“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 89.
“SESTIERE DI SANTA CROCE 324 ... SANTA MARIA MAGGIORE A VENEZIA: UN MONDO ALIENO.”
Non scrivo per via del Carcere che esiste oggi a quell’indirizzo di Venezia, ma piuttosto per quello che c’è stato ed è accaduto ieri in quel posto.
La realtà della prigione non avete di certo bisogno che ve la descriva io: sapete meglio di me cos’è, com’è, dov’è e perché. In ogni caso è un mondo alieno e tenebroso, d’attesa, simile a crisalide, da cui almeno nell’intenzione si sogna di vedere uscire la novità diversa di una colorata farfalla ... Non datemi dell’ingenuo però, come voi so come vanno le cose.
E non devo neanche spiegarvi la Giustizia ... Al massimo potrò dirvi che Venezia Serenissima il concetto di Giustizia l’ha sempre sentito molto forte. Vi ricordate le anonime “Bocche della Verità” di pietra in cui si andava a denunciare crimini e delitti ?
Così come non si potranno dimenticare le note che appaiono spesso nelle cronache processuali e nelle condanne Veneziane di un tempo:
“… dopo averlo tenagliato mani e occhi, venne tratto a coda di cavallo da Santa Croce fino a Piazza San Marco su ordine del Consiglio dei Dieci con un cartello al collo in cui stava scritta la sua colpa … poi venne impiccato (o gli venne spiccata la testa) fra le due colonne in Piazza, e il corpo diviso in quattro pezzi venne inviato agli estremi confini della Repubblica come monito per tutti.”
Oppure non ricordate di quanto i Fanti della Serenissima certe volte entravano nelle Prigioni di Palazzo Ducale all’alba, prendevano dai Piombi o dalle Segrete di sotto qualcuno reo di tradimento, e cacciatolo in barca lo portavano fino al Canale dell’Orfano nei pressi dell’isola di Poveglia, e lì, messagli una pietra al collo, lo calavano nell’acqua lasciandolo calare a picco finchè andava a toccare il fondo ?
Altri tempi, altri modi, storie antiche della Serenissima … oggi la Giustizia è un’altra cosa.
Ma tornando a Santa Maria Maggiore a Venezia, ammesso e non concesso che riusciste ad entrarci dentro, vedreste oggi un’altra cosa rispetto a ciò che è stata un tempo. Già da fuori noterete piccoli mucchi di mattoni caduti e staccati … Vedrete pietre mangiate, sgretolate e corrose dall’umido e dalla salsedine. Quando piove l’acqua “canta” lanciandosi giù e gocciolando dalle grondaie sfondate o mancanti … alcune porte e finestre sono state murate. Santa Maria Maggiore è una chiesa “morta” come lo sono diventate diverse altre di Venezia. Non l’aiuta poi la sua posizione topografica: di certo non si trova in Piazza San Marco, anzi, sorge in uno di quei posti quasi dimenticati in cui passano soltanto turisti che si sono persi, quelli che lavorano dentro al Penitenziario, e i pochi che sono costretti a passare di là per inseguire gli affari propri.
Insomma: Santa Maria Maggiore è un fantasma, lo scheletro irriconoscibile di quel che è stata un tempo.
Entrando poi, potreste vedere di peggio: ossia il pochissimo lasciato dal“nostro solito amico”Napoleone & C … ossia quasi niente: quattro muri spogli e qualche resto di soppalco di quando la chiesa è stata trasformata in magazzino di legname e del tabacco, e forse in comodo fienile e stalla.
Per intuire, invece, che cosa è stata Santa Maria Maggiore, dovrete intraprendere il solito sforzo della mente. Innanzitutto, lì davanti alla porta della chiesa e del Convento, un tempo finiva, terminava Venezia. Non è banale pensarlo perché cambia un po’ tutto. Non a caso proprio accanto alla chiesa scorreva il Rio, oggi Terrà dei Pensieri. Il sito di Santa Maria Maggiore possedeva un’amenità e una bellezza ricca di ombre e riflessi tutta sua che induceva i Veneziani ad andare fino a lì per passeggiare, meditare e riflettere ... Doveva essere ancora più bello che andare oggi lungo la camminata “superba” delle Zattere.
Non esisteva ancora la Sacca e la zona del Porto, quindi lì lo sguardo spaziava sulla laguna aperta, e doveva essere davvero un gran bello spettacolo. Solo in seguito, alla fine del 1600, come si può notare sulla pianta di Venezia di Giovanni Merlo, la zona è diventata un’isola rettangolare bonificata protetta da un muro. Con le macerie, i “rovinazzi” e il fango scavato dai canali si era formato lì una vasta area solida e selvatica alta fino al livello delle strade che si utilizzava per le esercitazioni dei militari. Infatti, ancora nel 1828 lo si usava col titolo di “Campo di Marte” (oggi è la zona della Venezianagas, della Marittina del Porto e di Santa Marta).
