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“IMBRIAGONI & MERCANTI DA VIN … A VENEZIA.”

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“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 86.

“IMBRIAGONI & MERCANTI DA VIN … A VENEZIA.”


(la Sala del Capitolo della Schola dei Mercanti da Vin a San Silvestro.)
Mentre in Inghilterra si stendeva ancora la paglia sui panconi dove dormiva il Re di passaggio, a Venezia nel 1270 si obbligava gli Osti a tenere non meno di 40 letti forniti di coltri e lenzuoli, pena 100 soldi per ogni letto di meno, vietando loro allo stesso tempo: “… d’alloggiar meretrici, aver più d’una porta pubblica, né vendere altro vino che quello dato dai tre Giustizieri.”

Quando la differenza conta … e trascorsero secoli.

Il libretto “Il gran maestro dei forestieri”, una specie di Guida turistica del 1712 spiegava: “… eccoti dunque, amico passeggiere, giunto felicemente alle sponde dell’Adria, dove, tosto mirando con occhio curioso, vedi sorgere mezzo spatiosa pianura d’acqua l’inclita città di Venetia.
Eccoti, appena posto piedi a terra dal calesse o cavallo, circondato da numerosa folla di mercenari, che ricercano di servirti con importune esibizioni per islegare le tue valigie e porre il tutto nella piccola barca, o vogliam dire gondola, che sta per tragittarti alla città. Infine avanti di partire dal Lido si vede, confuso dalla voce di molti, che chiedono pagamento del preteso prestato servizio, nello slegare i tuoi arnesi, onde tosto ti conviene contendere a chi havessi comandato d’operare.
RICORDATI BENE: per liberarti, dunque, da tale importuno intrico, avanti di slegar cosa alcuna, chiamerai a te il solo padrone della barca, che tragittar ti deve a Venetia, et ordinargli in persona, o facendogli assistere dai tuoi servi, et in questa forma sarai esente da tali temerarissime ciancie, e sarà fedelmente custodita la tua robba, senza spesa veruna.
Sei miglia in circa devi passar d’acqua, per ordinario placida, et assisi nel picciol legno, discorrendo con li tuoi compagni, o rammentandoti da te solo gli accidenti de’ viaggi passati, stupirsi nel veder sorgere una si maestosa città in mezzo al mare. Così dopo lo spazio di un hora in circa ti vedo giunto in città, dove ti sento ordinare ai Barcaroli di condurti a qualche alloggiamento; da questi sarai informato trovarsi diverse Osterie che alloggiano forastieri d’ogni grado e condizione…”

Venezia era già Venezia … molto simile ad oggi … comprese le angherie e gli imbrogli nei riguardi di turisti e ospiti che riempiono le cronache ancora in questi nostri giorni. La vicenda del Garage San Marco di Piazzale Roma è proprio notizia di ieri.

Volevo però parlare d’altro …
(i Vinai sugli Arconi del Portale delle Arti e Mestieri della Basilica di San Marco.)

Onestamente, anche se Venezia ha sempre posseduto belle vigne soprattutto nelle isole di Sant’Erasmo, Mazzorbo, Lido, e poi anche nel Litorale e nella Terraferma, e perfino nel centro storico come le Vigne delle Monache di San Lorenzo e San Zaccaria, o quella che c’era nell’attuale Piazzale Roma; ebbene il vino Veneziano non è mai stato un granchè buono, né mai considerato pregevole. Sarà stato forse colpa della terra salmastra, o dell’eccesso d’umidità, o di chissà che cosa, sta di fatto che il vino di Venezia è sempre stato un po’ sapido, amarognolo, non proprio gradevole al palato. Non un gran vino, insomma.

Comunque a Venezia come altrove, il vino è sempre stato considerato per millenni come panacea e rimedio per diverse situazioni e molti mali. In mille modi e maniere diverse si finiva sempre per darlo a bambini, vecchi e malati … e che sia stato forse per l’effetto vasodilatante dell’alcol, o perché il vino infonde sempre quel senso di calore e sa far dimenticare la fatica, sta di fatto che i Veneziani hanno sempre assunto la loro dose quotidiana … magari annacquata se avevano le “tasche bucate”. Pescatori, Marinai, Facchini, Artieri, Popolani, Mercanti, Cittadini e Nobili di ogni tipo … e perché no ? Anche Frati, Preti e Monache di ogni Convento e Chiesa … Tutti per secoli hanno preteso e ottenuto la loro razione quotidiana.


