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La Banda del Prete che faceva la “gatta morta” ai Miracoli nel 1520

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La Banda del Prete che faceva la “gatta morta” ai Miracoli nel 1520

Sorrido ogni tanto quanto sento osannare tanto, troppo, l’antica Serenissima per le sue doti integerrime, i valori, la probità, la Fede e il senso fortissimo della Giustizia. Tutto vero … ma anche no.

L’intera Storia della Serenissima, ieri come oggi, è punteggiata di inadempienze a tutti i livelli perpetrate da tanti dell’intera scala sociale: dal numero uno il Doge, fino all’ultimo dei popolani più miseri delle Contrade più periferiche di Venezia. Si: di certo ci sono state folle di persone oneste, uomini e donne Veneziani che hanno vissuto l’intera Vita nel rispetto delle regole sociali e dei valori precostituiti, non è, come sempre, da buttare via tutta Venezia insieme ai Veneziani: “C’è sempre il buono e il cattivo mescolati insieme.”

Ogni tanto, quindi, s’incappa in singolari personaggi, che hanno punteggiato la Storia Veneziana. E mi piace evidenziarli, perché più che spesso sono stati “casi curiosi” di persone insolite. Esistono a tal riguardo intere liste di accadimenti e condanne riguardanti i Veneziani “finiti male”. Non che la Repubblica Serenissima riuscisse sempre e comunque “a pizzicarli”. Molto spesso tanti rei riuscivamo a scappare salvando la pelle, e anche i loro interessi. Altre volte, invece: la rete si chiudeva, e chi rimaneva imprigionato, davvero finiva male in maniera esemplare: “perché tutti una tantum sapessero, vedessero, imparassero e temessero ciò di cui era capace la Repubblica Serenissima”.

Si … Più di qualche volta Venezia senza guardare in faccia ad alcuno, tirava giù dal loro altare o piedistallo anche personaggi importanti  come il figlio del Doge, o qualche illustre e potente Senatore, o qualche alta carica dello Stato … e ogni tanto anche qualche pingue Prelato o Frataccione o Mùnega impenitente … E questi qualcuno finivano male.

Ripeto: mica sempre … Esistevano a Venezia alcune categorie che per un verso o per l’altro risultavano sempre dei “perfetti intoccabili”.

Veniamo però al dunque ... L’episodio oltre ad essere ricordato nelle Raspe Veneziane, è raccontato anche dal mirabile Diarista Veneziano Marin Sanudo, che ha usato un’immagine secondo me bellissima, tipicamente Veneziana, per descrivere uno dei componenti della banda. Il presunto capo, o perlomeno uno dei protagonisti più in vista della banda di malviventi del 1520, dice il Sanudo: era un PreteVeneziano: “che di giorno faceva la gatta morta nella chiesa dei Miracoli, e di notte, unitamente ad alcuni galantuomini suoi pari , andava rubando gli argenti ora a questa, ora a quella chiesa della città e dei contorni.  Cioè: si fingeva esemplare e perfettamente a posto, perfetto nel suo ruolo Ecclesiastico, tanto da assomigliare nei modi al ruffianamenti mielosi tipici dei Gatti, che s’accoccolano e fanno le fusa a caccia di compiacimenti, coccole e simpatia.

Della banda facevano parte anche altri uomini spregiudicati ormai esperti, che già di loro avevano all’attivo diverse malefatte. Su tutti primeggiava comunque Prete Vincenzo Negro, detto Nievo.

I Negri o Negro erano fra le otto Casate Nuove aggiunte alla Nobiltà Veneziana a seguito della Guerra di Chioggia nel 1381. Erano una Famiglia di Notai e Preti soprattutto. Nei primi decenni del 1400, ad esempio: Bertuccio e Lorenzo Negri erano Notai a Venezia, Prè Antonio Negro era Rettore di Breda nel Trevigiano, mentre Prè Tomas era Rettore di Campocroce sul Terraglio. A metà secolo Francesco Negro era Piovano della Contrada di San Lio, e da quella passò alla Contrada di San Pantalon nel 1489, mentre Don Antonio Negro era titolare di un Chiericato a Sant’Adalberto di Plovenzano presso Lancenigo “Jus dell’Abate di Sesto di Treviso”, e Johannes Negro detto Zanino, “poco docile ai Canonici e di indole capricciosa”,fu prima: Prebendato Minore del Duomo di Treviso, e poi Pievano della Curazia di San Giovanni Battista dipendente dallo stesso Duomo.

Anche durante il 1500: stessa storia … Antonio Negri era Notaio a Venezia, come Girolamo, Silano, GiovanFrancesco e Giulio Negri che possedeva due casette con due botteghe ai Santi Apostoli in Calle del Fruttariol dell'Oca… Oppure i Negri erano Preti e Insegnanti, come il Chierico Joseph De Nigris, che insegnava Grammatica a 20 alunni “avendo scuola a San Giovanni Evangelista”Erano quasi sempre iracondi e bellicosi di carattere i Negri, perché:Marco Negri(1514) fu decapitato come assassino e omicida, Alvise Negro detto Cordellina(1556) venne decapitato ed bruciato per avere lungamente usato carnalmente colla propria figlia condannata a carcere a vita.

Niente da meravigliarsi quindi se anche Vincenzo Negri facesse il Prete. Quel che sorprende, invece, è che lo facesse falsamente dentro al ben“oliato e ricco sito Ecclesiastico di Santa Maria dei Miracoli, approfittando del suo ruolo e delle sue conoscenze per arricchirsi impunito” … A dire il vero, era uno dei tanti Preti Veneziani che vivevano in quel modo in quell’epoca. Molti di loro, spesso privi di competenze e ignoranti in Dottrina, tanto da non sapere neanche il Latino e recitare la Messa, si comportavano allo stesso modo. Cioè: badavano solo a sbarcare il lunario, e a vivere agiati approfittando del ruolo Ecclesiastico nel quale erano riusciti a inserirsi.

Non che la categoria dei Nobili fosse migliore.

Insomma … Vincenzo Negri era Prete zelante che si fingeva esemplare di giorno, mentre di notte e nel segreto era parte di una banda abbastanza disinvolta e spregiudicata che da tempo riusciva a saccheggiare e intaccare Venezia e la Laguna, riuscendo, soprattutto, a farla in barba alle indagini ticchignose della Giustizia della Serenissima ... che forse non cercava abbastanza, e dove doveva.

Nella chiesa-Monastero dei Miracoli, s’erano insediate inizialmente nel 1487:“12 Vergini provenienti dal Santa Chiara di Murano, tra le quali si scelse la prima Badessa Margherita.” Il Governo Veneziano vedeva di buon occhio quel Monastero Veneziano “povero ed esemplare”, che sapeva catalizzare moltissimi Veneziani con la sua Madonna Miracolosa. Per questo l’aveva esentato dal pagamento delle Decime, gli provvedeva frumento e legna, e inviava Oratori alla Curia Papale di Roma per ottenere dal Papa il rinnovo o la concessione di ulteriori Indulgenze:“Le venerande Donne Monache di Santa Maria dei Miracoli … sono Religiose osservanti di santa vita, le quali viveno di elemosina et sono bisognose delle cose per loro sostentamento necessarie… La si degni alle ditte povere Moniali prestar il suo benigno favore, concedendo loro Indulgenza Plenaria in ampia forma per le tre feste prossime della Resurrezione.”

