#unacuriositàvenezianapervolta
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I Gonèlla de San Jòppo a Cannaregio
Al
Ponte delle Guglie qualche sera fa dentro a una frescura
frizzante sentivo parlare Inglese e Israeliano sulla porta del locale Kosher di Cannaregio. “Il mondo è
piccolo.” ho pensato: “Ogni luogo è ormai paese e vicino … L’Ebraismo
con le sue contraddizioni vecchie e nuove, da sempre a Venezia è stato di casa,
e lo è tuttora.”
Era però
la Luna l’altra sera che fungeva da protagonista argentando di riflessi
speciali il Rio di Cannaregio e la Laguna aperta in
fondo, oltre i Tre Archi, avvolta nella gelida notte di fine
novembre. Per chi non sa nulla delle fisionomie, delle storie e dei modi dei San
Giobbini, e di quelli di Baja del Re, questo luogo
silenzioso di Venezia è un altro di quelli tutti da scoprire: un altro posto da
favola ... Che lo si creda o no.
Venezia rimane
sempre magica: da mille e una notte ... Lo è da secoli: quasi per forza. Solo
che bisogna saperla vedere oltre le sue trasparenze immediate, a volte quasi
scontate ... da mera cartolina.
Due
passi ancora più avanti sulla Fondamenta deserta, ed ecco che il linguaggio di
chi usciva abbracciandosi da un localino dalle luci soffuse, musica jazz e
profumo di frittura, era stavolta lo Spagnolo ... Si sono stretti forte e
baciati nella penombra. Mentre aspettavo il vaporetto avvicinarsi pigro, li ho visti
contenti di trovarsi là … Probabilmente un’esperienza unica: da non
dimenticare.
E’
proprio così Venezia: unica … da non dimenticare ... e il vaporetto l’ho perso
per guardarmi intorno ancora una volta.
E’
stato andando in fondo verso San Giobbe e la punta
solitaria, buia ed estrema di Cannaregio, che mi si sono accese in mente tante
storie Veneziane … una volta di più.
Sono davvero tante e curiose le storie di questi luoghi … Quasi aleggiano trasudando fuori dalle case, dalle Fondamente, dalle Corti e dai Palazzi di Cannaregio spalmandosi e diffondendosi, per poi perdersi nell’aria ... San Giobbe al Ponte dei Tre Archiè di certo una fascinosa location Veneziana ... È una zona arcana … E’ suggestivo arrivarci, soprattutto di notte, dentro all'atmosfera tipica di Venezia … E’ una scena top del top: un perfetto circuito da non perdere … da autentici appassionati di cose Veneziane, da esploratori curiosi.
“Zona
temibile da andàrghe in giro da soli de notte !”
“Si:
forse si … Ma qualche volta: anche no.”
A
fine novembre Venezia è diversa dal solito ... Di giorno continua ad essere
invasa dall'orda smaniosa, febbrile e mordi e fuggi di turisti, studenti e
pendolari. Di notte, invece, sembra quasi recuperare se stessa. Lungo le
vie Maestre ci sono locali e localini illuminati e tiepidi, con tanti seduti “in
vetrina” chini sui piatti, e tanti giovani ultravispi sopra le righe,
belli pieni, a volte scalmanati ... Fuori ai locali, a differenza che d’estate,
i plateatici languono deserti con i tavolini già pronti ma disertati. Se poi
t'infili dentro a qualche Calletta, i gestori dei locali hanno due tre clienti
in tutto, o sono vuoti, e li vedi starsene immobili dietro al bancone
illuminato a cincionare chini sul cellulare: “Aspetto l’ora di chiusura
... Che vuoi farci ? … Va come va.” mi ha detto uno.
Furtive
pantegane guizzano via scure lungo gli angoli scomparendo negli anfratti delle
case ... L’acqua dai mille riflessi bordeggia l’orlo del Canale: Viva San
Mòse! … che sta salvando la Città Bagnata rallentandone e
posticipandone almeno per un poco la cruda sorte … Nei locali più discosti se
ne stanno spesso in pochi, gli ultimi rimasti a Venezia, a spartirsi storie,
vecchie memorie, passioni, e le poche Cronache insipide per non dire tristi che
affiorano in giro per Venezia: “Quello è andato a casa, ha preso il
fucile, e gli ha sparato addosso ... Ha finito di vivere anche lui adesso … La
Gondola s’è capovolta … Ma còssa te pàr ? … I gha davvero borèsso … I xè
inebetii i forèsti.”
Fra
un bicchiere colmo e una buona mangiata, si stringe qualche mano nuova in più,
si rimembra i tempi andati, si rincorrono le fisime della Politica, e ci si
abbarbica tanto per cambiare allo sport, allo spettacolo, alle macchiette
attuali dei personaggi veneziani (senza far nomi)… e si finisce sempre
fra una magagna e l'altra col parlare di chi non c'è più.
“Inevitabilmente
una volta quando si stava peggio … Si stava meglio.”
