“Una curiosità veneziana per volta.” – n°110
UN ALCHIMISTA STRAMPALATO A VENEZIA NEL 1590.
Il nome del personaggio probabilmente vi dirà ben poco come è successo anche a me, ma è stato protagonista di vicende curiose nella Venezia Serenissima di fine 1500. Si chiamava precisamente: Mamugna ossia Marco Bragadin.
A Venezia per coincidenza storica, come altrove, in quel tempo c’era una grande fame di cercare e scoprire ogni tipo di “Verità”, perciò il Mamugna ebbe buon gioco e riuscì con estrema facilità a infilarsi fra le file della Nobiltà Veneziana che contava realizzando i suoi disegni.
Marco Bragadin era nato probabilmente a Cipro circa nel 1545 da Antonio Mamugna o Mamugnà, ma nel 1570 fuggì con la famiglia come molti altri Cristiani dall’isola conquistata dagli Ottomani rifugiandosi a Venezia. Qui in Laguna ebbe la bella pensata di fingersi e impersonare il fatto d’essere figlio illegittimo del famoso Nobile e Funzionario militare Marco Antonio Bragadin ucciso dai Turchi durante l'assedio di Famagosta.
A Venezia dove raccontò d’aver incontrato Hieronymus Scoto (famoso prestigiatore e chiromante di quegli anni), e di aver appreso da lui i segreti dell’Alchimia e i trucchi per produrre l'oro, si definiva: Veneziano e Alchimista.
Nel 1574 secondo le Cronache scappò “dall’inclita città di Vinegia” con del denaro preso a prestito che non restituì mai, e riapparve a Firenze abusando dell’ospitalità dei Malespini, dove divenne amico di Bianca Capello futura moglie del Granduca Francesco. Si dice che in quegli anni il Mamugna arrivò a spendere a Firenze l'elevata cifra di 40.000 Scudi.
A Bianca Cappello promise di guarirla dalla sterilità tramite la “Pietra Filosofale” che si riteneva capace di risanare ogni tipo di corruzione della Materia.
Secondo la tradizione Alchemica, infatti, la Pietra Filosofale Rossa possedeva il potere di trasformare i vili metalli in Oro solo toccandoli, mentre la Pietra Filosofale Bianca riusciva a trasformare i vili metalli in autentico Argento. Alcuni spiegavano che il nuovo elemento prodotto non doveva per forza essere solido, ma poteva anche essere polvere rossa molto densa o materiale giallastro simile all'Ambra. Oltre a questo, si era anche certi che la Pietra Filosofale possedeva diverse proprietà straordinarie: era “Elisir di Lunga Vita” che donava immortalità; era efficace rimedio universale per qualsiasi malattia; rendeva “Onniscienti”ossia capaci di conoscere con precisione il passato, il futuro, e perfino di discernere il Bene e il Male.
Bianca Capello lo raccomandò al Cardinal Giulio Antonio Santori, che a sua volta parlò di lui al Papa Gregorio XIII che lo volle conoscere. Lo pseudo Bragadin-Mamugna quindi non perse l’occasione e si trasferì subito a Roma soprattutto per evitare i creditori Fiorentini.
A Roma Mamugna divenne per opportunità Frate Cappuccino ricevendo gli Ordini Minori e anche uno degli Ordini Superiori ossia il Suddiaconato, e visse nella Città Eterna per diversi anni ottenendo molti finanziamenti da diversi potenti Ecclesiastici creduloni (Papa Sisto V compresoorgogliosissimo del suo tesoro accumulato a Castel Sant’Angelo).
Nel 1588 però, abbandonò la vita da Frate senza permesso e iniziò a vagabondare per l’Europa: viaggiò fino a Ginevra, in Inghilterra, nelle Fiandre e in Francia dove si spacciò per fratello della Sultana Cecilia Baffo riuscendo ad imbrogliare molta gente. Qualche anno dopo provò a rientrare in Italia, ma qui incappò nelle maglie strette delle investigazioni della Santa Inquisizione che lo stava braccando con l’imputazione di “Monaco rinnegato”.
S’era stabilito anonimamente a Lovere sul Lago d'Iseo, ma in una notte del luglio 1589 la sua casa venne circondata e assaltata dai soldati del Bargello di Bergamo inviati dall’ Inquisizione per arrestarlo. Mamunia era furbo, non affatto sprovveduto, nè privo d’iniziativa, perciò saltò giù da una finestra e riuscì a fuggire dal paese andandosi a rifugiare prima a Torbiatoe poi a Brescia dove spese moltissimo per vivere in sicurezza protetto da diverse persone.