La Contrada come molte altre di Venezia possedeva una sua singolarità: sorgevano qui 40 case appartenenti alla famosa e potentissima Scuola Grande di San Rocco padrona di mezza Venezia, e sempre qui c’erano le altre 30 case di legno che la stessa Scuola Grande dava in uso gratuito “Amore dei” a Galeotti e poveri spiantati di Venezia.
La Contrada poi era zona di Tintorie e Tintori, di Cererie e Cereri. L'Arte dei Cereri, era “colonnello”, ossia dipendenza, da quella degli Spezieri da Grosso, importava cera vergine dal Levante, dalla Moldavia e dalla Valacchia, e la depurava in città producendo candele in ben 24 fabbriche che venivano esportate fino a Napoli, in Toscana e Lombardia, e fino in Germania. Soprattutto a Venezia, ma anche altrove, c’era un altissimo consumo di cera che generava un commercio per almeno tre milioni e mezzo di ducati annui. In palazzi, chiese, case, Associazioni e Schole c’era un consumo spropositato di luminarie e cere usate per Sacre Funzioni e Feste, tanto che la gente si autotassava periodicamente pagando la tassa della Luminaria. Nel 1700 a Venezia viveva GiovanBattista Talamini con bottega da Speziale a Rialto “All'insegna della Fonte”. Era capace di colorire, tirare, e lavorare le cere con certi suoi particolari segreti e ferri inventati, creando e imitando con essa ogni qualità di forma di Piante, Fiori, Frutti, e Animali dandole durezza tale da poter essere usate anche come tazze e vasi con cui assumere bevande e liquori. Questo “Mercato delle Cere Veneziane” durò per secoli, fino a quando nacque una sfacciata concorrenza da parte della Cereria Grande di Trieste che possedeva oltre a grossi capitali, anche un gran numero di lavoranti e speciali esenzioni dai Dazi.
Beh, insomma … nella zona di Santa Maria Maggiore a Venezia, c’era attivisissima una di queste Cererie.
Nella stessa Contrada, poi, abitavano pochissimi Nobili: i Dolce, i Rizzi di Santa Maria Maggiore di V Classe rintanati nel loro Palazzo del 1600, e i Gritti nel palazzone del Rio delle Burchielle, ma non provate neanche a pensare che la zona di Santa Maria Maggiore sia stata un posto di Venezia decrepito e morto. Nel “Supplimento al Giornale delle cose del mondo avvenute negli anni 1621-1623 a Venezia”, precisamente alla data 12 febbraio 1621 “anno di pestilenza”, si legge: “Domenica sera sopra una festa a Santa Maria Maggiore fu ferito da tre ferite il Clarissimo Ser Polo Morosini fo de Ser Gerolamo dicesi da un altro nobile, col quale venne a contesa”.
La zona quindi … era vispissima.
E poi … c’erano le Monache.
Santa Maria Maggiore, infatti, pur essendo in tutto e per tutto una chiesa molto simile per fattura e modello a diverse altre di Venezia, non è stata affatto una chiesupola insignificante e povera d’Arte e Storia … Anzi ! Proprio il contrario, e sapete meglio di me come Venezia nasconda spesso fra le sue pieghe vicende e storie curiose davvero interessanti.
Per misure generali: larghezza, lunghezza e altezza della facciata Santa Maria Maggiore sembra quasi uguale alla chiesa di Ognissanti, o a quella dei Santi Cosma e Damiano, o di Santa Croce della Giudecca, oppure simile a quella di San Giuseppe di Castello … ma “pietre simili”… e Storia del tutto diversa.
La chiesetta pur essendo piccola era ricchissima d’opere d’Arte, aveva ben 11 altari, e grandi possibilità di lucrare Indulgenze tanto che i Veneziani e i Frati, Preti e Monache delle altre parti della città accorrevano spesso in massa per visitarla e partecipare alle sue solenni funzioni. A suon di addobbarla ed abbellirla sempre più, era diventata una specie di Galleria-Museo delle Monache che la usavano per sfoggiare tutto il loro prestigio e la loro ricchezza. E non solo la gente andava a vedere e godere di quel gioiellino da tutta Venezia, ma anche Nobili e Mercanti facevano a gara per arricchirla ulteriormente.