Poi
invece, di giorno, quando tutto è rallentato o chiuso, in giro per Venezia
aleggia la normalità, e allora emergono dalla mente altre storie: “San
Giobbe ! … Che ricordi ! Qui durante la mia infanzia esplodeva ogni giorno la
vita, traboccava ovunque in modo incontenibile la quotidianità di tante
famiglie popolari ... La mia infanzia è accaduta tutta qua.” mi haraccontato un San Giobbino d.o.c. con gli occhi lucidi per l’emozione: “Adesso
non c'è più niente e nessuno ... Guarda là: il pozzo è deserto … Non era così
un tempo: riempivamo la Calle e il Campiello da mattina a notte fonda … Ora
sembra una città fantasma, abbandonata, priva di vita.”
“Di qua c’erano le vecchie Chiòvere di un tempo … e i Gonèlla.”
“Chi ?”
“Si ... I Gonèlla … Quelli del Palazzo prima dei più famosi Nobili
Valièr.”
“I Valièr forse li ho sentiti ... ma i Gonèlla non mi dicono
niente … Non ne so molto di loro ... Anzi: mai sentiti.”
“Sono stati di sicuro protagonisti in questa zona ... Tanto è vero
che esistono ancora Calle e Corte dei Gonèlla.”
“Non ci ho mai fatto casoveramente.”
“Eranoproprietari fra l’altro di molte
fabbriche di ceramica qui in Contrada di San Geremia, ed erano padroni di
diversi Tiratoi, e di Poste da Chiòvere e Chioverète per Pannilana.”
“I lochi ove si fabbricavano panni ad usanza di Olanda” l’ho letto
da qualche parte ... Mi ricordo qualcosa: Chiòvere e Chioverète come Tintorie:
una specie di campazzo, horto vuoto con tese e stenditoi di filati e tessuti stesi
ad asciugare su corde e chiodi … Non lontano c’erano case e caxette, laboratori
e botteghe di tanti artieri popolani dediti alla Lana e alla Tintura.”
“Si: erano spesso piccoli fondi affittati, di proprietà dei Contin
e dei Carara, o dei vari Cotoni, Comans e Berlendis ... Tassini racconta che le
Ciovère di Cannaregio ospitavano a volte il Gioco del Pallone e le Cacce al
Toro.”
“Ah: si ! … Queste si che le ricordo: i Tori a Venezia ! … Beh:
d’altra parte qui c’erano le Bèccarie e il Macello: ci sta.”
“Era famosa la Caccia ai Tori che si teneva alle Ciovère di
Canaregio: l’ha rappresentata anche in pittura Gabriele Bella, quel pittore
attivo a Venezia durante il 1700 … La chiamavano: la “Festa dei Diedi”, perché
i Nobili Cavagnis o Cavanis, che facevano i Beccài a San Giobbe avevano le
finestre di casa con balconi e altane affacciati sulle Chiòvere di San Giobbe …
Per questo avevano l’abitudine d’invitare a Carnevale i loro amici …
Soprattutto: i ricchi e potenti Nobili Diedo del Ramo di San Lorenzo di
Castello … C’era ogni anno sempre un grande raduno: un gran festone e grandi
mangiate e bevute per almeno 80 invitati prestigiosi … E per lo spettacolo
finale si coinvolgevano fino a cento tori forniti dagli stessi Cavagnis: sei
per turno, che venivano attaccati da cani e persone, con appesi alle corna dei
fuochi d’artificio per far ancora più scena.”
“Che spettacolo ! … Sapevano divertirsi i Veneziani di un tempo … Immagino l’evento: le grida d’incitamento del pubblico schierato attorno, i cani aizzati ad abbaiare e mordere, i Tiradòri che tenevano il Toro con le corde per le corna mostrando forza e abilità ...”
“Toccava ai Nobili Diedo di scegliere i Tiradòri ... a pagamento
s’intende … e toccava, invece, al Massaro dei Becchèri di uccidere il Toro
staccandogli la testa con un solo violentissimo colpo di spadone.”
“Immagino il giro delle spese di ogni anno … A quelle
cacce al Toro avranno partecipato di certo molti altri Nobili, e ci sarà stato sicuramente
un grande concorso popolare.”
Secondo i Notatori di Pietro Gradenigo del 1773: “In questo
dopo pranzo di mercoledì grassovengono eseguite Feste di Tori
nel Campo di San Luca; e anche in quello di San Giacomo di Rialto dove a
effettuarsi altrettanto, ma li Direttori della caccia, avendo mancato di prima
chiedere la dovuta licenza al Magistrato del Sale, che in quella situazione ha
diritto primario, fu però sospeso il tutto, e rimosso alla giornata di venerdì
... Item lo stesso spettacolo fu oggi pure goduto dal popolo nelle Chiovarre a San
Giobbe, e nella Contrada di San Zàn Degolà (San Giovanni Decollato).”
“Ecco
… Oltre a quei Nobili eminenti, c’erano a San Giobbe anche i Gonèlla … Nel loro
“armo araldico” avevano una grande Stella.”
“Mai
sentiti.”
