per costruire la nuova chiesa dedicata ovviamente a Sant'Andrea Apostolode la Ziràdavisibile ancora oggi.

I Samitteri, che mettevano vedove e vecchi nell’Ospissio-bicocca lurido fumosa posta sui margini estremi di Venezia, erano parte dell’Arte Cittadina dei Panni di Seta Veneziana. Il Samitto era un tessuto molto commercializzato e abbastanza redditizio. La prestigiosissima e ricca Arte della Seta esportava i Samitti prodotti a Venezia sia in Levante che in Ponente, e importava prodotti di pregio da tutto al Mondo facendo arricchire la Serenissima e molti Mercanti. Il Setificio era fiorito a Venezia nel 1300 con l’arrivo dei Lucchesi dalla Toscana. Fra 1300 e 1660 il numero dei telai che servivano all’esportazione della Seta Veneziana toccò il numero di 3.000, e altri 1.000 telai erano dedicati all'uso interno della Città e dello Stato. Progressivamente nei secoli successivi il numero dei telai iniziò a decrescere tanto che al cadere della Repubblica se ne contavano solo 350 e poi 300 in tutto. I Tessitori di Seta Veneziani come “daMariegola” avevano come Patrona: la Vergine Annunziata, e si ha memoria di due Schole di Devozione e Lavorodei Setaioli: una accanto all'Abazia e antico Albergo della Confraternita della Misericordia; l'altra ai Gesuiti sulle Fondamente Nove. Più volte a Venezia l’Arte della Seta mostrò la propria magnificenza … Le Cronache ricordano ad esempio l’occasione del solenne ingresso della Dogaressa Morosini a Palazzo Ducale il 4 maggio 1597: “quando l’Arte della Seta pose nelle stanze dei Signori di Notte al Criminale: due gran pilastri con un grosso architrave a portale ricoperto di panni di seta d'oro variopinti, e dalle bande del corridoio lunghi teli di raso giallo e damasco chermesino, e dentro all'Uffizio: un fornimento di tela d'oro pieno di cordelle d'argento con fregi lavorati d'argento e oro ... Avea coperto poi la tavola delle argenterie con tabì d'oro, tutto disegnato ed orlato all'interno di tabì d'argento, pieno di fogliami di seta verde e d'oro.”

Uno splendore insomma.

Era nato bene e con buone intenzioni all’inizio l’Hospedaletto dei Samitèri “in Cào de la Ziràda affacciato sulla Laguna verso la Terraferma. Nel lontano 1329 s’era fondato con le donazioni delle Nobildonne Pie e Benefattrici che a Venezia non mancavano mai … Piano piano s’era avviato prendendo una certa piega: Francesca Corner, Elisabetta Gradenigo, Elisabetta Soranzo e Maddalena Malipiero: le “benemerite”, ci avevano messo a capo anche un Priore che dirigesse e sorvegliasse “il tutto”… Poi era stato proprio uno di quei Priori a travisare progressivamente le intenzioni originarie del luogo trasformandolo in “luogo-macchina” per i suoi scopi e interessi … Storie Veneziane ... S’erano messo contro l’Ospissio dei Samiteri in maniera inverosimile e ostile con pesanti critiche e contestazioni, e con tutta un’opera di sabotaggio il vicino Monastero di Santa Chiara o Ciàra de la Ziràda che sorgeva su un isolotto a pochi metri di distanza dall’Ospizio de la Ziràda (l’attuale Caserma di Polizia di Piazzale Roma di fronte all’Hub di Bièlo, accanto al distributore sulla svolta per il Tronchetto).

Allora lì sulla Ziràda non c’era nient’altro: solo le Monache del Sant’Andrea e del Santa Chiara della Ziràda, e l’acqua, le paludi e le barene.

Pur professando ufficialmente “assoluta povertà”, le Nobili ed eleganti Monache Urbaniste di Santa Chiara erano famose a Venezia e anche di fuori per la loro raffinatezza e ricchezza. Temevano … avide … che l’Ospizzio dei Samiteri facesse ridurre gli oboli di elemosina che erano solite ricevere in abbondanza dalla Pubblica Carità dello Stato e di quelli che frequentavano la zona … Ancor più temevano che l’Ospizio distraesse le benevolenze e la Carità di Nobili e Mercanti soliti a transitare per il posto e beneficare soprattutto loro nella Contrada de la Croxe e de la Ziràda.

Le vicende dell’Ospizio dei Samiteri s’incrociarono a lungo con quelle delle Monache de la Ziràda. Le Cronache Veneziane sono puntuali nel raccontarci che il Sant’Andrea fu a lungo “luogo di disordini” soprattutto fra1567 e 1568. Le Monache benestanti, poco impegnate e prive di vocazione facevano donazioni ai laici che finirono così per prosciugare quasi del tutto le risorse del Monastero: “Quelle che tende alla porta sempre stanno la, né mai vanno né in Choro, né in Refettorio insieme con le altre, né danno obedientia alcuna a Madonna la Priora.”

