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“LIBRERI E MASTINI DI DIO A SAN GIOVANNI E PAOLO … A VENEZIA.”

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“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 90.

“LIBRERI E MASTINI DI DIO A SAN GIOVANNI E PAOLO … A VENEZIA.”

“Ocio ai Libri ! … Qualcuno saria da brusarlo insieme a chi lo lexe … Perché certe pagine sono pericolose, segrete e a volte proibite ... Qualche libro xe capace de farte voltàr la testa, sviàr la mente, capovolgere e accartocciare i pensieri … Certe opere sono del Maligno in persona: vanno distrutte, disintegrate e cancellate nel fuoco prima che feriscano, e la loro cenere andrà dispersa in mezzo al mare o sopra alle acque della Laguna.” diceva a metà del 1500 Fra Tommaso da Vicenza uno dei Frati Domenicani Inquisitori e Predicatori di Venezia.

Fu il primo Inquisitore dei Domenicani di Venezia, e fu con lui che s’iniziò il 29 aprile di ogni anno a bruciare tutti i libri proibiti raccolti in giro per Venezia durante le perquisizioni effettuate durante l’anno sopra il ponte che attraversava il Rio di Castello fra le chiese dei Paolotti di San Bartolomeo e quella degli Inquisitori di San Domenico.
Gli ormai potentissimi Frati Domenicani erano soprannominati da tutti per il loro zelo deciso e per la loro “feroce”dottrina: “I Domini Canes”ossia i Cani, i Mastini di Dio.

E quella non era solo affatto solo una diceria o una canzonatura nei loro riguardi, perché quei Frati residenti anche nel cuore dell’Arcipelago Veneziano della Serenissima erano proprio così: determinatissimi e tremendi. Non scherzavano per niente, e con i loro uomini s’intrufolavano dappertutto, ascoltavano tutto e tutti, e non perdevano occasione per controllare e valutare chiunque fino a portarlo davanti al Tribunale della Fede per poi processarli e condannarli ... Serenissima permettendo. Perché a Venezia l’Inquisizione ha sempre dovuto darsi una grande contenuta e calmata: per la Serenissima la Religione era importantissima, ma prima veniva sempre la “Ragion di Stato”, che significava anche tolleranza e rispetto della diversità e della libertà di pensiero ed espressione di ogni persona ... oltre che strenua difesa di qualsiasi interesse economico, mercantile, diplomatico e commerciale.

Il trascorrere de Tempo di solito obnubila, confonde, stende su tutto e soprattutto su certi posti una patina grigiastra di silenzio e dimenticanza, ma non per questo le cose che nasconde non sono mai capitate: sono, invece, accadute realmente e meritano d’essere ricordate. Sempre lo stesso Tempo, “che è galantomo”, cala un velo pietoso sopra a tante miserie, ma qualche volta vale la pena sollevarlo almeno un poco e curiosarci sotto scoprendo ogni volta cose interessantissime e per davvero curiose.

Lì, all’interno del loro “piccolo Regno Venezianodi San Zanipolo”, quello che noi Veneziani di oggi chiamiamo e vediamo solo come Ospedale Civile di San Giovanni e Paolo, i Frati Domenicani possedevano una Biblioteca stupenda davvero speciale, una Libraria bellissima e molto famosa, tanto che fino agli inizi del 1800 esisteva gente che veniva a visitarla e consultarla da tutta l’Europa e anche oltre.
Ci sono rimaste poche stampe a ricordarcela rivelandocene i dettagli, ma in ogni caso sappiamo che era una Biblioteca fornitissima di volumi di pregio, incunaboli, manoscritti, pergamene e libri di ogni sorta, compresi quelli proibiti a cui era destinata una sezione intera. La “Biblioteca Nuova di San Zanipolo”conteneva perfino una raccolta di “libri antichi e segreti”provenienti da ogni parte del mondo.
La decorazione della Biblioteca era meravigliosa: era stata del tutto tappezzata da arredi e scaffalature intagliate che andavano dal soffitto al pavimento. Un’opera monumentale eseguita da Giacomo Piazzetta, padre del famoso Giambattista e pensata nei più minimi dettagli, perché solo al vederla potesse da sola: “Raccontare la Storia e ispirare la vera Sapienza.”

