“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 91.
“TREMENDI, PARANOICI I MASTINI DI DIO DI SAN ZANIPOLO ... A VENEZIA.”
Come ben sapete, i Veneziani avevano la mania di sintetizzare abilmente i nomi: così San Trovaso, ad esempio, era la sintesi di San Gervasio e Protasio, mentre dicendo San Marcuola s’intendeva indicare San Ermagora e Fortunato. San Zanipolo perciò era San Zuane e Polo, cioè San Giovanni + San Paolo, che da ZuanePoloè diventato:Zanipolo, San Zanipolo.
Basilica e Convento di San Zanipolo dei Frati Domenicani Mendicanti, Predicatori e Inquisitori… Semplice no ?
Da parte mia, ho sempre chiamato il posto di Venezia dei Santi Giovanni e Paolo, cioè San Zanipolo, confidenzialmente e per praticità: San G & P. Per me quel chiesone e quei posti di Venezia, sono sempre stati un complesso edilizio favoloso che mi ha sempre attratto fin dal mio giovanile vagabondare mattutino per i meandri e i luoghi nascosti di Venezia.
E’ sempre stata una delle mie mete preferite, un posto dove tornare volentieri per capirlo e conoscerlo sempre di più.
Quello che però mi ha sempre attratto di più oltre alle ardite architetture gotiche della chiesa innalzate sul fango con tutto l’ingente numero d’opere d’Arte conservate lì dentro, è stata la Storia che è accaduta non solo lì dentro, ma soprattutto accanto: nel vicino grande ex Convento divenuto poi Ospedale Civile di Venezia. Mi è sempre piaciuto andare a frugare e sbirciare dentro alle vicende antiche di quell’immenso posto diventato in seguito quasi del tutto solo di significato sanitario.
Prima … ormai un paio di secoli fa, era la residenza dei potentissimi Frati Domenicani: i Domini Canes, i Mastini, i Segugi di Dio dell’Inquisizione Veneziana ! … i cui “discendenti”sono rimasti ancora oggi ad officiare la sola chiesa.
Ecco perché ho perfino inscenato lì dentro le vicende del mio ultimo libro-romanzo: “Uno strano Ospizio.”
Comunque passando oggi dentro ai luoghi che sono stati dei temibili Frati Predicatori e Inquisitori, si vedono solo indicazioni e si sente parlare di Medicina II°, Farmacia, Pronto Soccorso, Padiglione Gaggia, Astanteria, Ambulatori, Rianimazione e tutto il resto … Non è rimasto quasi più nulla di quanto caratterizzava la vita e il posto degli antichi Padri, o quel poco rimasto è stato a lungo gelosamente precluso e interdetto ai più che fino a poco tempo fa potevano avventurarsi solo a rubare qualche scatto fotografico quasi di nascosto.
Nei chiostri al posto dei Frati passeggiano persone pigiamate e arruffate in preda ai loro malanni, qualcuno trascina la sua flebo a rotelle, qualche altro mostra controvoglia la sua testa o il suo occhio e orecchio vistosamente fasciati e bendati. Ospedale insomma … e se non sono questi i personaggi, sono quelli in camice bianco che ogni tanto si vanno a “ingrippare”dentro al baretto, oppure quelli “un po’ aspri e temprati” che spingono carrozzine sgangherate e barelle da e verso i Reparti attraversando pertugi vetusti, o ancora altri “scafandrati e coperto come marziani” che portano odorosi carrelli portavivande del pranzo e della cena.
Per fortuna ultimamente l’ospedale si è riciclato e rifatto un po’ il lifting: oggi si presenta meglio e in maniera più accogliente, ha recuperato gli spazi dell’antica Scuola Grande di San Marco, ha racconciato passaggi e mura, e offre una sensazione di migliore accesso e recettività ... anche se l’ospedale rimane ospedale, non certo luogo di felicità.
Tuttavia anche l’occhio vuole la sua parte, così come non dispiace incontrare qualche Sanitario sorridente, Dottoressi o Dottoresse, Infermerari e Infermierone che emanino un po’ di cordialità simpatica oltre che professionalità e competenza … Purtroppo, a volte l’apparenza inganna, e c’è sempre chi … ma lasciamo perdere, non è di questo che volevo parlarvi.
Perciò torniamo ai Frati di San Zanipolo e al loro formidabile complesso architettonico e storico.
Un altro dei bei luoghi di quel formidabile Convento, oltre alla sontuosa e preziosissimaBibliotecaGranda di San Zanipolodi cui vi ho già fatto memoria di recente, (schiaccia il link per saperne di più),era di certo il Refettorio dei Frati Domenicani e Inquisitori.
Chiudete gli occhi … e provate a immaginarlo solo per un attimo.
