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“STRIGHE HERBAROLE … A VENEZIA NEL 1500.”

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“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 113.

“STRIGHE HERBAROLE … A VENEZIA NEL 1500.”

Se da una parte è vero che Venezia Serenissima è stata molto tollerante e ha impedito attentamente che l’Inquisizione del Papa di Roma accendesse facilmente roghi in Piazza San Marco, e scambiasse “fischi per fiaschi” mandando a processo, tortura e morte persone innocenti, o perlomeno ree di cose irrisorie, raggiri, vendette trasversali, ripicche, fanatismo religioso e cose simili; dall’altra parte è altrettanto vero che il fenomeno della “Caccia alle Streghe e a Maghi, Magòghe e Magoni” è accaduto anche in Laguna e a Venezia con una significativa consistenza.

Dati alla mano: l’Inquisizione di Venezia istituì e celebrò solo fra il 1542 e il 1599 circa 1600 procedimenti e processi di cui ben 182 riguardanti: “Strigarie di donne” mentre negli stessi secoli vennero celebrati migliaia di procedimenti simili nelle 160 Parrocchie del Catone Svizzero del Vaud, in Francia, nel Delfinato, nei villaggi e paesi delle Alpi Occidentali Italiane, e in Germaniamolti dei quali si conclusero con una amara quanto tetra e gratuita sentenza di morte. Nella sola Diocesi di Como, ad esempio, e nel solo anno 1485 vennero consegnati al braccio secolare e giustiziate: 41 sospette Streghe e povere donne.

Un grosso fenomeno quindi, una tendenza epocale ben nota, conosciuta e studiatissima, che non ha risparmiato lo Stato Veneto. Se siete curiosi vi basterà recarvi nell’Archivio di Stato di Venezia e potrete vedere e consultare facilmente la lunga lista dei processi e tutti i carteggi riguardanti queste vicende anche nostrane.

“Voi della Santa Inquisizione intendete drizzare il becco alle Civette …” gridò un giorno in piazza una donna contro gli uomini dell’Inquisizione provando a difendersi dall’arresto e dalla cattura. Intendeva indicare così l’inverosimile e assurdo accanimento che era in atto soprattutto contro le donne … Niente da fare ! Le parole non serviva a nulla, e non si riuscì a fermare quel fanatismo religioso, quella ottusità di mente e spirito molto simile a quello che riscontriamo in giro ancora oggi. Fu il traboccare macabro di una cultura diffusa in tutta Europa che rese popolarissimi e fin troppo condivisi e radicati certi contenuti cabalistici e superstiziosi capaci a volte di trascinare fino a morte.

Anche in giro per Venezia nel 1500 si diceva: “Esiste per davvero il Diavolo dal naso storto che spezza la nave e spezza il porto.”… Si respirava ovunque un vago timore ancestrale del Demoniaco, del malefico e dell’ignoto molto simile a quello che si aveva per la peste, perciò anche a Venezia si provava a porvi rimedio in qualche maniera, così come si poteva: si usava assurdamente “lo scongiuro del Tarocco”, si accendevano candele, si buttavano sale e allume di rocca nel fuoco del camino, e ci si rivolgeva per consulti e rimedi a uomini e donne di dubbia quanto ambigua valenza ed efficacia: “… se si vuol dare martello alli suoi morosi, si deba pigliar la caena sotto al fuoco cominzando da basso e andare in su, dicendo:“Questa è la vita del tale … et questo è il Gran Diavolo che lo governa, Lucibel, Luifer, Belzebub, Solfarel … Vi sconzuro cinque apicai, cinque squartai, cinque danai, cinque morti in ferri, cinque morti a botta de cortello … per il pecà che fece il padre con la fìa, il fradel con la sorella, el cusìn con la cusina, el compare con la comare … sconzuro tutte queste anime … e questi diavoli che si leva de li incontinenti, et che vada al cuore del tale che per me el non possa nè camminare, né  scrivere, né ragionare …Cinque ditta a questo muro, cinque diavoli scongiuro dal minor fino al maggior, Lucibelle …”

Questo scongiuro si doveva ripetere per almeno tre volte consecutive … ed era uno dei tanti, anzi: dei tantissimi che riempivano l’abitudine e la normalità di tanta gente qualsiasi di diversa estrazione sociale ... Si viveva un po’ di queste cose e di questi rimedi posticci … anche a Venezia.

Non fu un caso, quindi, che in quegli stessi anni incombessero su tutto e tutti le indicazioni feroci, precise e restrittive della bolla Papale: “Summis desiderantes affectibus” di Innocenzo VIII°. Si era nel 1484, e poi vennero quelle di Papa Sisto V ossia Felice Peretti, già reggente dei Circoli Letterari Veneziani, Inquisitore della città lagunare dal 1557 al 1560, consulente del Santo Uffizio Romano, Giudice condannatore di Arcivescovi Spagnoli, e propugnatore come Papa nel gennaio 1586 della nuova bolla “Coeli et terrae”  che criminalizzò ogni forma di ricerca cosmica e Astrologica nonchè ogni forma di Magia e Alchimia comprese quelle di elevata cultura e ricerca. Si salvarono solo le pratiche illusionistiche su cui però vigilavano attentamente e con competenza gli Inquisitori.