Beh … Povere ed esemplari ? … Diciamola tutta: più o meno ... Anche ai Miracoli i Nobili Veneziani recludevano nel claustro le loro figlie. Quindi “povero” non era affatto il Monastero … Forse lo era a paragone con i grandi Monasteri ricchissimi e potenti della Città. Ma il tenore di vita che si prativa lì dentro non era affatto di Penitenza come si vorrebbe intendere, ma solo forse inferiore al lusso sfrenato che si praticava dentro alle grandi Cà Veneziane. Il Monastero dei Miracoli era di sicuro ricchissimo e sfarzoso se paragonato a come viveva buona parte della popolazione Veneziana, alla quale comunque chiedeva di continuo elemosina e sostegno.

Lo confermano i documenti storici: “Un Frate Domenicano Bartolomeo da Rechaneto dai Santi Giovanni e Paolo in cambio del servizio presso la Cappella Musicale del Monastero, otteneva gli introiti di una Mansioneria di Messe dei Miracoli con facoltà di trattenersene una parte lasciando il resto al Convento.” ... Nel 1507 Sanudo ricordava anche il “Perdòn di Natale” che si celebrava ai Miracoli richiamando gente in massa da tutta Venezia. Un altro “Perdòn” simile si celebrava poi, sempre ai Miracoli, il 25 marzo: Annunciazione e Festa dello Stato Veneziano.

Che significava il “Perdòn” ? … Gira e volta, che insieme a Confessione e Penitenza si doveva per ottenere il Perdono dei Peccati offrire ancora delle elemosine, o perlomeno dei ceri, o dell’incenso, oltre che delle preghiere e delle buone promesse di migliorarsi.

Siamo sempre là: dalle Monache dei Miracoli piovevano soldi in abbondanza … E quello forse, al di là di ogni popolare e sincera Devozione, era il vero “miracolo” per le Monache e il gran numero dei Preti, Frati e Confessori che ci ronzavano attorno … Non datemi del blasfemo: i dati storici parlano da se.

Durante il secolo, infatti, esistevano ai Miracoli 28 Mansionerie Quotidiane di Messe di cui 22 a spese dell’attiguo Monastero delle Clarisse che riscuotevano l’interesse dalle Banche-Zecca della Repubblica ... Altre 2 Mansionerie erano a carico della Pietà, ed altre 2 ancora a carico della Scuola di San Rocco ... Vi dirà poco il nome Mansionerie. Si trattava di una serie di Messe da celebrare in cambio di denaro … ma non di spiccioli e briciole, ma di somme, lasciti e finanziamenti notevoli che duravano per secoli.

C’erano Messe da diverso prezzo … e chi più poteva: più pagava e offriva.

Esistevano, infatti, altre 10 Mansionerie non quotidiane a carico di Nobili Famiglie ... e quelle si che rendevano parecchi soldi ... e lo fecero per secoli !

Dai resoconti delle Messe risulta che ogni giorno si celebravano ai Miracoli quasi 40 Messe comprese le Messe Avventizie dei devoti, cioè quelle estemporanee “ordinate” al momento … per un totale annuo di circa 13.000 Messe ... Erano soldi ! … Molti soldi … e Pre Vincenzo era là … di giorno … a maneggiare con altri Preti “tutto quel ben di Dio” che offriva la Provvidenza ai Miracoli.

In ogni Solennità Mariana dell’anno … ed erano parecchie: si celebravano Vespri e ulteriori Messe Solenni cantate dal Clero della vicina chiesa di Santa Maria Nova (non esiste più) invitati espressamente dalla Badessa del Monastero dei Miracoli, che li pagava profumatamente. Inoltre si celebrano tutti i riti della Settimana Santa, i Perdòn, che vi dicevo, con numerosissime Indulgenze lucrabili, fra le quali anche quella dei “40 giorni”, che si poteva ottenere … e comprare … ogni Sabato dell’anno, e la “Plenaria” nelle Feste della Madonna, nonché le Indulgenze di Privilegio per liberare le Anime dal Purgatorio ottenibili quasi tutti i giorni … I Miracoli erano una formidabile macchina da soldi … Il terrore tabù del “dopo Morte” con i temibili Giudizio e Inferno facevano il resto. Si era convinti, seppure in buona fede se volete, che in qualche modo “il dono della Salvezza” si potesse conseguire o comprare … o che perlomeno “la pena” si potesse mitigare e limitare.

A riprova di tutto questo, basti notare quanto bella venne resa la chiesa: coperta di marmi e piena d’opere artistiche preziosissime che possiamo ammirare ancora oggi ... Niente nasce dal niente.

I Miracoli a Venezia erano quindi “un nome”: un punto di convergenza e riferimento, di sicuro con un gran giro d’affari e soldi intorno e dentro. Non credo fosse un caso se uno come Prè Vincenzo vivesse proprio là. Attingeva infatti a piene mani dal quel “tesoretto” prestandosi e fingendosi “gatta morta”, cioè approfittando più che poteva della propizia situazione locale ... ma non gli bastava: voleva di più.

Soffitto dorato …. pavimento da sogno … cromati e preziosi marmi ovunque da favola … raffinate opere d’arte ovunque … I Miracoli erano uno scrigno favoloso di bellezza, ricchezza, devozione, e Venezianità ... quasi una porta spalancata sul Paradiso dove accorrevano senza sosta i Veneziani come Api sul miele.

“Non sempre è orto tutto ciò che luccica”: alla Visita dell’austero e rigoroso Patriarca Priuli del gennaio 1595 si denunciò fra l’altro che le Monachedei Miracoli cantavano canzoni profane e si vestivano da homeni per far dimostrazioni … e allevano galline che scorrazzavano liberamente nei dormitori: “…e che le giovani non vogliono conversar con le vecchie, ma stanno insieme unite nei loro oratori.”… e che il Monastero dei Miracoli dove si suonava cetra e liuto:“era visitato di frequente da secolari”… Non a caso capitavano proprio ai Miracoli diversi fatti di cronaca, come ricordava ancora una volta Sanudo a fine gennaio 1515: In questa mattina ussita fuora di la chiesia di Santa Maria di Miracoli una bellissima maridata, nomata Samaritana Zon, moglie di Zuan Franco Benedeto popular, et hessendo su la riva per montar in barca, et andar a caxa, era una maschera sentata sopra la riva, la qual vista, li dete di uno fuseto, e li tajò el viso da l'ocio fino alla bocha, sì che dita dona sarà guasta ... Di questo fo gran mormoration in la terra, adeo, inteso il Principe e la Signoria, terminono dar taja nel Consejo di X.” Di tale delitto venne accusato il Padovano Cardin Capodivacca, messo in prigione il 29 successivo. Ma nel 2 febbraio fu liberato come innocente, e citato al suo posto il NobilHomo Pietro Tiepolo quondam Paolo, che resosi contumace, venne bandito il 24 dello stesso mese.

Questo per dirvi quale sarabanda continua c’era ai Miracoli, e quali e quante cose sono lì accadute.