“Ah ! Quale limpida e fervida devozione !” si compiacque un giorno la Badessa Donata Morisini con la sua Vicaria la Monaca Caterina Badoera.” si legge in un’antica cronachella. “Sentivano, infatti, provenire dal basso dei chiostri del Convento di San Lorenzo di Castello le voci leggiadre, allegre e canterine di alcune delle Monache del prestigioso Monastero.
Meno entusiasta fu in seguito la stessa Badessa di costatare che, trascorse le ore e giunta l’ora del Vespro, inspiegabilmente erano assenti dalla recita delle Orazioni del Coro diverse Consorelle. Mancavano sia la Monaca Ortolana, la Canevaria, la Lavandera, e perfino l’austera Madre Maestra con due delle sue giovani ed esuberanti  novizie. Non era mai accaduta una cosa del genere.
“Quale sospetta beatitudine !” Esclamò stavolta la Badessa alla sua Vicaria costatando che tanta gaiezza, che non stava affatto scemando, proveniva dalla Caneva del Convento.
Allora terminato il rito, la Badessa e la Compagna si risolsero a scendere le scale di sotto per andare a vedere oltre la Corte, in fondo al giardino. Giunte che furono finalmente alla Caneva del Monastero, sospinta la grezza porta, si trovarono davanti uno spettacolo che non fu affatto divertente. Le Monache assenti cantavano tutte prese non da “Spirito Divino”, ma da un più basso e trasfigurante “Spirito di Vino”, in quanto s’intrattenevano … e non solo … in compagnia degli homeni dei Trasportatori e Travasadori da Vino, e con i Bastazi-Facchini e Barcaroli che avevano rifornito il Convento ... Tutti erano presi da inebriante e bacchica frenesia canora e danzante … e quel che non può raccontare la parola lo videro gli occhi.
Nei giorni seguenti le Monache ispiritate e goliardiche del San Lorenzo cantarono ancora, ma stavolta in maniera meno angelica, ma di pena e d’afflizione per le ristrettezze procurate nella squallida cella-prigione in cui furono per settimane rinchiuse a vivere “a pane et acqua” dentro al Campanile del Monastero ... Lo “Spirito di Vino” insegni !”

E’ solo un esempio … A Venezia è sempre esistita una grossa attività e un intenso lavorio intorno al vino.

I principali fautori, si sa, furono gli Osti, i Caneveri, i vari acquisitori e venditori del piacevole quanto “fatale” liquido capace anche di “aprire a verità”, ma avvenne anche un intensissimo movimento di trasportatori con navi, barche e carri, con una folla di misuratori e assaggiatori, confezionatori, cantinieri e conservatori, e perfino chi andava in giro a servire e rifornire “porta a porta” o “casa-palazzo”. Attorno al vino, ad esempio, ruotava l’attività di tanti “Mastri” delle Arti e dei Mestieri dei Botteri e dei Cerchieriche sapevano inventarsi barili, mastelli e contenitori di ogni forma, tipo e capienza … ma c’erano anche i Boccaleri, i Travasadori e i Misuradoriche provvedevano a mescere, vendere e distribuire nella maniera migliore ... ciascuno congregato in specifiche, rinomate ed esclusive quanto apposite “Schole”.
A Venezia si vendeva, acquistava e beveva vino in mille posti e maniere: nelle Malvasie dove si vendeva vino pregiato portato a Venezia da galee armate provenienti da Cipro, Grecia e Puglia, nelle Furattole, Caneve, Ostarieche si chiamavano anche “Sanmarchi o Sanmarchetti” per l’insegna Marciana con cui si fregiavano davanti alla porta, e poi ancora in: Bettole, Bàcari, Cantinefino ai pessimi Bastioni e Magazzini dove si smerciava lo scadente “vino da pegni” usato dai popolani come moneta di scambio per prestiti. Si otteneva una parte in vino e un’altra parte in soldi.
Il Vino si vendeva anche sfuso, “al palo”, eccetto che da maggio a ottobre per la troppa calura. Succedeva a Rialto, San Marco e Giudecca da dove venne presto revocata la vendita perché alcuni Veneziani sfuggivano con troppa insistenza al Dazio sul Vino.
Dal 1551, la vendita del Vino all'ingrosso era consentita dalla misura del “Secchio” (ossia 10,7 litri) ad oltre usando le capacità di: “Burcio”(cioè 60 Botti), “Botte”(cioè 10 Mastelli), “Anfora”(4 Bigonce), “Bigoncia”(2 Mastelli), “Mastello”(7 Secchie), “Barile”(6 Secchie),“Secchia”(4 Bozze), “Bòssa”(4 Quartucci) e “Quartuccio”(ossia 4 Gotti).