Il progetto era complesso: si trattava di una numerosa serie di statue lignee intagliate spesso “a Telamonio”, ossia cave all’interno per non pesare troppo sull’architettura dell’edificio. Il manufatto doveva abbellire ma non pesare troppo per non far “imbarcare e sprofondare il pavimento”.
A Venezia e altrove quello dei Telamoni era un accorgimento molto utilizzato da artisti come Sansovino, Baldassare Longhena e Palladio soprattutto nella costruzione di facciate, fontane, mausolei di famiglia e monumenti funebri. Per intenderci, si tratta di quei giganti tozzi che a volte sostengono altre figure, oppure fungono da piedistalli di colonne, cornici e sarcofagi. Sono spesso figure simboliche rappresentano personaggi mitici o allegorici che vanno a integrare, dar sostegno e accompagnare la vicenda che sostengono.
Per farcene un’idea precisa basti pensare al monumento funebre della famiglia Nobile dei Pesaro inaugurato nel 1665 nella Basilica di Santa Maria Graziosa dei Frari. Lì i Telamoni sono evidentissimi come dei Mori enormi e muscolosi il cui significato meriterebbe tutto un discorso a parte. Altri Telamoni sono riconoscibili sui camini interni di Palazzo Ducale, sugli ingressi della Zecca e della Biblioteca Marciana, oppure intagliati mirabilmente da Francesco Pianta nei dossali della Sala Superiore della Scuola Grande di San Rocco; o in quelli eseguiti da Pietro Morando per la Scuola di San Giovanni Battista nell’isola di Murano. Sono Telamoni in legno tutta la serie dei Profeti col cartiglio in mano collocati in alto e dentro alla cupola grande della chiesa della Madonna della Salute, e sono “Telamoni di Pellegrini e Dolenti” quelli osservabili sulla facciata della chiesa dell’Ospedalettoin Barbaria delle Tole a Castello, il cui vero nome sarebbe: Santa Maria dei Derelitti.
Telamoni in legno sono stati utilizzati nella Biblioteca Monastica dei Benedettini di San Giorgio Maggiore in Isola collocandoli sopra gli scaffali delle librerie per indicare gli argomenti, e infine, alti Telamoni di legno, vuoti all’interno, vennero scolpiti e intagliati per allestire la “Biblioteca Nuova dei Frati Domenicani di San Giovanni e Paolo a Venezia detta di San Zanipolo” aperta al pubblico di Venezia e a quello foresto fin dal 1683.

Dove un tempo sorgeva la “Libraria Vecchia di San Giovanni e Paolo”, s’era fatta ideare e costruire da Baldassare Longhena (lo stesso progettista esecutore della famosa Basilica della Salute in punta alla Dogana sul Bacino di San Marco … la chiesa del voto della Peste)  la “Grande Nuova Biblioteca di San Zanipolo”, e il Priore Frate Giacomo Maria Gianvizio commissionò a Giacomo Piazzetta, padre del famoso Giambattista, un lavoro d’arredo e intaglio che venne curato dalla sua bottega per ben dieci anni realizzando un’idea e uno scenario memorabile secondo quanto avevano in mente i Frati Domenicani Inquisitori esperti di Diritto, Teologia, e Dottrina della Fede della Chiesa Cattolica Romana considerati “Il top” della conoscenza e sapienza dell’epoca.
Fra 1678 e 1681, venne realizzata perciò una serie di ventotto Telamoni intarsiati inseriti nel grande arredo ligneo della Biblioteca che copriva la grande sala dal soffitto al pavimento. Erano i tempi della Controriforma post Tridentina e della lotta contro gli Eretici di tutta Europa.  Gli Inquisitori Domenicani erano strenuamente impegnati a combattere usando: Tribunale, prigionia, rogo e tutti gli altri mezzi contro: “il poderoso calderone dei pericolosi Protestanti e Calvinisti d’origine ultramontana”.  I Telamoni della “Biblioteca Nuova di San Zanipolo”dovevano rappresentare un’intera serie di figure d’Eretici sottomessi dalla Dottrina della giusta Religione.

