“Una curiosità veneziana per volta” – n° 71.
“IL LAZZARETTO VECCHIO ? … FUNZIONA ANCORA …”
Cappuccio in testa e passo lesto mi muovo dentro e sotto le ultime ombre lunghe della notte. Osservo un mondo tutto capovolto e traslucido dentro alle larghe pozzanghere dell’acqua di ieri. E’ domenica, tutto è immobile, non c’è nessuno in giro … solo un’automobile passa lenta, sembra pigra. Nella mia fantasia qualcuno la sta spingendo faticosamente a pedali.
“E’ la giornata giusta …” mi dico.
L’aria è pulita, sa di fresco e bucato. A Oriente, dietro alle sagome scure e cappellute degli alberi, il cielo sta sfoggiando tutto un album di tinte, tonalità e colori … sembra il manifesto della Primavera. Venezia si sta stiracchiando, ed è di nuovo pronta, fra poco ospiterà le migliaia chiassose della “Su e zo pei ponti”… ma io sto aspetto qualcos’altro. Affretto il passo mentre nel cielo si scatena un inferno di stridii e volteggi di rondini … uno spettacolo avvincente che danza sopra lo specchio lucido e quieto della Laguna … ma io aspetto altro.
Non vedo l’ora di scavalcare il turno di lavoro in ospedale, e l’impazienza diventa esagerata man mano che trascorrono le ore. Sarà perché è la prima volta in vita che metto piede nell’isola del Lazzaretto Vecchio, o sarà forse perché mi piace vedere quel che c’è stato un tempo e oggi quasi non c’è più ... Sta di fatto che non vedo l’ora di precipitarmi lì per la visita guidata dell’apertura straordinaria …
“E’ il primo ospedale Europeo, il più antico nel suo genere … certe cose le hanno inventate i Veneziani.” Ci spiegano. A differenza del Lazzaretto Nuovo del 1468, perso dentro alle secche, alle barene fangose e alla poesia amena della Laguna di Sant’Erasmo, l’isola del Lazzaretto Vecchio e più austera, tozza, grezza, quasi scontata a un passo com’è situata dalla striscia litoranea ed elegante del Lido. Sembra basti un salto in lungo per attraversare lo specchio d’acqua e arrivare ad infilarsi dentro a quello che mi è sempre apparso come un vero e proprio mondo recondito.
Il nome titolare della chiesetta originaria che sorgeva in isola era: Santa Maria Assunta … o più probabilmente Santa Maria di Nazareth da cui derivò la denominazione dell’intera isola come: “Nazarethum”,trasformato in seguito dai Veneziani in: "Lazzarettum o Lazzaretto", forse per via di San Lazzaro e della lebbra … Sta di fatto che il nome s’è affermato e diffuso ovunque, anche in giro per l’Europa … e lo utilizziamo tutti ancora oggi.
Le ore sono scappate, e perciò: “Eccomi qua !”… e mi sono ritrovato sulla Riva del Lido davanti al Lazzaretto Vecchio e ai variopinti traghettatori sulle sampierotte impavesate. Ci siamo ritrovati a centinaia tutti in fila come per entrare al cinema a vedere lo spettacolo di una “prima” stagionale. Solo che stavolta “il film” si chiamava “Lazzaretto Vecchio”. Seduto in attesa sui gradini della riva e provocato dal sole del pomeriggio, ho chiuso un attimo gli occhi. Non l’avessi mai fatto … o forse è stato meglio così. Li ho riaperti ed era cambiato tutto, niente era più come prima. Non c’era più l’oggi ma sembrava ritornato l’ieri. Un ieri un po’ strano, forse surreale, ma di certo piacevole, curioso ... forse quello che andavo cercando.
L’isola distesa lì davanti era la stessa, l’identico segmento galleggiante sulla Laguna. Però c’erano barche su barche intorno, tutte cariche di qualcosa. Niente motori, solo barcaroli curvi a spingere sui remi.
L’isola era cinta d’approdi e pontili tutti occupati da barche accostate in file sovrapposte. L’atmosfera intorno era vivissima, sembrava un vespaio, un formicaio brulicante di persone, vitalità e gente vociante.
Una sampierotta ha attraccato davanti ai nostri piedi e due nerboruti “Pizzegamorti” gentili e bruschi insieme ci hanno squadrato sornioni e un po’ grintosi inducendoci a salire in fretta con ampi gesti. Avevano “occhi di bragia”, sembrano tanti Caronte febbricitanti … ma della nostra stessa febbre.
Mi sono guardato attorno, eravamo in tanti, c’era coda e un po’ di ressa … Alti nel cielo volteggiavano i gabbiani di sempre ... In lontananza cantava un cuculo monotono, e alcuni merli zompettavano sul prato appena rinnovato dalla nuova stagione … E più in là ? C’era solo tanto silenzio di una solita domenica veneziana qualsiasi.
Mi è sembrato un pomeriggio placido, tranquillo, ma non lo era per niente, c’era come una tensione nell’aria, una novità imminente, un pensiero inquietante che ci pervadeva e accomunava tutti su quella riva.
“Piano ! … Svelti ! … Senza scivolare in acqua … Attenti a quel gradino scivoloso e rotto …” Un “Pizzegamorti” mi ha preso per mano, mi ha accompagnato per il fianco e mi ha toccato e spinto leggermente per la spalla.
“E’ fatta ! Sono anch’io dentro alla barca … partiamo per l’isola ... forse senza ritorno … Sono i Pizzegamorti !” dico a me stesso, non privo di una certa inquietudine.