Sono d’accordo … era una bella confusione, un gran casino di misure … ma tutto era preciso e controllato, e si misurava il Vino con apposite “misure vitree bollate dal Governo”, e secondo le antiche consuetudini era permesso venderlo sulle due "rive"di Rialto e San Marco: “… anche nei giorni festivi e nelle domeniche, eccetto che a Natale, Pasqua, Pentecoste, Corpus Domini, Ascensione, Annunciasion e alle Feste Benedette della Madonna dea Salute e del Redentor.”

Già nel 1330 si rivendevano a Venezia 2000 anfore di Vino l’anno comprandole a 8 lire l’anfora, e facendone un “grosso guadagno” di 9-10 lire l’una … Una legge apposita ricordava a tutti che: “… Osti e Bastioneri possino tuor pegni ed anco il gabàn a chi avesse mangiato e bevuto senza pagare …”

Alcuni dei nomi degli Osti di Venezia che ci sono giunti sono curiosi: Almerico della Stella, Chiara ed Elisabetta figlie di Meneghino Trombettiere, Pietro dal Gallo, Marchesino Trevisan detto Merlitio, Manfredodell’Osteria delle Monache di San Servolo, Almerigo di Fraganescodell’Hosteria da Comun, Biagio de Ripa, Bartolomeo Pizegotto… altro Oste dell’Osteria appartenente alle Monache di San Lorenzo (quelle della storiella citata sopra), Marco Montanario, Pietro Quintavalle, Giacomo da Mestre, Francesco Quintafoya, Filippo Barba de becho, Paolo cambista, Graziolo Domafollo, Matteo Sermede … e molti altri.
Ciascuno vendeva Vino di Romania, Candia, Malvasia, Arbe, Dalmazia, Schiavonia, Ribolle d’Istria, Vino Tribiano o di Toscana e del Papa, e Vino della Marca, da Bassano, dal Cenedese (Vittorio Veneto e Valdobiadene), dall’Abruzzo, daBarletta, Otranto e Monte Angelo di Puglia, “da Neapoli, Siciliae et Gaietam de Calabriae”, da Forlì e Imola … Era consentito allungarlo con l’acqua per diminuirne il prezzo, e quando una notte di letto in Locanda costava da quattro a sei lire di piccoli … si era costretti a pagare un Dazio per anfora di Vino di quattordici lire di piccoli.


I Veneziani comunque non si scoraggiavano, anzi, erano industriosi, perché esistevano perfino alcune Osterie galleggianti “poste su peate” col permesso di sostare oltre al ponte di Rialto e nel Canale di San Marco per vendere piccole quantità di Vino sfuso ad uso familiare … Su questi improbabili navigli galleggianti nel 1344 la Serenissima concesse il permesso a Frate Pietruccio d’Assisi di elemosinare vino “a favore delle Balie dello Spedale della Pietà”,e all’eremita Andrea del Birro: “a favore di carcerati e poveri permettendo loro di tenerne una parte a loro personale vantaggio”. Il Maggior Consiglio tuttavia, revocò presto il permesso di vendere Vino presso San Marco, perché intorno alle barche: “Ogni giorno venivano commessi omicidi e troppo rumore intorno alle vendite pubbliche del vino.”

Venezia era sempre Venezia, insomma, c’era Vino per tutte le situazioni, per tutti i gusti e palati, e per tutte le tasche, tanto che il Vino venne considerato un bene necessario e di prima necessità come il sale, la farina e l’olio.
E come: “due più due fan quattro, il Vino venne perciò soggetto a Dazi … e nacquero perciò di conseguenza li contrabbandi”.

Nel giugno 1459 infatti, il Senato deliberò di costituire “un manipolo di Cavalieri addetti alla sorveglianza dei luoghi, strade maestre e secondarie dirette a Mestre …” per tentare di ridurre il contrabbando di Vino verso la Laguna e lungo i canali che portavano a Venezia.