La Nuova Biblioteca foderata di Libri preziosissimi risultò da subito un capolavoro invidiabile, un gioiellino che metteva insieme sculture, pitture e scenografiche soluzioni oltre alla cosa principale che erano ovviamente i Libri: numerosi, preziosi e rari. Quell’ambiente divenne l’emblema, il capolavoro più rappresentativo di quella stagione “culturale e storica felice” vissuta dai Frati Domenicani Inquisitori e Predicatori di Venezia ... che in realtà non erano affatto soli nel condividere e credere in certe “convinzioni”. Infatti trovarono adesione religiosa, sostegno politico e soprattutto contribuzione economia da parte di alcuni facoltosi Nobili e Patrizi Veneziani appartenenti alle Famiglie dei Pesaro, Rezzonico, Pasqualigoe Basadonna, solo per citarne alcune.

“Nella decorazione della Biblioteca si dovrà riassumere in maniera artistica quelle che sono le certezze dei Padri Domenicani e della nostra Fede Cristiana e Cattolica …” raccomandò per scritto il Priore Giacomo Maria Gianvizio all’architetto incaricato ossia Baldassare Longhena.

Chiunque entrava nella Biblioteca rimaneva estasiato e a bocca aperta, perché si trovava davanti plasticamente riassunti e rappresentati insieme tutti i Santi Padri della Chiesa, Personaggi e Autori Cattolici, Filosofie ogni riferimento inerente alla Santa Dottrina. C’erano visibilmente elencate e scolpite nel legno tutte le Virtù, i Vizi, le Allegorieinsieme a numerosi episodi e mirabili richiami delle Sacre Scritture, e non potevano mancare d’essere rappresentati anche gli Eretici che erano considerati: “… i servi, i vinti, i nemici assoluti della Verità rivelata che i Frati di San Domenico perseguono accanitamente ... Sono coloro che sono sopraffatti, incatenati, pestati sotto ai piedi dai Padri, e schiacciati dal peso inesorabile e vincente della Buona Dottrina.”

Ancora nel 1726, il Benedettino Bernard de Montfaucon descriveva entusiasta in un suo diario la sublime Biblioteca dei Frati Domenicani di San Zanipolo lodandone la bellezza durante un suo viaggio fino a Venezia.
Erano numerosissime le copie delle incisioni circolanti per l’Europa intera prodotte dal Generale Francescano Vincenzo Maria Coronelli dei Frari che illustravano l’interno e gli arredi originali di quel mirabile “Locus Divinae Sapientiae”.

Il Monaco Benedettino De Montfauconscriveva:
“… a dir di tutti, non trattasi dei soliti scaffali ordinari, degli armadi a griglie in legno e ottone che dividono i tomi per materia e disciplina. La Sala Granda della Biblioteca Nuova di San Zanipolo mostra un insieme originalissimo e composito di paraste e capitelli e soprattutto di statue lignee intagliatissime che foderano l’intero ambiente dal pavimento alle pareti e fino al soffitto. Trattasi delle figure dei Riformatori Protestanti e degli Eretici che reggono gli scaffali con i libri. Sono resi come Telamoni tutti incatenati, in vari atteggiamenti di rabbia e stizza, e fungono da piedistallo ai loro vincitori depositari della “Vera Sapienza”… Illuminano il locale una grande porta-finestra che da sul giardino e diverse finestre a lunetta inquadrate dalle unghie delle volte che stanno sopra alle scaffalature. Sta inserita nel soffitto una grande cornice con all’interno dipinti dei Padri Conciliari dell’Ordine dei Predicatori, mentre in corrispondenza delle finestre, dentro ad alcuni medaglioni in legno, sono ritratti scolpiti i volti dei Domenicani Inquisitori: ossia i “Vincitori degli Eretici”.
Sopra alla testa di ogni mirabile Telamone sta scolpito un uccello che simboleggia le pecche dell’Eretico a cui è associato ... Diversi sono uccelli del malaugurio: Gufo, Nibbio, Pappagallo, ma mostransi anche altri uccelli il cui significato positivo è stato mutato in negativo come la Cicogna e il Pellicano. Si aggiungono poi, motti e frasi illuminanti della Scrittura che spiegano ciascun simbolo e caso.
L’ispirazione è tratta di certo da alcuni testi di Emblematica e Geroglifici Simbolici tra cui il volume di Pierio Veleriano che sa fondere sapientemente: Simbolismo, Bestiari medioevali e contenuti del Physiologus attribuito all’Epifanio ... Gran mirabile è quella Sala di Venezia !”

