#unacuriositàvenezianapervolta
368
La
Banda del Prete che faceva la “gatta morta” ai Miracoli nel 1520
Sorrido ogni tanto quanto
sento osannare tanto, troppo, l’antica Serenissima per le sue doti integerrime,
i valori, la probità, la Fede e il senso fortissimo della Giustizia. Tutto vero
… ma anche no.
L’intera Storia della
Serenissima, ieri come oggi, è punteggiata di inadempienze a tutti i livelli
perpetrate da tanti dell’intera scala sociale: dal numero uno il Doge, fino
all’ultimo dei popolani più miseri delle Contrade più periferiche di Venezia. Si:
di certo ci sono state folle di persone oneste, uomini e donne Veneziani che
hanno vissuto l’intera Vita nel rispetto delle regole sociali e dei valori
precostituiti, non è, come sempre, da buttare via tutta Venezia insieme ai
Veneziani: “C’è sempre il buono e il cattivo mescolati insieme.”
Ogni tanto, quindi, s’incappa
in singolari personaggi, che hanno punteggiato la Storia Veneziana. E mi piace
evidenziarli, perché più che spesso sono stati “casi curiosi” di
persone insolite. Esistono a tal riguardo intere liste di accadimenti e
condanne riguardanti i Veneziani “finiti male”. Non che la
Repubblica Serenissima riuscisse sempre e comunque “a pizzicarli”.
Molto spesso tanti rei riuscivamo a scappare salvando la pelle, e anche i loro
interessi. Altre volte, invece: la rete si chiudeva, e chi rimaneva imprigionato,
davvero finiva male in maniera esemplare: “perché tutti una tantum
sapessero, vedessero, imparassero e temessero ciò di cui era capace la Repubblica
Serenissima”.
Si … Più di qualche volta Venezia
senza guardare in faccia ad alcuno, tirava giù dal loro altare o piedistallo anche
personaggi importanti come il figlio del
Doge, o qualche illustre e potente Senatore, o qualche alta carica dello Stato
… e ogni tanto anche qualche pingue Prelato o Frataccione o Mùnega impenitente
… E questi qualcuno finivano male.
Ripeto: mica sempre … Esistevano
a Venezia alcune categorie che per un verso o per l’altro risultavano sempre dei
“perfetti intoccabili”.
Veniamo però al dunque ... L’episodio
oltre ad essere ricordato nelle Raspe Veneziane, è raccontato
anche dal mirabile Diarista Veneziano Marin Sanudo, che ha usato
un’immagine secondo me bellissima, tipicamente Veneziana, per descrivere uno
dei componenti della banda. Il presunto capo, o perlomeno uno dei protagonisti
più in vista della banda di malviventi del 1520, dice il Sanudo: era un PreteVeneziano: “che di giorno faceva la gatta morta nella
chiesa dei Miracoli, e di notte, unitamente ad alcuni galantuomini suoi pari ,
andava rubando gli argenti ora a questa, ora a quella chiesa della città e dei
contorni.”
Cioè: si fingeva esemplare e perfettamente a posto, perfetto nel suo
ruolo Ecclesiastico, tanto da assomigliare nei modi al ruffianamenti mielosi tipici
dei Gatti, che s’accoccolano e fanno le fusa a caccia di compiacimenti, coccole
e simpatia.
Della banda facevano parte anche
altri uomini spregiudicati ormai esperti, che già di loro avevano all’attivo
diverse malefatte. Su tutti primeggiava comunque Prete Vincenzo Negro,
detto Nievo.
I
Negri o Negro erano fra le otto Casate Nuove
aggiunte alla Nobiltà Veneziana a seguito della Guerra di Chioggia
nel 1381. Erano una Famiglia di Notai e Preti soprattutto. Nei primi decenni
del 1400, ad esempio: Bertuccio e Lorenzo Negri erano Notai a
Venezia, Prè Antonio Negro era Rettore di Breda nel
Trevigiano, mentre Prè Tomas era Rettore di Campocroce sul
Terraglio. A metà secolo Francesco
Negro era Piovano della Contrada di San Lio, e da quella passò alla Contrada di San Pantalon nel 1489, mentre Don Antonio Negro era titolare di un Chiericato a
Sant’Adalberto di Plovenzano presso Lancenigo “Jus dell’Abate di
Sesto di Treviso”, e Johannes Negro detto Zanino, “poco
docile ai Canonici e di indole capricciosa”,fu prima: Prebendato
Minore del Duomo di Treviso, e poi Pievano della Curazia di San
Giovanni Battista dipendente dallo stesso Duomo.
Anche
durante il 1500: stessa storia … Antonio Negri era Notaio a Venezia,
come Girolamo, Silano, GiovanFrancesco e Giulio Negri che
possedeva due casette con due botteghe ai Santi Apostoli in Calle del
Fruttariol dell'Oca… Oppure i Negri erano Preti e Insegnanti, come il Chierico
Joseph De Nigris, che insegnava Grammatica a 20 alunni “avendo
scuola a San Giovanni Evangelista”… Erano quasi sempre iracondi e bellicosi di
carattere i Negri, perché:Marco Negri(1514) fu
decapitato come assassino e omicida, Alvise Negro detto Cordellina(1556) venne decapitato ed bruciato per avere lungamente usato
carnalmente colla propria figlia condannata a carcere a vita.
Niente da meravigliarsi quindi se anche Vincenzo Negri facesse
il Prete. Quel che sorprende, invece, è che lo facesse falsamente
dentro al ben“oliato e ricco sito Ecclesiastico di Santa Maria dei
Miracoli, approfittando del suo ruolo e delle sue conoscenze per arricchirsi
impunito” … A dire il vero, era uno dei tanti Preti Veneziani
che vivevano in quel modo in quell’epoca. Molti di loro, spesso privi di
competenze e ignoranti in Dottrina, tanto da non sapere neanche il Latino e
recitare la Messa, si comportavano allo stesso modo. Cioè: badavano solo a sbarcare
il lunario, e a vivere agiati approfittando del ruolo Ecclesiastico nel quale
erano riusciti a inserirsi.
Non che la categoria dei
Nobili fosse migliore.
Insomma … Vincenzo
Negri era Prete zelante che si fingeva esemplare di giorno, mentre di
notte e nel segreto era parte di una banda abbastanza disinvolta e
spregiudicata che da tempo riusciva a saccheggiare e intaccare Venezia e la
Laguna, riuscendo, soprattutto, a farla in barba alle indagini ticchignose della
Giustizia della Serenissima ... che forse non cercava abbastanza, e dove
doveva.
Nella chiesa-Monastero
dei Miracoli, s’erano insediate inizialmente nel 1487:“12
Vergini provenienti dal Santa Chiara di Murano, tra le quali si scelse la prima
Badessa Margherita.” Il Governo Veneziano vedeva di buon occhio quel
Monastero Veneziano “povero ed esemplare”, che sapeva catalizzare
moltissimi Veneziani con la sua Madonna Miracolosa. Per questo
l’aveva esentato dal pagamento delle Decime, gli provvedeva frumento e legna, e
inviava Oratori alla Curia Papale di Roma per ottenere dal Papa
il rinnovo o la concessione di ulteriori Indulgenze:“Le
venerande Donne Monache di Santa Maria dei Miracoli … sono Religiose osservanti
di santa vita, le quali viveno di elemosina et sono bisognose delle cose per
loro sostentamento necessarie… La si degni alle ditte povere Moniali prestar il
suo benigno favore, concedendo loro Indulgenza Plenaria in ampia forma per le
tre feste prossime della Resurrezione.”