Ordinava Simon Lando nel suo testamento del 1584:“… lasso a detto Monasterio di Sancta Maria Maggiore ad adornamento della Cappella Grande di detta chiesa tutti li miei quadri di casa de noti cioè: “Ecce Homo”di Paris Bordone, “La nostra Dona con San Piero” del Bonifacio, et il mio ritratto quando era d’anni 40 circa, quello di “San Tomas et delli altri Apostoli serati”, quello “delli filioli nater Zebedei”di Carletto Caliari figlio del Veronese, quello del “Centurion” del Veronese, quello “dell’Adultera” del Veronese, “L’Arca di Noè” del Bassano, “La Maddalena”, “Le quattro tempi dell’anno” del Bassano, quello del “Cristo in Agonia nell’Orto” del Veronese et un altro con “Historia del Testamento Vecchio”, et mio ritratto di piera cotta et mio scudo, et mio fanò et di altri miei ritratti uno da jovane ed uno da vecchio …”
Tutti i quadri di questo lascito Lando vennero appesi in esposizione stabile all’interno della chiesa sulle colonne assieme a un altro dipinto di Giovanni Bellini:“Maria col bambino e molti cherubini”(oggi alla Galleria dell’Accademia) oppure dentro alla Sacrestia.
Inoltre c’era l’antico organo, sostituito da Gaetano Callido nel 1786 con la sua opera 222, che aveva portelle dipinte da Palma il Giovane ora appese nella chiesa di San Basso vicino a San Marco ... Si poteva anche vedere un gruppo di puttini con simboli della Beata Vergine Maria dipinti da Alessandro Varottari detto il Padovanino che aveva dipinto anche un:“Miracolo della Beata Vergine Maria” e“Pittore salvato dalla Vergine”,una “Madonna con Bambino e San Giovanni e San Marco inginocchiati con diversi personaggi della famiglia Marcello in abiti ducali”di Francesco Alberti, e due quadri di Palma il Giovane:“Madonna Coronata dal Padre e Figlio con Quattro Evangelisti che sostengono il Mondo” e“Annunziata” (oggi si trova nella Scuola Grande di San Teodoro).
Sulla porta della chiesa che immetteva nel Convento delle Monache c’era appeso un:“Miracolo della Madonna con una donna che partorisce in mare” (oggi a San Giorgio di Nogaro in Friuli), e“La Madonna ridà la vista ad un Diacono” entrambi del Varotari-Padovanino (oggi all’Accademia di Venezia).
Sempre sulle pareti della stessa chiesa stava un intero tripudio d’opere d’Arte: un’“Ascensione di Cristo con gli Apostoli adoranti”del Bonifacio, una “Battaglia dei Camocesi con la Madonna” sempre del Varotari-Padovanino (oggi alla Pinacoteca di Brera di Milano), un “Gioacchino muto cacciato dal Tempio” e un’“Adorazione dei Re Magi” entrambe di Domenico Tintoretto (oggi tutte e due nella chiesa di San Trovaso a Venezia), e uno “Sposalizio della Vergine con San Giuseppe” ancora di Domenico Tintoretto (oggi alla Fondazione Cini di San Giorgio Maggiore).
C’era da ammirare inoltre: un “Giudizio Universale” di Antonio Foller, un “San Sebastiano” alla maniera del Giorgione, un “San Giovanni Battista” del Tiziano, una“Madonna con Bambino, San Giuseppe, Santa Caterina e un’altra Santa”del 1599 dipinto da Palma il Vecchio, una“Processione a Roma con Santa Maria Maggiore”, un“Miracolo con tre Angeli e tre Vergini con ghirlande”, una“Madonna che fa risorgere un Vescovo per fargli dire chi gli ha dato il veleno” del Ponzone con una figura in chiaroscuro di Francesco Ruschi.
Infine ancora dentro alla stessa Sacrestia si potevano ammirare oltre a tutto il resto anche un prezioso gonfalone dipinto dal Santa Croce sopra oro con“Maria che ascende al cielo”insieme a un“San Giuseppe con ritratto d’uomo” del Polidoro equattro quadretti della scuola del Bordone fra cui“Cristo appare agli Apostoli”.
Che ve ne pare ? … Una chiesupola, una delle tante chiesette di Venezia … anche se Veneziani e Foresti fluivano a flotte per visitarla.
A Venezia lo sapevano bene tutti: Santa Maria Maggiore era chiesa e Convento di Monache Francescane Osservanti.
A cavallo fra Storia e Leggenda, si raccontava che nel 1300 un eremita che abitava in quel posto remoto di Venezia aveva visto più di una volta una misteriosa Matrona di grande bellezza passeggiare inquieta con un bambino in braccio lungo il bordo estremo della laguna misurando a grandi passi il posto. Anche alcuni pescatori della Contrada confermarono quello strano prodigio. Il Beato Bernardino da Feltre poi, passando da quella parte, aveva predetto che lì si doveva erigere un bel Convento di Monache Francescane. Conquistata quindi da tutte queste “voci”,Caterina, una Romita della Contrada di Sant’Agnese dello stesso Sestiere di Dorsoduro, chiese al Senato nel 1440 che le fosse concesso “un tratto di terreno degli arzeri novi a Sant’Andrea della Zirada per fabbricarvi sopra una piccola chiesetta in legno dedicata a Santa Maria Vergine e a San Vincenzo a cui era devota”. Solo durante il secolo seguente su intervento e finanziamento del Patrizio Alvise Mocenigo venne collocata lì una Madonna “importante”, Maggiore, cambiando il nome del posto, e s’iniziò a costruire accanto un grande Monastero capace di ospitare più di 100 Monache.