Tornando al dunque … Insomma: la Serenissima non erano mai riuscita a scovare, né tantomeno a prendere quella banda criminale che imperversava a Venezia e in Laguna. Da un bel po’ di tempo durava la faccenda e il vizio del gruppetto, tanto è vero che avevano “intaccato e danneggiato” ben dodici chiese e Conventi ...  E non si trattava di 12 chiese o Monasteri presi a caso. Erano stati scelti proprio per bene di volta in volta, e con estrema oculatezza e cognizione di causa.

La banda dei ladri era entrata in azione prima a San Nicolò del Lido, poi in un’altra occasione aveva attraversato il Bacino di San Marco sbarcando nella ricca Isola di San Giorgio Maggiore dei Monaci Benedettini. In un secondo momento aveva poi agito in giro per i Sestieri della Città: visitando prima San Antonio e San Francesco della Vigna nel Sestiere di Castello, poi la Madonna dell’Orto in quello di Cannaregio.

In altre occasioni ancora, la banda s’era portata “fuori porta”: cioè nelle Isole della Laguna Veneziana. Aveva agito nell’Isola di Santo Spirito, a San Francesco del Deserto, e avevano visitato capillarmente l’Isola di Murano realizzando diversi furti a San Pietro Martire, San Mattio e nell’Isola di San Michele.

Erano poi andati ancora più lontano: a Chioggia dove avevano visitato chiese e Conventi di San Domenico e San Francesco.

Infine: s’erano spinti a Santa Maria della Motta di Livenza nella TerrafermaVeneziana compiendo una vera e propria trasferta criminale.

Il solito Sanudo ha descritto nel dettaglio gli oggetti rubati di grande valore, scelti con cura ... I Ladri non erano mai stati scoperti, nonostante si operasse intensamente per scoprirli, e si fossero offerte nutrite e appetitose taglie su quegli anonimi lestofanti.

Per capire un po’ di più … La banda aveva iniziato a rubare a San Nicolò del Lido… Circa quel luogo, non s’erano ancora assopiti tutti i racconti e le parole circa Andrea Contarini già Podestà di Padova giudicato colpevole d’aver prestato falsa testimonianza su Angelino da Alemagna compagno di Paolo Trevisan Abate di San Nicolò del Lido, che aveva confessato d’aver ucciso Maddalena amante dello stesso Abate ... San Nicolò del Lido era un ricco, anzi: pingue Monastero. Possedeva quasi 1.000 campi nel Padovano, anche se si perdeva a lottare colpo su colpo contro l’Abazia “sorella” di San Giorgio Maggiore per guadagnare sui diritti di sepoltura … Seppellire un Nobile in chiesa era di sicuro un grande affare, quindi accaparrarselo era un successo ... Distrarlo e portarlo via da un altro ente Monastico: valeva forse il doppio … Nelle “classifiche” cittadine Veneziane: San Nicolò era collocabile e possedeva quanto il Monastero di San Cipriano di Murano, come quello di Santa Maria della Celestia, San Giorgio in Alga, e San Giovanni Evangelista di Torcello.

Andavano più o meno così le cose allora in Laguna ... A San Nicolò del Lido, infatti, come espressione di quel suo stato avanzato d’opulenza s’era iniziato a costruire un gran chiostro, e si diede in seguito mandato ad Andrea Palladio di costruire accanto alla chiesa un Arco e una Loggia in onore del Re di Francia Enrico III … Tutte cose che non potevano passare inosservate, né lasciare indifferenti personaggi come Prè Vincenzo Negro.

Secondo colpo riuscito della banda: l’Abbazia Benedettina di San Giorgio Maggiore in Isola… al di là del Bacino di San Marco: giusto in faccia al Palazzo dei Dogi e alla famosa Piazza. L’Abbazia “sorella” di San Nicolò del Lido era di sicuro da secoli la“numero uno” incontrastata di tutta Venezia ... Di sicuro una delle più antiche e potenti Abbazie delle Lagune, come Sant’Ilario di Fusina, San Zaccaria ed altre ancora ... L’Abbazia rivaleggiava con la Chiesa Dogale di San Marco nell’esprimersi al meglio in ricchezza, magnificenza e bellezza. La Biblioteca di San Giorgio Maggiore straripava di Codici e Libri … Si convocavano i migliori pittori, scultori, intagliatori, cantori e musici in Isola … s’era fatto il campanile nuovo, e si continuava a primeggiare grandemente nelle economie gestendo più di 300 beni, terre e Benefici sia in Laguna che nella Terraferma ... L’Abbazia continuava perfino ad ingrandire l’Isola bonificando abusivamente con fanghi e rovinacci nuovi spezzoni di barena e Laguna, e lo faceva con sfrontatezza sotto gli occhi del Doge che stava dall’altra parte del Bacino di San Marco. Tanto che il Doge finì col multare i Monaci di 350 ducati in grossi d’oro per ogni passo quadrato di bonifica effettuata. Solo nel 1530 si giunse a un accordo col Doge, che prevedeva la proprietà di nuovi lembi di terra tratti dalla Laguna dietro versamento di 260 ducati alla Repubblica Veneziana. I Monaci inoltre: si sarebbero impegnati a circoscrivere le nuove terre con muri e palizzate utilizzando gli alberi dei loro boschi che possedevano nel Trevigiano.

La Cappella-Corale Musicale di San Giorgio Maggiore si esibiva e sapeva produrre Musica a così alto livello, che i Maestri di San Marco andavano prima là a eseguire le loro nuove composizioni prima ancora di farlo nella Basilica Dogale… Non stupirà di certo sapere che sia Leonardo Donà che Marcantonio Memmo: futuri Dogi, era in precedenza Procuratori del Monastero di San Giorgio Maggiore in Isola … L’Abbazia ricca di sempre ulteriori lasciti e donazione testamentarie, negoziava e concedeva prestiti per decine di migliaia di ducati a Mercanti e Nobili, e perfino a Ducati e Governi. Raccoglieva censi e livelli, comprava, vendeva e macinava grano e cereali, e oltre a rifare del tutto e più sontuosa la chiesa per le mani di Andrea Palladio, aveva in mente anche di completare e ingrandire le fabbriche dell’Isola costruendovi: un nuovo Chiostro, una nuova Sala Capitolare, un Infermeria e Spiciaria(spendendo solo per queste due almeno 15.000 ducati), un nuovo Refettorio con rivestimenti lignei e tavoli intarsiati da Artigiani fatti venire apposta a Venezia da Firenze, e 4 figure intagliate, cioè: “un Cristo in croce, una Madonna, una Maddalena e un San Zuanne” da collocare sopra all’organo nuovo appena collocato in chiesa.

Mercanti e Artigiani, ma anche Veneziani qualsiasi investivano grandi e piccoli capitali su San Giorgio Maggiore: un Mercante di Lana 10.000 ducati al 5% per sua figlia Isabella; Basegio quondam Berto Fante dei Provveditori alle Beccarie ne investì 600; il Sarto Giulio Corsi: 800; Marieta Ortolana: 564; Eufemia Serva di Alessandro Alessandri: 320; Giacoma Massèra: 300 ducati … Nell’ultimo anno del secolo: Zuanna Vedova di un Lavoratore della Lana lasciò 500 ducati al Monastero di San Giorgio perché fossero investiti per il bene del Monastero e della Carità in Città.

