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"BEPI DEL GIAZZO E GLI ARMENI A VENEZIA."

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“Una Curiosità Veneziana per volta – n° 39.”

“BEPI DEL GIAZZO … E GLI ARMENI A VENEZIA.”

Alcuni Veneziani spesso “fanno di ogni erba un fascio”, o finiscono per dire: “Tutto fa brodo ! “. Turchi, Ottomani, Ebrei, Persiani, Albanesi, Siriani, Greci, Armeni, Greci, Ragusei … sono riassunti nel termine: “i foresti”, e li considerano tutta gente dall’Oriente, come fossero tutti uguali, un tutt’uno inscindibile e omogeneo come fossero i Tre Re Magi.

“Son tutti mercadanti esotici … marinai e viaggiatori, foresti e signori d’Oltremare  …

Venezia nella sua storia è sempre stata cosmopolita, città aperta all’Europa, all’Africa e sull’Oriente, porto ed emporio dell’intero Mediterraneo. Luogo di scambi e incroci culturali che nel mercato e fra calli e campielli si sono amalgamati per secoli fino a diventare omogenei e condivisi nel labirintico microcosmo della città lagunare. Nei secoli a Venezia si sono mescolate come dentro a un grande Bazar, o una Kasbah orientale: vicende, storie , sapori, sapienze, costumi, notizie e persone creando impasti davvero singolari, colorati e preziosi di cui ancora oggi rimangono tracce seppure sbiadite.
Gli Armeni  a Venezia sono una di queste.

Sugli Armeni a Venezia si è già detto e scritto tutto e bene. Quel che si può aggiungere in punta di piedi è l’accenno a una fugace visita autunnale a quelli che sono gli spettacolari tesori rimasti in laguna come segno del loro secolare passaggio.
Siete tutti a conoscenza della storia e delle vicende del popolo Armeno. Una cultura antica, vicende storiche intrecciate, un popolo fiero sparso in un’area dell’Asia. Sono stati un popolo presente e attivo nell’Alta Mesopotammia e nel Caucaso Anatolico fin da tempi antichissimi. Le loro tracce d’origine si vanno a perdere e vanno cercate fino a una decina di secoli prima di Cristo. A loro sono collegati nomi quasi mitici come: Urriti, l’Ararat con le sue montagne e leggende, Dario e i Persiani, Bisanzio, e le dinastie dei Seleucidi e degli Artassidi. Poi accadde tutto un passaggio di mano, con le varie conquiste dei Romani e infine la diaspora e la sofferenza storica di questo popolo davvero particolare.

Venezia nei secoli ha accolto i mercanti Armeni e questi non sono andati più via, e sono ancora qui dopo secoli rivestiti di venezianità definitiva. Venezia non li ha cambiati, ma li ha assorbiti facendo proprie quelle caratteristiche essenziali ed austere, quasi ruvide e massicce, che caratterizzano l’espressione artistico-spirituale visibile ancora oggi in Armenia.

Seguendo l’input imbastito da un’amica appassionata di amicizia e viaggiare, abbiamo percorso un “trittico degli Armeni”estemporaneo di visita niente male, che in poche ore ci ha permesso d’immergerci come in una fiaba, dentro a un mondo sapiente, ricco, ardito, spirituale, economico e tipicamente veneziano. Un altro angolo di Venezia, sempre colma di tesori e tesoretti nascosti, che non si termina mai di riscoprire e gustare. Passano gli anni, e non riesco ancora ad esaurire di conoscere e vedere le tante cose e realtà curiose che Venezia contiene e nasconde nel suo territorio, nella laguna, nella sua storia e nella sua densa cultura.

Venezia rimane uno scrigno antico e nuovo di gioie uniche, originali, preziose, come quelle che cercavano, trattavano, vendevano e conservavano i Veneziani Mercanti di un tempo. Noi mercanti non siamo purtroppo, ma ci accontentiamo di buttarci dentro lo sguardo sempre curioso e mai sazio.