Per i meticolosi manuali del Santo Uffizio come il famoso “Malleus Maleficarum” del 1486-87, tutto era opera del Demonio ed assumeva “habitus Satanicus” se appena si discostava dall’alveo delle certezze dottrinali proposte, anzi: imposte dall’Ecclesia onnipotente … Perfino il gioco del Lotto veniva inteso come “Ludus Demoniacus” in quanto si confondeva e contrapponeva la Fortuna con la Volontà di Dio: “Interpretare e conoscere il Passato, il Presente e il Futuro appartiene solo a Dio … e alla Chiesa ovviamente.”
Perciò anche a Venezia si stava ben attenti a quando, come e perchè si andava a giocare … Bisognava sempre stare attenti che non scappasse la parola, il numero o l’interpretazione dei sogni sbagliata … C’erano sempre orecchie lunghe e attente in giro … e finire inquisito era un attimo.

Per un motivo o per l’altro alla fine ne facevano le spese soprattutto le donne, che finivano con l’essere considerate “Strighe”e strapazzate alla grande se non annientate meticolosamente. Secondo il “Malleus”le Streghe erano: “…donne del Diavolo … esseri di debole intelligenza, ciarliere, vendicative, invidiose, colleriche, volubili, smemorate, mentitrici, dai desideri insaziabili … Le donne già per il loro corpo sono preferite per la prostituzione diabolica … il corpo degli uomini ne è invece preservato: perché altrimenti Dio lo avrebbe scelto per incarnarsi ? … Il Diavolo in ogni caso non commette atti contro Natura: ne ha orrore e li ritiene vergognosi …”

Incredibile ma vero !

L’Inquisizione Veneta e Veneziana, nei cui territori si favoleggiava spesso di figure misteriose e paurose come il Mazariòl: “… folletto dei boschi per metà animale e metà persona che assalta e molesta i viandanti sui sentieri coperti di muschio e ciclamini ...”, definiva a sua volta le Streghe Lagunari: “…vechie femine inique et perverse, strige diaboliche, malediche et disperate, inimiche fidei nostre et humane nature.”

“Ma quali Strie ? … Sono gli effetti e le visioni della fame, delle erbe, della miseria e dell’ignoranza !” osò commentare inutilmente qualcuno a Venezia ... Ma erano solo voci isolate “fuori dal coro”, parole pericolose che rischiavano grosso, tanto, fin quasi la morte. Era meglio tacere …

Le Streghe erano: “Adoratrici del Male”, e di loro si raccontava di cavalcate mirabolanti su bestie aeree, di danze infernali dalle movenze lascive, e di banchetti cannibalici di bambini: “… e la dicta untura, avanti che sia perfecta e che faccia il debito, se da al Diavolo che la acconci. E così se la porta per aliquanti di e con lo sputo ce la benedice e rende così bisogno che la benedica con lo sputo la nostra patrona tre volte … e così poi col dicto unguento ce ungemo dicendo: “Unguento portami alla noce di Benevento”, come che ho dicto. E illi solazzammo e jocamo con li Diavoli in cose grandi, con tante gran feste, soni, canti e balli che non poteva raccontare … e li Diavoli sempre stanno con noi ad jocare, e belli e bianchi come un lacte…” testimoniò Bellezza Orsini dopo la prova della corda durante il suo processo a Roma nel 1528.

E ti credo ! … Torturandola ancora un poco avrebbe di certo confermato e detto e scritto e firmato d’aver visto e incontrato anche gli Alieni … ma in quei tempi tutto funzionava e andava così.

Uno dei detti clericali più famosi era esplicito, lampante: “Extra Eclesia nulla Salus !_Al di fuori della Chiesa non esiste alcun tipo di Salvezza !”. Perciò qualsiasi scoperta, elucubrazione, esperienza, esperimento, convinzione che si fosse discostata almeno un poco dai dettami certi delle conoscenze di Roma era “fuori”: ossia perseguibile, condannabile, e meritevole di ogni pena … fino alla morte. E come ben sapete, il Santo Uffizio onnipresente non ci pensava su due volte non solo a intervenire, ma anche a sentenziare in maniera esemplare. Perché alla fine era quello che contava: ribadire quale doveva essere “la vera Verità … la via mastra” e indurre tutti “a sposarla e abbracciarla saldamente” rinunciando ad ogni possibile alternativa che potesse essere diversa dai solidi dettami della Fede e della Dottrina della Chiesa.
E la scienza ? … e l’intelligenza ?

Ma quale scienza ! … Ciò che non era Ecclesiastico: era Diabolicus ! … Punto e basta … Facile no ?