Beh … Povere ed esemplari ?
… Diciamola tutta: più o meno ... Anche ai Miracoli i Nobili
Veneziani recludevano nel claustro le loro figlie. Quindi “povero”
non era affatto il Monastero … Forse lo era a paragone con i grandi Monasteri
ricchissimi e potenti della Città. Ma il tenore di vita che si prativa lì
dentro non era affatto di Penitenza come si vorrebbe intendere, ma solo forse
inferiore al lusso sfrenato che si praticava dentro alle grandi Cà
Veneziane. Il Monastero dei Miracoli era di sicuro
ricchissimo e sfarzoso se paragonato a come viveva buona parte della
popolazione Veneziana, alla quale comunque chiedeva di continuo elemosina e
sostegno.
Lo confermano i documenti
storici: “Un Frate Domenicano Bartolomeo da Rechaneto dai Santi Giovanni
e Paolo in cambio del servizio presso la Cappella Musicale del Monastero,
otteneva gli introiti di una Mansioneria di Messe dei Miracoli con facoltà di
trattenersene una parte lasciando il resto al Convento.” ... Nel 1507
Sanudo ricordava anche il “Perdòn di Natale” che si celebrava ai
Miracoli richiamando gente in massa da tutta Venezia. Un altro “Perdòn”
simile si celebrava poi, sempre ai Miracoli, il 25 marzo: Annunciazione e
Festa dello Stato Veneziano.
Che significava il “Perdòn”
? … Gira e volta, che insieme a Confessione e Penitenza si doveva per ottenere
il Perdono dei Peccati offrire ancora delle elemosine, o perlomeno dei ceri, o
dell’incenso, oltre che delle preghiere e delle buone promesse di migliorarsi.
Siamo sempre là: dalle Monache
dei Miracoli piovevano soldi in abbondanza … E quello forse, al di là
di ogni popolare e sincera Devozione, era il vero “miracolo” per
le Monache e il gran numero dei Preti, Frati e Confessori che ci ronzavano
attorno … Non datemi del blasfemo: i dati storici parlano da se.
Durante il secolo, infatti, esistevano ai
Miracoli 28 Mansionerie Quotidiane di Messe di cui 22 a spese
dell’attiguo Monastero delle Clarisse che riscuotevano
l’interesse dalle Banche-Zecca della Repubblica ... Altre 2
Mansionerie erano a carico della Pietà, ed altre 2 ancora a
carico della Scuola di San Rocco ... Vi dirà poco il nome Mansionerie.
Si trattava di una serie di Messe da celebrare in cambio di denaro … ma non di spiccioli
e briciole, ma di somme, lasciti e finanziamenti notevoli che duravano per
secoli.
C’erano Messe da diverso
prezzo … e chi più poteva: più pagava e offriva.
Esistevano, infatti, altre
10 Mansionerie non quotidiane a carico di Nobili Famiglie ... e
quelle si che rendevano parecchi soldi ... e lo fecero per secoli !
Dai resoconti delle Messe
risulta che ogni giorno si celebravano ai Miracoli quasi 40 Messe comprese le Messe
Avventizie dei devoti, cioè quelle estemporanee “ordinate”
al momento … per un totale annuo di circa 13.000 Messe ... Erano soldi ! …
Molti soldi … e Pre Vincenzo era là … di giorno … a maneggiare
con altri Preti “tutto quel ben di Dio” che offriva la Provvidenza
ai Miracoli.
In ogni Solennità
Mariana dell’anno … ed erano parecchie: si celebravano Vespri
e ulteriori Messe Solenni cantate dal Clero della vicina chiesa
di Santa Maria Nova (non esiste più) invitati
espressamente dalla Badessa del Monastero dei Miracoli, che li
pagava profumatamente. Inoltre si celebrano tutti i riti della Settimana
Santa, i Perdòn, che vi dicevo, con numerosissime Indulgenze
lucrabili, fra le quali anche quella dei “40 giorni”, che si
poteva ottenere … e comprare … ogni Sabato dell’anno, e la “Plenaria”
nelle Feste della Madonna, nonché le Indulgenze di Privilegio per
liberare le Anime dal Purgatorio ottenibili quasi tutti i giorni
… I Miracoli erano una formidabile macchina da soldi … Il terrore tabù del “dopo
Morte” con i temibili Giudizio e Inferno
facevano il resto. Si era convinti, seppure in buona fede se volete, che in
qualche modo “il dono della Salvezza” si potesse conseguire o
comprare … o che perlomeno “la pena” si potesse mitigare e
limitare.
A riprova di tutto questo, basti
notare quanto bella venne resa la chiesa: coperta di marmi e piena d’opere
artistiche preziosissime che possiamo ammirare ancora oggi ... Niente nasce dal
niente.
I Miracoli a
Venezia erano quindi “un nome”: un punto di convergenza e
riferimento, di sicuro con un gran giro d’affari e soldi intorno e dentro. Non credo
fosse un caso se uno come Prè Vincenzo vivesse proprio là. Attingeva
infatti a piene mani dal quel “tesoretto” prestandosi e
fingendosi “gatta morta”, cioè approfittando più che poteva della
propizia situazione locale ... ma non gli bastava: voleva di più.
Soffitto dorato …. pavimento
da sogno … cromati e preziosi marmi ovunque da favola … raffinate opere d’arte
ovunque … I Miracoli erano uno scrigno favoloso di bellezza, ricchezza,
devozione, e Venezianità ... quasi una porta spalancata sul Paradiso dove
accorrevano senza sosta i Veneziani come Api sul miele.
“Non sempre è orto tutto
ciò che luccica”: alla Visita dell’austero e rigoroso
Patriarca Priuli del gennaio 1595 si denunciò fra l’altro che le Monachedei Miracoli cantavano canzoni profane e si vestivano da homeni
per far dimostrazioni … e allevano galline che scorrazzavano liberamente nei
dormitori: “…e che le giovani non vogliono conversar con le vecchie, ma stanno
insieme unite nei loro oratori.”… e che il Monastero dei Miracoli
dove si suonava cetra e liuto:“era visitato di frequente da secolari”… Non a caso capitavano proprio ai Miracoli diversi fatti di cronaca, come
ricordava ancora una volta Sanudo a fine gennaio 1515: “In questa mattina ussita fuora di la chiesia di Santa Maria di
Miracoli una bellissima maridata, nomata Samaritana Zon, moglie di Zuan Franco
Benedeto popular, et hessendo su la riva per montar in barca, et andar a caxa,
era una maschera sentata sopra la riva, la qual vista, li dete di uno fuseto, e
li tajò el viso da l'ocio fino alla bocha, sì che dita dona sarà guasta ... Di
questo fo gran mormoration in la terra, adeo, inteso il Principe e la Signoria,
terminono dar taja nel Consejo di X.”… Di tale delitto
venne accusato il Padovano
Cardin Capodivacca, messo in
prigione il 29 successivo. Ma nel 2 febbraio fu liberato come innocente, e
citato al suo posto il NobilHomo
Pietro Tiepolo quondam Paolo,
che resosi contumace, venne bandito il 24 dello stesso mese.
Questo
per dirvi quale sarabanda continua c’era ai Miracoli, e quali e quante cose sono
lì accadute.
