“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 115.
LE ISOLE DEI MATTI … A VENEZIA.
C’è poco da minimizzare e nascondere, sotto la dizione di“Matti” si è accorpato per secoli tutta una serie di “indesiderati”di varia natura. Forse per ignoranza scientifica e sociale, si sono considerati:“fuori posto, spostati e quindi Pazzi” sia le vittime di traumi e danni neurologici, che le ex prostitute, gli affetti da malattie veneree, tubercolotici, lebbrosi, pederasti, giocatori d’azzardo che hanno perso tutto e rovinato la famiglia, gay, tossicodipendenti, adolescenti irrequieti che disturbano a casa e a scuola, epilettici, candidati e tentati suicidi, alcolizzatio ubriachi molesti, autistici, down, disabili in genere, affetti da demenza senile o da morbo di Altzheimer, arteriosclerotici, maniaci religiosi o politici, anarchici e apolidi,depressi di ogni tipo e per ogni causa, reduci di guerra, criminali incalliti e perché no ? … anche qualche vagabondo senza dimora o nullatenente,e perfino atei e appartenenti a culti nuovi o diversi ... e turisti in vacanza a Venezia troppo esagitati o alterati.
“Incredibilmente, erano pazzi un po’ tutti per la cultura di qualche tempo fa … Si metteva in manicomio tutto quello che non si voleva o piaceva che esistesse fuori ... Si chiudeva tutto e tutti dentro.” ha commentato un ricercatore analizzando gli archivi storici delle “Isole dei Matti”.
Come ben sapete, quello della pazzia è stato per secoli un mondo sigillato e chiuso a chiave, dietro alle sbarre e alte mura come fosse una prigione. E’ stato, inoltre, un mondo precluso gestito spesso da Religiosi e Suore, che hanno esercitato in quel contesto pressioni e lunghe coercizioni sfogando sugli ospiti e sugli operatori quelle che erano le loro frustrazioni personali che li rodevano dentro.
Portavano con se “intaccabili certezze e certi modi per loroovvi e irrinunciabili” che provavano a imporre e radicare nella società e nella vita di coloro che si ritrovavano davanti, tanto da giungere a pensare che l’intero Mondo potesse essere in una maniera o nell’altra gestito come surrogato ed estensione del Convento e della Chiesa, e con le Regole dei Chiostri.
Altri tempi ! … Altre valenze e congiunture storiche, che però hanno visto Frati, Monaci e Monache in genere come depositari e gestori quasi esclusivi dell’accoglienza e accudimento della Pazzia.
Sarà stato per la loro predisposizione all’accoglienza caritatevole, o per la loro proverbiale pazienza, o per i mezzi e le grandi strutture capienti che possedevano già per conto loro; sta di fatto che molti diseredati psico-fisici finirono o con l’accasarsi spesso presso i Religiosi e le Religiose assumendo identità particolari e ricoprendo ruoli di: Conversi, Inservienti, Famuli e Servitoridei Monasteri, o divenendo veri e propri internati e reclusi dentro ai Conventi o nelle isole qualora dimostrassero di non possedere le doti minime per una convivenza sociale considerata normale.
Molti “Matti o presunti tali” sono finiti “a vita” a cantare e pregare, pescare, coltivare, cucinare, allevare le Api, far le spese e da fattorini, compiere lavori di riordino e umile pulizia, ed accompagnare e trasportare in ogni dove i loro benefattori Monaci e Monache che in cambio li ospitavano.
E’ documentata, e non è caso isolato, la presenza dentro ai Monasteri di vere e proprie celle di contenzione a volte collocate dentro ai campanili utilizzate per i Frati e le Monache, ma anche per questo “popolo di diseredati”.
Ormai molti anni fa, ho conosciuto di persona un Sacrestano di Venezia che inseguiva assiduamente tutti i numerosi spiriti e fantasmi presenti e rintanati, secondo lui, negli angoli bui e nei meandri della sua chiesa sparando loro con un dito. Si considerava “bravetto ed esperto” nel compito di scovarli dietro agli altari, nascosti nei confessionali o dietro alle rotondità delle colonne della chiesa, e ogni volta li sapeva sempre “mettere a postoinducendoli a ordine e ragione”… senza però procurare danni e vittime innocenti intorno. In realtà era un buon uomo un po’ bacato mentalmente, che però non avrebbe fatto del male a una mosca, figuriamoci alle persone … Sapeva inoltre mantenere pulita “a specchio” la sua chiesa e gran parte dell’attiguo Monastero dove abitava senza pretendere nulla in cambio se non un tetto sopra la testa, un pagliericcio dove stendersi, e qualcosa da mettere nello stomaco. Era entusiasta e meticoloso in tutto ciò che faceva, e riteneva di prestare un “servizio buono a favore della società”.
“Piss ! Piss ! … Ne ho beccato un altro !” lo sentivi esclamare ogni tanto in fondo alla chiesa semideserta o nel bel mezzo di una Messa ... Era lui che “andava a scovare e sparare”. Nessuno dimostrava di farci caso a quell’uomo “un po’ singolare”… anche perché in fondo c’erano in giro “spiriti dannosi” in meno.
A volte i risvolti negativi di quel tipo di gestionedel lavoro e dell’assistenza in maniera eccessivamente “religioso-ecclesiastica”erano evidenti. All’interno non solo dei Manicomi, ma anche di tante case di cura e ospedali gestiti dai Religiosi era sconsigliato se non proibito: sposarsi, partorire, fare sesso, accudire figli e una famiglia … Venivano considerate come l’altra faccia della medaglia, tabù da contenere ed emendare se non condannare, occupazioni a cui non soggiacere.
“Se ti scoprivano incinta ti licenziavano … “Non ti sposare ! … Rischi di perdere il posto.” mi dicevano le amiche colleghe … e queste espressioni le ho sentite anche in diretta dalle Suore quando ho lavorato nelle Isole dei Matti … Ci sono state donne che hanno tenuto nascosto il pancione il più possibile, fino all’ultimo momento … e a volte anche di più, talvolta troppo…”
E’ questa una piccola eco presente forse ancora per poco di quel mondo e di quel “modus operandi” ormai scomparso quasi del tutto (per fortuna)… ma che è esistito davvero a lungo.
