“Una curiosità veneziana per volta.” - n° 41.
“Il testamento di Giacomo Brentella Forner a San Tomà …”
Sapete ormai bene che m’incuriosiscono le vicende di Venezia e della sua laguna, e in particolare modo le notizie sulla Ca’Granda dei Frari. Mi sono perfino inventato il romanzo “ UN NIDO ” per metterle insieme tutte.
Nonostante questo, sto ancora continuando a leggere e cercare altre notizie sul quanto è accaduto dentro e intorno a quello straordinario sito veneziano, che per me è davvero speciale.
Frugando ancora fra libri e carte ho trovato altre due-tre notizie, mirabilmente presentate da serissimi ricercatori e studiosi, che voglio mettere insieme a tutte le altre che ho raccolto per mia esclusiva curiosità personale.
Eccole !
Fin da giugno1645 e per ben 13 anni consecutivi ogni sera dopo Compieta, nella chiesa della Ca’Grande dei Frari di Venezia, si sono cantate processionalmente: “…con torci et doppieri accesi le litanie maggiori intorno alla chiesa ad implorare la protezione divina (contro i Turchi) le quali se concludono con tutta la comunità dei Frati e dei fedeli prostrati a terra dinnanzi alla reliquia del Sangue di Cristo … “
Ve la immaginate “la cosa” ? No, forse non ci riusciamo, perchè abbiamo una sensibilità e una mentalità ormai troppo diversa.
Altro che serate comodamente rilassati in divano davanti alla televisione, o a girovagare per Internet e su Facebook seduti al computer. Per molti anni gli uomini e donne Veneziani di ceto diverso delle Contrada limitrofe alla Ca’Granda dei Frari, uscivano di casa e si recavano in chiesa per processionare, cantare e buttarsi a terra a pregare per provare in quel modo a salvare Venezia dal pericolo dell’invasione dei Turchi Musulmani.
Erano davvero diversi da noi i Veneziani del 1600.
La seconda notizia che ho trovato è l’antico testamento del 1652 di Giacomo Brentella fornaio. Era anche impiegato come Fante del Dazio da Vin, e abitava al Ponte della Frescada in Contrada di San Pantalon. Mentre in Contrada di San Tomà, adiacente alla Ca’Granda dei Frari, era proprietario di un forno con inviamento.
Il 6 aprile1652, Giacomo fece contattare Gerolamo De Cappi: Pubblico Notaio Veneto e Notaio dei Quattro Ospedali Pubblici e dei Luoghi Pii della città di Venezia, con scriptorium presso Rivo Alto, e gli dettò le sue disposizioni testamentarie.
Vivendo con la moglie Cecilia Contento ma senza figli, dispose di lasciare a lei l’usufrutto delle sue sostanze e del forno di San Tomà con la porzione di casa sopra al forno nei pressi di Ca’Contarini sul Canal Grande. Sempre alla moglie, insieme a tutto il vino, la farina e le robbe magnative presenti alla sua morte, lasciò il godimento degli interessi di un livello-capitale di 200 ducati dato a Valentin fornaio a San Moisè, e gli interessi di un altro capitale da lui investito nella Fantaria del Dazio del Vin.
Al fratello Giovanni lasciò il bene di un “livello”in Piove di Sacco, e ai suoi 4 nipoti 25 ducati da ricevere con la maggiore età per i maschi o col matrimonio o la monacazione per le femmine.
Ricordò inoltre due prestiti che aveva fatto.
Uno di 200 ducati fatto a suo nipote Francesco Furian che era “Orese all’insegna del Prete”in Calle della Gallia a Rialto per la quale pagava affitto di 25 ducati annui all’Avvocato Regin.
Un altro prestito, invece, di 600 ducati l’aveva concesso alla Nobil Donna Orsa Contarini “sua principale” da scontarsi pagandogli 70 ducati annui.
Comandò inoltre ai suoi due Commissari Testamentari (ossia la moglie Cecilia e il causidico Giovanni Battista da San Fermo che poi rifiutò l’incarico) di vendere il resto dei suoi mobili al miglior offerente, e che il ricavato dovesse essere investito nel migliore dei modi insieme ai 200 ducati di debito di Valentin Fornaio e ai 200 ducati di Francesco Orese.
In realtà Valentin Fornaio a San Moisè fallì e non poté restituire i 200 ducati ricevuti a prestito, mentre Francesco Orese morì presto, riducendo anche lui la possibilità di vedere restituito il prestito.