Nel Convento abitavano stabilmente circa 100 Frati Domenicani con i loro Conversi, i Novizi o Fantoli della Scuola, e una miriade di ospiti di ogni sorta, cultura e prestigio, che andavano e venivano in ogni tempo e stagione per i più svariati motivi. Quel luogo quindi non doveva essere una stamberga, ma il posto dell’accoglienza e della convivialità che poteva poi sfociare in confidenza e cordiale condivisione … Avete capito, insomma.
Anche lì, come in gran parte degli spazi del grande Convento c’era un capolavoro che decorava per intero la parete di fondo. Si trattava dell’ “L’Ultima Cena” dipinta da Paolo Calieri detto il Veronese, il cui titolo fu convertito in seguito al processo subito dal pittore da parte dell’Inquisizione in: “Cena a Casa di Levi.”
Vi segnalo questo perché quel dipinto provocò una storia proprio da “Mastini di Dio”, da provetti Inquisitori.
Nell’aprile 1573, Paolo Veronese completò per il Refettorio il grande telero della “Cena in casa di Levi” ossia “Ultima Cena del Cristo” commissionato e pagato di tasca propria dal Priore Domenicano del Convento: Fra Andrea de’ Buoni, in sostituzione dell’“Ultima Cena” di Tiziano andata distrutta dal fuoco.
Si racconta che nel quadro del Tiziano c’erano dipinti i volti di alcuni Frati Domenicani in quelli degli Apostoli seduti a tavola accanto al Cristo, tanto che chi entrava diceva: “Vedi Fra Antonio ! … Guarda Fra Vincenzo e Fra Nuccio ! … Osserva lì il Nobile Venier e l’Illustrissimo Foscarini seduto alla Divina Tavola Eucaristica del Figliol di Dio !”
Nella nuova tela del Veronese il Priore s’era fatto ritratto “in un canto con la salvietta sopra alla spalla”, ma quel quadro non piacque per niente all’Inquisizionestessa se non altro perché c’erano troppi cani rappresentati sul dipinto. Sapeva di raffinata presa in giro: “Nel quadro del Refettorio il Veronese ha messo i Domini Canes, i Mastini di Dio invitati a Cena sotto alla tavola del Cristo” si ripeteva ridacchiando in giro per il Convento e per tutta la Contrada.
Paolo Caliari detto il Veronese di 45 anni, residente in Contrada di San Samuele a Venezia, marito della figlia del Tiziano, uomo di successo al culmine della sua carriera, con beni in Terraferma, sabato 18 luglio 1573 subì perciò l’interrogatorio da parte dell’Inquisizione di Venezia sui contenuti e la realizzazione della sua tela per il loro Refettorio, definita: “Ultima Cena profana e offensiva”.
Eppure Veronese non era un pittorucolo e un imbrattatele qualsiasi: aveva dipinto per i Dogi e a Palazzo Ducale, aveva foderato e tappezzato di opere d’Arte insigni dal pavimento sino al soffitto l’intera chiesa di San Sebastiano dei Frati Gerolimini, e aveva dipinto un Ciclo mirabile di Storie di Santa Cristina per le Monache di Torcello, e molto, molto altro ancora di splendido e apprezzato da tutti. Veronese era insomma una garanzia di garbo ed estetica, e anche d’ortodossia delle immagini … eppure.
Il giorno del Processo dell’Inquisizione contro il pittore, mentre in giro per Venezia non si faceva altro che parlare di quella strana vicenda, si presentarono: Aurelio Schellino che era Padre Inquisitore: “Homo di buone e polite lettere, zelante nelle cose del Santo Ufficio”accompagnato dal compagno Domenicano Ludovico da Rimini. A Venezia aveva organizzato una campagna di controlli a tappeto delle botteghe di Libri di Venezia eseguendo una vera e propria prima purga controriformistica dei titoli secondo le indicazioni dell’Indice Romano dei Libri Proibiti da distruggere. Nel 1570-1571 istituì anche un clamoroso processo contro Vincenzo Valgrisi commerciante di Libri imprudentemente “al segno dell’Erasmo”, e contro un buon numero di venditori e librai veneziani, applicando su tutti la censura libraria.
Un uomo e Frate tosto insomma, un Inquisitore provetto ... e anche tremendo.
Inoltre era presente al processo: il Romano Giovani Battista detto Dei: Nunzio Pontificio a Venezia e Arcivescovo di Rossano. In realtà si trattava di Giovanni Battista Castagna, nipote del Cardinale Girolamo Verallo, presente al Concilio di Trento fino alla fine dei lavori, Nunzio Papale prima in Spagna e poi a Venezia. Era un uomo di vasta cultura civile e canonica, aveva studiato a Bologna e Padova, ed era stato inviato a Venezia dal Papa per promuovere una nuova alleanza per combattere contro i Turchi. Quell’uomo divenne in seguito Papa Urbano VII che governò la Chiesa nel 1590 per soli 12 giorni (il Papato più breve della storia).