Di fronte a tanta “Provvidenza e Grazia di Dio”, perché non metterci lo zampino sopra ?

Di sicuro Pre Vincenzo Negri e compari pensarono qualcosa del genere ... e si recarono quindi “a far visita” all’Abazia e all’intera Isola arraffando più che poterono.

Fu poi il turno della chiesa-Monastero della Madonna dell’Orto ... La chiamavano anche San Cristoforo, e sorgeva … e sorge ancora: dall’altra parte della Città: nel popolosissimo Sestiere di Cannaregio.

Anche lì: altra storia, ed altri appetibili beni da arraffare senza scrupoli ... Era trascorso appena un secolo da quando a Venezia s’era processata un’altra banda temibilissima di ladroni Fiorentini guidata da Benedetto di Bernardo residente ai Santi Apostoli. Anche loro erano stati a lungo irriducibili e imprendibili, e avevano messo a segno una lunghissima serie di furti con ricettazione di tanti oggetti rubati nelle chiese Veneziane. Facendo quattro conti, avevano preso almeno una ventina di calici da Messa, che avevano poi smontato e venduto a pezzi.

Le Cronache e i pettegolezzi dei Veneziani s’erano riempite delle loro imprese, e una dopo l’altra erano state derubate: Santa Maria della Carità; San Zaccaria; San Pantalon; Sant’Agostin; la Cattedrale di San Pietro di Castello; San Salvador;  San Giacomo e San Bartolomeo di Rialto e San Bartolomeo di Castello; San Giovanni Evangelista; San Marco; Santo Stefano; San Cristoforo cioè la Madonna dell’Orto; San Antonio di Castello; San Biagio e perfino la Locanda alla Serpe dov’era stata derubata la comitiva del seguito dell’Imperatore di Costantinopoli.

Se era andata bene a loro …Perché non ritentare ? … magari cercando di non essere pizzicati alla fine com’era capitato a loro.

Fino ad ora a Prè Vincenzo Negri & C le cose erano andate dritte … Quindi: Madonna dell’Orto stavolta.

Lì c’erano stati i Frati Umiliati, che nel 1433 erano terminati con una gran confusione per la dissolutezza dei loro costumi, l’inosservanza degli Obblighi Monastici, e l’avidità estrema ed eccessiva per la quale s’erano dotati. Erano stati denunciati al Papa Eugenio IV dalla Schola di San Cristoforo dei Veneziani, e al Consiglio dei Dieci della Serenissima che li aveva espulsi da Venezia. Il Papa seguente Sisto IV: li aveva poi soppressi riportando un po’ di tranquillità per tutti.

Agli Umiliati nel 1462 erano succeduti poi i Canonici Secolari di San Giorgio in Alga, che i Veneziani chiamavano: “i Celestini” seguaci di Lorenzo Giustiniani divenuto Patriarca di Venezia.

Perché nasconderlo ? ...Anche la Madonna dell’Orto era un’altra “formidabile macchina da soldi”, che da secoli catalizzava e solleticava la parte migliore e più sensibile dei Veneziani. Anche lì: “Miracoli e Devozione”: come e più che nella chiesa dei Miracoli, e quindi: grande giro di Indulgenze, Carità, Offerte, Riti, Suffragi e Donazioni.

Quell’epoca “chiamava così”, e non solo a Venezia e in Laguna.

Insomma: i venti Canonici nuovi arrivati nel 1503 avevano tirato su il bel campanile con la cupola in cotto e statue marmoree che vediamo ancora oggi: Il più stimabile dei campanili di Venezia, per singolarità di disegno, e regolarità di costruzione.”Il Priore Padre Jsidoro da Leonico prima, e Padre Isidoro da Lonigo e Padre Lazaro di Conti con Padre Daniele da Venezia Procuratore del Monastero avevanocommissionato poi a Jacopo Tintoretto, appena andato a risiedere in Contrada, tutta una serie di opere da collocare dentro alla chiesa destinata a diventare uno scrigno ancora più bello ... C’erano i soldi insomma alla Madonna dell’Orto, e anche tanti … Tutta Venezia sapeva che si stavano spendendo almeno 200 ducati per realizzare tutte quelle sontuose migliorie.

Se gli Umiliati erano stati sfarzosi e avevano fatto “gli splendidi”, beh: i Canonici di San Giorgio in Alga non si dimostravano da meno … Tanto che era giunto da Roma l’Ordine Papale di “normalizzare” pure loro: “in quanto, non avendo recitavano la Professione Monastica, non risiedevano stabilmente nel Monastero, erano ribelli e in conflitto con l’Autorità Ecclesiastica e resistenti alle Riforme del Clero.”

In realtà i Canonici Veneziani erano per lo più: intellettuali, umanisti colti, e uomini liberi che si muovevano a Venezia, nel Veneto e ovunque per l’Italia portando in giro idee scomodissime, che erano molto scomode per la Chiesa e il Papa.

A Venezia i Canonici erano:“… molto rispettati per aver vissuto religiosamente, senza scandalo…”, ma le accuse erano accuse, e quindi alla fine i Canonici si arresero alle richieste di Roma solleticate dal Nunzio Apostolico a Venezia: Giovanni Antonio Facchinetti.

Insomma: anche i Canonici della Madonna dell’Orto erano stati “imbrigliati”, ma restava che quel chiesone era una miniera d’oro tutta da scoprire e alleggerire … Ci pensarono quindi Prè Vincenzo e soci, che andarono nottetempo a visitarla ... e con successo.

Fu il turno poi di San Francesco della Vigna di venir saccheggiata ed alleggerita … Colpito dal fulmine il Campanile, come era accaduto anche a quello di San Marco, i Nobili Veneziani avevano fatto a gara nel far donazioni con i testamenti a favore di quel Complesso Frateresco dei Francescani. Girolamo Badoer, il Nobil Bragadin detto Fascella, Margherita Vitturi, Benedetto e Pietro Contarini avevano permesso con i loro lasciti di ampliare il Coro e la Cappella Maggiore, e ora i Frati stavano progettando di rifare l’intero Convento e di rendere “grandiosa” la Chiesa dove il Senato della Serenissima aveva dato ordine di collocare tutte le bandiere dorate della Capitaneria Generale da Mar di Venezia. Nella chiesa era stato sepolto anche il Capitano da Mar Domenico Trevisan… Da tempo si stavano raccogliendo fondi in tutta la Città e nella Laguna, e si chiacchierava molto di questo in giro per Venezia.

Prè Vincenzo Dal Negro dei Miracoli sapeva benissimo che, ad esempio gente come: Ambrosio Spicier “All’insegna del Melòn” aveva elargito ai Frati ben 300 ducati … Si volevano spendere almeno 3.500 ducati per innalzare una bella facciata della chiesa, e c’erano state molte altre offerte. Taddeo Bergamasco“diventato homo ricchissimo facendo il fruttivendolo in Piazza venne sepolto in San Francesco della Vigna. Al suo funerale intervennero 530 persone in gran parte del mestiere, insieme ai Canonici di San Marco, ai Confratelli della Scuola Grande di San Rocco che erano sfilati con 48 ceri: uno spettacolo ... I quattro figli avevano ereditato 20.000 ducati” Alla Vigna s’erano fatti seppellire offrendo grandi denari ai Frati anche i Dal Basso: Venditori di Panni approvati come Cittadini Originari e imparentatisi col Nobilissimo Agostino Bembo, del quale avevano redditi quattro volte superiori.