Fra i Pizzegamorti nel 1575 c’era il barcarolo Veneziano Francesco Ceola che s’era offerto come Pizzegamorti in cambio della concessione di una “Libertà-Licenza” del primo Traghetto disponibile che si fosse liberato per colpa della peste. Nel 1630, invece, i Pizzegamorti erano giunti ad essere fino a 300 di numero, e percepivano 20 ducati al mese anticipati … Venivano reclutati tra gli ex galeotti e i carcerati, ed erano spesso degli sbandati facinorosi, o vagabondi disoccupati e disperati. Provenivano dalla Terraferma, dall’Istria, Austria, Friuli e Lombardia, e furono protagonisti di ruberie, violenze e sciacallaggi di ogni tipo sui beni degli appestati Veneziani. Spesso ubriachi e alterati, erano attenti più alle prostitute obbligate al lavoro e all’assistenza nei Lazzaretti che alla cura dei malati e dei morti, gettavano persone ancora vive dentro alle fosse, trattavano in maniera sprezzante e vile ogni umano corpo ... desiderosi solo di saccheggio e di basso guadagno.
“A causa dei molti rischi di contagio personale fu introdotto di far riporre col mezzo di corde catramate e uncini di ferro li cadaveri infetti in certi carretti costrutti all’oggetto nella Casa dell’Arsenal, e ripor poi questi carretti nelle burchielle che furono fatte costruire parimenti all’Arsenal nel numero di cinquanta, che si scortavano al Lido dove giunti, erano condotti dai cavalli sino alle fosse già prima preparate; si tumulavano nudi i cadaveri e le vesti delle quali si trovavano coperti erano sul fatto incendiate ... altro opportunismo mezzo di preservazione è introdotto a questo Ufficio che giunge ad assicurar l’uomo attento che lo amministra ed è quello di coprire intieramente li Pizzicamorti con casacche di tela forte catramata con mistura e profumi di materie opportune; alla qual utile invenzione furono poi aggiunti li calzabraga e li guanti coperti dallo stesso catrame, che salvano dal contatto le parti esposte del corpo ...”
Di frequente i Provveditori alla Sanità li facevano facilmente fucilare dopo accuse sommarie.
Nel 1576 Il Notaio Rocco Benedetti e tale cronista Fuoli li descrivevano: “Portavano attaccati alle gambe sonagli e campanelli d’ottone alla guisa di saltatori mascherati per dare segno di se … Erano una turba di semincoscienti che calavano a Venezia allegramente come se fossero stati invitati a qualche solenne nozze … Inumani con i cadaveri ammassati sulle barche … corpi maltrattati da sepellitori, ch’oltre il cometter co’ viventi ogni più sceleragine carnale, non la perdonavano ne anco ai morti …”
Mentre traghettavamo il breve tratto del canale ho osservato l’acqua intorno … Ci sfilavano accanto barche cariche di viveri e derrate, una più grossa era carica di legna all’inverosimile tanto che l’acqua quasi le entrava dentro … Altre ancora tiravano dritto cariche di merci, colli, balle candide e tonde di cotone, botti, casse … Ritti a prua c’erano mercanti diretti all’Emporio e ai Fondaci di Rialto. La prua della nostra barca, invece, puntava dritta solo ad attraversare … I numerosi camini dell’isola fumavano tutti, anche quello sopra la casa del Priore con la sua elegante veranda coperta di glicini fioriti. Eccolo là il Priore, impettito nella penombra e con le braccia sui fianchi, stretto nel suo goffo abito azzurrino gonfio ed elegante insieme. Ci scrutava immobile accanto al suo scrivano ... mentre in lontananza continuavano a sfilare altre barche, navi, bastimenti, galee e cocche … la Laguna pullula di attività frammista alla presenza invisibile ma micidiale del morbo della pestilenza.
Il Priore dell’isola veniva eletto dai Procuratori de Citra che amministravano i fondi per l’Ospedale, mentre la struttura sanitaria era gestita secondo i provvedimenti e le disposizioni dei Magistrati alla Sanità che sorvegliavano e controllavano l’isola con frequenti sopraluoghi. La gestione dei Lazzaretti di Venezia divenne un modello da imitare da parte delle altre comunità locali e internazionali.
Nel luglio 1447 ritornò la peste e la Signoria ordinò che si facesse in Piazza una processione per ordine del Vescovo Patriarca Lorenzo Giustianiani. Dovevano intervenire obbligatoriamente: Clero, Religiosi, Scuole Grandi e Piccole, e i Battuti in cappa e scalzi che:“ … battendose la carne gridavano: “Alto Re della Gloria cazzè via sta moria … Per la vostra Passion Habiene misericordia…”
Nella stessa occasione il Giustinani ottenne da Papa Nicolo’ V speciali indulgenze per quanti si fossero dedicati all’assistenza degli appestati.
Durante le pestilenze si consideravano “operazioni buone”:“… sbarrare le porte della città, isolamento di persone, purificazione e distruzione di mobili ed oggetti di case infette, accensione di fuochi per le strade, far sparare l’artiglieria, aprire porte e finestre e farle agitare facendo vento per muovere l’aria, mettere fuori città: merluzzi, sardelle, grani corrotti, carni infette, pesci corrotti e nettare fiumare, fontane e nettare contrade da fanghi, carogne, pezzi di corame e panni … mettere al bando le arti sordide dei lavoratori di cuoio, macellazione, pulizia di pozzi e latrine …”
Nel 1447 e soprattutto nel 1468 a causa dell’ennesime morie dovute alla peste, Venezia era come “…Valde evacuata” ossia tutti erano in fuga cercando di salvare almeno la pelle. Il Lazzaretto Vecchio funzionava a pieno ritmo. Nel 1462 il patrimonio del Lazzaretto Vecchio ammontava a 28.000 Ducati … e quattro anni dopo si licenziò e processò sebbene latitante il Priore Paolo da Genova fuggito da Venezia condannandolo al “bando in perpetuo”. Era accusato di aver maltrattato i malati, aver contato come degenti persone già morte o dimesse e bambini portati dalla città solo per essere allattati, e di aver venduto il vestiario dei morti invece di bruciarlo.