Il buon fornaio Giacomo Brentella dispose infine: “… che alla morte della moglie tutti gli utili da lei incassati vadano a beneficio della Ca’Granda dei Frari per fare una pisside d’oro massiccio di 30 once, in sostituzione di quella d’argento,da esponer la reliquia con l’ampolla del Preziosissimo Sangue durante la Domenica di Lazzaro come consueto…”
La moglie morì a 80 anni nel 1673 in parrocchia di San Barnaba, dopo Anzolo Biavarol della Contrada di San Moisè e Francesco Ruberti di San Barnaba: i due mariti con cui si era risposata.
Sempre nello stesso testamento, il fornaio Giacomo Brentella precisava che il rimanente del capitale dopo aver eseguito il manufatto-reliquiario d’oro,dovevaandare ai nipotimaschi di suo fratello “ … con il terreno e i sette carati e mezzo dell’inviamento da forno di San Tomà”.
Mancando eventuali eredi maschi, il forno doveva andare al fornaio che si troverà a lavorare in quel momento con l’obbligo di continuare a vita il mestiere di fornaio, e di far dire due messe solenni da morto nella chiesa di San Tomà in perpetuo per il fornaio Giacomo Brentella.
Secondo le stime dell’epoca, l’inviamento da Forno di San Tomà fruttava ducati 23 annui, mentre i 600 ducati e 9 grossi di Capitale depositati nella Pubblica Zecca con interesse del 3%, dovevano fruttare 18 ducati annui.
Ossia quel capitale nell’insieme procurava un guadagno di 41 ducati annui.
Giacomo fornaio precisava ancora, che il rimanente dagli affitti incassati dalla moglie, doveva essere dato alla parrocchia di San Tomà per costruire la nuova facciata della chiesa, o per costituire doti per maritare donzelle povere.
Essendo il testamento a favore e tutela di una reliquia, passò secondo le leggi della Serenissima sotto la gestione dei Procuratori di San Marco De Supra, che fra gli altri avevano il compito della tutela di tutte le reliquie di Venezia.
La moglie mise in pratica scrupolosamente le indicazioni del testamento di Giacomo Brentella fornaio a San Tomà, e nel 1661 fu costruita una pisside d’oro di 595 grammi, alta 25 cm, per la reliquia dei Frari.
Fu pagata dal NH Pietro Donà Cassiere della Procuratoria di San Marco De Supra, in ottemperanza del lascito di Giacomo Bretella fornaio, circa 240 zecchini ossia 3.960 lire all’orefice Hieronimus Manara, originario di Cremona e abitante in Contrada di San Salvador, che aveva bottega “All’insegna Della Benevolenza” in Calle delle Acque in Contrada di San Zulian vicino a San Marco.
In quegli anni erano Procuratori di San Marco:
Antonio Bernardo, Pietro Donà che fungeva da Cassier, Giovanni Battista Corner, Francesco Morosini, Leonardo Pesaro, Silvestro Valier, Alessandro Contarini, Ottavio Manin, Giovanni Sagredo, Giulio Giustinian e Alvise Mocenigo IV.
Infine la terza notizia, è che durante la Guerra di Candia del 1645-69, Venezia Serenissima era più che mai affamata di soldi per finanziare le sue imprese guerresche. Le pensava tutte pur di raggranellare risorse da investire in guerra fra vittorie e sconfitte.7
Pensò anche di ammettere ad un club esclusivo per soli cento Nobili disposti a sborsare mille ducati inizialmente per aderirvi, mentre per i figli per succedervi avrebbero dovuto sborsare ben 10.000 ducati. La Signoria di Venezia pensava quindi di racimolare almeno un milione di ducati inventandosi un Ordine Cavalleresco del Preziosissimo Sangue di Cristo, la cui reliquia di riferimento, guarda caso, era proprio quella interessata dal testamento del fornaio Giacomo Brentella di cui dicevamo prima.
“Tesoro infinito che si custodisce per Divina Gratia in questa Serenissima Dominante, antemorale della Cristianità …”
L’iniziativa tuttavia fallì, forse per mancanza di nobili veneziani disposti a privarsi facilmente di capitali in nome della devozione.
E’ curioso notare quanto accadeva un tempo a Venezia attorno a realtà devozionali di tal genere. Credo che noi oggi saremmo del tutto incapaci di gestualità simili.
Chissà perché ?