Insomma: c’era a San Francesco della Vigna gran movimento, il Dose Andrea Gritti aveva già posto la prima pietra della nuova chiesa … I lavori ora s’erano fermati per il cedimento di un pilone, e si stava modificando il progetto … Il tesoretto da scovare e rapinare quindi: doveva esserci, anche se si era sentito che ultimamente i Frati avevano investito molto al Monte Nuovo dello Stato. S’erano aggiunti però ad offrire molti altri Homeni Nobili e Illustri: Francesco Barbaro, Lorenzo Giustiniani, Marcantonio Morosini, Girolamo Bragadin che stava pagando la Cappella di Santa Caterina d’Alessandria, e Vettor Grimani che stava finanziando la realizzazione della Cappella dei Magi offrendo più di 350 ducati … Pietro Alessandro Lippomano diede 100 zecchini per un nuovo Altare Maggiore da fabbricarsi nuovamente nel Coro già pagato da suo fratello Zuan FrancescoLorenzo Donà dopo aver acquistato in chiesa tutta l’area intorno all’Altar Maggiore, aveva previsto per testamento di dare una somma al Convento “perché ogni mattina dopo sia detta terza, sia celebrata una messa de morti al detto altar grando.”… Lo stesso Doge Andrea Gritti voleva farsi seppellire là con tutta la su famiglia, e per questo aveva anticipato 1.000 zecchini al Convento.

Dove ci sono tanti Fiori: ci saranno anche molte Api, e ci sarà quindi anche tanto buon Miele … I Frati a San Francesco della Vigna erano diventato quasi ottanta … Perché aspettare quindi ? … Prè Vincenzo Dal Negro si mise all’opera anche là.

Altro bocconcino facile risultò essere Sant’Antonio di Castello(distrutto in seguito da napoleone per fare i Giardini). Non assomigliava per niente ai grandi “colossi monumentali Cittadini”, né aveva le grandi entrate delle altre chiese-Conventi “miracolosi”, ma dai tempi immemori delle Crociate per quella chiesa affacciata sul Bacino e sui Moli di San Marco, passavano tutti i Pellegrini diretti in Terrasanta prima d’imbarcarsi … E anche lì quindi: fioccavano elargizioni e soldi oltre che Penitenze e Preghiere più o meno sincere … Non a caso i Papi avevano obbligato certe Congregazioni a pagare metà delle loro rendite a Roma con la sua Camera Apostolica, oltre a omaggiarla ogni anno il giorno dei Santi Pietro e Paolo con una libbra di cera lavorata. I Papi riconoscenti in cambio confermavano e concedevano come al solito: Indulgenze, Benedizioni, Rendite e ulteriori privilegi.

Anche a Sant’Antonio di Castello c’era stato un recente avvicendamento di Canonici: erano subentrati quelli di San Salvador, che avevano ereditato nuove case e terreni vacui da un Tedesco della Contrada di San Pietro di Castello… Anche a Sant’Antonio quindi si stava costruendo un nuovo Coro in elegante marmo, e tombe e monumenti per ospitare Homeni Illustri come i Pisani e Pietro Grimani Priore dei Cavalieri GerolosomitaniEttore Ottoboni aveva fatto costruire un nuovo altare dedicandolo ai“Diecimila Martiri” offrendo ulteriori 20 ducati annui per la sua manutenzione … I Nobili Lando avevano fatto costruire una loro Cappella privata “con 20 ducati annui per Messa Quotidiana in memoria della Nobile Famiglia”… A Sant’Antonio di Castello si stava inoltre palificando l’orto, progettando un nuovo Dormitorio, nuovi magazzini sulla riva, nuova foresteria, e c’era un progetto per completare la facciata spendendo da 2.900 ducati ...  Erano venute fuori però anche le solite storie di Messe e Mansionerie officiate e non pagate, con le solite diatribe finite come sempre a processo: “Se la si voleva davvero l’Eternità, si doveva essere anche pronti a pagarla.”

Poi c’era stato un transitorio momento particolare di crisi nel Complesso di Sant’Antonio di Castello, quando tutto era stato chiuso per via che c’era un Padre malato di Peste, che era morto lì dentro. Tutti i Canonici erano stati messi sotto sequestro, ed erano finiti col fare la fame perché nessuno portava più loro viveri. Tanto era vero che la Santa Sede di Roma aveva loro concesso prestiti esentandoli per un anno d’inviare soldi a Roma, e la Serenissima li aveva transitoriamente sospesi dai Dazi, e autorizzati a questuare di nuovo in giro per Venezia “come d’antica consuetudine”… Ogni anno i Canonici di Sant’Antonio di Castello organizzavano un gran festa con pranzo il giorno di San Bartolomeo: “… alla quale partecipavano più di 400 invitati e oltre, in quanto veniva anche il Podestà di Motta con tutta la sua Corte, e Preti e Curati, e  altri …”

Prete Vincenzo Negro era presente fra costoro … e come si sa: “da cosa nasce cosa”.

La tattica della banda era semplice: agire, e poi starsene buoni per un po’. Poi: mentre li cercavano da una parte, loro agivano da un’altra. Tutti li cercavano a Venezia ? … Loro allora andavano “ad operare fuori”: nelle Isole della Laguna.

L’Isola di Santo Spirito fu la prima ad essere visitata … Lì c’erano fin dal 1430 la nuova Congregazione dei Canonici Regolari di Santo Spirito, che come sulle Zattere a Venezia praticavano e seguivano le indicazioni del movimento del Santo Spirito presente a Roma, ma diffuso in tutta Europa ... Solo che le mettevano in pratica a modo loro, e concedendosi parecchie libertà e trasgressioni ... Neanche a ricordarlo: anche i Canonici di Santo Spirito erano molto dotati e ricchi pure loro: nuova chiesa in isola adornata da opere di Tiziano e Palma il Vecchio, e numerosi salari a Fattori, Barcaroli, Cuochi, Sonadori, Cantori, Organista, Medico Cerusico, Barbieri e Precettore dei Frati che facevano di continuo la spola con Venezia o venivano ospitati nell’Isola “dove spesso si ospitavano Grandi e Principi di passaggio diretti a Venezia provenienti da Chioggia” ... Nell’isola era perfino funzionante una Stamperia per Libri e per Musica, e 1636 i Padri elargivano Doti annue da 5 ducati alle donne di Malamocco… Scriveva su di loro a Roma un dispaccio il Nunzio Apostolico Bolognetti da Venezia: “… l’eccesso di quei Frati di Sancto Spirito d’haver condotto donne et tenute in quel luogo loro.”

Non a caso a fine secoloFra Girolamo Lio: laico dei Canonici di Santo Spirito finì impiccato a Venezia “per ordine del Consiglio dei Dieci”.

Potevano forse Prè Vincenzo e Compagni mancare dall’andare a frugare dentro a un contesto del genere ?