Le Isole dei Matti erano parte integrante dell’Isolario Veneziano che per secoli è stato una realtà molto viva, utile e dinamica che ha cinto la realtà di Venezia Serenissima come una collana.
Sapete bene che un tempo un buon numero di isole formava una specie di “cordone Sanitario Lagunare” costituito da Lazzaretti, isole di contumacia e isolamento, Sanatori, e appunto anche Manicomi. Conoscerete di certo la storia e le vicende del Lazzaretto Nuovo, del Lazzaretto Vecchio, San Lazzaro degli Armeni, Poveglia, Sacca Sessola, La Grazia, San Marco e Santa Maria in Boccalama, e appunto San Servolo e San Clemente: ossia le dueIsole dei Matti.
Oggi non più, perché molte isole sono ridotte davvero male. Solo qualcuna si sta “risvegliando” dall’abbandono totale assumendo ruoli e destinazioni talvolta effimeri come è accaduto di recente a certi Hotel e Resort di lusso dalla vita breve.
Il delicatissimo tema della Pazzia e della Salute Mentale è un argomento ostico che ha coinvolto e interessa ancora oggi una larga fascia di persone che finiscono col vivere stagioni della loro esistenza drammatiche oltre che tristi. Non è che di vite ne possediamo tante, perciò pensare che qualcuno possa macinare ed esaurire la propria in una maniera così difficile e sofferta non induce di certo a pensieri ottimisti e allegri. La pazzia, come la demenza sono uno status esistenziale, una malattia inquietante che spesso rendono la vita davvero tormentata. Un tempo poi … quando non esistevano certi ritrovati farmaceutici e psicologici: diventava proprio un dramma nel dramma.
“Oggi ufficialmente i Manicomi sono stati chiusi e non esistono più, ma per questo non è che non esistano più i matti: vivono insieme a noi, li abbiamo in casa e per strada ... anche se fingiamo spesso che non esistano, e preferiamo calare su di loro un velo d’indifferenza e silenzio oltre che di paura tenendoli il più possibile a distanza.” mi ha raccontato una donnetta quasi consumata che ha lavorato gran parte della sua vita nelle “isole dei Matti”.
E’ vero ! … Anni fa ho conosciuto un uomo che guardava spesso il Sole in Cielo… L’osservava tutti i giorni in continuità, e continuava a guardarlo anche dopo aver trascorso diversi terribili periodi nell’isola Manicomio di San Servolo. Dentro a quel Sole vedeva ruotare un sacco di misteri e suggestioni, e mi ha raccontato più volte che neanche le “scariche elettriche” erano state capaci di spegnere quelle “voci, quelle visioni e quei messaggi”che lui sentiva e avvertiva anche nei corridoi e nelle stanze dalla luce azzurrognola che aveva abitato nell’isola.
Ho conosciuto anche una donna un po’ “particolare”. Costei, invece, amava all’inverosimile i suoi coniglietti… Li disegnava di continuo, ovunque e in tutte le forme e colori, anche quando è stata a lungo internata e ospitata nel Manicomio di San Clementein isola. I suoi coniglietti non erano sogni, erano reali perché erano i suoi figli e le sue figlie a cui voleva un mondo di bene, forse troppo … tanto bene quasi da volerli mangiare e scorticare e cucinare come si faceva con i coniglietti veri … Mi ha raccontato che anche lei era stata in fondo una “coniglietta vera” perché in effetti di figli e figlie ne aveva partoriti e persi davvero tanti: una vita intera trascorsa quasi sempre col pancione dell’attesa.
Sia per l’uomo che per la donna che ho conosciuto, andare nelle “Isole della Pazzia” era stato quasi come andare in gita, un diversivo, perché di fatto non erano mai usciti entrambi dalla loro isoletta natia se non per recarsi a lavorare. Lui in un’altra isola poco distante: quella del vetro, Murano ... e lei neanche in quella perché era rimasta sempre nella sua colorata isoletta di Burano.
“Poi improvvisamente con la legge così detta: Basaglia da un giorno all’altro i Matti sembrarono non esistere più, i Manicomi vennero chiusi in fretta e furia, e li hanno messi tutti per strada.” continua a raccontarmi l’anziana accudiente pensionata delle Isole dei Matti, “ … e così non fu più chiaro se erano stati i Matti ad uscire fuori, o se fossero stati tutti gli altri ad essere compresi dentro.”
Uno degli ultimi Infermieri a lavorare nelle Isole dei Matti ha scritto: “Da quella legge derivò di certo una grande ventata di Libertà e Giustizia nei riguardi di coloro che sono stati costretti molte volte anche ingiustamente a patire e non poco nelle ristrettezze ottuse di quei luoghi … Ma ne è derivata anche una notevole confusione su quello che doveva essere il futuro esistenziale di un certo tipo di malati e di persone ... Ma ormai quel che è stato deciso era fatto, ed entrambe le isole di San Clemente e San Servolo sono state destinate a un inesorabile quanto veloce destino di abbandono, saccheggio e rovina … cosa che è durata fino ai giorni nostri.”
“Saranno state anche le Isole dei Matti, ma per me erano anche due belle isole …” mi dice ancora la pensionata allettata, “Quando erano funzionanti, pulite e tirate a lucido erano paradisiache con certi tramonti stupendi in mezzo alla Laguna … Per me sono state quasi una casa di famiglia, perché ci ho vissuto a lungo e mi sono affezionata a quei posti … e anche a quelle persone sfortunate … Ai miei tempi si lavorava giorno e notte, e si viveva lì in isola … Tornavo a casa mia una volta al mese … se andava bene ... Lavoro era lavoro, si lavorava e basta … e a quei tempi, come oggi, era importante portare a casa un po’ di soldi per mettere su pignatta e far studiare i figli … ”
La Storia purtroppo sta obnubilando e passando sotto silenzio tante vicende vissute. Come rullo compressore gigantesco appiana e offusca tutto e tutti, perciò si stanno ormai assopendo e cancellando gli ultimi racconti e le memorie di chi ha vissuto direttamente nelle Isole dei Matti.