Dopo che nella “Vigna murata” affittata dai Monaci di San Giorgio era sorto anche il Lazzaretto Nuovo, nel febbraio 1482 si processò dichiarandolo colpevole anche il Priore Paolo Blancoper aver frodato gli Avogadori da Comun, per aver venduto in città i panni dei morti di peste, e per avere mal gestito le quote giornaliere di sostentamento di 12 soldi pro capite. Lo si dichiarò responsabile della morte di “… multos parvulos pueros et pauperes”, e si condannò all’ergastolo portandolo prima in giro per Venezia dichiarando in pubblico tutti i suoi misfatti.
Fu un gesto fatto dalla Serenissima per dare “l’esempio” perché in città esisteva molto commercio di vestiti infetti e soprattutto molta corruzione fra i funzionari che pretendevano denaro dalla gente per non essere inviati al Lazzaretto Vecchio ma lasciati malati in casa.
Nello stesso febbraio 1482 come diretta risposta ai casi clamorosi di frode e negligenza criminale da parte dei Priori, gli Ufficiali al Sal emisero dei Capitoli esposti pubblicamente in isola per amministrare equamente il Lazzaretto Vecchio. Fra le tante altre cose si legge:
“Il Priore appena subentrerà nell’incarico ed entrerà in isola dovrà redigere l’inventario di tutto quanto vi trova … In tempo di peste non dovrà allontanarsi da Venezia senza apposita licenza dell’Ufficio al Sal, ma provvedere assiduamente alla cura dei malati ... Accudirà gli uomini per un salario annuo di 120 Ducati d’oro, mentre la Priora o moglie accudirà le donne per altri 40 Ducati annui. Inoltre usufruiranno sia in tempo di peste che di normalità di altri 40 Ducati annui per il vitto.”
“Il Priore avrà facoltà di diminuire o aumentare il numero del personale secondo le necessità dell’isola … Dovrà tenere in ordine i registri degli stipendi e delle provvisioni e farli controllare periodicamente dai Provveditori ... Sarà tenuto a visitare quattro volte al giorno i malati maschi e femmine pena 25 lire per ogni visita mancata ...”
All’approdo ci stava aspettando una donna ben messa, piantata a terra. Accanto a lei c’era un inserviente con una berretta moscia messa di lato in testa. Era la Priora in persona, destinata ad occuparsi delle donne. Siamo scesi dalla barca, infatti, e subito siamo stati divisi e indirizzati in due file distinte: uomini di qua, donne di là.
“Il Priore doverà abitare nell’isola con la moglie o “cum altra dona da ben … Non avrà alcun rimborso per i bambini che verranno allattati, ma ci penserà la Priora insieme al Cappellano, Fra Manfrèo e il Medico.”
“Si ammisero, divisi in due parti, poveri di ambo i sessi e l’Officio del Sale doveva provveder loro vitto e medicine ... Quattro serventi si destinarono per gli uomini, quattro per le femmine, un Cappellano ed un Priore al quale correva l’obbligo di visitare almeno una volta al giorno gli infermi … e dovea aportare come i suoi dipendenti affisso al petto un segno bianco in forma di stella …”
Il controllo della Serenissima era severo e puntuale: nel 1458 si condannò la Priora del Nazarethum Vecchio Zentilina per aver lasciato morire di fame gli ammalati: “… facendo sibi dari poma et vinum novum et non bonum et carnes bovinas non bonas …”
Percorsi pochi passi sull’isola, ci siamo trovati davanti al portale d’ingresso dell’Ospedale del Lazzaretto Vecchio. Appariva come un monito l’opera del tagjapiera Guglielmo Bergamasco del 1525 con quel San Marco e i Santi della peste: San Rocco e San Sebastiano commissionati dai Procuratori di San Marco elencati pomposamente nei sette “stemmi-armi”di famiglia sottostanti.
“Non si scherza né con la peste … né con la Serenissima !” mi sono detto.
Giorni fa osservavo una vecchia stampa e alcune foto sbiadite dell’isola … Una foto mostrava dietro a una bianca vera da pozzo un tozzo campanilotto isolato che ormai il tempo s’è portato via abbattendo per sempre alla fine del 1800. Oggi al Lazzaretto sono rimaste alcune case con portici ombrosi invasi dalle edere, dai rovi e dalla sterpaglia … In altre foto l’isola appariva ancora abitata: alle finestre si notavano alcune pulite tendine appese … C’era gente seduta sotto ai portici e sull’aia antistante quasi il Lazzaretto fosse diventato una bucolica fattoria di campagna. Si notavano i possenti capitelli dei portici, le linee squadrate ed essenziali delle trabeazioni, le mura scalcinate erose dalla salsedine, le balaustre sbrecciate, alcune case rovinate e cadute, altre monche e mancanti .... Le piante facevano da padrone ovunque, s’incrociavano e sovrapponevano a volte, inglobavano e rivestivano le pietre, cancellavano le orme del passaggio, s’intrufolavano nei muri invadendo gli spazi rimasti incustoditi e abbandonati a se stessi. Sembrava che una mano ignota fosse passata a strapazzare e vilipendere quel luogo in cui erano rimaste imprigionate storie e vicende e cupi eventi.
