“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 94.
“IL CAMPANIL DEL CONTRABBANDO … E LE VERGINI DEL DOGE ... ANCORA A VENEZIA.”
Il contrabbando esiste da quando esiste l’uomo come esiste la necessità irrinunciabile di certi beni come il sale, il grano e la farina. E’ sempre accaduto che proibendo socialmente qualcosa gravandola di monopolio si è subito attivato il traffico inarrestabile del contrabbando illegale a caccia di profitti più o meno facili.
State pur certi che se ci sarà qualcosa d’interdetto ci sarà sempre qualcuno che si farà in quattro per inventarsi il modo di procurarlo esaudendo la corrispettiva “fame proibita”.
E dove abita il proibito è altrettanto solito che accadano: intensi traffici, truffe, raggiri, corruzioni, contraffazioni, sopprusi, abusi fiscali, violenze, alterchi, delitti e rogne di ogni tipo … Così come quasi ogni volta la liberalizzazione di certi prodotti ha provocato la caduta e l’arginazione di quei fenomeni correlati.
Immaginate solo per un attimo, così tanto per farsi un’idea, che cosa accadrebbe oggi se si liberalizzasse l’uso della droga vendendola a un centesimo al quintale insieme a tutte le altre Spezie dentro a ogni rivendugolo o pizzicagnolo ? Di certo si decreterebbe la fine del grande epifenomeno di coercizione, sopprusi e delinquenze che stanno segnando la società di quest’ultimo nostro secolo.
E’ solo un esempio opinabile, per farci tornare, invece, alla nostra Venezia curiosa di ieri. I documenti antichi Veneziani sul contrabbando sono ricchissimi di notizie, e fra questi ce n’è uno che cita esplicitamente il nome e il sito del “Campanil del Contrabbando”. Era quello della Contrada del Vescovo, ossia quello di San Pietro nel Sestiere di Castello ovviamente a Venezia.
Non fraintendetemi ! Non andate subito a pensare che il Reverendissimo Ecclesiastico che abitava la Cattedrale di San Piero di Castello fosse coinvolto in persona e direttamente dentro ai loschi traffici (anche se non sarebbe da meravigliarsi). Il Campanile del Contrabbando era di certo sua proprietà e competenza, ma in cima e dentro allo stesso accadevano tante cose di cui lui era probabilmente all’oscuro, o di cui era indotto a sopportarne passivamente l’accadimento.
Questo non si sa, non è molto chiaro dai documenti.
Sta di fatto, che proprio lì in cima a quella torre, forse anche faro portuale, presente ancora oggi sul confine estremo e periferico di Venezia prospicente sulla Laguna e su una delle “bocche di Porto” aperte sul Mare Adriatico, accaddero a lungo azioni proibite e di certo non legali.
L’entrata del Porto di Venezia interessata è quella di San Nicoletto del Lido, quella più importante e considerata dai traffici mercantili in arrivo e partenza da e verso l’attivissimo Emporio di Rialto. Di solito la Serenissima stendeva una grossa catena su zatteroni sopra alle acque del tratto di Laguna fra San Nicolò del Lido e il Forte di Sant’Andrea dalla parte opposta per controllare i traffici di cose, natanti e persone che entravano e uscivano via mare dal cuore della Repubblica.
Nel Forte di Sant’Andrea c’era istallata una bella serie di bocche da fuoco: 42 cannoniere quasi sempre pronte all’uso oltre ad altre artiglierie più grosse ospitate sulle terrazze, sul torrione e lungo le cortine laterali capaci di tenere sotto tiro incrociato tutto il Porto del Lido fino al mare aperto e le isole vicine. Per ricordarvene una, fu proprio sparando da una di quelle cannoniere che nel 1797 il Capitano e Comandante Domenico Pizzamano centrò e affondò con un’unica bordata il primo veliero Francese, il "Liberatore d'Italia”che osò varcare i confini della Laguna senza il permesso previo del Doge e della Signoria. Peccato che con quel gesto il “povero” Napoleone si sentì aggredito, e trovò la scusa valida per prendere subito possesso dell’ormai decadente e indifesa Venezia.
Come potete immaginare, nella Contrada del Vescovo o di San Piero di Castello abitavano in gran parte Marinai, Arsenalotti, Bastazi e Artieri di ogni tipo avezzi e abili a trattare familiarmente con mare e con tutto ciò che lo concerneva … affari e traffici illeciti compresi.
“… il campanile di San Pietro di Castello era la torre di gestione, guardia ed avvistamento di tutto il contrabbando organizzato del mercato veneziano che riusciva ad evadere sistematicamente i Dazi e i controlli della Serenissima. Con le proprie peote andavano a scaricare e caricare le navi contraddistinte da specifiche vele colorate avvistate al largo nel mare. Da quei traffici fuorilegge si otteneva un netto guadagno del 30% su tutto quello che si riversava o usciva via mare dai Fondaci e dalle Mercerie di Rialto. Spesso la Serenissima non entrava neanche in quella zona difesa dalla fama di uomini armati di archibugi ... Venezia in ogni caso ne guadagnava ugualmente ... e anche tanto.”
Comunque nella Contrada di San Piero di Castello non esisteva solo il contrabbando, perché era soprattutto una tipica e vivissima Contrada popolare di Venezia:
“Fin dal 1612 Daniel Campanato viveva da Marangon dell'Arsenal, e come Piero fio de Stefano Campanato faceva il Calafato in Contrada di San Piero di Castello morendo di peste nel 1621 ... mentre il 25 giugno 1771 Lorenzo Campanato anche lui Marangon dell'Arsenal, s’impiccò nella sua casa posta nello stesso posto di Castello dove un tempo sorgeva una “palus o palude Plombiola” … Nella stessa zona in Corte Coltrera abitava Cristoforo quondam (ossia figlio del defunto)Domenico di Benedetti ricco Coltrèr che possedeva parecchie case in parrocchia di San Piero e diversi beni in Mestrina … Il Campazzo e Campiello delle Erbe poco distanti, e sempre in Contrada di San Piero, ancora nel 1713 erano un orto lasciato libero per pascolare cavalli e altro bestiame … Poco distante da quel posto abitava un Sartor da Calze, e in Calle delle Ole, ossia delle pentole o “pignatte”, sempre in fondo a Castello esisteva una bottega diroccata da pentolajo accanto ad alcune case poste dietro al Campiello della Vigna in Quintavalle appartenenti al Patriarcato … Bonavisa Marangon e Mastro Zonta da Ferrara ottennero con un prestito del Doge di poter costruire 4 mulini “su sandoni” nel vicino Canale di Castello ... e Antonio Coppo dal Confinio di San Piero di Castello Confratello della Scuola Grande della Misericordia venne condannato a 300 lire di multa per aver ferito in faccia Albertino di Verga Priore dell'Hospedal de San Vio al Traghetto di San Gregorio.”