“… Perché el vien fato molti contrabandi al nostro Dacio del Vin in le parte de Mestrina verso Tesera, Champoldo, San Martin de Strata et altri luoghi che deschore verso el Sil, et etiandio per la via del Botenigo chome ha inteso i nostri Governdadori, i quali per questa ragione sono stadi fora.
Et el sia iusto che hognun paga i dacii limitadi et consueti.
Landerà parte che per iditi Governadoti, sia electo uno Chavo de Chavalari, el quale abbia homeni 4 appresso de lui chon altri 4 Chavi, in summa 5 persone, habia de salario al mexe ducati 13 d’oro, e sia tegnudo star a Mestre chon iditi soi compagni, non sia homo del Mestrin, né Trevisan, né Padovan. Sia el dito obligato andar per el Mestrin dala parte de Tesera et verso el Sil, et su Trevixan, et verso el Botenigo verso la parte de Miran, zercar et inquisir tuti queli conduxe vini verso quelle parte, si chon chari chome con barche et burci, i qual non havesse bolete de condur iditti vini a Mestre, over a Venexia de i luoghi dove i torà iditi vini, queli liberamente sia perduti chon ichari, over barche, burchi et buo, et havendo etiamdio bolete, se i se laserà trovar fuor dele strade maistre over chanali che vegna verso Mestre et Venexia, sia intexo chassi perduto come se inon havesse bolete … Et azio iditi luogi de Tesera, San Martin, Champoldo, Terzo e verso Botenigo et altri luogi habia tanto vin faza quanto isia bastevoli per lo viver suo, damo sia prexo chel Podestà de Mestre e idacieri ogni ano 2 volte debia limitar a iditi luogi quello i sarà de besogno: e non essendo dachordo iditi Podestà e Dacieri, entra i Governdadoti; e sel sarà acusando algun di diti luogi nominadi de sopra haver venduto alcun vin et habiasse la verità, chaza del lire 500 la qual sia ½ del acusator laltra metà a eser partida ut supra; la qual parte sia cridada a Treviso, Mestre et altri luogi in li zorni di marchado… Le palade veramente di diti luogi e a ichanali sia provisto segondo aparerà a iditi Governadori si de palificarii, cheme de chassar iditi palatieri over chambiarli et zonzer …”

I Dazieri della Serenissima avevano fama d’essere temibilissimi e molto scaltri:
“Se i contadinotti di Mestre, Tessera e Campalto sono furbi … si sappia che i Gabelotti Dazieri della Serenissima lo sono mille volte di più ... Se loro mettono i salami sotto alla barca per non farli trovare e saltare di pagare il Dazio … i Gabelotti passeranno una corda sotto tutte ogni barca per vedere se il fondo è davvero piatto del tutto ... E se una botte vuota non suonerà come dovrebbe, significherà che anche se all’occhio sembrerà tale, in realtà non sarà vuota ma celerà qualcosa ... Anche la barca non affonderà sotto al livello dell’acqua se trasporterà soltanto cose senza peso … ma se si vedrà spingere faticosamente vogando in quattro sul canale di ritorno dal Molendino de la Laguna, verrà da pensare che un “Niente” trasportato non farà sudare così copiosamente … ma ci dovrà di certo essere nascosto in qualche sottofondo del fresco macinato o della buona farina.”

Visto che era considerato un bene irrinunciabile e di grande profitto, a Venezia non era affatto cosa semplice vendere il Vino perché il Governo sovraintendeva del tutto alla sua gestione avendone creato un vero e proprio monopolio.

Un po’ come si fa ancora oggi con le sigarette, i liquori, i valori bollati e anche il sale. La Serenissima attraverso i suoi Giustizieri trattava direttamente con i Mercanti da Vin le partite di vino da commerciare: ne“tastava”, stimava la qualità assaggiando le “mostre”, e se soddisfatta comprava il vino che rivendeva agli Osti che a loro volta lo dovevano vendere a prezzo calmierato alla gente e agli avventori-clienti. La differenza di prezzo ovviamente l’intascava lo Stato.
Ma non è tutto, perché il Senato in persona si preoccupava di concedere permessi speciali “d’incanovare il vino”, e appositiMagistrati al Vino controllavano in giro per Venezia le rivendite, i“Travasi” perché il vino non venisse“battezzato”, o adulterato e annacquato ossia “reducatur acquam oltre misura” da Osti e Tavernieri. I Magistrati al Vin facevanosuggellare botti, barili e bottazzi, e perquisivano a sorpresa con i loro Fanti: Caneve, Malvasie e Osterie e tutto il resto ricavandone una percentuale del 10-12% di soldi di piccoli per ogni anfora venduta.

E non accadeva come spesso succede oggi che Magistrati-Controllori intascassero sempre e comunque e facilmente la mazzetta. Accadeva sì qualche volta, ma la Serenissima vigilava attentamente perché nel settembre 1331, ad esempio, la differenza ricavata dalla vendita di Stato sul Vino dell’intera isola di Murano venne utilizzata per riparare le rive e scavare il canale della Contrada di Santo Stefano della stessa isola …Nel settembre 1370, invece, si decretò la proibizione per tutti i Veneziani di andare a bere vino dentro al Fontego dei Tedeschi dove i Mercanti Allemanni avevano un’Osteria a loro riservata … con prezzi “speciali”a favore dei Mercanti da Vin …Nell’agosto 1388 col guadagno pubblico sulla vendita del Vino si provvide a pagare la riparazione di un campanile di Venezia colpito e bruciato da un fulmine ... Nell’aprile 1398, il Senato Serenissimo concesse al Signore di Padova:“ … di far transitare per le acque e i porti nostri del Friuli senza pagare Gabella: venti botti di Vino Pignolo per proprio uso e per la Sanità della sua gente” 