Zorzi barcarolo convocato d’urgenza dai Provveditori da Comun della Serenissima che iniziarono a indagare, racconto come una volta Suor Beatrice gli aveva chiesto di recapitare farina nascosta a una delle sue sorelle: “Suor Beatrice Moro mi fece barecchiar la barca, et mi mette in barca, et fece portar via tre corbe de drappi con drappi sporchi, et sotto quelli drappi per ogni corba vi era un sacchetto di farina…et le scargassemo a Santa Caterina a casa de una sorella di essa Madonna Suor Beatrice…”

Cronache e atti giudiziari raccontano di prolungate disobbedienze e discordie delle Monache, di relazioni illecite e frequenti quanto eccessive violazioni della Clausura … Le Monache Veneziane, e non solo loro, si sa: erano sempre intrallazzate, frammiste e intrigate con la piccola folla dei Pescatori residenti, con gli Artieri, e soprattutto con gli aitanti Burchieri e Cavacanali a cui affittavano casupole del Monastero sul Rio de le Burchielle … C’erano sempre continui intruffolamenti nel Monastero, azioni e relazioni nascoste, affari sottobanco e connivenze a tutti i livelli: economico, sentimentale, devozionale ... Si sfiorava di continuo il losco, l’esagerazione, la perversione, l’evasione da ogni regola e legge nel Sant’Andrea ... Che fare ? “Le Mùneghe in fondo son donne … Anzi: due volte donne: una come femmine, e l’altra come Nobildonne Monache insignite del prestigio del loro Casato e Status … e sono donne vive, oltre che giovani e facoltose … Perciò desiderano e possono permettersi un po’ di tutto, e vorrebbero godersi la Vita piuttosto di rimanere chiuse in quello spartano reclusorio … Non possono pensare solo alle Galline che hanno sotto al letto ...” provò a difenderle e supportarle un Nobile Familiare davanti ai Provveditori della Serenissima.

Zorzi barcarolo proclamandosi estraneo ai fatti testimoniò ancora:“faccio tutti quelli servitii che le Muneghe me fa far, et vado de fuora a scuoder quando le me manda…vado a spender per el Monasterio et anco per el Cappellano …”

Venne interrogato poi anche Girolamo facchino risentito perché gli erano state ridotte le commissioni da quando era stato assunto Zorzi barcarolo: “Servo anco adesso al Monasterio el formento, la farina, le legne et quel che fa bisogno, et secondo che me vien ordinado … Un gruppo di donne pettegole vivono a spalle del Convento ...Fra queste sta Zuana detta Gagiarda, che la tien le Galline da otto a diese de Madonna Suor Gabriella a casa sua, et essa Madonna Suor Gabriella la sustenta de pan et de vin et di ogni altra cosa accio la ge nutrisa queste galline … E ci sta anco Felicita, amante del Confessore del Monastero, che non solo vive in casa soa a spese del Convento, ma gli fa mantenere anche i suoi otto figli, e fa lavorare la figlia Tesaura nell’Ospizio dei Samiteri collegato al Monasterio ... Felicita armeggia e briga con le Monache: la vedo andar dentro della porta, sentarse su quelli banchi in compagnia con queste Reverende Monache, Madonna Suor Gabriela et delle altre, et subito che le sono la vedo darghe la man una con l’altra basarse et Felicita metter le man in sen a Madonna Suor Gabriella et basarse una parte et l’altra.”

Secondo Maria: una delle vedove ospiti nell’Ospissio dei Samiteri: “Felicita racconta in giro ciò che l’amante Confessore ha udito nel Secreto del Confessionario delle Monache … Lo svela a lei … et lei sta continuamente et li fu anco hieri, et porta parole su et zozo che la sta le belle tre hore in celletta a rasonar con quelle muneghe, che ho ditto et tolleva ciance de qua, et le portava de la et me par, che la reporta le cose della confessione et a ogni confessiva se feva un scandalo perché la riferiva alle Muneghe quel che se haveva confessà …”

Le Vedove dell’Ospizio erano molto risentite verso le Monache e le domestiche che ritenevano causa di tutte le loro privazioni: “Se muor de fame, per el mal governo qua dentro.” Un certo numero di persone losche ruotavano attorno al Monastero appoggiate da Suor Anna Giustinian, Suor Gabriella Salomon, Suor Elena Cappello, Suor Beatrice Moro e dalla Monaca Conversa Suor Anfrosina.