La stampa evidenziava uomini piegati sui remi intenti a spingere barche cariche che “tiravano dritto”. Le acque intorno al Lazzaretto erano agitate sotto a cieli tempestosi che preannunciavano il peggio. Meglio non fermarsi là, perché quello non era affatto un “luogo benedetto”, ma di disgrazia e sofferenza, da esorcizzare almeno nella mente girando altrove lo sguardo. Da una parte della stampa però non c’erano nuvole nere e minacciose, tutto era come già accaduto e passato, e filtravano chiari raggi di sole mentre stormi d’uccelli volteggiavano sopra l’isola del Lazzaretto Vecchio cinto d’alte mura sormontate da camini spenti e porte rigorosamente chiuse. Ad un pontile stretto davanti ad una porticiola appena socchiusa e attentamente vigilata era ormeggiata una barca carica di vivande e generi di prima necessità … un’altra carica di legna, invece, rimaneva immobile in attesa di scaricare, con i rematori seduti sui trasti e i remi infissi come pali nel fango della laguna ... Infine un uomo placido stava intento a pescare in un angolo vicino a secche ciottolose su una barchetta grande poco più di un guscio di noce, coi remi “alla valesana” dimenticati e una vela floscia incredibilmente senza vento. Un’immagine convulsa e pacifica insieme, senza tempo … forse priva dell’angoscia della pestilenza.
Attraversiamo un’ampia ortaglia, mi sembra anche d’intravvedere qualche albero da frutto, un piccolo orto ben tenuto e coltivato. Ma non c’è tempo, bisogna entrare ... C’invitano a procedere ed addentrarci nell’isola in direzione di uno scrivano che ci attende con un registro aperto.
“Il Priore prenderà nota del nome e cognome e della Contrada del ricoverato. Se viene portato qualcuno senza segni della malattia: “sia messo da parte fino zorni tre”. Per ogni infermo portato il Priore avrà diritto a soldi 12 di piccoli. Se in quei giorni appariranno i segni sia portato al Lazzaretto. Se invece non appariranno segni sia portato alla “Vigna murata” del Lazzaretto Nuovo.”
Mentre scrivono di noi noto un vecchio Frate curvo dalla lunga barba candida e con un zucchetto sulla testa calva che ci osserva in silenzio. “Fra’ Manfrèo !” qualcuno l’apostrofa salutandolo … Lui risponde solo con un cenno della testa, rimanendo immobile sul posto e senza dire una sola parola. Continuava ad osservarci ad uno ad uno con certi occhi acquosi e scavati, cerchiati immancabilmente di rosso. Pareva ci riconoscesse … ed aveva nello sguardo quella stessa febbre allucinata ma calma che c’era prima negli occhi dei Pizzegamorti della barca. Si capiva che lui sapeva bene ciò che pulsava e accadeva dentro all’isola. Conosceva il morbo subdolo, invisibile e insidioso … Sapeva tutto di quanto accadeva alle persone, di come la pestilenza le divorava da dentro trascinandole in fretta fino alla morte. Ma non tutte … perché molti sopravvivevano e ripartivano. C’era anche un guizzo di speranza dentro a quello sguardo, sebbene ovattata, nascosta, discreta, come da conquistarsi.
“Fra’Manfrèo ! … Quanti di quelli che sbarcano resteranno ? … Quanti se ne andranno ?” mi sono spinto a chiedergli, ma non mi ha degnato di una qualche risposta rimanendo immobile davanti al suo chiesotto spoglio e dal campanilotto tozzo e screpolato come lui.
“I nuovi ricoverati saranno confessati e comunicati ... Nell’isola ci saranno anche alle dipendenze del Priore un Cappellano-Piovano che guadagnerà 30 Ducati annui più vitto sia in tempo di peste che di normalità, e uno Zago che gli servirà Messa e seppellirà i morti per 12 Ducati annui più vitto…”
“Per prevenire il contagio della peste è necessario rispettare le sedici regole efficaci: Orazione, Elemosina, Digiuno, Suffumigi, Odoramenti, Custodia da venti, Prattica, Allegrezza, Purgazione, Comodità, Fuochi, Governo del vivere, Pillole, Acque, Eletuarj, Fontanelle …”
Mi sono allora voltato verso la Laguna aperta, quasi a cercare con lo sguardo una via di fuga. A una certa distanza continuavano a transitare ancora barche cariche di “stie” di pollame, barche di pescatori con le reti e il pesce viscido che guizzava dentro le ceste … Un fuoribordo con un potentissimo motore lanciatissimi sul pelo della laguna piene di giovanotti urlanti e ridanciani … Mi sfrego gli occhi … è solo un’apparenza impossibile … Intanto ci hanno richiamati e invitati a procedere oltre, altri stanno arrivando, bisogna sbrigarsi e andare oltre dentro al Lazzaretto.