Tutte cose normalissime insomma, anche se mi tocca dirlo, oltre a tanta gente qualsiasi nella Contrada di San Piero vivevano anche i Canonici del Vescovo di Olivolo o Castello da cui l’intera zona aveva preso il nome.
Il chiesone-Cattedrale di San Piero era un po’ il fulcro di tutta la Contrada, ed era circondato da un cimitero non ancora delimitato e recintato nel 1500 che finì per diventare: “piazzetta pubblica spatiosa”.
Da una nota della Mariegola dei Casselleri del 1449 (quelli che facevano i cassoni dipinti e decorati per mettervi i corredi delle doti nuziali) sembra che anticamente tutte le “novize”,ossia le promesse spose di Venezia, andassero a maritarsi dal Vescovo di San Pietro di Castello, o che almeno si recassero lì le dodici povere donzelle, “quelle famose Marie” dotate a spese del Comune e rapite leggendariamente dai pirati.
L’istituzione Ecclesiastica del Vescovo di Castello era una fra le più antiche di Venezia, in quanto la Cattedrale di San Piero veniva considerata una delle otto “Protochiese” fondate secondo la leggenda da San Magno Vescovo transfuga da Altino. San Piero era perciò Chiesa Matrice, ossia di riferimento obbligato, per ben 26 “Parrocchie filiali” sparse per tutta Venezia. In quei tempi non esisteva come oggi la giurisdizione unica del Patriarcato di San Marco, perciò chiese, Monasteri e fedeli di Venezia venivano spartiti fra la Chiesa Dogale di San Marco, il Vescovo di Olivolo, e l’influenza e controllo del Patriarca di Grado che risiedeva a San Silvestro accanto a Rialto.
Nella fattispecie la Chiesa di San Piero esercitava controllo e giurisdizione sulle vicine chiese e Contrade del Sestiere di Castello: Sant’Antonin,San Giovanni in Bragora, San Biagio, SantaTernita, Santa Giustina, San Severo e San Martino, ma anche sulle più lontane chiese collocate nel Sestiere di San Polo e Rialto come: San Giovanni Elemosinario, Santa Maria Materdomini, San Zan Degolà e Sant’Aponal.
La stessa giurisdizione poi si allargava a comprendere nel Sestiere di Dorsoduro anche le Parrocchie di San Basilio, San Nicolò dei Mendicoli e Sant’Eufemia della Giudecca, mentre nel Sestiere di Santa Croce gestiva e controllava “le Anime” di Santa Croce de Luprio, San Stàeossia Sant’Eustachio e dei due San Simeone Grando e Piccolo. Nel Sestiere di Cannaregio, invece, lo stesso Vescovo di Olivolo “governava”le chiese-parrocchiali di San Marcuola, Santa Fosca, San Geremia, San Leonardo, Santa Maria Maddalena, San Marziale e sul Monastero di Santa Luciaper spingersi infine a controllare da lontano anche le genti di Santa Maria Elisabetta del Lido.
Niente male come influsso e controllo sul territorio Veneziano, vero ?
Praticamente più di mezza Venezia stava sotto l’occhio e orecchio vigile e attento del Vescovo di Olivolo … mentre la Serenissima a sua volta vigilava ancor più attentamente supervisionando tutto e tutti … Vescovo e Canonici di San Piero di Castello compresi.
Secondo la storia antica, sembra che la prima piccola chiesetta dedicata ai Santi Sergio e Bacco sia stata voluta e costruita in quella zona della neonata Venezia dalla ricca famiglia dei Sammacali detti poi Caotorta. E proprio lì è accaduto che il Vescovo di Olivolo-Castello abbia voluto porre la propria sede circa cento anni dopo sul Castrum(Castello) alla foce del Flumen ossia il futuro Canal Grande, mentre il centro commerciale di Venezia era già attivo nel nuovo Emporio di Rialto proveniente da Malamoccoabbandonato perché scomodo, piccolo e sommerso dall’acqua.
Arrivato il Vescovo, si ricostruì la Chiesetta intitolandola a San Pietro Apostolo ... e da chiesetta divenne ovviamente chiesona.
Nel Campo di San Piero di Castello la famiglia Mastelizia poi Basegio assalì il Doge Giovanni Partecipazio, gli rase i capelli e la barba, e lo condusse vestito da Monaco in un Monastero di Gradofacendo eleggere il suo successore Pietro Tradonico ... così come nello stesso Campo de San Piero Stefano Caloprini uccise per ragione di donne il Nobile Domenico Morosini fuggendo poi da Venezia. In seguito toccò ai Morosiniuccidere tre Caloprini mentre ritornavano in barca dal Palazzo Ducale continuando la faida fra Nobili Famiglie di Venezia ... Ne fece le spese il debole Doge Tribuno Memmo incapace di mantenere l’ordine in città e fra i Nobili, che perciò venne a sua volta deposto e costretto a farsi Monaco nel più vicino San Zaccaria rimanendo a Venezia.
Poco dopo questi antichi fatti, iniziò la lunga catena degli affari e della azioni del Vescovo e dei Canonici di Castello sempre più in crescita di prestigio socio-religioso e di capacità economica. Prima ottennero dal Doge di vendere una terra e un “paludo Sancti Petri“ adatto per pescare di proprietà dell’Episcopato di Olivolo, poi diedero in concessione un Livello a Chioggia, e ottennero l’obbedienza e sudditanza di ben 8 Monasteri Veneziani fra cui il potentissimo Monastero di San Giorgio Maggiore mai stato soggetto a nessuno fino ad allora … infine prese fuoco la chiesa di San Piero ancora in costruzione e bruciò tutto crollando anche il campanile facendo morire di crepacuore il povero Vescovo Vidal Michiel.
Al successore fu concesso che tutti coloro che abitavano in zona e che lui “amministrava in Spiritualia” gli pagassero “la decima”(una tassa dovuta solo in base alla residenza sul territorio) assegnandone però un quarto alla chiesa di San Salvador come dovette ricordargli il Papa Eugenio III in quanto il Vescovo s’era tenuto tutto per se stesso: “… pars Episcopo, alias Clero, III pauperibus, IV vero Ecclesiae sartetectis deputata esse dinoscitur.”