Una cronaca veneziana del 1502 raccontava: “Alcune Pizzocchere di Santa Maria Maggiore o Scuola o similari… hanno principiato questa ditta fraterna et za hanno zenti a fino a 200 dell’uno et altro sesso a laude de dio et intemerata Vergine Maria…aiutati dal prudente et egregio homo Sier Piero De Franzin da Bressa, homo certamente pietissimo e devoto, il quale con il operar, fatiche, solitudini et industria ha proseguito tanto in far ditto monasterio con elemosine et per lui trovate e scosse che in breve tempo, concedendo il signor et la beata vergine che la chiesa et il monasterio la principiato di tavolle et legnami si faria di muri alti et pietre vive…”
E il solito puntuale Diarista Veneziano Marin Sanudo precisava: “… perché quasi tutto Treviso di done e robe era svuotato, alcune Monache observanti di Sancta Chiara fuora di Treviso, di l’hordine di San Francesco, viveno d’intrada, di numero 52, con la loro roba, con licenza di superiori, venero in questa terra e introno in Monasterio di Sancta Maria Mazor e steteno fin poteno ritornar secure …”
Vendendo Indulgenze in gran quantità, si completò ben presto la chiesa, e nel 1523 il Doge in persona si recò a visitarla completata, mentre Papa Alessandro VI da parte sua concesse alle Monache il permesso di abbandonare la primitiva regola di San Benedetto per abbracciare quella più desiderata di San Francesco e Santa Chiara.
Il sito di Venezia iniziò a godere di un certo prestigio e di una buona fama, tanto che di fronte al Convento sorse anche la Schola di Santa Maria Assunta degli Strazzaroli o Rigattieri o Rivendigoli Straccivendoli Strazzaioli o Rigattieri o Robivecchi. L'edificio occupava (e occupa ancora oggi)l'angolo sud del Campo di Santa Maria Mazor fra il Rio de le Procuratie e il Rio de Santa Maria Mazor e accolse gli iscritti a quell’Arte unita a quella dei “Greghi Capoteri”, provenienti dalla Contrada di San Zulian dopo essere stati in precedenza in quella di San Basso accanto a San Marco.
“MCCCCVII DEL MEXE DE MARZO FU FATA QUESTA SCOLA IN TEMPO DE HI DISCRETI HOMENI S ALEXANDRO STRAZAROL VARDIAN ET S BERNARDI N.DA LA IUSTI CIA SPICIER AVICHARIO ET DE HI SVI COMPAGNI.”recita una lapide sbiadita e quasi consumata ancora visibile in loco.
A Venezia era severamente proibito il commercio degli stracci che era invece riservato agli Ebrei, ma dal 1419 il Mazor Consiglio deliberò che esistesse quell'Arte che doveva essere esercitata da soli cittadini originari e dalle loro mogli, ribadendo che la stessa non doveva in alcun modo passare in mano a forestieri che trafficavano troppo spesso in maniera illegale con drappi, velluti, panni di lana e seta di provenienza estera.
Inoltre al Maggior Consiglio non parve onorevole che fossero messe in pubblico le robe e le miserie dei cittadini di Venezia perciò ne permise la vendita solo all’incanto in luoghi autorizzati proibendone la libera vendita nei campi della città.
“…gli straccivendoli non hanno alcun riguardo di recarsi nelle case ed acquistarne tutta la masserizia e gli arnesi, asportarla occultamente per venderla poi sui campi “cum verecundia generaliter omnium” ma ricevuto il denaro scompaiono. Nessun straccivendolo perciò ardisca comprar letti, coltri, lenzuoli, masserizie, arnesi non intendendo in ciò compresi “pannos a dorso ab homine vel muliere” altrove che all’incanto pubblico.”
Ancora nel 1773, prima che Napoleone sopprimesse tutto e la sede dalla Schola divenisse prima stalla e corpo di guardia militare, e poi Casa del Boia di Venezia, i Capimastri degli Artieri Stracciaioli erano 57 attivi in altrettante botteghe e aiutati nel lavoro da 42 garzoni.
Altri tempi … altra sensibilità civica e lavorativa.