“Siamo riusciti alla fine a far aprire in isola un piccolo bar, uno spaccio interno quasi autogestito con quattro generi in tutto e qualche carabattola … Si poteva fare insieme una partita a carte, e comprare le sigarette … che fumarle era un po’ lo sport nazionale dei Matti di San Servolo … Era spesso una delle poche scuse per riuscire ad agganciarli e attaccare con loro …”
Sembra un fiume in piena la nonnetta, quasi desiderosa di dire e far uscire all’aperto tante cose.
“Le Suore delle Isole dei Matti erano risparmine oltre che ticchignose … come formichine tiravano su tutto …come se tutto fosse sempre questione di vita o di morte … Quando se ne sono andate hanno trovato gli armadi pieni di roba nuova fiammante, mai usata … mentre i malati andavano vestiti da straccioni … Ma andavano puliti lo stesso perché ci pensavamo noi a tenerli mondi ficcandoli in certa vasche con certi disinfettanti e saponi … Qualche volta bisognava mettersi in tre o quattro per costringere a lavarsi quelle che avevano paura dell’acqua … Ma alla fine erano contente anche loro, si sentivano meglio … e ci fumavamo insieme quella benedetta sigaretta …”
Sorride … come se rivedesse oggi di fronte le facce e le scene.
“A San Servolo si accoglievano i Matti da più di 250 anni ... Avevamo anche un forno, la tipografia, l’officina meccanica, la cucina, il guardaroba … e c’era perfino un mulino per favorire il lavoro manuale dei ricoverati … Si provava a lavorare il terreno dell’isola anche a San Clemente … La chiamavano: ergoterapia, per provare a reintegrarli … Ma non serviva a granchè … erano intontiti, e non avevano grande voglia di fare … Alcuni matti mi facevano anche ridere perché tiravano “la macumba” alle Suore e agli altri ... Chiamavamo “Il Vaticano” i luoghi della Direzione e degli Uffici Amministrativi dove abitavano i Medici, le Suore e il Cappellano di San Servolo ... Nel 1978 gli ultimi che non li voleva nessuno o che avevano perso tutti, e che non si potevano liberare lasciandoli soli sono stati trasferiti nella Colonia agricola del Pancrazio di Marocco …”
Ovvio che finisco col chiedere di certe cose, e lei tranquilla continua a raccontare come un libro aperto:
“Certo che è vero ! … A San Servolo soprattutto con la gestione del Fattovich si facevano sempre le Necroscopie: “Bisogna aprirli tutti … Tutti !” mi hanno detto che ripeteva sempre Fattovich che era Anatomopatologo … e c’erano due tre Infermieri che erano specializzati in questo genere di cose … in cambio non prendevano soldi, ma riposi-premio in più ... Sì … Si faceva anche la terapia elettroconvulsivante preceduta negli ultimi tempi dalla preparazione col curaro … Si usava anche per punizione e per calmarli … e si faceva spesso “a vivo” senza anestesia e preparazione … Ma facevamo anche altre terapie, come la solfoterapia e l’insulinoterapia usate per spegnere e calmare facendo insorgere la febbre o mandando in coma gli sfortunati pazienti …”
Oggi si può visitare l’isola di San Servolo anche con visita guidata, ed è addirittura sorto un Museo della Pazziao del Manicomio, e un Centro Studi che si prefigge di conservare il patrimonio culturale non indifferente che ha caratterizzato la presenza e il trattamento della Pazzia a Venezia e in Laguna negli ultimi secoli.
La tradizione della reclusione dei Matti nelle isole della Laguna, infatti, è parecchio antica perché per secoli la Serenissima ha praticato l’usanza di “relegare in isola” chi era affetto da Pazzia o si considerava tale. A dire il vero, ancora fino a qualche decennio fa non era chiaro quali fossero i termini, i contenuti e i limiti della vera Pazzia, perciò esisteva una grande confusione e fraintendimento e una terribile ignoranza al riguardo ... Una confusione a volte di comodo, perché più di qualche volte si finiva col spedire in isola le “persone scomode” di cui ci si voleva liberare.
Le cronache Veneziane antiche raccontano al riguardo di come alcuni Nobili Veneziani non si sono fatti scrupolo di utilizzare le Isole dei Monaci e delle Monache per realizzare in più di un’occasione i loro tristi disegni. Segregavano nelle isole della Laguna con l’accusa infondata di pazzia le mogli scomode sostituite da amanti giovani e focose. Mi ha molto impressionato, ad esempio, il racconto riguardante una Nobildonna reclusa dal marito potente Senatore della Serenissima in un’isola di Monaci che è finita col suicidarsi gettandosi ad annegare all’alba nelle acque fangose della Laguna. Si racconta di come i Monaci l’avessero vista buttarsi di sotto dalle finestre, e l’abbiano deliberatamente ignorata e lasciata fare coerenti col mandato del loro Nobile e generoso Benefattore. Finchè l’acqua montante dell’alta marea ha ricoperta la donna del tutto lasciando galleggiare a lungo in superficie il suo camicione bianco di stoffa ruvida. Il racconto raccapricciante conclude:“ … e alla fine è tornato a scendere sulla Laguna il silenzio ingoiando quel lamento sempre più flebile che finì col spegnersi del tutto ...”
Che destino tragico ! … Ma questo fu vero fino al secolo scorso, quando avevano ancora la mania e la smania facile di “mettere tutti dentro in isola”indistintamente … Tanto che le due isole erano sempre piene zeppe e abitate da centinaia di persone che non si sapeva e soprattutto non si voleva collocare altrove. Le due “Isole dei Matti” sono state quindi come delle vere e proprie cittadelle autosufficienti e organizzatissime, dove operava anche un piccolo esercito di sorveglianti e accudienti severi e dallo stampo militaresco.
Inizialmente le “Isole dei Matti” prima di diventare tali furono altro e diverse. All’inizio nelle ridotte terre circondate dall’acqua di San Servolo e San Clemente sono accaduti fatti curiosi.