Anche a Brescia Mamunia seguì un tenore di vita splendido spendendo e scialacquando alla grande, e attirando l’attenzione di molti per il fatto che diceva di possedere il segreto "per cavare l'Anima dell'oro" dal Mercurio … e di saperlo moltiplicare traendone una fine polvere d’Oro potabile perfetto che era anche medica”.
Definiva la sua “Arte” come: “Grazia particolare piovutagli dal Cielo”,e ogni tanto dava dimostrazioni delle sue capacità offrendo a piccole cerchie fidate la possibilità di controllarla. Si diceva in giro che cuoceva in un tegame e in un apposito fornello del Mercurio aggiungendovi una sua polvere priva di valore simile alla cera, e che alla fine presentava un impasto che lasciava analizzare dai presenti.
Nel frattempo Mamunia cercava di sfuggire all’Inquisizione affidandosi a conoscenze e amicizie influenti come il condottiero Alfonso Piccolomini e il Duca di Mantova Vincenzo I° Gonzaga che gli offrì 25.000 Scudi e andò a trovarlo affidandogli una grande quantità d’Oro per moltiplicarla.
Fra i suoi estimatori c’era anche Giacomo Alvise Cornaro da Padova, nipote di Alvise Cornaro, e il Generale Veneziano Marcantonio MartinengoConte di Villachiara che informarono la Serenissima circa le doti di quel personaggio: “Alchimista un po’ speciale”.
Incuriositi e attratti da quelle doti particolari nonché utili, alcuni Nobili di Venezia come Nicolò Dolfin e Giacomo Contarini appoggiarono subito Mamunia inducendo la Serenissima a invitarlo in Laguna. Il 30 ottobre, infatti, il Consiglio dei Dieci mise a disposizione dell’Alchimista uno speciale salvacondotto, e il 20 novembre seguente Mamunia partì da Brescia sotto scorta militare entrando a Venezia il 26 dello stesso mese.
A Venezia Mamunia poteva considerarsi finalmente al sicuro dalle mire dell’Inquisizione.
Nella città lagunare il Governo della Repubblica gli mise a disposizione il palazzo Dandolo affacciato sul Canale della Giudecca, e gli permise di vivere lussuosamente circondato da numerosi estimatori e da una folla di servitori. Gli amici raccontavano che a casa di Mamunia: “… si potevano notare molti oggetti d'Argento e Oro, sacchetti di monete pregiate, e alquante lastre d'oro alte un grosso ditto et assai longhe".
Un successone insomma ! … tanto cheGiovanni Bonifacio raccontava e scriveva ai suoi familiari: "Molti Homini Honorati lo seguivano corteggiandolo et quasi adorandolo con la speranza che pagasse i loro debiti, e chiamandolo: Illustrissimo".
La fama di Mamunia crebbe a Venezia e si diffuse anche oltre, tanto che perfino a Costantinopoli seguivano le sue vicende con attenzione.
Giungendo a Venezia Mamunia aveva promesso di lavorare: “… per il bene del Doge suo Principe Naturale, e della sua Serenissima Repubblica volendo tentare d’arricchirla in misura mai vista”,e per provare la sua veridicità depositò in Zecca la sua polvere misteriosa e un documento con la ricetta segreta per ottenere l’Oro.
Piccolo e tarchiato, di pelle scura, occhi neri e capelli corvini, Mamunia portava baffi e pizzetto e sapeva suggestionare ampiamente coloro che lo avvicinavano.
Venezia era ricca, ma c’era sempre un ingente debito pubblico gravato da 700.000 ducati d’interesse annui da sanare dovuto alle continue campagne e necessità di guerra … Inoltre i Veneziani erano persone di solito pratiche e concrete, perciò non andarono molto per le lunghe con la faccenda di Mamunia: fecero analizzare per ben due volte il suo operato dagli Ufficiali della Zecca di Venezia che dovettero riconoscere la prima volta che il metallo prodotto da Mamunia era una lega di un quarto d’Argento e tre quarti d’Oro, e la seconda volta che si trattava, invece, di composto di un terzo d’Argento e Rame con due terzi di autentico Oro.