“Venivano
da Cremona … Ci fu, infatti, un capostipite Pietro Gonella: Fisico e Mastro
Cerusico famoso, che giunse ad abitare a Venezia nel 1300. La famiglia in
seguito piano piano fece fortuna, e fece edificare molte case in Contrada di
San Geremia, qui nel Sestiere di Cannaregio … Un Vettor Gonella, divenne
addirittura nel 1511: Gastaldo del Doge … Una carica di prestigio …. E i suoi
nipoti vennero approvati come Cittadini Originari verso fine secolo ... Quasi
un secolo dopo (1683) altri
dello stesso Casato: Pietro e Domenico ottennero la stessa Grazia, nonostante
fossero figli di un certo Giovanni Gonèlla marito di Agnese Vignoni: uomo
esuberante e violento, noto per essere stato bandito da Venezia nel 1656 perché
aveva percosso Giulio Vignoni: suo suocero, costringendolo a rimanere a letto
per due mesi … Il bando poi gli venne revocato in quanto l’offeso giunse a
perdonarlo … Ma lo stesso Giovanni incontrollabile e iracondo, neanche dieci
anni dopo menò stavolta sua sorella Marcolina appioppandole un gran diretto in
faccia. Stavolta venne bandito da Venezia “in perpetuo”, anche perché fece gran
scalpore in tutta Venezia il fatto, che furibondo, cavò un occhio alla sorella
buttandolo nel fuoco.”
“Era
pazzo ! … Fuori del tutto.”
“Si … Ma era ricco e potente, perciò riuscì in seguito a liberarsi di nuovo anche del secondo bando … Dieci anni dopo precisamente.”
“I
Nobili Veneziani erano ricchi e potenti … Potevano permettersi di tutto …
Rimanendo poi impuniti e incensurati.”
“I
Gonèlla a Venezia divennero una famiglia di successo imparentata con molte
altre famiglie Nobili Veneziane … Era notevole il loro patrimonio: possedevano
al Ponte di San Giobbe un Palazzo: una Cà Gonèlla bellissima, con dentro un
Teatro gestito da una delle famose Compagnie della Calza Veneziane: quella dei
Sempiterni.
Nel
Carnevale del 1542 la Compagnia dei Sempiterni inscenò presso i Gonèlla la
commedia Talànta, la cui scenografia venne curata dal Vasari e dai pittori
Cungi, Flroi e Gherardi ... Il Teatro privato dei Gonèlla era a Pianta
rettangolare, e misurava 40,80m x 9,35m, ed era alto 10,70m con due ordini di
gradoni sui lati lunghi e una scena fissa su uno dei lati corti ... La
Compagnia dei Sempiterni organizzò una sontuosa festa con rappresentazioni,
banchetti, concerti e balli nel 1546, in occasione dell’ammissione di un Gonèlla
alla Compagnia … Il festone durò tre giorni, e venne a costare ai Gonèlla ben
7.000 Zecchini d’oro … Uno sproposito per l’epoca.
Si
tenevano di continuo feste del genere a Cà Gonèlla, che era famosissima anche
per il suo rinomato e curatissimo Giardino.
I
Gonèlla possedevano anche diverse navi con le quali mercanteggiavano in pelli,
spezie, seta e lana in giro per il Golfo Adriatico e nel Mediterraneo … e avevano
parecchie case e caxette in giro per Venezia: costruite soprattutto fra
1540-1580 nei pressi delle Chiòvere di Cannaregio ... Lì, anzi: qui a San
Giobbe, avevano anche un Bastione da Vino che fruttava 123 ducati annui, una
tintoria, e la “posta da Chiòvere” … In Terraferma possedevano diversi terreni,
e una lussuosa Villa in Riviera del Brenta ... Più di tutto però, i Gonèlla
possedevano la “Magnifica Cà” affacciata sul Rio di San Giobbe a Cannaregio,
fatta costruire da Alvise Gonella a inizio 1500.
Palazzo
Gonèlla per le sue forme armoniche ed eleganti era considerato uno dei più
belli di tutto il Rinascimento … e non solo di Venezia. E’ strepitosa la sua
descrizione:“… la
bella facciata armonicamente proporzionata, con le decorazioni pittoriche del
pittore Sante Zago affrescate a chiaroscuri con storie e scene di fantasia, il
grande arco d’ingresso, il cortile e gli atri sontuosi, lo scalone ampio e
magnifico ... E poi il grandioso salone da ballo: uno dei più spaziosi di
Venezia … e le stanze dai soffitti a cassettoni dorati, con i camini de marmoro
de Carrara lavorato de figure et de fogliame, la mobilia leggiadra, ricca,
intagliata, intarsiata e dipinta, la tappezzeria in panni d’oro, d’argento e in
stoffe preziose alle pareti, i lampadari di Murano, le lampade in foggia
orientale di rame e bronzo, incise e smaltate ... e molto altro ancora.”
“Se non vado errato, il tempo dei Gonèlla corrisponde più o meno a
quello di quella curiosa storia della Pasqua 1561 a San Giobbe.”
“Cioè
?”
“Si
racconta che la notte del giovedì Santo “i Frati Zocholànti e Descàlzi de Santo
Jòp in Campo Canarejo” seppellirono per punizione un loro Confratello ancora
vivo.”
“San Giobbe con i suoi SanGioppini era quindi anche
un luogo di suggestive Leggende e pettegolezzi macabri … Perfino le ombre
avevano qualcosa da raccontare se si sapeva tendere l’orecchio ...”
“Si
trattava di cose da barricarsi in casa di notte, invocando tutti i Santi del
Cielo per la paura.”
“Sara stato vero ?”