Per questo ovunque in Italia, nonché in tutta Europa, s’era creato un clima sociale in cui bastava che nell’ultima casa del paese, proprio quella più in là di tutte, quella ombrosa in fondo sulla riva del fiume, la casa spesso del Mugnaio con molino e rosta, con la ruota che girava travolta dall’acqua del fiume ... e bastava che costui fosse magari usuraio o facesse pagare caro il macinato ... Ecco, era facile … così per vendetta e rivalsa, che macinasse con le farine: cose strambe, intrugli malefici, cose del Diavolo ... e che perciò anche lui fosse “uno spiantato senza Dio, uomo reprobo, essere spregevole a cui fargliela pagare”. Eccolo perché personaggi così venivano facilmente accusati, denunciati, inquisiti e condannati.

Gente come i mugnai poi, non eccellevano spesso per cultura e grande capacità letteraria. Si trattava molte volte di persone semplici, molto spesso analfabete, a volte persone che sapevano appena contare i sacchi della farina e i soldi utili per pagarli. Al riguardo è interessantissima, ad esempio, la vicenda di un oscuro mugnaio del 1532 di Montereale piccolo villaggio della Terra del Friuli sulle colline del Pordenonese: Domenico Scandella detto Menocchio.

Andate a vedere la sua storia !

Il poveretto, che poi in questo caso non era poi così ignorante, osò spiegare a quelli che frequentavano il suo molendino sul fiume che il Cielo, la Terra e il Cosmo erano come un formaggio, una gruviera piena di buchi intaccata dai vermi: “Io ho detto che, quanto è al mio pensier et creder, tutto era un caos, cioè Terra, Aere, Acqua et Foco insieme; et quel volume andando così fece una massa, aponto come si fa il formazo nel latte, et in quel deventorno vermi, et quelli furono li Angeli; et la Santissima Maestà volse che quel fosse Dio et li Angeli; et tra quel numero de Angeli ve era ancho Dio creato ancora lui da quella massa in quel medesmo tempo, et fu fatto Signor con quattro Capitani, Lucivello, Michael, Gabriel et Rafael. Qual Lucibello vuolse farsi Signor alla comparation del Re, che era la Maestà del Dio, et per la sua superbia Iddio comandò che fosse scaciato dal Cielo con tutto il suo ordine et la sua compagnia; et questo Dio fece poi Adamo et Eva, et il populo in gran moltitudine per impir quelle sedie delli Angeli scaciati. La qual moltitudine, non facendo li comandamenti de Dio, mandò il suo Figliol, il quale li Giudei lo presero, et fu crocefisso … Io non ho detto che si facesse picàr come una bestia … Ho ben detto che si lassò crucificàr, et questo che fu crucifisso era uno delli figlioli de Dio, perché tutti semo figli de Dio, et di quella istessa natura che fu quel che fu crucifisso; et era homo come nui altri, ma di maggior dignità, come sarebbe dir adesso il Papa, il quale è homo come nui, ma di più dignità de nui perché può far; et questo che fu crucifisso nacque da San Iseppo ed de Maria Vergine…” dichiarò a processo.

Figuratevi l’Inquisizione !

Appena udì cose del genere fibrillò immediatamente, impazzì per la voglia di sistemare subito quell’eretico imprudente … Infatti andò a catturalo, e gira e volta, molla e para, alla fine lo “Fece ramo seccomandandolo a giustiziar sul rogo” … cancellando così tutte le sue “orribili illazioni” e quelle “Mendaci insolenze provenienti e suggeriteli di certo da Satana in persona.”

Lasciamo però perdere i discorsi generici, e veniamo, invece, ai nomi e ai fatti di “casa nostra”, di Venezia e della Laguna … Sono tanti, non si possono citare in dettaglio tutti, ma qualcosa si può accennare, dire e riassumere … Ci provo.

A Venezia c’erano: Giulia nel 1584, diciannovenne che abitava a San Pietro di Castello presso la Casa di Ospitalità del Soccorso dopo essere stata abbandonata da un facoltoso mercante greco. Costei venne accusata di sortilegi, di “aver buttato le fave con del calcinazzo, un bagatìn, del carbon e della cera benedetta dicendo lo Scongiuro di Santa Lena.” e di aver ricevuto di nascosto e a pagamento dell’Olio Sacro Benedetto da Cresima da un giovane Zaghetto figlio di un barcarolo che abitava nella Spizieria della Borsa a San Moisè ed esercitava nella chiesa di Santa Maria Zobenigo da dove aveva sottratto l’Olio Santo. Una Madonna Lucia da San Maurizio e una Massera Corona di casada le avevano insegnato che ungendosi con quell’olio le labbra e sotto agli occhi sarebbe riuscita a farsi voler bene da qualcuno come era già accaduto a Minia cortesana e ricamadora che usava anche loScongiuro delle Stelle sciogliendosi i capelli, e dicendo: “Dio ti dia la buona sera, stella papale ... Te scongiuro per il pane, per l’olio, per il sale, per le Messe che si dice il di e la notte di Natale, in terra le si dice et in cielo le si scrive… Così questo è vero e non è busia, così il sonno del tal homo ghe sia …” significando il nome della persona a cui s’intendeva voler bene.