Il “trittico Armeno”è presto detto e descritto, e consiglio a chiunque di provare a visitarlo e percorrerlo, magari nella sua interezza assaporando anche il fascino profondo di un Rito Armeno.
  • Prima tappa: Palazzo Zenobio in Fondamenta dei Carmini nel Sestiere di Dorsoduro.
  • Seconda tappa: la Corte, la Calle, la piccola Contrada e soprattutto la chiesa di Santa Croce degli Armeni.
  • Terza tappa: l’isola di San Lazzaro degli Armeni nel cuore della laguna di Venezia, a “due passi acquei” dal Lido, a tre passi dalla mitica Piazza San Marco, uno dall’isola di San Servolo, e uno e mezzo da quella di San Giorgio Maggiore.

I miei primi contatti con gli Armeni a Venezia risalgono a molti anni fa. Mi ha impressionato grandemente da studente-giovanotto il fatto d’aver incontrato alcuni giovani Armeni del Collegio Arafat ai Carmini e gli studenti novizi monaci nell’isola-convento di San Lazzaro in laguna. Padroneggiavano  con estrema disinvoltura da otto a dodici lingue, avete letto bene: otto-dodici,  mentre io combattevo con poca fortuna le mie quotidiane battaglie con Greco-Latino e uno spruzzo di Francese. Già l’approccio con l’Aramaico è stato per me un “amicizia” abortita presto.

E quelli invece a spadroneggiarle tranquillamente fra marmellata di rose e una cultura davvero vastissima e polivalente, che condividevano con chi incontravano con estrema cordialità. Per il resto erano giovani simpatici e moderni come tutti gli altri e come noi, anche se giocando a calcio tiravano certe “legnate  gratuite” sulle caviglie, poco amichevoli, che ricordo ancora oggi. Di certo gli Armeni non si sono mai risparmiati nell’aprirsi e dedicarsi alla cultura, e per lunghi anni a Venezia, fra isola e collegio, gli Armeni hanno forgiato e preparato con grande cura i “quadri politico-economico-spirituale” della loro presenza sparsa mondiale. Ne è derivata una congenie di persone argute e molto preparate, oltre che gentili e accoglienti, che da sempre operano con successo a livello planetario.

Ma partiamo dai Zenobio.

Gli Zenobio o Zanobi erano mercanti di origine Armena penserete ovviamente. E invece no. Il Palazzo Zenobio degli Armeni è stato acquisito dagli Armeni solo in epoca tarda. Gli Zenobio sono invece un’altra espressione, una fetta tardiva di quella che è stata la famosa nobiltà veneziana.  Solo dopo, gli Armeni hanno fatto loro e abitato fortemente quel grande palazzo trasformandolo in un Collegio unico al mondo nel suo genere, uno dei tanti però della grande catena dei centri di cultura sparsi dagli Armeni sull’intero pianeta.

I Zenobio o i Zanobi, erano mercanti ricchissimi, speziari, e prestatori di denaro di origine trentina o veronese ma forse Genovesi. Già nel 1587 ottennero l’investitura dai Provveditori di 2 feudi nel Veronese dove possedevano terre a Montorio e dichiaravano una rendita annua intorno agli 80.000 ducati. Nel 1647, divennero “Nobili per soldo” a Venezia (non per sangue e origine), ossia pagarono con Pietro Zenobio alla Serenissima una cifra di 100.000 ducati per ottenere in cambio il riconoscimento nobiliare. Un anno dopo essere stati aggregati al Patriziato Veneto, ottennero e acquistarono anche dal Duca Ferdinando il titolo di Conti del Sacro Romano Impero con signoria e giurisdizione sui territori di Monreale, Salorno, Enna e Caldivo situati in Tirolo.

Di Pietro Zenobio si diceva:

“… signore piu’ gentile ed amabile dei suoi antenati … compro’ feudi nello stato imperiale e beni nel veneto senza fine … Possedeva effetti mercantili indicibili e contante innumerabile posto da parte … grande ingegno … avaro e ristrettissimo risparmio … non bastante ad accrescere facoltà che eccedessero allo stato di privato se non concorreva un eccesso di sorte amica …”

Piano piano, i Zenobio cominciarono a coprire cariche sempre più prestigiose della Serenissima. Divennero Podestà e Capitano di Treviso e poi di Rovigo, fra i Dieci Savi alle Decime, tra gli Officiali alle Rason Vecchie, Consiglieri di Zonta, Castellano e Capitano di Bergamo, Capitano e Podestà a Feltre, Podestà a Chioggia e Provveditore al Cottimo di Damasco, mentre giunsero perfino a rifiutare l’incarico di Capitano e Podestà di Vicenza, accettando ovviamente la carica di Senatore.