Come spesso è accaduto nella Storia di Venezia certe isole della Laguna hanno assunto un volto e un senso quando verso il 1000 gli Ordini Religiosi e Monastici hanno pensato d’edificare un ennesimo luogo per dare ospitalità ai Pellegrini infermi o bisognosi di ritorno o in partenza per la Terrasanta. Al Lazzaretto c’erano inizialmente gli Agostiniani Eremitani che nel 1249 costruirono la chiesetta dedicata a Santa Maria di Nazareth benedetta da Pietro IV Pino Vescovo di Castello. Poi come spesso accade, gradualmente la comunità dei Frati e dei Novizi diminuì fino all’abbandono dell’isola. Nel 1423 era rimasto solo il Spoletano Fra Gabriele de Garofoli con 4 novizi patrizi Veneziani. Il Senato allora deliberò di mandarli all’Abazia di San Daniele in Monte (da dove torneranno in seguito in Laguna fondando stavolta nell’isola di Santo Spirito i Canonici Regolari di Santo Spirito) e destinare l'isola a ricovero e contumacia di persone e merci provenienti dall’Oriente o da paesi infetti. Di lì dovevano obbligatoriamente passare e sostare “in Quarantena” i convalescenti ancora infettanti.
Il Lazzaretto-Ospizio era formato da due isolette unite da un ponte: nella più piccola c'era il casello della polvere da sparo e una piccola guarnigione; nell’altra sorgeva il Lazzaretto vero e proprio, ossia un insieme eterogeneo di baracche e capanni di legno giustapposti agli ambienti che erano stati monastici. Solo più tardi vennero rifatti ed edificati in muratura. Per dare continuità al progetto,infatti, cinque anni dopo il Maggior Consiglio destinò la somma di un “Legato”lasciato per testamento da Antonio Ravagnino per aggiungere altre 80 stanzette singole al lazzaretto. E visto che l’idea era buona, lo stesso Maggior Consiglio decretò che ciascun testatore di Venezia facesse un lascito a favore del Lazzaretto.
All’inizio di giugno 1436 anche il Papa Eugenio IV per non essere da meno e poco solidale ci mise “del suo” allegando un’indulgenza alle donazioni fatte a favore dell’ospedale e confermando la soppressione del vecchio monastero.
Domenica pomeriggio ho respirato e annusato l’aria calda del Lazzaretti che sapeva di biscottato e cotto. C’era un intenso odore acre e pungente misto di cucina e profumo di pane appena sfornato. C’era una nebbiolina fumosa nell’isola, stavano bruciando ginepro ed essenze odorose per mitigare un gran fetore di organico e di morti che si mescolava con quello di purgato e soffumigato. In lontananza si avvertiva un lamento sommesso che trapelava da qualche parte, da dietro i muri e le porte chiuse, o da sotto tutti quei numerosi portici e le tese aperte all’aria su di un lato. Ovunque mi voltassi ad osservare vedevo cataste e mucchi di merci, simboli di mercanti, bastazi indaffarati che spostavano e riponevano, Fanti che controllavano, scrivani che annotavano meticolosamente, e gente, tanta gente che arrivava o andava. C’era una grande comunanza, un intenso vociare, una promiscuità fattiva che costringeva tutti a stare quasi gomito a gomito.
“Ci saranno inoltre: un Medico e un Barbiere pagati alla stessa maniera sia in tempo di peste che di normalità; 3 donne per l’assistenza alle appestate e per lavare i panni sporchi; 3 uomini per assistere gli appestati e scavare le fosse per i morti; 2 barcajoli per la “barca della Messa” obbligati anche a servire i malati; 1 fornaio, 1 cuoca, 1 “mamola” a disposizione della Priora. Per tutti costoro il Priore riceverà annualmente 14 Ducati annui per fornire a ciascuno il vitto e uno stipendio di 2 Ducati al mese, ad accezione della “mamola” che ne riceverà 1 soltanto.”
Un gallo nascosto da qualche parte si è messo a gridare il suo verso strozzato fuori orario … Alla mia destra un’inserviente rubiconda e pettoruta ha fatto cigolare la catena e la ruota dentro a una “vera” del pozzo. Ne ha estratto con un gesto abile un secchio grondante che s’è affrettata a distribuire dentro a boccali e caraffe e sangole che si era disposta tutto attorno. Ci sbirciava silenziosa di lato, continuando a lavorare determinata e seriosa … Sembrava che non le interasse nulla di noi e di quanto le stava accadendo intorno.
“Che sete ! ... Ho la gola riarsa … Signora ! Mi può dare un po’ d’acqua fresca per favore ?” ... ma non c’era più, e il pozzo era già chiuso e sigillato, interrato addirittura.
“Strano questo posto !” ho pensato mentre il sole del pomeriggio picchiava.
Ancora spinti ci siamo mossi in avanti. La nostra fila è passata accanto a un capanno col tetto forato da un grosso camino. Accanto alla porta spalancata stavano ammucchiate pile su pile di vestiti accatastati alla rinfusa. Alcuni erano abiti eleganti e raffinati, altri solo cenci luridi … ma tutti accomunati e contagiati dallo stesso morbo infame, destinati ad essere purificati dallo stesso fuoco. Un inserviente muscoloso a torso nudo se ne stava lì a far la spola fra dentro e fuori inforcandoli con un una forca bifida e appuntita. Aveva il volto sporco di fuliggine, il corpo sudato, e quel solito sguardo febbricitante che scappava fuori dagli “occhi di bragia” come quelli degli altri.
“Il Priore non dovrà spogliare i morti delle loro camicie né tagliare loro i capelli, ma seppellirli ad una profondità tale da non sentirne il puzzo. I vestiti siano portati in un magazzino e restituiti a quelli che sopravvivono, e bruciati, invece, per coloro che moriranno.”
Passando oltre sentimmo crepitare la fiamma, scoppiettare i ceppi della legna sul fuoco … e forse lui che zufolava e canticchiava una canzonaccia mentre procedeva in quell’insolito “rosteggiare”.