Nel giugno 1409, i Signori di Notte al Civil con apposito “Capitolare” deliberarono:“… d’infliggere una multa di 500 lire, la perdita del vino e dell’esercizio mercantile a chi aveva condotto e venduto vino a Venezia dal Trevigiano e dalla Marca falsandolo “cum melatio et rucchetta”. Il barcarolo sarebbe stato condannato alla pubblica berlina per un giorno, e la sua barca bruciata facendogli pagare una multa di 100 lire” … Nel novembre 1458 la Serenissima comprò all’ingrosso vino rosso e bianco e mosto pagandolo in contanti da Bertolin fiòl de Ser Zan Piero de Gonza de Vicenza che vendeva sulle“Zatre in San Basilio”.
Venezia avevano perciò tutto l’interesse che il Vino fosse effettivamente buono e di qualità e quantità giusta.

Il Dazio in “Entrada e Insida” del Vino all’ingrosso a Venezia era enorme, così com’era grande un secondo Dazio che si doveva pagare sul “vino a spina”, ossia sul consumo spicciolo e al minuto del vino (gli Osti avevano quindici giorni di tempo per pagarlo dal momento in cui veniva loro consegnato il carico).La gestione dei Dazi del Vin veniva concessa dal Governo in appalto ai più ricchi dei Mercanti (Malipiero, Soranzo, Morosini, Donà)che potevano permettersi di sostenerlo pagando ingenti somme biennali alla Serenissima. L’appalto del Dazio del Vino di Venezia per un anno costava circa 70.000 ducati, e corrispondeva a un terzo dell’intero patrimonio dei Nobili Pisaniche per non rischiare troppo, ne acquistavano di solito solo una parte.

Il Dazio sul Vino venduto imposto a Pellestrina come a Torcelloera più basso e ridotto, e gli Osti del posto dovevano andare a chiedere la“lettera d’uso e permesso per vendere” al Podestà di Poveglia che avrebbe provveduto a controllare e stimare le qualità e quantità, e a suggellare e bollare vasi e botti … Nel marzo 1423 l’Oste Andrea de Robabellis che gestiva“l’Hosteria da Comun de la Serpa” vicino a Piazza San Marco, pagò oltre 1100 ducati di Dazio per 80 anfore di vino provenienti dalla Romania, Malvasia, Tribiano, Ribolla e Marca … ma gli venne concesso di cambiare senza pagare Dazio due anfore che si erano guastate diventando aceto.

A Venezia, comunque, non è accaduto solo questo, ma come sempre è successo ben di più.

In Contrada di San Silvestro, precisamente proprio attaccato al fianco della chiesa, muro con muro, "sora el portego de la chiesa", c’era e c’è ancora quella che è stata la sede della Schola della Santa Croce dei Mercanti da Vin, la cui nascita e Mariegola venne autorizzata dal Consiglio dei Dieci e dal Patriarca di Grado, e approvata dai Provveditori da Comun e dai Giustizieri Vecchi fin dal novembre 1565.

(La pagina miniata della "Candelora" nella Mariegola dell'Arte dei Botteri di Venezia.)

Due anni dopo, la stessa Schola stipulò un accordo col Capitolo di San Silvestro ottenendo l'assegnazione in chiesa di quattro Arche (tombe)per seppellire i Confratelli, e l’uso dell'altare “della Madoneta", il primo a destra entrando in chiesa “su cui potevano celebrare in esclusiva solo i Preti di San Silvestro”. I Confratelli provvidero subito a rifarlo con Damiano Massa cambiandone il titolo in quello “della Croce o di Sant’Elena”, abbellendolo con una pala del Porta Salviati.
Dieci anni dopo, la Schola ormai divenuta affermata e stimata in tutta Venezia, decise di costruirsi un vero e proprio ambiente privato su due piani a ridosso del campanile: Cappella a pianoterra, ed elegantissima Sala del Capitolo di sopra con bel soffitto e pareti dipinte con “Storie della Croce” forse da Gasparo Diziani e Gasparo Rem.
Dentro alla Schola dei Mercatanti da Vin “si faceva insegnar el di de lavoro et la festa a 20 alunni” al “Rasonato” Bartholomeus Partenius di Augustino di 45 anni, e a Blasius Pellicaneus di 32 anni da Treviso, che insegnavano a: “Leger, scriver, abbaco e tenìr conto et a qualchiun che non è troppo capace: librii doppii ... et el Salterio, el Donado, el Fior de Virtu’, la Vita de Marco Aurelio Imperador ... et c’è chi legge sul Legendario de Santi, Epistoli, Evangelii vulgari, la vita de diversi Santi ... Ghe ne anche di quelli che leze l’Ariosto…”