Tornando al dunque … Insomma:
la Serenissima non erano mai riuscita a scovare, né tantomeno a
prendere quella banda criminale che imperversava a Venezia e in Laguna. Da
un bel po’ di tempo durava la faccenda e il vizio del gruppetto, tanto è vero
che avevano “intaccato e danneggiato” ben
dodici chiese e Conventi ... E non si
trattava di 12 chiese o Monasteri presi a caso. Erano stati scelti proprio per
bene di volta in volta, e con estrema oculatezza e cognizione di causa.
La banda dei ladri era entrata in azione prima a San Nicolò del Lido, poi in un’altra occasione aveva
attraversato il Bacino di San Marco sbarcando nella ricca Isola di San Giorgio
Maggiore dei Monaci Benedettini. In un secondo momento aveva poi agito in giro per i
Sestieri della Città: visitando prima San Antonio e San Francesco della Vigna nel Sestiere di Castello, poi la Madonna dell’Orto in quello di Cannaregio.
In altre occasioni ancora, la banda s’era portata “fuori porta”: cioè nelle Isole della Laguna Veneziana. Aveva agito nell’Isola di Santo Spirito, a San Francesco del Deserto, e avevano visitato capillarmente l’Isola di Murano realizzando diversi furti a San Pietro Martire, San
Mattio e nell’Isola di San Michele.
Erano poi andati ancora più lontano: a Chioggia dove avevano visitato chiese e Conventi
di San
Domenico e San Francesco.
Infine: s’erano spinti a Santa Maria della Motta di
Livenza
nella TerrafermaVeneziana compiendo una vera e propria trasferta criminale.
Il solito Sanudo ha descritto nel dettaglio gli oggetti rubati di grande
valore, scelti con cura ... I Ladri non erano mai stati scoperti, nonostante si
operasse intensamente per scoprirli, e si fossero offerte nutrite e appetitose
taglie su quegli anonimi lestofanti.
Per capire un po’ di più … La banda aveva iniziato a rubare a
San Nicolò
del Lido…
Circa quel luogo, non s’erano ancora assopiti tutti i
racconti e le parole circa Andrea Contarini già Podestà di Padova
giudicato colpevole d’aver prestato falsa testimonianza su Angelino da
Alemagna compagno di Paolo Trevisan Abate di San Nicolò del Lido,
che aveva confessato d’aver ucciso Maddalena amante dello stesso
Abate ... San Nicolò del Lido era un ricco, anzi: pingue Monastero.
Possedeva quasi 1.000 campi nel Padovano, anche se si perdeva a lottare colpo
su colpo contro l’Abazia “sorella” di San Giorgio Maggiore
per guadagnare sui diritti di sepoltura … Seppellire un Nobile in chiesa era di
sicuro un grande affare, quindi accaparrarselo era un successo ... Distrarlo e
portarlo via da un altro ente Monastico: valeva forse il doppio … Nelle “classifiche”
cittadine Veneziane: San Nicolò era collocabile e possedeva
quanto il Monastero di San Cipriano di Murano, come quello di Santa
Maria della Celestia, San Giorgio in Alga, e San
Giovanni Evangelista di Torcello.
Andavano più o meno così le
cose allora in Laguna ... A San Nicolò del Lido, infatti, come
espressione di quel suo stato avanzato d’opulenza s’era iniziato a costruire un
gran chiostro, e si diede in seguito mandato ad Andrea Palladio
di costruire accanto alla chiesa un Arco e una Loggia in onore del Re di
Francia Enrico III … Tutte cose che non potevano passare inosservate, né
lasciare indifferenti personaggi come Prè Vincenzo Negro.
Secondo colpo riuscito della
banda: l’Abbazia Benedettina di San Giorgio Maggiore in Isola…
al di là del Bacino di San Marco: giusto in faccia al Palazzo
dei Dogi e alla famosa Piazza. L’Abbazia “sorella” di San
Nicolò del Lido era di sicuro da secoli la“numero uno” incontrastata
di tutta Venezia ... Di sicuro una delle più antiche e potenti Abbazie
delle Lagune, come Sant’Ilario di Fusina, San
Zaccaria ed altre ancora ... L’Abbazia rivaleggiava con
la Chiesa Dogale di San Marco nell’esprimersi al meglio in
ricchezza, magnificenza e bellezza. La Biblioteca di San Giorgio Maggiore
straripava di Codici e Libri … Si convocavano i migliori pittori, scultori, intagliatori,
cantori e musici in Isola … s’era fatto il campanile nuovo, e si continuava a
primeggiare grandemente nelle economie gestendo più di 300 beni, terre e
Benefici sia in Laguna che nella Terraferma ... L’Abbazia continuava perfino ad
ingrandire l’Isola bonificando abusivamente con fanghi e rovinacci nuovi
spezzoni di barena e Laguna, e lo faceva con sfrontatezza sotto gli occhi del Doge
che stava dall’altra parte del Bacino di San Marco. Tanto che il Doge finì col
multare i Monaci di 350 ducati in grossi d’oro per ogni passo
quadrato di bonifica effettuata. Solo nel 1530 si giunse a un accordo col Doge,
che prevedeva la proprietà di nuovi lembi di terra tratti dalla Laguna dietro
versamento di 260 ducati alla Repubblica Veneziana. I Monaci inoltre: si
sarebbero impegnati a circoscrivere le nuove terre con muri e palizzate
utilizzando gli alberi dei loro boschi che possedevano nel Trevigiano.
La Cappella-Corale
Musicale di San Giorgio Maggiore si esibiva e sapeva produrre Musica a
così alto livello, che i Maestri di San Marco andavano prima là a
eseguire le loro nuove composizioni prima ancora di farlo nella Basilica
Dogale… Non stupirà di certo sapere che sia Leonardo Donà
che Marcantonio Memmo: futuri Dogi, era in precedenza Procuratori
del Monastero di San Giorgio Maggiore in Isola … L’Abbazia ricca di
sempre ulteriori lasciti e donazione testamentarie, negoziava e concedeva
prestiti per decine di migliaia di ducati a Mercanti e Nobili, e
perfino a Ducati e Governi. Raccoglieva censi e livelli,
comprava, vendeva e macinava grano e cereali, e oltre a rifare del tutto e più
sontuosa la chiesa per le mani di Andrea Palladio, aveva in mente
anche di completare e ingrandire le fabbriche dell’Isola costruendovi: un nuovo
Chiostro, una nuova Sala Capitolare, un Infermeria
e Spiciaria(spendendo solo per queste due almeno 15.000 ducati),
un nuovo Refettorio con rivestimenti lignei e tavoli intarsiati
da Artigiani fatti venire apposta a Venezia da Firenze, e 4 figure intagliate,
cioè: “un Cristo in croce, una Madonna, una Maddalena e un San
Zuanne” da collocare sopra all’organo nuovo appena collocato in chiesa.
Mercanti e Artigiani, ma
anche Veneziani qualsiasi investivano grandi e piccoli capitali
su San Giorgio Maggiore: un Mercante di Lana 10.000
ducati al 5% per sua figlia Isabella; Basegio quondam Berto Fante dei
Provveditori alle Beccarie ne investì 600; il Sarto Giulio Corsi:
800; Marieta Ortolana: 564; Eufemia Serva di Alessandro
Alessandri: 320; Giacoma Massèra: 300 ducati … Nell’ultimo
anno del secolo: Zuanna Vedova di un Lavoratore della Lana lasciò
500 ducati al Monastero di San Giorgio perché fossero investiti per il bene del
Monastero e della Carità in Città.