“Boh … Chissà ? ... Si dice che esistano documenti comprovanti la
vicenda presso i Savi all’Eresia e dall’Inquisizione Veneziana … Con tanto di
testimonianze incluse, raccolte da quelli che indagarono sulla faccenda ...Si dice anche che c’era
una lettera di un certo Mercante Giulio Olgiato che raccontò i fatti, che cioè
un Servitòr de Casàda di Zaccaria Vendramin Procuratore di San Marco andò a
confessarsi a San Giobbe, dove durante l’attesa prese sonno in un angolo
rimanendo poi chiuso dentro in chiesa … Durante la notte, risvegliatosi,
assistette al macabro rito inscenato dai Frati, che non si accorsero della sua
presenza … Li vide processionare con doppieri acesi, e cantare Esequie da Morto
portando uno di loro, un Frate vivo, legato per mani e piedi, e con uno bavaglio
sulla bocca … Li vide poi seppellirlo vivo, e chiudere la tomba prima di
andarsene … Una storiaccia !”
“Forse una fola inventata dal Servitore davanti al padrone per
giustificare la sua assenza altrove ?”
“Mah ? … Non so … Sembra comunque che i Signori Capi del Consiglio dei Dieci abbiano riscontrato che il racconto corrispondeva a verità … Ma che essendoci Frati di mezzo, non si sia fatto nulla insabbiando tutta la faccenda … Sembrò inoltre, che cose del genere fossero abituale consuetudine dei Frati Zoccolanti ... A Venezia quindi i Procuratori della Fabbrica di San Giobbe si presentarono davanti ai Savi all’Eresia e all’Inquisizione, e spiegarono che quelle erano solo calunnie vergognose messe in piazza dal volgo “ignaro et credulo” e da altri malevoli invidiosi delle elemosine che percepivano i Frati Zocholanti … In quel modo sarebbero stati screditati, e si sarebbe tolto loro il pan di bocca, il necessario per sopravvivere: “Un vero obbrobrio contro la vera Fede di tanti Veneziani” ... Fu chiesto allora di ascoltare diversi testimoni della Contrada a difesa dei buon operato dei Frati … Erano tutti abitanti in Corte della Crea in Fondamenta de San Giobbe: Cassandra de Rafael Burchièr, Beta de Bastian Remèr, Margarita mojer de Sier Bartholomeo, Cornelia de Breguòl, Menega de Bernardo Canario, Beta de dona Menega vedova, Gasparina de Rafael, Gierolima de Zanmaria Barcharuol de Marghera, e Margarita vedova.
Il Procuratore di San Marco
Vendramin da parte sua negò ogni cosa affermando che nessun suo servitore s’era
assentato da casa la sera del Giovedì Santo. Dagli interrogatori dei vari
testimoni si risalì fino a un certo Filippo “careghèta” (impagliatore di sedie), che
aveva raccontato alle donne della Corte della Crea la storia del Frate sepolto
vivo dentro a San Giobbe. Chiamatolo quindi all’interrogatorio, Filippo disse
di aver sentito quel racconto da Sjòr Tonolo, che a sua volta l’aveva udito da
donna Maria ... Alla fine i Savi all’Eresia con un proclama dichiararono la
storia “falsissima” e opera di eretici, e promisero una ricompensa a chi avesse
denunciato il colpevole diffusore di quella stupida vicenda ... Note finali del
documento che richiamava ennesime voci che giravano per la Città, dicevano,
invece, che il venerdì seguente il Frate sepolto venne tirato fuori ancora vivo
e vegeto dalla sua provvisoria tomba da alcuni Veneziani della Contrada ...
Fola o verità ? … Chi lo saprà mai ?”
“Non conoscevo questa storia.”
Nel
1582: Iseppa Gonella quondam Antonio: “era proprietaria
della casa-palazzo in cui abitava, e di un gruppo di case in Campo delle Canne
appartenute ai Nobili Pesaro ... 15 alloggi venivano affittati a 4 ducati annui
ciascuno; altri 13 a 5 ducati; uno a 8 ducati, altri 3 a 9 ducati; due alloggi
erano temporaneamente non affittati, mentre una casa con giardino-orto veniva
affittata a 10 ducati annui; un’altra casa con giardino-orto a 30 ducati; una
casa con terreno a un Pellicciaio, e possedeva infine altri due luoghi per
lavorare la cera con locali annessi.”
Zuane
Gonela quondam Marco viceversa, possedeva: “la sua
casa-palazzo in cui abitava; 5 alloggi affittati a 6 ducati annui ciascuno; 1
alloggio da 9 ducati annui; altri 2 da 20 ducati annui; 1 da 26 ducati annui; 1
casa affittata per 60 ducati, la Tintoria affittata pure quella, e la Posta da
Chiòvere.”
Secondo
le Cronache Veneziane, nel 1650 le feste a Cà Gonèlla
continuavano ancora, trasformandosi spesso in baraonde, baruffe e pittoreschi
alterchi, che a volte degeneravano in veri e propri scontri tra fazioni di Nobili.
Nella primavera
1659 però: Mattio Gonèlla di anni 40 venne tanagliato, poi
decapitato e squartato a Venezia per ordine del Consiglio dei Dieci.
Segnò forse l’inizio del declino della Famiglia ?