Nell’agosto 1682, per professare pubblicamente ai Veneziani il loro valore, i Zenobio per testamento del Conte Verità Zenobio istituirono un legato perpetuo per maritare 24 putte della contrada dell’Anzolo Raffaele e San Pantalon estratte a sorte, di almeno 15 anni e non oltre 29 con 60 ducati ciascuna. Il beneficio venne attuato quasi senza interruzioni e sospeso senza motivo solo nel 1837 dagli eredi alla morte di Alba Zenobio.

Fra 1664 e 1671, Zan Carlo Zenobio figlio di Pietro:  “…con grande prudenza moltiplico’ le ricchezze…” ed acquisto’ un palazzo in contrada Anzolo Raffael  sul Rio dei Carmini e del Soccorso che apparteneva ai Morosini, risalente a prima del quattordicesimo secolo. Ca' Zenobio venne presto restaurata secondo un progetto di Antonio Gaspari allievo di Baldassarre Longhena. Un grande giardino sul retro ospitò l’antica biblioteca, mentre stanze bellissime all’interno sono quella degli Specchi o della Musica affrescata da Louis Dorigny e la Sala degli Stucchi affrescata da Gregorio Lazzarini con tele di Luca Carlevarijs.

E’ favoloso immaginare come qui accadesse un tempo la sontuosa vita mondana veneziana di cui oggi rimangono vistose ma spente tracce. Ho immaginato i suonatori abbarbicati su in alto sulla pergola della musica, e ho provato a vedere le dame che danzavano con i cavalieri in quella stanza adorna di specchi che doveva riflettere mille luci tremule e dorate.  Non sono riuscito a immaginare quali pensieri corressero in quelle stanze e nella mente di quelle persone, ma sono certo che percorressero i sentieri del mondo, del prestigio, della politica, della bellezza, dell’arte e della storia. Non credo saremmo oggi capaci di emularli, producendo opere di valenza simile, penso che da questo punto di vista la nostra cultura odierna sia davvero povera.

Spulciando la storia della famiglia, si scopre che i Zenobio volevano diventare emergenti, rampanti e davvero “Grandi”. Si troverà che nello stesso 1664,  Margherita Zenobio si sposò con Zan Batta dei “Grandi Nobili” Donà di Riva di Biasio, discendenti del Doge Nicolò eletto nel 1618. Quella famiglia gravitava stabilmente intorno agli incarichi prestigiosi del Saviato del Consiglio della Repubblica.

Nel 1668, invece, Virginia Zenobio si sposò con Zuanne dei Nobili “Medio-Grandi” Lando di San Luca che vantavano il titolo di Procuratori di San Marco. Portò con se la dote non indifferente di 25.000 ducati. Tre anni dopo, Verità Zenobio si sposò con i Nobili di “Casata grande” Foscari di San Pantalon. I Zenobio avrebbero voluto sposare un’altra figlia col figlio del Procuratore Bragadin, ma sua moglie una Cornaro di Ca’Grande rifiutò la proposta, nonostante la situazione economica del loro casato non fosse prospera, e nonostante fosse stata proposta una dote di 300.000 ducati.

Nel 1693 Paola Zenobio figlia di Verità si sposò con Antonio Donà delle Fondamente Nove discendente del Doge Leonardo,mentre nel 1696 Bianca Zenobio figlia di Verità sposò Pietro Bragadin di Santa Maria Formosa, che diventerà Procutarore di San Marco, con 40.000 ducati di dote, che vennero dati 14.000 in contanti, 22.500 in depositi in Zecca, 1.500 ducati in mobili, 2.000 ducati in gioie e preziosi.
Altri figli Zenobio si sposarono con i nobili Vendramin della Giudecca, con i potenti Grimani di Santa Maria Formosa,e con gli Emo dalla Crose.

Nel 1716 Carlo Zenobio venne eletto tra i 60 Pregadi: una carica importantissima. Ma solo dalla fine degli anni 1740 i Zenobio ebbero presenza stabile in Pregadi. Questo significa che tutto compreso i vecchi nobili “Grandi” veneziani non hanno permesso agli Zenobio di diventare altrettanto prestigiosi, ma gli hanno sempre tenuti “bassi”, lontani dal potere che conta, buoni solo “da mungere all’occorrenza”.