Elena, un’altra delle vedove dell’Ospizio depose davanti ai Provveditori: “Vedemo a portar fuora cesti, sacchi per quelle so femine, per quelle so petegole et certi della villa che porta golani, et se ge da pan, semolei, farina et altro…”

Alla fine di due lunghi anni d’indagini i Provveditori da Comun emisero sentenza d’interdizione, pena il bando da Venezia e dai suoi confini, per 8 donne e 3 uomini. A loro fu proibita l’entrata nel Convento de la Ziràda, di parlare con le Monache, e anche di avvicinarsi al Parlatorio e all’Ospizio dei Samiteri ... Vennero ufficialmente condannate: “ Zuana Gagliarda sta sula fondamenta Sant’Andrea in calesela et sua fia ... Pasqua Furlana che sta a Santa Chiara ... Lucretia Zotta che sta a San Polo, Franceschina vedoa che sta al Ponte de legno in chavo del Campo ... Anzola Sartòra a Santa Chiara, Madalena sta a Santa Chiara, Donado Fachin sta alli Frari, Donna Andreinna fillachanevo sta per mezzo la chiesia, Alvise fio de Donna Felicita già bandito dal Convento un anno prima e Zan Francesco Sartòr al Ponte di legno in cavo al campo.”

Una gran storiaccia insomma.

Dopo quei fatti l’Ospizio de la Ziràda venne ridimensionato e lasciato languire per un certo tempo sull'angolo sud-ovest del Campo di Sant’Andrea… Continuò comunque ad ospitare “alla buona” poveri infermi d’ambo i sessi e qualche vedova dell’Arte dei Samiteri.

Solo nel 1684 il Patriarca Sagredo dispose la definitiva chiusura dell'antico Ospedàl ordinando alle Monache de la Ziràda di utilizzarne i locali per accogliere 12 giovani donzelle sprovviste di adeguate doti da Monaca Professa: “Diverranno in seguito dopo dovuto ammaestramento, solo sempliciMonache Conversedi Servizio e supporto al Monastero e alle Nobili Monache Professe.

Per la cronaca successiva: il Monastero de la Ziràda venne soppresso nel 1797, e demolito in gran parte dopo il 1810 conservando solo la chiesa de la Ziràda sconsacrata ed adibita ad altri usi. L’ex Ospedàl rimase chiuso e abbandonato fino a quando venne acquistato nel 1840 dall’Abate Lorenzo Barbaro insieme alle case in Calle dei Testori spettanti un tempo all'Arte dei Tessitori di Seta.

L’Abate restaurò e convertì le casupole in “Istituto d'Educazione Femminile per donzelle bisognose e derelitte”, affidato per decreto austriaco alle Suore di Santa Dorotea.

Questa è stata quindi “la Ziràda del Bèccolo”, dove non mancò qualche presenza a volte senza nome che capitò là da altrove, dalla Terraferma o scendendo dalle navi di Levante e Ponente in cerca d’espedienti o fuggendo da qualcosa o qualcuno: “Alla Ziràda presso il Campo Morto si può trovar posto per tutti: basta adattarsi … e si ci potrà imbarcare in qualche nuova avventura.”… anche se la Serenissima sapeva vigilare sempre, aveva occhi e orecchi dappertutto, pur sembrando non esserci.

Solo all’inizio del 1900 con la decisione di realizzare il nuovo grande Garage Comunale si provvide a ravvivare il luogo provvedendo alla quasi completa demolizione di tutti gli edifici preesistenti, compresa buona parte dell’antico Ospeàl e Monasterio de la Ziràda.

Il luogo sembrò scomparire, dissolversi nel nulla perdendosi nelle spire invisibili del Tempo che tutto appiana, ingloba e supera rivestendo di dimenticanza ... Sorse Piazzale Roma… e più tardi il Ponte Littorio poi della Libertà… e poi il Tronchetto, e tutta la vitalità di oggi.

Per fortuna, fra sole e pioggia, buio e giorno, c’era sempre lì a tutte le ore sui luoghi della Ziràda del Bècolo anche un nugolo di bimbi discoli e allegri, ragazzotti perdigiorno che rallegravano come Api sul Miele quelle plaghe un po’ dimenticate di Venezia ... Vedendoli ridere, correre, inseguire le loro fantasie giocando con niente e saltare ronzando come Mosche e Cavallette ovunque, quel posto divenne progressivamente meno tristo e desolato … meno sospeso fra cielo e terra sulle acque Veneziane di quei tempi oggi lontanissimi.

Infine con i Veneziani mandati via svaporarono progressivamente da quei luoghi anche tutti quei bimbi e giovinetti, e con loro le memorie de la Ziràda del Bèccolo che non c’è più.

 


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