Insomma n’era derivata un’opera superba, invidiabile, presto cinta da un’area di arcana quanto struggente atmosfera e fama. Addirittura sono nate delle leggende su quel posto, tanto che si diceva che dietro a quei Telamoni e a quelle Cariatidi di legno si fossero nascosti dei pertugi segreti e degli spazi da dentro i quali la Serenissima e i Frati Inquisitori si nascondevano ad ascoltare le persone a volte provocandole e tirandole in lingua convinte di non essere ascoltate né viste da nessuno.  Più di qualche volta qualche sprovveduto Capitano di Galea o ricco Nobile Mercante si ritrovò torturato nelle Prigioni di Palazzo Ducale dopo una cordiale chiacchierata con qualche Frate dentro alla loro sontuosa Biblioteca.
I poveri malcapitati inizialmente erano incapaci di rendersi conto su come fosse potuto accadere d’essere stati smascherati e scoperti nelle loro losche trame tenute segrete. Solo più tardi, e a volte mai, si capacitavano che quella Biblioteca che pareva silenziosa come un sepolcro, era, invece, finita per diventare la loro tomba per davvero a causa delle loro esternazioni ingenue.

Anche i Frati Domenicani poi, non erano affatto “stinchi di Santo”… anzi. Le cronache di Venezia raccontano che alcuni di loro “presi dalle loro incombenze e necessità”, strappavano le miniature artistiche dai libri e dai manoscritti e se le vendevano sul mercato di nascosto. A poco valsero a fermarli le severe pene in cui incorsero: c’erano Libri che apparivano di qua, scomparivano di là, per riapparire poi altrove dove neanche te l’aspettavi. Il Priore dei Domenicani fu costretto in certi periodi a incatenare i libri agli scaffali e ai muri delle Biblioteca. Ma anche questo non fu sufficiente perché accadde che nottetempo si presentassero dei ladri inviati lì su commissione per appropriarsi di opere considerate uniche, copie rarissime, o di un certo valore.

“La Cultura e la Dottrina non sono incatenabili !” si diceva ironicamente in giro per Venezia.

Inoltre, siccome non solo i Frati Domenicani, ma soprattutto i Letterati Veneziani, i Nobili, e il Doge con la Signoria tutta, erano convintissimi della potenza contenuta nei Libri, ne ebbero sempre non solo un gran rispetto, ma fecero di tutto per favorirne l’edizione, la stampa, l’espansione, la diffusione, la vendita e l’uso.
Come ben sapete Venezia è stata un po’ la “Patria dell’Editoria del Rinascimento”in quanto era uno dei pochi posti al mondo in cui era possibile stampare quasi liberamente un po’di tutto, anche ciò che era rigorosamente proibito altrove.
Immaginate quindi il gran da fare che aveva l’Inquisizione Veneziana per tenere sotto controllo e a freno tutto quel movimento e quella grande agitazione di carta spesso incontenibile.

“I Libri sono armi più potenti delle parole delle persone, perché viaggiano, attraversano monti e mari, sanno giungere ovunque… Sono come la Pestilenza, riescono a lievitare e crescere spandendo conoscenza e sapienza di quantità e consistenza non sempre felice.”