Andarono poi in un’altra isola dalla parte opposta della Laguna Veneziana: quella di San Francesco del Deserto in Laguna Nord… Lì la situazione era diversa: più spartana e marginale … C’era pure là la confusione del subentro dei Frati Conventuali agli Osservanti… Anche là: restauri in Chiesa e Convento, nuovo Coro, nuovo Chiostro, nuovo Refettorio, in Isola si piantava un’infinità di Cipressi ... I Frati inoltre facevano affari d’oro con le sepolture dei Veneziani Lagunari, dei Treportini e di quelli di Sant’Erasmo nella loro isola. I Frati volevano perfino costruire un ponte di legno per congiungeva la loro isola con quella di Sant’Erasmo … Era dovuto intervenire il Vescovo di Torcello, che li aveva indotti a desistere da tutto quel traffico interessato di salme … a discapito degli introiti tradizionali di Torcello.

L’isola periferica di San Francesco del Deserto non assomigliava affatto nel giro di denari alle grandi realtà Veneziane, ma anche là si poteva facilmente “pescare”, e soprattutto agire indisturbati. Meno redditizia come patrimonio, e con meno cose da arraffare, ma anche meno rischiosa.

E anche lì la banda fece bottino facile prima di spostarsi nella più vicina e raggiungibile Isola di Murano. Una delle principali Isole della Laguna Nord, se non la più grande … L’Isola del Vetro, ma anche di diversi Monasteri di un certo prestigio e valore.

San Pietro di Murano“in primis”… Iniziando a interramento il grande spazio acqueo compreso fra il Monastero e l’Abbazia di San Cipriano, s’era costruito il nuovo campanile in Stile Veneto con l’Orologio Pubblico, e si stava ampliando e completando la chiesa rendendola a tre navate e con nove Altari, e con ampio Presbiterio. Proprio a San Pietro di Murano in quegli anni il Patriarca di Venezia Girolamo Querini, dopo lunghe controversie e polemiche con il Senato e la Repubblica sulla gestione della Chiesa e del Clero Veneziano:“… fu costretto ad abdicare e ritirarsi forzatamente a vita eremitica … memore delle vicende di Girolamo Grimani, Vescovo di Grado, che fu fatto precipitare “casualmente” da un’alta torre morendo”… Se si ritirava là un Patriarca: non doveva esserci un tugurio di morti di fame … Quindi la banda andò fruttuosamente a “lavorare” anche nel sito Muranese.

Da San Pietro di Murano a San Michele di Murano sono proprio due passi … Anzi: solo un paio di remate in barca. San Michele dei Padri Camaldolesi era un Monastero delle Lagune più che illustre, dove c’era all’opera Frà Mauro: il famoso Cartografo della Serenissima, quello dei famosi globi e mappe redatte ascoltando i resoconti e i rapporti di viaggio dei Mercanti Veneziani e Forestieri. C’erano inoltre molti Monaci eruditi di grande produzione letteraria, che avevano costanti contatti con tutto l’ambiente letterario Patrizio e Mercantile Veneziano. Non a caso, la prima traduzione in Italiano sia dei Gravamina Nationis Germanicae, che dell’intera Bibbia venne realizzata proprio da Nicolò Malerbi Monaco Camaldolese di Murano nel 1471 … Michele Venier Procuratore di San Marco aveva donato i due tappeti-arazzi più grandi e più belli dei suoi bancali di bottega: uno al Monastero di San Michele di Murano e l’altro a San Francesco della Vigna … Leonardo Loredan aveva finanziato la decorazione pittorica del soffitto a cassettoni e la ricostruzione della cupola … Il Convento, la Foresteria, la Cavana e il Campanile dei 27 Monaci Camaldolesi erano stati appena ricostruiti sotto la direzione del Lombardo, Mauro Condussi aveva costruito la facciata della chiesa, e Guglielmo Bergamasco aveva realizzato l’ormai famosa Cappella Emiliani per testamento di Margherita Vitturi vedova del Patrizio Giovanni Emiliani o Miani… La Congregazione di San Michele formata inizialmente dai soli tre Monasteri di San Michele in Isola, San Mattia di Murano e Santa Maria delle Carceri di Este, su richiesta della Repubblica s’era allargata a comprendere tutti i Monasteri dei Camaldolesi dello Stato Veneto ... I Monaci vendevano e compravano tenute e proprietà in Terraferma … Si spendevano annualmente 260 ducati per spese ordinarie per: ovi, pesce, mandorle, uva passa, risi, farro et altri legumi, capri e foresteria e per adornare la chiesa nella festa di San Michele e mantenere l’organo accordato…

Soldi … soldi … soldi quindi: anche là … e molti. Un altro luogo da visitare ed alleggerire.

Poi andarono a far visita al Cenobio di San Mattio di Murano… Travagliatissima la storia dei Camaldolesi Muranesi, che erano una sorta di dependance del più celebre San Michele. Lo scriptorium di San Mattia, creato assieme alla Biblioteca nel 1392 dall'Abate Paolo Venier compilava codici miniati, ed era famoso inoltre per aver nel chiostro, vicino alla porta della chiesa, la sepoltura di un personaggio singolare considerato ormai miracoloso. Nel primo decennio del 1400, infatti, di notte erano entrati dei ladri nel Monastero, e avevano strozzato Daniele Ungrispach: Nobile “facoltosissimo” Friulano, di Famiglia iscritta alla Cittadinanza Udinese. Si trattava di un ricco Mercante di Vaio (Ermellino) che commerciava con i Varoteri Veneziani, che avevano Schola in Campo Santa Margherita. Giungeva fino in Laguna sul percorso fluviale Pordenone-Noncello-Venezia. Durante la sua attività imprenditoriale e lavorativa, usava San Mattio di Murano, che lo affascinava molto, come base di riferimento per i suoi spostamenti Veneziani ... Era un uomo intraprendente, che aveva fatto anche il Podestà di Pordenone. Ricco di risorse quindi, e ben affermato in affari. Alla fine s’era ritirato proprio lì a San Mattio come “Commissus”, cioèOblato, per condividere la vita monastica con i Monaci che gli erano simpatici. Per testamento aveva stabilito di donare 500 ducati al Monastero, e altri 100 per la celebrazione perpetua annuale di una Messa nella ricorrenza del suo decesso. Infine aveva disposto d’essere sepolto nel Monastero di San Mattia.

Era stato del tutto casuale il delitto, o c’erano stati sotto scopi ben precisi ? … Erano magari ex clienti, gentaglia che immaginava di poter mettere le mani sul grosso malloppo del facoltoso ex Mercante e Podestà ? … Non si seppe mai.

San Mattio comunque in quegli ultimi anni aveva preso una piega decisamente diversa. Stava diventando famoso per la sua decadenza spirituale e sregolatezza piuttosto che per la sua santità. C’erano stati molti maneggi del Monaco Antonio Bianco da Venezia per farsi eleggere Priore, poi per diversi anni aveva continuato a corrompere i Monaci Camaldolesi per governare a modo suo il Monastero con le sue proprietà e patrimoni. Accadevano cose strane lì in Laguna: “Monaci e Priori insomma, avevano portato grande pregiudizio sul Monastero con quelle loro condotte irregolari.”