Non mancò di presenziare al processo anche il Patriarca di Venezia Giovanni Trevisanfautore entusiasta della Controriforma e della lotta contro l’Eresia. Anche lui era “uomo tutto di un pezzo”: Abate del famoso Monastero di San Cipriano di Murano, istitutore del Seminario Patriarcale, difensore della classe nobiliare Veneziana che doveva sistemare figli e figlie nei Monasteri, oppositore insieme alla Serenissima alla Visita Apostolica Papale di controllo su Venezia del 1581 progettata dal Nunzio Alberto Bolognetti che per ben due volte non riuscì a trovarlo nella sua sede di San Pietro di Castello.
Accanto a costoro, sedeva a processo anche il Nobile Giacomo Foscarini Savio all’Eresia, Dottore in Filosofia e Greco della Scuola di Rialto, Riformatore dello Studio di Padova, fra i fondatori dei Catecumeni, incaricato nella Zonta e nel Consiglio dei Dieci, Consigliere del Doge, Savio Grande, Deputato Laico, e assiduo presenziatore nei tribunali nei processi contro i Librai di Venezia.
C’era poi lo scapolo Nicolò Venier figlio del Nobil homo Agostino e della Nobil donna Maria Priuli: Savio all’Eresia, incaricato nella Zonta e nel Consiglio dei Dieci, Consigliere Dogale, Procuratore di San Marco, grande estimatore dei Frati Domenicani Inquisitori ai quali in morte lasciò una Mansioneria di Messe da celebrare per 20 ducati annui da officiarsi all’altare del Crocefisso nella chiesa di San Zanipolo.
C’era ancora un altro “pezzo grosso da novanta” ossia il Nobile Alvise Zorzi figlio di Benedetto e di Maria Corner: “…Senatore di grandissima autorità e molto favorevole alle cose di Chiesa…”, Savio all’Eresia, seduto in Zonta per 6 volte, Consigliere Dogale per 4 anni, Savio Grande per 12 anni, Procuratore di San Marco, Provveditore Generale di Corfù, Capitano a Padova.
Infine erano presenti anche i due Nobili Vincenzo Contarini: Savio all’Eresia, due volte nel Consiglio dei Dieci e Giovanni di Bernardo Donà anch’esso Savio all’Eresia, ed eletto Savio Grande dal luglio 1573.
Una sfilza di personaggi aguerritissimi e decisi da cui c’era ben poco da sperare … C’era già chi in giro per Venezia pensava il peggio per il povero pittore.
Alla fine, invece, il processo tanto propagandato e nominato si risolse senza particolari conseguenze per il Veronese: gli fu ordinato di emendare entro tre mesi il quadro, secondo le indicazioni del Santo Tribunale: “Sostituire la figura dei cani con quella della Maddalena, e apporre una scritta sotto al dipinto: “FECIT DOMINO CONVIVIUM MAGNUM LEVI LUCAE CAPITULUM V” ... ossia quella non era affatto un’ “Ultima Cena” col Cristo perché troppo blasfema, ma solo la rappresentazione di “Una Cena a casa di Levi il Publicano peccatore”… un Cristo perciò in mezzo a gentaglia piuttosto che in mezzo a gente Santa, Onesta e Buona come potevano intendersi i Frati di San Zanipolo.
Anche se era vero proprio in contrario: i Frati Domenicani Predicatori e Inquisitoridi Venezia non erano affatto così Santi come volevano far credere … Anzi ! Erano quasi l’opposto … Ma questo ve lo racconterò la prossima volta.
Nel 1697 il Refettorio di San Zanipolo venne distrutto dal fuoco per l’incendio del deposito dell’olio sottostante. In quella circostanza la tela del Veronese venne tagliata grossolanamente in tre parti per salvarla e poi fu ricucita. Fu infine restaurata nel recente 1984, e oggi dopo le traversie Napoleoniche campeggia bellamente nelle sale delle Gallerie dell’Accademia di Venezia.
Andate o tornate a vederla … Di certo l’apprezzerete un po’ più del solito.
In conclusione: quei Frati erano proprio tremendi! … dei veri Mastini di Dio nei confronti degli altri … C’era come un’ossessione, una paranoia che albergava nelle loro menti e nei loro modi. Esisteva una specie di tarlo raffinato e perverso, una smania insaziabile e inarrestabile di perseguire, smascherare, condannare e punire in maniera esemplare in ogni circostanza.
Ripensandoli si prova una sensazione inquietante di persone suscettibili e permalose:
“Bastava un niente per infiammarli … come gettare una scintilla dentro a un pagliaio secco … ed era fuoco e rovina garantita per tutti ... Sembrava quasi ce l’avessero con tutti, anche con se stessi, con i propri simili e consociati, come se niente e nessuno potesse sfuggire fuoriuscendo da quell’ispirazione deteriore proveniente dal Maligno e diffusa ovunque ...”
Noi diremmo oggi senza timore: gente con una visione patologica del Mondo, delle persone, dei fatti e delle cose … ma queste sono considerazioni che potete fare da voi stessi.