Di fronte a tanta “Provvidenza
e Grazia di Dio”, perché non metterci lo zampino sopra ?
Di sicuro Pre Vincenzo Negri e compari pensarono qualcosa del genere ... e si recarono quindi “a far visita” all’Abazia e all’intera Isola arraffando più che poterono.
Fu poi il turno della chiesa-Monastero della Madonna dell’Orto ... La chiamavano anche San Cristoforo, e sorgeva … e sorge ancora: dall’altra parte della Città: nel popolosissimo Sestiere di Cannaregio.
Anche lì: altra storia, ed altri appetibili
beni da arraffare senza scrupoli ... Era trascorso appena un secolo da quando a
Venezia s’era processata un’altra banda temibilissima di ladroni
Fiorentini guidata da Benedetto di Bernardo residente ai Santi
Apostoli. Anche loro erano stati a lungo irriducibili e imprendibili, e
avevano messo a segno una lunghissima serie di furti con ricettazione di tanti oggetti
rubati nelle chiese Veneziane. Facendo quattro conti, avevano preso almeno una
ventina di calici da Messa, che avevano poi smontato e
venduto a pezzi.
Le Cronache e i pettegolezzi dei Veneziani
s’erano riempite delle loro imprese, e una dopo l’altra erano state derubate: Santa
Maria della Carità; San Zaccaria; San Pantalon; Sant’Agostin; la Cattedrale di San
Pietro di Castello; San Salvador; San
Giacomo e San Bartolomeo di Rialto e San Bartolomeo di Castello; San Giovanni
Evangelista; San Marco; Santo Stefano; San Cristoforo cioè la Madonna dell’Orto;
San Antonio di Castello; San Biagio e perfino la Locanda alla
Serpe dov’era stata derubata la comitiva del seguito dell’Imperatore di
Costantinopoli.
Se era andata bene a loro …Perché non
ritentare ? … magari cercando di non essere pizzicati alla fine com’era
capitato a loro.
Fino ad ora a Prè Vincenzo Negri & C le cose erano andate dritte … Quindi: Madonna dell’Orto stavolta.
Lì c’erano stati i Frati Umiliati,
che nel 1433 erano terminati con una gran confusione per la dissolutezza dei
loro costumi, l’inosservanza degli Obblighi Monastici, e l’avidità estrema ed
eccessiva per la quale s’erano dotati. Erano stati denunciati al Papa
Eugenio IV dalla Schola di San Cristoforo dei Veneziani, e
al Consiglio dei Dieci della Serenissima che li aveva espulsi da
Venezia. Il Papa seguente Sisto IV: li aveva poi soppressi riportando
un po’ di tranquillità per tutti.
Agli Umiliati nel 1462 erano succeduti poi i Canonici
Secolari di San Giorgio in Alga, che i Veneziani chiamavano: “i
Celestini” seguaci di Lorenzo Giustiniani divenuto Patriarca
di Venezia.
Perché nasconderlo ? ...Anche la Madonna
dell’Orto era un’altra “formidabile macchina da soldi”, che da
secoli catalizzava e solleticava la parte migliore e più sensibile dei
Veneziani. Anche lì: “Miracoli e Devozione”: come e più che nella
chiesa dei Miracoli, e quindi: grande giro di Indulgenze, Carità, Offerte,
Riti, Suffragi e Donazioni.
Quell’epoca “chiamava così”, e
non solo a Venezia e in Laguna.
Insomma: i venti Canonici nuovi
arrivati nel 1503 avevano tirato su il bel campanile con la cupola in cotto e
statue marmoree che vediamo ancora oggi: “Il più stimabile dei campanili
di Venezia, per singolarità di disegno, e regolarità di costruzione.”Il Priore Padre Jsidoro da Leonico prima, e Padre Isidoro da
Lonigo e Padre Lazaro di Conti con Padre Daniele da Venezia Procuratore del
Monastero avevanocommissionato poi a Jacopo Tintoretto,
appena andato a risiedere in Contrada, tutta una serie di opere da collocare
dentro alla chiesa destinata a diventare uno scrigno ancora più bello ...
C’erano i soldi insomma alla Madonna dell’Orto, e anche tanti … Tutta Venezia
sapeva che si stavano spendendo almeno 200 ducati per realizzare tutte quelle
sontuose migliorie.
Se gli Umiliati erano stati
sfarzosi e avevano fatto “gli splendidi”, beh: i Canonici
di San Giorgio in Alga non si dimostravano da meno … Tanto che era giunto
da Roma l’Ordine Papale di “normalizzare” pure
loro: “in quanto, non avendo recitavano la Professione Monastica, non
risiedevano stabilmente nel Monastero, erano ribelli e in conflitto con l’Autorità
Ecclesiastica e resistenti alle Riforme del Clero.”
In realtà i Canonici Veneziani
erano per lo più: intellettuali, umanisti colti, e uomini liberi che si muovevano
a Venezia, nel Veneto e ovunque per l’Italia portando in giro idee scomodissime,
che erano molto scomode per la Chiesa e il Papa.
A Venezia i Canonici erano:“… molto
rispettati per aver vissuto religiosamente, senza scandalo…”, ma le
accuse erano accuse, e quindi alla fine i Canonici si arresero alle richieste
di Roma solleticate dal Nunzio Apostolico a Venezia: Giovanni Antonio
Facchinetti.
Insomma: anche i Canonici della Madonna
dell’Orto erano stati “imbrigliati”, ma restava che quel chiesone
era una miniera d’oro tutta da scoprire e alleggerire … Ci pensarono quindi Prè
Vincenzo e soci, che andarono nottetempo a visitarla ...
e con successo.
Fu il turno poi di San Francesco della Vigna di venir saccheggiata ed alleggerita … Colpito dal fulmine il Campanile, come era accaduto anche a quello di San Marco, i Nobili Veneziani avevano fatto a gara nel far donazioni con i testamenti a favore di quel Complesso Frateresco dei Francescani. Girolamo Badoer, il Nobil Bragadin detto Fascella, Margherita Vitturi, Benedetto e Pietro Contarini avevano permesso con i loro lasciti di ampliare il Coro e la Cappella Maggiore, e ora i Frati stavano progettando di rifare l’intero Convento e di rendere “grandiosa” la Chiesa dove il Senato della Serenissima aveva dato ordine di collocare tutte le bandiere dorate della Capitaneria Generale da Mar di Venezia. Nella chiesa era stato sepolto anche il Capitano da Mar Domenico Trevisan… Da tempo si stavano raccogliendo fondi in tutta la Città e nella Laguna, e si chiacchierava molto di questo in giro per Venezia.
Prè Vincenzo Dal Negro dei
Miracoli sapeva benissimo che, ad esempio gente come: Ambrosio Spicier
“All’insegna del Melòn” aveva elargito ai Frati ben 300 ducati … Si
volevano spendere almeno 3.500 ducati per innalzare una bella facciata della
chiesa, e c’erano state molte altre offerte. Taddeo Bergamasco“diventato
homo ricchissimo facendo il fruttivendolo in Piazza venne sepolto in San
Francesco della Vigna. Al suo funerale intervennero 530 persone in gran parte
del mestiere, insieme ai Canonici di San Marco, ai Confratelli della Scuola
Grande di San Rocco che erano sfilati con 48 ceri: uno spettacolo ... I quattro
figli avevano ereditato 20.000 ducati” Alla Vigna s’erano fatti
seppellire offrendo grandi denari ai Frati anche i Dal Basso: Venditori
di Panni approvati come Cittadini Originari e imparentatisi col Nobilissimo
Agostino Bembo, del quale avevano redditi quattro volte superiori.