Visto il successo dell’Associazione-Fraglia, in seguito, nel 1609, si consociarono ai Mercanti da Vin anche i Travasadori e Portadori de Vin  che fuoriuscirono dalla loro primitiva sede al pianterreno di Ca' Barbarigo in Calle del Gambaro. Infatti nel 1677 si legge nella Mariegola: “Gli iscritti anche della Schola dei Travasadori e Portadori da Vin possono servirsi nei funerali indifferentemente del manto dei Travasadori o di quello dei Mercanti da Vin.”

L'Arte dei Mercanti da Vin riuniva soprattutto i venditori di vino all'ingrosso venduto soprattutto a Rialto, in Riva del Carbon e Riva del Ferro diventata poi Riva del Vin, ed era costume dei venditori:“raccomandare di miscelare il Vino con droghe e aromi per migliorarne e variarne il sapore … e anche l’effetto.”

Nel 1773 i Confratelli dei Mercanti da Vin erano ancora: 18, e gli iscritti nel 1797, alla fine della Repubblica Serenissima, erano ancora 42.
La Congrega o Schola celebrava annualmente il 3 maggio con ben 12 Messe solenni la Festa della Santa Croce di cui ovviamente possedeva una preziosissima Reliquia, ma era devota anche ad altri numerosi Patroni come San Adriano e San Giobbe, mentre San Bartolomeo era Patrono dei Travasadori e Portadori da Vin, e non si disdegnò … già che c’erano ... di “devozionare” adeguatamente anche San Giorgio, San Girolamo, Sant’Andrea e San Nicolò ... “Non si sa mai, tutto potrà tornare utile … ogni Santo sarà buono per proteggere la nostra Benedetta Schola.”

Ancora nel 1800, una “cronachetta veneziana da sacrestia” raccontava di alcuni “scherzetti fatti col Vino”proprio in chiesa a San Silvestro: “… il Nonsolo-Sacrestano mise del Rum dentro all’ampolla per la Messa sull’altare del nostro Piovano. Lo fece perché quello gli aveva fatto per primo l’imbroglio di mettergli olio da lampade nella bottiglia del “Vin Santo da Messa” che quello andava spesso ad assaggiare e tracannare ... Entrami per pura coincidenza erano abituati a trangugiare e bere d’un colpo solo, con una gran sorsata, “d’una sola fiata”, “con un’unica siàda” … Immaginatevi perciò l’effetto e la sorpresa in cui intercorsero entrambi: il Nonsolo, che andò avanti a sputare schifato per tutto il giorno … mentre il Piovano colto sull’altare nel bel mezzo del Sacro Rito davanti alla sua gente, fu indotto diventando paonazzo ad emettere un potente rutto e un grido di sorpresa davanti ai devoti fedeli, sentendosi avvampare la gola e poco dopo anche tutto il corpo ... con grande euforia.”

Sempre nella stessa Contrada e chiesa di San Silvestro, sorgeva poco distante anche la Schola de San Tommaso de Canturbia o di Canterbury dei Barileri e Mastellai o Mastelleri o Galederi o Gadeleri. Si riuniva fin dal 1282 nel "locho da basso", in "una caxa de muro coperta di coppi situata et posta appresso la chiesa ... et il campaniel ... in via publica"condivisa con la Schola dei Trombettieri e Sonadori.
In seguito anche questi ottennero il solito permesso di costruirsi lì davanti all'altare le proprie Arche per i Confratelli. Nel 1595 quell'Arte riuniva 104 Artigiani o Artieri (di cui 12 perennemente riconosciuti inabili al lavoro … Già allora si usava così ?): “… Fabbricavano barili da 1/4 di bigoncio e botesele da massimo 1/2 bigoncio; nonchè mastelli e tinozze per il bucato, zangole per fare burro, conche e catini di legno ... Botti, barilotti, secchi e zangole venivano poi passati all'Arte dei Cerchieri per l’assemblamento finale.”
Sempre secondo la solita statistica del 1773, l’Arte dei Barileri e Mastellai contava 73 iscritti con 45 CapiMastri, 13 Garzoni e 15 Lavoranti distribuiti a Venezia in 21 botteghe, e organizzava una solenne processione per tutta la Contrada di San Silvestro prima di far celebrare a proprie spese “una Messa solennissima dai sussiegosi quanto avidissimi Preti del Capitolo di San Silvestro … che volevano sempre essere pagati in anticipo.”

