“L’INDIRIZZO DELLE FAVILLE …”
Veneranda Porta e Stefano Santini ... amanti omicidi Veneziani del 1780
Arsenalotti e poveri Marineri Capotèri e Strazzaroli de Venessia
La Casa dell’Arsenalera gestita e organizzata dalla Banca cioè daiPatroni dell’Arsenalche erano la mente direttiva e di governo della grande cittadella navale Veneziana … Questi “Capi”sovraintendevano alla costruzione delle Galee, alle Corderie e alle fabbriche d’armi … Erano dei Nobili Veneziani scelti dal Maggior Consigliocon un incarico solitamente di 32 mesi, avevano obbligo di risiedere nelle vicinanze della“Casa”, percepivano uno stipendio di 100-130 ducati annui“esenti da angheria”(tasse), ed erano coadiuvati da 2-3 Provveditoriscelti dal Senatocon incarico di 16 mesi ... Gerarchicamente inferiori e a diretto servizio degli stessi Patroni dell’Arsenale c’erano i Visdomini della Tanae gliAmmiragli, e una piccola folla di Capitani e Capi d’Opera, Revisori e Stimadori dei lavori eseguiti dalle Maestranze, e poi di: Proti e SottoProti dei Marangòni, dei Calafàti, dei Remèri, degli Alborànti, dei Tagjèri e Segadòri, dei Fabbri e dei Mureri… Tutti erano tenuti ad appuntare ogni gesto e attività su appositi Libri, Giornali e Quaderni dei Lavoriverificati mensilmente dai Patroni e dalle autorità della Serenissima.
“GIUDECCA FRA 1800 e 1900 … E ALTRO ANCORA.”
Interessante la probabile origine del toponimoCorti Grandidella Giudecca …Non sembra sia dovuto all’ampiezza delle Corti, bensì al fatto che lì abitava laFamiglia Cittadinesca dei Fugacci soprannominati “Grandi”... Si trattava di tre fratelli: Antonio, GianDomenico e Giorgiofigli dell'Avvocato Marco Grandi e di Cecilia Albanesi, che ottennero nel 1634 dalla Serenissima l'approvazione aCittadini Originari di Venezia in quanto erano nati e cresciuti nelle loro case situate “sulle Corti dei Grandi in cao de la Zueca” ...Raccontano ancora le Cronache Veneziane, che sempre nelle stesse “Corti Grandi della Giudecca”untempo si tenessero le famose“Cacce dei Tori” realizzate ogni anno in molti Campi Veneziani... Scriveva, infatti, Fabio Mutinelli nel suo “Lessico Veneto” del 1851: “Appeso nel campo un ornato pallone a segno della festa, bastava questo per divulgarne l'annunzio; intanto le famiglie agiate dimoranti sul campo mandavano inviti agli amici, le povere appigionavano le finestre, ed intorno al campo s'innalzavano gradinate di legno. Così disposte le cose, giunto il giorno, e il momento della festa, comparivano a suon di tromba nello stecconato i tori condotti da macellai e da Cortesani, che dicevansi Tiratori, i quali bellamente portavano brache di velluto nero, e giubboncello di scarlatto, con berretto rosso in capo, se fossero stati della fazione Castellana, nero, se avessero appartenuto alla Nicolotta. Fatto dai Tiratori col bove un giro per il campo, e venendosi poscia alla prima slanciata, cominciava allora una fierissima lotta tra il bove ed i molti cani che si aizzavano, perocché devesi sapere come i popolani e specialmente i Cortesani, due o tre per ciascheduno, possedessero di quegli alani per boria e per diligentemente educarli a quella caccia. Consisteva per tanto quella festa di sangue nella destrezza dei cani a ferire, ed in quella dei bovi a difendersi, laonde i fiati degli spettatori andavano a sprecarsi per far plauso alla virtù di sole bestie. L'ultima domenica di Carnovale davasi una Caccia di Tori affatto sciolti anche nella Corte del Palazzo Ducale, e questa fu istituita per sollazzo delle Damigelle della Dogaressa incoronata; ma quantunque non sempre il Doge avesse moglie, e non sempre la moglie fosse stata incoronata a Principessa, tuttavia la Caccia aveva luogo in ciaschedun anno con grande numero di spettatori ... In occasione di venute di Principi si davano straordinariamente queste Cacce nella Piazza di San Marco”.
“Estrema povertà”delle Convertite della Giudecca ? … Mah ? … Non so …
Per quasi tutto un secolo le Convertitefecero causa contro Sier Vincenzo zio e i Nobili nipoti Rivaper l’eredità cheGiacomo Riva della Contrada di San Trovaso aveva lasciato per testamento alle Convertiteprima di partire per un viaggio in Siria.Nell’inventario dei beni posseduti da quel Nobile si elencavano: “stabili a Monfalcone e Re di Puglia, e caneva con case e bagni rovinate dalla guerra recente in comproprietà con fratello Giustino”… Il Cittadino Mercante Jacopo Gallimorto nel 1649 (finanziatore della facciata del Convento di San Salvador vicino a Rialto), lasciò per testamento ingenti somme a molti Istituti Veneziani: 60.000 ducati aMarino Moscheniper costruire quella facciata, altri 30.000 per costruire anche quella della vicina Schola Granda di San Teodoro, ed altri 30.000 ancora per quella dell’Hospedale di San Lazzaro dei Mendicantivicino ai Santi Giovanni e Paolo ...In cambio volle da tutti: celebrazioni di Messe quotidiane in suo suffragio e memoria … Doveva suonargli davvero come terribile l’idea di finire nel Purgatorio, o peggio ancora nell’Inferno, voleva quindi a tutti i costi cercare d’evitarlo a suon d’elemosine, Messe e denari dati a chiunque potesse aiutarlo in quell’ardua impresa diSalvezza... Pagò, infatti, cifre esorbitanti a Preti, Frati e Monacheper celebrare un sacco di Anniversari e Mansioneriedi Messea suo favore: alle Terese, a San Lazzaro dei Mendicanti, a San Stae, alleZitelle, alla Schola del Santissimo di San Salvador, al Convento del Sepolcro sul Molo di San Marco… e diede anche altri 2.000 ducati proprio alleConvertite della Giudeccaperché facessero celebrare da un Prete o da un Frate un’ulterioreMansioneria di Messeper lui … e non pago: aggiunse ancora altri 6.000 ducati perché tutte le Convertite recitassero ogni giorno“un De Profundis in suffragio di lui medesimo”.
Mamma mia ! ...Che terrore dellaDannazione Eterna !
Nel luglio 1641 una Professa delle Convertite inviò una supplica alla Signoria Serenissimanarrando di come fu costretta a farsi Monaca alla Giudecca … Due anni dopo, ilGentiluomo Inglese Ser Giovanni Brengiovane funzionario dell’Ambasciata d’Inghilterra a Venezia, venne assolto dopo sei mesi di carcere perchè con una gondola da traghetto stava per asportare dalle Convertiteuna Monaca consenziente coprendola sotto “al felze (cabina)de la gondola”con un drappo ... Era stato intortato e gabbato da una ruffianaMargherita Locardadella Giudecca che venne pure lei condannata a 4 anni di prigione.
Nel marzo 1706: si processò e condannò Anastasio Fanuloche aveva coinvolto sessualmente la Monaca Professa Alessandra Marcellofuggita con lui in barca dal Monastero delle Convertite insieme alla Badessa Adriana Franceschi ... Finirono tutti rinviati a giudizio compresi i due Marineriche li avevano trasportati, e tutti vennero condannati al bando perpetuo da tutto lo Stato Veneto e soprattutto da Venezia … Ancora nel 1758 si stipulò un altroContratto di Dote Monasticacomprensivo delle spese per il Corredo, e di quelle per la Festa della Monacazione Professa della giovane Nobile Angela Minio: “Putta dell’Ospedaletto delle Convertite”... le cui “Munèghe Convertie” nel 1770 dovevano ancora lavorare per l’esterno da come risulta da un pagamento fatto a Suor Maria Quaresimade le Convertie de la Zuecada parte della Schola della Vergine dei Frariper la quale le Monache avevano confezionato:“ .. una girlànda di fiori e un lungo manto per la Madonna da portar in Procession ...”
Le Zitelle della Giudecca
Il Mercante Jacopo Galli era preso da una vera e propria mania di procurarsi e garantirsi la Salvezza Eterna provando a ridursi la almeno la permanenza in Purgatorio… Chissà che aveva combinato in vita sua per avere così grande angoscia d’essere perdonato ?
Per quello stesso scopo dispose anche di far celebrare sempre in San Salvador: due Messe quotidiane e un Anniversario da 4.000 ducati in suo suffragio, ed un altro simile da 4.000 ducati anche ai Santi Giovanni e Paolo per lo stesso motivo, e due ulteriori Mansionerie di Messe da 2.000 ducati ciascuna vennero istituite anche presso le Convertite della Giudecca alle quali lasciò anche ulteriori 6.000 ducati per una recita quotidiana di un De Profundis ... Non fece mancare ancora il pagamento di un’altra Mansioneria quotidiana da 2.000 ducati presso la Casa di Santa Teresa nei pressi di Santa Marta, e una Mansioneria quotidiana da 2.000 ducati venne data a San Lazzaro dei Mendicanti, e un’ultima Mansioneria quotidiana da 3.000 ducati alla chiesa parrocchiale della Contrada di San Stae.
ALTRA NOTERELLA SIMPLEX SU SANT’ANZOLO DE LA ZUECA UN PO’ BUTTATA LA’ …
“Le Mùneghe de Sant'Anna de Castèo.”
"UNA CURIOSITA' VENEZIANA PER VOLTA." 3 - 4 - 5.
“UNA CURIOSITA’ VENEZIANA PER VOLTA”
Indice volume 3
Indice volume 4
Indice volume 5
“UNA CURIOSITA’ VENEZIANA PER VOLTA” volumi 1 - 2 - 3 - 4 - 5
Indice analitico e integrato
Venezia fra Leoni, Draghi e Serpenti.
#una curiosità veneziana per volta_201
Venezia fra Leoni, Draghi e Serpenti.
Ultimamente il Logo-Simbolo del Leone Marciano di Venezia lo vediamo raramente: quasi solo in televisione o sui social quando si accenna alle manifestazioni della Biennale o della Mostra del Cinema. Vediamo quel Leone un po’ liofilizzato e impachettato, quasi ridotto ai minimi termini … Più raramente può capitarci di vederlo live sul gonfalone della nostra Città Lagunare portato a spasso durante qualche Festa Veneziana da qualche Vigile pomposo infagottato nell’uniforme di gala, impacciato al seguito delle nostre Autorità Veneziane in prossima scadenza ... C’è di più da sapere un po’ di più intorno “alle Glorie del nostro Leon” tanto cantato e diciamolo: anche amato ... La Storia però a volte è avara, ha le gambe corte come le bugie, e rischiamo spesso di dimenticare … di perdere la valenza del tanto che è capitato qui da noi in Laguna lungo i secoli.
Quando entriamo nella Basilica di San Marco a Venezia non possiamo non notare oltre ai chilometri quadrati dei scintillanti e affabulanti mosaici che ricoprono cupole, volte e soffitto, anche l’incredibile pavimento di marmi policromi che calpestiamo sotto ai piedi. E’ una specie di festa e canzone visiva, un intreccio policromo incredibile di Aquile simboliche segno di Saggezza, Pavoni simbolo di Rinascita, Aironi immagine di Sacrificio, e Grifonimezzi Leone e mezzi Aquila simbolo di Coraggio, Virtù, Fede e Purezza, che secondo i Miti Antichi facevano il nido vicino ai tesori deponendo uova d'oro … Stupiscono ogni volta vero ? … e fanno pensare che i Veneziani di ieri pensavano diversamente da noi … Sembravano attaccatissimi a quel mondo così immaginario, quasi fiabesco … apparentemente poco reale e concreto.
Credo di poter dire che i Veneziani di ieri non erano affatto creduloni e sempliciotti, nè persi bambinescamente dietro a Miti e fiabe ... Erano, invece, piuttosto scaltri e sapevano leggere benissimo fatti e segni della Storia, solo che se la intendevano e interpretavano diversamente da noi tecnologici e moderni di oggi. Avevano un’altra prospettiva socio-politica-economica e spirituale, e forse anche un qualcosina in più dal punto di vista culturale rispetto a noi di oggi … Un qualcosa che probabilmente abbiamo perso ...
Dunque: Venezia aveva appena combattuto e vinto la Battaglia del Cadore del 02 marzo 1508, in montagna e sotto una tormenta di neve … Sebbene il tempo fosse stato proibitivo, i Venezianiguidati dal Comandante Bartolomeo d’Alvianosi erano portati sul Ru Secco presso Tai di Cadoredove travolsero letteralmente gliImperiali di Massimiliano d’Asburgo facendone letteralmente strage ...L’Imperatoreintendeva passare per i territori Veneziani per recarsi a Roma dove farsi incoronare dal Papa, ma i Venezianinon glielo avevano permesso, per cui dovette accontentarsi di farsi incoronare a Trento dal Principe-Vescovo della città ...Il Papa s’era rabbuiato contro Venezia per questo fatto, e l’Imperatore se l’era legata al dito … Mai come allora Leone e Aquila erano giunti così ai ferri corti … Un Distaccamento Tedescoquindi, guidato da Sixt Von Trautson Conte-Maresciallo del Tirolo si era portato dalla Pusteria nel Cadore passando per Misurina e l’Ampezzano valicando Passo Tre Croci“con le gràmpie (i ramponi) ai piedi”… I Veneziani fuggirono giù per la Valle del Piave, mentre gli Imperialiconquistarono il Castello di Pieve di Cadore… Il Senato Veneziano reagì subito inviando il D’Alviano a Longaronementre Girolamo Savorgnansarebbe arrivato a supporto dal Friuli accerchiando gli Imperiali in una morsa mortale …L’Alviano con 1500 Fanti e 100 Cavalieri Pesanti e 400 Cavalieri Leggeri, e i temibilissimi, feroci e indisciplinati Stradioti, cioè: Albanesi, Epiroti e Greci del Peloponneso mercenari di Venezia, passò nel gelo per la Val Zoldana e Forno di Zoldo valicando Forcella Cibianafacendosi strada nella bufera di neve e sulle strette mulattiere con l’aiuto dei buoi dei Villici locali … Si ritrovarono così alla fine a Valle di Cadore: giusto alle spalle dei Tedeschiignari … GliStradioti subito incendiarono case, fecero violenza e saccheggio …Gli Imperialiallora si accorsero delle manovre, videro il fumo degli incendi, e presi dal panico fuggirono scappando verso Cortina: finirono giusti in bocca dei Veneziani, e soprattutto degli Stradiotiche tolsero loro tutti i cariaggi, le artiglierie, razziarono i cavalli lasciando a piedi Cavalieri e Balestrieri … Fu una carneficina: vennero uccisi tutti i Comandanti Imperialie “lasciati nudi semimorti nella neve diversi Gentiluomini Todeschi”. Vennero stuprate tutte le donne trovate al seguito degli Imperiali, e i fuggiaschi vennero inseguiti fin dentro al Torrente Boite, braccati e presi-annegati, spogliati, derubati di tutto, perfino dei vestiti e dei soldi e gioielli nascosti nelle parti intime. Rimasero sul campo 1800 Tedeschi ammazzati, mentre i Venezianicontarono solo dodici perdite umane e quindici cavalli abbattuti … Gli Stradioti erano tremendi, implacabili: si riconquistò il Castello di Pieve con dentro ancora ottanta Imperiali che si arresero, e vennero inviati e scortati a piedi come prigionieri verso i Territori Asburgici, con gli Stradioti che li massacrarono uno dopo l’altro strada facendo: morirono tutti ! … Nei giorni seguenti apparentemente senza nessuna fatica Venezia conquistò: Pordenone, Gorizia, Cormons, Trieste, Postumia, Pisino e Fiume giungendo fin sul Golfo del Quarnero: insomma dilagò su tutto il Friuli arrivando fino in Istria ... Gli Asburgonon solo erano stati sconfitti, ma anche villipesi e umiliati, mentre il D’Alvianocol Cornere il Savorgnanrientrarono in trionfo prima a Margherae poi a Venezia sul Bucintoro fino a San Pietro di Castellodove fra barche addobbate, più di trecento Nobili Patrizi eProcuratori, e Senatori e Clero vestiti sontuosamente, trombe, banchetti, musiche, danze, dolci enormi di zucchero a forma delle città conquistate, e Zentiluomi e Belle Dame si fece:“memorabile e assaissima festa per la grandissima Vittoria dei Veneziani”.
Ebbene in un pomeriggio afoso estivo di poco tempo dopo, il Papa di Roma rabbuiato e vistosamente incazzato per quanto era accaduto e aveva saputo da poco … ricevette in udienza l’Ambasciatore Veneziano dotato di un’ironia e una sagacia capaci di rovinargli i nervi ... Non gli andava né su né giù quell’uomo Veneziano … Anzi: peggio … Gli procurava un fastidio insolito, soprattutto perché gli ribatteva spavaldo parola dopo parola ogni cosa che gli diceva ... Se avesse potuto gliela avrebbe fatta ingoiare tutta quella sua presuntuosa sicumera … ma non conveniva né al Papatoné alla Serenissima.