Già nel lontanissimo 1186 dovette intervenire Papa Urbano III per una lite sorta fra i Canonici di San Piero e i Piovani-Plebani di San Pantalon, San Giovanni Crisostomo, San Silvestro e Sant’Aponal che si consideravano defraudati delle loro “Decime” che percepivano per antica consuetudine. I Canonici di San Piero volevano arrogarsele perchè secondo loro la dotazione economica canonicale era troppo povera. Inoltre i Canonici volevano ottenere il diritto d’eleggersi un Vescovo di loro gradimento, alcuni divennero “Notai e Dottori in utriusque Leges”… e dentro alla chiesa di San Piero fecero costruire una Pala tutta d’argento pesante 1364 once e con 26 figure: “… in due parti divisa quale si chiude continuamente e s’apre solo nei giorni delle festività principali et in essa appariscono molte figure d’argento indorate di diversi santi che rendono molta vaghezza …”
Trascorsi secoli più o meno tranquilli, nel 1420, Marco III Lando Vescovo di Castello cercò d’irregimentare e ordinare il “comportamento esuberante” dei Canonici di San Piero indicendo un apposito Sinodo Diocesano. Sotto pena di scomunica i Canonici della Cattedrale dovevano cambiare registro di vita: “… somministrare i Sacramenti per lo scopo per cui furono istituiti e non per denaro … andare in Coro cum bireto Almutia sive Zanfarda et cotta … si dovevano puntare e segnare le loro assenze, erano obbligati a risiedere in zona, dovevano vestire da Ecclesiastici anche quando uscivano dalla chiesa di San Piero usando un apposito anello di riconoscimento, portare obbligatoriamente la tonsura, non frequentare taverne sotto pena il carcere, non organizzare rappresentazioni in chiesa, non tenere concubine in casa pena la perdita definitiva del Beneficio economico.”
Una trentina d’anni dopo, siccome non tutto nelle isole di Venezia andava per il verso giusto, Papa Nicolò V mise a posto molte cose nominando il Nobile Lorenzo Giustiniani come primo Patriarca di Veneziaunificando in lui le cariche di Vescovo di Olivolo, Malamocco, Caorle, Jesolo o Equilio, Eraclea e di Patriarca di Grado e Aquileia a cui si aggiunsero in seguito anche la titolarità sulla Diocesi di Murano e Torcello, il Primariato della Dalmazia, e l’autorità sul Campardo Trevigiano.
Quel Lorenzo Giustiniani, poi diventato Santo, s’era dato molto da fare in Laguna, e s’era inventato un’esperienza particolarissima e intensissima insieme ad altri giovani Nobili di Venezia fra cui un certo GabrieleCondulmerche finì per diventare in seguito addirittura Papa (Eugenio IV). Si è trattato dell’esperienza eremitica e mistica degli entusiasti Canonici Regolari dell’isola di San Giorgio in Alga vestiti d’azzurro … Ma questa è un’altra storia di cui racconterò forse un’altra volta.
Comunque fu proprio in quegli anni, fra 1464 e 1474, che si fece cotruire in pietra d’Istria da Mauro Codussi quello che divenne “Il campanile del contrabbando”… e già che c’erano riattarono anche la Cattedrale: via il Battistero a cupola e colonne davanti alla Chiesa e aggiungi, invece, un paio di Cappelle al suo interno … e perchè no ? Si aumentò anche il salario dell’organista della Cattedrale … dandogli di più farina come compenso !
A San Piero di Castello s’istituì una Scuola Sestierale dentro ai luoghi del Patriarcato, che purtroppo era riservata solo ai Chierici, e il Patriarca fu determinato nel chiedere a tutti i Canonici e ai Preti della zona di mantenerla a proprie spese pagando il Maestro Don Bartolomeo Boni “pro docendo Clericos ipsius Sexterii” ai quali s’insegnava: “… a lezar et a scrivar, … la Tavola, el Salterio, el Donado, Fior de Virtù, le Trasformation de Ovidio, le Metamorfosi, l’Ariosto et Evangelii vulgari con le Regule della Dottrina Cristiana”.
Voltando ancora la pagina del Tempo, nei primi decenni del 1500 venne improvvisamente a mancare la quiete di quella zona Veneziana e accadde un gran subbuglio perchè accadde proprio là che Ballabio Domenico morì di peste di ritorno da un viaggio in Oriente con la nave “Salvagna” carica di cotone. Venezia comunque era abituata ad affrontare le pestilenze, e anche quella volta tutto riprese a scorrere e succedere come il solito … con qualche migliaio di tombe in più.
Nel secolo seguente in Contrada di San Piero c’erano 150 Botteghe e tre Speziarie da Medicine, e vivevano circa 9.000 Veneziani per la maggior parte poveri, soprattutto: Calafati, Marangoni, Marineri, Sabionanti, Squeraroli, Remeri, Pescadori, Merlettaie e Impiraperle, e Galeottiliberi o forzati che andavano a morire nell’Hospedal delli Sforzadi… ma in Ruga di San Piero abitavano anche i Nobili anche se non appartenevano ai rami delle Casade più ricche e illustri di Venezia. C’erano: Priuli, Balbi e Dolfin in Rio della Tana, i Donà abitavano un poco più dietro, i Giustiniani in Riello, i Querini e Marcello in Calle del Caparozolo, i Boldu’in Calle di San Gerolamo, Erizzo presso la chiesa di San Domenico, i Badoer, invece, di fronte e al di là del ponte: nei pressi di San Francesco dei Paolotti mentre i Contarinistavano in Corte del Soldà.
In quegli stessi anni il Consiglio dei Dieci della Serenissima ordinò la condanna capitale per impiccagione di Adamo e Alvise Dragona entrambi da Castel Guglielmo e di Mario Camin da Este perchè avevano ferito in Campo di San Piero un Nobile Bernardi... e lo stesso Consiglio Serenissimo intimò di nuovo ai soliti Canonici di San Piero di smetterla di lamentarsi e di pretendere anche la precedenza nelle Processioni tra le Congregazioni del Clero Veneziane creando scontento e agitazioni di continuo.