L’isola di San Clemente apparteneva prima ai Canonici Agostiniani trasferitisi in seguito nel più centrale Monastero di Santa Maria della Carità(l’attuale Museo delle Gallerie dell’Accademia nel Sestiere di Dorsoduro). Al loro posto nell’isola dopo un periodo di declino e quasi abbandono sono giunti i Camaldolesi Eremiti(simili a quelli che vivono ancora oggi nel 2016 sul Monte Rua dei Colli Euganei). Per questo l’isola venne chiamata dai Veneziani: “San Clemente dei Padri di Rua o della Madonna di Loreto”.
L’isola di San Clemente ha avuto quasi per destino quello di ospitare “Reclusi di ogni sorta”. Infatti nei fascicoli, nelle buste, nelle carte e nei documenti dell’Archivio storico di San Clemente si definiscono i “Matti” lì ospitati ed accuditi: “Reclusi di San Clemente”.
L’isola sorge nella Laguna Sud di Venezia poco distante da quella da quella denominata “La Grazia o Le Grazie”… e attualmente (2016) sembra si stia cercando un nuovo acquirente per l’attuale San Clemente PalaceHotel(fallito) sorto di recente sull’isola dopo imponenti restauri.
La Storia racconta che l’isola risultava già abitata fin dal 1131 quando Pietro Getalesso o Gatiloso fece erigere una piccola chiesa con annesso Ospedale-Ospizio per ospitare soldati e pellegrini provenienti o diretti in Terrasanta. Era uno dei tanti posti “per allogare persone” che affollavano la Laguna e la città di Venezia: testa di ponte col suo Emporio di Rialto per il Levante economico e spirituale ultra Mediterraneo.
In seguito lo stesso Pietro Gattilesso tramite il Vescovo di Olivolo-Castello Giovanni III° Polano concesse, ossia vendette, l’isola-Ospizio al Patriarca Enrico di Grado, che a sua volta la diede in gestione perpetua ai Canonici Regolari di Sant’Agostino afferenti alla sua giurisdizione. Il motivo della cessione fu dettato dal fatto che l’isola si trovava troppo lontana dal cuore di Venezia, perciò era scomoda da raggiungere, e per questo poco utilizzata dai Pellegrini … Per questo si decise che era meglio trasformarla in tranquillo Monastero.
I Canonici di Sant’Agostino, infatti, costruirono una bella chiesa insieme al loro Monastero, e per dare un certo tono al complesso portarono in isola le Reliquie di Sant’Aniano(cose di cui a quei tempi Pellegrini e Veneziani andavano molto ghiotti e fieri) …e come segno di sudditanza al Patriarca di Grado ogni nuovo Priore eletto regalava allo stesso Patriarca: “un letto nuovo fornito d’ogni bona guarnizione”… cosa che dal 1337, venne tramutata in più pratici ed equivalenti 4 ducati d’oro in contanti da sporgere al Patriarca:“directa manu”.
Nonostante tutto questo, l'isola ben presto perdette la sua importanza incappando in una lunghissima stagione di decadenza economica soprattutto a causa della scarsezza delle donazioni, dei testamenti, dei lasciti e delle elemosine a suo favore. Allora per rivitalizzarla si provò all’inizio del 1400 ad attivarvi un mulino ad acqua ... ma non fu sufficiente neanche quello, perciò i Canonici di Sant’Agostino abbandonarono l’isola sostituiti dopo un trentennio d’assenza totale dai Canonici Lateranensi inviati lì dal Papa veneziano Gabriele Condulmer. I Lateranensi a loro volta iniziarono entusiasti col modificare il Convento, edificarono un chiostro con doppio ordine di colonne, restaurarono del tutto la chiesa riedificandone la facciata ad opera della prestigiosa Bottega dei Lombardo ... ma ebbero anche loro poca fortuna, perciò l’isola se la prese la Serenissima che la utilizzò per offrire ospitalità a regnanti, ambasciatori e visitatori illustri di passaggio a Venezia ... oppure iniziò ad usarla come luogo riservato e recondito di cura e ospitalità coatta per Nobilhomeni o Nobildonne Patrizi colpiti da malattie infettive, sconosciute … o scomode come le alterazioni mentali.
Si racconta che fu probabilmente proprio uno di quegli ospiti illustri di passaggio a Venezia a portare in Laguna la devastante peste del 1630 che distrusse gran parte della popolazione di Venezia portando la Serenissima al tracollo socio-economico.
Le Cronache Veneziane del tempo raccontano di folle di popolani e contadini affamati e macilenti provenienti dalla Terraferma, dal Friuli, dal Trevigiano e dalle isole che raggiungevano ad ondate successive la Laguna aggiungendosi al numero già elevato degli sbandati presenti da tempo in città. Si parlò di più di 5.500-7.000 persone che abbandonarono terreni, campi, bestie e case lasciando tutto incolto per riversarsi in massa a Venezia.
Il Governo della Repubblica tentò prima di sistemare i “Poveri vergognosi e i Nobili decaduti” che non avevano il coraggio di mendicare pubblicamente ... Poi i Provveditori alla Sanità stanziarono 4.000 ducati, vennero allertati i Piovani e i Capicontrada invitandoli ad aiutare a domicilio le categorie più bisognose … Il Patriarca da parte sua esortò Preti, Monache e Religiosi a concorrere a quella Pia opera ... e il Senato stanziò ancora a più riprese: 2.000 ducati, poi altri 5.000, e ancora altri 5.000 per provare a nutrire e sostentare tutta quella massa ingestibile e sfuggente ... Si nominarono anche Tre Nobili Provveditori per governare quell’imponente esodo … Si acquistarono 6.000 staia di miglio e grano per affrontare la carestia, e anche l’Ospizio di San Clemente venne utilizzato al pari di tutti gli altri ricoveri e Lazzaretti lagunari per ospitare quella fiumana di sprovveduti e malati in condizioni igieniche e sanitarie pietose. (sembra la descrizione dello scenario del Mediterraneo odierno).
Ancora nell’ottobre 1631 nei Lazzaretti Vecchio e Nuovo e nell’isola di San Clemente erano distribuite 585 persone tra malati e convalescenti, e fra costoro c’erano anche 12 Pizzegamorti posti in contumacia preventiva. A metà novembre dello stesso anno si continuava a seppellire morti, e solo a fine mese si dichiarò finalmente conclusa la stagione della pestilenza. Alla fine dell’epidemia, come era ormai costumanza dei Veneziani devoti, si costruì nell’isola di San Clemente per volontà e finanziamento di Francesco Lazzaroni Piovano della Contrada di Sant’Angelo di Venezia una particolare Cappella a imitazione delle forme della Santa Casa del Santuario Mariano di Loreto in Abruzzo.