Insomma: c’era a San Francesco della Vigna gran movimento, il Dose Andrea Gritti aveva già posto la prima pietra della nuova chiesa … I lavori ora s’erano fermati per il cedimento di un pilone, e si stava modificando il progetto … Il tesoretto da scovare e rapinare quindi: doveva esserci, anche se si era sentito che ultimamente i Frati avevano investito molto al Monte Nuovo dello Stato. S’erano aggiunti però ad offrire molti altri Homeni Nobili e Illustri: Francesco Barbaro, Lorenzo Giustiniani, Marcantonio Morosini, Girolamo Bragadin che stava pagando la Cappella di Santa Caterina d’Alessandria, e Vettor Grimani che stava finanziando la realizzazione della Cappella dei Magi offrendo più di 350 ducati … Pietro Alessandro Lippomano diede 100 zecchini per un nuovo Altare Maggiore da fabbricarsi nuovamente nel Coro già pagato da suo fratello Zuan Francesco… Lorenzo Donà dopo aver acquistato in chiesa tutta l’area intorno all’Altar Maggiore, aveva previsto per testamento di dare una somma al Convento “perché ogni mattina dopo sia detta terza, sia celebrata una messa de morti al detto altar grando.”… Lo stesso Doge Andrea Gritti voleva farsi seppellire là con tutta la su famiglia, e per questo aveva anticipato 1.000 zecchini al Convento.
Dove ci sono tanti Fiori: ci saranno anche molte Api, e ci sarà quindi anche tanto buon Miele … I Frati a San Francesco della Vigna erano diventato quasi ottanta … Perché aspettare quindi ? … Prè Vincenzo Dal Negro si mise all’opera anche là.
Altro bocconcino facile risultò
essere Sant’Antonio di Castello(distrutto in seguito da
napoleone per fare i Giardini). Non assomigliava per niente ai grandi “colossi
monumentali Cittadini”, né aveva le grandi entrate delle altre
chiese-Conventi “miracolosi”, ma dai tempi immemori delle
Crociate per quella chiesa affacciata sul Bacino e sui Moli di San Marco,
passavano tutti i Pellegrini diretti in Terrasanta prima
d’imbarcarsi … E anche lì quindi: fioccavano elargizioni e soldi oltre che
Penitenze e Preghiere più o meno sincere … Non a caso i Papi
avevano obbligato certe Congregazioni a pagare metà delle loro rendite a Roma
con la sua Camera Apostolica, oltre a omaggiarla ogni anno il
giorno dei Santi Pietro e Paolo con una libbra di cera lavorata. I Papi riconoscenti
in cambio confermavano e concedevano come al solito: Indulgenze, Benedizioni,
Rendite e ulteriori privilegi.
Anche a Sant’Antonio
di Castello c’era stato un recente avvicendamento di Canonici:
erano subentrati quelli di San Salvador, che avevano ereditato
nuove case e terreni vacui da un Tedesco della Contrada di San Pietro di
Castello… Anche a Sant’Antonio quindi si stava costruendo un nuovo
Coro in elegante marmo, e tombe e monumenti per ospitare Homeni Illustri
come i Pisani e Pietro Grimani Priore dei Cavalieri Gerolosomitani… Ettore Ottoboni aveva fatto costruire un nuovo altare dedicandolo
ai“Diecimila Martiri” offrendo ulteriori 20 ducati annui per la
sua manutenzione … I Nobili Lando avevano fatto costruire una
loro Cappella privata “con 20 ducati annui per Messa Quotidiana in
memoria della Nobile Famiglia”… A Sant’Antonio di Castello
si stava inoltre palificando l’orto, progettando un nuovo Dormitorio, nuovi
magazzini sulla riva, nuova foresteria, e c’era un progetto per completare la
facciata spendendo da 2.900 ducati ... Erano
venute fuori però anche le solite storie di Messe e Mansionerie
officiate e non pagate, con le solite diatribe finite come sempre a processo: “Se
la si voleva davvero l’Eternità, si doveva essere anche pronti a pagarla.”
Poi c’era stato un transitorio
momento particolare di crisi nel Complesso di Sant’Antonio di Castello,
quando tutto era stato chiuso per via che c’era un Padre malato di Peste,
che era morto lì dentro. Tutti i Canonici erano stati messi sotto
sequestro, ed erano finiti col fare la fame perché nessuno portava più loro
viveri. Tanto era vero che la Santa Sede di Roma aveva loro
concesso prestiti esentandoli per un anno d’inviare soldi a Roma, e la Serenissima
li aveva transitoriamente sospesi dai Dazi, e autorizzati a questuare di nuovo in
giro per Venezia “come d’antica consuetudine”… Ogni anno i Canonici
di Sant’Antonio di Castello organizzavano un gran festa con pranzo il
giorno di San Bartolomeo: “… alla quale partecipavano più
di 400 invitati e oltre, in quanto veniva anche il Podestà di Motta con tutta la
sua Corte, e Preti e Curati, e altri …”
Prete Vincenzo Negro era
presente fra costoro … e come si sa: “da cosa nasce cosa”.
La tattica della banda era
semplice: agire, e poi starsene buoni per un po’. Poi: mentre li cercavano da
una parte, loro agivano da un’altra. Tutti li cercavano a Venezia ? … Loro allora
andavano “ad operare fuori”: nelle Isole della Laguna.
L’Isola di Santo Spirito
fu la prima ad essere visitata … Lì c’erano fin dal 1430 la nuova Congregazione
dei Canonici Regolari di Santo Spirito, che come sulle Zattere a
Venezia praticavano e seguivano le indicazioni del movimento del Santo
Spirito presente a Roma, ma diffuso in tutta Europa ... Solo che le
mettevano in pratica a modo loro, e concedendosi parecchie libertà e
trasgressioni ... Neanche a ricordarlo: anche i Canonici di Santo Spirito
erano molto dotati e ricchi pure loro: nuova chiesa in isola adornata da opere
di Tiziano e Palma il Vecchio, e numerosi salari a Fattori, Barcaroli,
Cuochi, Sonadori, Cantori, Organista, Medico Cerusico, Barbieri e Precettore
dei Frati che facevano di continuo la spola con Venezia o venivano ospitati
nell’Isola “dove spesso si ospitavano Grandi e Principi di passaggio diretti
a Venezia provenienti da Chioggia” ... Nell’isola era perfino funzionante
una Stamperia per Libri e per Musica, e 1636
i Padri elargivano Doti annue
da 5 ducati alle donne di Malamocco… Scriveva su di loro a Roma un dispaccio il Nunzio Apostolico Bolognetti da Venezia: “… l’eccesso
di quei Frati di Sancto Spirito d’haver condotto donne et tenute in quel luogo
loro.”
Non a caso a fine secoloFra Girolamo Lio:
laico dei Canonici di Santo Spirito finì impiccato a Venezia
“per ordine del Consiglio dei Dieci”.