Non se la passavano poi così male i Canonici di San Piero da quanto comunicò l’Arcidiacono Benedetto Cappis in una sua relazione scritta al Patriarca Morosini:
“… le Rendite del Capitolo dei Canonici prevedono per ciascuno: la casa di residenza, 170 ducati, gli introiti della vendita del formento dei 200 campi posseduti e affittati a Dosson di Terraglio dai quali ricevono anche: 70 scudi di vino e regalie di pollastri, caponi, ovi e galline … Molto meno ricavano dal Bosco di Giovera del Montello dove si hanno 18-20 campi che producono solo l’affitto e poco vino perchè la casa colonica è rovinosa e necessita d’essere riparata … Oltre le rendite di Marcujaco e Miran, da Biancade di Treviso ricavano 18 stara di affitto e 200 lire per il vino, mentre dalla Zecca di Venezia ottengono 110-115 ducati usati in parte per le distribuzioni quotidiane, ed altri per pagare a chi le celebra le 39 Mansionarie di Messe ed Esequie … Oltre a tutto questo, i Canonici percepiscono le Decime Mortuarie, le Offerte degli Altari e degli Oratori della Parrocchia, le Offerte dei fedeli e degli ex voto provenienti dall’Altare di San Piero di cui si fa a metà annualmente col Patriarca. Inoltre per Diritto Canonico ricevono pranzi dal Patriarca in alcuni giorni segnati, e dai Parroci neoletti in Venezia che sono tenuti a mettere a disposizione due barche per andarli a prendere e riportare di nuovo fino a San Piero.”
Insomma il Capitolo dei Canonici “poveretto” non guadagnava poche briciole.
Ma adesso basta con i Canonici di San Piero, e parliamo, invece, delle Vergini del Doge.
Le Vergini erano Monache che abitavano nella stessa Contrada di San Piero, poco distante, anzi, proprio di fronte al Campanìl del Contrabbando della Contrada del Vescovo, un solo ponte più in là rispetto alla chiesa. Per secoli il loro Monastero-Convento ospitò le intricate e intriganti vicende delle “Vergini di Santa Maria Nascente di Castello o Santa Maria in Gerusalemme dette le Monache Canonichesse di Sant’Agostino o le Vergini del Doge”.
E’ un altro di quei luoghi Veneziani scomparsi densi di Storia e non solo, di cui oggi rimane solo il sentore, un segnale sospeso in aria, oltre che qualche scarno reperto e il “Nobile Giardino delle Vergini”utilizzato saltuariamente dalla Biennale d’Arte di Venezia per qualche esposizione temporanea.
Ma perché: “Vergini del Doge” ?
Non me la sono inventata io quest’etichetta, ma proviene dai dati storici che raccontano le vicende e la Storia di quel particolare Monastero oggi scomparso.
Il Monastero delle Vergini era a Venezia uno di quei Monasteri in cui Doge, Senatori e ricchissimi Nobili Patrizi e Mercanti erano abituati a rinchiudere doratamente le loro figlie che non riuscivano o volevano piazzare in pomposi e splendidi matrimoni di convenienza. I matrimoni si sa, sono ed erano più di oggi un costo … a certi livelli sociali poi ? I ricchi Veneziani era notoriamente furbi e taccagni, perciò prima d’impegnare un ingente capitale nella dote delle figlie ci pensavano non una, ma mille volte. Era intanto più conveniente richiuderle dentro a qualche Monastero, magari in attesa dell’occasione giusta, e spendendo per monacarle “una dota”di certo più contenuta e modesta rispetto a un pomposo “maridarse de Casada”.
Non che la dote per finanziare una monaca fossero quattro soldi in tutto ! Per diventare Monaca alle Vergini, come al San Zaccaria o al San Lorenzo di Castelloaltre piazzaforti dove piazzare figlie Nobili, servivavano parecchi ducatelli: anche 5.000-6.000 di media … a secondo della stagione storico-economica che stava vivendo il Monastero interessato.
Per capire meglio, nel Monastero Claustrale delle Vergini vennero rinchiuse a più riprese le figlie di diverse Famiglie Nobili prestigiose di Venezia: Condulmer, Giustinian, Navagero, Badoer, Morosini, Contarini, Malipiero, Zane, Bondumier, Zorzi, Querini e molti altri ... “la crème de la noblesse de Venise”.
Rinchiuse ? … Sì, ma per modo di dire, perché quel che non entrava ufficialmente nei Monasteri di Clausura per la porta, entrava alla grande e molto di più dalle finestre che erano non solo spalancate, ma praticamente inesistenti.
La vita di quel Monastero ufficialmente di Regola Benedettina Agostinianaera, infatti, tutt’altro che religiosa e dedita soprattutto alle incombenze e scadenze spirituali e liturgiche. C’era sì qualcosa, in quanto si ufficiava la chiesa, si celebravano i riti e le funzioni e tutto il solito menage conventuale … ma anche no, perché lì dentro per secoli accadde un po’ di tutto.
Lo intuite anche voi il perché. Il fatto che si rinchiudessero lì dentro le figlie dimenticando a bella posta la porta aperta, non è che le privasse per davvero del loro “status”felice e potente di Nobildonne, anzi. Molto spesso si finiva per trasporre e prolungare dentro alle mura del Monastero quelle che erano le condizioni agiate e le abitudini economiche, culturali, gastronomiche, ludiche … nonché le tendenze amorose della famiglia che continuava a vivere nei sontuosi Palazzi di Venezia.
Lo sapete meglio di me, quelle Monache era costrette a quel genere di vita per il quale non dimostravano alcuna vocazione salvo qualche raro caso significativo. Perciò nella maggior parte dei casi quelle “Nobili Figlie” facevano buon viso a cattiva sorte … ma molto spesso anche no.
Le tradizioni e le vicende di quel singolare Monastero delle Vergini, infatti, confermano proprio quell’intenso legame esistente, quel cordone ombelicale permanente con le famiglie Nobili d’appartenenza e non solo, perché il Monastero delle Vergini esprimeva anche una fortissima “figliolanza maritale” col Doge in persona.
Quando annualmente, il primo di maggio, il Doge di Venezia con la Signoria al gran completo andavano a trovare ufficialmente le Monache Agostiniane “per fruire dell’Indulgenza della Porziuncola” concessa alle Monache da Bonifacio IX, il Doge baciava la Badessa del Monastero sulla bocca, nel senso vero e proprio della parola.
Come mai ?
Semplice, perché la Badessa delle Vergini veniva considerata a Venezia come una specie di “moglie supplementare e adottiva del Doge”, tale era il legame intenso che legava il Monastero alla Signoria Serenissima. Si voleva così e in quel modo dichiarare e mostrare quel senso d’affettività particolare, e riconoscere e motivare quella protezione strettissima del Dogado e dello Stato su quell’Ente Religioso di Monache davvero particolari e considerate preziose.