Non fu di certo un caso, se i Domenicani di Venezia si premurarono di ospitare al più presto dentro al loro Convento la Sede della Corporazione o Arte o Schola degli Stampadori o Libreri di Venezia. Fin dalla sua fondazione l'Arte fu oggetto di particolare attenzione da parte del Governo della Serenissima che comminava pene severe a chiunque stampasse senza licenza. In quella maniera anche i Frati Domenicani Inquisitori erano certi di avere tutto sotto controllo e a portata “d’occhio e mano”, in modo da vigilare attentamente su tutto quanto poteva uscire dai torchi dell’Editoria Veneziana.


La Schola di San Tommaso dei Librerie Stampadoriprese accordi con i Padri Domenicani Inquisitori di San Zanipoloche concessero loro un locale in muratura nel Primo Chiostrosotto al Noviziato per un canone annuo d’affitto di 30 ducati per la stanza, e ulteriori 6 ducati per celebrare per i Librai 24 messe l’anno. A parte si doveva pagare per la Festa del Patrono ossia San Tommaso d’Aquino, celebrata il 7 marzo o nel primo giorno festivo utile successivo.

Ancora nel 1773 si contavano attivi in Venezia: 131 Capimastri Librai con 18 garzoni e 318 lavoranti compositori e torcolanti (lavoratori al torchio), e 51 impiegati in librerie. In Venezia esistevano: 35 tipografie e 42 botteghe da Stampadori e Libreri che non potevano rimanere aperte nei giorni festivi e di domenica. All’ombra dei Libreri e Stampadori, inoltre, esistevano anche 23 capimastri Ligadori da libri con 5 garzoni, e 24 lavoranti attivi in 32 botteghe.

Una grande produzione insomma, che iniziò in Laguna probabilmente nel 1469 quando il Senato concesse il privilegio per l’esercizio della stampa di libri con caratteri mobili al Tedesco Giovanni da Spira. Già prima del 1500 uscirono dalle 154 officine veneziane circa 3000 edizioni per più di 2 milioni di copie di libri, mentre durante il 1500 ci fu un enorme diffusione di Stamperie e Libri con 493 ditte che stampavano una media di 3 libri alla settimana. Più della metà di queste ditte erano modeste, ossia in grado di pubblicare una sola edizione in tutto. Accanto a queste però ce n’erano almeno 50 che pubblicarono in pochi anni più di 20 edizioni di alcuni libri, 10 edizioni superarono le 40 riedizioni, e una arrivò ad essere ristampata per ben 140 edizioni.

Gli Stampadori ottenevano dalla Repubblica Serenissima il Privilegio di Stampa”,ossia l'esclusiva per la riproduzione di un'opera valida per 20, 10 e infine 15 anni, mentre dall’Inquisizione ottenevano la “Censura” o “l’Imprimatur”sul contenuto del Libro, ossia il permesso di pubblicare: “cose consone e secondo i sani principi della Religione”.

“I Libri stanno rinchiusi nelle camere, e non si conosce il danno che fanno, se non quando si trova poi che li animi infetti danno fuori il veneno, e la peste contratta da questi libri …”considerava Antonio Maria Graziani Nunzio del Papa residente a Venezia nel 1596.

A Venezia come sempre c’era un gran mercato di tutto, anche di Libri, ed è documentata la presenza di letterati, rappresentanti di editori, e appassionati compratori e cultori dei libri provenienti dalla lontana Germania, ma anche da: Padova, Asti, Firenze e Siena, Napoli e Salerno, Trento, Pesaro, Brescia, Bergamo, Milano, Pavia, Vercelli con Trino Vercellese e Lago Maggiore. Come sempre la Serenissima dovette più volte intervenire per sanare abusi economici, e il mondo del commercio dei Libri subì il controllo del Magistrato contro la Bestemmia, degli Inquisitori di stato, della Santa Inquisizione, e dei Riformatori dello Studio di Padova.

Ogni libro per essere pubblicato a Venezia doveva avere il permesso del “Revisore alle Stampe” e del Priore dell'Arte dei Libreri e Stampadori.