Tornando però al Monastero e alle Monache di Santa Maria Maggiore, all’inizio tutto sembrò procedere bene e per il meglio, tanto che le Monache crescevano di numero e il Monastero s’allargava sempre più: “… nui done de Sancta Maria Mazor avemo tolto dal magnifico misier Marco Michiel presente el padre Fra Marco Orso e Pre’ fra Andrea al presente nostro Confessore, legname per l’andeo delle celle nuove verso i parlatori ...”
Ma ben presto, visto come andavano i costumi e i modi di vivere di quell’epoca, nel Monastero nacque un bel casino o per lo meno una gran confusione d’intenti e soprattutto di regole ... di vita.
Già fin dal 1510 la Priora Suor Maria e altre due Monache se l’intendevano col Prete Francesco da San Stae nella casa del quale si rivennero costosi regali della Monaca Maria pagati a spese del Convento. La Serenissima “dall’occhio e dall’orecchio lungo e attento”, provvide subito a vendere tutto all’incanto per rimpinguare le finanze del Monastero e confinò la Priora “a pane et acqua” imbarcandola e spedendola nella lontana isola di Cipro.
L’immancabile quanto quasi pettegolo Marin Sanudo ricordava: “… In questi giorni fo retenuta per il Patriarca con li Avogadori Suor Maria, Priora di Santa Maria Mazor, con do altre monache, le qual se impazavano con un prete Francesco, stava a S. Stai, bel compagnon, et etiam lui retenuto. Hanno confessato "uterque" quello che facevano; "ergo sub specie sanctitatis multa mala fiunt"; et fo tolte molte robe in casa di prè Francesco che ditta suor Maria ge l'haveva donate, et fo vendute al incanto, e li denari dati alli procuratori di la chiesa predicta. Or fo condannà p. Franc.o a X anni in prexon, e suor Maria confinata in Cypro a pan et aqua, et questo per sententia dil patriarca, et cussì la fu mandata”.
Ma non fu tutto … perché ancora nel 1565 fu interrogato dai Magistrati un Tessitor chiedendogli perché si ostinasse a perdere tempo dedicandosi alle Monache. Costui rispose candidamente: “… qualche volta quel che faccio è per carità et devotion che ho a quel luogo benedito all’honor di Dio … in compenso di … qualche pignatta di panna, qualche pezzo di pan in menestra anche aggua …”
Nel 1594 il Patriarca Priuli(incazzatissimo)andò di nuovo a visitare Monastero, Chiesa e Monache, e nell’occasione approvò la nomina di più di 50 monache a mansioni interne del Monastero che andavano dalla: Speziale, Giardiniera, Infermiera, Bibliotecaria, Sacrestana, Maestra di Coro, Tessitrice, Fornaia, Maestra delle Novizie, e soprattutto confermò nella loro carica di Consigliere Capitolari 6 Monache fra le più discrete, vecchie e prudenti in quanto provenienti anche dalle migliori Famiglie dei Nobili di Venezia.
A produrre nuovi scandali ci pensarono stavolta le Monache Converse Serventi, una specie di figura ibrida intermedia fra le importanti e sontuose Monache Promesse o da Coro e le umili donne che servivano nel Monastero. “…che le Converse vivono con troppa libertà andando fuori sulle fiere et feste … che le Converse alcune volte fare voti al Cristo di Poveggia et alla Madonna di Chioggia per andare a spasso, e questo sono: Suor Michiela, Suor Giustina, Suor Ludovica, Suor Chiara le quali sono le più presuntuose. Che le 4 sopradette vanno spesso fuor di casa insieme e che ciò è male. Che alcuna volta vanno a mangiar fuori Monasterio in casa di loro parenti che sogliono andar in cerca fuori della terra, cioè a Udine, a Porto, in che suol apportar qualche disordine. Che le Converse sono troppe e però bisogneria star senza vestirne per qualche tempo …” tuonò il Patriarca inviperito per il comportamento sconveniente delle Monache che facevano spettegolare e parlare di loro tutta Venezia … e non solo quella.
Il Monastero era ricco, anzi pingue, ben foraggiato e arricchito da benefattori e lasciti. Fra tutti primeggiò il Nobile Alvise Malipiero che volle perfino apporre il suo stemma di famiglia sul campanile e sulla facciata della chiesa, e venne sepolto dentro di essa nel mausoleo di famiglia di fronte a quello dei Mocenigo altra famiglia affezionatissima alle Monache di Santa Maria Maggiore.
Finalmente durante il 1600, “… fors’anche per le terribili bordate inferte a tutta la Venezia Serenissima e al duo Dominio dal “castigo della Peste” … le Monache Clarisse di Santa Maria Maggiore si chetarono alquanto …”
Racconta una cronaca-relazione cittadina:
“In relazione ai sepolcri esistenti nelle chiese del Sestier di Santa Croce, né quali nell’ultima peste furono tumulati cadaveri infetti, esser necessario di ben chiuderli et inarpesarli. In Santa Maria Maggiore ne esiste uno: con nuova terra sia coperto quel cimiterio, lastricato con pietre cotte un pezzo di terreno nel campo in cui esistono eminenze che coprono cadaveri.”