Inoltre era stato detto alla giovane che per trovare una cosa rubata bisognava guardare sul fondo di una caraffa d’acqua dove si doveva mettere una fede nuziale … e con una candela accesa in mano si doveva ripetere tre volte: “Angelo biancho, Angelo Santo, per la tua santità e la mia verginità fammi vedere il vero e la verità, chi ha avuto quelle robe trovate …”

Giulia interrogata spiegò ancora all’Inquisitore attentissimo:“Di più ho ancho fatto una volta uno esperimento d’una pignatella nova, una luserta(lucertola), olio comune, et una fassina comprata a nome del Gran Diavolo che rege et governa … E ligava quella luserta con dell’azza, e diceva: “Io non lego questa luserta, ma lego il core del tale a nome del Gran Diavolo che regge e il governa il mondo …”, et così feci bollire queste cose al foco di detta fassina piano piano …”

Come avrà reagito l’Inquisitore davanti a quell’accurata descrizione ? … Me lo posso immaginare.

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Alla Zuecca abitava, invece, Corneliadenunciata da Zuanne Dissegnador a Fra Angelo il 21 luglio 1587, e chiamato un anno dopo a confermare la deposizione presso la Cancelleria dell’Inquisizione di Venezia a San Domenico di Castello.

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Giovanna l’Astrologadetta la Medica di circa 57 anni venne, invece, inquisita dal 1554 al 1568. La donna proveniva da Piacenza, Brescia e Milano da dove era stata bandita “perché aveva dentro uno Spirito di divinazione”, vestiva di grigio e portava “un galèro in testa”, e abitava fin dal 1550 prima in Contrada di San Zan Degolà, poi a Santo Stefano in Calle del Pestrìn, e infine in Contrada di San Salvador in Calle de le Balote dove da dopo la morte del marito iniziò a praticare la professione d’indovina e guaritrice. Era considerata: “Herbera, Fattucchiera, procuratrice di Rimedi, sedutrice de persone, gioveni et gioevene … et Stròlega da cui va purassai persone, Preti, et Frati et Zantilhomeni per farse vardàr la ventura sulla man e sul fronte … et la vadagna in un zorno quanto vadagnasse in una settimana in una bottega …” La Juhanna pretendeva di saper risolvere le infermità, e si diceva praticasse la “divinazione del gòto”versando della cera fusa sopra a dei fili bianchi e neri immersi in un bicchiere. Dalla conformazione di cera e fili galleggianti sull’acqua si poteva interpretare lo scenario futuro esistenziale dell’interessato.

Denunciata dal Medico Messer Antonio Minioreperibile presso la farmacia “all’insegna del Moro o Moriòn a San Francesco della Vigna”, l’Inquisizione la convocò più volte per interrogarla, ma lei non si presentò adducendo: “Infermità di gamba guasta, impiagata et marza et puzzolente … Sono povera donna vechia, zota et mal conditionata.”
Poi Pre’ Alvise Benedetti e il Medico Zuan Andrea Benvolio inviati a controllare dall’Inquisizione non riscontrarono né febbre né alcuna infermità … perciò la donna venne carcerate e processata … ma venne salvata da una fideiussione pagata dai Nobili Girolamo e Paulo Badoer… chissà perché ? … e tutto andò assopito e dimenticato.

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Ruggero miniatore abitante in Salizada San Moisè fu denunciato e processato dall’Inquisizione nel 1582 perché insidiava la sua ex donna Anzolafia de Andrea Tagiapiera andata a vivere presso la madre Pasqualina in Corte dal Basegò: “guastandola con herbe et malefiziandola et affaturandola … facendole un cerchio in mezo alla camara e facendole paura granda ... recitando formule da un libro et con un legno in man …”

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Diana Passarina venne processata nel1586 perché: “ispiritata … La è terribile et fa di mali”. Si considerava guaritrice e capace di leggere il futuro e di liberare da incantesimi e malefici con l’aiuto di un Diavolo Arcan che ospitava in un anello custodito dentro a un bicchiere di cristallo posto in casa sua. Convivente con un Frate Francescano dei Frari che lei manteneva, venne denunciata per l’ennesima volta da Margherita De Rossi da Bassano detta la Sguerzasua vicina di casa, forse sua probabile cliente, nonché denunciatrice abituale presso il Santo Offizio anche di altre persone secondo lei sempre sospette. La Passarinaera stata in precedenza denunziata altre volte insieme alla sua coinquilina Barbara Polverara da Gradisca: “… perché vista danzare nuda, e far strigarie, herbarie et cose finte, buttar fave et altre poltronarie”.