Nella stessa occasione la Badessa recitava un forbito discorso sfoggio di cultura innanzi al Principe, e gli regalava un mazzetto di fiori con manico d'oro e guarnito di merletti di Burano.
“Dai non farla grande … Non era mica un bacio passionale ! … era solo un bacetto simbolico.”
“Infatti, quando giunse Napoleone a Venezia, ovviamente fece: “Raaasp !” e livellò e spazzò via tutto e tutti.”
Visti i presupposti, come potete immaginare le Monache delle Vergine furono storicamente alquanto “birichine”.
Nel Monastero delle Vergini, ad esempio, venne rinchiusa “provveduta d'annua pensione” la moglie del Carmagnola dopo la decollazione subita dal marito, che però vista la situazione pensò bene di lasciarsi sedurre e indurre a fuga da “alcune donne di Lombardia”.
Non si sa bene se a fondare il Monastero delle Vergini sia stato nel 1124 il Cardinale Ugolino Vescovo di Ostia(poi Papa Gregorio IX) inviato da Onorio III a venezia per trattare con Federico Barbarossa. Sembra che in quell’occasione l’Alto Prelato abbia persuaso il Doge Pietro Ziani ad erigere una chiesa intitolata a Santa Maria Nuova in Gerusalemmeomonimi di quella occupata dai Saraceni in Terrasanta. Un’altra tradizione, invece, racconta che la fondazione delle “Vergini” sia da attribuire al Doge Sebastiano Ziani ispirato dal Papa Alessandro III venuto a Venezia per far pace con lo stesso Barbarossa.
Cambia poco … La chiesa venne edificata sopra a un basso isolotto paludoso a nord della chiesa di San Daniele dove c’era ovviamente già una primitiva chiesetta, e poi accadde la solita trafila storica che ben conosciamo circa le entità ecclesiastiche di Venezia. Prima Pietro Pino Vescovo di Castello per interessamento dello stesso Cardinale Ugolino diventato Papa Gregorio IX regalò una vasta palude per ampliare il Monastero per la quale le Monache litigarono a lungo con gli Ufficiali del Piovego della Serenissima… Poi le Monache come i Mercanti ottennero conferme e privilegi particolari dai Carraresia tutela del proprio diritto di esportare e importare in Venezia … Ancora, per testamento Maria vedova Giacomo Gradenigo dispose cospicui legati e denari soprattutto a favore delle “Vergini” dove volle essere sepolta ... Infine, durante il 1300 anche le Monache delle Vergini avevano proprietà di circa 100 campi anche a Selvanae lungo i corsi dei fiumi Sile, Zero e Desea sud di Treviso per i quali esigevano un censo in frumento annuo impegnando un esercito di Fattori, Gastaldi e personale addetto alla conversione e gestione del patrimonio delle Monache Verginidi Venezia.
Insomma, via via si mise insieme il solito mega-patrimonio che caratterizzava gran parte dei Monasteri Veneziani.
“E le Monache come si comportavano ?”
“Bene come sempre … o quasi.”
Già nel 1295 il Piovano di San Bartolomeo Leonardo Falierovenne incaricato da Papa Bonifacio VIII d’intimare al Priore e ai Religiosi della Congregazione di San Marco di Mantova di allontanarsi e non più ritornare al Monastero delle Vergini in cui abitavano insieme alle Monache procurando intemperanze, scandali, discordie e liti. Alle Monache venne assegnato d’ufficio un “Confessore Prete” e si stabilì che non potessero gestire direttamente le loro rendite, nè eleggere la loro Badessa se non con la conferma Apostolica del Papa di Roma. I Canonici di San Marco di Mantova se ne andarono, ma non mancarono di sottoporre periodicamente il Monastero delle Vergini ad accurate visite pastorali e non solo ... Tanto che: nel marzo di tre anni dopo, lo stesso Papa Bonifacio VIIIdovette intervenire di nuovo tramite il Primicerio di San Marco per allontanare ancora il Priore e Frati di Mantova che erano andati ad abitare in una casa contigua al monastero e “… qui inhonestae conversationis erantcum Monachae Virginorum.”
“Ma dai ! … Non evidenziamo sempre le pecche delle Monache.”
Giusto … nel 1363 infatti, il Procuratore e padre di Madonna Cecilia Zustinian Maestra del Coro delle Monache le lasciò 200 ducati così che lei potesse pagare di tasca propria il “Messal per el canto”, mentre Agnes Justinian Priora delle Vergini completò “le historie della Madonna che ornano il Capitolo pagando del proprio” ... e quando due anni dopo il Monastero venne distrutto del tutto da un incendio, da allora i Papi fecero a gara per accordare molte indulgenze alle “Vergini” per favorirne la riedificazione … Papa Urbano V concesse: “Cento giorni d’indulgenza dalla permanenza in Purgatorio” per chi avesse soccorso le Nobili Vergini Veneziane, e regalò alle angustiate Monache il Priorato Benedettino di Santa Maria o Santa Maddalena o Santa Margherita di Polverara o Polverosa nel Padovano con tutte le sue (scarse) rendite e pertinenze … mentre il Doge Michele Steno concesse il permesso alle Monache di vendere una parte dei loro beni immobili per ultimare i lavori di restauro.
In ogni caso il Monastero delle Vergini di Venezia rimase all’ottavo posto fra gli Enti Monastici Veneziani più ricchi e illustri.
“E le Nobili Monache abituate ad ogni agio ?”
“Le cronache Veneziane raccontano che arrivarono perfino a privarsi del vino quotidiano per contribuire alla ricostruzione del loro nuovo Monastero.”
“Grandissime !”
Al di là di questo, fra 1381 e 1486 il Monastero subì ben 15 processi per gli abusi sessuali delle Monache con la nascita di cinque bambini nel Monastero ... Si condannò il Nobile Gerolamo Da Molina un mese di“Carcere Inferiore” per inonestà e lascivie commesse nel Monastero delle Vergini ... Si condannaro per lo stesso motivo e alla stessa pena i Nobili Benedetto Barbarigo, Matteo Contarini e Girolamo Nani e si assolsero invece Lorenzo Foscari figlio del Doge e Francesco Lombardo altro Nobile. Erano entrati con violenza nel Chiostro delle Vergini aggredendo e sputando in faccia ai custodi che volevano impedirglielo … Negli stessi anni la Badessa delle Vergini pose il veto all’entrata in Monastero di alcuni Chierici inviati dal Patriarca Lorenzo Giustiniani pretendendo di scegliersi i Preti che consideravano più adatti a loro. Il Patriarca non la prese bene, e ordinò che le Monache rimanessero senza Sacramenti per tutta la Quaresima.