Il Sommo Pontefice quindi aspirò forte la sua profumata polverina dalla sua preziosissima tabacchiera incastonata e decorata riccamente, tutta tappezzata dai Santi del Paradiso: quella si che era un piccolo gioiello-capolavoro … Magari tutte le cose che intendeva gli fossero riuscite come quella piccola cosa là realizzata alla perfezione secondo il suo intendere e volere ! … Quello smargiasso di Veneziano, invece, era tutt’altra cosa, quasi l’opposto di quella corroborante Bellezza che stringeva in mano … Chiudendo quindi la scatoletta respirò a fondo di nuovo … Provò a rilassarsi, e lanciò un fugace sguardo di fuori al suo bellissimo giardino in fiore.
Poi riprese in mano la situazione e tutto se stesso, e col “pugno chiuso” che danzava in aria, riprese a dire parole veementi nei confronti dell’elegante e baldanzoso Veneziano che aveva volutamente lasciato lungamente in piedi davanti a lui: “Che imparasse a chi si doveva riverenza e ossequio !”borbottò fra se e se … Infine alzò il tono della voce, e tornò a dirgli: “Prima o poi qualcuno riuscirà a tagliare la criniera e strappare unghie e denti a quel vostro arrogante Leone Marciano.” esordì rabbioso.
Il Sommo Pontefice Romano era davvero inviperito, pareva gli fosse riuscito di vuotare d’un colpo solo il pesante calderone che gli ribolliva dentro. L’Ambasciatore Veneziano, invece,non battè ciglio né si scompose di un solo pelo, e le parole gli salirono ancora una volta prontissime e spontanee fuori dalla gola con tutta la loro capacità di ferire peggio di lame chiunque le avesse accolte e ascoltate:“Mi dovrà scusare se la contradico Santità Eminentissima … o se preferisce Sacrosantissima … Venezia non diverrà mai uno stagno di scarni pescatori salinari cenciosi come vorrebbe la vostra illuminata Santissima idea.”
Si pulì un angolo della bocca con un delicatissimo fazzoletto merlettato e profumato, e continuò: “Sarà piuttosto maggiormente verosimile che accada, e forse sarà più opportuno, che Roma torni ad essere, nonostante le sue glorie, quel pescatore grossolano e ignorante che è stato Pietro all’inizio … talmente rozzo e poco pronto da abbisognare in tutto dell’ingegno, e del saper leggere e scrivere del nostro giovane Santissimo Evangelista Marco … Come Voi ben sapete: è stato il nostro San Marco che ha ruggito e dato voce in maniera ottimale alle esperienze e memorie ingarbugliate del Primo Apostolo inventandosi il Santo ProtoEvangelo ... E quel possente ruggito da Leone, Papa Nostro Amabilissimo, non è ancora inverosimile terminato … Venezia con San Marco ruggiscono ancora.”
Il Papa quasi esplose sul suo seggiolone, o poco ci mancò ... Strinse il bracciolo dorato, drizzò nervosamente il ricciolo del baffo che gli pendeva accanto alla bocca, e dimostrando vistosamente l’imbarazzo di non sapere ancora prontamente replicare borbottò: “Neanche un miscredente infedele oserebbe apostrofarmi così … Non sembrate neanche un Cristiano.”
“Per grazia di Dio, Santità Illustrissima, noi Veneziani Credenti e Popolo di Fede lo siamo, ma siamo prima Veneziani e poi Cristiani."replicò di nuovo l’Ambasciatore … e vi tralascio il resto del piccato dialogo che accadde nel cuore della Città Eterna, che sembrava ignara di tutto e quasi sonnecchiare pigra come un gatto abbandonato al sole dentro a quella calura estiva.
Come avete inteso, non se le mandavano di certo a dire il Papae l’Ambasciatore Veneziano in udienza ... Da una parte c’era schierata la volontà del Sommo Pontefice di primeggiare sull’intera Europa Cristianaaffossando le velleità sognanti della Serenissima Veneziana che intendeva farsi padrona a sua volta dell’Europa … e quasi quasi ci stava riuscendo … Dall’altra c’era, appunto: Venezia conscia di se, del suo appeal, della sua forza e arguzia economico-commerciale-militare. La Serenissima stava subdorando la possibilità di diventare parte integrante dei Grandi d’Europa insieme e alla pari deivari Imperatore, Zar e Re di Francia e Spagna… e perchè no ? … Al modo delle tanto chiacchierate e semisconosciute potenze del lontano ma vicinissimo Orientetanto magico e misterioso, quanto redditizio e tutto da sfruttare e imitare … Il Doge Veneziano della Repubblica Serenissima sarebbe diventato un Novello Khan d’Europa???
Che idea luminosissima ! … “Magari !”pensò l’Ambasciatore Veneziano … O era solo un sogno ?
Noi di oggi possiamo dire che se in quell’occasione storica fosse riuscito a Venezia d’affrontare e vincere certi contrasti Italiani e Europei surclassando il Papa e gli altri Sovrani, probabilmente adesso non staremmo qui a raccontare le memorie della Repubblica Serenissima rimasta ferma a cavallo fra Laguna e Terraferma, e affacciata solo sulle sponde Adriatiche e Mediterranee… Forse racconteremmo la storia dell’Impero Veneziano se Milano, Firenze e lo stesso Papato fossero diventati parte integrante e dedita ai progetti Veneziani ...
C’è stato un momento storico in cui è mancato solo un attimo … solo un pizzico di ardimento in più perché potesse accadere tutto questo, ma non è accaduto ... Pensate ! … Se solo Veneziaavesse osato e fosse stata meno indecisa e più intraprendente vincendo i Visconti Lombardi di Milano: al posto della Madonnina oggi forse vedremmo il Leone Marciano sul pinnacolo più alto del Duomo Milanese, o un Leone Alato sul Castello Sforzesco … Se il Leone Marciano di Venezia in un’altra occasione avesse maggiormente affondato i colpi, gli artigli e i denti su Firenzerivendicando i debiti che aveva con lei, la Serenissimasarebbe arrivata a dominare fino a Livorno, Pisa e il Mar Tirreno… e se avesse vinto con Genova ? … Immaginate … ma con i se e i ma non si è mai fatta la Storia.
Lasciamo perciò cadere nel dimenticatoio quei sogni nostalgici, e ritorniamo a dire di quel Papa dentro a quel torrido pomeriggio Romano … Deglutì ancora “amaro” per colpa dell’Ambasciatore di Venezia, e dentro di se, ma anche attorno a lui: nell’animo rabbuiato di tutto il suo pomposo corteggio ed entourage divenne più pressante l’urgenza di calmierare e contenere quella Serenissima Venezia. Era giunto il momento di provare a spegnerne tutta quell’alterigia e veemenza, e soprattutto tutte quelle velleità di grandezza che indossava San Marco… Sarebbe servito cercare e trovare le giuste alleanze sullo scacchiere politico dell’Europa che contava … ma che ci voleva ? … A nessuno piaceva in realtà la boria ascendente dei Veneziani … Per tutti stavano diventando sempre più ingombranti e scomodi ... Dove credevano di poter arrivare ?
La Storia la conoscete … Sapete bene come all’inizio del 1500 Venezia venne ammorbidita, anzi: demolita, rallentata e ridimensionata pesantemente da l’insieme dei potenti della Cristianità, amici o nemici che le fossero stati in precedenza. Tutti si coalizzarono contro al Leone Marciano per deprimerlo e ridurne sogni e ambizioni una volta per tutte ... La Lega Santa, la cocente sconfitta di Agnadello, la logorante lotta secolare senza fine con i Turchi avrebbero succhiato all’infinito e quasi del tutto le risorse e le velleità di Venezia… Da quella solenne batosta la Repubblica Serenissima non si rinvenne più, e si dedicò per tre secoli a un declinante quanto progressivo ridimensionamento di se stessa, che si concluse con lo sfortunato arrivo dei francesi in Laguna all’inizio del 1800 … Così andò la Storia ...
Al Papa di Roma & C riuscì alla fine l’intento di contenere la Serenissima Repubblica… anche se criniera e artigli del Leone Marciano non gli riuscì di spuntarli e tagliarli mai del tutto.
Quella volta, comunque, l’Ambasciatore Veneziano aveva perfettamente ragione nell’inseguire i suoi ragionamenti davanti al Papa. VeneziaSerenissima aveva sempre saputo approfittare di ogni momento di debolezza dimostrato dal Papatoper poter procacciare i propri interessi ... Aveva perfino annesso al suo Dominio ulteriori pezzi proprio nel momento in cui lo Stato Pontificio era più debole: durante l’interregno fra un Papa e l’altro … Nell’ultima occasione Venezia ne aveva approfittato subito, e s’era incamerata la Romagna Pontificia… e non è stato un caso isolato, il modo e lo stile della Serenissima era sempre lo stesso, era risaputo ormai: “Venezia è un Leone potente difficile da domare: mai sazio … mai domo ... La Regina Cornaro di Creta e altri ancora ne sanno qualcosa: un Regno in cambio di una bella scampagnata sui Colli Asolani.” così si diceva in giro per le Corti Italiane.
L’opportunismo come il tempismo erano di sicuro alcune delle tante doti dei Veneziani… Venezia insomma: sapeva agire e ruggire, e sfoderava gli artigli, e ghermiva e sbranava la preda quando le conveniva ... Ne erano a conoscenza tutti: il Mito di San Marcoera raffinatissimo, arguto, ambizioso e lungimirante: Venezia intendeva diventare Nuova Roma, una specie di “Pietro 2”disposto a giocarsi il primato sullo scacchiere Mediterraneo ed Europeo… o addirittura, chissà ? ... forse Mondiale.
Non sono mie queste considerazioni, sono valutazioni e riflessioni di Storici autorevoli, che accanto all’analisi del Mito di Venezia, hanno anche saputo ricostruire dinamiche seminascoste o non del tutto palesi della regia storica e della gestione del potere in Europa durante certi secoli ... Si ipotizza documenti alla mano, ad esempio … e io ci credo … Che l’intera Opera delle Crociate sia stata un’altra invenzione dei Papi ideata per distrarre e deviare altrove le forze, gli interessi, le risorse e la presenza dei Grandi Poteri costituiti che gestivano l’Europa. S’inventò come nemico urgente da combattere fino alla morte il Turco Infedele e Ottomano residente nell’Asia MedioOrientale, così da lasciare sguarnita e sgombra l’Europa: libero spazio dove poteva esplicarsi l’iniziativa e concretizzarsi il controllo dei progetti Cristiano-Papali… L’intero Mondo Europeo sarebbe stato tutto finalmente Cristianizzatoin maniera irreversibile e secondo gli schemi etico-morali e politico-economici Ecclesiastico-Pontifici...Mentre tutti i Grandi d’Europa, Venezia compresa, erano impegnati in nome del “Dio lo vuole !” sui fronti della Crociatatutti dediti al sogno del bottino, all’allestimento dei Nuovi Regni Cristiani, e a “matàre i Mori”meritandosi in cambio il Paradiso… Beh ? … Papa & C che facevano ?
Potevano bellamente e tranquillamente seminare e infiltrare se stessi e le proprie dottrine fin nel più profondo degli animi più disparati, e negli angoli più reconditi dell’intera Antica Europa ottenendone il possesso e il pieno controllo politico-economico-sociale e morale.
Illazioni ? … Bah ! … Non so … Questa è Storia … Ed è stato così che la Chiesa si è ritrovata ad essere per secoli incontrastata padrona dell’Europa, facendo alto e basso un po’ di tutto e tutti, almeno fino all’epoca della Riforma Protestante. In quell’occasione di nuovo la Chiesa venne rimessa in discussione, e si vide costretta a scendere un’altra volta in campo inventandosi a suo favore un’altra puntata della Lotta contro l’Eresia, che a quanto si sa non la portò stavolta da nessuna parte … o quasi ... Ma stiamo divagando …
Solo Veneziaè stata capace in una certa stagione storica di dirottare in parte la Crociataa suo favore contrastando parzialmente quell’immane Progetto Pontificio-Ecclesiastico, che in fondo si è realizzato ... Le tracce e conseguenze storiche di quella pensata Cristiana pesano ancora su noi di oggi.
Torniamo in Laguna però … a casa del Leone Marciano Serenissimo, e osserviamolo stavolta in maniera un po’ diversa.
Veneziaera stracolma di Leoni… Troverete Leoni Marciani ovunque a Palazzo Ducale: un intero campionario di ogni sorta, misura e sembianza… Quelli che possiamo vedere oggi sono solo una piccolissima parte di quanto c’era, il poco rimasto dopo il passaggio velleitario ma ben riuscito dei napoleonici che hanno capillarmente scalpellato Venezia … Rimangono però ancora tanti Leoni a Venezia: quanti bastano per poterne fare ancora memoria.
Della figura-simbolo del Leone in generale si sa, è risaputo: è quell’icona che riempie da secoli gli stemmi di Sovrani, Nobili Casati, Avventurieri, Mercanti e altro ancora … Non è un caso se ancora oggi appare plastico negli stemmi di Svezia, Regno Unito, Paesi Bassi, Cecoslovacchia, Bulgaria, India, Iran, Canada, Spagna e altro ancora ...
L’antica immagine del Leone è sempre stata fascinosa, una dei più diffuse in ogni civiltà. Pensate: Leoni dipinti appaiono rappresentati già nelle Grotte Paleolitiche di Lascaux e Chauvet in Francia ... Il Leone fu pensato come simbolo di Virtù, Fierezza, Intraprendenza, Ardore, Maestosità, Nobiltà, Regalità, Orgoglio, Valore, Eroicità e Coraggio: il Re Leoneinsomma … ma significava anche la forza istintiva primordiale incontrollabile, la concupiscenza, il desiderio sfrenato di possedere tutto ciò che cade sotto ai sensi ... Il Leone è l’indomabile, il feroce.
Qualcuno ha aggiunto anche che il Leoneè espressione massima di Luminosità, Saggezza ed Energia … Considerato “Re degli Animali” per antonomasia, a differenza di altri felini questo maestoso animale ha uno spiccato senso di socialità vivendo spesso in branco dove vige la predominanza ... Come abbiamo imparato fin da bambini: caratteristica fisica del Leone maschio è la folta criniera della testa, che è stata associata e paragonata al Sole attorniato dai suoi raggi ... Templi, città e Palazzi nell’antichità, così come qui a Venezia, erano e sono ancora decorati da numerosi Leoni e Leonesse … Alla stessa figura del Leone, ad esempio, si riconducono tutti i Miti legati al Sole degli Egiziani: la Sfinge aveva il corpo da Leone, la Chimera e il Grifone erano animali Leoniformi che assicuravano il passaggio dei Faraoni nell’Aldilà … Il Leone esisteva nel Giappone con Amterasu Dio del Sole, nell’India di Surya e del Vedico Mytradove coloro che superavano le prove Misteriche venivano chiamati non a caso "Leoni"… Leoni c’erano in Grecia dove il felino era riconosciuto come volto di Zeus, Apollo ed Helios… Il Leone rappresentava anche il Calendario ... Un Leone stava sulla parte superiore di ogni Arco Reale dove il SoleLeoninoritornava a passare durante ogni Solstizio Estivo ... A Babilonia: IshtarDea dell’Amore e dell’Eros era definita “Leonessa”, e il Leone era animale sacro consacrato a lei. In quel caso si sottolineavano ed evidenziavano anche le doti di sensualità e maternità della Leonessa riconoscibile come Dea-Madre ... La Dea SumericaInannacavalcava due leonesse ... Nella Cina un tempo Buddistail Leone rappresentava il Fuoco, era una creatura misteriosa: un Vigilante della Porta che proteggeva gli esseri umani da Spiriti, Fantasmi e Demoni ... Il Leone ancora era sinonimo di Potere, Stabilità, Prudenza, Dignità, Gloria e Vittoria: il Budda stesso appariva in forma di Leone ... In Tibet il Leone delle Nevi rappresenta la Terra … potremmo continuare a lungo.
Esemplare e curiosissima è l’immagine del Leone presente nei Bestiari Medievalidove appare dotato della capacità di “dormire ad occhi aperti” … Ugo da San Vittore affermava che il Leone simboleggiava il Cristo: l’Unico capace per davvero di dormire ad occhi aperti, cioè di vedere e cogliere il significato dell’Aldilà del Mondo, delle persone e delle cose … La Vigilanza Attentaè stata per secoli una delle doti e VirtùMaggiori consideratissime in tutti i Monasteri del Cosmo Cristiano Occidentale… Nel mondo Biblico-Evangelico-Liturgico-Catechetico ruggiscono “come un Leone” sia la Parola di Dio che la Parola del Diavolo ... Il Leone richiamava anche una realtà salvifico-pacifico-idilliaca dove lui riposava tranquillamente accanto alle pecore: un Leone mansueto insomma, quasi come un Agnellino … ma allo stesso tempo il Leone rappresentava anche l’immagine delle passioni irrefrenabili e nascoste, delle forze del Male Puro e del CaosInfinito e Abissale… Il Leone, insomma, possedeva significati ambivalenti, anzi: era ambiguo di suo.