La fama in giro per Venezia circa le Monache Clarisse di Santa Maria Maggiore diceva che erano diventate povere, dormivano sulla paglia, dietro regolare compenso curavano e vestivano come una sposa ingioiellata la Madonna in legno che avevano ricevuto in dono dalla chiesa del Carmine, ed eccellevano per santità e bontà tanto quanto era grande la loro miseria.
I Veneziani si commossero di fronte a quello che era diventato un bell’esempio, e nei testamenti lasciarono al Monastero di Santa Maria Maggiore oltre a denaro contante, anche pane, vino, legna da ardere e carne in perpetuo.
Le Monache erano diventate esemplari, tanto che nel febbraio 1612 si lamentarono: “… perchè due prostitute: Laura Todeschini e la Signora Grana Furno s’erano introdotte in chiesa il giorno della Festa della Madonna Candelora ascoltando due messe all’altare del Cristo e all’altare del Santissimo pur senza disturbare.” Entrambe le donne vennero processate per direttissima dalla Serenissima perché non venisse turbato il buon nome e la serenità del “posto Santo delle Monache”.
Nel novembre 1528 una parte del Maggior Consiglio destinò alla vendita il legname di una Galia Grossa dismessa il cui ricavato andò utilizzato per la sussistenza del Monastero di Santa Maria Maggiore, così che “… le Monache dovranno pregare Dio per il felice stato della Repubblica nostra.”
Nel 1632 la NobilDonna Giulia Fontanachiese: “… d’essere sepolta in chiesa nell’Arca delle monache di Santa Maria Mazor col vestito della Madonna ed il cordone di San Francesco”,raccomandando che prima d’inumarla si celebrassero almeno 100 messe “pro anima soa” lasciando per lo scopo 10 ducati ed una Mansioneria perpetua da celebrare a pagamento ogni giorno. Esattamente dieci anni dopo, la NobilDonna Zanetta Balbi fece altrettanto, e volle essere sepolta in chiesa assegnando e pagando alle Monache una Mansioneria da 12 ducati annui con obbligo di dire 2 Messe alla settimana in perpetuo … sempre “pro anima soa”.
Nel 1657 un potente uragano colpì Venezia intera atterrando 24 case, distruggendo 3.000 camini, facendo crollare la cella campanaria con tutte le campane del campanile di Santi Apostoli, e recando gravi danni al Monastero di Santa Maria Maggiore.
Il Patriarca Vendramin tornò a visitare le Monache del Santa Maria Maggiore, e trovò tutto a posto e in ordine.
I suoi attentissimi segretari e covisitatori stesero nell’occasione un’accurata relazione:
“… Tutto è ben tenuto, Sacrestia, Confessorio, Parlatorio, et hanno un organo bellissimo, et la Cappella Centrale possiede un Assunta del Veronese, la Cappella di San Francesco dei Malipiero con statua del Santo possiede una Mansioneria da 30 ducati e del 1532, la Cappella di San Giovanni Battista della famiglia Nobili dei Polani con la pala dipinta dal Tiziano (oggi all’Accademia) è dotata, invece, di 2 Mansionerie da 35 ducati, mentre la Cappella dei Gradenigo è legata a 10 ducati annui per celebrare Messe.
Il primo Altare a sinistra entrando, ossia quello col dipinto della “Madonna dell’Albero” del Veronese (oggi all’Accademia), appartiene alla Nobile Famiglia dei Marcello. Non è consacrato ma possiede una Manionreria da 20 ducati non officiata, e un’altra da 10 ducati della figlia dei Marcello.
Il secondo a sinistra è l’altare ancora non finito appartenente a Ca’ Giustinian di Cardasco o Carpas chè avrà una pala con “L’Incoronazione della Vergine” di Palma il Giovane.
Il terzo altare è quello del Cristo o degli Odoni, consacrato e con una Mansioneria da 24 ducati offerta dai Cittadini di Ca’ Budini nel 1545. Possiede un dipinto che rappresenta la Beata Vergine Maria con San Giovanni Battista.
Il quarto altare è quello di San Pietro con i mausolei di famiglia dei Mocenigo e Morosini, consacrato e con Mansioneria da 24 ducati e pala del Bonifacio del 1543 rappresentante “Madonna e Santi”.
Viceversa, il primo altare a destra entrando è quello di San Nicolò o dei Nobili Marini del 1560 con un dipinto della “Presentazione al Tempio”. E’ consacrato ma non ancora officiato perché la Mansioneria non è stata ancora pagata da nessuno.