Infatti
i Gonèlla finirono con l’estinguersi con Pietro(figlio di Giovanni)
nel 1729. Ormai la famiglia aveva perso quasi del tutto le sue facoltà e il
suo primitivo splendore ... La Tintoria con le Chiòvere di San Giobbe
vennero chiuse per mancanza di lavoro e di committenze, le campagne in Brenta
vennero tutte ipotecate … Negli ultimi anni per sopravvivere e mantenere il
tenore di vita alto, Pietro Gonèlla fu costretto a vendere il suo
formidabile Palazzo ai Nobili Valièr del Ramo di Santa Maria Formosa
... Era il 1572 … Venne infine sepolto nell’atrio della chiesa di San Giobbe
come segno di riconoscenza da parte dei Frati ai quali la Famiglia Gonèlla
aveva fatto a lungo numerose e consistenti elemosine.
Nel
1756 in quello che era stato Palazzo Gonèlla, dove aveva abitato anche
un prestigiosissimo Cardinale Gonèlla, risiedeva ancora il Senatore
Stefano Valièr con la moglie Teodora Giubencovich. A metà
ottobre di quello stesso anno, il massiccio e pomposo palazzo prese fuoco, e
finì distrutto del tutto. A stento si salvarono i Nobili Valièr, che tornarono
ad abitare nelle loro case originarie di Santa Maria Formosa ...
Il palazzo non venne più ricostruito, e i ruderi scuri vennero
abbattuti a fine 1700-inizio1800. Oggi rimane visibile solo il portale
dell’antica Cà Gonèlla attraverso il quale si accede ai recenti
edifici delle Poste, e alla Calle-Corte Gonèlla.
“Curiosa questa storia dei Gonèlla.”
“Certo … Di sicuro … Anche se la Contrada di San Giobbe Profeta con i suoi San Giobbini in realtà ha molto altro da raccontare … Innanzitutto: Contrada non era, perché era parte estrema e periferica della Contrada di San Geremia ... Così come non esisteva a Venezia la vicina Contrada del Ghetto, che era considerata un’estensione della Contrada di San Marcuola … Gli Ebrei pagavano incredibilmente “una tassa pro capite di ospitalità” al Piovàno di San Marcuola ... Incredibile ! … ma vero a Venezia.”
Un’antica cronaca terminata nel 1410 riporta: “Canareggio, imperciò che la era chanedo e paludo con chanelle” ... Marco Antonio Cocci, detto il Sabellico, diceva a sua volta su Cannaregio: “... in extrema regione, ubi olim naves construi consueverant … et cannarum palustrium fasces ad navalis fabricae usum comparati”.
Bellissima anche un’altra immagine su Cannaregio
di Zuane Dolfin, che col suo testamento 19 ottobre 1458, lasciò
all'Hospitale di San Job: “terrenum vacuum super quo ponunt
harundines” … Bellissimo ! … Cannaregio: le Contrade dove volano e
nidificano le Rondini !
Cannaregio in fondo a San Giobbe era Contrada di modeste caxette, spesso pianoterra umidi, con qualche Caneva da Vin, o piuttosto bassi Magazèni, qualche Furàtola col scoperto pergolato, dove si servivano fumose trippe, frattaglie unte e minestroni di fagioli da trangugiare in fretta, Taverne-Osterie “da persone vili”, dove si mescevano pessimi vinazzi nostrani “da pegni” venduti al minuto in bigonzi e secchi ... Tutt’altra cosa a confronto col “Vino navigato” importato dai commerci Veneziani, che si poteva godere nelle Malvasie da parte di chi poteva permetterselo.
Sempre secondo le vecchie Cronache, lì di
nascosto, in fondo a San Jòb si potevano frequentare certi camerini:
“dove sfogare a bòn prezzo la lussuria” … Nel 1500 c’era: Anzola Bechèra, che esercitava da
prostituta al Ponte dei Latteri: “pieza Medea, a San Giòppo
per scudi uno”… In questa zona estrema del Sestiere di
Cannaregio affacciata sulla Laguna, c’erano anche i Nobili Pesaro,
che avevano alcune proprietà non lontane dalla Calle de le Canne…
Probabilmente erano collegate con le attività commerciali che gestivano
nell'entroterra Veneziano presso "il Carro e le Porte dei Moranzòni
di Fusina”… appena al di là del liscio specchio delle acque
lagunari … San Giobbe era anche zona di Capitelli votivi, di Pietà e Devozioni
semplici, di gente umile e istintiva, ma coagulata, solidale e laboriosa … “Calle
delle Canne” ricorda le canne palustri usate in fasci per “per
bruscàr navilii”(calafatare), o amalgamate con l’argilla nelle
fornaci da pietre di San Giobbe … San Jop o Jòppo era Contrada
popolare verso la punta estrema della Città in faccia alla Terraferma ...C’era
un mucchio di barche che faceva di continuo la spola fra Venezia e la Gronda
Lagunare… A San Agiòppo
c’erano e ci sono ancora le Calli dei Ciodi e de la Corda, perché
era zona periferica di squeri modesti, pontili
gettati sull’acqua affacciati verso Terraferma e Isole: “Area assidua di
Luganeghèri, Macelli e Beccarie di castrati, vitelli, e
suini, e di Fabbriche di Pece, Cremor di Tartaro
e Candele dove nel 1549 probabilmente lavorava anche Bortolo da Cataro
dito dalle candelle … e di Fornaci da Còpi (tegole), Pière elète (mattoni),
e tavelli (pianelle), che dava crudo lavoro a trenta persone nel gelo dell’inverno
e nel torrido dell’estate … San Jòp era anche zona di Chiòvere,
Chioverète e Chiovaroli dove si tingeva, e si stendeva ad asciugare pannilana su
tratti chiodati in corda”.