Potevano forse Prè
Vincenzo e Compagni mancare dall’andare a frugare dentro a un contesto
del genere ?
Andarono
poi in un’altra isola dalla parte opposta della Laguna Veneziana: quella di San
Francesco del Deserto in Laguna Nord… Lì la situazione era
diversa: più spartana e marginale … C’era pure là la confusione del subentro
dei Frati Conventuali agli Osservanti… Anche là: restauri in Chiesa
e Convento, nuovo Coro, nuovo Chiostro, nuovo Refettorio, in Isola si piantava
un’infinità di Cipressi ... I Frati inoltre facevano affari d’oro con le
sepolture dei Veneziani Lagunari, dei Treportini e
di quelli di Sant’Erasmo nella loro isola. I Frati volevano
perfino costruire un ponte di legno per congiungeva la loro isola con quella di
Sant’Erasmo … Era dovuto intervenire il Vescovo di Torcello, che
li aveva indotti a desistere da tutto quel traffico interessato di salme … a discapito
degli introiti tradizionali di Torcello.
L’isola periferica di San
Francesco del Deserto non assomigliava affatto nel giro di denari alle
grandi realtà Veneziane, ma anche là si poteva facilmente “pescare”,
e soprattutto agire indisturbati. Meno redditizia come patrimonio, e con meno
cose da arraffare, ma anche meno rischiosa.
E anche lì la banda fece
bottino facile prima di spostarsi nella più vicina e raggiungibile Isola
di Murano. Una delle principali Isole della Laguna Nord,
se non la più grande … L’Isola del Vetro, ma anche di diversi Monasteri
di un certo prestigio e valore.
San Pietro di Murano“in
primis”… Iniziando a interramento il grande spazio acqueo compreso fra
il Monastero e l’Abbazia di San Cipriano, s’era costruito il nuovo campanile in
Stile Veneto con l’Orologio Pubblico, e si stava ampliando e completando
la chiesa rendendola a tre navate e con nove Altari, e con ampio Presbiterio. Proprio a San Pietro di Murano in quegli
anni il Patriarca di Venezia Girolamo Querini, dopo lunghe
controversie e polemiche con il Senato e la Repubblica sulla gestione della
Chiesa e del Clero Veneziano:“… fu costretto ad abdicare e ritirarsi
forzatamente a vita eremitica … memore delle vicende di Girolamo Grimani, Vescovo
di Grado, che fu fatto precipitare “casualmente” da un’alta torre morendo”… Se si ritirava là un Patriarca: non doveva esserci un tugurio di morti di
fame … Quindi la banda andò fruttuosamente a “lavorare” anche nel
sito Muranese.
Da San Pietro di Murano a San
Michele di Murano sono proprio due passi … Anzi: solo un paio di remate
in barca. San Michele dei Padri Camaldolesi era un Monastero delle
Lagune più che illustre, dove c’era all’opera Frà Mauro: il
famoso Cartografo della Serenissima, quello dei famosi globi e mappe redatte
ascoltando i resoconti e i rapporti di viaggio dei Mercanti Veneziani e
Forestieri. C’erano inoltre molti Monaci eruditi di grande produzione
letteraria, che avevano costanti contatti con tutto l’ambiente letterario Patrizio
e Mercantile Veneziano. Non a caso, la prima traduzione in Italiano sia dei Gravamina
Nationis Germanicae, che dell’intera Bibbia venne
realizzata proprio da Nicolò Malerbi Monaco Camaldolese di Murano nel 1471 … Michele
Venier Procuratore di San Marco aveva donato i due tappeti-arazzi più grandi e
più belli dei suoi bancali di bottega: uno al Monastero di San Michele di
Murano e l’altro a San Francesco della Vigna … Leonardo Loredan aveva
finanziato la decorazione pittorica del soffitto a cassettoni e la
ricostruzione della cupola … Il Convento, la Foresteria, la Cavana e il
Campanile dei 27 Monaci Camaldolesi erano stati appena ricostruiti sotto la
direzione del Lombardo, Mauro Condussi aveva costruito la facciata della chiesa,
e Guglielmo Bergamasco aveva realizzato l’ormai famosa Cappella Emiliani per
testamento di Margherita Vitturi vedova del Patrizio Giovanni Emiliani o
Miani… La Congregazione di San Michele formata inizialmente dai soli
tre Monasteri di San Michele in Isola, San Mattia di Murano e Santa Maria delle
Carceri di Este, su richiesta della Repubblica s’era allargata a comprendere
tutti i Monasteri dei Camaldolesi dello Stato Veneto ... I Monaci vendevano e
compravano tenute e proprietà in Terraferma … Si spendevano annualmente 260
ducati per spese ordinarie per: ovi, pesce, mandorle, uva passa, risi, farro et
altri legumi, capri e foresteria e per adornare la chiesa nella festa di San
Michele e mantenere l’organo accordato…
Soldi … soldi … soldi
quindi: anche là … e molti. Un altro luogo da visitare ed alleggerire.
Poi andarono a far visita al
Cenobio di San Mattio di Murano… Travagliatissima la storia dei Camaldolesi
Muranesi, che erano una sorta di dependance del più celebre San
Michele. Lo scriptorium di San Mattia, creato
assieme alla Biblioteca nel 1392 dall'Abate Paolo Venier
compilava codici miniati, ed era famoso inoltre per aver nel chiostro, vicino
alla porta della chiesa, la sepoltura di un personaggio singolare considerato
ormai miracoloso. Nel primo decennio del 1400, infatti, di notte erano entrati dei ladri nel
Monastero, e avevano strozzato Daniele Ungrispach: Nobile “facoltosissimo” Friulano, di
Famiglia iscritta alla Cittadinanza Udinese. Si trattava di un
ricco Mercante di Vaio (Ermellino) che commerciava
con i Varoteri Veneziani, che avevano Schola in Campo Santa
Margherita. Giungeva fino in Laguna sul percorso fluviale Pordenone-Noncello-Venezia. Durante la sua attività imprenditoriale e
lavorativa, usava San Mattio di Murano, che lo affascinava molto,
come base di riferimento per i suoi spostamenti Veneziani ... Era un uomo
intraprendente, che aveva fatto anche il Podestà di Pordenone. Ricco
di risorse quindi, e ben affermato in affari. Alla fine s’era ritirato
proprio lì a San Mattio come “Commissus”, cioèOblato, per condividere la vita monastica con i Monaci che gli
erano simpatici. Per testamento aveva stabilito di donare 500 ducati al Monastero, e
altri 100 per la celebrazione perpetua annuale di una Messa nella
ricorrenza del suo decesso. Infine aveva disposto d’essere sepolto nel Monastero
di San Mattia.
Era stato del tutto casuale
il delitto, o c’erano stati sotto scopi ben precisi ? … Erano magari ex
clienti, gentaglia che immaginava di poter mettere le mani sul grosso malloppo
del facoltoso ex Mercante e Podestà ? … Non si seppe mai.
San Mattio comunque
in quegli ultimi anni aveva preso una piega decisamente diversa. Stava
diventando famoso per la sua decadenza spirituale e sregolatezza piuttosto che
per la sua santità. C’erano stati molti maneggi del Monaco Antonio Bianco
da Venezia per farsi eleggere Priore, poi per diversi
anni aveva continuato a corrompere i Monaci Camaldolesi per
governare a modo suo il Monastero con le sue proprietà e patrimoni. Accadevano
cose strane lì in Laguna: “Monaci e Priori insomma, avevano portato
grande pregiudizio sul Monastero con quelle loro condotte irregolari.”