Nel 1431 il Capitolo Generale dei Camaldolesi a Bertinoro aveva condannato il nuovo Priore di San Mattio: Angelo Ciera a un anno di penitenza presso l’Eremo di Camaldoli accusandolo di sodomia con un giovane di nome Agostino espulso dal Monastero di Murano. Il Priore non solo aveva rifiutato la segregazione a Camaldoli, convertendola in isolamento da scontare a San Mattio di Murano, ma sostenuto da Patrizi Veneziani aveva iniziato anche una nuova convivenza con un altro giovane, rifiutando le ispezioni degli incaricati del Priore Generale dei Camaldolesi. Aveva poi venduto la maggior parte dei beni fondiari che il Monastero deteneva nel Padovano, Trevigiano, Faentino ed Istriano investendo il capitale in Banche Veneziane, comprando Titoli Pubblici del Debito Veneziano, e intestandoli a se stesso. Aveva anche rifiutato di controllare e gestire tutti gli Eremi Suffraganei al San Mattio di Murano, cioè i Conventi della Giudecca, Bologna, Chioggia, Bagnocavallo, Faenza e Pesaro liberandosi dal carico impegnativo e gravoso del governo: “Che si arrangiassero i Monaci !”

Solo dieci anni dopo, il nuovo Priore Generale Gomes sostenuto dal Papa Veneziano Eugenio IV Condulmer, era riuscito a deporre il Priore di San Mattio insediando Felice Pavoni come nuovo Priore. Qualche anno dopo, il vecchio Priore Ciera aveva tentato di nuovo di riappropriarsi del Monastero, ma stavolta il Senato Serenissimo s’era opposto appoggiando il Priore Pavoni ... Solo verso la metà degli anni 60 il nuovo Priore Nicolò de Tommasi da Tolmezzo riuscì a rientrare in possesso di parte dei beni alienati dal vecchio Priore Ciera convertendoli in investimenti sulla piazza Veneziana. Riuscì anche a riprendere il controllo dei Monasteri Suffraganei, ma solo per girarne il controllo all’Abate di San Sepolcro Girolamo De Grifonis ... Servirono cinquant’anni perché la Congregazione di San Michele in Isolae di Murano riuscisse a ritrovare un po’ di pace, armonia e concordia ... Altro che santità !

Insomma: dovevano esserci di sicuro bei soldi e cose preziose da accalappiare nel Cenobio-Scriptorium di San Mattio.

E la banda Veneziana di Prete Negro ci fece visita … e con eccellente risultato.

Tutti li cercavano allora a Venezia e nelle Isole Lagunari ? … Bene … E loro andarono allora a svaligiare e rubare altrove: in Terraferma, o a Chioggia: dove non s’aspettavano il loro intervento.

Anche a San Francesco di Chioggia, infatti, dovevano esserci bei denari per via dei restauri in corso … Nel 1459 i Francescani Conventuali erano stati sostituiti dai Minori Osservanti o Zoccolanti che ricorsero più volte alle autorità civili per impetrare aiuti economici. I Frati avevano da tempo lasciato il Convento fuori Chioggia, che durante la guerra con i Genovesi era stato incendiato e distrutto. Nel 1512 il Vescovo di Chioggia aveva concesso il luogo abbandonato alle venti Monache “Bianche” di Santa Caterina di Chioggia della Badessa Scolastica Soranzo. Le celle erano così piccole e strette che le Monache erano costrette a tenere le casse dotali nei corridoi …  Le Monache consumavano 50 quintali di frumento annui e 150 ettolitri di vino ... Con i finanziamenti soprattutto dei Nobili Cestari era stata rifatta la e abbellita la chiesa, e tutti sapevamo che le Monache dalle molte rendite erano in lite continua con i Nobili Querini di Venezia che avevano diversi beni ad Ariano Polesine confinanti con i loro.

C’erano soldi e cose preziose da prendere anche là … E perché no ? Ce n’erano anche nel vecchio San Domenico dei Domenicani di Chioggia risalente al 1290 … Lì risiedeva una decina di aitanti Padri Domenicani, per lo più non Chioggiotti, dispensati dal pagamento delle Imposte sul vino. Pure là s’erano avviati restauri per almeno 600 ducati, e tutti sapevano che il Comune aveva contribuito dando 10 ducati. Se c’erano lavori e restauri, significava che il Padre Sindaco dei Domenicani doveva avere disposizione di soldi. Già s’era costruita una Cappella nuova fiammante dedita a San Tommaso d’Aquino, e si diceva che il Vescovo Nacchianti aveva messo a disposizione bei soldi ... La banda di Prè Negro decise quindi di andarli a trovarli per prenderli: era la loro nuova impresa.

E avanti così … Fu poi il momento della Motta di Livenza: luogo insospettabile davvero lontano da Venezia, ma in ogni caso: altro luogo pingue dove andare a mettere le mani tornandosene più ricchi di prima.

Conclusione … Fu il caso alla fine, a realizzare quello in cui non erano riuscite le indagini della Giustizia Veneziana.

Il Prete Negri, infatti, che oltre ad altri vizi aveva anche quello di spacciare moneta falsa: venne pizzicato e preso mentre tramacciava nei suoi loschi affari. Venne quindi carcerato, interrogato e debitamente torturato. Gli fu chiesto quindi se per caso conosceva gli autori di tutti quei misteriosi e ripetuti furti accaduti … Se l’avesse svelato, il Consiglio dei Dieci oltre a concedergli la Grazia della liberazione, gli avrebbe dato anche i cinquanta ducati della taglia posta sulla testa di quei misteriosi e anonimi ladri.  Da buon furbastro qual era, Prete Negri non perse l’occasione, e accettò subito la proposta “squacquarando tutto quanto sapeva”. Cominciò col confermare che era proprio sua quella famosa banda imprendibile autrice di tutti quei furti sacrileghi che avevano interessato l’intera Laguna. Svelò poi che insieme a lui c’era anche un altro Prete Baldassare… Vista l’indecisione e la renitenza nel svelare tutto quanto sapeva, gli venne dato allora un altro bel “tiro di corda”. Prete Nievo allora “cantò come un Fringuellino, e si ricordò molte altre cose sbottonandosi del tutto”. Rivelò che anche il Patrizio Bertuccio Da Canal, e Taddeo suo figlio erano coinvolti nell’impresa e facevano parte della banda.

I Nobili Da Canal coinvolti ! … Chi l’avrebbe mai detto ? … Ma forse si … Ancora loro.