Di recente qui a Venezia ho sentito consigliare alla Giudecca: “Fàtte un tatuagio da Leon … xè ben stamparselo addosso su un bràso o su una gamba … Xe par sentirse Leoni ... par esser come lù.”
Il senso-significato del Drago, invece, è presto detto ... Indica tante cose, e più che un fatto di stampo Religioso-Interiore, il Drago rimanda a un fatto esistenziale-Storico. Il Drago indica la consapevolezza del proprio limite, ciò che l’uomo ha di fronte, ma di cui gli manca la chiara consapevolezza … Il Drago richiama l’handicap del non capire che l’Uomo ha di fronte alla Morte e ad ogni ostica forma di Male che lo brutalizza in ogni tempo. Indica e sintetizza tutte le attese e gli obiettivi non raggiunti, inevasi o impossibili da raggiungere, gli insuccessi e i timori, i bisogni d’aiuto, e la gran voglia di esplicare e rendere plasticamente visibile e immaginabile ciò che ogni Uomo e Donna che respirano sulla Terra non sanno comprendere. Il Drago-Serpentepoi, personificava anche l’inconscio, le passioni, l’istinto, la valenza fallica della sfera sessuale soprattutto quando diventa incontrollata, violenta e incontenibile, cioè il Lato Oscuro dell’Umanità ... Ecco quindi che si contrappone al Drago l’altra faccia della medaglia: quella del Mito e della Leggenda del Nobile Cavaliere che indosa ogni Valore e Virtù, e si valorizza l’atteggiamento Verginale, la Purezza Sacrale, e i Culti della Santità degli infiniti Santi e Madonne che affollano ogni giorno del Calendario contrapponendosi ad ogni forma Draconica in cui si sintetizza e riassume il Male.
Ciascuno portava dentro al proprio Animo un Drago di perplessità, incoerenze, egoismi e incertezze da combattere, ed ogni esistenza di volta in volta mostrava eventi dentro ai quali si era obbligati a combattere Mali che ti assaltavano come possenti Draghi.
Il Drago in qualche modo indicava l’affacciarsi del Divino, del MisteriosoTerribile e dell’UltraUmano sullo scenario del mondo concreto, visibile e spicciolo del quotidiano qualsiasi. Il Drago si poteva incontrare, ed era incontrollabile ed ostico come gli effetti della Natura che procuravano Vita e Morte, cioè la cronica sfida esistenziale presente in ogni tipo di cultura.
Non trovando in se e nel proprio entourage valide spiegazioni, l’Uomo si buttava allora nel Mito e sulla fantasiosa Leggenda pur sapendo che quelle non erano vere risposte, ma solo immagini, prefigurazioni, intuizioni limitate che potevano anche ingannare ... il Mistero del Vivere e del Cosmo rimaneva lo stesso tutto là intonso … Ma tutte quelle immagini erano pur sempre un coraggioso tentativo di porsi certe domande: cosa che noi di oggi evitiamo più che spesso accuratamente di fare …
Tante persone: tanti problemi … tante vite e situazioni diverse … quindi tante risposte e figure differenti per interpretare tutto il vivere che c’era intorno. Ecco spiegata quindi tutta la folla enigmatica e allusoria delle Arpie, delle Chimere, Serpenti e Basilischi “Piccolo Re” (l’essere covato da un Rospo, ma nato Serpente coronato e con le ali da Gallo. Pure lui sputafuoco e con lo sguardo e l’alito mortiferi, capaci di distruggere e rovinare ogni impurità e vizio, ma anche simbolo del Demonio) ... E poi c’erano ancora: Sfingi, Meduse, Idre, Sirene, Aguane, Melusine,Astomati e Astomori che si nutrivano di soli odori, e Panozi, velocissimi Sciòpodi, Blemmi, Unicorni, Ciclopi, Androgini, Traghelafi o Ircocervi, Cinocefali,Acefali, Centauri e chi più ne ha più ne metta … S’impiegava il catalogo di un’immaginazione fantasiosa intera per descrivere tutto ciò che non si capiva, ma stava accadendo dentro ai limiti e la sfera della Storia Umana.
Il Dragosi mostrava e svelava come figura complessa dai tratti ricorrenti che riassumevano in se i quattro Elementi Naturali della conoscenza classica e alchemica, quella considerata “scientifica” allora. Il Drago possedeva, infatti, il corpo da Serpentecon le zampe ad indicare la Terra, il Serpente con la sua continua muta era anche simbolo di ambiguità, doppiezza, viscidità, micidialità velenosa maligna, ma anche di rinascita, continua riproduzione, scaltrezza, furbizia e forza. Non a caso il Culto del Serpente era antichissimo, e implementato in numerose culture diverse … Il Dragopoi aveva ali da Uccelloper ricordarel’Aria e il Cielo, aveva la coda-timone da Pesce per richiamare l’Acqua e il Maredove s’annidava il Misterioso Male, e sputava dalle fauci il Fuoco per ricordare appunto la potenza distruttiva ma calorifera dell’elemento Fuoco… In altre parole il Dragoera una figura di Sintesi Cosmica … Il Dragone, infatti, fin dalle Tradizioni Greco-Romane e Orientalistava ovunque influendo sul Destino delle singole persone e delle comunità procurando Vita e Morte: lo si riconosceva nel Cielo nelle Costellazioni, nelle caverne ipogee sotterranee, nei posti più segreti dove custodiva tesori, nel Tempio-caverna, nella foresta-palude-santuario, e negli abissi delle acque del Mare-Oceano ben conosciuti dalle Civiltà Marinare e fluviali come quella Veneziana, che individuavano e sapevano riconoscere il Kêtos, cioè: il Drago-Leviatanocome qualcosa in tutto simile a una Balena o grande Pesce.
Quando si partiva per qualsiasi forma di viaggio, un tempo non si sapeva se si ritornava. I Draghi come Scilla e Cariddiincombevano sugli stretti dalle vorticose correnti di Messina, Gibilterra e del Bosforo, ma potevano trovarsi ovunque, ad ogni bivio o strettoia di strada. Erano sinonimo di quel pericolo sempre incombente che esisteva durante il multiforme vivere …. I Miti antichi come quello di Perseo e Andromeda, come i Racconti Biblico Ebreo-Cristiani erano chiari: c’era sempre un Mostro Marino Serpentiforme che inghiottiva ondeggiando ogni evento e circostanza del vivere storico. Il Giona biblico veniva inghiottito dalla Balena-Leviatano, ma quella era una variante di uno stesso motivo originale ripetuto mille volte dai marinari dei porti del Mediterraneo, come a Giaffa e Alessandria, o sul Mar Rosso, nel Mare Indico-Cinese, dai beduini del deserto dell’area Semitica-Ugaritica… Insomma il Drago sputava ovunque … e c’era sempre ovunque un qualche Dio o SantoGuerriero deputato a combatterlo e eliminarlo, o perlomeno a tenerlo a bada e governarlo … e il Mondo era il sito, il campo di battaglia di quel combattimento primordiale ancestrale mai terminato ...
Sorprendente la somiglianza con le concezioni dei Benandanti Friulani “nati con la camicia” del 1500-1600, che a distanza di secoli, e in un tutt’altro luogo riproponevano più o meno le stesse cose.
Quando si andava e navigava mercanteggiando per Mari, impervi Monti e Deserti infidi come facevano i Veneziani, era sempre possibile incappare in qualche razzia, incontrare la Peste, qualche comunità ostile, e perfinoperdere la vita oltre che il carico o il capitale, annegare e perdere il cadavere … Era il Drago ! … Si rimaneva privi di quella Sacra Sepoltura nella terra-Patria dove si era nati, quella degli Avi, del Clan e di tutti i parenti da dove si era sorti come infimo granellino di polvere immesso per procrearli da un uomo come Adamoin una donna come Eva sinonimo di ogni UomoDonnaqualsiasi.
Il meraviglioso enigmatico insolito quanto pericoloso del Dragone abitava spesso in zone poco frequentate e ostili, sul margine ultimo fra Natura e Civiltà: oltre le Colonne d’Ercole, sui confini dell’esplorato, e nelle zone di periferia dove c’era l’imprevisto e il banditesco di cui non si avevano mappe nè carte per prevederne un qualche controllo … Di quei posti ai naviganti e mercanti riusciva solo d’immaginare l’imprevisto pauroso e incognito: “Hic sunt Leones” scrivevano i Romani sulle loro mappe circa le parti dell’Africa ancora inesplorate e sconosciute ... Il che significava: “Lì non si sa che cosa ci possa essere …State attenti ! … Non si sa bene come potrà andare … C’è sempre il Drago: un Mostro incognito, che potrà ghermirvi e farvi del Male in qualche modo.”
Insomma: il Dragone dai mille volti e opportunità era sempre quella grande incognita in agguato ... Nell'iconografia e nel riciclo dei contenuti antichi fatto dalla cultura Cristiana, il Drago divenne reincarnazione-immagine fantastico-intellettuale di Satanail Diavolo, il Nemico Antico contro il quale l’intera Storia dell’Umanità non aveva mai smesso d’intraprendere una lotta senza scampo, senza fine e senza Tempo. La Lotta col Dragosintetizzava e riepilogava il Destino del Mondo e di ogni persona che si destreggia di continuo fra Bene e Male durante tutta l’esistenza … A volte vinceva il Drago Maligno, altre volte, invece, vincevano Santi, Madonne, Pii Cavalieri… e persone qualsiasi di turno che riuscivano a sconfiggerlo.
Antiche teogonie, cronache monastiche, leggende popolari si sono affannate a descrivere più e più volte il Dragone Antico che aveva l’età dell’Umanità … Il Profeta Isaia appartenente alla letteratura d’impronta MedioOrientaleBiblicache divenne ben presto EuropeoOccidentale diceva: “In quel giorno il Signore punirà con la spada dura, grande e forte, il Leviatano serpente guizzante, il Leviatano serpente tortuoso e ucciderà il Drago che sta nel mare.”… Il Salmo 74: “con la tua forza hai diviso il mare e hai schiacciato la testa dei mostri marini nelle acque. Hai frantumato le teste del Leviatano…”, e il Biblico Libro di Giobbe: “Ecco, si gonfi pure il fiume: egli non trema, è calmo, anche se il Giordano gli salisse fino alla bocca. Chi potrà afferrarlo per gli occhi, prenderlo con lacci e forargli le narici? Puoi tu pescare il Leviatano con l`amo e tener ferma la sua lingua con una corda, ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un uncino ? Ti farà forse molte suppliche e ti rivolgerà dolci parole ? Stipulerà forse con te un'alleanza, perché tu lo prenda come servo per sempre ?”… Nel costume comune della Tradizioni Ebraica si ponevano porzioni del Libro di Giona sotto al cuscino delle partorienti, e si ampliava il significato originale della Bibbia affermando che il Mostro Anticosarebbe finito come portata principale sul Banchetto Futuro dei Giusti… L’equazione Mostro Marino-Tomba esplicita nel Libro di Giona venne trasposta pure nel Vangelo di Matteo, e affrescata più tardi nelle Catacombe Paleocristiane come “segno-annuncio-prefigurazione”della Resurrezione di Cristo, che a sua volta era pure lui: “un fuoriuscito illeso dalla bocca e dal ventre del Mostro del Male e della Morte”. La Risurrezione del Cristo proposto dalla Rinascita Cristiana era assimilabile a un nuovo parto, ed era parabola-epopea di Morte e Vita e vittoria del Bene Eterno sul Male … Chi Rinasceva-Battezzato prendeva nome di Renato o Rinatus, ed era come Giona scappato fuori “in salute”(Salus = Salvezza) dalla bocca del Leviatano-Male… Non fu un caso se qualche secolo dopo in perfetta analogia, sintonia e continuità con quelle vecchie usanze e precisazioni del Microcosmo Ebraico, anche la Devotio a Santa Marina diede raccomandazioni simili alle partorienti di cui divenne Patrona.
Altri ancora, come Rabano Mauro, si sono cimentati nel dipingere e descrivere quello stesso Drago Antico: “Il Drago è il Diavolo, è Satana, e i Draghi sono i suoi adepti”… e Isidoro di Siviglia: “E’ il più grande di tutti gli animali: è una bestia sotterranea ed aerea che ama lasciare le caverne in cui si nasconde per volare nell'aria, la sua forza risiede non nella bocca o nei denti ma nella coda con cui può stritolare il suo avversario per eccellenza: l’elefante …”, e l’ultrafamosa Apocalisse Giovannea con i suoi Commentari: “Nel Cielo apparve poi un segno grandioso: una Donna vestita di Sole, con la Luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici Stelle … Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto … Allora apparve un altro segno nel Cielo: un enorme Drago Rosso con dieci corna e sette teste con sette diademi: la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del Cielo e le precipitava sulla terra ... Il Drago si pose davanti alla Donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. La Donna, invece, fuggì nel deserto dove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per 1260 giorni … Scoppio quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi Angeli combattevano contro il Drago. Il Drago combatteva insieme con i suoi Angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in Cielo … Il grande Drago, il Serpente Antico, colui che chiamiamo il Diavolo e Satana e che seduce tutta la terra. Fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi Angeli … Ora quando il Drago si vide precipitato sulla terra si avventò contro la Donna che aveva partorito un figlio maschio … ma furono date alla Donna le due ali della grande Aquila per volare nel deserto verso il rifugio preparato per lei per esservi nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo lontano dal Serpente ... L'Arcangelo Michele gli impedì di volare ma egli vomitò liquido per far annegare la Donna e Dio aprì una voragine che inghiottì il fiume. Allora il Serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d’acqua dietro alla Donna per farla travolgere dalle sue acque. Ma la terra venne in soccorso della Donna, aprendo una voragine e inghiottendo il fiume che il Drago aveva vomitato dalla propria bocca … Il Drago infuriato contro la Donna giurò di vendicarsi verso la sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù … Due furono le Bestie create dal Drago: la Bestia del Mare e la Bestia della Terra ... La Bestia del Mare aveva sette teste con sette bestemmie e dieci corna con dieci diademi; era simile a una Pantera con le zampe di un Orso e la bocca di un Leone. Gli antichi Romani furono impressionati da quella Bestia perché le sue ferite si rimarginavano. La Bestia della Terra aveva due corna d'Agnello e parlava come un Drago. Subito questa fece far costruire dai Romani una statua della Bestia del Mare e la animò cosicché potesse mettere a morte chi non la adorava ... Dalla bocca del Drago escono tre spiriti di Demoni simili a Rane che operano prodigi radunando tutti i re della terra per la guerra del gran Giorno di Dio.”
Beh ? … Che ne dite ? … Fate un po’ voi: Draghi e Leoni erano Simboli potenti ed efficaci: la maggior parte delle persone nella loro ignoranza “li leggeva” avidamente pur senza saper né scrivere nè leggere. Non erano immagini isolate e uniche, ma facevano parte di un pacchetto di figureSimbolo parallele a loro volta ricchissime di significato, che più di qualche volta finivano col sovrapporsi e confondersi l’una con l’altra divenendo integrate ed equipollenti. L’Albero Cosmico della Vita, del Bene e Male, della Conoscenza, Sapienza e Verità, ad esempio, era uno di questi. Il Simbolo Arboreo rappresentava la ciclicità stagionale riproduttiva, col ritmo annuale di Morte e Rinascita: era figlio immortale del Tempo … Nell’immaginario culturale sfidava i secoli radicandosi nel Mondo di Sottodei Morti, stava col tronco tenace nello Spazio del Mondo di Mezzospettatore del comune Vivere, e aveva chiome al vento protese a sostenere e interagire col Mondo di Sopra del Cielo Eternodel Santorale Divino. L’Albero al pari del Drago riassumeva in se i Quattro Elementi Naturali essenziali dello scibile “scientifico”di allora: Acqua, Terra, Aria e Fuoco… Stormiva nel vento parlando a modo suo, emettendo da specie a specie voci diverse, mandava messaggi, con i suoi prodotti sapeva nutrire, e possedeva sensibilità medicamentose e propiziatrici capaci di risanare la comunità umana come le Erbe della Guarigione: gli efficaci Semplici… L’Albero ancora era anche Casa degli Spiriti. Le Piante ospitavano entità misteriose partecipi delle qualità vitali del Cosmo Divino Naturale che si rivelava in modo superUmano tramite la violenza dei terremoti, dei vulcani e degli incendi, nelle acque impetuose delle cascate e delle piene dei torrenti alluvionali che straripavano, nei vortici delle profondità marine dove si annegava e naufragava … Quel Naturale Potente e Misterioso oltre che Benefico sapeva, tuttavia, essere anche docile e delicato: faceva capolino in maniera gentile e pacifica nelle amene Sorgenti, Fonti e Fontane, oppure nei placidi fiumi che scorrevano giorno e notte all’insaputa dell’uomo sopra e sottoterra, o nei placidi Laghi: altre case capaci di ospitare il Divino, il Nume Tutelare, la Pizia o l’Oracolo di turno ... L’Alberoalla fine finì anche col trasformarsi in Croce, in Palma Benedetta, in Cipressi e Betulle Funebri-Cimiteriali, nei Melograni della prosperità e fertilità … E sapete bene come la Croce: Nuovo Albero di Morte e Rinascitaè riuscito a spaccare a metà Oriente e Occidentale contrapponendolo per secoli, e ancora oggi, una buona parte del Mondo mena ancora botte da orbi o le subisce infiammando la Storia per lo stesso motivo e simbolo … Chi starà combattendo la giusta battaglia ? … E chi lo sa ?
