#unacuriositàvenezianapervolta 357
Venezia
a carbone …
Venezia Serenissima è stata
ultratarda nell’affrontare la prima era industriale. Potrà sembrare
inverosimile avendo poi avuto in casa l’Area Industriale di Marghera
con tutte le sue criticità. Eppure è stato così ... L’ormai declinante Serenissima(a un solo passo dalla sua fine) ha fatto molta fatica ad accorgersi dei
grandi cambiamenti, delle dinamiche e delle innovazioni che stavano portando i
Tempi Moderni. Anzi: a dire il vero, non è che Venezia non vedesse, non voleva vedere,
né adeguarsi e cambiare, perché preferiva rimanere statica e nostalgica, fissa
a cullare i suoi vecchi modi e affari nella stessa maniera che aveva fatto per
secoli. Non intendeva ammettere a se stessa, che era diventata una realtà, uno
Stato molle, che continuava a vivere di rendita e fin troppo adagiato sui suoi
vecchi allori e patrimoni, incurante di quanto di inevitabile gli accadeva
intorno. La Nobiltà soprattutto, che aveva fatto grande e
intraprendente Venezia lungo tutta la sua Storia, era lei stessa la causa prima
di quel malessere inguaribile della Repubblica, il motivo del suo lungo
declino, e di quella sorta d’assopimento generale che la stava conducendo al tramonto.
Quando Venezia
provò a scuotersi e svegliarsi: già non c’era più, fagocitata dalla ventata
devastante dei Tempi Nuovi del 1800.
Basti pensare, ad esempio,
che nonostante le grandi manovre e i successi che l’Economia Veneziana aveva
compiuto e ottenuto per secoli, si continuava a considerare il “Lavoro”
in modo antico ormai superato. Lo s’intendeva come un qualcosa: “un’attività
da Fattorelli di Campagna, da uomo ingenuo e di bassa gleba popolare, da feccia
del popolo.”
Non si voleva accettare la
produttività lavorativa come fonte primaria di ogni profitto, né quindi ci si
voleva aprire a considerare diritti e tutela della classe lavorativa, propensi
solo a valutarne l’onere e la spesa, oltre che il dovere della prestazione.
A Venezia si era di certo esperti
in Economia, ma fatta con i guanti bianchi, in modo imprenditoriale, bancario,
con i grandi investimenti e capitali, con speculazioni senza fine ... C’era il
Padrone da una parte che investiva il capitale, decideva tutto, faceva alto e
basso, e si procurava il guadagno … Dall’altra c’era chi faceva la prestazione,
che non contava niente, e doveva accontentarsi del minimo vitale: “grato
al cielo di poterlo ottenere in qualche maniera”.
Forse per tutto questo la Serenissima
si è trovata in grave ritardo a rincorrere la praticità concreta delle
innovazioni industriali e moderne, e la dovuta maniera liberale e lungimirante
di gestirle.
Un esempio fra i tanti … Il Carbone
in quell’epoca divenne materia fondamentale “per far girare tutta l’Industria”.
Venezia, invece, si presentò
alla nuova epoca con i suoi 35Carbonèri(Carbonai)o Portadòri de Carbòn, che a numero chiuso gestivano fin dal 1519
lo “Jus Privativo”, cioè il Diritto di rifornire di carbone in
esclusiva: “qualsiasi Luogo Pubblico, Comunità, Corpo e Casa Privata
della Serenissima”… Tutto il carbone di Venezia dipendeva da quelle 35
persone, che utilizzavano la gerla: “la còrba” da portare in
spalla come unità di misura. Tale facoltà esclusiva di lavoro si chiamava “Libertà”,
che veniva acquistata e presa in affitto dai Governatori alle Entrade …
L’Industria moderna era tutt’altra cosa: aveva dimensioni ed esigenze ben più
grandi. Prevedeva: la movimentazione e gestione di una quantità enormi di
prodotto, molto più grandi delle modeste quantità con le quali i Carbonèri era
abituati a rifornire le case e l’Arsenale della Serenissima.
Venezia comunque provò in
qualche modo a correre ai ripari per non rimanere del tutto indietro rispetto “all’inevitabile
ondata del Progresso”. Provò innanzitutto a non dover dipendere del
tutto dai rifornimenti esteri cercando di sfruttare le sue risorse interne. Per
far questo si mise in testa di produrre il Carbone da se utilizzando il Cansèggio
(Cansiglio), l’Alpago, i Boschi del Cadore, Cajada e la Carnia.
Lì c’erano numerosissimi Fàgheri “da sbarbicare”: piante adatte a
far carbone, privi secondo la mentalità di allora di qualsiasi altra utilità
pubblica … Fu poca cosa, dato soprattutto l’inabilità di Venezia a sfruttare in
quel modo le sue risorse naturali e boschive. Non poteva bastare allo Stato
abbattere e bruciacchiare un po’ di alberi con grande spesa e nessun profitto.
Si finì quindi col dover
comprare all’estero il prodotto-Carbone.
Lo si fece nella vicina Austria
innanzitutto: “Il 02 giugno 1788 la Serenissima si provvedeva del Carbone
dai Littorali Austriaci: 90.000 corbe più o meno occorrono generalmente
ogn’anno alla Dominante per soddisfare intieramente alli bisogni della medesima
estesi a tutta la popolazione per usi domestici, per privati mestieri, per
fabbriche, e soprattutto per le officine dell’Arsenale, della Zecca e delle
Artiglierie… Di queste 90.000 corbe all’anno che abbisognano, 20-30.000
soltanto (saziate prima le esigenze di una parte della Terraferma)
ne provengono dalli Territori Vicentino, Bellunese e Cadorino dopo la svegrazione
dei Boschi ... 50-60.000 corbe poi vengono tratte dall’Estero con esborso di
effettivi denari per ducati 30-40.000 all’anno.”
Stava finendo
obbligatoriamente l’epoca in cui Venezia s’era sentita certa delle sue
Istituzioni, delle sue Regole, e della sua capacità di sussistere e produrre a
modo suo. Non si poteva rimanere neutrali e interessati anche di fronte all’incipiente
Progresso, né si sarebbe più potuto permettere alla dorata “Casta
dei Nobili” d’essere la protagonista unica dell’utilizzo avido delle
risorse della Repubblica.
Il tempo dei discorsi
sussiegosi, dei parrucconi e delle palandrane pregiate era finito, come quello
della manualità totipotente pagata quattro soldi o un tozzo di pane ... Venezia
doveva per forza cambiare “registro” per non soccombere … cosa
che, invece, accadde ben presto.