“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 69.
“LE AGNESINE … A VENEZIA.”
Fra le tantissime realtà minori ma singolari scomparse a Venezia ce n’è una davvero curiosa. A differenza di molte altre cancellate, avvilite e depredate dalla mano devastatrice del solito Napoleone all’inizio del 1800, questa si è, invece, “estinta ed esaurita” da sola ben molto tempo prima. Si tratta del Priorato di Sant’Agnesina, o Scuola e Ospizio di Sant’Agnese e delle Agnesine la cui sede si trovava sull’attuale fondamenta Gherardini sul Rio di San Barnaba al civico di Dorsoduro n° 2829.
Le ultime vicende di quella particolare realtà, assistenziale per modo di dire, risalgono al 1664 quando per motivi imprecisati l'Ospissio-Ente cessò la sua attività di accoglienza e venne soppresso. Dieci anni dopo la sua sede fu data in affitto al Nobilomo Giuseppe Barbarigo per la somma annuale di 150 ducati il cui incasso venne devoluto allo scopo iniziale dell’opera che era quello di accudire alcune “povere garzone dette Agnesine”.
Le ultime vicende di quella particolare realtà, assistenziale per modo di dire, risalgono al 1664 quando per motivi imprecisati l'Ospissio-Ente cessò la sua attività di accoglienza e venne soppresso. Dieci anni dopo la sua sede fu data in affitto al Nobilomo Giuseppe Barbarigo per la somma annuale di 150 ducati il cui incasso venne devoluto allo scopo iniziale dell’opera che era quello di accudire alcune “povere garzone dette Agnesine”.
Povere mica tanto però, visto che si trattava quasi del tutto di ragazze Nobili e Cittadinesche. E allora ?
Allora lo scopo non era meramente il sussidio economico, ma, invece, un certo tipo di “Educazione esemplare”, una sorta di formazione umana, civile, religiosa di qualità impartita alle ragazze. Le Agnesine quindi, erano un po’ come “Le Marie”, delle piccole elette, delle “Putte speciali” formate dentro al cuore e “al modo” della Serenissima.
All’inizio di tutto però, nel lontanissimo 1325 circa, ossia parecchi secoli fa, ci fu un’aggregazione cittadina per soli uomini … Erano 550 per la precisione, mica pochi. Non erano una rarità per quei tempi, si trattava di una di quelle associazioni che anche a Venezia si definivano: Schole, che riunivano persone con un misto di scopi devozionali, civici, lavorativi, assistenziali e caritatevoli … e altro ancora.
Il luogo di riferimento dove s’aggregavano era il portico prospicente la chiesa di Sant’Agnese nell’omonima contrada popolare del Sestiere di Dorsoduro. Oggi quel portico con un quel loro “loghetto” per il cui uso gli iscritti pagavano un affitto ai Preti di Sant’Agnese di un ducato d’oro annuo con un contratto rinnovabile ogni 29 anni, non esiste più, mentre permane ancora la chiesa vetusta gestita oggi dalla Scuola e Congregazione dei Cavanis in fondo alle Zattere accanto ai Gesuati. Ma oggi è tutta un’altra cosa …
Ciò che è curioso, invece, è l’assiduità, la radicalità d’intenti con cui quegli uomini si radunarono insieme, e soprattutto il codice di vita austero, severo e rigido che abbracciarono. Oggi farebbe gridare al conservatore e al forte bigotto intransigente ... Solo che quelli facevano sul serio quella volta.
Se si va a sbirciare un poco dentro alla loro Mariegola che raccoglieva ed elencava come uno Statuto i loro regolamenti di vita, si scopre che quelli che si iscrivevano alla Schola lo facevano mettendosi in ginocchio e recitando un “Pater Noster e un Ave Maria”… ma si potevano iscrivere anche i Morti ! … I defunti ? Sì. Proprio loro … ecco perché c’erano tanti iscritti, forse. Infatti una delle prime preoccupazioni della Schola era proprio quella di far celebrare per tutti i Morti ogni mattina una Messa cantata (ossia di buona qualità) davanti all’Altare privato della Schola dove ardeva giorno e notte perennemente una lampada pagata e alimentata dai consociati.
Gli iscritti avevano l’obbligo dovunque si trovassero a vivere, quindi anche fuori Venezia o all’estero, di andare a “caccia” di poveri confratelli per visitarli e assisterli. Coltivavano un fortissimo senso d’aggregazione … quasi da setta … Tutti gli iscritti (Morti compresi che non mancavano mai all’appello) avevano l’obbligo di presenziare ogni seconda domenica del mese a una Messa-convocazione davanti all’altare di Sant’Agnese nella chiesa omonima ... Per chi era assente erano dolori: dopo sei assenze si veniva radiati e cancellati perdendo ogni privilegio e assistenza.
Veniva radiato, ossia “rassato”, anche chi litigava, chi non viveva in maniera esemplare rispettando le regole della Schola, chi incorreva in debiti di gioco e perfino chi tradiva la moglie … Tutto veniva puntualmente segnato dentro a un apposito “Libro dei difetti”.