Poco distante da San Silvestro, di fronte alla stessa Schola dei Mercanti de Vin, sorgeva anche la Fraglia e Tragheto dei Barileri, Tragheto “de çitra” con diciotto libertà” (licenze di voga e trasporto di persone e cose) lungo la Riva del Vin, dove si accatastavano in arrivo o partenza un gran numero di Barili sottoposti al pagamento del solito apposito Dazio.

Dentro a questo gran giro di Vino, non poteva mancare e non esistere in Venezia la Schola di San Giovanni Battista del Corpo dei Canaveri o Osti o Cameranti e Locandieri eCalamieri e Vinai in seguito comprendente anche gli “infimi Bastioneri”, che vennero autorizzati ad associarsi dal Consiglio dei Dieci fin dal giugno 1355, quando le Osterie a Venezia: “… erano 24 con 960 posti letto e con cavalli e stalle, dove per 6 soldi di piccoli al giorno si dava fieno, paglia e anche un quartarolo di biada.”
La Fraglia-Associazione degli Osti cambiò sede da San Mattio di Rialto “… contrada in per le strade sordide e sporche e le meretrici che non permettevano la processione ...” portandola “sull'area dal cantòn dell'organo al muro della cjesa sora il campo" della vicina Contrada “onestissima” di San Cassiano dal 1488, quando un’altra Schola di Osti “concorrente e indipendente” veniva ospitata a San Filippo e Giacomo dall’altra parte delle città, nei pressi di San Marco.

Alla firma del contratto tra Capitolo dei Preti di San Cassian e Scuola degli Osti erano presenti da una parte il Piovano Francesco Ungano o Cingano,  Tommaso de Nicolo’ de Alexio Procuratore del Capitolo, Bortolomio de Girardenghi e Varisco di Serotti dalla Giudecca Preti titolati in rappresentanza del Capitolo dei Preti, mentre dall’altra c’erano: il Gastaldo Carlo de Zuanne Oste “Al segno della Spada a Rialto”, il Vicario Ser Antonio Sarasin quondam Guglielmo Oste “Alla Campana”, lo scrivano Alessandro Sinefine figlio del defunto Filippo, e i “Compagni”: Maffio de Cristoforo d’Aurera, Marco de Zuan lazin de Agnellina e Jacomo de Nonio in rappresentanza della Schola.


(L'insegna dell'Arte dei Barileri-Mastelleri di Venezia.)
Come il solito, la Schola degli Osti di San Cassiano venne in seguito autorizzata ad innalzare un muro all'esterno della porta maggiore della chiesa, fino al "ponte de piera, ad facendo tre Arche una vicina all'altra nel portego de la chiesa".

I conduttori d’Osterie o Cameranti con 135 uomini a salario, tenevano aperte le Osterie-Locande di Venezia, e dipendevano dagli Ufficiali della Giustizia Nuova che erano “… sopra le Hostarie et facevano rasòn a li Hostieri contra quelli havesse manzato in le Hostarie et non volesse pagar …”Le Ostarie erano soggette a controlli dette “cerche” da funzionari detti “Ministri delle Albergarie”, mentre gli “Ufficiali dei Cai de Sestier” pretendevano ogni sera un registro con i nomi delle presenze nelle Osterie di Rialto e San Marco, e comminavano pene e condanne esemplari se i loro Fanti trovavano persone non date in nota.
Come da disposizioni della Mariegola, alla Schola di cui facevano parte gli Osti, potevano associarsi anche Fantesche e Massere che pagavano 20 ducati di “Benintrada” ossia iscrizione mentre i figli degli Osti ne pagavano 1 solo. Si pagava anche la tassa annuale della Luminaria”:“… per tenere sempre acceso un cesendelo ad ardere perennemente davanti all'altare, e far chiaro giorno e notte allo Missier Santo Zuanne Benedetto ... dove il giorno della festa del Patrono Titolare veniva distribuito a tutti li Compagni "pan et candelaet un disnàr (un pranzo)o al suo posto 1 ducato in premio”.

La Schola degli Osti era retta da un Gastaldo e da 12 Degani, e i “Confratelli del Vino” si ritrovava ogni lunedì “… per celebrare una Messa per le Aneme, et in remission de tutti i peccadi di fradeli e sorele di dicta Confraternita.”

E per non dimenticare di far memoria di qualcuno dentro a quel variopinto mondo di Veneziani che pulsavano in Rialto e nelle Contrade che gli sorgevano appresso, va menzionata ancora la frequentatissima e rinomata Schola dei Botteri che intorno al “Mercato del Vino” comprendeva tanta gente e forza lavorante di Venezia.