Il secondo altare a destra entrando è quello di Sant’Antonio: consacrato e con Mansioneria della casa del Cappellano che celebra obbligatoriamente 1 Messa alla settimana. (Il dipinto con “Pisbolica-Ascensione” del 1568 è finito oggi a San Giobbe).
Segue l’altare di Santa Chiara e San Francesco, il terzo entrando a destra, consacrato e con Mansioneria da 10 ducati (dal 1829 è stato trasferito a Santa Maria Materdomini). Poi come quarto e ultimo altare c’è quello della Pietà o dei Nobili Tron, consacrato e con Mansioneria da ducati 24, arricchito da bella pala con “Deposizione del Cristo” del 1530.
(almeno tre di questi altari dal 1829 vennero trasloccati nella chiesa di Santa Maria del Pianto sulle Fondamente Nove.)
Sempre accompagnando il Patriarca come ombre, passo dopo passo durante tutta la Visita, i segretari continuarono a scrivere:
“… si visitò anco la Sagrestia esteriore, ritrovata ben tenuta con quello che bisogna alla giornata, nella quale vi è una porta che passa al luogo del Confessorio, ben tenuti … il corpo della chiesa si è trovato magnificamente fabricato con bellissimo organo, con decenti finestre et parete … fu passato a visitare il Parlatorio unico ma grande, ben tenuto: nel quale vi è una porta che passa al luogo delle Converse visitato in ogni parte, cioè dormitorio a campi et letti, con alcuni oratorii, uno per ogni Monaca, lavoratorio, forestaria, et da basso luogo da lissà, cusina, refettorio, corte et orticello con muri alti: et per essere sua Santità Illustrissima lontano dal suo palazzo patriarcale si fece portare da casa da disnare et se desni nella casella del Reverendo Cappellano, et disnato che hebbe fece la visita oculare del Monasterio entando in esso con le solite solennità: dove fu incontrada da tutte le Monache processionalmente, alle quali dato la benedizione, s’incammino’ verso il luogo del Capitolo, nel quale sua Santità Illustrissima fece quel ragionamento spirituale intorno il buon governo si delle cose spirituali come temporali, qual finito furono licenziate le Monache, con ordine che si riducessero in Choro a prigare al Santo Dio per il felice successo della visita, tenendo la Madre Abbadessa con quattro a se delle più vecchie con le quali andò et accompagnato il Patriarca dalli Sacerdoti si fece il Ufficio per le Anime Defunte, et poi salì de supra e visitò la Sagrestia interiore, la qual trovò fornita de arredi et argenti, come de altri suppellettili della chiesa. Passò a visitare il dormitorio, lavatorio, et altri loghi alti del Monasterio, quali visitati venne da basso et visitò refettorio, lavandaria, et altri luoghi del ditto Monasterio, et il tutto viene decentemente tenuto, visitando anco l’horto et riva, cole terre circondate de buoni et alti muri …”
Secondo il Cicogna nel 1695 dentro al Convento abitavano 122 Monache di cui 73 Professe … ma col secolo seguente iniziò il declino e la veloce decadenza del Monastero che divenne presto desueto e cadente.
Nel 1703 i Provveditori dovettero impedire la vendita degli arredi sacri per provvedere ai restauri … Nel 1721 il Monastero era nella lista di quelli più bisognosi della città, considerato fra i quattro più miseri, ai quali la Serenissima Repubblica regalava: “distribuzioni di burci d’acqua e un sussidio di stara di grano a Pasqua come facevasi con gli Ospedali e gli Ospizi cittadini più poveri come le Convertite, il Soccorso, le Citelle, li Catecumeni, le Eremite, le Capucine della Grazia, le Monache del Gesu’ e Maria, li Miracoli e le Penitenti di San Job.”
Nel maggio 1724 il Proto Andrea Tiralirilasciò una scrittura per un restauro di 160 ducati del coperto della chiesa di Santa Maria Maggiore perché vi pioveva dentro … nel luglio 1731 si spesero 2.916 ducati per riparare la chiesa dove entravano anche i gatti … nel 1736 il Proto Bettinzani Bernardo rilasciò una perizia per il rifacimento dei muri perimetrali del Monastero riparati dal murer Domenico Tentato a rate per una spesa di 1489 ducati ... Nel gennaio dell’anno seguente si riparò anche il Parlatorio tramite il murador Folin Andrea, e poi ancora di nuovo il Monastero, e nel 1739 l’infermeria spendendo altri 230 ducati.