Nel 1369 un apposito Guardiano passava di casa in casa visitando e informandosi di eventuali confratelli morti, ma soprattutto esigendo che fossero pagati i debiti “per le Messe e per recitare i 7 Salmi Penitenziali”. Per chi fosse stato in regola la Schola si sarebbe fatta carico di recitare “50 Pater-Ave” per i loro Morti di casa.
Si sa, ad esempio, che fra 1397 e 1398 il Lucchese Jacopo Tommasini, abbiente mercante tessile trapiantato a Venezia da Lucca, ricoprì la carica Gastaldo della “Nobil et Veneranda Schola”.
Chi veniva cancellato poteva essere riammesso “per Misericordia” dopo un anno di sorvegliatissima prova, ma sarebbe stato eternamente “in ira di Dio” chi avesse osato andar contro e “disfar” lo scopo della Schola.
Inizialmente, ossia per secoli, le donne furono accuratamente escluse da quel consesso, salvo permettere loro d’iscriversi dal 1457 quando scesero vertiginosamente le adesioni dei maschi: “… per evitare la rovina della Schola” fu la motivazione data ufficialmente.
I congregati che sapevano tutto di tutti non solo della gente della Contrada ma anche di buona parte di Venezia, si radunavano obbligatoriamente tre volte l’anno: poco prima di Natale, a Pasqua per le elezioni alle cariche interne, e all’inizio di Agosto.
Il giorno della festa di Sant’Agnese si consegnava ad ogni iscritto: “un pàn et candela” come era costume offrire anche in altre Schole cittadine.
E siamo giunti finalmente “al dunque”.
Nel 1376, precisamente il 21 ottobre, a cinquant’anni circa dalla fondazione, uno degli iscritti: il Nobilomo Angelo Condulmer, padre del futuro Papa Veneziano Eugenio IV, offrì alla Schola dei soldi e dei beni con lo scopo iniziale di costruire un Ospissio per dare accoglienza a dodici bambine veneziane orfane, indifferentemente Nobili o Cittadine, assistendole e mantenendole praticamente fino all’età di vent'anni.
Le “putte” selezionate accuratamente, dovevano essere di “buona famiglia” ed avere: “non meno di sette e non più di dieci anni”, e fatalità … erano quasi sempre figlie di iscritti o affiliati. Venivano affidate alle cure di una Priora che le “allevava”dando loro una “sana formazione” anche qualora fossero venuti a mancare e morire quelli di famiglia … (tanto seppure Morti rimanevano parte degli iscritti ugualmente).
La gestione delle Agnesine accadeva dunque sotto il controllo e l’alto patrocino della Schola de Sant’Agnese, che con ben 12 Governadori gestiva la situazione delle “povere garzone” aggiornando puntualmente tutti gli altri “Confratelli”.
“… debba esser Agnesine quelle povere garzone abbandonate dal padre, come apparirà più necessitose … le quali doveranno essere fie de boni homini e bone femine citadine de Venezia nate da legittimo matrimonio …”.
Ogni tanto, si voleva “mettere in mostra” le ragazze che erano tenute a presentarsi con la Priora ai riti sull’Altare di Sant’Agnese in chiesa a San Agnese, e per praticità d’uso si fece costruire e finanziare un altro altare anche a San Barnaba poco distante dal complesso dove abitualmente vivevano le “putte”.
Le ragazzine “in mostra” erano come un avatar, un pubblico e visibile sinonimo di gentilezza, educazione, finezza, morigeratezza, stile, cortesia, bontà interiore … “una somma incarnata delle più belle virtù”, donne idealizzate seppure in carne e ossa. E per far lievitare queste loro doti interiori si concedeva loro anche una “dota” economica personalizzata derivandola dalle copiosissime elemosine che la Schola raccoglieva in giro per tutta Venezia. Il “Priorato et Schola di Sant’Agnesina”, infatti, provvedeva al loro mantenimento e forniva educazione ed istruzione. Provvedeva a: “… farle governare e spesare et insegnare arte sin che avevano 13 o 14 anni e anche più ...” Terminato il ciclo formativo trovavano sistemazione definitiva facendole sposare “honoratamente”con Nobili meritevoli, o trovando loro posto in qualche illustre monastero cittadino ... di cui Venezia certamente non difettava.
Nel 1526 il numero delle “Agnesine ospiti” era stato ridotto ormai da parecchio tempo a sei, per cui il beneficio dell’ospitalità, educazione e assistenza delle “putte” si protraeva quasi sempre oltre l’età prevista e fino al matrimonio o alla monacazione.