Raccontano le Cronache Veneziane del tempo: “… (Mamunia) presentò in Consiglio di Dieci una scrittura et un’ampolla di certa polve con la quale diceva poter far cinque migliona d’oro alla Signoria et che però fusse posta in deposito in Cecca; subito fu essaudito, et fatta l’esperienza d’un granello di essa polve si vide riuscir in una verga d’oro di 25 o 30 scudi, onde fu posto in uno scrigno ferrato, con molte cirimonie, concedendogli anco a lui una chiave, onde pochi furono che non gli prestassero compita credenza…”
Il Senato della Serenissima allora decise di non perdere ulteriore tempo, e in dicembre dello stesso anno sollecitò Mamunia a iniziare la sua produzione trasformativa in grande stile. Mamunia cercò di guadagnare tempo, e confermò le sue doti anche durante una dimostrazione a Palazzo Ducale eseguita la sera del 6 gennaio 1590 alla presenza di molti Nobili e dello stesso Doge Pasquale Cicogna. Il Governo della Repubblica allora lo spinse ad iniziare immediatamente il suo lavoro miracoloso … ma l’Oro Nuovo non arrivò mai, anzi i Veneziani si accorsero che l'Alchimista intascava l'Oro senza dare nulla in cambio.
Nicolò Contarini scrisse circa il Mamugna: “Privo di reputazione e danari, convenne pensar alla partita, non avendo pur un soldo cavato dagl’abitanti di Venezia, non così facili, nel dar il loro, come gl’altri; ma, per lasciar qualche openione di lui, mandò al Senato un vaso di vetro con polve granita, chiamata “di proiezzione” o “de’ filosofi”, nella qual affermava contenersi l’Anima vivificativa dell’oro, con la qual se ne poteva produrre immensa quantità. Il dono molti volevano che, come indegno d’esser accettato dalla gravità del Senato, fusse gettato in mare; ma pur, restando certe reliquie de’creduli … li quali ancora constantemente asserivano quella polve esser quel vero mercurio nel quale tanto lungamente s’erano affaticati li professori di simil studio, non si puoté far di meno, poiché niente ciò montava, di non riponerlo, ma come cosa negletta, in una cassa in Zecca. Dove, doppo dieci anni, rimaneva in assoluta oblivione, quando comparve in Collegio il segretario di Francia et, in nome del suo re, ricercò che di questa gli fusse data certa porzione per farne esperienza: il che fugli subitamente concesso, non essendo né la parte né il tutto in minimo conto stimato; né, doppo, quello che se ne facesse quel re mai ne fu detto, né meno procurato sapere …”
In giro per Venezia s’iniziò a canzonarlo ironicamente: a Carnevale i giovani Nobili lo schernivano con alambicchi, soffietti e arnesi da Gabinetto Alchemico gridandogli di trasformare un soldo per tre lire, e poi come accadeva di solito si passò dalle parole alle minacce da parte dei suoi creditori.
Il popolino invidioso e irriverente di Venezia lo detestava. Francesco Molin o Molinoo Dal Molin nel suo “Compendio” scriveva: “… D’una cosa che osservai stupì, ch’il popolo minuto l’andava maledicendo, et li fanciulli gridavano che meritava mille forche et che sarebbe stato impicato con mille schernevoli canzoni, non lo vedendo volentieri con tutta la fama del suo oro.”
Il popolare e stimato Frate Paolo Sarpi col suo entourage erano scetticissimi nei riguardi di Mamunia-Bragadin: Micanzio, infatti, scrisse nel suo: “Vita del Padre Paolo” pubblicato a Leida nel 1646: “…Per tre anni s'immerse tutto nelle speculazioni delle cose naturali. E per perfezzionare la cognizione appresa, anco passò ad operare di sua mano nelle trasmutazioni de' metalli, nelle distillazioni di tutte le sorti ... Stette più mesi in Venezia, dopo peregrinata l'Italia e delusi tanti Prelati e Principi, quell'insigne impostore sopranominato Mamugna, creduto far oro, che fece benissimo intendere il senso di Diogene, quando disse che non segregava dal volgo n'anco i re. Perché nella credenza o comedia non solo entrò il volgo con tal eccesso, che chiamava miscredenti quelli che negavano che colui facesse oro, ma cardinali, prencipi, il papa stesso Sisto V, sí gran prencipe e di tanto sapere et esperienza, che se l'impostura non si scopriva, aveva dati indizii di muover controversia a Venezia, ove era costui, per punto d'immunità o giurisdizzione ecclesiastica … Il Padre (Paolo Sarpi) sempre si burlò, et ad amici grandi, che volevano condurlo a fargli veder la prova, sempre rispose che l'avrebbono poi stimato pazzo, non che leggiero…”
Alla fine, siccome si dimostrò che Mamunia non era in grado di "creare" le quantità di moneta che gli chiedeva la Repubblica, s’iniziò a formulare l’ipotesi di riconoscerlo come truffatore.