Dopo tutto questo travaglio l’isola di San Clemente era ridotta a sfacelo e rovina, perciò la Serenissima nel 1644 autorizzò i Canonici Lateranensi della Carità a vendere il poco che rimaneva della chiesa e del Convento. I nuovi acquirenti giunti l’anno seguente furono come dicevamo i Camaldolesi della Congregazione di Monte Corona provenienti dal Monastero di Monte Rua sui Colli Euganei. Costoro si tirarono su le maniche, e piano piano restaurarono di nuovo la chiesa rivestendone la facciata di pietra a vista e marmo rosso di Verona. Inoltre prolungarono le absidi, ingrandirono il transetto costruendo la Cappella del Santissimo ad opera di Baldassarre Longhena(l’architetto del magnifico tempio della Madonna della Salute), e ampliarono l’intera isola circondandola di mura, costruendo 17 caxette per i Monaci secondo l’uso del loro Ordine, e una nuova Biblioteca risanando per intero l’isola e il Convento.
Pagarono i restauri il Senatore e Capitano di Galea Francesco Morosini del Ramo Nobile della Sbarra di Santa Maria Formosa e il figlio Tommaso Capitano di Galeone sepolti entrambi in apposita arca in chiesa facendo inserire in facciata insieme alle statue di San Romualdo e San Benedetto anche diversi epitaffi celebrativi e lo stemma dorato della Nobile famiglia. Il complesso progetto venne commissionato ad Andrea Comminelli Tagiapiera-Architetto residente in Calle dei Cerchieri in Contrada di San Barnaba in Venezia, e affidato poi al Tagjapiera Antonio Moreschi, e al Murer Francesco di Majno Sardi fratello di Antonio padre del celebre Giuseppe Sardi.
I Monaci Camaldolesi spesero più di 840 ducati pagandoli a metà in contanti anticipati di 100 ducati e rate successive mensili di 30 ducati, e l’altra metà in farina e vino buono.
Ancora nel luglio 1716 il Proto Andrea Tirali percepì dai Monaci 169 ducati per rifabbricare alcuni muri perimetrali del Monastero ... nel settembre 1729 ne percepì altri 1.040 per la lavanderia e l’ulteriore sistemazione della Nuova Libraria … Nel febbraio 1743 il Proto Giovanni Scalfurottopercepì 1.000 ducati per restaurare la Casa di Loreto dentro alla chiesa dell’isola ... e nel maggio 1750 il Patriarca Alvise Foscari consacrò la chiesa rinnovata e l'isola divenne anche Penitenziario per Sacerdoti colpiti da gravi sanzioni, oltre che Polveriera della Serenissima che rimase attiva fino a metà 1800.
Nel giugno 1769 un Decreto del Senato della Serenissima applicato da Alessandro Duodo ridusse i 16 Ordini dei Monaci e Frati Regolari del Veneto sopprimendo in pochi anni 127 Conventi. I 5.799 Monaci e Frati Regolari divennero progressivamente 3.380 distribuiti in 295 Conventi di cui 108 fra Veneto e Friuli. I Camaldolesi di Monte Corona presenti a San Clemente in isola come loro sede principale subirono la riduzione dei propri Eremiti da 110 a 76 membri.
E venne la fatidica caduta della Repubblica nel 1797: Convento e Chiesa vennero soppressi e abbandonati dai 10 Camaldolesi rimasti: “... Restarono due Eremiti per prestare soccorso in caso di burrasca ai naviganti e ai bastimenti d’acqua dolce presenti in Laguna”.
A dirla tutta, dei 3.115 libri patrimonio della Biblioteca-Libraria dei Camaldolesi Eremiti di San Clementein isola: solo 4 vennero dati alla Biblioteca Marciana mentre tutti gli altri vennero venduti e dispersi (e poi qualcuno mi viene a dire che in fondo Napoleone non ha fatto niente di male ?). All’atto della soppressione i Religiosi dichiararono d’essere impossibilitati di deporre l’abito Monastico non per ragioni di principio ma in quanto mancavano di mezzi economici per procurarsi normali abiti civili ... Ma fu ininfluente, e dovettero sloggiare alla svelta lo stesso.
L'isola divenne proprietà del Demanio, mentre con gli Austriaci San Clemente divenne Presidio Militare … Nel 1817, “per sovrana imperiale munificenza ed aulico dispaccio apposito” l’Austria provvide ad accordare una somma di lire 600 annue al Rettore della chiesa dell’isola di San Clemente che doveva continuare a celebrare in isola le 144 Messe Perpetue e 6 Anniversari pagati da secoli dai Veneziani Nobili, aggiungendovi un aumento per il fatto che lo stesso doveva assoldare ogni volta un gondoliere-barcarolo per recarsi fino a Venezia. Viceversa il Sacrestano della chiesa dell’isola di San Clemente usufruì dagli Austriaci di una sovvenzione di 400 Franchi annui.
Poco più tardi nel 1834, essendo già l’isola destinata a luogo di “Ritiro per Sacerdoti”, vennero lì reclusi 12 Sacerdoti “sospesi dalla Messaper cause politiche” provenienti da varie Diocesi del Veneto. Infine nel 1855, il Governo Austriaco decise di instaurare nell’isola di San Clemente il Manicomio Centrale Femminile delle Provincie Venete e tre anni più tardi tutti gli edifici dell'isola vennero demoliti ad eccezione della chiesa. A San Clemente vennero ospitate tutte le donne malate di mente che non potevano essere alloggiate nella vicina isola di San Servolo ... e si provvide ad imbonire parte della Laguna circostante l’isola per ottenere ulteriori spazi coltivabili utili per il sostentamento economico del nosocomio con i suoi “ospiti reclusi”.