La Badessa non si scompose affatto, e si rivolse direttamente al Papa di Roma che di rimando ricordò al Patriarca Giustiniani la diretta dipendenza delle Monache dalla Sede Apostolica di Roma. Perciò gli vietò d’interferire sul governo delle Vergini ... il Senato a sua volta condanno’ a due anni di carcere e pena pecuniaria Francesco Campanato per essere entrato in Monastero ed aver “conosciuto carnaliter”la Monaca Franceschina Giustinian ... Si giudicarono “i monachini”Giovanni Frescobaldi e Francesco Spizzica fiorentini, e i Nobili Veneziani Giorgio Contarini e Giovan Francesco Giustiniani accusati di entrare di notte nel Monastero delle Vergini usando sacrilegio con le Monache e provocando una rissa col vicinato sempre riguardo le stesse Monache.
Nel 1455 la Badessa Pantasilea Contarini, e le Monache Cristina e Bianca Zorzi, Lucrezia Zustinian ed Elena Zane, Orsa Bondumier e Bianca Querini donarono fornimenti di gran prezzo con oro, gioie e perle ad ornamento “della loro Chiesa delle Verzeni” ... per l’investitura a nuova Badessa delle Vergini di Margarita Badoer furono invitati 500 ospiti al banchetto, e le Monache delle Vergini uscivano dal Monastero in abiti secolari per andare a visitare parenti e conoscenti o per far “listòn in Piazza San Marco”.
Nell’aprile 1518 s’inasprì la lotta contro i Monasteri troppo libertini, e il Patriarca Contarini e il Vescovo di Torcello chiesero al Senato della Serenissima provvedimenti contro “i Muneghini”. Il Senato si attivò in merito il 21 dello stesso mese, e nel frattempo giunse da Roma il Nunzio Apostolico Altobello Averoldo che ottenuta la lista dei Monasteri più turbolenti inziò nel maggio seguente proprio dal Monastero delle Vergini intimando alle Monache di ritornare all’ordine.
Fu un grande e inutile buco nell’acqua.
Siccome i tentativi di riordino non ebbero alcun esito, il Patriarca deliberò di dividere il Monastero in due parti: una in cui ospitare alcune “Monache Osservanti” provenienti e immesse dal vicino Convento di Santa Giustina, mente l’altra parte doveva ospitare le “Monache Conventuali ribelli delle Vergini”.
La cosa non piacque affatto alle Conventuali delle Vergini, che risposero subito: “… qua comenza una opera dolorosa chiamata luctus di tutte le Monache dei Conventi di venezia, per le novità volute da Patriarca Contarini … e da quel figlio d’un giudeo, asino, e artefice diabolicodel Vicario Generale Ottaviano Brittonio attuatore di riforme.”
In giugno iniziarono i lavori di separazione del Monastero distinguendo perfino le entrate delle “Monache Osservanti” a cui andò in mano l’economia di tutto il Monastero, da quelle delle “Monache Conventuali” a cui si lasciò poco o niente per vivere per indurle all’Osservanza.
Le “Conventuali delle Vergini” però non si persero d’animo, ci voleva ben altro per fermarle. Infatti gridando e strepitando demolirono il muro di separazione ancora fresco, rubarono il grano delle “Osservanti”, e s’appellarono di nuovo direttamente al Papa che finì col citare in giudizio non le Monache ma il Patriarca stesso che venne invitato a presentarsi davanti al Tribunale della Sacra Rota di Roma. Le “Conventuali”quella volta suonarono le campane tutta la notte in segno di vittoria, ma il giorno dopo il Patriarca andò dritto davanti al Doge e al Collegio per segnalare quell’atteggiamento conciliante del Papa che sapeva di derisione.
Alla fine il Papa dovette adeguarsi alle intenzioni riformatrici soprattutto del Doge che del Patriarca Contarini che non perse un attimo per ordinare ai Confessori delle Vergini di non abitare più nel Monastero insieme alle Monache, e che: “… le Conventuali non dovranno possedere più nulla di proprio, dovranno mangiare e dormire e vivere in comune con tutte le altre Monache …”
Le “Conventuali” per tutta risposta fuggirono inviando tutti i loro beni fuori dal Monastero presso parenti e amici, e inviarono le Badesse delle Vergini, San Zaccaria, Santa Maria della Celestia e Santa Marta insieme a molti parenti in delegazione a supplicare il Doge di difenderle dal Patriarca trovando anche il consenso e appoggio di alcuni Savi del Collegio che avevano figlie e sorelle nei Monasteri. Il pericolo e il danno della Riforma non incombeva solo sulle “Vergini” ma su tutti i Monasteri delle “Figlie Nobili di Venezia”.
Le Monache si gettarono platealmente ai piedi del Doge, e la Badessa delle Vergini pronunciò un discorso-orazione in latino a difesa della loro situazione monastica ed economica. “… Al San Zaccaria dove le Monache erano tutte Nobili, ora sono poste Monache di un altro Ordine ed altra Regola ed abito, et bastarde Greche e popolari … qual anni 760 è sta cussì, le Monache hanno speso ducati 46.000 nel far la Chiesa e Monasterio e nel Refettorio bellissimo e li è stato tolto …”
Doge e Nobili cercarono di trovare un’intesa e di mettere il tutto a tacere, ma il Patriarca Contarini fortemente indignato rispose con la scomunica delle Monache Conventuali e contro tutti coloro che le avessero aiutate nei loro intenti ribelli. Il Consiglio dei Dieci disapprovò l’operato del Patriarca ma si ridusse ad appendere sui muri di Piazza San Marco e in altri luoghi della città i manifesti della scomunica che vennero presto strappati via da ignoti in segno di protesta.
Infine si arrivò a compromesso, e un’apposita comissione di tre delegati trattò col Patriarca arrivando: “… a equa spartizione dei beni fra le ricche, Nobili e illustri Monache Conventuali e le povere quanto insignificanti Monache Osservanti” ... mentre il nuovo Papa Adriano VI, venuto a sapere tutto, si schierò apertamente a favore delle Conventuali inviando a Venezia Tommaso Campeggio Vescovo di Feltre come Legato Apostolico per accusare il Patriarca di voler spogliare le Monache delle Vergini dei loro beni legittimi.