Le prime riunioni o “Capitoli” dell’Arte dei Bottai o Botteri o Bottiglieri da Vin e Olio sono segnalate già nel lontanissimo 1271. Nella Mariegola della Schola si segnalarono e trascrissero le memorie di ben 119 “Capitoli”in totale.
Il Capo dell’Arte dei Botteri era sopranominato anche: “Gastaldo della Madonna”, in quanto la Festa annuale della Schola si celebrava il 2 febbraio giorno della Madonna delle Candele o Candelora. Secondo il “Capitolo” del 1486, in quel giorno annuale di festa patronale: “… tutti i compagni devono essere presenti, ricevendo "pan et candela", e partecipare alla processione e non andarsene fino alla licenza del Gastaldo in persona.”
Secondo un altro “Capitolo”del 1483, invece, si stabilì: “… che tutti li Compagni debbano vegnir a la Schola et levar tolella ogni seconda domenica del mese ... A nessun Boter sarà consentito di iscriversi alla Schola dei Barileri.”

Nel maggio 1611, l’Arte dei Botteri di Venezia pagava per 10 anni prolungati di altrettanti 700 ducati l’anno per contribuire all’allestimento e  mantenimento della flotta navale della Serenissima … La maggior parte dei Botteri abitava in Contrada di San Cassian poco distante dall’Emporio di Rialto e della Riva del Vin, dove in Calle dell’Arco poi dell’Occhialer si giunse anche a sagomare le porte e gli stipiti dei magazzini per far passare più agevolmente le botti.
Marin Sanuto nei suoi famosi Diari raccontava nel gennaio 1511 che: “… fino alle tre ore di notte fu fatto a San Cassian in Calle dei Botteri una cazza di quattro tori, et poi certe momarie pur con homeni senza maschera justa la crida fatta per i Cai del Consejo de Diese, et fu fato alcuni balli, et fo assai persone ...”

Nel solito 1773 si contavano a Venezia 176 Botteri distinti in 130 CapiMastri, 24 Garzoni e 22 Lavoranti, mentre alla fine della Serenissima con l’arrivo dei guastatori Napoleonici, i Botteri iscritti all’Arte erano 216 attivi in 54 botteghe.
Per i Botteri era proibito il lavoro notturno al lume di candela per il pericolo frequente d’incendi … Ogni botte doveva portare “sul cocchiume” il marchio del Mastro che l’aveva costruita, e poteva essere venduta solo di sabato a Rialto o a San Marco … dove le botti rinvenute senza marchio distintivo, sarebbero state riportate a Rialto e poi bruciate ... Per evitare incette del “legname da botte” nei Capitolari dell’Arte si stabilì un limite massimo di 1500 doghe per Mastro Bottaro … Si stabilì inoltre che le doghe e i fondi delle botti dovevano essere di Rovere, d’Abete o di Castagno … e si proibì fin dal 1278 l’acquisto di doghe da rivenditori che compravano materiali fuori dalla Serenissima. Nel 1284 si ordinò anche che si doveva acquistare le doghe di Rovere solo dal Gastaldo dell’Arte del Traghetto di santa Sofia e dai rivenditori tra il Traghetto e il Ponte di Rialto, mentre le doghe in Abete si potevano comprare solo in Barbaria delle Tole nel Sestiere di Castello, o in Contrada di San Basilio nel Sestiere di Dorsoduro ... I Mastri Botteri, infine, dovevano riparare gratuitamente le botti del Doge che però doveva fornire loro i cerchi per le botti e il vitto giornaliero a Palazzo durante tutto il tempo della lavorazione … che fatalità: “durava sempre non poco … e di più che per una normale botte.


A Venezia, insomma, il vino è sempre andato alla grande, anzi, alla grandissima come dimostrano studi raffinatissimi al riguardo. Venezia è sempre stato crocevia Mediterraneo ed Europeo di commerci di ogni tipo, per cui importare ed esportare anche il Vino di ogni qualità è sempre stato di grande rilevanza … così come l’abitudine di consumarlo.
Venezia poi, per la sua naturale configurazione di città festaiola, carnevalesca e goliardica, ha sempre goduto e offerto quell’atmosfera di cordiale compagnia tipica delle Osterie, delle Locande, e del buon bicchiere condiviso insieme.
I Veneziani in genere sono sempre stati “Boni da gòtto”, assidui frequentatori di ogni tipo di Bàcari e Bettole, capaci di condividere allegria e socialità, e spesso maestri e signori nell’offrire convivialità ospitale e festosa … nonché qualche bella “inbriagadura” ... quelle grandi “balle da vin” i cui effetti sono sempre difficili da dimenticare e da passare sotto silenzio.



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