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Maddalena Bradamontedetta la Nasina era una cortigiana di circa 23 anni che abitava in Contrada di San Paternian poco distante da Piazza San Marco insieme a Fiorina e Borthola. Imparata “l’Arte” da una sua comare Bellina Loredana e da un’Agnesina da San Trovaso, si faceva mantenere dai suoi amanti che erano soprattutto Nobili e Artigiani benestanti che bramava prima o poi di riuscire a sposare.

“… la più iniqua et scelerata donna c’hoggi dì viva, la quale ritrovatasi sempre immersa nelle male operationi, con familiarità diabolica usa et adopra continuamente le più horrende stregarie et fatture a pregiudicio et danno di questo et di quello, che s’habbino fin mo sentite …”

“Donna inspiritata da exorcizare”, venne denunciata al Santo Uffizio per: “Herbaria, strigaria, far circolo sconzurando Demoni, far immagine con incantesimi, butar fave et simili altre cose”… In realtà, invece, venne denunciata all’Inquisizione per ripicca dal Medico Pietro Paolo Malvezzi querelato in precedenza alla Sanità dalla stessa donna perchè le aveva usurpato 22 campi di terra nel Padovano meritandosi 22 giorni di prigione. Nel 1584 la Bradamonte venne condannata pubblicamente fra le due colonne in Piazza San Marco insieme a Giovanna Semolina, Lucia da Este e Perina Merighi chiamata “La Fiamminga”, e messe tutte al bando da Venezia per cinque anni con un premio di 50 ducati per chi le avesse riconosciute come inadempienti e presenti in città o nel Dominio.

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Emilia Catena era una cortigiana Veneziana, allieva di una “vecchia Striga Anastasia che stava a San Thomà”. Venne denunciata da un gioielliere per prevenire a sua volta la propria denuncia accusandola d’aver “bruciato insieme a doi crocifixi un fantolino nato morto … poi portato a sepellìr …”. 
Processata nel 1586 e di nuovo nel 1589 come recidiva, venne condannata una prima volta a pubblica berlina con fustigazione da San Marco fino a Rialto,e poi al solito bando di cinque anni fino all’abiura del Demonio che lei professò ufficialmente il 16 luglio 1586.

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Giovanna Semolina figlia di Mastro Domenico Tintore abitava in Rio Terrà della Maddalena nel Sestiere di Cannaregio, ed era considerata guaritrice tanto efficace nella sua “Arte”da essere considerata in contrapposizione e concorrenza con la famosa vecchia Elena Draga Guaridora.

“… L’è 16 anni che fazo quest’arte …chi ha tegna sula testa, de piaghe, de srovole, de drezzar le membra et osse che fossero scavezade o uscì de fora de locho, et alle done le ho medicate dele panochie, de caruoli e mal franzoso, chi ha piaghe nelle gambe, qualche fantolin cha male in bocha, che ha i vermi … E ho guarito quei che càzeno de quel male et per schotadura, brusati, e ho medicato anche quei che son stà mati del cervello, che sono in escir … et de questi che son ligati, che non possono usar con done, li ho insignato che vagano a pissar in un pesce go et che poi lo butano in te l’agua et che dovessero dire: “Si come te buto in te l’aqua, me posso desligàr …”

Nel 1584 per allontanare Messer Lunardo dall’amore per un’altra donna consegnò a sua moglie una pignatta con dentro un “lazaro che spuzava”, ossia una mistura con la quale doveva imbrattare la porta e i cantoni della casa della rivale dicendo al nome del Diavolo: “così come questa cosa spuzza, così possa spuzzar a Messer Lunardo la donna, la casa, i coppi e tutto.” Fu lo stesso Lunardo a denunciarla all’Inquisizione che la carcerò portandola a processo: “Impenitente, e non desiderosa di cercar perdonanza …” venne condannata anche lei all’esilio di cinque anni da Venezia lasciandole tre giorni di tempo per abbandonare la città lagunare.

   ***
Giovanna Cargnela di Cesare o Carnera o dalla Carnia denunciata il 23 novembre 1587. “Era stria malefica !” secondo una deposizione spontanea rilasciata davanti al sostituto Inquisitore del Santo Uffizio Fra Giulio da Quintiano nel Convento di San Domenico di Castello da Giacoma moglie di Maestro Jacopo da Bergamoabitante in Contrada di Santa Croce in Corte dei Lavadori in una casa di Torniello Mastro delle cere.

Giacoma riferì: “… una certa Orsetta moglie di un Tessitore di Panni e residente nella stessa Corte in una casa dei Nobili Loredan fu impedita qualche giorno prima d’entrare in casa della Cargnela che la respinse mettendole le mani sul petto. Costei le riferì sulla porta di casa, o in casa sua in un’altra occasione, che osservando in casa la Cargnela l’Orsetta vide alcune pentole bollire sul fuoco, e riferì che la Cargnela era autrice di molte superstizioni, e che volle insegnargliele anche se lei ora non aveva memoria per riportarle. Fra le altre cose le aveva riferito che lei metteva le cinque dita della mano sul muro invocando e scongiurando cinque Diavoli, e che quelli vanno a colpire al cuore di chi lei desidera, e che perciò quelle persone non avranno più bene finchè vivranno ...”