In gennaio il Diarista e Nobile Sanudo le descriveva così, come uno spettacolo da godere: “ … nella sua chiesa di San Barnaba vidi licet sopra un solareto le 6 pute di anno 8 in nove l’una, fiole di quelle de la Schola, qual vestite mezze bianche e mezze rosse, con caveli zo per spala ed una zoia de verdure in testa ... Stanno in caxa a San Barnaba dedicata a questo, con una maestra a la qual se li da ducato 40 all’anno; e a queste vien fatto le spese e insegnatoli lezer e lavorar fino siano a età perfetta de maridar o altro; e vien maridate di danari de la Schola per certo lasso quali Procuratevi scodeva … ma per parte presa quest’anno in Pregadi, il governo è stato dato a quelli de la scuola … e dieno tenir 12 pute, ma per adesso tien 6 qual si eleze di quelli de la Schola con certo ordine bellissimo ...”
Nel 1580 il “Priorato delle bambine” a San Barnaba venne ristrutturato su disegno di Giacomo Leoncini, e per coprire le spese dei restauri si riaprirono le iscrizioni alla Schola accogliendo altri “50 Cittadini honorati” che avrebbero pagato 1 scudo ciascuno. I cinquanta posti vennero occupati subito dai Veneziani, e andarono “bruciati” e pagati in pochissimo tempo …
Le Agnesine erano perciò “un fiore all’occhiello” per tutti i Veneziani, delle donne “di garbo”, quasi un monumento vivente di leggiadria, bellezza e buona maniera di vivere. Nel 1590 Acuzi Camilla quondam Sebastian consorte di Gerardo Cavanis lasciò morendo dei legati all’Ospedale dei Derelitti, alle povere Zitelle della Giudecca e all’Ospedaletto di Sant’Agnesina a San Barnabaal quale donò anche la casa dei Cavanis in Contrada di Sant’Agnese e diversi beni e terreni a Cordugno presso Noale.
Anche nel 1593 le cronache cittadine ricordano come le Agnesine, “Priora et Putte”, si “presentarono”puntualmente “secondo coscienza” alla Messa Ordinaria della Schola in Sant’Agnese.
Viceversa, qualche anno prima della soppressione, nel 1637, la Schola inscenò una lite furibonda che finì in tribunale contro la chiesa e Parrocchia di San Luca di Venezia dove s’era istituita una “devozione” parallela a Sant’Agnese a cui era stata concessa a certe condizioni un’Indulgenza Plenaria da parte di Papa Paolo V.
Era la concorrenza … e i soldi erano soldi ! … Se a Venezia giravano elemosine e lasciti intorno al nome di Sant’Agnese, dovevano per forza confluire a favore delle Agnesine e dei poveri della Schola e non nelle larghe tasche dei Preti di San Luca.
Per mettere fine alla lite dovettero intervenire come sempre il Doge e il Consiglio dei Dieci “… che ci misero lo zampino… per acquietare gli animi e metter a posto ogni cosa a favore delle Agnesine …”
Tuttavia nel 1664, non si sa bene come e perché, le Agnesine terminarono di comparire in pubblico e d’essere ospitate nel Priorato di San Barnaba. C’erano troppi maneggi e giravano troppi soldi in maniera non sempre ortodossa e pulita ? … Chissà ?
Continuò invece l’opera e l’attività della Schola, che nel 1683 per la festa patronale di Sant’Agnese spese ben 74 lire e 8 soldi per pagare dei Musici per allietare la festa ... così come qualche anno dopo pagò ben 6 ducati a Prete Nicolò Grasselli perché celebrasse: “… una bella Messa cantata per la Schola”,e offrì anche 40 lire al musico e cantore Pietro Luciani chiamato dalla prestigiosa Basilica Marciana per esibirsi a Sant’Agnese sempre: “ad honor della Schola Benedetta …”.
Nonostante la misteriosa soppressione del 1664, ancora nel 1740 il Priorato di Sant’Agnesina era attivo, vivo e vegeto, pagava lire 24 e soldi 16 annuali per la Festa Patronale di Sant’Agnese, e possedeva anche una rendita annuale di 346 ducati da beni immobili siti in Venezia.
Pur senza sede e residenza ufficiale, il Priorato di Sant’Agnesina di San Barnaba continuò la sua notevole attività fino a 1806 secondo quanto raccontano bene nel dettaglio 18 registri che ci sono pervenuti. Si conservano, infatti, un antico Catastico iniziato nel 1325 e diversi quaderni e giornali con scritture e parti della Scuola. I Governadori tenevano ancheun puntuale registro con l’elenco di tutte le donzelle graziate, un altro libro in cui si registravano i versamenti delle decime, delle affittanze, delle rendite e aggravi, e perfino un ultimo in cui si annotavano tutti “i ricoveri” a spese dell’Ente.
Tutto ciò che rimane oggi di quell’attività e di quel complesso curioso è un’unica scritta incisa sull'architrave di uno di quelli che furono gli ingressi dell'antico Ospissio oggi trasformato in accogliente albergo.
Solo un lampo di una Venezia di ieri l’altro scomparsa per sempre … che merita però un’occhiata, un “buttàr l’ocjo” almeno una volta.