Nel 1431 il Capitolo
Generale dei Camaldolesi a Bertinoro aveva condannato il nuovo Priore
di San Mattio: Angelo Ciera a un anno di penitenza presso l’Eremo
di Camaldoli accusandolo di sodomia con un giovane di nome Agostino
espulso dal Monastero di Murano. Il Priore non solo aveva rifiutato la
segregazione a Camaldoli, convertendola in isolamento da scontare a San Mattio
di Murano, ma sostenuto da Patrizi Veneziani aveva iniziato
anche una nuova convivenza con un altro giovane, rifiutando le ispezioni degli
incaricati del Priore Generale dei Camaldolesi. Aveva poi venduto
la maggior parte dei beni fondiari che il Monastero deteneva nel Padovano,
Trevigiano, Faentino ed Istriano investendo il capitale in Banche
Veneziane, comprando Titoli Pubblici del Debito Veneziano,
e intestandoli a se stesso. Aveva anche rifiutato di controllare e gestire
tutti gli Eremi Suffraganei al San Mattio di Murano, cioè i
Conventi della Giudecca, Bologna, Chioggia, Bagnocavallo, Faenza e Pesaro
liberandosi dal carico impegnativo e gravoso del governo: “Che si
arrangiassero i Monaci !”
Solo dieci anni dopo, il
nuovo Priore Generale Gomes sostenuto dal Papa Veneziano
Eugenio IV Condulmer, era riuscito a deporre il Priore di San
Mattio insediando Felice Pavoni come nuovo Priore.
Qualche anno dopo, il vecchio Priore Ciera aveva tentato di nuovo
di riappropriarsi del Monastero, ma stavolta il Senato Serenissimo
s’era opposto appoggiando il Priore Pavoni ... Solo verso la metà
degli anni 60 il nuovo Priore Nicolò de Tommasi da Tolmezzo riuscì
a rientrare in possesso di parte dei beni alienati dal vecchio Priore Ciera
convertendoli in investimenti sulla piazza Veneziana. Riuscì anche a riprendere
il controllo dei Monasteri Suffraganei, ma solo per girarne il
controllo all’Abate di San Sepolcro Girolamo De Grifonis ...
Servirono cinquant’anni perché la Congregazione di San Michele in Isolae di Murano riuscisse a ritrovare un po’ di pace, armonia e
concordia ... Altro che santità !
Insomma: dovevano esserci di
sicuro bei soldi e cose preziose da accalappiare nel Cenobio-Scriptorium
di San Mattio.
E la banda Veneziana di Prete
Negro ci fece visita … e con eccellente risultato.
Tutti li cercavano allora a
Venezia e nelle Isole Lagunari ? … Bene … E loro andarono allora a svaligiare e
rubare altrove: in Terraferma, o a Chioggia: dove
non s’aspettavano il loro intervento.
Anche a San Francesco di
Chioggia, infatti, dovevano esserci bei denari per via dei restauri in
corso … Nel 1459 i Francescani Conventuali erano stati sostituiti
dai Minori Osservanti o Zoccolanti che ricorsero più volte alle
autorità civili per impetrare aiuti economici. I Frati avevano da tempo lasciato
il Convento fuori Chioggia, che durante la guerra con i Genovesi era
stato incendiato e distrutto. Nel 1512 il Vescovo di Chioggia aveva
concesso il luogo abbandonato alle venti Monache “Bianche” di Santa
Caterina di Chioggia della Badessa Scolastica Soranzo. Le celle erano
così piccole e strette che le Monache erano costrette a tenere le casse dotali
nei corridoi … Le Monache consumavano 50
quintali di frumento annui e 150 ettolitri di vino ... Con i finanziamenti
soprattutto dei Nobili Cestari era stata rifatta la e abbellita
la chiesa, e tutti sapevamo che le Monache dalle molte rendite erano in lite
continua con i Nobili Querini di Venezia che avevano diversi beni
ad Ariano Polesine confinanti con i loro.
C’erano soldi e cose
preziose da prendere anche là … E perché no ? Ce n’erano anche nel vecchio San
Domenico dei Domenicani di Chioggia risalente al 1290 … Lì risiedeva una
decina di aitanti Padri Domenicani, per lo più non Chioggiotti, dispensati
dal pagamento delle Imposte sul vino. Pure là s’erano avviati restauri per almeno
600 ducati, e tutti sapevano che il Comune aveva contribuito dando 10 ducati.
Se c’erano lavori e restauri, significava che il Padre Sindaco dei
Domenicani doveva avere disposizione di soldi. Già s’era costruita una
Cappella nuova fiammante dedita a San Tommaso d’Aquino, e si
diceva che il Vescovo Nacchianti aveva messo a disposizione bei
soldi ... La banda di Prè Negro decise quindi di andarli a trovarli
per prenderli: era la loro nuova impresa.
E avanti così … Fu poi il
momento della Motta di Livenza: luogo insospettabile davvero
lontano da Venezia, ma in ogni caso: altro luogo pingue dove andare a mettere
le mani tornandosene più ricchi di prima.
Il Prete Negri, infatti, che oltre ad altri vizi aveva anche quello di
spacciare moneta falsa: venne pizzicato e preso mentre tramacciava nei suoi
loschi affari. Venne quindi carcerato, interrogato e debitamente torturato. Gli
fu chiesto quindi se per caso conosceva gli autori di tutti quei misteriosi e
ripetuti furti accaduti … Se l’avesse svelato, il Consiglio dei Dieci oltre a concedergli la Grazia della
liberazione, gli avrebbe dato anche i cinquanta ducati della taglia posta sulla
testa di quei misteriosi e anonimi ladri. Da buon furbastro qual era, Prete Negri non perse l’occasione, e accettò subito la
proposta “squacquarando
tutto quanto sapeva”. Cominciò col confermare che era proprio sua quella famosa
banda imprendibile autrice di tutti quei furti sacrileghi che avevano
interessato l’intera Laguna. Svelò poi che insieme a lui c’era anche un altro Prete Baldassare… Vista l’indecisione e la renitenza nel
svelare tutto quanto sapeva, gli venne dato allora un altro bel “tiro di corda”. Prete Nievo allora “cantò come un Fringuellino, e si ricordò molte altre cose sbottonandosi
del tutto”. Rivelò che anche il Patrizio Bertuccio Da Canal, e Taddeo suo figlio erano coinvolti nell’impresa
e facevano parte della banda.
I Nobili Da Canal coinvolti ! … Chi l’avrebbe mai detto ? … Ma forse si …
Ancora loro.
I Da Canal erano venuti da Altino e Ravenna, poi s’erano iscritti alla Balla
d’Oro con 11 Padri e 23 Figli. Erano Nobili facoltosi perchè
possedevano rendite nel Padovano: a Ponte di Brenta
e sui Colli Euganei ex Gastaldie dei Carraresi. Lì producevano
vini pregiati: “da vitischiave, negrete, pallestre, garganiche,
moscatelle, marzemine…coltivate a pergola, a broli o promisque e a piantata.” ….