In ogni caso, nel 1740 la rendita immobiliare annuale dei Zenobio ammontava a 25.000 ducati, e possedevano palazzi a Venezia e Verona, case sparse in tutta la città, e possedimenti terrieri soprattutto nel veronese. A quelli si aggiungevano anche dei beni in Tirolo, ossia il Castello medioevale Haderburg di Salorno arroccato su di uno spuntone roccioso presso il paese più a sud dell’Alto Adige. Già proprietà dei Conti del Tirolo e Gorizia, passò agli Asburgo e in seguito perse significato strategico fino ad essere abbandonato. 

Nel 1648 divenne possesso della famiglia dei Conti Zenobio-Albrizzi provenienti dal Veneto.

Gli Zenobio possedevano anche una Villa padronale, Ca’Zenobio, con oratorio ottagonale e giardino a Santa Bona di Treviso ampliata e ristrutturata nel 1700, aggiungendovi al corpo centrale ali laterali con attico, barchessa e loggiato. Anche lì costruirono a pianterreno una Sala della Musica con affreschi attribuiti a Gregorio Lazzarini, che proponevano il tema amoroso di Eros, delle coppie mitologiche, e della Gerusalemme Liberata, mentre Francesco Fontebasso intervenne nella barchessa e nel  salone al primo piano, affrescando raffinati stucchi con le Allegorie della Giustizia, Pace e Virtù, oltre a dipingere una serie di tele.
Nel 1761 i Zenobio dei Carmini, erano considerati Nobili di II° classe, e avevano 36 servitori a palazzo con 6 gondole a disposizione, ma dichiaravano una rendita annua di soli 6.000 ducati, come pochi altri 70 famiglie nobili di recente acquisizione.

All’inizio del 1800 Alvise Zenobio, figlio capriccioso e ribelle di  GiovanniCarlo e Cecilia Emo,  possedeva nel veronese 813 ettari di terra fra Verona, Montorio e Colognola, ma viveva e si divertiva a Londra  curandosi davvero poco degli interessi fondiari di famiglia, giungendo a vendere alcuni possedimenti veronesi ai Conti Alberti.
Dal 1850, estintasi la casata e passati più proprietari tra i quali gli Albrizzi, il palazzo veneziano divenne Ca’ Zenobio degli Armeni, sede dei Mechitaristi Armeni di San Lazzaro in Venezia e lo è tutt’ora. E’ stato parzialmente restaurato, e viene spesso affittato per mostre, concerti o ricevimenti, set cinematografico o di videoclip musicali come quelle girate da Madonna o Laura Pausini.

Passiamo ora alla Contrada e alla chiesetta nascosta di Santa Croce degli Armeni.

I posti in cui vivevano i mercanti Armeni a Venezia formavano come una contrada nella contrada veneziana di San Zulian, proprio a un centinaio di metri dalla prestigiosa Piazza San Marco. Come tipico a Venezia, se non ci si può allargare in largo, ci si espande in alto. Così ne è risultata una serie di cupi e stretti palazzi racchiusi in calli ombrose dove per secoli hanno abitato gli Armeni.
La loro chiesetta non poteva essere da meno. Seguendo la stessa logica, l’hanno edificata davvero inserita, inglobata nei loro ambienti abitativi della vita quotidiana e del lavoro, ed è talmente amalgamata col tutto, che quasi non la vedi. Santa Croce degli Armeni è infatti un’altra delle chiese invisibili di Venezia, totalmente racchiusa e nascosta fra le abitazioni. Se non fosse che si nota un campaniletto sopra alle case, proprio sul bordo di un canale secondario, non si direbbe proprio che in quel posto possa sorgere una chiesa. Anche l’entrata è celata, davvero nascosta, dentro a un sottoportico scuro. Se non ci fosse in cartello turistico, sembrerebbe una porta di casa o magazzino qualsiasi.

Ma è entrando dentro, che scopri l’altra dimensione, quella tipica Armena. Ti trovi davanti una chiesetta minuscola, coccola, conservatissima, pulita, in cui ancora oggi si celebra il Rito in Armeno antico liturgico sotto a un raro cielo stellato dipinto.