“Chi siete ? Da quale Contrada provenite ? … Sapete bene che luogo è questo.” Ci chiese di nuovo un altro scrivano seduto davanti a un altro grosso registro bisunto e spalancato. “Dovete depositare qui i vostri effetti personali e i vostri beni da quella parte … dentro a quel cassone e quelle ceste …”
“Il Priore è tenuto a comunicare all’Ufficio di Sanità sia il nome di tutti i ricoverati con ogni variazione, che dei morti. Se imbroglierà sul numero per guadagnare sopra i sussidi sarà multato di 200 Ducati d’oro e perderà il salario … Dovrà tenere un registro su cui verranno elencati tutti gli effetti personali in oro, argento e denaro dei malati. Un altro registro corrispondente deve essere tenuto dal Cappellano e dal Medico. In caso di morte dell’interessato i beni devono essere custoditi in una cassa comune le cui 4 chiavi devono essere tenute dal Priore, da Fra Manfreo, dal Cappellano e dal Medico. I beni vadano ai congiunti nominati dal defunto, o in mancanza di questi all’Ospedale di Sant’Antonio. Se i responsabili di questa custodia non rispetteranno le regole saranno puniti: “… con tre anni de prisòn forte a pan e acqua”, e dopo questo saranno banditi.”
Da due entrate laterali andavano e venivano, entravano ed uscivano vociando i Pizzegamorti. Due ridevano, scherzavano, canzonavano, bestemmiavano mentre trascinavano uno pesante portandolo per le braccia e le gambe. Altri ammassavano corpi uno sull’altro su di un improbabile carretto mezzo sfondato e cigolante traendoli da una betolina carica appena approdata nel canale. Due altri ancora conducevano a braccia una donna greve sotto ad una larga tesa scoperta. Li c’era un Medico che li stava aspettando tutto bardato e paludato sotto a un cappellaccio e dentro a un “naso lungo” farcito d’odori. Dietro a occhiali spessi osservava distrattamente quell’ennesimo corpo toccandolo quasi magicamente con una lunga bacchetta … Durò solo un attimo, perché una lunga fila di persone sedute o distese stava aspettando il proprio turno d’osservazione e valutazione.
Un documento del 1424 elencava una lista di letti, materassi e altre suppellettili fornite da un funzionario del Magistrato al Sal ad: “Angolo, Medico et Prior de Lazareto over Nazareto ...”
“Ai malati si somministrerà: … de carne de vedello e de pollo …”. Chi sarà incapace di mangiarla mangerà: uova fresche e “brodi consumadi et ogni altra cosa congrua a loro infermità …”
“Per preservarsi dalla peste e dal contagio necessita osservare una dieta sana: “… siano cibi facili da digerire e di buon nutrimento, come ova, pollastri, vitella e simile e soprattutto buon pane di formento buono, con altri semi e massime con l’oglio e sia il pane benissimo preparato con alquanto sale, vino meglio usarlo leggero ma stomacale…”
“Quelli poveri che saranno privadi dello intelletto e farnestici non siano dentro per alcun modo né legati ala colona, né posti in terra, né legati a pallo, ma siano posti in le tavole basse sopra gli stramazzi ligadi con alcune fasse et non con corde, et sieno attesi de dì e de notte con ogni diligentia azò non se guastino al volto o altro membro del corpo come in passato …”
“Nessuna persona dovrà ingiuriare, battere o contristare i ricoverati ...”
Un anonimo medico piemontese nel1642 disse e scrisse:“… due o tre cucchiai di sugo cavato dalli fiori o dalle foglie o dalle radici delli garofani domestici, si piglia con un poco di vino bianco. La feccia che avanza dopo aver spremuto il sugo si mette sui carboni, o buboni o antraci e li guarisce. Il detto sugo si può bere una volta al giorno tanto per curarsi quanto per preservarsi e se gli puol aggiungere un poco dell’osso del cuor del cervo. La conserva delli fiori serve anco molto per scacciare il veleno della peste …”
In giro per l’isola s’aggirava e s’accompagnava gente sfatta, cadente, provata. Sembravano residuati umani smunti e tristi, che come spettri febbricitanti zoppicavano intorno sospirando senza sapere che cosa andassero cercando ... forse delle tombe dove trovare finalmente remissione da quel loro gramo destino. Anche loro avevano quegli occhi rossi infuocati di bragia. Però non erano tutti sono così … C’era anche chi si era rialzato, chi dopo cinque giorni non indossava ancora i segni mortali del contagio, chi speranzoso scalpitava di continuare a vivere e lasciare al più presto quel gran cimitero a cielo aperto. Fra costoro c’erano alcune giovani fanciulle, dei bimbi, dei giovanotti forti che trovavano di nuovo e ancora la forza di sorridere e sperare. Non ne erano del tutto consapevoli … ma proprio in loro abitava il futuro di Venezia Serenissima di domani.
E’ curiosissimo un bilancio del marzo 1631.