Esistevano Simboli “positivi” come l’Aquila, il Bue, l’Angelo e appunto il Leonedell’EvangelistaSan Marco … E c’erano SimboliSegni “cattivi-negativi”, cioè “nocivi”per il corpo, la psiche umana e la comunità sociale come appunto il Noce o Nòghero Albero delle Streghe, dei sortilegi e degli incontri con Satana ... Il Vecchio Noce di Benevento ... Era stata la Santa Inquisizione, che proprio Santa non era, a modificarne, trasporne ed evidenziarne il contenuto rendendolo malefico … E’ vero che l’albero Nocecontiene la Juglandina alcaloide allucinogeno, così come il Tasso Sacro ad Ecate: l’Albero della Morte esala la mortale Tassina. Ma chi lo sapeva a quei tempi di quei contenuti velenosi ? … Il motivo del mutamento di significato non fu quello, ma un altro: l’Inquisizione e il Cristianesimoin genere intesero dislocare, sradicare, stravolgere e capovolgere ogni immagine efficace della Cultura Pagana che fosse pregna di qualche significato apprezzato dalle persone. Il Noce, ad esempio, significava e rappresentava nella fattispecie gli Antichi Culti Propiziatori della Fertilitàassociati alla Madre Terra che si celebravano attorno ad esso … Allo stesso modo: Bosso, Cipresso, Mirto e Pioppo Nero(come la Morte) e Pioppo Bianco(come la Vita-Rinascita)erano gli Alberi dei Morti e della Dea Ade degli Inferi-Oltretomba… Dentro alle Sacre Querce delle radure dei Druidi abitava la Ninfa Amadriade, mentre Dafne abitava nell’Alloro, e l’Animo delle Sorelle di Fetonte risiedeva dentro ai Pioppi, così come le Sette Ninfe Sorelle abitavano, s’incarnavano e personificavano nellearcane quanto stupende Stelle Pleiadi del Cielo.
Anche il Lupo divenne un Simbolo negativo: abitazione del Demonio, e finì per questo in seguito anche col far la parte del cattivo nella fiaba di Cappuccetto Rosso… Il GalloNerodivenne Segno-Simbolo del tradimento del boss San Pietro raccontato nei Vangeli, ma corrispondeva anche alla capacità innata di ciascuno vivente di tradire ed essere incoerente e infedele … Ovviamente il Serpente più di tutto si trasformò in segno cattivo diventando la casa del Diavolodopo essere stato per millenni il principale simbolo dei Culti Antichi alternativi al Cristianesimo. E’ emblematico, infatti, il fatto che il Cristostesso, venisse considerato innalzato come Nuovo Serpente della Storia in sostituzione e miglioramento delle facoltà salvifiche dei vecchi Culti del Serpente ... Prima c‘era DioGiove a scagliare il fulmine e far tremare la terra, a far sorgere il Sole facendolo correre nel Cielo col suo mitico carro … Ora s’era voltato pagina, c’erano “i nuovi SuperEroi”, le nuove storie, e i nuovi Miti-Leggende da accogliere e condividere, che avrebbero sostituito tutto ciò che era vecchio e superato ... e per questo: insano, peccaminoso, negativo e malefico ... causa di morte e dannazione.
Non dimentichiamo però: le grandi Cattedrali Gotichecon le loro possenti foreste di colonne, pilastri e capitelli intendevano visualizzare plasticamente proprio il bosco, la radura, le chiome della foresta tanto cari ai Simbolici Culti Naturali Antichi… Erano in un certo senso: la clonazione, la replica e il prolungamento trasformato, l’elaborazione e integrazione di tutto quanto aveva interessato il vecchio Mondo Pagano precedente il Cristianesimo ... Per certi versi il Cristianesimosi è rivelato come Nuovo Paganesimo: un Paganesimo.2, una nuova sensibilità con cui leggere diversamente il significato del Vivere riciclando, ampliando, modificando ed esorcizzando il prima PreCristiano… Gira e rigira tutta la Simbologia dei Draghi, Serpenti coabitanti con le figure Mitico-Bibliche di Adamo ed Eva, Cabala, Bestiari, e i vari: Odino, Dea Madre della Fertilità, Gilgamesh, Ulisse, Vizi e Virtù: “Licet o non licet”, Budda, Islam, Sacramenti e Santi e Madonne di turno sono stati e sono una sorta di servizio immaginifico che ha provato a regalare, proporre e tramandare la Storia con i suoi numerosi Sacri Testi, Leggende e Miti per aiutarci a intendere noi stessi, il Destino che ci avvolge, e il contesto storico ed epopea personale in cui tutti ci ritroviamo immersi volenti o nolenti … La marea dei Simboli sparsi, diffusi, riconoscibili e collocati ovunque: fra le Costellazioni e gli Astri in Cielo, nel grembo ipogeo di cripte, grotte, caverne e SacriMonti sulla Terra, nell’Aria volatile e nuvolosa, o nelle profondità acquose del Mare, delle Baie, degli Stretti e dei Canali: tutto quell’immane e immaginifica disgressione e riflessione della nostra cultura, è stata consegnata di generazione in generazione come seme di Tradizione-Educazione concentrato, trasposto, liofilizzato e passato in eredità alla nostra mente insieme al latte materno, quasi fosse un DNA supplementare, un patrimonio irrinunciabile aggiunto che diventa parte integrante di ciò che siamo.
L’immaginifico simbolico è diventato cultura, abitudine, convinzione, e spesso anche insito dictat-precetto etico-morale codificato dentro noi stessi.
Ricordo quando vivevo da bambino nella mia isoletta di Burano in fondo alla Laguna di Venezia: “Via gli Allori, il Bosso e i Cipressi dalla mia chiesa !” diceva il vecchio Piovàn Bonsignòr di Burano Don Marco Polo: “Non voglio piante pagane nella mia Casa di Dio !”… ed eravamo negli anni 60-70 del 1900 !
Torniamo alla nostra Venezia però con i suoi Simboli … La Serenissima fin da subito non poteva esimersi dal frequentare, e dall’essere parte coinvolta di tutto quell’immane calderone immaginifico, fantasioso ed espressivo … Anzi: ne è stata per certi versi anche estroso esempio, prototipo ed esplicito modello innovatore nonché sintesi curiosissima.
Il Leone Veneziano piano piano ha cambiato sembianza e significato: è diventato più pregnante di significato. Nell’intendere Veneziano si assemblò, integrò e concentrò nel Drago-Serpenteuna grande massa di significati fondendoli e coniugandoli insieme nel unico simbolo di San Marco col suo Leòn ... Il Leone finì col simboleggiare e impersonificare Venezia stessa, e i Veneziani, che divennero i “figli del Leòn de San Marco”.
Allo stesso modo Venezia si identificò nel Cavaliere San Giorgio o nelCoPatrono San Tòdaro o Teodoro che combattevano, infilzavano e calpestavano il Drago-Coccodrillo-Biscione posto quale simbolo preminente proprio in Piazza sulle Due Colonne, proprio di fronte all’Isola dei Benedettini dedicata esattamente allo stesso San Giorgio…Si trattava di due grandi SantiSoldativincitori del Demonio-Dragone effigiati in vesti Bizantine con in mano un Libro e una Crocetta, simboli della Fede Cattolica professata col Martirio.
Dal Molo e dal Bacino di fronte a Piazza San Marco, cuore pulsante della nostra città, partiva e arrivava, si esplicava buona parte dell’economia commerciale e marittima Veneziana. Tutti i Veneziani dovevano per forza guardare sempre quelle massicce Due Colonne Simboliche cogliendone il significato … Sul Molo di San Marco ad accogliere ed ispirare i naviganti al rientro a casa in Patria si levavano alla vista sempre loro: quelle due Colonne-Immagine di Marco e Tòdaro Lottatori e Vincitori contro ogni Male Cosmico e Quotidiano.
San Tòdaro era San Teodoro Tirone detto l’“Orientale”, cioè d’origine Bizzantina, era del IV secolo, e fu un altro MegaloMartire di Venezia … A Bisanzio-Costantinopoli, cioè Istambul, esistevano ben sei chiese a lui dedicate, e anche a Ravenna, nel 680, l'Esarca Teodoro fece costruire una chiesa in suo onore ... Il titolo Teodoriano era presente pure a Roma, non poteva quindi mancare a Venezia.
Originario di Amasea nell’Ellesponto oggi Turco, Tòdaro-Teodoro fu un legionario romano torturato e bruciato vivo sul rogo … anche se il suo Santo Corpo finì a Brindisi… Ma allora, fu bruciato o no ? … dettagli inutili … Secondo la Leggenda di San Teodoro la cosa più importante fu che fu lui a bruciare il Tempio di Cibele Madre degli Dei, e che fu sempre lui a combattere e uccidere dei Draghi ben quattro secoli prima dell’epopea del famosissimo Cavaliere San Giorgio ... San Tòdaro quindi era un altro SantoMatadraghi: un altro capace di dissolvere e superare tutto l’Antico retaggio Pagano-Malefico.
In seguito anche il Mito di San Marco si riferì ai contenuti Leggendari dell’antico coProtettore San Tòdaro ... Non a caso la Leggenda Marciana narra di una Venezia nata dentro alla lotta di una burrasca Marina dove le acque buie e incerte del Misterioso Mare-Male minacciavano di annegare il futuro di Venezia … Tramite l’intervento dei Protettori e di San Marco le acque ostili, come il Dragoneche spesso contenevano, si rappacificarono e diventarono talmente favorevoli alla Serenissima che non solo imparò a navigarle e dominarle, ma addirittura le sposò amandole del tutto e condividendone il Destino … Suggestione dell’immagine e del racconto Leggendario !
E’ evidente il richiamo alle Acque Primordiale della Creazione Biblica, nonchè alle antichissime e travagliatissime Acque Diluviali della Saga di Noèsopravvissuto sull’Arca all’acqua Malefica di Morte, non può mancare come riferimento il Mosè Salvato dalle Acque, e la correlazione ispirativa con tutti quei grandi personaggi mitici storici lottatori contro l’instabilità del Cosmo incerto, e talvolta inopportuno e importuno … San Tòdaro quindi prima di San Marcoè stato archetipo, tipos Mitologico-Leggendario, schema di riferimento per il Mito Marciano che esprime quella stessa lotta cosmico-politica-economico-esistenziale contro il Male, le avversità, e tutto ciò che era difficoltà e incertezza storica.
A Venezia esisteva già un edificio sacro dedicato al Santo Tòdaro-Teodorocontiguo a San Marco: il testimone oculare Giovanni Diacono lo vide bruciare nell'incendio del 976 ... Le spoglie del Corpo di San Teodoro giunsero a Venezia nel 1096 al tempo delle Crociate insieme a quelle di San Nicola-Nicolò di Mira: “San Pietro, San Marco, Sant'Ermagora e San Nicolò figurano tra i Patroni Ufficiali del nostro Stato … A questi Quattro è affidata la cura e l'onore dei Veneti. Con questi Protettori la Repubblica sta salda, cresce e risplende per Terra e per Mare."declamavano le Cronache Veneziane Antichissime.
Durante la Guerra di Chioggia del 1377-1381 sembra ci sia stato un ulteriore incremento del Culto di San Tòdaro, una specie di riscoperta-Inventioda schema Leggendario. Fu allora che venne eretta la statua sul pilastro del Molo collocandola accanto al Leone Marciano già esistente. In quello stesso frangente storico San Tòdaro entrò a far parte del tutto del Leggendariodella Coscienza Nazionale Veneziana. Secondo il racconto del Sansovino, che riprese un poema di Bernardo Zorzi, in quel momento storico si sarebbe inalberato a Venezia il Vessillo Teodoriano considerandolo Patrono delle Armi Veneziane.
Diciamone poi un’altra: i Veneziani fecero confusione tra San Tòdaro Teodorosoldato di Amasea (quello della Colonna di Piazza San Marco) e un altro San Teodoro di Eraclea Comandante e Patrono delle truppe Imperiali Bizantine sepolto ad Euchaita… La “Traslatio” del Santo Corpo di San Teodoro di Eraclea avvenne a Venezia nel 1267 a cura di Marco Dauro che si premurò di collocarlo nella chiesa di San Salvadorpoco distante da San Marco ... ma nelle Mercerie prossime a Rialto, dove un Santo in più non avrebbe guastato per proteggere, favorire e tutelare ulteriormente le economie dell’Emporio Realtino. Alla fine come d’abitudine a Venezia, e per non far torto a nessuno … figurarsi al Cielo ! … si tennero e venerarono entrambi i CorpiSanti dei due San Teodoro, ed entrambi vennero rappresentati sui mosaici della Basilica Marciana… Che importava quale fosse il Tòdaro giusto ? Ciò che importava era sempre, solo e unicamente il bene di Venezia sotto ogni forma … e con buona pace di qualsiasi tipo di Cielo.
Leone e Drago quindi richiamavano alla mente dei Veneziani una Venezia intesa come: “Porta fra Luce e Tenebre del Destino della Storia … Palcoscenico privilegiato dove si combatteva la Battaglia Cosmica definitiva fra Bene e Male”.
Sapete una curiosità circa i Leoni-Drago di Piazza San Marco e di Veneziain genere ? … Per secoli i Veneziani hanno tramandato l’idea che ogni Drago, compreso quello del San Tòdaro Sauropode della Colonna di Piazza San Marco, corrispondesse a quello combattuto con le Crociate, cioè il Drago era sembianza e sinonimo del Turco Maligno, Bestia Nera Maledetta, Malefico InfedeleSenzaDio, l’Eretico Nemico dei Nemici, il Peggior dei Mali in genere, quasi quanto la Peste e la Carestia. Il Turco era l’Antico-Ancestrale Male-Nemico da vincere, trafiggere e calpestare, e ogni Veneziano di fronte alla Colonna pensava che Venezia era come quella Principessa Salvata da San Giorgio o dal Tòdaro, e pensava ancora che San Marco e la Serenissima sarebbero stati capaci di continuare quella Lotta combattendo, difendendosi e vincendo contro ogni tipo di Male ... Anche se con lo stesso Turco Malvagio si poteva ugualmente continuare a fare buonissimi affari e commerci … perfino in tempo di guerra, e le guerre si sa: a volte duravano anche decenni allora.
Raramente, infatti, s’è interrotto del tutto il flusso commerciale ed economico fra Venezia e la Porta dell’Oriente Arabo-Ottomano. Il risvolto economico e il guadagno venivano prima di ogni Fede e Politica: “Siamo Veneziani prima che Cristiani” aveva detto l’Ambasciatore Veneziano al Papacome vi ricordavo prima ... Andate a vedere i teleri realizzati da Vittore Carpaccio per la Schola di San Giorgio e Trifone nelle popolari Contrade di Sant’Antonin e della Bragora nel Sestiere di Castello… Stupendi !!! … con tre punti esclamativi.
Anche in quei dipinti il Drago dipinto da Carpaccio per i Veneziani era una strana sintesi di Bestia alata Antica e Nuovo … Di sicuro vedendolo i Veneziani di allora andavano col pensiero dritti dritti alla vittoria desiderata e voluta contro quel Drago Maledetto dei Turchi Infedeli: erano loro il Male dei Mali, il Drago indomito da schiacciare con coraggio, e provare a vincere senza esitazioni, e risparmi di energie e risorse.
Tornando in Piazza San Marco, accanto al Tòdaro, giusto sull’altra Colonna, c’era e c’è il Leone Alato Marcianod’incerta provenienza, Di sicuro era già presente in città dalla fine del 1200, e s’integrò alla perfezione collocandosi nell’ormai usuale discorso di San Giorgio, San Teodoro, l’Arcangelo Michele trafittore di Draghi e Giudice con la Bilancia del Destino dell’Umanità, e tutti gli altri Santi e Sante Sauroctoni presenti a Venezia … Qualcuno dice che la testa del Leone Marciano della Colonna sia stata privata di alcune corna caprine sostituite dalla criniera di riccioli visibili ancora oggi. Le corna erano tipiche dell’iconografia del culto al Dio Sandon Protettore di Tarso in Cilicia… Altri dicono, invece, che il Leone fosse parte di un monumento funebre eretto da Alessandro Magno per i caduti della battaglia contro Dario a Issopoco distante da Tarso.
A guardarla meglio poi, quella statua proprio Leonedel tutto non è, perché è un miscuglio fraLeone, Serpente, Basilisco, Chimera e Coccodrillo (l’Essere-Coccodrillo era simbolo di Ipocrisiae Lussuria in quanto l’animale pur incedendo solenne, elegante e impavido, era di natura furbesca e malvagia rimanendo sommerso, mimetizzato e nascosto in agguato. Covava e dissimulava brutali intenzioni rapaci.)