Alla fine del 1880 sbarcarono sull’isola per gestire il manicomio femminile: 18 Suore di San Vincenzo de’ Paoli ... e fra 1930 e 1936 la Provincia di Venezia restaurò arredi e dipinti della chiesa e le strutture dell’isola nominandola: Ospedale Provinciale Psichiatrico e Cronicario per uomini e donne. Nel non lontanissimo 1962, i posti letto di degenza e ricovero disponibili nell’isola di San Clemente erano: 330 per i maschi e 580 per le femmine!
E passiamo all’altra “Isola dei Matti” ossia San Servolo o San Servilio ... Un tempo i Veneziani dicevano per indicare un pazzo o almeno una persona confusa: "Ti ga in testa do campanili che sòna ore diverse come a San Servolo".
Sembra che inizialmente esistesse già nell’isola una chiesetta dedicata a San Cristoforo o forse a Santa Cristina. All’inizio dell’800 i primi Monaci Benedettini che l’occuparono decisero di costruirne una nuova dedicandola a San ServilioMartire di Trieste del III secolo. Subito dopo a causa delle ristrettezze degli spazi “infra paludes” una parte dei Monaci con l’Abate Giovanni si trasferì a Sant’Ilario di Fusina in una terra donata dai fratelli Agnello e Giustiniano Partecipaziodove c’era già una Cappella dedicata a Sant’Ilario. Sant’Ilario diverrà una delle realtà Monacali più famose, ricche e potenti delle Lagune e dell’Entroterra della Serenissima.
Di certo prima dell’anno mille in isola si rifabbricò tutto di nuovo, e i Monaci guidati da un Priore si susseguirono finchè più di un secolo dopo presero il loro posto alcune Monache Benedettine guidate dalla Badessa Vita Marengo provenienti dal Convento dei Santi Leone e Basso di Malamoccodistrutto da uno spaventoso maremoto ... o più semplicemente dalla normale subsidenza dei territori lagunari e pericostieri inghiottiti dal mare Adriatico.
“Il Doge Sebastiano Ziani e suo figlio Pietro Conte di Arbe aiutarono la neonata comunità di San Servolo con i proventi di alcune case, terreno ed osteria che possedevano a Rialto nella Contrada di San Giovanni Elemosinario … così le Monache poterono costruirsi un nuovo Coro Pensile e “una roda accanto alla finestra per comunicar” per aprire così la clausura verso l’esterno … e le Monache si ritrovarono a gestire a distanza un’osteria frequentatissima da marinai e prostitute, per le cui rendite in cambio s’impegnarono a celebrare in perpetuo una Messa ogni anniversario della morte di Pietro Ziani, una ogni aprile per suo padre il Doge Sebastiano, un’altra nel giorno di San Giorgio per la madre Troige, una nel giorno di Santo Stefano per il fratello Giacomo, e infine una a metà di agosto per la sorella Mabiliota Ziani ...”
A metà del 1400 il Monastero di San Servolo si trovava al tredicesimo posto per importanza nella lista dei dichiaranti dei redditi fondiari in quanto possedeva quasi 400 campi nel Padovano ... e nel 1564 nell’isola-Monastero risiedevano 60 ricche Monache Benedettine ... tanto che qualche anno dopo il Patriarca Priuli in Visita decretò di allontanare entro 3 giorni i cani personali di razza tenuti nel Monastero … e richiamò le Monache perché si portavano via gli avanzi dal Refettorio comune per tenerli in stanza propria condividendoli con le amiche … Inoltre il Patriarca le rimproverò per: “…la vana ed indecente abitudine delle Monache di chiamarsi l’un l’altra Signora … e per il molto dannabile abuso delli donativi eccessivi che si sogliono fare alle novizze secolari sotto pretesto che anco esse fanno altri donativi alle Monache …” E circa le educande “ospitate a spese” nello stesso Monastero lo stesso Patriarca comandò: “… le figliole che saranno per tempo a spese fatte che sono Novizze siano mandate a casa loro et non si permetta che stiano in Monasterio vestite da maridate, né li mariti le vengano a visitare con scandalo alle finestre … et se li parenti non mandaranno a tuor quella fiola che sarà maritata, l’Abbadessa la debba metter in gondola et mandarla a casa dei parenti sotto gravi pene ad arbitrio di sua Signoria …”
Le Monache rimasero nell’isola di San Servolo fino al 1615 quando a causa del degrado degli edifici si trasferirono nel Convento di Santa Maria dell'Umiltà di Venezia lasciato a lungo libero fin dal 1606 dai Gesuiticacciati via per rimostranza dalla Serenissima dopo l’Interdetto affibbiato su Venezia dal Papa … Giunte lì le Monache si confermarono nel loro “andazzo”come ricorda fra 1620 e 1628 una delle nove sentenze lanciate dal Patriarca Tiepolo verso le Monache, diretta proprio contro tre monache provenienti dall’isola di San Servolo ree di intensi colloqui notturni con uomini di passaggio: “… bisogneria che ghe fosse fatta la guardia la sera e la mattina: perché ghe se’ delle donette de ogni sorte che ghe vien, et sono la rovina de quel Convento, puttane, ruffiane e strighe.” Così come nel 1626 si denunciò la prostituta Anzola per le sue troppo frequenti visite al Parlatorio delle Monache provenienti da San Servolo: “… parlava con le Madre bonome Muneghe in ditto Monasterio e fava molti bagordi come rider forte come fano queste putane…”
Nel 1647 circa 200 Suore approdarono a Venezia in fuga da Candia attaccata dai Turchi, perciò vennero sistemate nell’isola di San Servolo con una sovvenzione della Serenissima di 1.500 ducati annui. In isola il loro numero diminuì progressivamente come testimoniò Coronelli nel suo “Isolario” del 1696-1697 descrivendo l’isola come quasi disabitata. Infatti il 4 giugno del 1716 il Senato fece trasferire le ultime due anziane Monache Candiotte rimaste e iniziò ad utilizzare i locali del Convento come sede dell’Ospedale della Militia. Vi ospitò 400 feriti che confluirono a Venezia dai luoghi degli scontri con i Turchi, e poco tempo dopo si aggiunsero anche alcuniMarinai benemeriti, alcuni Mozzimandati dal Magistrato della Sanità, nonché i primi “folli” che di solito venivano ospitati e rinchiusi dentro a una “fusta disalberata ancorata in mezzo alla Laguna …nel luogo dove i galeotti imparavano a remare”.