E infine l’isola di San Lazzaro degli Armeni.

La sua storia è antichissima come Venezia, e sembra iniziare con Leone Parlini  nel 1185 che ottenne in dono l’isola da Umberto, Abate di San Ilario di Fusina e vi fondò un ospedale e una chiesa, dedicati a San Leone Papa, dal quale inizialmente l'isola prese nome.
L’isola oggi di San Lazzaro degli Armeni Monaci Mechitaristi, ampia tre ettari e situata in Laguna Sud vicino al Lido, fra Lazzaretto Vecchio e San Servolo, era quindi un Ospizio per mendicanti, lebbrosi e pellegrini infermidiretti in Terrasanta. Solo in seguito mutò il nome in San Lazzaro: il lebbroso del Vangelo diventando definitivamente un lebbrosario.

In seguito, nel 1601,  il lebbrosario fu trasferito a Castello, nell'Ospedale di San Lazzaro dei Mendicanti a San Giovanni e Paolo, e l’isola affidata a un Priore sotto la giurisdizione del Vescovo veneziano di Castello o Olivolo.
Ancora nel 1661 l’isola di San Lazzaro possedeva rendite annuali di 282 ducati provenienti da immobili siti in Venezia, ma venne presto progressivamente abbandonata.

Nel 1717 dopo quasi un secolo di abbandono, l'isola fu assegnata dalla Repubblica di Venezia al Monaco Benedettino e nobile armeno Manug di Pietro detto Mechitar ossia il Consolatore, fuggito all'invasione turca dell’Armenia dove a Sebaste aveva fondato un monastero. Giunto a San Lazzaro, per 30 anni progettò e riedificò chiesa e Convento.

Durante il disfacimento generale di Venezia ad opera di Napoleone, l'isola non venne occupata perché considerata un’Accademia Letteraria, e perciò rispettò la comunità religiosa. Si dice anche che i Padri Armeni abbiano innalzato nell'isola la bandiera del Sultano turco, di cui l'Imperatore Bonaparte era alleato.

Nel 1880-1881 i Mechitaristi Armeni a Venezia erano complessivamente in 30 e si occupavano in 25 dell’isola, di scienze, tipografia in lingue orientali, e contemplazione, e in 5 del Collegio Armeno dei Carmini.

Si potrebbero raccontare dell’isola mille cose, ne ricordo solo una davvero curiosa.

Nel febbraio 1907, Josif Vissarionovic Djugatchsvili  di 28 anni scappò dalla polizia della Georgia nella Russia zarista provando a rifugiarsi in Italia. Era un esponente estremista del Partito Socialdemocratico Russo ossia dei Bolscevichi. Si nascose in una nave mercantile piena di grano che navigava sulla rotta: Odessa-Ancona. Dopo aver lavorato come portiere d`albergo, s’imbarcò come clandestino per Venezia, dove gli anarchici lagunari lo soprannominarono "Bepi del giasso"ricordando i suoi luoghi freddi d’origine. Conoscendo l`Armeno e avendo studiato Teologica a Gori e nel Seminario Ortodosso di Teflis, si presentò a chiedere ospitalità e lavoro all`Abate di San Lazzaro Ignazio Ghiurekian. Avendo riferito di saper servire messa secondo i riti Latino ed Ortodosso, e di saper suonare anche le campane, “Bepi del giasso” divenne camparo. Ma siccome l’Abate voleva suonare le campane alla Latina, mentre Bepi voleva suonarle all’Ortodossao, giunsero a litigare e a una scelta definitiva.
O Bepi rimaneva nell`isola e accettava le norme della Congregazione Mechitarista diventando novizio, o se ne doveva andare. Il Georgiano “Bepi del Giazzo” ripartì per la Russia dove accadde la Rivoluzione Sovietica, e qualche anno dopo divenne Segretario Generale del Partito Comunista e guida dell`Unione Sovietica col soprannome di "Piccolo Padre". In poche parole, quell’uomo fu semplicemente Stalin, l’ex campanaro di San Lazzaro degli Armeni di Venezia.