I Da Canal erano venuti da Altino e Ravenna, poi s’erano iscritti alla Balla d’Oro con 11 Padri e 23 Figli. Erano Nobili facoltosi perchè possedevano rendite nel Padovano: a Ponte di Brenta e sui Colli Euganei ex Gastaldie dei Carraresi. Lì producevano vini pregiati: “da vitischiave, negrete, pallestre, garganiche, moscatelle, marzemine…coltivate a pergola, a broli o promisque e a piantata.” …. A Venezia i Da Canal erano conosciuti soprattutto come abili Notai, ma erano stati anche Massari nella Zecca dello Stato, dove Fantino Morosini e appunto: Daniele Da Canal erano stati scoperti a punzonare pezzi d’argento di scarsa qualità e minor peso spacciandoli per buoni, intascandone così la differenza. Erano stati processati e condannati all’esclusione permanente dalle cariche dello Stato, e multati ciascuno di 100 ducati … Sui Da Canal si raccontava poi, che quando Venezia aveva perso a Negroponte nel 1470: i Da Canal facevano parte degli arcieri delle Galee della Flotta Veneziana. Risultavano registrati sulle liste di bordo anche come: Vinai, Cuochi e Servitori, ma in realtà non s’erano mai imbarcati. Era stato Niccolò Da Canal ex Ambasciatore e Comandante della Flotta a segnarli facendosi corrompere e intascando lauti compensi. Il Senato l’aveva riportato “in ferri” a Venezia, l’aveva processato, e relegato in esilio nelle sue terre di Portogruaro, e aveva messo il Nobile Pietro Mocenigo al suo posto.

Alvise Da Canal aveva provato in seguito a ridare un po’ di lustro e credibilità al Casato accettando di andare a fare il Provveditore del Castello di Corfù rimettendoci del proprio, ma venne subito smentito da Bernardo Da Canal Podestà e Capitano di Altinari, scoperto a rubare il denaro del Comune e dei Cittadini portando alla rovina le economie del paese. Anche lui venne condannato a un anno di prigione, alla restituzione del maltolto, a 100 ducati di multa, e all’esclusione per quattro anni dalle Cariche degli Uffici e dai Consigli …

E adesso, nel 1520: era arrivata appunto la storia di Bertuccio Da Canal, che aveva prima sposato una figlia di Giacomo Dolfin: altra Famiglia Nobilissima, poi aveva messo al mondo il figlio Taddeo con la figlia di Angelo Amadi: altra buona famiglia Veneziana.

Taddeo a sua volta, sposando una figlia naturale del “pezzo grosso”Pietro Barbaro aveva avuto due figli: Benedetto ed Antonio, che avevano sette e cinque anni quando Padre e Nonno vennero condannati ... Per non smentire la tradizione di famiglia, anche Antonio Da Canal venne in seguito bandito da Venezia “per ratto donnesco” ... Stravaganza, vizi, permessivismo, sopruso e attitudine al delitto: erano spesso la normalità dentro alla categoria dei Nobili e dei Cittadini Veneziani … Chi avrebbe potuto arginarli ?

Nessuno … o quasi.

Bertuccio e Taddeo Da Canal, quindi, avevano bellamente frodato l’Erario della Serenissima, già prima di far parte della banda di ladri di Prè Negro. Bertuccio quand’era stato Visdominodel Fontego dei Tedeschi s’era appropriato di 629 ducati finendo condannato a rifondere il capitale più la metà della somma rubata, ad essere annualmente proclamato come ladro in Maggior Consiglio, e alla perdita di tutte le Cariche di Stato per cinque anni ... Non aveva pagato, perciò s’era fatto un bel po’ di prigione ... Taddeo, il figlio: non era stato diverso dal Padre, in quanto aveva fatto come lui quando aveva ricoperto una carica allaTernaria Nuova.

Poi erano finiti entrambi col far parte della “gang lagunare”.

Diciamolo va ! … per curiosità storica. Fra i Da Canal ci furono in seguito anche: Angelo, Marco e Girolamo Da Canal Notai Veneziani, che seppero risollevare l’immagine e le sorti del Casato.  Marco Da Canal fu anche Capitano in Golfo: “segnalatosi in molte azioni, e per aver catturato nel 1533 il Moro d'Alessandria: terribile Corsaro, quando il padre Cristoforo Da Canal morì da freccia inutilmente difeso dallo stesso figlio con uno scudo”… Forse è meglio non dire che poi ancora una volta: un altro Marco Da Canal e un Valerio Da Canal finirono decapitati e bruciati a Venezia per ordine del solito Consiglio dei Dieci.

Secondo quanto rivelò ancora Prete Negri, coinvolti nella banda c’erano anche: Leonardo Dal Monte, e un Barcaròl di nome Donato spinto dalla necessità perchè aveva ben sette figli da mantenere ...I Monti o Monte o Dal Monte o Montini eranoCittadini Veneziani Originari:“… godevano di comodo censo, avevano tomba di famiglia in San Geminian in Piazza san Marco, e botteghe di droghe e ferramenta “All’insegna del Gambero” in Contrada di San Luca: in Calle dei Fabbri, dove avevano la Cà Vecchia, che abitavano stando in solèr in due appartamenti.”

I Dal Monti non godevano di buona fama in Città, per via di una storiaccia del 1477, quando Alvise dal Monte era stato accusato insieme a Vettor Ciocha, Nicolò Fligerio, Feleto Feleti e Mastro Matteus Murarius et Marangonus: “d’aver dormito nel Convento dell’Isola di Sant’Angelo in Laguna, conoscendo carnaliter le Monache con le loro Domestiche.” Erano stati tutti condannati a due anni di carcere, e l’episodio aveva suscitato grande clamore a Venezia, perché nella baraonda generale c’erano andati di mezzo anche nomi di Nobili illustri come: Paolo Soranzo, Gerolamo Barbarigo, Alvise Barbo, Domenico Trevisan, che a loro volta vennero condannati a 4 mesi di carcere e 100 ducati di multa … Stessa cosa anche con Pietro Lando e un Vicentino: Angelo Buso.

Tutta una serie di storiacce insomma ! … Ci avevano messo un secolo intero i Del Monte “per riaversi e riabilitarsi nella pubblica considerazione e nell’onore” … e adesso era spuntato Leonardo Dal Monte: ladro della Banda di Prete Negro.

Alla fine, tutta la banda, eccetto Prete Baldassare che riuscì a fuggire, venne torturata facendolo loro confessare ogni addebito, e la Quarantia Criminal condannò tutti a morte il 05 giugno 1520.  La sentenza venne eseguita il giorno 8 successivo “fra le colonne della Piazzetta di San Marco”.

Le Cronache Veneziane in maniera un po’ aulica e buonista riportano che Bertuccio Da Canal condotto al patibolo abbia esclamato d'essere meritevole di pena maggiore, e che vedendo sulla porta della chiesa di San Marco molta gente, che pareva volergli impedire di rifugiarsi nel “Sacro Recinto”, abbia aggiunto: “Non dubitate ch'io scappi in chiesa, perchè vado volentieri alla morte in espiazione del mio fallo !” … E che ancora abbia detto al figlio Taddeo:“Vienimi accanto … Questo tuo Padre è qua ! … Giustamente il Cielo ci colpisce, dacchè osammo violare tanti Vasi Sacri e tante Reliquie !”

Curiosità fra le curiosità: quando gli sventurati giunsero “fra le colonne”, il Boia stesso, reo e condannato per contrabbando, lavorò con un piede legato perchè non fuggisse ... Senza esitare, e privo d’emozioni però: tolse la vita a Bertuccio Da Canal e a Leonardo Dal Monte impiccandoli; quindi spiccò via la testa dal collo a Taddeo Da Canal e al Barcaròlo Donato.

E qui finisce quest’ennesima curiosità … raccontata una per volta.


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