Mamunia alias Marco Bragadin fuggì allora in gran segreto da Venezia, e alla fine di marzo 1590 andò a nascondersi prima nella Villa dei Nobili Cornaro a Codevigo, e poi in un loro palazzo a Padova.
La Serenissima riconoscendosi gabbata e aggirata, stranamente non fece nulla per impedire la fuga del Mamunia ... forse si vergognava della figuraccia che stava facendo sul palcoscenico politico mondiale di quegli anni.
In agosto Mamunia accompagnato solo da due servi lasciò anche Padova fingendo di uscire per una normale cavalcata, e passando per Bassano e poi per Innsbruckraggiunse Landshut in Baviera dove si presentò a palazzo del suo nuovo estimatore: il Duca Guglielmo V di Wittelsbach detto il Pio, Duca di Baviera dal 1579 al 1597 che da tempo seguiva le sue gesta informato dal suo agente veneziano Alessandro Crispo.
Dovete sapere che il Duca Guglielmo V era figlio del Duca Alberto V e di Anna d'Austria, abitava come Principe Ereditario nell'antico Castello di Trausnitz a Landshut, ed era sposato fin dal 1568 con Renata di Lorena, figlia di Francesco I di Lorena da cui ebbe ben 7 figli e 3 figlie.
Guglielmo V fu abile nella politica di governo, e amava circondarsi di personaggi esperti e competenti: come, ad esempio, il giurista italiano Andrea Fachinei da Forlì. Assicurò fin dal 1583 l'Arcivescovado di Colonia al fratello Ernesto, dignità che rimase di famiglia per i successivi due secoli, mentre i figli Filippo Guglielmo e Ferdinando divennero rispettivamente Vescovo di Ratisbona e Cardinale, e Arcivescovo di Colonia.
Avendo ricevuto un’educazione presso i Gesuiti della Compagnia di Gesù ai quali era legatissimo, Duca Guglielmo venne soprannome “il Pio” proprio perché ritenuto fervente Cattolico: partecipava anche più volte al giorno alla Messa, pregava di continuo, si dedicava alla contemplazione, alla lettura devozionale, e partecipava sovente a pubbliche funzioni religiose, processioni e pellegrinaggi. Assiduo sostenitore della Controriforma, si schierò apertamente a favore del Clero Bavarese, fondò scuole e collegi Cattolici, nuovi Monasteri e Conventi per gli Ordini Religiosi privilegiando soprattutto: Gesuiti e Cappuccini, e le Orsoline.
Un bel bigottone insomma, tanto che durante il suo regno chi non si professava Cattolico fu costretto ad abbandonare la Baviera, e per sostenere l’opera della Chiesa finì per indebitarsi fin sull'orlo della bancarotta.
Ecco perché il Duca aveva riposto la sua fiducia in Bragadin-Mamunia !
La figura dell'Alchimista nella mentalità comune come in quella del Duca era sinonimo di persona con elevato livello di moralità, non avido né esoso, condizioni che avrebbero impedito l’efficacia e la riuscita della “Nobile Opera della Trasformazione”.
“La Quintessenza del Lapis Philosophorum risulterà dalla sintesi delle polarità contrapposte del Mercurio associato all'aspetto passivo e lunare dell'Etere, e dello Zolfo associato al lato attivo e solare dello Spirito … La Natura vitalizzata dalle Idee è intimamente popolata da energie e forze arcane celate nell'oscurità della Materia che va sollecitata e risvegliata ...”
Inizialmente tutto sembrò filare a meraviglia, tanto che Mamunia si guadagnò la fiducia completa del Duca riuscendo a curargli con speciali decotti di erbe “Made in Mamunia” il suo ricorrente mal di testa incoercibile.
Da vari luoghi si fece procurare costosi macchinari, alambicchi, sostanze chimiche e minerali di ogni sorta "per una grande et bona Filosofia"che intendeva introdurre in Baviera. Il Duca foraggiò ampiamente Mamunia di contributi e gli procurò anche un seguito di circa quaranta persone fatte venire appositamente da Padova assieme all’amante di Mamunia Laura Canova vedova Vilmerca.