“… siano provisti 12 capotti, 12 abiti da inverno, 12 para calze e scarpe per esser disposti in vestir mozzi, stiano in deposito appresso i Padri Direttori dell’Ospedale di San Servolo ... Provista suddetta sia risarcita col tratto loro paghe a norma spedizioni sia rinnovato deposito …” decretò il Senato riguardo ai giovani Mozzi da formare e poi imbarcare sulle Galee per il Levante e la guerra.
Dall'Archivio di San Servolo sembra che il primo “vero pazzo maniaco”: ossia Lorenzo Stefani Patrizio Venezianosia stato segregato ufficialmente nell’isola di San Servolo per ordine del Consiglio dei Diecinel 1725 quando l’isola passò sotto la direzione di quattro Religiosi Ospedalieri e Speziali di San Giovanni di Dio detti Fatebenefratelli provenienti da Milano che nel tempo divennero dodici. Sette anni dopo a San Servolo venne ospitato e rinchiuso il secondo“vero matto”, e dopo altri sei anni un terzo, e altri ancora nei decenni seguenti ricoverandoli a spese delle famiglie ... Intanto le Cronache dell’Isola ricordavano di: restauri del tetto del vecchio convento … della costruzione di una nuova Cavana … dello scavo di un canale d'approdo e del completamento del chiostro … della realizzazione della SpezieriaNova fronteggiata da un portico, sopra il quale vennero costruite nuove camerette con scale e corridoi d'accesso affrescati da Giambattista Crosato. La Spezieria di San Servolo provvedeva anche l’isola di San Clemente, e fu “Farmacia Pubblica dei Forti e delle Milizie della Serenissima” che riforniva gli Ospedali e i Dispensari delle roccaforti militari di Chioggia, Zara e Corfù… e in seguito divenne anche “Farmacia Generale” incaricata di preparare i farmaci gratuiti destinati alle Trenta Fraterne dei Poveri di Venezia.
I Notatori del Gradenigo raccontano nel 1759: “… venne abbattuto il vecchio campanile e atterrata l’antica chiesa dell’isola di San Servolo costruendone una nuova alquanto più piccola a pubbliche spese, stante il pattuito accordo di 12.000 ducati su progetto di Tommaso Temanza.”
E poi ancora: si ultimò l'esterno della Chiesa … Iacopo Marieschi affrescò il soffitto del Presbiterio e dipinse una tela ottagonale per il soffitto della navata … si prolungò del doppio fino alla Laguna a est la grande Infermeria aggiungendo locali per convalescenti, pazzi e mozzi, e abitazioni per ortolani e lavanderie ... e si aggiunsero altri altari in chiesa facendo dipingere le loro pale. Si ripararono gli edifici dai danni di un incendio, si ampliò la Libraria, si rinnovò la ghiacciaia, s’istituì annesso alla Spezieria un Gabinetto di Fisica e Storia Naturale… e si rinnovarono officine e lavanderia, applicando in giro pesanti e robusti cancelli e inferriate.
Un documento della Serenissima del 1788 recitava testualmente: “… siano raccolti non minori di anni 12 dal ceto vagabondi, abbandonati dai genitori, che vivano inutili senza educazione e impiego, che girino per le piazze, dormino sulle strade e nelle barche, perduti ne vizzi, siano rettenti in ogni luogo e tempo … dal Capitano retenuti, siano posti nelle prigioni, dopo 3 giorni al più, riconosciuti abili, passino a San Servolo … esclusi tignosi e quelli che avessero brose di cattivo carattere tendenti alla tigna, quelli che avessero ernie, li ciechi da un occhio o mutilati … i rognosi siano curati. Durante la loro stazione a San Servolo abbiano libbre 1 biscotto e soldi 8 al giorno … si distribuiscano a dormire nell’Ospedale, siano ammaestrati nel punto di Religione … a cadauno mozzo volontario siano pagate lire 32, e per il trasporto in Levante lire 12,8…”
L'ultimo doge di Venezia, Lodovico Manin, destinò un lascito di 50.000 ducati per la cura dei pazzi furiosi di Venezia … e nel 1797 presso l'Ospedale di San Servolo vennero ricoverati a carico del pubblico erario tutti i così detti “malati di mente”: ossia tutti i pazzi tolti definitivamente dalle varie fuste ormeggiate in giro per la Laguna, i carcerati nell’isola di Santo Spirito e tutti i pazzi girovaghi catturati per la città e la Terraferma. L'isola divenne anche Ospizio dei Regi Capi di Poliziae degli ex Veneti Invalidi nonchè Luogo d’ospitalitàper i malati delle truppe Francesi.
Con l'occupazione degli Austriaci l'ammissione e la dimissione dei pazzi dalle isole di San Clemente e di San Servolo divenne piuttosto che un fatto clinico, un evento gestito dalla Poliziache classificava “i matti” nei propri registri in tre classi distinte: maniaci, imbecilli e dementi. La struttura sanitaria di San Servolo venne dichiarata dal Regio Governo Imperiale: Manicomio Centrale d'ambo i sessi delle Provincie Venete: Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Udine, Venezia, Verona e Vicenza nonchè della Dalmazia e del Tirolo, e rimase attiva come tale fino al 1874.
Alla fine del 1808 quando la chiesa dell’isola venne arricchita con un organo Nacchini proveniente dalla chiesa di Santa Maria del Pianto e col pavimento e alcune balaustre recuperati dalla soppressa chiesa dei Santi Marco e Andrea di Murano, l’Ospedale Militare di San Servolo venne chiuso e trasformato l’anno seguente in Ospedale dei Piagati istituito per benefica volontà dalla Nobildonna Anna Vendramin Loredan che offrì notevoli rendite per il “mantenimento di numero sessanta poveri schifosi, vaganti per la città”. I militari infermi vennero trasferiti nell'Ospedale della Veneta Marinaa Sant’Anna e a San Servolo giunsero 32 uomini e 29 donne piagate provenienti dall'Ospedale degli Incurabili sulle Zattere affacciato sul Canale della Giudecca … Più tardi il Medico Frate e Direttore di San Servolo Prosdocimo Salerio scriveva a metà 1800 che non riusciva a dimettere i malati per le miserevoli condizioni delle famiglie di Venezia e del Veneziano ... L'isola in cui c’erano 299 malati tra uomini e donne(di solito circa la metà dei Pazzi usciva “guarita” e l’altra metà: morta) venne più che raddoppiata in superficie prolungandola verso l’isola di San Lazzaro degli Armeni … Si costruì un nuovo alto muro di cinta nella nuova sacca, e si realizzano consistenti lavori di restauro degli edifici ... Negli stessi anni nell’isola giungevano circa 550 “Piagati” all’anno di cui più di 500 uscivano risanati e una trentina finivano: “esitati”.