“La Sanità della Serenissima provvide allo sgombero dei Lazzaretti considerando in fase di remissione il periodo di pestilenza ... Nei giorni precedenti erano state dimesse 800 persone, e ne restavano 150 di sospette al Lazzaretto Nuovo. Dei 2.000 iniziali e 300 al Lido si dovevano rilasciare entro una settimana, altri 2.000 tra Lazzaretto Vecchio e San Servolo erano sul punto di partire ... Lì c’erano ancora 400 poveri trattenuti perchè non sapevano dove recarsi, residuo di oltre 11.000 guariti ma reinviati ai Lazzaretti perché caduti in altre malattie ... A ottobre dello stesso anno erano rimasti al Lido solo 6 Pizzegamorti con il loro Capo per seppellire i cadaveri che continuavano ad arrivare giornalmente. Nei Lazzaretti Vecchio e Nuovo e nell’isola di San Clemente risiedevano ancora 585 persone tra ammalati e convalescenti, tra i quali 12 Pizzegamorti in contumacia ... Solo a metà novembre si concesse il permesso di riprendere a seppellire i morti nelle chiese, ed il 21 novembre si dichiarò ufficialmente terminata la pestilenza…”
L’ho intravvisto furtivo come un’ombra. Dagli angoli più disparati e sicuri, dall’alto della sua veranda, sbirciando appena dall’andito delle porte, dai portoni e dai cancelli, su tutto continuava a governare da dentro un continuo sferragliare di chiavi … Era il solito onnipresente Priore.
“Il Priore dovrà tenere tutte le chiavi del Lazzaretto, e di notte dovrà chiudere tutte le porte per evitare che i dipendenti del Lazzaretto importunino “le donne portade a dito luogo per conto de amalati …” I trasgressori saranno puniti con la perdita del salario, con una multa di 25 ducati e un bando di 5 anni da Venezia e Dominio.”
Aveva l’occhio furbo, lo sguardo severo e corrucciato … Doveva essere una persona determinata che badava al sodo della questione, interessato a far tornare i conti della situazione e capace d’intravedere dietro a tutto quel marasma umano e commerciale una qualche forma di profitto favorevole. Sotto al suo sguardo vigile le merci andavano e venivano in gran quantità come le navi per lo spurgo e lo sborro, e la quarantena e la sosta obbligata per i Veneziani ma anche per i marinai, i mercanti e i viaggiatori. Era tutto un andirivieni obbligato di uomini e cose, una specie di mercato strano, una kasbah ridotta ma ricca che brulicava d’intensa attività sotto gli occhi vigili degli Zaffi da Mar che vigilavano sia sull’isola che in barca lungo tutto il perimetro intorno.
“Chi vorrà visitare i malati dovrà farlo in barca rimanendo a debita distanza dall’isola. Se scenderà a terra verrà condannato a pagare una multa oltre ad essere inviato obbligatoriamente alla “Vigna Murata” per 40 giorni.”
Nessuno poteva sbarcare o ripartire impunemente dall’isola del Lazzaretto. Potevano farlo solo i patentati, gli esaminati e autorizzati … Per gli altri che osavano si poteva arrivare anche alla forca, alla prigione e allo strangolamento. Non era un luogo di vacanza il Lazzaretto, e neanche solo un luogo di pietà. Era un luogo di confine fra vita e morte, una porta spalancata sull’Inferno della Morte o sul Paradiso del continuare a vivere ... sempre sotto l’egida del cuore severo e amabile della solita Venezia Serenissima.
“Se ti andrà bene … fra qualche giorno ti porteremo al Lazzaretto Nuovo … Intanto rimarrai qua … Lì sarà tutto più aperto … più facile. Sarà solo una lunga Quaresima, una Quarantena … poi ritornerai alle tue cose e alla tua casa … Alla tua vita, ai tuoi affetti, e alle tue occupazioni di sempre, al lavoro in ospedale se ne avrai ancora la voglia …” mi ha suggerito ad un certo punto una voce autorevole alle spalle.
Mi sono volto immediatamente incerto fra meraviglia e apprensione. Quello che mi aveva parlato si stava già allontanando, ne intravvedevo solo la schiena e la coda dei capelli raccolti dondolante … Era una donna magra di media altezza che indossava una giubba viola e pesanti stivali neri. L’ho dovuta seguire fin dall’entrata … anche lei con quegli occhi vispi e accesi … Sembrava proprio saperla lunga su questo posto, su questa storia incredibile ma reale e mai finita.
Nel 1508 il patrimonio del Lazzaretto Vecchio era aumentato risultando di 100.000 ducati ... Fra 1521 e 1525 il Lazzaretto venne ulteriormente ampliato traendo fuori dal Fondo di guerra da 10.000 a 20.000 ducati, ma ancora dal 1545 al 1587 ci furono altri restauri. Sul portale del Lazzaretto sono infissi gli stemmi dei Procuratori de Citra benemeriti che “per pietà” avevano provveduto a costruire e risanare l’edificio. Erano : Marco q.Girolamo Grimani, Andrea q.Nicolo’ Gussoni, Giorgio q.Marco Corner, Alvise q.Pietro Priuli, Andrea q.Onofrio Giustinian, Marco q. Alvise Molin e Antonio q.Alvise Mocenigo … Le cronache ricordano che nel 1561 il Nobile Jacomo q.Agostin Venier: “… fornì piere travisane et coppi”, Ser Stefano Chartèr scavò il canale, e il Tagjapiera Andrea dalla Vecchia e Compagni “… costruirono le fondamenta a soldi 22 il passo.”… S’interrò parte della laguna contigua per ingrandire la superficie da destinare ai fabbricati del Lazzaretto.
Nel 1576 di nuovo scoppiò la tragica peste. Nuovamente le cronache cittadine raccontarono che: “… per la gran puzza non si potevano più bruciare i morti che crescevano di giorno in giorno, cosìchè in un camposanto del Lido in un luogo detto Cavannella vennero scavate delle fosse dove si mettevano una mano de corpi una de calcina viva et una di terra, et così di mano in mano fino a che ne potevano stare ... I morti di rispetto, invece, si potevano seppellire in casse a Sant’Ariano di Torcello ...”