A tal proposito Mamugna cercò in ogni maniera di approfittare dell’influenza del Duca e del suo emissario presso il Papa di Roma: Monsignor Minuccio dei Minucci per cercare di ottenere la dispensa dal Sacerdozio e dai vincoli dei voti Religiosi per potersi poi sposare con la sua donna. Ma non riuscì nell’intento.
L'agente del Duca a Roma di ritorno in Germania … fatalità ... passò per Venezia, Padova e Firenze raccogliendo preziose informazioni sul favorito del Duca di Baviera che giunsero puntualmente agli amici e consiglieri Gesuiti del Duca.
Mamunia aveva promesso subito al Duca di produrgli grandi quantità d’oro in modo da poter cancellare i suoi ingenti debiti.
“Solve et coagula” era il motto degli Alchimisti e quindi anche di Mamunia che si adoperò non poco utilizzando lo speciale forno della digestione alchemica chiamato Athanor dove si stemperava l'Azoth etereo del Mercurio, sinonimo della Vita e dell'Umido, che poi doveva essere permeato degli Influssi Ignei delle Stelle producendo infine la Pietra Filosofale. Si provava a disciogliere e scomporre i diversi Elementi Materiali nella loro Sostanza Originaria ossia l’Acqua Remota considerata: “Linfa vitale dell'Anima del mondo”, per poi ricomporli nuovamente in una sintesi superiore.
La pazienza del Duca nei riguardi di Mamunia terminò dopo molta esitazione e attese con l’arresto e la condanna a morte per decapitazione che riuscì al terzo tentativo del boia il 26 Aprile 1591 a Monaco di Baviera.
Nell’occasione si provvide ad arrestare anche tutto il seguito di Mamunia, e fu questa la mossa che indusse Mamunia a confessare la sua colpa nell’estremo tentativo di salvare quei servitori di certo innocenti seppure interessati e conniventi.
Diversi Confessori della Compagnia di Gesù cappeggiati dal celebre Gregorio di Valenza fatto giungere appositamente a Monaco, interrogarono e ascoltarono Mamunia-Bragadin che si mostrò molto pentito, collaborante e desideroso della Misericordia, della Grazia e del Perdono Celeste.
Mamunia confessò ampiamente ogni cosa assumendosi ogni responsabilità di tutti i suoi raggiri: Si scrisse fra l’altro a verbale: "… che non ha mai saputo fare niente in exanimar l'oro, né fare proietione in oro né simil cosa del mondo, e che tutto erano inganni e destrezza di mano".
Ottenuto questo a Mamunia venne risparmiata la tortura, e il suo numeroso seguito venne liberato e spedito di nuovo a Padova cacciandolo da Monaco di Baviera.
Alla fine Mamunia-Bragadin venne condannato alla Forca prevista di solito per crimini come i suoi, ma la benevolenza finale del Duca fece commutare la pena in una più onorevole decapitazione.
Il 25 aprile 1591 Mamunia venne ufficialmente privato e sciolto dai Vincoli e dai Voti dell’Ordine Religioso a cui apparteneva ancora, e il giorno dopo venne decapitato al terzo tentativo di spada nella Piazza del Mercato del Vinodavanti a un'immensa folla di curiosi accorsi da ogni parte.
Sul luogo dell'esecuzione venne eretta una Forca dipinta di Rosso dalla quale pendevano corde di falso Oro per simboleggiare la colpa per la quale Mamunia era stato condannato.
Mamunia amava la buona compagnia, i banchetti e le feste, il gioco, ed era estimatore di cavalli e cani di razza. Possedeva due cani Alani neri con i quali si mostrava in pubblico, che secondo tradizione vennero giustiziati con lui perchè ritenuti emissari e figura del Diavolo e collaboratori del Mamunia nei suoi inganni e magie.
Il suo corpo andò perduto o disperso … mentre nel 1597 Guglielmo V abdicò in favore del figlio Massimiliano I e si ritirò in un Monastero morendo nel 1626 facendosi seppellire in San Michele di Monaco.
Qualcuno dice che Mamunia sapeva per davvero trasformare i metalli in Oro … e che il Duca lo fece uccidere dopo essersi appropriato dei suoi segreti … ma di cose in giro se ne dicono tante.