Poco cambiò comunque per i Veneziani … Ogni immagine di Drago-Leone-Serpentepresente in Laguna e a Venezia impersonava e riassumeva plasticamente qualsiasi Nemico potesse avere nel tempo la Repubblica Serenissima. La tipica immagine del Leone Marciano, infatti, mostra una coda appuntita “da DragoAntico”, il Libro del Sapere, della Legge, e del Bene e Male del Vivere aperto in tempo di pace e chiuso in tempo di guerra, criniera raggiata al vento come un Sole Divino, occhi di brace, artigli rampanti e spada in mano … Gli mancava solo di sputare fuoco, ma la Serenissima sapeva sputare benissimo fuoco, e non solo quello … senza paura e in ogni circostanza.
La sintesi plastica Drago-Leone-Serpente divenne emblema politico-religioso, motivo d’identificazione, intenzionalità espressiva della potenza e delle capacità-intenzioni della Città Lagunare… Come simbolo di straordinaria diffusione, il Leone Marciano venne amato e odiato sia dai Veneziani, che dai Veneti, che da tutto il suddito Dominio da Mar e di Terraferma, ma fu anche input per molti di rispetto e timore: “Col Leon de San Marco no se scherza ! … El Leòn de San Marco fa ribaltar le budella in corpo, infiamma gli animi, accende una sensasiòn de violenta ribelliòn dentro … Impìssa un sentimento d’ostilità vendicativa incontenibile mai esausto verso i nemici della Repubblica, insieme a un sentimento d’amòr generoso e sacrificio pal Gonfalòn-Bandiera nostro … Il nostro Leon fa combatter ogni rivalsa con furbizia e coraggio, e spinge ad accompagnàr Venessia e San Marco dovunque andranno …”
Mettiamo da parte l’idea un po’ semplicistica di Venezia col Canal Grande a forma di Drago-Grande Pesce Marino, e anche quella di SanGiorgiocontroSanMarco, e della fantasiosa coda Draconica-Demoniaca che raggiunge Palazzo Dario dove nei secoli sono accaduti uccisioni, morti e feriti ... Sono mere illazioni e congetture fantastiche gratuite che fanno sorridere ... Non c’è nulla di storico e utile in certe considerazioni per cogliere il senso di Venezia col suo Mito.
Come ben sapete, a Venezia esisteva Il classico Leone Alato col libro e la scritta: “Pax tibi Marce evangelista meus”. Lo si ritrova a Palazzo Ducale sulla Porta della Carta, sulla Torre dell’Orologio, nella Piazzetta dei Leoni, appunto sulle Colonne di Marco e Todaro, sulla Porta dell’Arsenale, sul culmine della facciata della Basilica Marciana ... Qualche Nobile Veneziano oltre a inserire il Leone nel proprio stemma araldico, provò anche ad allevare qualche leone spelacchiato in casa: nel 1316 una leonessa partorì dei cuccioli a Palazzo Ducale… Raccontano le Cronache Veneziane che per un certo tempo in Piazza San Marco esisteva un altro spelacchiato Leone in gabbiache sembra sia morto avvelenato per l’ingestione delle dorature della sua stessa gabbia … Durante il Carnevale 1762 venne esposto un leone vivo in Piazza San Marco ritratto da Pietro Longhi nel “Il casotto del leone”.
Minuzie, curiosità e luoghi comuni sul Leone Marciano: veniva raffigurato “rampante” di profilo, o piuttosto: “in moèca”, cioè frontale con l’aspetto del granchio al tempo della muta del carapace. A volte il Leone era fuoriuscente dall’acqua simboleggiando l’elemento e il Dominio di Venezia: con una zampa sulla Terraferma e una sul Dominio da Mar, la dualità del Dominio Veneziano … C’erano poi Leoni accosciati, con le ali spiegate a ventaglio, Leoni “in gazzetta”: cioè seduti ad ali spiegate e con l’aureola, Leoni Vessilliferi con la bandiera della Serenissima, “Leoni andanti” col libro aperto o chiuso e con la spada sguainata verso l’alto o il basso a seconda che Venezia fosse in pace o in battaglia. Secondo un’interpretazione diversa: il libro aperto voleva significare città soggetta a pagamento di tasse alla Repubblica Serenissima; mentre libro chiuso e spada rivolta verso il basso significava: città esente da imposte, affiliata e di “comodo economico”per Venezia.
Come vi dicevo, c’era un vero e proprio affollamento di Leoni a Venezia. C’era e c’è ancora quello davanti alla Porta dell’Arsenale, ad esempio. Parte di quel monumentale insieme è stata portata a Venezia nel 1687 da Francesco Morosini da Delosdurante le guerre della Lega Santa contro il Turco dell’Impero Ottomanoe l’assedio di Atene. Delos oggi è un’isoletta disabitata di tre kmq e mezzo poco distante dall’altra isoletta di Rineja e dalla famosa Mykonos nell’Arcipelago delle Cicladi nel Mare della Grecia. E’ un sito archeologico di primaria grandezza ricco di reperti e mosaici, patrimonio U.N.E.S.C.O. molto conosciuto e visitato … Un tempo era isola strategica sulle rotte Mediterranee, centro di mercato, scambi e commercio di ogni genere conosciuto e frequentato anche dalle Mude della Serenissima. Per il Porto Leone di Delosnel Pireo, antico porto di Atene, sono passati Romani, pirati, e appunto anche i Veneziani che scambiavano schiavi, e che per non smentirsi al momento giusto si sono presi dei “ricordini”saccheggiando frettolosamente l’isola. Hanno rubato ed asportato, ad esempio, alcune teste di antichi Leoni del I secolo abbandonandone il corpo lì dov’era e dove sta ancora adesso, e viceversa: hanno imbarcato pesanti statue di tre metri portandole oltremare fino davanti alla Porta dell’Arsenale di Venezia.
Curiosa le vicende di alcuni di quei Leoni vandalizzati mentre stavano a Delosda alcuni “writer Scandinavi-Variaghi” dell’anno 1000 che vi incisero su spalle e fianchi alcune iscrizioni in Runicoincidendole a forma di Serpente ... Rieccolo sottolineato: torna l’abbinata Serpente-Dragone sopra a un Leone ! … Si sa che in quell’epoca alcuni Variaghi erano al servizio come mercenari dell’Impero Bizantino, e che vennero inviati in Grecia e nelle isole per reprimere alcune rivolte della popolazione locale. Comunque al di là della bravata della manomissione di quei Marinai, e della quasi banalità del contenuto delle iscrizioni che dicono solamente: “Asmund incise queste rune con Asgeir e Thorleif, Thord e Ivar, su richiesta di Harold l'Alto, nonostante i Greci riflettendoci lo vietino.”... e: “Hakon con Ulf e Asmund e Örn conquistarono questo porto. Questi uomini e Harold l'Alto imposero una forte tassa a causa della rivolta dei Greci ... Dalk è tenuto prigioniero in terre lontane. Egil è andato in missione con Ragnar in Romania e in Armenia.”, emerge il segno di una cultura Nordica che considerava il significato del potere ancestrale del Serpente-Dragone, chissà: forse in contrapposizione a quello del Leone?
Sui quattro Leoni diventati subito parte integrante del Portale dell’Arsenale Veneziano non mancò d’impiantarsi e fiorire immediatamente una fra le più curiose Leggende tipicamente Veneziane. Si narrò che nell’autunno 1719, ma poteva essere un giorno e un anno qualsiasi, dopo che aveva infuriato su Venezia e la Laguna una violenta bufera si ritrovarono nei pressi del Portale dell’Arsenale i corpi dilaniati di un paio di Marinai Greco-Maltesi che sembravano sbranati da un Leone. Ovviamente la Serenissima s’attivò subito ad indagare, ma non trovò alcuna spiegazione plausibile, perciò crebbe la paura degli Arsenalottie soprattutto della gente popolanissima delle misere Contrade delSestiere di Castello.
Erano stati i Leoni delPortale stregato dell’Arsenale?
Lo Stato allora incaricò Enrico Giustinian Capitano della Marina Venezianadi venirne a capo di quei fatti misteriosi, e di sorvegliare la zona ... Dopo circa un’altra settimana, come nelle fiabe: altra bufera sulla Laguna, e altro cadavere dilaniato rinvenuto il giorno seguente davanti alla stessa Porta dell’Arsenale … Stavolta si trattava del corpo di Jacopo Zanchi… La cronaca cittadina esplose saltando di bocca in bocca, e fu panico per tutti ! … Zanchi abitava lì nei pressi, ed era un Veneziano qualsiasi “senza arte né parte”, uno di poco conto e un po’ losco a dire il vero, la cui moglie “per arrotondare”faceva la prostituta. Fu proprio la vedova insieme ad altri testimoni che si presentò dal Capitano Giustinianad accusare un certo Fòscaro. Costui era un vecchio mercante usuraio che abitava pure lui in una calletta poco distante dall’Arsenale. I testimoni raccontarono che Foscaro il giorno precedente al nubifragio s’era affacciato alla finestra di casa minacciando lo sfortunato Zanchi: “Vedrai dove finirà la tua baldanza la prossima notte di tempesta !”
Il Capitano Giustinian ascoltò tutti e annotò ogni cosa ... Altra settimana … e terza bufera tra mezzanotte e l’una: terzo tempo scenico come nelle migliori Leggende … col Capitano nascosto a controllare ogni cosa nei pressi del Portale dell’Arsenale. Mentre scrosciava la pioggia s’accese nell’aria un arco luminoso che uscì da una delle caxette vicine, e dalla luce comparve Fòscaroche iniziò a girare attorno alle belve di pietra accarezzandole e sussurrando loro parole stranissime. Poco dopo: altro fulmine che andò a schiantarsi su uno dei Leoni che si svegliò e mosse riprendendo completa vitalità ... Fatalità, in quel momento stava rincasando la vedova del Zanchi con una sua amica, e fu allora che un secondo fulmine colpì un altro Leone che si scagliò ruggendo col primo sulle due sfortunate. Fòscaro immobile stava ad osservare la raccapricciante scena rimanendo immobile e impassibile.
Capitàn Giustiniàn allora non perse tempo: estrasse la spada conficcandola nel petto del vecchio stregone maledetto, proprio mentre un terzo fulmine colpì un terzo leone che iniziò a muoversi e ruggire … Trucidato Fòscaro, tutto si fermò: due Leoni tornarono immediatamente ad essere di pietra, mentre il terzo continuò a ruggire scuotendo la testa imprigionata nella pietra. Giustinian allora con un altro deciso fendente decapitò il Leone la cui testa esplose in aria in mille frantumi spandendo ovunque una misteriosa sostanza nerastra puzzolente (come i Draghi)… Per terra intanto stavano i corpi delle due donne sbranate accanto a un cuore di pietra: era quello del vècjo Foscaro maledetto.
Le indagini finali chiarirono che Fòscaro era effettivamente un mago-stregone, e che Zanchi contrattando un prestito ad usura aveva provato ad imbrogliarlo … La vedova sopravvisse alla tragedia, ma si dovette internarla in una delle isole manicomiali in quanto era andata del tutto fuori di testa … La testa del terzo leone, quello verso il Rio delle Galeazze dell’Arsenale, venne sostituita con una copia, e oggi si possono ancora vedere i segni di quella spadata ben data dal Capitàn Giustiniàn.
Fine della storiella … Interessante vero ? … Una fascinosa leggenda di una Venezia tutta noir e non molto antica, la cui regia aveva gran voglia di stupire e meravigliare!
Di Leoni vecchi e nuovi, solitari o in lotta con Serpenti e Draghi se ne trovano molti altri in giro per Venezia: immessi in muro al Traghetto della Contrada di San Tomà… in marmo rosso collocati nella Piazzetta nel 1722 realizzati da Giovanni Bonazza… sulle pareti dell’Archivio di Stato, cioè sulle pareti di quel che è stato il magnifico quanto potente Convento della Cà Grande dei Frari dove è capitato di tutto … e ai piedi del Campanile a cuspide conica del 1352 della chiesa di San Polo poco distante. I Leoni di San Polo sono stati realizzati in perfetto stile Romanico di certo fra 1100 e 1200, e sono stati probabilmente due Leoni stilofori che adornavano l’antico portale della precedente chiesa di San Polo. Indossano però alcune storie singolari curiose: uno dei due Leoni viene aggredito al collo da un Biscione… Era Venezia tradita dalla “serpe in grembo” del decapitato Francesco Bussone Conte di Carmagnola Capitano delle truppe Veneziane durante la guerra con Filippo Visconti di Milano? … L’altra statua dei Leoni di San Polo ha una testa umana fra le zampe, e allude forse alla decapitazione del Doge Marin Falierpure lui personaggio traditore della Repubblica … Erano quindi due Leoni di monito quelli di San Polo ? … Infatti in quelle occasioni storiche s’era appositamente istituito il Consiglio dei Dieci col compito specifico di “stritolare” il tradimento della congiura Baiamonte Tiepolo… Carmagnola era però del 1432, mentre il Doge Falier era del 1355, e la congiura dei Patrizi Bajamonte-Tiepolo-Queriniè avvenuta nel 1310 ... I Leoni di San Polo quindi erano molto più vecchi di secoli, quindi precedenti a quelle vicende che vennero loro giustapposte e attribuite dalla credenza immaginifica Veneziana e popolare ... Durante il Medioevo era normalissimo porre e trovare sull’esterno di facciate di chiese e campanili tristi e foschi Mostri, Draghi, Leoni e Serpenti che riassumevano e simboleggiavano il Male del Mondo contrapposto alla Gloria Luminosa di Dio che risplendevano all’interno della chiesa dove trionfava e si celebrava il Mistero Provvidente del Bene di Dio.
Come sapete meglio di me, di Biscioni Milanesi-Lombardiche insidiavano il Leone Marciano a Venezia ne sono stati accuratamente rimossi e scalpellati via diversi. Ogni volta che Venezia e Veneziani erano in rotta con i Milanesi facevano piazza pulita di tutto … Se ne salvano e ritrovano, infatti, pochissimi: solo qualche esemplare che per qualche motivo è riuscito a nascondersi in qualche calle o angolo di palazzo privato sfuggendo alla cancellazione … Nel Sestiere di San Polo ne esiste uno in una calletta chiusa, e ce n’è un altro, invece, molto bello, liberamente visibile nella nascostissima Corte del Rosario ai Santi Filippo e Giacomo. E’ quasi impossibile da scovare se qualcuno non ti segnala esattamente il posto … E’ bellissimo: andatelo a vedere !
Altri mirabili e significanti Leoni Venezianisi possono ammirare ancora nell’amena Isola di Torcello: sui plutei della Cattedrale di Santa Maria Assunta a sostenere l’Albero della vita, ad esempio, e ci sono altri Leoni messi in muro appesi nella Piazzetta antistante la tonda Santa Fosca nella stessa protoIsolaVeneziana … Altri Leoni ancora si trovano incisi nei “cippi di conterminanza o conterminazione” lagunare, alpina o territoriale che segnavano un tempo la fine o l’inizio, i confini del territorio Veneziano fin sulle pareti sperdute delle cime Dolomitiche, come sulla Muraglia di Passo Giau, ad esempio ... Tanti altri Leoni “a guardia e monito” si possono vedere in cima alle colonne di tante Piazze Venete: Padova, Verona, Vicenza, Bassano, Marostica, Conegliano, Castelfranco, Cologna Veneta, Belluno, Feltre, Udine, “il gatto” di Chioggia solo per citarne alcune … e Leoni Veneziani Marciani sono sparsi nei porti di buona parte del Mediterraneo: Montenegro, Croazia, Istria, Corfù, Pola, Zadare ovunque dove è giunta Venezia … che ha saputo arrivare lontanissimo: più in là di quanto si possa credere ... IQuerinisono arrivati di sicuro fino all’Estremo Nord riportando salva la vita a Venezia insieme ai baccalà … Si dice perfino di alcuni Veneziani, che pare abbiano messo piedi nella ghiacciata Groenlandia e in Americaben prima di Colombo. Di sicuro Mercanti e Navigatori Veneziani hanno navigato la calda Africa, e impresso le orme mille volte sulle sabbiose Vie della Seta, dell’Incenso, dell’Ambra, dei Profumi e delle Spezie dell’Asiacol misterioso, ricchissimo e misconosciuto Estremo Oriente… Infiniti Leoni continuano ancora a sventolare su mille bandiere colorate, a volte slabbrate, smunte e consumate dal tempo, nostalgiche o entusiaste issate un po’ ovunque per le Contrade, i Campi, i Traghetti di Venezia, ma anche in giro per il Veneto antico o nuovo ...
Venezia col suo Leone non finisce mai di stupire e ammaliare.