Ancora nel 1962 l’Abazia Generale dell’isola di San Lazzaro Resuscitato ospitava 16 padri Armeni, mentre nella zona del Pordelio di Treporti gli Armeni possedevano ancora le zone di Lio Piccolo da loro bonificate, dove praticavano attività di agricoltura e pescicoltura.

Gli Armeni dicevo sono un popolo molto colto, oltre che ricco. Sappiate che la loro isola di San Lazzaro è un gioiellino davvero prezioso. Oltre al fascinoso convento lagunare, che da solo rivela un mondo arcano d’altri tempi, lì vengono raccolti qualcosa come 170.000 volumi fra cui 4.500 manoscritti e pergamene rarissimi, qualcuno unico al mondo. Dentro alla moderna biblioteca circolare potrete trovare “pezzi” incredibili come, ad esempio, i “Tetravangeli” che molti neanche non sanno che cosa significhi il solo termine. Sembrano reperti provenienti da un altro mondo.

Sempre a San Lazzaro troverete delle raccolte curiosissime e preziose, un vero spaccato d’Oriente, di Arte e Scienza trasportato e conservato meticolosamente nei secoli in questo angolo della laguna di Venezia. Troverete perfino una mummia egiziana autentica, conservatissima e bellissima con il suo sarcofago dipinto e parte del suo corredo. Chi l’avrebbe mai detto, qui a Venezia ? E’ la mummia di un antico sacerdote o scriba egiziano, tale Nemenkhet Amon, ed emana un fascino davvero potente, che spinge lontano i pensieri.

Alla fine della giornata mi sono fermato un attimo a sperdere lo sguardo sul bordo dell’isola di San Lazzaro degli Armeni. La laguna di Venezia si stendeva davanti a me in tutto il suo austero splendore, perché tutta coperta e velata da una tipica giornata di pioggia autunnale. Ma Venezia e le sue lagune è sempre bella, anche quando“fa brutto”, come in ogni stagione.

Chissà perché, davanti a quel panorama di grigi, azzurri e violetti, mi si è accesa nella mente la voce di un vecchio pescatore di Burano, la mia isola natale spersa in fondo alla laguna di Venezia. Ricordo che stazionava spesso fuori della porta della scuola elementare, e si divertiva a canzonare instancabile noi ragazzini che andavamo a perdere tempo a scuola.
Con suo immancabile cappellaccio sbilenco e le calze di lana bianche tirate sopra ai pantaloni fino al ginocchio, stava seduto sopra a una sgangherata sedia impagliata davanti al cancello cadente del suo giardino. Sigaro in bocca, sorrideva e canzonava.

“Andata, andate a perdere tempo sulle carte … Entrate con la maestra a dire: A-B-H … la maestra fa la cacca … Cosa volete imparare lì dentro ? La vita sta fuori … Quello è tempo perso … Fareste bene ad andare a lavorare e pescare in laguna e sul mare, invece si star lì chiusi dentro … Le carte e le parole inebetiscono e basta …”

Ragazzino, lo guardavo passandogli ogni giorno davanti e sorridevo perplesso, preferendo di certo varcare la soglia di quella miniera misteriosa e affascinante tutta da scoprire, che era la mia scuola con i suoi segreti infiniti. Lui era pescatore analfabeta, ovvio direte, esponente però di un mondo di persone presenti ancora oggi nell’epoca tecnologizzata dei computer, di internet e di tutto il resto. Esiste infatti un’ignoranza, un analfabetismo di ritorno di molti, non sono io a dirlo.  Siamo diventati e rimaniamo spesso cultura comoda del benessere, del mordi e fuggi, società del video guardato, rubato e già dimenticato.

Perciò una realtà come quella degli Armeni è monito per chiunque. Insegna che c’è sempre da sapere e imparare per potere affermarsi e osare nella vita, per sentirsi vivi e nutrire la propria personalità e conoscenza e incontrare gli altri e il mondo.

Sul bordo della laguna ho mescolato tutto, fondendo insieme l’immagine della grande sapienza Armena, e quell’ignorante che ciascuno di noi rimane, perché troppo abituati e impegnati nel solo vivere e basta.

Alla fine sono rientrato a casa con un pizzico di simpatia in più per gli Armeni e la loro storia, e con la voglia di saperne un po’ di più.


Venezia ha colpito ancora.


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