Verso fine secolo: nel 1582, la
zona delle Chiòvere di San Giobbe era divisa fra proprietà dei Setajoli
della Schola della Misericordia, di Alvise e Zuan Antonio Coccina,
di Francesco e Vettor Pesaro che possedevano 6 casette di cui 3 a
pianoterra e 3 al primo piano, e soprattutto di Zuane Gonèlla e Iseppa
Gonèlla, che possedevano un gruppo di 6 case affittate ad Artigiani
Tessili, Pellicciai e Scuoiatori della zona del Paludo, e un
altro gruppo di 7 caxette di cui 6 in legno con 3 caxoni annessi, dove si
preparavano i colori lavorando con i Tessitori della zona Sopra Marina.
Curiosissima una descrizione del 1661, che “dipinge”
l’area meridionale delle Chiovere di San Giobbe di Cannaregio. Comprendeva:
“Gli immobili della Schola Granda della
Misericordia; quelli di Bernardin Malipiero che aveva: 1 luogo non affittato e
altri 15 affittati che gli rendevano 187 ducati annui. C’era poi Antonio Maria
Coccina, e il Nobile Suriàn che possedevano diversi immobili alle Chiovere … Iseppa
Malipiero, invece, deteneva un alloggio accordato gratuitamente, 4 alloggi
temporaneamente non occupati, e 15 alloggi affittati che le rendevano 147
ducati annui. Urbano Malipiero, invece, possedeva 2 alloggi affittati che gli
rendevano 14 ducati annui. Un altro Malipiero possedeva ulteriori 6 alloggi
affittati che gli rendevano 20 ducati annui.
In tutto alle Chiovere di San Giobbe c’erano: 66 alloggi, 3 Magazzini,
1 Stalòn, 1 Beccaria, 1 Squero, 11 locali non determinati, 1 casa accordata
gratuitamente, 5 case non affittate temporaneamente, 1 casa affittata con
orto-giardino a 40 ducati annui, 59 case affittate a circa 12,16 ducati annui
per un totale di 758 ducati, 32 case affittate da 3-10 ducati e 23 affittate da
11 a 20 ducati annui a circa 10,58 ducati annui di media per totale 582 ducati
annui, 4 case da 30-50 ducati annui per un totale di 136 ducati … La maggior
parte delle case e caxette venivano affittate ad artigiani e poveri: 6 a Tessitori,
1 a un Tosatore, 1 a un Tagliadore, 3 a Macellai, 8 a Scortegadòri, 1 a un Pellicciaio,
3 a Menuzadòri, 1 a un lavoratore Salumiere, 1 a un Fabbricante di stoviglie, 1
a un Ortolano, 9 a vedove, 1 a un cieco, un’altra a un muto, e 30 ad altri
miseri non meglio individuati.
“Mi piace San Jòppo, cioè: San Giobbe … Non si può non ricordare quanto racconta la singolare toponomastica della zona. Dice di storie vecchie e nuove della particolarissima Contrada ... Se passeggi in Fondamenta noterai il Ponte de la Saponella parallelo al Rio di Cannaregio ai Tre Archi. Qui sembra abitasse ancora nel 1712 la famiglia Saponello, con un Francesco Saponello che risultava iscritto alla Schola Grande della Misericordia dei Setajoli ... Nel 1761 secondo i Provveditori alla Sanità apparteneva alla stessa famiglia anche Zuane Saponello: Bechèr de San Geremia, che venne bandito da Venezia nel 1775 per aver accoltellato per gelosia di mestiere in Beccaria Granda a San Marco un altro Beccajo di 24 anni: Francesco Rizzo detto Cjòmpo … Costui mezzo morto era fuggito per Calle del Ridotto gridando: Oh Dio! Son morto!”, e infatti: giunto alla Spezieria in Salizzada San Moisè, esalò l’ultimo fiato morendo per davvero ... A inizio febbraio 1785, invece, i Capi Contrada di San Geremia riferirono che all'una di notte venne ucciso con due coltellate alla gola sul Ponte della Saponella: Giacomo Gabotti da Giovan Battista Teggia bandito poi dalla Quarantia Criminal.... Gabotti aveva scagliato il cane contro Teggia che stava espletando i suoi bisogni sulla Fondamenta di San Giobbe ... Ne era derivata prima un baruffa, dalla quale s’era passati poi alle mani e alle armi.”