La Giovanna Carniela abitava da un anno nella stessa Corte con fama di “far strigarie”.
Inoltre costei aveva delle compagne che la praticavano, ossia Isabellache abitava vicino al Traghetto per andare a San Barnaba, e il cui marito era condannato in galera; e sua sorella Livia che si diceva in giro essere una cortigiana.

Giacoma riferì inoltre che costoro praticando casa sua avevano “guastato”suo marito, che di solito non era uomo che praticava donne ... Era accaduto, invece, che lui l’abbandonasse giorno e notte per praticare quelle donne portando loro anche da mangiare ... e che lei aveva trovato anche: “… un velo di quattro-cinque brazza in una quarta di vino con un legaccio di panno annodato artificiosamente con due nodi di dubbio significato che ho mostrato a diverse persone, soprattutto a due giovani donne nubili di Ca’ Tagiapiera che mi hanno consigliato di gettarlo via ... E l’ho buttato in canale … Altro non so, e dico questo per scaricare la mia Coscienza e lo confermo sotto giuramento”.

Un anno dopo, Ursia moglie di Ser Angelo Tessitore di Panni abitante nella stessa Corte dei Lavadori nel Confinio di Santa Croce di Venezia comparve giurando di dire la verità davanti ai Giudici e di fronte all’Illustrissimo e Reverendo Padre Maestro Inquisitore Stefano Guaraldo da Cento. Interrogata se conosceva l’identità e le attività della Carniera, rispose che la conosceva ed era entrata alcuni mesi fa a casa sua come si fa di solito con le vicine … che in realtà si chiamava Giovanna … che lei non sapeva nulla degli scongiuri con le cinque dita eccetto che voleva insegnarglieli. Ma che lei non aveva voluto impararli … e altro non sapeva.

Comparsa a sua volta la Carniera in persona moglie di Ser Cesare Giovanni da Venezia “menator arganei” e residente in Contrada di Santa Croce, e davanti a Ser Giovanni Battista Querini Assistente dell’Inquisitore rispose di non essere a conoscenza del motivo per cui era stata convocata. Disse che alcune donne le erano nemiche, che le volevano male perché volevano che lei facesse a modo loro … Fra costoro c’era soprattutto Cathe moglie di Stefano Ceraiolo, anche se sarebbero state molte, e non sapeva nominarle tutte ... e di non odiare nessuno … anche se non sapeva se le altre provassero la stessa cosa per lei.

Interrogata poi se avesse fatto bollire pignatelle, fatto scongiuri con la mano al muro o cose simili, rispose sorridendo che quelle non erano cose vere, così come rispose che non corrispondeva a verità il fatto che lei scongiurava cinque diavoli con le cinque dita. Interrogata ancora se avesse mai insegnato quelle cose a qualcuno, rispose di non averlo mai potuto fare perché quelle cose non le conosceva.

Chiestole ancora se conosceva donna Giacoma moglie di Mastro Jacopo Bergamasco, rispose di conoscerla e di salutarla appena “bon dì … bon anno”, ma di aver litigato con lei molte volte in quanto lei sosteneva che suo marito le avesse dato del pane e altre cose … e che la questione degli scongiuri diabolici non era vera, ed era stata messa in giro “per malevolentia”.

Perciò venne licenziata e lasciata andare ammonendola di non lasciare la città e il Dominio di Venezia senza il permesso del Santo Tribunale.

   ***
Elisabetta era della Contrada di San Domenico di Castelloe nel 1587 disfava piombo in una padelletta: “…quel piombo viene in forma di un Diavolo, c’haveva li corni et pareva che strangolasse uno …”

   ***
Giustinavedova piena di figli di Nadalin Barcarol assassinato a tradimento da quattro marinai sulla porta di casa di proprietà della Schola Grande della Misericordia, venne denunciata dalle famiglie dei sospetti omicidi, quindi scagionata nel 1584 perché non rea di: “… strigarie, martelli con Naranzi, pan, sal, savina, invocazione dei Demoni e perché faceva pignatelli”.

   ***
Lucia Furlanadella Contrada di Santa Maria Formosa nel 1582 venne processata per ben tre volte dall’Inquisizione “par Strigarie, Herbarie et sconzurar Diavoli et simile cose …” mansioni tutte esercitate per soldi.

“… donna di pessima e cattiva vita, sfregiata, bestemmiatrice … vessata dallo spirito maligno di nome Buranello che le faceva predire il futuro, scoprire i ladri, e operare guarigioni.”e c’erano anche Lorenza o Lucrezia Furlana nel 1584 di cui si diceva che: “Buttò la cordella per terra per una certa Paula che voleva sapere se fosse tornato da lei il suo amante Piero che amava.” … e sempre costei diceva interpretando e prevedendo il futuro:“Adesso è con una donna … Adesso el è per strada … Adesso el vegnerà”… Ma non venne nessuno, e Piero non si fece più vedere.