Dieci anni dopo, i Lazzaretti avevano i buchi sui muri. Il murèr mastro Andrea q Daniel da Chiosa costruì una “cavana nuova” per le barche al Lazzaretto Vecchio e si rafforzò il Lazzaretto Nuovo bandendo 4 gare d’appalto per i lavori.
Nel dicembre 1630, Valerio Michiel e Andrea Cappello “Nominati Sopra ai Lazzaretti” comunicarono al Senato con una relazione che: “… dei 1.900 sospetti ricoverati dal 4 al 31 novembre al Lazzaretto Vecchio: 334 erano morti, 365 si erano appestati a causa della mescolanza con pericolo di contagio totale. Inoltre il frequente ricorso all’uso di grani e farine marci o adulterati aggravava la situazione alimentare e sanitaria dei poveri e poteva essa stessa essere causa di peste secondo alcuni medici ...”
I Provveditori alla Sanità certificarono che fra i mesi più travagliati di ottobre e novembre la cassa pubblica aveva sborsato: 67.448 ducati andati tutti spesi. Tommaso Massimi, uno dei Priori dei Lazzaretti, calcolò il costo necessario per accomodar un lazzaretto per 2.000 persone in 5.450 ducati, per pagar i Ministri: ducati 1.160 al mese, per assegnare soldi 24 di vitto al giorno ai ricoverati ducati 13.353 e soldi 12 mensili.
Ho continuato a guardarmi intorno smarrito, ad aggirarmi a lungo dentro e sotto a quelle tese ombrose, fra viottole erbose, sotto alle pergole, attraverso i portici, l’ospedale, gli ampi camerotti … Ovunque andavo dentro a quell’intenso brusio e a quel denso carnaio di persone finivo sempre per ritrovare il bordo estremo e il muretto dell’isola ... Non c’era scampo, sembrava una trappola, una scatola cinese dentro all’altra … un labirinto contorto che forse non aveva più uscita.
Nel 1700 si costruì nella chiesetta un nuovo altare di marmo sul modello di quello della Basilica della Salute con le statue di San Sebastiano e San Rocco Protettori contro la peste ... Nel 1751 fu “moschettato”a Venezia, per ordine della Signoria il marangòn-falegname Francesco Lorenzetti di anni 47, lavorante al Lazzaretto Vecchio, “… per aver rubato un poca de seda ch’era in contumacia.”… Con la fine della Serenissima e l’arrivo dei Francesi del solito Napoleone, l’isola del Lazzaretto Vecchio venne abbandonata e indemaniata demolendo molti fabbricati: chiesa, chiostro, parlatorio, e utilizzata a scopo militare ... Infine dopo lunga assenza e silenzio, nel 1960-1965 i militari dismisero gli 8.400 mq dell’isola che divenne canile e gattaio custodito da volontari. Nel 1968 l’isola fu posta in vendita per 75 milioni in attesa delle ultime vicende attuali.
Sudo incastrato dentro ai miei pensieri fantasiosi nel pomeriggio tiepido della Primavera Veneziana. Chiudo gli occhi e li riapro … Non è successo niente. E’ tutto come ieri, come l’ho lasciato prima … è stato solo una visione, una fantasticata, un sogno da sveglio ... Mi ritrovo già tornato e traghettato sulla riva del Lido … Molti altri sono ancora lì in attesa per infiltrarsi curiosi dentro al quel mondo arcano e quasi magico del Lazzaretto Vecchio.
Non è morto e Vecchio del tutto il Lazzaretto perché la generosa disponibilità di alcuni lo stanno risvegliando dopo un lungo sonno e abbandono … In un certo senso il Lazzaretto è di nuovo in funzione e ritrovato. E’ giovane perché vorrebbe rivestirsi di una nuova identità museale cittadina da offrire ai pochi Veneziani curiosi rimasti e perché no? … anche alle pingui folle dei turisti planetari.
Cala la sera sul Lido e la Laguna di Venezia, lentamente, piano piano dentro a un tramonto struggente, dopo questa domenica tiepida di sole … Sulla spiaggia si rincorrono ragazzi a torso nudo mentre qualcun altro ancora ben vestito e coperto passeggia chiacchierando delle proprie cose … Il mare è liscio e disteso, spalancato e placido in pendant con la Laguna che sta appena dietro, racchiusa, protetta, quasi nascosta e riservata con le sue sorprese e i suoi tesori carichi di Storia.
“Bello il Lazzaretto Vecchio … Lì il tempo si è fermato e riavvolto … Tutto è rimasto immobile e allo stesso tempo si è ripetuto come in quei tempi complicati …”
Osservo ancora la Laguna tranquilla e colorata … In lontananza passa pigro un veliero, anzi, un galeone lasciando sull’acqua una scia luminosa e scintillante … Richiama alla mente “cose antiche”, marinare, Mediterranee e Veneziane … ma è solo un natante falso e festaiolo. Non è falso invece l’entusiasmo irrefrenabile, la dedizione encomiabile e la voglia che anima i volontari dell’Archeosub con quel loro novello “Priore” in testa che ormai da molto tempo è interessato, preserva, e vuole il “bene”di certe “isole belle”.
Il Lazzaretto Vecchio è vivo e vegeto … solo un po’cambiato, invecchiato e un po’ sciupato e screpolato come la nostra vecchia matrona Venezia che ha sempre tanto da raccontare e mostrare. Dovrò ritornarci ancora … per riviverlo di nuovo … per guarirvi dentro un’altra volta.