Nell’agosto 1525 poco o niente era cambiato nel Monastero delle Vergini nonostante i tentativi delle azioni della Riforma. Il nuovo Patriarca Gerolamo Querini intervenne in quanto le Conventualivestivano ancora: “mondanamente, tutte scollacciate, immerlettate, ingioiellate ed eleganti come Nobildonne qualsiasi, e prive di vero e proprio abito monastico”. Persa ogni remora e controllo, il Patriarca entrò di mattina presto nel Monastero delle Vergini, prese la Monaca Tagliapietra per i capelli, e le tagliò di persona le treccie mettendogliele in mano. Ordinò poi di mettere in prigione altre due Monache, e allora tutte le altre impaurite gli gridarono: “di aver clemenza e perdonarle, e tutto si risolse quella volta in una severa ammonizione paterna.”
Stavolta gli effetti dell’azione del Patriarca si videro, e negli anni seguenti le Conventuali rimasero solo in quattro, tre delle quali alla fine decisero di abbracciare anch’esse le Regole dell’Osservanza.
Ancora nel maggio del 1559 il Consiglio dei Dieci dovette occuparsi dei fratelli Scipione e Aurelio Porcellaga diBrescia abituati a frequentare il Monastero delle Vergini. I Dieci stavolta intervennero tempestivamente e se la sbrigarono presto: alcune Monache compresa la Badessa vennero allontanate, trasferite in altri Monasteri e consegnate al Nunzio Pontificio per farle processare, mente i due arrestati vennero rilasciati e banditi fuori della Serenissima Repubblica.
Nel gennaio 1572 dopo la sua visita pastorale e ispettiva ai Monasteri di Venezia il Patriarca Giovanni Trevisan fu categorico: “… del mandato del Patriarca di Venezia sia commesso a tutte le Madre Abbadesse, Prioresse et Monache di cadaun Monasterio … che in virtu’ de Sancta Obbedienza et sotto pena de escomunicatione debbino obbedir al mandato del Patriarca del 11 gen 1565 altre volte intimidatori, di non ammetter né permetter che nelli parlatori si habbi a disnar, né mangiar per alcuna persona sii di che condizion e grado si voglia, né padre, né madre, né fratelli, né sorelle, né admetter maschere, buffoni, cantori, sonadori et de simili sorte persone sotto niuno pretesto, né modo, che immaginar si possa, né permetter che in essi parlatori si balli, né si canti né si soni per alcuna persona sii che si voglia …”
Nel luglio 1596 alla successive visita del Patriarca Priuli al Monastero delle Vergini si relazionò:“il Monastero delle Verzeni ha debiti per 3.000 ducati pur avendo grosse entrate … Che Mastro Paulo organista prattica troppo spesso e con troppa familiarità nei parlatori e che sempre che viene a Castello va alle Vergini si fa dar da mangiare et anco porta via de la robba doppo che ha mangiato …”
Nella stessa occasione le Monache da Coro delle Verginiriferirono al Patriarca:“… l’Abbadessa non si sa far ubbidir a dette Converse, le quali quando sono state cinque o sei anni nei Monasteri pretendono tanto quanto quelle da Officio rovesciando le gerarchie del Monasterio.”
Si considerava una delle cause del lassismo comunitario il fatto che le Monache mangiassero nelle proprie celle e non nel Refettorio comune:“… che l’estate la sera non si va a Compieta perché le Monache cenano a cinque e sei in cella e lo fanno spesso … che si consumano 600 e più stara di frumento all’anno essendo solamente 68 Monache … che si consuma gran farina in far bozzolai, fugazze et altre robbe quando si fa pane … che vi sono debiti di 3.000 ducati, e pure le entrade sono grosse …”
Il Patriarca spazientito ordinò che si facesse il pane fuori dal Monastero con un risparmio di 200 stara di frumento e che si pagassero gli operai solo in denaro e non con donazioni … mentre il Doge intimò alla Badessa e alla Monaca Portonera del Monastero “… di non permettere ad alcuno di cantare o far cantare musiche sacre o profane nel parlatorio o nella chiesa, ed erano in obbligo di deferire allo stesso Doge i nomi dei cantanti e denunciare chi avesse eseguito musiche per acqua nei contorni del Monasterio delle Verzene …”
Nel 1647 su commissione della Badessa Grazia Contarini, l’architetto Baldassare Longhena (lo stesso che costruì la Madonna della Salute) e Andrea Caminelli eressero l'Altar Maggiore delle Vergini sormontato da uno splendido tabernacolo adornato con marmi di Carrara, pietre finissime e grandi statue, mentre Joust Le Court(l’autore delle statue con la Serenissima e la Peste poste sopra l’Altare della chiesa della Madonna della Salute) s’impegnò a costruire altre due figure, dei puttini con un festone nel parapetto, due “Vittorie” e due “Angioli negli angoli” che dovevano sostenere il baldacchino ... Prè Giovanni Battista Rovetta Maestro della Cappella Marciana chiese licenza al Doge per poter insegnare musica per quattro mesi alla NobilDonna Elena Pisani Monaca alle Vergini.L’ottenne e poi gli fu anche rinnovata ...il Nobile Benetto di Valerio Soranzo della Contrada di San Antoninfece educare le sue figlie da zie e prozie che erano Monache nel “Nobilissimo Monastero di Santa Maria delle Vergini”… Nello stesso tempo, i beni che possedevano le Monache delle Vergini a Zimella furono dati in affitto a Giovanni e Marco Sacchiero, mentreil bosco a Santa Caterina di Musestre in cui era proibito tagliare i Roveri apparteneva al Monastero delle Vergini di Venezia, e il guardiano era autorizzato e pagato dalle Monache per usare a tal proposito anche lo schioppo ...Baldassare Galuppi e Giovan Battista Graziolimusicarono più volte la cerimonia di vestizione di una “Nuova Professa” del Monastero delle Vergini come si faveva già in molte altre occasioni.