   ***
Chiara della Contrada di San Martin de Castello era un’altra presunta Strega:“… aveva tirato diverse volte la cordella … perché mio marito era innamorato di un’altra donna e da molti mesi in qua non tornava più a casa et era in casa de’ figli et lo mandai a chiamar per uno de’ miei putti” ... e aveva sciolto piombo sopra un figlio malato e stregato di “brutto male”, segnando sia lui che una sua camicetta con acqua santa e olivo benedetto, e gli aveva messo al collo una lingua di gallo che il Piovano di San Simeon le aveva fatto togliere segnandolo, invece, con buone e Sante Reliquie … e aveva fatto la minestra al marito con acqua benedetta presa nella chiesa di San Polo, aveva comprato ostie da Messa su consiglio di alcune donne della chiesa dei Carmini e polveri per purgare la famiglia su suggerimento della sua massera … e una pezza di seta lunga quanto il figlio che poi andò a seppellire al posto del figlio.”

   ***
Dalla Gobba dei Due Ponti andava almeno un centinaio di persone al giorno e si diceva guadagnasse almeno 20 ducati al mese esercitando “l’arte scellerata di buttare la cordella o le fave”.

La “cordella” era quella che di solito teneva su le calze sulle cosce delle donne, mentre le fave erano il legume povero normalmente presente nelle cucine veneziane. La cordella veniva misurata, annodata per simboleggiare il legame che si voleva, poi si recitavano formule particolari e la si buttava su tavolo o per terra come le fave: “studiandone il risultato” per poterlo applicare al futuro.

“Se i due capi della cordella si uniscono insieme era segno che si volevano bene l’uomo e la donna per cui si faceva quel gioco.”

Gettare le “fave benedette”, invece,era tra i sortilegi per trarre auspici elencati e contemplati nella “Pratica”di Desiderio, manuale dell’Inquisizione Romana del 1600.

   ***
L’Inquisizione Veneziana non ebbe alcun dubbio nel definire Laura Malipiero a più riprese: Strìa ! (ossia Strega)… Fatucchiera ! Herbarola ! Fassinarola ! Amaliadora !

“… Laura affidava i vestiti maleficiati di Martina Emo all’effetto purificatore dell’acqua marina del mare e della Laguna, preparando con 40 onde le sue magiche pozioni … buttava piombo discolato a forma di ago sulla veste dell’uomo dicendo parole greche … metteva ostie, acqua, polveri misteriose nella minestra che inducevano il marito ad andar per strada facendo matarie, buttar la schiuma dalla bocca , e infuriato voler dare a tutti … legava in giro cordelle rosse con strani nodi …conservava amuleti, una lingua di gatto secca avvolta in oro e argento e in nastri di seta gialli che le era costata 4 lire … S’innamorò anche di un Prete al quale infondeva robba di casa … portava addosso una “carta neretta” e le “carte del ben volèr” ricevute da altre donne per 3 lire, per cui le armi “non le possono dare impazzo” ... insegnava a tagliare la strada con un coltello nero al rivale in amore …a riempire con l’acqua di mare a Sant’Antonio un boccaletto comprato a nome dell’amato per farlo innamorare dicendo: “si come l’acqua in quei coccoli, così possa battere il cuore di tal de mi.”… saltava la fata ossia l’ombra recitando formule magiche…”

Il suo vero nome era: Tàrsia figlia di Teodorìn da Rodi e di Isabella Malipiero (forse figlia illecita avuta dalla madre a servizio di un Nobile Malipiero di Venezia). Abbandonata fin da bambina piccolissima nel Monastero dei Greci nel Sestiere di Castello; data in sposa a soli 12 anni con una dote di 20 ducati a un marinaio che subito scomparve e finì prigioniero dei Turchi; ridata in sposa a 20 a Francesco Bonomìn vedovo con 4 figli conosciuto a un ballo di Carnevale ai Santi Apostoli, costui la fece partorire un maschio e una femmina, la tradì con altre, la minacciò con armi, la picchiò per bene come un tamburo … e poi la denunciò per la prima volta all’Inquisizione di Venezia nel 1630 insieme alla madre Isabella “infioratrice poverissima di margherite … mendica, che infilava e cercava con un bastòn”.

L’accusa fu di poligamia, licenziosità, sortilegi e molto altro ancora cercando di far annullare il matrimonio.

Al processo il Bonomìn provò a spiegare: “… fui ammaliato, legato da malefici amatori … ho continuato così sin tanto che sono andato alla Casa di Loreto venendomi fuori dallo stomaco una cosa negra, qual cosa credo fosse il letto delle stregarie …”

Risparmiata e lasciata libera nella prima occasione, Tàrsia alias Laura Malipiero si risposò con Andrea Salaròn mercante da Bologna e ripetè purtroppo la stessa trafila precedente: di nuovo botte, vessazioni e abbandono con nuova denuncia nel 1640 all’Inquisizione di Venezia … che a conti fatti s’interessò di quella stessa persona per ben trent’anni consecutivi.