I Frati Fatebenefratelli rimasero alla direzione del Pio Luogodi San Servolo fino al 1902 quando la cura della chiesa e dei malati venne affidata a un Cappellano. Il 27 novembre dell’anno precedente una Commissione inviata dal Consiglio Provinciale di Venezia guidata dal professor Ernesto Belmondoaveva ispezionato per tre ore lo Stabilimento Manicomiale dell’isola di San Servolo diretta dal Priore Camillo Minoretti Frate dei Fatebenefratelli: “ … si rilevano anomalie, inumanità e disordini … Non solo violate flagrantemente le regole più elementari della igiene e della pulizia, ma fatto abuso di mezzi di contenzione banditi da oltre un secolo, da tutti i Manicomi, veri strumenti di tortura, laceratori delle carni dei poveri infermi, taluni dei quali, orribile a dirsi, da anni e anni giacevano in ceppi … Tutto fu trovato in questo stabilimento condannevole, dalla deficienza della cura medica alla sconveniente assistenza da parte degli Infermieri, dalla scarsezza del nutrimento allo abbandono completo di ogni più elementare norma imposta dalla tecnica manicomiale.”
Dei 608 ricoverati presenti al momento dell’ispezione, 67 “poveri mentecatti” risultarono maltrattati e legati con severi mezzi di contenzione. La relazione dell’ispezione procurò uno scandalo nazionale con promulgazione di nuove leggi sui Manicomi, l’anno seguente il Direttore e Priore Minoretti venne licenziato, e due anni dopo i Frati Fatebenefratelli vennero espulsi definitivamente dall’isola di San Servolo accompagnati fuori dalla forza pubblica. Il Manicomio di San Servolo venne affidato insieme a quello di San Clemente a un’Opera Pia dei Manicomi.
Nel 1917 Wagner Von Jauregg osservò a Vienna che le crisi febbrili facilitavano la ripresa nelle paralisi progressive, perciò propose di iniettare la Malaria Terzana anche ai Pazzi per provocare un ciclo di ripetute febbri secondo lui stimolanti e curative per il cervello. La cura venne applicata anche nell’isola di San Servolo fin dal 1925.
Nel 1935, invece, e sempre a Vienna, ManfredSakelusò l’insulina per produrre negli schizofrenici e in altre psicosi uno stato precomatoso con crisi convulsive ... e anche questa “cura” venne utilizzata immediatamente nell’Isola di San Servolo … come quella dell’anno dopo, quando il Medico Cortesi iniziò a trattare 38 pazienti di San Servolo con un farmaco ideato da Ladislas Von Meduna a Budapest capace di procurare ad alte dosi crisi convulsivanti considerate una specie di valido “reset cerebrale” per i poveri malati mentali. Infine nel 1938, Bini e Ugo Cerletti Psichiatra di Romavedendo ammazzare i maiali in un macello somministrando loro una scarica elettrica prima di sgozzarli, pensò bene che si potesse produrre “salutari attacchi epilettici” nelle persone con scosse elettriche transcraniche. Perciò s’inventò il trattamento elettroconvulsivante che venne considerato fin da subito un successo ... anche se soltanto dal 1960, quando nell’isola di San Servolo erano presenti ancora 190 maschi e 160 femmine, lo si utilizzo accompagnato da un’anestesia … Non a caso questo trattamento, l’ESH, venne soprannominato: “la terapia dell’agonia”, e fu utilizzato a lungo anche a San Servolo molto spesso come: “panacea automatica di ogni male e metodo sedativo”… e anche come azione punitiva simile alle docce ghiacciate usate in precedenza.
Sto terminando … Una Cronaca Veneziana del 1952 racconta di un curioso viaggio di andata e ritorno da Venezia a Cervignano del Friuli di un burcio (il Marco Polo di Chioggia)carico di 1.600 quintali di grano per il manicomio dell’isola di San Servolo. Fermatosi per strada per 5 giorni per mancanza di vento propulsore, venne scaricato a mano al suo arrivo in isola dagli stessi degenti del Morocomio… Nello stesso anno venne introdotto a San Servolo il primo psicofarmaco barbiturico: il “Largactil”associandolo all’elettroshock e all’insulinoterapia.
Dal 1968 il ricovero “degli uomini disgraziati” in Psichiatria divenne volontario e non più coatto, disposto dalla Magistratura o dal Tribunale Civile e Penale ma ancora iscritto nel Casellario Giudiziale come “delitto-ricovero”. Essere pazzi per l’evoluta società civile e la civiltà moderna era ancora considerato un reato … Per fortuna si era ormai all’epilogo, alla fine della Storia trista delle Isole dei Matti.
Nel 1972, a soli sei anni dalla chiusura definitiva, i due Ospedali Psichiatrici in isola di San Clemente e San Servolo occupavano un’area di 120.000 mq di cui 20.000 coperti da edifici ospedalieri capaci di ospitare ben 1.000 posti letto. I due Ospedali Specializzati davano lavoro a 24 Medici, 2 Farmacisti, 14 Suore di Maria Bambina, 372 Infermieri, 71 addetti ai servizi ed altri 100 Veneziani che provvedevano ai rifornimenti e alla manutenzione.
Poi dal 1978 più niente … finalmente … Sulle due Isole dei Matti: solo abbandono, qualche raro giardiniere … e poi più nessuno eccetto l’esuberanza ricoprente e cancellante della Natura ... e un mare di memorie di cui queste righe sono solo pallida eco e ricordo.