Un Decreto del 01 settembre 1798 obbligava a Venezia:“In termine di mesi otto: baccaladi, pesci fumati, salati, cotti e marinati, sbudellami, salamoie e formaggi siano trasportati alla Giudecca o nelle situazioni estreme della città, cioè a San Job, sulle Fondamente Nove, San Francesco della Vigna, Sant’Andrea e Santa Marta ... Affittanze de’ magazzini e case destinate per detti generi, prima di sottoscriversi siano rassegnate al Tribunale onde ottenere la licenza gratis. Effetti di chi non avrà effettuato il trasporto nel periodo suddetto siano fiscati e dispensati alli poveri delle rispettive Contrade, essendo sani ... Muri de’ magazzini siano intonacati e seliciati di pietra, abbiano ruota ventilatoria di lata nelle finestre, e nel più interno siano costruiti scolatoi e condotti che tramandino in soteranee cloache le vecchie salamoie ed altre separazioni ... Venditori da 1 novembre a tutto aprile non possano tenere nelle loro botteghe maggior quantità dell’occorrente per un mese, e da 1 maggio a tutto ottobre per una settimana. Annualmente siano da periti del Tribunale visitati li magazini prima dell’estate per la separazione del sano dal corrotto … Soggetti alla pena di ducati 100 grossi ed altre li trasgressori, siano acettate denunce e premiati denuncianti con la metà della pena suddetta, l’altra metà alla Fraterna de Poveri della Contrada…”
“Più di recente, San Giobbe è stata anche area lavorativa legata in qualche modo alle antiche attività e Mestieri che c’erano in Contrada ... La toponomastica racconta ancora: Calle del Tintòr ovviamente ricorda l'attività dei Tintori di panni attivi nelle Chiòvere dove si asciugavano i tessuti dopo averli immersi in bagni di colore ... Il Campiello de la Grana ricorda piuttosto l’uso della Cocciniglia detta anticamente “grana”, dalla quale si ricava il colore carminio usato per tingere i tessuti … Stesso discorso vale per Calle dei Colori che ricorda quelli che servivano per tingere i tessuti collocati poi sui graticci chiodati delle Chiòvere ad asciugare ... A Venezia esistevano numerose fabbriche che producevano Verderame, Cinabro, Carminio e i vari colori di moda … C’è poi Calle e Campiello del Scarlatto che ricordano ancora l’ulteriore preziosa colorazione usata dai Tintori ... Lo Scarlatto Veneziano era ricercatissimo, e i segreti per prepararlo conservati gelosamente. Leggi apposite stabilivano i modi e le stagioni in cui si doveva prepararlo, e si mettevano apposta in circolazione alcune storielle macabre di Fantasmi, di Giganti che giravano nottetempo con la lanterna, e di Paurosi Figuri dal gran cappello nero per dissuadere spioni e popolino dal carpire i segreti della fabbricazione dello Scarlatto.”
C’è
poi Calle del Saòn (sapone), che ricorda il sapone verde e
bianco di qualità prodotto un tempo in loco, usato per il lavaggio di panni e
biancheria messa poi ad asciugare nelle Chiovere ... A tal proposito,
la Calle larga e il Campiello del Lavandèr, e la Calle de la Biancaria,
ricordano sia il lavoro dei Tintori con la Lavatura dei Panni, ma anche
l’applicazione delle norme Austriache del 1834, che imponevano alle
lavandaieVeneziane per il rispetto del Decoro Urbano:
“esclusiva esposizione all'asciugamento del bucato e delle biancherie
solamente nelle Chiovere di San Giobbe, Anzolo, Sant’Alvise e altro ... pena
una multa da 2 a 20 Fiorini, o l'arresto da uno o più giorni.”
Calle Biscotella si trova tra Campo dei Luganegheri(salsicciai) e Calle de la Cereria mettendoli in
comunicazione. Lì aveva impresa Matteo Biscotello a metà 1700, che
teneva l'appalto del sego di Cannaregio. L’attività sorgeva in
posizione strategica fra le due Beccarie (macelli) della Famiglia
Coccina e la Fabbrica di Cere che verso fine secolo apparteneva ad Andrea
Bortolotti. Il sego si ricavava dalla macellazione degli animali, ed
era ingrediente necessario per fabbricare candele e sapone ... Matteo
Biscotello era di certo benestante, visto che il 5 aprile 1761 diede in
sposa tre sue figlie a San Mattio di Rialto, dando a ciascuna la cospicua
dote di 2.000 ducati.
Quante storie !
“E ci sarebbe ancora dell’altro a San Giobbe …
Venezia è stata storicamente quasi unica nel dedicare parte di se stessa a
titoli e nomi di personaggi Biblici dell’Antico Testamento ... E’ la riprova di
un uso tradizionale tutto Veneziano importato da Bisanzio e dall’Oriente ... Se
fosse il caso, ripensiamo a nomi come San Moisè, San Geremia, San Samuele, San
Stàe ed Isaia, San Daniele, Santa Sofia, San Zaccaria: maschio … Non Santa
Zaccaria come dicono i marinai Chioggiotti dell’ACTV … e San Giobbe appunto ...
Sono nomi che trovi solo a Venezia in Europa.”
San Giobbe o Sant’Agiòpo era fino al 1378 zona disabitata e acquitrinosa, dove sorsero in seguito Ospizi e Hospedaètti, e il “Borghetto delle Vecchie o della Carità”: luoghi di fatica, senescenza, cittadelle della Sanità e posti dove salvarsi dalla totale miseria e dalla malattia.
Nei luoghi di San Giobbe: “Si
praticava per vivere ogni giorno la biblica meravigliosa pazienza di Giobbe.” …
Ma quella dei “poveri Giobbini”è un’altra storia … In
fondo a San
Giobbe o San Jop o Jòppo, finirono per locarsi in seguito: prima gli Eremiti di San Girolamo: i Girolimini(già presenti a San Sebastiano di Dorsoduro),
poi dal 1420 i Minori
Francescani Osservanti di Fra Martino Querini, e infine, dopo le predazioni distruttive e
vandaliche dei Francesi e degli Austriaci, che hanno perfino bombardato San
Giobbe, giunsero i Canossiani nel 1844.