Solo l'introduzione dell'Indice Romano dei Libri Proibiti riuscì a rallentare la produzione di quella fiumana di libri, che tuttavia riuscì a diffondere ugualmente “libera cultura” in tutta Europa: Spagna, Francia, Germania, Danimarca, Svizzera e Ungheria, e perfino in America.
In ogni caso il libro veneziano veniva considerato un prodotto pregiato sia per la carta sempre di ottima qualità, a volte persino dorata, inargentata e miniata, per i caratteri eleganti, il testo corretto, l'inchiostrazione misurata, le illustrazioni sempre molto curate, e le rilegature ricche e fastose talvolta ricoperte di damasco o velluto. Si giunse a pubblicare ben 4416 edizioni con una media di 90 edizioni annue.
Nello Stato Veneto esistevano circa 90 cartiere a volte piccolissime che davano lavoro a migliaia di persone.  Spesso le cartiere presenti soprattutto sulla Riviera di Salò sul Lago di Garda, ma anche nel Bellunese, Trevigiano, Vicentino, Padovano e Pordenonese si trovavano in perenne crisi economica per mancanza di stracci da trasformare in carta, perciò la Serenissima intervenne molte volte per aiutarle con apposite esenzioni sui dazi numerosissimi imposti sui libri e la carta, e mettendo al bando la carta estera che doveva essere bruciata se rinvenuta in circolazione.

Il controllo asfissiante dei Domenicani non fu comunque efficace, perché spesso esistevano dei “liberi battitori” che sparsi per Venezia stampavano anche una sola copia soltanto, o un’edizione di qualche libro interessante e pericoloso. E fatta una copia, il gioco era fatto: “Quando un libro prende il volo è difficile estirparlo ... è come la gramigna: ne strappi una e ne ricrescono cento …  e spesso non c’è peggior modo di quello di proibire i libri per ottenere l’effetto che in molti desiderino e accorrano a procurarsi copia di quanto è più biasimevole e incerto e profano. Così funziona l’animo umano … Anche il rogo del fuoco non è sufficiente a cancellare certe “Male Verità” … e forse non sarebbe neanche sufficiente bruciare con la carta quelli che hanno avuto l’ardire di pensarla e riempirla.”

A Venezia nel 1588 il Libraio Pietro Longo venne condannato a morte, mentre Salvatore de Negri Libraio a San Rocco venne denunciato più volte dai suoi stessi clienti all’Inquisizione che lo inquisì e processò dal 1628 al 1661, anche se lui continuò tranquillamente nei suoi traffici incurante dell’attività dell’Inquisizione.

Insomma: gli Inquisitori di Venezia si scagliarono senza sosta e con poco successo contro: “… Luterani, Calvinisti, Eretici e Miscredenti in genere, ogni forma di Strigaria e Magia, ogni tipo di libertinaggio, novità scientifica deviante, e mancanza di disciplina morale.”

Tremendi quei Frati Predicatori e Inquisitori ! … ma vi dirò meglio la prossima volta qual’era l’altro aspetto della loro medaglia.

Infine, storicamente si sa per certo, che i Francesi Napoleonici distrussero del tutto barbaramente quel pregevole monumento della “Biblioteca Nuova Granda di San Zanipolo” trasformandola in legna da ardere.

Avete capito giusto: legna da ardere !