E’ dell’agosto 1770 una curiosissima registrazione dell’Inglese Charles Burney Musicofilo e Viaggiatore presente a Venezia. Fra le altre cose, passò per la chiesa di Santa Maria Maggiore per vedere alcuni quadri, e descrisse così la musica ascoltata:“… vi capitai mentre si suonava musica così scadente che non avrei creduto possibile che gli Italiani potessero sopportare. L’organo era scordato, gli altri strumenti andavano fuori tempo e le voci avevano entrambi i difetti; la Musica poteva paragonarsi ai primi tentativi di un allievo che avesse appena avuto due o tre lezioni di contrappunto …”
Si era ormai agli sgoccioli, alle ultime pagine della Storia di quel sito che era stato così pregiato e ammirato da molti. Come ben sapete, nel1805 ci pensò Napoleone ad azzerare tutto: nell’agosto ordinò la soppressione di tutte le Corporazioni Ecclesiastiche, e le Monache Clarisse Francescane di Santa Maria Maggiore vennero concentrate assieme a quelle del Santa Croce Grande (Piazzale Roma attuali Giardini di Papadopoli), consegnando i luoghi del Monastero alle truppe di terra.
Inutilmente la Badessa Maria Cherubina:“… impetrò il soccorso dell’Imperatore per le Monache nel maggiore bisogno”. Napoleone non le rispose neanche.
L’anno seguente il Monastero di Santa Maria Maggiore divenuto caserma prese fuoco, si salvò solo la chiesa, ma continuò ad ospitare militari per altri 100 anni fino a quando nel 1914 si costruirono le Carceri Nuove in sostituzioni di quelle in Riva degli Schiavoni e di quelle Politiche formate nel 1829 dagli Austriaci nella ex chiesa di San Severo. La chiesa di Santa Maria Maggiore venne ridotta a magazzino della Manifattura Tabacchidividendola tutta in capienti soppalchi che rimasero fino al 1961.
Mi piace concludere questa mia “Curiosità Veneziana”ricordando un mio vecchio professore di Teologia di quando negli anni 1970 studiavo da Prete nel Seminario della Salute, la “Fucina dei Preti”. Fra le altre cose era Prete e Cappellano del Carcere di Santa Maria Maggiore … e quasi live ci raccontava a scuola delle sue salite dentro agli abbaini delle Prigioni e fin sul tetto delle Carceri per convincere i Carcerati in subbuglio a rientrare di sotto dalle loro manifestazioni di protesta.
“Avete famiglia, figli a casa che vi aspettano … Fatelo per loro se non per altro.” Aveva provato a dire ai Carcerati. “Desistete da questa bravata, così eviterete d’aggiungere ulteriori danni alla vostra situazione.” I Carcerati in rivolta non diedero ascolto a nessuno se non a lui.
Perciò nella mia mente fu facile assimilare quell’uomo-Prete saggio arrampicato sui tetti a quegli antichi Patriarchi di un tempo che accorrevano negli stessi luoghi per cercare di contenere le stravaganze e le intemperanze delle turbolente Monache di Santa Maria Maggiore. Erano cambiati i tempi e le persone, ma le storie che accadevano negli stessi luoghi erano quasi le stesse.
Peccato che quell’ultimo bravuomo Prete sia stato ingrippato ed aggirato in seguito dalle astuzie furbastre di alcuni reclusi delle Brigate Rosse … Non meritava affatto di uscirne malamente dopo tanto suo generoso e sincero prodigarsi nei confronti di quegli “ospiti speciali”.
Comunque è inutile recriminare … è così che va la Storia, che piaccia o no.
Concludendo, io passo per recarmi a lavorare nella Casa di Cura di Mestre per il Campo e davanti a Santa Maria Maggiore molto spesso, anche questa mattina. Entro ogni volta dentro alla scena surreale color arancione illuminata dai vapori di sodio delle luci. A sinistra supero e lascio sempre la ex Schola degli Stracciaoli avvolta nell’ombra, osservo più avanti le barche del trasporto dei Carcerati ormeggiate nel canale dall’acqua immota. Pochi passi oltre passo davanti al pesante portone chiuso del Carcere un tempo Monastero di Santa Maria Maggiore. Vedo i pacchi dei giornali avvolti nel cellophane appoggiati per terra saturi delle notizie del giorno, qualche metro più avanti noto anche la montagna delle patate, delle erbe, la frutta e i rifornimenti per la cucina del Penitenziario … Osservo gli alberi stecchiti e neri che riempiono il centro della scena, sparati verso il cielo saturo di infinite stelle lontane e indifferenti … infine ascolto i merli nascosti invisibili nel buio che stanno raccontandosi le loro storie impossibili rompendo il tristo e pesante silenzio che domina su tutto.
Santa Maria Maggiore non esiste più … e non solo quella. Sono mondi, storie aliene divorate dal Tempo ... mentre io metto un passo davanti all’altro dentro al mio microscopico oggi Veneziano.