A metà del 1700 secondo “i Notatori” del Gradenigo: “… grata di molto costo fu introdotta nella chiesa delle Monache Vergini penetrate da certa animosa e divota rivalità a confronto di altre grate modernamente apprestate in questi ultimi tempi dalle Monache di Sant’Anna e San Daniele nel Sestiere di Castello, con elaborate manifatture di ferro et altre eleganze indorate da primari artefici della dominante nostra. L’anno seguente poi con marmi rossi e verdi hanno reso il tutto più speciosi nei laterali ... Un famoso e sontuoso mosaico con immagine di San Giorgio possiedono le Nobilissime Monache dette le Vergini di questa Dominante. In essa la Nazione Greca si esibì d’acquistarlo con esborso di 200 scudi, ma gli fu negate …”
poi prosegue ancora:
“… festa di ballo alquanto numerosa che duro fino alle nove ore della scorsa notte nel parlatorio delle Vergini a divertimento di quelle Monache, stante che danzarono più Gentildonne, più Cittadine, più Nobili ed alquanti della Signoria a suono d’ogni sorte di competenti strumenti e illuminazione, non senza distribuzione generosa di cose dolci …”
Ancora nel 1806 le 23 Monache Agostiniane delle Verginiavrebbero voluto “… rimanere al loro posto sino al termine dei loro logori giorni”, ma dopo aver ospitato le Monache dello Spirito Santo andarono ridistribuite e ricollocate in parte nel Monastero cadente di San Girolamo e in parte in quello stretto e angusto di Santa Giustina.
Il loro tempo era scaduto, e invano si offrirono d’ospitare altre comunità di Monache ... Ora era giunto il tempo di far spazio alle truppe della Marina Napoleonica che ne presero del tutto possesso.
In breve tempo l’ex Monastero delle Vergini divenne Bagno Penale Marittimo dei Forzati, il ricco Oratorio della Visitazione(di cui non vi ho detto, ma ci sarebbe da dire) divenne Corpo di Guardia, l’artistico Barco pensile intagliato del Coro delle Monache delle Vergini che girava tutto attorno alla Chiesa raggiungendo l’Altar Maggiore divenne prima Infermeria dei Forzati, e poi venne demolito perchè considerato troppo scomodo e ingombrante.
Infine fra 1844 e 1869 vennero rasi al suolo tutti gli edifici rimasti per scavare un nuovo Bacino di Carenaggio annesso all’Arsenale, mentre “Giardino e luoghi delle Vergini” vennero utilizzati come area di deposito di carbone e cisterne di combustibile per le navi.
Oggi delle Vergini rimane solo una parte di portale quasi invisibile infisso sui muri esterni dell’Arsenale a metà del Rio de le Verzene. Forse quel pezzo artistico stava un tempo all’entrata dei Chiostri del Monastero, e finchè non verra cancellato del tutto dale intemperie, si può ancora notare raffigurato un “Dio Padre benedicente” e una “Madonna fra San Marco e Sant'Agostino” con sotto un’iscrizione che dice:
“MDLVIII ADI II MA[r]ZO - SPES ET AMOR GRATO - CARCERE NOS RETINET - S. M. DELE VERZENE.”
Ho finito, e quasi concluso.
Ancora oggi esistono zone di Venezia non calpestate dall’orda dei turisti perché troppo distanti dalle fermate dei vaporetti, o perché troppo lontane per essere raggiunte camminando. Vengono considerate a torto posti poco significanti, con poco da mostrare, aree d’estrema periferia, “un po’ così”, dove è anche meglio non recarsi a certe ore.
Sono Contrade estreme di Venezia dove è facile trovare una lavatrice posta a scaricare in un Campiello fuori dalla porta della casa troppo piccola … Lì si potranno vedere case con finestre rotte e rattoppate da cartone e compensato, muri scrostati e senza dipintura e intonaci. Altre volte si vedranno pareti, callette strette e volte basse mangiate giorno dopo giorno dalla salsedine, ridotte a mucchietti polverosi sgretolati per terra e slavati via dalla pioggia.
Sono posti in cui l’acqua alta della marea torna e ritorna ogni giorno da sempre: la vedi salire, ristagnare come sospesa e poi scendere lentamente scivolando via in fondo al portichetto che poi si fa riva e infine basso canale.
Sono zone talmente periferiche dove certe parti non sono state mai neanche pavimentate … Ci sono mattoni infilati in terra tenuti insieme dalla stessa terra battuta, e le fognature ogni tanto o spesso invadono gli spazi andando a grondare nel vicino canale, un po’ come le grondaie contorte e divelte dai tetti che vanno a scaricare dentro a un bidone lasciato lì quasi da sempre. I tubi del gas s’arrampicano sui muri come quelli dell’acqua capaci di diventare improvvisamente canna di gomma buona per innaffiare tutte le piante e il verzume posto negli angoli comuni della piccola Corte.
Sopra ai tetti bassi c’è un’unica antenna della televisione flagellata e incurvata dal vento a cui sono allacciati un po’ tutti, e come segno della modernità c’è anche saltuariamente una parabolica appoggiata per terra accanto allo stendino della biancheria multicolorata di qualche studente alloggiato in un pianterreno scuro e umido.
“Esistono ancora angoli del genere a Venezia ?”
“Certo ! Esistono eccome … Provate ad avventuravi fino a lì in fondo e andare a vedere ... Piazza San Marco, Palazzo Ducale e Rialto sono solo eco lontane … Lì è tutta un’altra cosa.”
La gente che potrete incontrare assomiglierà un po’ ai posti ... Ci sarà la vecchierella senza tempo, zitella o vedova “ab multos annos”, che pioggia o sole, neve o acqua alta, uscirà fuori dalla sua casupola in ciabatte e consunta vestaglia da camera per ramazzare, capelli radi “sparati in aria o inbigodinati”, i pochi metri quadri “di sua pertinenza”davanti alla porta di casa. Non mancherà di parlare con i Geranei e con i vari vasi di Piante e Fiori che collocherà ogni mattina all’aria e in mostra ... le sembrano quasi sue creature, come sarà normale vederla familiarizzare con i gatti: veri padroni di quelle Contrade solitarie.
Sempre la stessa nonnetta socchiuderà “a libro” gli scuri sgangherati delle sue finestre nelle ore più torride del giorno per proteggersi gli occhi acquosi e stanchi … e accenderà la luce in casa solo all’ultimo istante, quando le luci della sera saranno talmente flebili da obbligarla a procedere a tentoni nei suoi spazi ridottissimi.
E’ una Venezia che c’è e non c’è, o che forse non c’è quasi più. Frammenti di una Venezia che finirà col scomparire insieme a quell sempre più rare vecchiette … Le Cronache di ieri descrivevano la Contrada di San Piero: “Zona de miseria, masene e scoazzere, un grumo de case grezze, basse e scure … Posti da prostitute, pescatori e nullatenenti che s’industriano ogni giorno tentando in qualche maniera di sopravvivere …” ma era pur sempre anche il posto dei Canonici di San Piero, del Campanil del Contrabbando e delle interessantissime Monache delle Vergini.