Nella zona remota e popolare di San Giobbe di Cannaregio, i Padri Canossiani hanno realizzato grandi pagine di Storia che non si
debbono dimenticare.
Quella di San Giobbe è sempre stata fin
dall’inizio zona di Pelizèri,
Traghettanti, Bechèri e Scortegadòri. Ancora nel1713:“in Campiello, Calle delle
Beccherie a San Giobbe esistevano: due Beccarie grandi con Magazzeni di ragione
di Coccina e Ferro da Padova, dove si ammazzavano li manzi, tenute in affitto
dai partitanti Beccheri, i quali pagano, secondo l'informationi prese, per
affitto soldi 4 per ogni manzo che si ammazza.”
Nel 1740, invece, esisteva efficiente più che mai il “Borghetto della Carità nell’Ospizio di San Giobbe”. Il Borghetto-Ospedale della Vecchie consisteva in 87 locazioni accordate gratuitamente. Una parte erano appartenute a Leonardo Pesaro in Campo delle Canne, un’altra ai Nobili Marcello, che possedevano anche il Bastione da Vin di San Giobbe(già dei Gonèlla) che fruttava loro 63 ducati annui, e una casa affittata a 15 ducati l’anno ... “L’eredità Gonella” metteva, invece, a disposizione 12 case concesse gratuitamente ... L’Ospedale della Croxe consisteva a sua volta di 27 alloggi dati gratuitamente, e la Procuratoria de Supradi San Marco concedeva altre 16 case in Corte di Cà Moro per un totale di 148 locazioni concesse “Amore Dei”, cioè gratuitamente ai Veneziani che ne avevano davvero bisogno.
Anche oggi vero ?
Diverse caxette di San Giobbe erano di proprietà della Schola Grande della Misericordia, di Francesco Trevisan, del Nobile Correr da San Tomà e di Piero Maria Contarini che avevano rilevato le vecchie proprietà di Iseppa ed Urban Malipiero: una schiera di 7 caxette a un piano, 6 case e 1 bottega a pianoterra, e un orto-giardino di proprietà del Nobile MarcAntonio Dolfin.
In zona c’erano inoltre una serie di caxette che guardavano sulle
Chiovere: proprietà Rinaldi… Altre erano proprietà del Nobile
Daniele Balbi e del Conte Girolamo Benzon, e del Nobile Soranzo
al Ponte dell’Arco, che possedeva ulteriori 7 alloggi popolari.
Poi giunsero i Francesi a far man bassa di tutto, compreso il Convento dei Frati che vennero buttati in strada senza neanche un abito di ricambio da indossare ... Certe cose è giusto saperle e ricordarle ... Secondo La Cute, fra novembre 1806 e marzo 1807, furono inviati a Padova: 17.363 volumi prelevati dalla Biblioteca di San Giobbe, dall’Isola di San Giorgio in Alga e da quella di San Secondo, dalla Biblioteca di San Francesco di Paola e da quella dei Padri Inquisitori e Predicatori di San Domenico di Castello(oltre 2.000), da San Nicoletto dei Frari, da San Giorgio Maggiore(oltre 5.000), da Sant’Elena, dai Carmini, da San Giacomo della Giudecca e da San Pietro Martire di Murano.
Altri 24.514 volumi, considerati di scarto, furono venduti dal Demanio
insieme alle librerie che li contenevano come legna da ardere. Solo gli
scaffali della Biblioteca di San Giorgio Maggiore vennero salvati
ponendoli al Liceo Convitto Santa Caterina-Foscarini. I libri
furono tutti concentrati nell’ex Monastero dell’Umiltà verso la Punta della
Salute(non esiste più), da dove il Morelli
sceglieva manoscritti e libri interessanti da collocare nella Pubblica
Libreria Marciana ... Molti libri, strada facendo, vennero rubati,
venduti, strappati, privati di pagine e miniature, o nascosti dagli stessi Frati,
che salvando il salvabile li inviavano altrove ... perdendoli spesso … Una piccola
parte dei libri venne data dal Demanio in deposito alla Società Medica di
Venezia … Nel 1807 fu depredata anche la Biblioteca di San Michele
in Isola, prelevando anche il mappamondo di Fra Mauro e
altri oggetti preziosi ... I libri dei Gesuati sulle Zattere vennero
confusi con quelli dei Gesuiti, già soppressi nel 1668, e
finirono in parte all’Accademia, e in parte sui banchi di frutta,
pesce e verdura dei mercati.
In precedenza, a fine autunno 1806, dalla Biblioteca dei Frati
Minori di San Giobbe furono inviate a Padova 10 casse di libri con 3.675
libri comprendenti: 11 manoscritti, 26 incunaboli,
141 libri pregevoli, 178 libri non
pregevoli, e altri 3.497 libri mediocri,
però non da scartare.
Che ve ne pare ? … e questa è solo una delle tante “voci” di quell’immane saccheggio … Che sia da voler bene a francesi, napoleonici e austriaci imperiali ? … Anche: no … Ma non pensiamoci … Continuiamo a guardare al fascino “speciale” che conserva ancora oggi la zona di San Giobbe ... Sa sempre d’autentica e genuina Venezia ... nonostante tutto e tutti.