Esiste un’altra Leggenda Veneziana che sicuramente conoscete. Racconta dei Gondolieri Veneziani che come novelli Guerrieri Samurai della Laguna avrebbero combattuto, vinto e sottomesso un tremendo Drago del tutto nostrano: un “Mostro delle Acque Nere” che risiedeva proprio “in casa nostra”, nel cuore della Laguna Veneziana, proprio dentro al Bacino di San Marco, in una caverna subacquea sotto alla Punta della Dogana della Saluteallo sbocco-imbocco del famoso Canal Grande. Da lì usciva per far danni e predare dopo aver sputato immense nuvole di “Caìgo” che riempivano di fosca e densa nebbia la Laguna ... Pare che il termine Gondola e Gondolierederivi da etimologia tedesca che significherebbe: “Guerriero-Guerreggiare” ... Mamma mia ! … Ve li vedete i Gondolieri Guerrieri ? … Quelli benestanti e addizionati di oggi, prendersi cura delle sorti di Venezia frammischiandosi con la Leggenda? … Io proprio no … Li vedo semmai più dediti a combattere fra una vogata e l’altra Draghi e Leviatani che spuntano dallo spritz, dai cicchetti, e dal prosecco in qualche bàcaro, ignari per non dire indifferenti come molti di noi Veneziani sia dei turisti che di quanto accade quando si rivoltano le acque o le memorie della nostra Laguna ... Secondo la Leggenda Venezianacome San Giorgio aveva ucciso il Drago con la lancia, così i Gondolierisarebbero riusciti nell’antichità a soggiogare a suon di remate l’orribile bestione, e solcando e vorticando col remo in perpetuo l’acqua dei Canali Lagunari sarebbero in grado di mantenerlo sempre intimorito, mansueto e buono: addirittura pauroso di uscire fuori e risalire in superficie … Sempre secondo la stessa Leggenda, i Neri Monaci Benedettini dell’Isola di San Giorgio Maggiore, pure loro esperti in Draghi, si sarebbero aggregati ai Gondolieri in quell’opera di contenimento del Mostro Venezianoimpegnandosi per sempre a contenerlo e tenerlo a freno a suon di potenti quanto costanti canti, litanie e orazioni recitate giorno e notte in saecula saeculorum ... Amen !
A Beryto in Libia, cioè a Lydda, una ProtoLeggenda profilo base di molte altre seguenti raccontò che esisteva un grande stagno in cui si nascondeva un enorme Drago sputafuoco cioè ignivomo, alato, coduto e pieno di zampe: anche sei, sette se fosse stato il caso, il cui alito fetente e velenoso giungeva fino alla città vicina di Selem uccidendone gli abitanti. Per tenere a bada la Bruttabestia, i cittadini Seleniti(Adoratori dellaLuna: cioè appartenenti a un Culto Maledetto Pagano, quindi rei, e meritevoli della pena di avere il potente Drago incarnazione del Male in casa) iniziarono a versare tributi allo stesso Drago dandogli in pasto dapprima le proprie pecore, e poi persino esseri umani e fanciulle scelti a sorte fra i più giovani della città. Venne il turno della giovane Silene il cui padre Re si oppose scatenando le furie dei suoi concittadini ... La Leggenda continuò a narrare che sbucò dal nulla un impavido Cavaliere Santo-Guerriero di passaggio che si offrì di uccidere il Drago in cambio della conversione al Cristianesimo dell’intera città ... Che rappresentava quindi quel Drago ?
Il Drago abitava nell’acqua: personificazione certa dell’elemento oscuro vitale primordiale … L’alito pestifero era quell’influsso negativo delle convinzioni pagane che riuscivano ad arrivare ovunque fin oltre le mura difensive di qualsiasi città e roccaforte interiore o ordinamento sociale … Ciascuno: chi in un modo o nell’altro, chi prima e chi poi, doveva affrontare dentro al grande o nel piccolo della propria esistenza episodi di Draconico Male… Nessuno era esente, proprio nessuno: neanche gli apparentemente fortunati che sembravano esenti da tutto e tutti e protetti dalla cultura e dall’efficienza urbana … Le seguenti epopee di San Giorgio, dell’Arcangelo, di San Tòdaro, Santa Marta e Marina e di numerosi gli altri vennero quindi declinate e raccontate ovunque a partire da quella specie di copione e tracciato base principale di Leggenda, e da lì con mille varianti si riempirono e affrescarono infinite chiese, cripte e Monasteri in tutto il mondo Cristiano-Occidentale ... Un gran bel vedere di certo per tutti.
Come nelle fiabe, infine, ottenuta la conversione di tutti: battezzati uno per uno, il giovane San Giorgio fracassò “l’orribile animale”, che divenne così mansueto tanto da poter essere tenuto a guinzaglio dalla stessa Principessa Silene… Attenzione a un dettaglio interessante: non venne uccise il Drago, ma lo vinse … ossia la lotta col Drago non finisce mai, è sempre vivo, latente e in agguato abitando dentro al cuore sociale della città di tutti.
Vi dice niente questo dettaglio ? … Il Male del Cosmo e del Mondoè stato mai vinto del tutto ? … Servirebbero ancora oggi milioni di San Giorgio di turno per poter continuare l’effetto benefico della Leggenda, che forse Leggenda del tutto non è, ma credo corrisponda alla Storia reale vissuta da quelli di ogni epoca. Credo che Draghi e Leggende descrivano quanto ciascuno di noi vive a proprio modo nella propria personalissima lotta interiore e sociale in cui gli capita d’esistere.
Fatalità … Il Mito Greco di Perseo col cavallo Pegaso salvava la Principessa d’Etiopia Andromeda da un Mostro Marinoproprio a Lydda: nello stesso posto in cui nacque la Leggenda di San Giorgio e il Drago ... Proprio lì ilSanto Giorgio Agricoltoree del buon raccolto, questo significa il nome, vinceva la sua nuova lotta persa dal PaganesimoClassico Dragosinonimo e causa di ogni Male, quindi anche della carestia, della siccità, di ogni forma d’infertilità, e di ogni magagna poteva capitare … Al pari del vecchio mitico Pegaso: anche lui personaggio “ammazzaDraghi” veneratissimo ovunque nei tempi antichi, i SantiMataDraghi Giorgio, Michele, Tòdaro, Giustina, Marina & C prolungarono e rinnovarono l’antico Mito pre-cristiano trafiggendo con la spada il mostruoso "Ketòs o Kètos" alla cui volontà bisognava votarsi per forza in sacrificio … Stranissima, quasi contradditoria, ambigua e storpiata a volte la Leggenda: paradossalmente al tempo delle Crociate l’ImperatoreBizzantino era assimilato e identificato col Dragone… Si voleva alludere al fatto che l’Imperatore stesso fosse un nemico pestifero della Fede, della Cristianità, e della Storia … La più antica rappresentazione di San Giorgio Santo-Soldatoè Armena di Akdamar e risale a prima del 1000. Lì San Giorgio appare insieme a San Sergio eSan Teodoro di Amasea: tutti impegnati a uccidere Draghi-Serpenti antropomorfi, cioè: persone figli del Caos Eretico-Pagano aderenti alla perdizione dell’antico onnipresente Culto Eretico della Grande Madre Terra ... Il Drago aveva il volto dell’Imperatore, e la Principessa salvata dal Drago, infatti, simboleggiava la Nuova Fede, cioè il Bene che trionfava battagliando sul Male Religioso del Paganesimo, ma anche contro qualsiasi Male Sociale e Fisico, e perché no ? … Anche Male Politico-Economico … Non a caso San Giorgio divenne Patrono d'Inghilterra e Portogallo ... Non vi ritorna in mente come i Veneziani impersonavano il Male del Mondo nel Turco ?
Le Crociate in seguito amplificarono tutto quel primigenio apparato Leggendario, e funsero come da immensa cassa di risonanza Europea per tutta quella concettualità Simbolica: il Serpente Orientale si trasformò nel Drago-Infedele da combattere senza fine, e ciascuno si sentì coinvolto nel compito del San Giorgio e di tutto quel Santorale Leggendario-Eroico che traboccava in Occidente insieme ai Crociati, il bottino del saccheggio, le Sante Reliquie e i sopravvissuti Pellegrini che tornavano a coinvolgere con i loro racconti fra paure e speranze: grandi e ricchi, poveri e miseri, Papi, Re, Monaci, Mercanti e Preti, e fino all’ultimo dei popolani ignoranti riempendoli di Corpi e Reliquie da venerare e Leggende a cui ispirarsi e in cui identificarsi.
Fu quindi per questi motivi che anche Veneziaa seguito delle politiche filoBizzantine e Papali che andavano di moda in quel momento divenne una grande Dragoneria di Santi Orientali, Protettori, Mitici e Miracolosiai quali non si mancò in fretta e furia di innalzare chiese e cappelle e d’intitolare Parrocchie, Piovanie, Contrade e Isole Lagunari… Venezia volle diventare una Seconda e Nuova Bisanzio come veniva ricordato ancora nel 1400 dall’acculturatissimo e ricco famoso Cardinal Bessarione… I Veneziani come tutti allora, erano convinti che c’erano Draghi-Maligni ovunque sempre nascosti in dirupi scoscesi, paludi ostili e caverne, ma anche in città rabbuiate dalle tenebre … Anche a Venezia quindi fu tutto un fiorire d’Icone e dipinti, cicli raffigurativi affrescati dentro a numerose chiese cittadine o insulari, cripte, chiostri e cappelle di Monasteri, statue e mosaici: più di un terzo dei Santi raffigurati nei mosaici di San Marco corrispondevano a Santi d’importazione Orientale vestiti da Bizzantini: Gregorio Nazianzeno, Sant'Atanasio, San Basilio, San Giovanni Damasceno che nell’VIII secolo descriveva i Demoni come Draghi volanti in Aria, San Simone Stilita, San Foca, i Santi Cosma Eremita e Damiano finiti incardinati alla Giudecca, Santa Caterina di Alessandria, Santa Barbara di Nicomedia, Sant’Elena, i Santi Sergio e Bacco nella Contrada del Vescovo di Olivolo-Castello che solo dopo si sarebbe dedicata a San Pietro, e ancora: Santa Marina, Sant’Eufemia, Santa Dorotea, Tecla ed Erasma, San Metodio Patriarca di Costantinopoli, San Fantin, San Giovanni Crisostomo, San Lazzaro, Sant'Antonin, San Biagio, San Giminiano, San Giuliano, San Saba e Santa Giustina Martire giunta attraverso Padova vestita da Imperatrice.
Santa Giustina era anche lei una Santa con Drago, ed era Protettrice di vigne, campi e del raccolto, una SantaZonale come San Francesco della Vigna e la contigua San Marco “in vinea”a cui si legò la Leggenda Marciana.
Venezia poi volle fare “la splendida”, in quanto più di altri e in maniera insolita, unica e curiosa dentro a tutto il panorama scenico Devozionale Europeo, accolse il Culto e le numerosissime Reliquie, Corpi, Resti e Memorie dei Santi dell’Antico Testamento Biblico.Certi Santi vennero celebrati in Europa solo a Venezia, e secondo le scadenze calendariali Orientali e non del Calendario Romano-Papale:San Moisè, San Zaccaria, San Geremia, Sant’Isaia(sostituito poi da San Stae), San Giobbe, San Samuel, San Simeone Profeta e San Daniele:ultimo dei Profeti Maggioridell’Antico Testamento Biblico, era stato Prefetto e Principe di Babilonia dove i Babilonesi erano sfegatati adoratori di Draghi, e Oracolo Potente e Giusto, grande visionario e lettore, Operatore di Segni, e ovviamente Uccisore di Draghi che faceva scoppiare offrendo loro focaccia fatta con pece, peli e grasso cotto. Sopravvisse al crollo dell’Impero NeoBabilonese del 539-38 a.C. ma non al rigurgito del Paganesimo … La chiesa-Monastero dedicata a San Daniele sorgeva a Venezia nel Sestiere di Castello fino al 1800, e venne spazzata via dal solito napoleone ovviamente.
Le conquiste di Narsete e la Guerra Greco-Gotica indussero i Veneziani a costruire due chiese dedicate al culto di San Mennasoldato e Martire Egiziano il cui culto era diffusissimo in Oriente e Occidente, e il Santuario meta di continui pellegrinaggi, e a San Tòdaro o Teodoro di Amaseasul Ponto martirizzato sotto Massimiano.
Nel 1100 insieme al Corpo di San Nicola trafugato a Myradalla flotta Veneziana del Doge, giunse a Venezia il Corpo di Santo Stefano trafugato da Costantinopoli dieci anni dopo. Sant'Isidoroarrivò con la quarta Crociata quando i Veneziani ebbero fino al 1260 il Patriarcato di Costantinopoli e parte dei territori dell'Impero Bizantino ... Nel 1204 arrivò a Venezia il Corpo di Santa Lucia, due anni dopo giunse quello di San Simeone Profeta a cui era già stata innalzata una chiesa in anticipo ... Nel 1211 giunse il Corpo di Sant'Elena, nel 1240 il Corpo di San Paolo Eremita, sei anni dopo: quello di Sant'Eutichio (San Stae), tre anni dopo ancora: il Corpo di San Giovanni Elemosinario Patriarca di Alessandria in cui onore già da due secoli esisteva una chiesa a Rialto ... Nel 1258 fu il turno di San Barnaba, e nel 1267 del Corpo del Vescovo Paolo portato a Venezia da Marco Dauro ... E fu così Venezia insieme ai frutti di tutti quei saccheggi e Traslatio di Santi e Sante, iniziò a riempirsi di Leggende Auree e Memorie di Mirabilia, Acta Sanctorum e Diari di Viaggio di esploratori, pellegrini e missionari visionari come Giovanni da Pian del Carpine, Nicola Ascellino, Simone da San Quintino (1245-47), Guglielmo di Rubruck (1253), Giovanni da Montecorvino(1289), Odorico da Pordenone e Giordano da Séverac (1320), Pasquale di Victoria(1338), e Giovanni dei Marignolli (1342), che vennero letti e riletti e assimilati avidamente dalla Cultura-Tradizione locale Veneziana divenuta “TuttaCristiana”.
In seguito, quando passò la moda della politica filoBizzantina, a Venezia si aprirono nuovi orizzonti politici e d’autonomia. Giunse così la nuova moda-Culto degli Apostoli, dei Santi Zonali con relative Reliquie, e della Madonna in tutte le sue numerose espressioni, con Reliquie anche di lei, talvolta inverosimili. Nella Basilica di San Marco si conserva ancora la Reliquia del Latte della Madonna, e se si mettessero insieme le Reliquie del Velo della Madonna, e quelle dei Capelli della Madonna la Vergine Santissimadovrebbe aver avuto un guardaroba grande come un bazar, e una criniera folta due volte Branduardi … Sorsero così le numerose chiese Veneziane dedicate alla Vergine: le così dette Sante Marie delle Lagune: Torcello, Grado, Caorle, Murano, Jesolo-Equilio, Santa Maria Assunta di Malamocco,e Santa Maria di Eraclea spazzata via dai contadini nottetempo nel dopoguerra per timore di venire espropriati dei terreni dallo Stato… e poi ci furono le Sante Marie del tutto Veneziane: Santa Maria Formosa, Santa Maria Materdomini, Santa Maria Maggiore… Lo sapete vero ? … La Madonna Madre di Dio: la MaterDei, MaterDomini andava intesa come la Nuova Eva assimilabile alla donna dell’Apocalisse che calpestava sotto i piedi il Dragone Antico Eterno… Vedete ! … Siamo sempre là con i discorsi: Miti, Storie e Leggende: tornavano e ritornavano ...e nacque anche sulla scia di tutto questo la dedica della Leggendaria fondazione di Venezia del 25 marzo Festa dell’Annunciazione a Maria: l’"Origo et Salus" di tutti i Veneziani.
A Castello-Olivolo il titolo di San Pietrodi connotazione Franco-Carolingia-Papale Romana prese il posto agli ormai superati Santi Sergio e BaccoBizzantini, e ci fu una nuova ondata di Leggende-Profezie e Visioni con i vari San Magno di Oderzo e Prete Mauro di Altino che sognavano a raffica di costruire nuove chiese in Laguna … Comparvero allora le varie dediche-titolarità a San Giovanni Battista, Sant’Antonio Abate o del Porsèo: asceta nel Deserto della Tebaide Egiziana, Padre dei Monaci al tempo di Diocleziano, autore col grande Padre Atanasio della grande lotta contro i Draghi Ariani; a Gesù Salvatore cioè San Salvador, e Sant’Erasmo Protettore delle genti di Mare e dei Naviganti ... Spuntò la chiesa dedita ai Dodici Santi Apostoli: dove secondo la Nuova Leggenda s’erano fermate dodici Gru … Anche gli Apostoli… fatalità … erano uccisori di Draghi Maligni: San Giovanni Evangelista e Apostolo figlio di Zebedeo, fratello di Giacomo Apostolo testimone all’atto della Trasfigurazione e Passione di Cristo ai piedi della Croce: venne avvelenato, ma ne uscì incolume, e veniva rappresentato col Drago nel calice… L’avvelenamento quindi era paragonabile a un Drago … Anche San Filippo di Betsaida Apostolo insieme a Giacomo figlio di Alfeo detto il Giusto era combattente di Draghi… Sorse poi la chiesa dedicata agli Angeli Raffaele e Michele protettori della Porta della Cittàdi Venezia e di chi entrava ed usciva dalla Via Acquea di Terrafermache portava al Sestiere di Dossoduro … Michele vincitore del Drago-Diavolo-Luciferocontinuatore forse dell’antica Saga di Giobbe riempì del suo culto l’intera Europa soprattutto ad opera deiLongobardi prima e dei Normanni poi, che ne fecero il loro Santo Nazionale.
Poi quasi una marea, la cultura di tutti quei Santi-Cavaliere Sauroctoni duellanti col malvagio Drago-Pippistrello orripilante, a più teste, squamoso, invulnerabile, coduto, con artigli e fuoco si espansero insieme all’immagine del Grifo Alato a popolare l’intera Italia e l’Europa ponendo Draghi e Mostri Marini dappertutto.