Niente male ! … Che sfiga, che vitaccia però !

Considerati i fatti si trattava in realtà solo di una donna sfortunata e mai doma, sempre vogliosa di continuare a vivere ingegnandosi e industriandosi come poteva per se e per i suoi figli. Perdendo ogni volta i suoi averi che venivano confiscati dall’Inquisizione o rubati dai mariti, provò a fare l’affittacamere, gestire magazeni, vendere calze, prestare piccole somme di denaro … e vendere rimedi e strigarie. La sua massera di casa diceva: “… Laura cavava mezzo Scudo o un quarto di Scudo, et poi nel finire quattro Scudi alla volta, o nel caso di Battista hanno mangiato 14-16 Ducati … da Laura c’era molta gente … c’erano molti in casa soa … capitava tanta quantità ogni giorno e di Cristiani e di Ebrei, e sino delle Monache, in particolare quelle di Santa Lucia …”

Una servetta che avevano prestato servizio a casa sua testimoniò all’Inquisizione d’essere stata mandata in Piazza San Marco a raccogliere ossa di condannati a morte bruciati dalla Giustizia utili per ricette e far strigarie.

L’accusa davanti al Santo Offizio dell’Inquisizione rimase sempre la stessa: Strigaria !“Laura è la strìa che sta in Castello verso san Martinper certe ontioni, o ogli che ella dispensa.”… e stavolta andò male perché venne inquisita insieme ad altre sei streghe, due Frati, un Sacerdote e la sua stessa madre. Non venne prosciolta perché “inferma e mal sana” come chiedeva, e si beccò una condanna a dieci anni di carcere commutato poi in arresto domiciliare per motivi di salute durante il quale subì una terza denuncia nel 1654 a cui non potè rispondere perché morì nel 1660.

A Venezia era diffusa la nomea e la fama delle donne Greche e Cipriote. Per i Veneziani erano tutte “Strighe, Herbarole guaridore, donne di mal affare …” come Zuana che abitava alla Carità, Santa da Buda, Serena e Marietta, e Rosa e Caterinada Corfù che usavano pezze di seta per assorbire i mali da seppellire, annodavano nastri simbolici e fazzoletti, segnavano con acqua e olio benedetti … e sfruttavano le proprietà narcotiche, allucinogene, lenitive e tossiche di alcune piante utilizzate anche dai popolani e dai contadini, come: l’Atropa Belladonna, il Giusquiamo o Hyoscyamus Niger, la Mandragora Officinarum Linnaeus, la Datura Stramonium, la Cicuta, la Segale Cornuta dei Cereali usata al posto del Grano, l’Amanita Muscaria (il fungo degli sciamani) che potevano procurare allucinazioni e visioni, e altri speciali beveroni a base di Papaverina e Vinoche si somministravano anche ai bambini e agli infanti.

Insomma, molte donne a Venezia vennero accusate di praticare la “Superstitio simplex” o di fare l’Anguistara leggendo il futuro dentro all’acqua di una caraffa … oppure di versare piombo fuso o cera calda a forma di Diavolo convinte d’esercitare “un’arte che era pratica di cose di Dio”,quindi legittima, gesto devoto, nobile ricorso alla Celeste Provvidenza. Per la scarsa cultura era labilissima fra le persone comuni la differenza fra ciò che era retaggio del passato, dei Culti Naturali legati al Mistero delle Stagioni e dello scorrere ripetitivo del Tempo, e i segreti affascianti del funzionamento del Mondo nascosti dentro all’Acqua, all’Ariae alla Terra

Spesso non si sapeva distinguere tutto e bene, perciò si pensava che ci fosse un’impronta e una traccia spirituale del Divino nascosta dentro ad ogni cosa: “Tutto può condurre e rivelare i Misteri Segreti dell’Eterno Divino e Provvidente … ogni cosa cela Sapienza e Bontà segrete capaci di guarire e sanare anche per sempre …” si diceva in giro anche per Venezia. Era come “un sentire diffuso”, una vaga maniera di percepire e interpretare le cose, i fatti, le persone e l’esistenza ben diversa da oggi.

Come avete inteso, a volte bastava un niente, un semplice sussurro, una parola di troppo: serviva essere donne sole, un po’ arrangine, di quelle che pur senza uomini e senza voler offrirsi a nessuno provavano lo stesso a vivere la loro esistenza ingegnandosi per sopravvivere in maniera un po’ alternativa ... Finivano quasi subito per essere etichettate come: Strìe, Bestemmiatrici, Malefiche, Diaboliche ... e perciò degne d’attenzione inquisitoria.

Pareva come che ci fosse sempre una grande molla invisibile sempre tesa e pronta a scattare, un meccanismo in attesa d’essere ancora una volta sciolto, avviato e scatenato mostrando tutto il suo temibile e deleterio effetto ... C’era come una trappola tanto mortale quanto falsa e inutile che aleggiava pericolosissima anche dentro ai tempi della Serenissima …



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