A Venezia i Da Canal erano conosciuti soprattutto come abili
Notai, ma erano stati anche Massari nella Zecca dello Stato, dove
Fantino Morosini e appunto: Daniele Da Canal erano stati
scoperti a punzonare pezzi d’argento di scarsa qualità e minor peso
spacciandoli per buoni, intascandone così la differenza. Erano stati processati
e condannati all’esclusione permanente dalle cariche dello Stato, e multati
ciascuno di 100 ducati … Sui Da Canal si raccontava poi, che quando Venezia aveva
perso a Negroponte nel 1470: i Da Canal facevano parte
degli arcieri delle Galee della Flotta Veneziana. Risultavano
registrati sulle liste di bordo anche come: Vinai, Cuochi e Servitori,
ma in realtà non s’erano mai imbarcati. Era stato Niccolò Da Canal ex
Ambasciatore e Comandante della Flotta a segnarli facendosi corrompere e
intascando lauti compensi. Il Senato l’aveva riportato “in
ferri” a Venezia, l’aveva processato, e relegato in esilio nelle sue
terre di Portogruaro, e aveva messo il Nobile Pietro
Mocenigo al suo posto.
Alvise
Da Canal aveva provato in seguito a ridare un po’ di
lustro e credibilità al Casato accettando di andare a fare il Provveditore
del Castello di Corfù rimettendoci del proprio, ma venne subito
smentito da Bernardo Da Canal Podestà e Capitano di Altinari,
scoperto a rubare il denaro del Comune e dei Cittadini portando alla rovina le
economie del paese. Anche lui venne condannato a un anno di prigione, alla
restituzione del maltolto, a 100 ducati di multa, e all’esclusione per quattro
anni dalle Cariche degli Uffici e dai Consigli …
E
adesso, nel 1520: era arrivata appunto la storia di Bertuccio Da Canal,
che aveva
prima sposato una figlia di Giacomo Dolfin:
altra Famiglia Nobilissima, poi aveva messo al mondo il figlio Taddeo con
la figlia di Angelo Amadi:
altra buona famiglia Veneziana.
Taddeo a sua volta, sposando una figlia
naturale del “pezzo grosso”Pietro Barbaro aveva avuto due figli: Benedetto ed Antonio, che avevano sette e cinque anni quando
Padre e Nonno vennero condannati ... Per non smentire la tradizione di
famiglia, anche Antonio Da Canal venne in seguito bandito da Venezia “per ratto donnesco” ... Stravaganza, vizi, permessivismo,
sopruso e attitudine al delitto: erano spesso la normalità dentro alla
categoria dei Nobili e dei Cittadini Veneziani … Chi avrebbe potuto arginarli ?
Nessuno … o quasi.
Bertuccio e Taddeo Da Canal, quindi, avevano bellamente frodato l’Erario della Serenissima, già prima di far parte della banda di
ladri di Prè
Negro. Bertuccio
quand’era stato Visdominodel
Fontego dei Tedeschi s’era appropriato di
629 ducati finendo condannato a rifondere il capitale più la metà della somma
rubata, ad essere annualmente proclamato come ladro in Maggior Consiglio,
e alla perdita di tutte le Cariche di Stato per cinque anni ...
Non aveva pagato, perciò s’era fatto un bel po’ di prigione ... Taddeo,
il
figlio: non era stato diverso dal Padre, in quanto aveva fatto come lui quando aveva
ricoperto una carica allaTernaria Nuova.
Poi erano finiti entrambi col far parte della “gang lagunare”.
Diciamolo
va ! … per curiosità storica. Fra i Da Canal ci furono in seguito
anche: Angelo, Marco e Girolamo Da Canal Notai Veneziani, che
seppero risollevare l’immagine e le sorti del Casato. Marco Da Canal fu anche Capitano in
Golfo: “segnalatosi in molte azioni, e per aver catturato nel 1533 il Moro
d'Alessandria: terribile Corsaro, quando il padre Cristoforo Da Canal morì da
freccia inutilmente difeso dallo stesso figlio con uno scudo”… Forse è
meglio non dire che poi ancora una volta: un altro Marco
Da Canal e un Valerio Da Canal finirono
decapitati e bruciati a Venezia per ordine del solito Consiglio dei Dieci.
Secondo quanto rivelò ancora Prete Negri, coinvolti nella banda c’erano anche: Leonardo Dal Monte, e un Barcaròl di nome Donato spinto dalla necessità perchè aveva ben
sette figli da mantenere ...I Monti
o Monte o Dal Monte o Montini
eranoCittadini Veneziani
Originari:“… godevano
di comodo censo, avevano tomba di famiglia in San Geminian in Piazza san Marco,
e botteghe di droghe e ferramenta “All’insegna del Gambero” in Contrada
di San Luca: in Calle dei Fabbri, dove avevano la
Cà Vecchia, che abitavano stando in solèr in due appartamenti.”
I Dal
Monti non godevano di buona fama in Città, per via di una storiaccia
del 1477, quando Alvise dal Monte era stato accusato insieme a Vettor
Ciocha, Nicolò Fligerio, Feleto Feleti e Mastro
Matteus Murarius et Marangonus: “d’aver dormito nel Convento dell’Isola di Sant’Angelo
in Laguna, conoscendo carnaliter le Monache con le loro Domestiche.”
Erano stati tutti condannati a due anni di carcere, e l’episodio aveva suscitato grande
clamore a Venezia, perché nella baraonda generale c’erano andati di mezzo anche
nomi di Nobili illustri come: Paolo Soranzo, Gerolamo Barbarigo, Alvise Barbo,
Domenico Trevisan, che a loro volta vennero condannati a 4 mesi di carcere e 100
ducati di multa … Stessa cosa anche con Pietro Lando e un
Vicentino: Angelo Buso.
Tutta una serie di storiacce
insomma ! … Ci avevano messo un secolo intero i Del Monte “per riaversi e riabilitarsi
nella pubblica considerazione e nell’onore” … e adesso era spuntato Leonardo
Dal Monte: ladro della Banda di Prete Negro.
Alla fine, tutta la banda, eccetto Prete Baldassare che riuscì a fuggire, venne torturata
facendolo loro confessare ogni addebito, e la Quarantia Criminal condannò tutti a morte il 05 giugno
1520. La sentenza venne eseguita il
giorno 8 successivo “fra le colonne della Piazzetta di San Marco”.
Le Cronache Veneziane in maniera un po’ aulica e buonista
riportano che Bertuccio Da Canal condotto al patibolo abbia esclamato
d'essere meritevole di pena maggiore, e che vedendo sulla porta della chiesa di
San Marco molta gente, che pareva volergli impedire di rifugiarsi nel “Sacro Recinto”, abbia aggiunto: “Non dubitate ch'io scappi
in chiesa, perchè vado volentieri alla morte in espiazione del mio fallo !” … E che ancora abbia detto al figlio
Taddeo:“Vienimi
accanto … Questo tuo Padre è qua ! … Giustamente il Cielo ci colpisce, dacchè
osammo violare tanti Vasi Sacri e tante Reliquie !”
Curiosità fra le curiosità: quando gli sventurati giunsero “fra le colonne”, il Boia stesso, reo e condannato per
contrabbando, lavorò con un piede legato perchè non fuggisse ... Senza esitare,
e privo d’emozioni però: tolse la vita a Bertuccio Da Canal e a Leonardo Dal Monte impiccandoli; quindi spiccò via la
testa dal collo a Taddeo Da Canal e al Barcaròlo Donato.
E qui finisce quest’ennesima
curiosità … raccontata una per volta.