Sembra che in seguito, nello stesso “luogo liberato”abbiano collocato comodamente l’armeria della loro caserma e ospedale militare che era divenuto l’ex Convento dei Domenicani di San Giovanni e Paolo ossia San Zanipolo.
Venduti, trafugati e dispersi i Libri preziosi, di tutte quelle pregevoli sculture lignee intarsiate, rimase solo un mucchio di legname ammassato in un angolo dei chiostri su cui andò a posare lo sguardo un certo “Sir Inglese” rimasto anonimo di passaggio a Venezia.
Al “Sir”misterioso riuscì di comperare dai Francese tutti quei “rottami ammassati” in cambio di pochissimo denaro, e provò a caricare tutto dentro a un brigantino in partenza dal Molo di San Marco di Venezia diretto in Inghilterra. Intendeva portarseli tutti a casa per arredare bellamente il suo studiolo e dare loro ancora una volta la collocazione che meritavano.
Il “Sir” pagò allora profumatamente alcuni barcaroli Veneziani che trasportarono tutto il materiale di legno dal chiostro di San Zanipolo fino ad ammucchiarlo sul Molo di San Marco nei pressi dell’imbarco sulla Riva di San Biagio.
Quando venne però il momento di caricare la nave e salpare, il Capitano del brigantino sollevò mille problemi e difficoltà per imbarcare quel carico un po’ “particolare”. Non gli era mai capitato di viaggiare per mare con la nave ingombra di statue di legno fracassate, perciò faticò non poco a concedere e sacrificare spazio utile della nave “buono per gli affari” occupandolo con quell’ingombro così poco redditizio e forse inutile.
Perciò di nuovo, dopo un “tira e molla, e molla e tira sul prezzo”, si contrattò alla fine a suon di denari di accettare a bordo buona parte e non tutta quella montagna di statue e pezzi di legno intagliato. Inutilmente il “Sir” cercò di ritornare indietro ai Francesi qualcuna delle statue e i pezzi rimasti sul molo. Non gli rimase che venderle ai barcaroli e ai marinai curiosi fermi sulla riva come legna da ardere per cucinare e scaldarsi, e alla fine il “Sir Inglese” salpò con la nave e fece rotta come previsto per l’Atlantico e poi per l’Inghilterra.
Comprò quasi tutto quel “legname rimasto” uno dei barcaroli, che a sua volta prese accordi con della gente della Contrada di San Jseppo di Castello che provvide a ridurre a pezzi il tutto rifornendo le loro misere legnaie per la cucina e per l’inverno.
Degli arredi intagliati e lavorati dalla Bottega di Giacomo Piazzetta e pagati a caro prezzo dal Priore Giacomo Maria Gianvizio non rimase più niente … Forse solo quei pezzi di statue che alla fine riuscirono a sbarcare in Inghilterra, e dopo varie traversie, raggiunsero intatti la casa di quel misterioso Sir Inglese di cui oggi non si sa neanche più il nome.
(solo negli ultimi anni è spuntato sul mercato internazionale “un pezzo” appartenente alla Libraria di San Zanipolo.)

Dalla metà del 1700, quando Francesco Storti Priore dell’Università dei Librari e Stampadori per il: “…pericolo dell’acqua e del fuoco che guastano i Libri e le onerose spese di trasporto” ottenne da parte di Ser Pietro Foscari de’ Carmini (futuro Doge) e Procuratore Cassiere della Procuratia de Supra, la dispensa: “… dall’obbligo di comparire in Piazza con una bottega di Libri e Stampe per maggior decoro durante la Fiera della Sensa a spese dei Librai più benestanti.”, la produzione dell’Arte dei Libri e della Carta a Venezia era già in aperta crisi.

Se da una parte era cresciuto il numero delle cartiere, dall’altra era scesa la domanda del prodotto perché ne era scaduta troppo la qualità. Da Costantinopoli la Cancelleria dei Turchi faceva sapere e contestava le forniture di carta veneziana perché era: “… cruda, giallastra, difettosa nelle misure, nella massa e mancante di almeno 1/3 del peso promesso…”
Alla fine del secolo delle 455.880 risme di carta prodotte nello Stato Veneto per un valore di 911.760 ducati, si riuscì ad esportarne dalle dogane della Serenissima della Stadella di Verona e della Marittima di Venezia verso il Levante solo 127.227 risme per un controvalore di 254.454 ducati.


( "I Chiostri di San Giovanni e Paolo" di Francesco Guardi )

La perdita era più che evidente … era terminata un’epoca e un modo di “sentire le cose”, così com’era sfumata l’epoca famosa in cui primeggiarono i Frati Domenicani Predicatori e Inquisitori di San Zanipolo di Venezia.
Vi dirò ancora su questo …



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