La Penisola Italica si riempì soprattutto di San Giorgio e dell’Arcangelo Michele che si contesero il primato e la prevalenza dal Gargano Pugliese alle Alpi lungo la Via dell’Angelo, la Via degli Abatie dei Santi e la Via Francigena… C’erano, e ci sono ancora, migliaia di luoghi a loro dedicati capaci di calamitare per secoli folle di Pellegrini da tutta Europa … Ma non c’erano solo loro due, a cavallo fra Leggenda, Tradizione e Storia, c’erano presenti e attivi in Italia un’intera Litania di Santi Ammazzadrago…
Ve li dico tutti ? … Meglio di no ... Vero ?
Vi ho salvato … erano e sono più di una quarantina.
Vi cito solo a titolo d’esempio: San Bernardino da Tolentino Vescovo di Lodi che uccise il Drago Tarantasio del Lago Gerundo il cui scheletro venne conservato fino al 1700 nella chiesa di San Cristoforo di Lodi, mentre una costola si conservava ancora nel Santuario della Natività della Vergine di Sombreno … Altri pezzi di Balena o Dinosauro riciclati giustificando Mito e Leggenda ? …
Voglio però sprecare qualche parola per il “fenomeno Puglia” che è sempre traboccata di Santi, Reliquie e Draghi, soprattutto nelle città marinaresche e commerciali che hanno avuto parecchio a che fare con Venezia finendo spesso in concorrenza con lei … Intorno all’anno Mille, quand’era frequente il pericolo dei Saraceni… riecco spuntare il Turo tanto temuto dai Veneziani … era conosciutissimo l’episodio di Basilio o Adeodato: il ragazzo rapito dai Saraceni divenuto prima Coppiere dell’Emiro di Creta, e poi liberato miracolosamente da San Nicola.
Leggenda Pugliese raccontava che nell’VIII sec l’Imperatore Bizzantino Costante IIsbarcò a Tarantodistruggendo Sipontoe assediando Beneventodominata dai Longobardi del Duca Romualdo... Il Santo Vescovo Barbatoesperto convertitori di Longobardi al Cristianesimo, chiamato da Theodorada sposa dell’Imperatore, scoprì che costoro benchè battezzati continuavano ad adorare segretamente la Vipera d’Oro Anfisbena e gli Alberi Sacri... Il Santo promise allora di salvare Beneventoin cambio della rinuncia all’Idolatria da parte dell’intera città … Apparve quindi la Madonna, e il Longobardo Romualdo consegnò il Serpente d’Oro simbolo della Dea Terra, Tellus, Igea, Egeria e Atena che venne immediatamente fuso e trasformato in Calice da Messa ... Già che si era in ballo si fece anche tagliare il secolare famoso Noce Sacro di Benevento: l’Albero Serpenteusato dalle Sacerdotesse della Dea Diana Caria, e si fece costruire al suo posto la chiesa di Santa Maria in Volto… e Benevento fu così salvata, e vissero tutti felici e contenti.
Il Culto del Noce Sacro di non di riempire per secoli tutte le saghe e storie di Streghe e Magia Eretica perseguite dall’Inquisizione, e sopravvisse lo stesso nelle campagne e nella mentalità popolare almeno fino al 1500 e ben oltre.
Anche l’Otranto SalentinaPuglieseè stata storicamente: Terra di Draghi e di Miti di SerpentiBarbuti come Caproni. A Otranto la Leggenda raccontava che il Satanico Bifido Rettile possedeva palchi da Cervone, assomigliava a un Basilisco cornuto, ed era una bestia anfibia di dieci-quindici metri di lunghezza con zampette laterali da Coccodrillo… Sul mosaico pavimentale del 1100 della Basilica di Santa Maria Annunziata di Otranto si possono vedere diverse rappresentazioni di animali mostruosi: grandi Serpenti squamosi, coloratissimi dai denti bianchissimi e con gli occhi diabolici accesi, Draghicornuti e “uròburi” cioè che si mangiano la coda, (richiamano l’idea dell’eterna ciclicità ripetitiva della Storia e del Tempo: l’Inverno-Autunno delle foglie caduche è simile al Serpente capace di donare Morte velenosa. Il Serpente si rifugia in tane ipogee penetrando l’utero della Terra Madre quasi fosse un fallo che la feconda predisponendola alla Rinascita e al Rinnovamento Primaverile … Il Serpente muta la pelle.) I Draghi divoravano: Capre, Lepri e Chimere(anche la Chimera era partecipe delle corrispondenze Astrologiche, Mitiche e Zodiacali, e rappresenta lo scorrere del Tempo e delle Stagioni dell’anno), ma venivano a loro volta attaccati e morsi da Leoni: l’Animale Solare dalla criniera fiammeggiante che riscaldava e faceva maturare le messi al Tempo del Solleone … Potenza del Bestiario rappresentativo e simbolico del Medioevo: bellissimi !
Secondo un’ulteriore Leggenda di Otranto, usciva dalle acque del Canale Otrantino o Idruntino dove s’incontrano Mare Adriatico e Ionio,un gigantesco Serpente-Khetos-Mostro notturno che, mentre le sentinelle dormivano, risaliva la scogliera e scalava il Faro del Serpe, antica torre d’avvistamento, per bersi l’olio della lampada lasciando al buio i naviganti. Per questo in molti erano naufragati e annegati, anche se allo stesso tempo il Serpente-Drago lasciando tutti al buio proteggeva Otranto dalle scorrerie dei Draghi-Pirati che divoravano le genti in mare ... Il Drago di Otranto era bivalente quindi: autore di maleficio e beneficio insieme.
Altri Draghi erano presenti nell’isola greca di Fanò prossima ad Otranto. Era l'isola omerica di Ogigia dove la Ninfa Calipsotrattenne per sette anni l’eroico Ulisse, e c’erano Draghi tremendi anche a Corcira Terra dei Feaci ossia Corfù. Lo testimoniano gli scritti di Esichio di Mileto storico bizantino che racconta di Elefenore Re degli Abanti di Eubea:erroneo uccisore del nonno Abantee, perciò costretto all'esilio nell’isola disabitata dove trovò un Drago che lo respinse.
Ancora oggi certi Carrettieri e vecchi Contadini Salentiniraccontano di Antiche Vie dei Serpenti, e giurano e spergiurano d’aver incontrato nei campi, in zone boscose o paludose fra canneti e stagni l’antico gigantesco, mostruoso “Serpente Pastura-vacche” che si nutre del latte delle mucche …Solino nel III secolo d. C. nella “Collectanea Rerum Memorabilium” raccontava: “In Salento è assai diffuso il serpente detto Chersydros, e vi nascono buoi che permettono a quel serpente di crescere fino a raggiungere dimensioni enormi. Per prima cosa intercetta una mandria di buoi, e attaccatosi alle mammelle della mucca che sia più ricca di latte si ingrassa succhiando senza posa; col passar del tempo, a causa delle copiose suzioni, da ultimo si gonfia tanto che nessuna forza può contrastare la sua mole, sì che finisce, facendo strage di animali, per rendere deserte le regioni cui si sia stabilito.”
Quanti Draghi in Puglia vero ? … A quelli vanno sommati i Draghi legati alle numerosissime presenze del Culto di Santa Marina-Santa Margherita, pure loro Sante col Drago la cui Devozione era diffusissima in cripte e chiese del Salento: San Vito ad Ortelle di Lecce, Parabita, Miggiano, Ruggiano, Bisceglie, Laterza, Taviano, Muro Leccese solo per citarne alcune.
Faccio un salto nel Nord’Italia … per non scontentare nessuno, poi ritorno di nuovo a Venezia.
Altra Leggenda racconta ancora, che nella seconda metà del IV secolo, stavolta dalla parte opposta dell’Italia, i fratelli Giulio e Giuliano Monaci girovaghi provenienti dall’Isola di Egina col mandato Imperiale di divulgare il Cristianesimo sostituendolo al vecchio Paganesimo… solita storia che ormai ben conoscete … raggiunsero Gozzano sulle rive del Novarese Lago d’Orta… I due candidati alla Santità, fra l’altro, s’erano proposti di costruire almeno cento chiese, e fra contrasti e insuccessi ne avevano innalzate già novantanove quando giunsero a osservare lo scoglio roccioso e inospitale che fuoriusciva dalle acque del centrolago. Lì volevano costruire di sicuro la loro centesima chiesa ... Ma proprio lì ? … Perché ? … Nessun barcaiolo osava accompagnarli, e i contadini del posto li mettevano in guardia informandoli che quella era l’Isola Maledetta del Drago: un posto dimenticato da Dio, dove c’era una tana che ospitava una creatura che si saziava attaccando bestiame, distruggendo case e raccolti, e talvolta divorando anche qualche persona.
Riecco quindi comparire di nuovo il Drago che coincideva col Paganesimo … I due fratelli erano giunti lì appositamente per quello … Giulio San Giulioovviamente sapeva benissimo che il Lago d’Orta oltre ad essere sede di diversi avvistamenti di code e draghi da parte dei pescatori che lavoravano dentro le fredde nebbie invernali, era anche sede di un Antico Culto Pagano del Lago, che ovviamente doveva andare eliminato nella nuova ottica Cristiano-Imperiale … La Leggenda continuava: San Giuliosi commosse per tutte quelle vittime innocenti del Drago, e decise di risolvere la situazione a suo modo ... Stese allora il mantello sull’acqua utilizzandolo come zattera e raggiunse l’isola, brandì la spada, e affrontò, sconfisse e cacciò il Drago ... L’isola mutò quindi nome assumendo quello del Santo Liberatore dai Draghi che fece costruire una chiesa e Convento, e alla fine venne pure sepolto proprio nella stessa isola ... Tutt’oggi al centro della Sacrestia del Convento si custodisce ancora una possente vertebra di quel Drago che pendula inquietante sospesa al soffitto ... L’ha persa per strada il Drago mentre se ne andava ? … O è un comune osso di Balena ?
Chicca curiosa sull’Isola di Orta San Giulio ? … Nello stessa Sacrestia si custodisce il “Drago di ferro dalle ali di Farfalla”, cioè un Draghetto smontabile rosso sangue coperto di squame verdi, con denti aguzzi e fauci minacciose, e appunto due leggiadrissime ali da Farfalla ... Fino al 1840 veniva portato in Processione per tre giorni lungo le sponde del Lago insieme a un Crocefisso: il Dragostava in testa al corteo, e la Croce in fondo ... Durante la Processione, la coda veniva srotolata e alzata e, dopo la scena rituale della Resurrezionedel Cristo, il Drago passava in fondo alla Processione abbassando ali e coda e chiudendo le fauci ... Poi veniva smontato e riportato nella Sacrestia dove veniva ricomposto in attesa dell’anno seguente.
In Europa, invece, le Leggende misero Draghi dentro a tutti i fiumi del Tirolo, nel fiume Rodanodella ProvenzaCarolingia, nei Monasteri di Cluny, Fulda, Reichenau, San Gallo, Montecassino, San Vincenzo al Volturno e in molti altri insigni Scriptorium Monasticipresenti fra le Alpi e le Piramidi … Anche in questo caso credo non v’interessi di conoscere nel dettaglio tutti i posti e i nomi dei Santi e Sante Domatori di Draghi dell’Europa: sono ben più di trenta … Vi risparmio pure questa.
Anche stavolta vi cito solo un caso: l’ultimo della lista, che è stato San Gottardo di Hidesheim che oltre ad essere Combattente contro il Drago, fu anche abile a vincere la febbre, la pellagra, l’idropisia, le malattie dei bambini, le doglie del parto, e i danni della grandine … Era un bel Santo polivalente tuttofare, insomma: un Santo davvero molto utile da avere come Amico e Protettore.
L’Europa come l’Italia erano quindi proprio infestate da Draghi o Gargouille essendocene praticamente uno ovunque, e ce n’erano molti altri in giro per il Mondo: giù giù per l’Africa Copta-Etiope, nell’OltreOceano delle NuoveTerre scoperte di fresco dove spuntarono fra tutto il resto le strane vicende-leggendarie del Serpente Piumato del Messico scappato dal Cielo lungo la Via Lattea, o quelle del Dragone del Cieloche spuntava ogni anno quando si apriva la Porta del Cielo Estivo a cavallo fra Presente, Eternità e misterioso Infinito delle Costellazioni Sudamericane e Andine … Beh ? ... Della Cina lo sapete: c’era il Dragone figura eminente e polisimbolica ben prima della nascita delle Leggende del Drago Mediterranee, e le Lettere del Prete Gianni provenienti dall’Asia indicarono chiaramente l’esistenza di Draghi Asiatici portati a spasso da Principi e Maharajà Indiani durante feste nuziali e banchetti, o cavalcati da Guardiani che li imponevano di morso e sella.
E rieccomi a Venezia come promesso … Se navigherete il Canale dell’Isola di Mazzorboancora oggi passerete davanti alla Madonnetta che calpesta il Drago-Serpente: l’Antico Male Antico rappresentato dalle Leggende anche là in fondo alla Laguna … Così come troverete rappresentato ancora il Leviatano nel grande Mosaico del Giudizio Universale di Torcello. L’avete visto ? … Avete poi notato il Drago divoratore ai piedi dei Tetrarchi a Palazzo Ducale accanto alla Porta della Carta ?
Come ben sapete dopo il 1508 la Repubblica diede incarico al pittore Zorzòn da Conegiàn, cioè Giorgione insieme al suo sconosciuto giovane allievo Tiziano di dipingere, anzi affrescare le facciate esterne della nuova Casa-Fondaco della Nazione Todesca a Venezia. Al Maestro toccò di decorare la prestigiosa facciata che guardava il Canal Grande e il Mercato dell’Emporio Realtino, mentre all’allievo toccò di dipingere la facciata secondaria affacciata sulla strada delle Mercerie di San Bartolomio e San Giovanni Crisostomo.
Sapete che dipinse “il garzòn da bottega Tiziano” sulla facciata di sua spettanza ?
Le Memorie Veneziane sono esplicite, l’appena diciottenne Tiziano dipinse: “ … Dragoni, Putti, Mostri e Giganti …”, che purtroppo andarono tutti irrimediabilmente perduti.
Ci sono poi altri esempi di Draghi cittadini Veneziani: il Drago di Santa Marina ad esempio, cioè di Santa Margherita d'Antiochia di Pisidia: un tempo una delle città più fiorenti dell'Asia Minore. Quello di Santa Marina-Margheritaè un altro di quei Culti antichi Iconici di stampo Eremitico-Monastico e d’importazione Orientale-Bizzantina. Santa Marina, la: “donna del mare”, era una Santa Marinara come San Nicola, cioè ancora una volta una Santa affacciata sul Mistero arcano e antico del Mare-Drago-Male.
Avete capito giusto: ho detto Santa Marina e Santa Margherita insieme, perché sono state la stessa figura-persona … I Veneziani anche in questo caso e nella foga d’importare in Laguna tutti i Santi e le Sante del Paradiso e del Calendario, hanno fatto un bel casino importando Leggenda e Reliquie che finirono col clonarsi-sdoppiarsi e sovrapporsi, così che la Santa Marina originale divenne due Sante distinte indipendenti: Santa Marina e Santa Margherita.
Sapete bene: Venezia non faceva torto a nessuno, figurarsi a Santi e Madonne del Cielo ! … Per cui si edificò in città una chiesa distinta per entrambe le Sante, e si lasciò spazio alla devozione di ciascuna: Santa Marina nel Sestiere di Castello da una parte della città, e Santa Margherita nell’omonimo Campo Popolare del Sestiere di Dorsoduro oltre il Canal Grandedall’altra parte della città ... I Veneziani non ci fecero caso, e non si posero tante domande: tutto ciò che “pioveva dal Cielo” in fondo poteva essere buono e giovare a Venezia Serenissima … Poco importava se erano esistite una o due Sante: che venissero entrambe a proteggere Venezia e i Veneziani.
Ve la dico tutta ? … La Santa Marina originale non solo venne clonata, ma venne quadruplicata perché oltre a trasformarsi in Santa Margherita divenne anche San Marino, San Pelagio e Santa Pelagia: tutti Santi corrispondenti e derivanti dalla stessa Santa Marina iniziale ... Un Santo in Quattro, i cui Culto-Devozione di ciascuno furono diffusissimi e sparsi ovunque.
Che c’è di strano ? ... Sono cose che capitano lungo la Storia.
La Leggenda originale di Santa Marina importata a Venezia raccontava che era orfana di madre e figlia di Edesimo Prete pagano… Riecco subito quindi la traccia della lotta AntiPaganesimo… Affidata durante l’infanzia a una nutrice di campagna, acquisì da lei i concetti principali del Cristianesimo, per cui quando rientrò nella casa paterna di città il padre la disconobbe cacciandola di casa ... Altro indizio storico: il Cristianesimo era inizialmente diffuso nelle campagne, era una Religione di campagna, per gente semplice, che viveva vite qualsiasi di periferia … Il Prefetto-Governatore della Provincia Olibrioin seguito notò Marina mentre conduceva le pecore al pascolo … Altra nota … e volle non solo sposarla e averla, ma anche distoglierla dal Cristianesimo con le sue regole ... Non si trattava quindi solo di concubinaggio e sesso, ma anche di sposare una causa, una forma mentale e culturale diversa: Marinadoveva smettere di vivere all’Orientale, extraEcclesia e non da Cristiana … Ed ecco il solito inghippo: l’avvenente solo quindicenne rifiutò. Coraggiosissima e molto consapevole la ragazza per la sua età … Il Cristianesimo era una Religione neonata, giovanissima in quel tempo … Marina precisò di preferire quella forma di vita alternativa: scelse la Verginità quasi Monastica della causa Cristiana, cioè il contrario del coinvolgimento intimo-sessuale-totale che il Governatore e l’antica Religione le proponevano. Fu inutile minacciarla, flagellarla, torturarla e carcerarla provando a persuaderla ad abiurare Fede e Principi ... In prigione apparve a Marina il Demonio sotto forma di orripilante Drago gigantecircondato da Serpenti di ogni tipo che la inghiottì ... Chi rappresentava quel Drago ? … Probabilmente corrispondeva alla Cultura, Tradizione e al Dictat etico-morale dell’antica Costumanza Orientale considerata diabolica, superata e maligna dai Nuovi Cristiani ... Quel vecchio modo di essere e credere per i Cristiani non rendeva davvero liberi e realizzati: ti fagocitava del tutto come faceva un Drago in un coinvolgimento totale intimo come quello sessuale … Ma non dava abbastanza in cambio in quanto a senso esistenziale.
Secondo il racconto della “Passio Greca” raccontata dallo pseudo Teotimo, presunto testimone oculare di tutta la vicenda, Marinaarmata di una Croce: cioè del simbolo principale di quel modo alternativo di vivere, riuscì a liberarsi squarciando il ventre del Drago dal di dentro: letteralmente facendolo esplodere e vincendo nell’intimo la sua lotta esistenziale, culturale ed interiore ... come aveva fatto il Cristo in Croce che aveva fatto esplodere la Morte risorgendo.
Poi come in una moderna fiction o Series odierna, alla sfortunata Marina capitò anche un “sequel”: il Demonio stavolta ritornò a insidiarla trasformato in un villoso e sgraziato Etiope che prese a provocarla fisicamente … Il richiamo amoroso-fisico-sessuale è potente, non facilmente accantonabile e rinunciabile. Le persone faticavano a cambiare del tutto rinunciando alle loro certezze e abitudini … Marina resistette, e tolta allora dalla prigione subì regolare processo venendo giudicata come Eretica... Ecco qua un altro elemento: la scelta Cristiana era considerata alla fine un’eresia, una scempiaggine impossibile, un colpo di matto a cui era bene non dar seguito … Marina fu però ancora irremovibile e determinata: durante un nuovo interrogatorio, racconta sempre la Leggenda, continuò a dichiararsi Cristiana .. Avvenne allora come dentro a uno dei nostri Game fantasiosi un grande effetto-sorpresa capace di generare emozione: avvenne una scossa di terremoto a riprova della potenza sconquassante della scelta Cristiana, e scese una Colomba dal cielo: Simbolo della Novità Creativa, che le depositò in testa una corona … ovviamente: Simbolo di “scelta vincente” ... Poi la scena finale, abbastanza ovvia e scontata: Marina subì una nuova serie di vicissitudine e torture, venne bollita dentro a una caldaia d’acqua calda guarendo immediatamente da ogni ustione … Infine, visto che cucinarla non funzionava, venne decapitata nell’anno 290 al tempo dell’Imperatore Diocleziano … e quella fu Storia vera al di là di quanto narrato dalla Leggenda.
Ecco perché Santa Marina divenne Patrona delle Partorienti durante le doglie … per via della sua abilità a fare “esplodere e liberare la situazione”… Che c’è di più esplosivo di una donna che sta partorendo ? … La donna che partorisce è forse simile a quel calderone con cui Marina in ebollizione era quasi pronta alla cottura ? … Immagine azzeccatissima ? … Santa Margherita-Marina inoltre è Patrona dei moribondi, delle balie, degli insegnanti, degli agricoltori e contadini, dei soldati, e viene consigliato di rivolgersi a lei per guarire dalle febbri malariche e dall’infertilità.
La vicenda di Marina ossia Margherita e il Drago oltre ad accennare all’ennesimo episodio di femminino sacro legato al Culto del Serpente, richiama anche il conflitto con gli antichi culti ricchissimi di simboli e immagini della Madre Terra. Secondo le antiche usanze: una Vergineprescelta scendeva nelle stanze ipogee della Terra portando offerte agli Dèi Inferi ... Spesso portava se stessa, la sua corporeità e disponibilità totale … Accadeva quindi un annientamento, un’offerta totale di se nella Morte all’Aldilà: qualcosa di simile a quanto accaduto sulla Croce del Cristo. Una catabasi dell’Umanità divorata dalle oscurità del Serpente-Dragodentro al ventre della Sacra Madre Terra Signora dei Serpenti. Si trattava di un simbolico incontro di fertilità propiziatoria, che induceva a ben sperare per il futuro rinnovamento fruttuoso di ogni cosa della vita: i campi, l’orto, la stalla, i figli, i sentimenti, la malattia, la senilità e la famiglia.
Il nuovo Culto Cristiano malmenava quel vecchio Diavolo-Drago antico e lo schiacciava sotto ai piedi secondo il gesto dell’iconografia Mariana d’ispirazione Biblico-Apocalittica ... Calpestava e faceva scoppiare tutta quella roba vecchia aprendo a una forma mentale di vita personale e associativa diversa, alternativa ... La Cristiana Santa Margherita sovvertiva i vecchi equilibri-sistemi-aspettative del Serpente diventato Drago: come sempre sinonimo del Male-Bene riassunto nella figura della Madre Rigenerante della Caverna incognita come le profondità Marine… La protezione di Santa Margherita quindi significò ben di più che la tutela di una Partoriente quando le Levatrici Cristiane usavano leggere ad alta voce stralci della Leggenda della Santa appoggiando sul ventre della partoriente il libro aperto propiziatorio quasi miracoloso … C’era in tutta quella Storia-Leggenda della Santa quasi una provocazione, una proposta di mentalità e la convinzione diversa da assumere circa la sfera sessuale, il travaglio, la nascita, la fertilità femminile, ma anche circa tutto il senso della Vita … Le Donne Cristiane insomma partorivano un modo diverso di Vivere, alternativo a quello Pagano.
L’immagine di Santa Marina-Margherita proposto dalla Leggenda quindi, corrispondeva a una ver a e propria rivoluzione mentale che voleva andare a toccare e innovare i temi più intimi e importanti dell’esistenza … Anche quello delicatissimo della monogamia, ad esempio. La Verginità di Marina sottolineava anche la donazione-devozione unica all’unico Partner Cristiano… Ci si contrapponeva quindi alla libertinità del vivere pagano in cui era lecita ogni eterosessualità aperta fino alla prostituzione sacra, la poligamia e il facile scambio sessuale.
Con Margherita, Santa Marta, San Giorgio & C si volevano rivoluzionare gli schemi mentali culturali impiantati nella mente delle persone da millenni … Era come proporre di assumere un DNA, un’identità diversa … Provate oggi a chiedere a un uomo o una donna se è meglio avere uno o più partner nella vita ? … Il Cristianesimo si offriva di dare risposte, principi, regole e consapevolezze nuove, diverse e soprattutto certe mostrando esempi di scelte eroiche di vita.
Già Papa Gelasio I, comunque, nel 492- 496, forse consapevole dell’implicazione e delle conseguenze interiori e sociali che comportava il nuovo regime-culto Cristiano, mise in discussione e all’indice giudicandoli infondati e apocrifi (inventati) gli Atti del Martirio di Santa Marina. Il Pontefice fece capire chiaramente che la fantasiosa lotta col Drago-Demonio, le apparizioni di candide Colombe miracolose, e tutte le Grazie speciali regalate dal Cielo tramite Santa Marina, e molto altro ancora: erano solo una grande Fake News dell’epoca ... Una rincorsa forse al cambiamento impossibile … Non si sarebbe riusciti a cambiare la testa, gli usi e la mentalità delle persone … Inutile essere fanatici, intransigenti, quasi prepotenti nel proporsi … Ma ormai era troppo tardi: il Culto e la Leggenda di Santa Marina erano già decollati e partiti prendendo la strada della diffusione ovunque in tutta Europa e nel Bacino Mediterraneo… Ovunque si trovò diniego, ma anche grande consenso, ulteriori narrazioni, integrazioni e riadattamenti che a loro volta crearono moltissimo spazio, credito e credibilità alla Santa e a tutto l’ambiente Cristiano che si allargò e diffuse ulteriormente per secoli ... Anche a Venezia … Giovanna d'Arco dichiarò che una delle “voci celesti” che udiva era proprio quella di Santa Margherita che le appariva insieme all'Arcangelo Michele e Santa Caterina d'Alessandria.
Quante donne Veneziane partorivano ? … Infinite ! … Beh: per tutte c’era a disposizione Santa Marina con i suoi rimedi, la sua Storia-Leggenda e le sue Dottrine.
E Santa Margherita ?
Beh … quella prese un’altra strada, e divenne a sua volta una delle Dodici Sante Ausiliatrici più diffuse e conosciute durante tutto il Medioevo Europeo … Nel 908 un Monaco Agostino da Pavia, già Abate in Oriente, fuggì da Costantinopoli riparandosi in Italia durante il feroce assalto vandalico di Andronico. Dall’Oriente portò con sé il Corpo di Santa Marina-Margherita prelevandolo dalla chiesa della Madonna del Mare di Costantinopoli, e lo lasciò prima in deposito a Brindisi, poi lo portò a Roma, e infine nel Monastero Benedettino di San Pietro della Valle sulle rive del Lago di Bolsena dove il Monaco finì col morire colpito da grave malattia. Da lì in seguito il Corpo Santo di Marina-Margherita venne trasportato nel 1145 nella vicina cittadina di Montefiascone di Viterbo, dove i cittadini edificarono una chiesa che Papa Urbano IV consacrò nel 1262, e Gregorio XI nominò Cattedrale nel 1376 … Ed ecco entrare in scena i Veneziani.
Nel 1213 il Doge Pietro Ziani ottenne una parte delle Reliquie di Santa Marina-Margherita per la Repubblica di Venezia ... Recita il Martirologio Calendariale Romano al 17 luglio nella Memoria Commemorativa di Santa Margherita: “Venetiis Translatio Sanctae Marinae Virginis”… Ecco qua lo sbaglio-equivoco ! … Santa Margherita venne scambiata con Santa Marina e viceversa.
Poi come il solito avvenne il vero e proprio bum del Culto di Santa Margherita che si ramificò e diffuse ovunque raffigurando in mille modi la Leggenda di Santa Margherita-Marina… Andate a guardare Santa Marina di Massafra, Santa Margherita di Bisceglie costruita dai Nobili Falconi, o la Cripta di Sant’Angelo e Santa Margherita-Marinadove venne rappresentata con San Silvestro Papa: noto per aver convertito il Drago-Imperatore Costantino, e con gli Arcangeli MataSauri Michele e Gabriele, con San Giorgio, Santo Stefano Protomartire, San Martino, San Vito e Paolo di Costantinopoli, San Basilio, Sant’Agostino: tutti Santi Orientali Campioni della Fede e dell’Ortodossia ... Osservate in alternativa la chiesa ipogea-rupestre di Mottola di Taranto in Puglianon lontano dalla Masseria di Casalrotto. Nella chiesetta scavata sulla parete a strapiombo su un burrone avvolto nella vegetazione selvaggia della gravina, Santa Margherita viene raffigurata come una dignitaria della dinastia Imperiale-Bizantina dei Comneni del 1100-1200. La MegaloMartire Santa Margherita è una Matrona, una Nobile Dama vestita di fregi e perle, cioè di“margaritae”, con una corona di gemme, un ricco mantello, il Libro con le parole miracolose della Leggenda, e la “Croce-esplodiDrago”… Accanto a lei si sono associati i grandi Santi Apotropaici dell’Asia e del Deserto: Sant’Antonio Abate, San zNicola di Myra, l’Arcangelo Michele, il Santo Guerriero Giorgio con Drago, e udite udire: San Marco Evangelista. Tutti vengono rappresentati in costume imperiale, e c’è pure San Demetrioprimo Vescovo di Tessalonica (odierna Salonicco) che lottò contro l’Eresia, e viene dipinto a cavallo mentre trafigge con la lancia un insolito Drago: cioè il Re dei Bulgari Kalojan salvando così la città greca bizantina ... Ecco che ritorna il significato polivalente e la personificazione diversa del Drago.
Durante il 1200 furono soprattutto i Monaci e le Monache Benedettini ad avviare e veicolare il Culto di Santa Marina-Margherita. Rabano Mauro e Alfano da Salerno promotori e diffusori della Leggenda Major di Santa Marina-Margherita erano Benedettini, e a Porta Santa Brigida di Piacenza, a Firenze, Bologna, Cassia, nell’Isola di Procida, a Santa Margherita di Porta San Salvatore a Sciacca in Sicilia, e a San Nicolao di Piona in Valsassina c’erano Abbazie Benedettine ... I Padri Domenicani Predicatori riuniti nel Capitolo Generale di Bolognadel 1285 stabilirono che recitando e cantando le Litanie dei Santi si doveva dopo l’invocazione di Santa Caterina proferire: “Sancta Margareta ora pro nobis”… Santa Margherita d'Antiochia divenne Protettrice-Patrona di almeno una settantina di località Italiane, e le sue Sante Reliquie o presunte tali, o generate “per contatto” con quelle “originali” si sono diffuse ovunque in giro per Francia, Spagna e Germania arrivando fino a Baardegem, a Tournai in Belgio.
E a Venezia ?
Come si usava da tempo nella città Lagunare, si cercò di non trascurare nessun Santo e Santa, e si tirò su una discreta chiesupola di media grandezza e bellezza avviando il Culto della Santa ... Sapete come sono le chiese Veneziane: sono tutte dei bijoux, dei cofani unici saturi di concentrazione di Bellezza, Arte e Storia … Come potete vedere ancora oggi al margine del Campo più sbevazzone ed evasivo di Venezia, si sono posti sui muri esterni della chiesa le statue del Drago attorcigliato della Leggenda di Santa Margherita-Marina, e si fornì l’interno di adeguata preziosissima, e “autentica” (?) Santissima Reliquia della Mascella di Santa Margherita.
Ancora una volta: ormai che c’erano entrambe le Sante a Venezia: che vi rimanessero ! … E rimasero, infatti, entrambe le Devozioni alle due distinte Sante Marina e Margherita fino alla comparsa del solito azzeratore-dissacratore napoleone ... peste lo colga.
Esisteva quindi a Venezia una specie di gara per la primazia, una sorta di continua e tacita contrapposizione e implementazione di Santi e Reliquie per poter incamerare e godere il più possibile di assistenza, benefici ed effetti positivi dal Cielo dei Cieli zeppo di Santi, Madonne, Cristi e Sante ... Chi più Corpi e Reliquie aveva: meglio stava … Più Protettori Celesti annoverava una città dalla sua parte, più prestigiosa, CittàSantaBenedettadalCieloera insieme ai suoi abitanti … il Popolo dei Mercanti-Navigatori-Veneziani giunse a contare nella sua Storia ben venti Santi Protettori facendo letteralmente incetta di migliaia di Sante Reliquie Miracolose e Prodigiose raccattate e predate da tutto l’intero Bacino Mediterraneo e dal Medio Oriente Asiatico. Non era un caso se i Pellegrini consideravano Venezia come la “Porta spalancata sul Limitare del Cielo, da dove si può deliziare l’Animo godendo della vista delle sue Delizie”.
A Venezia: si, visto quel gran numero di Storie, Reliquie e Leggende,che si sapeva lottare contro ogni forma di Male con le “armi giuste più potenti” … Ossia le “Preziosissime Vestigia Sante”che nessuno aveva come lei. Solo gli Uomini di San Marco erano riusciti arditamente e furbescamente ad ottenerne tanto possesso ... Per questo da tutta Europa si pellegrinava obbligatoriamente attraverso Venezia: “Fortunatissima Città bagnata Benedetta dai Dio e da ogni Santo del Cielo … Tappa Obbligata Irrinunciabile sulla Via della Terrasanta, Loreto, Assisi, Roma e il Gargano dell’Angelo Michele.” Venezia con tutti i suoi Santi e Reliquie Leggendari divenne una
specie di Nuova Gerusalemme che ospitava “il meglio” di quanto era utile e serviva per ascendere al Cielo e alla Salvezza.
Il Culto di Santa Margherita-Marina venne ben presto associato e integrato con quello di San Nicolò di Myra, per cui divennero entrambi “Santi di Mare”: misteriosi e potenti Protettori che proteggevano i Naviganti Marineri delle Galee delle Mude Veneziane da ogni pericolo, e dalle insidie di ogni “Mostro Marino del Destino”.
E veniamo a Santa Marta… altra Donna-Santa con Dragoal seguito pure lei.
Esisteva nel Sestiere di Dorsoduro, proprio “sul limite della Spiaggia di Santa Marta dei Nicolotti Pescatori”, cioè proprio qui “a casa mia”, il Monastero delle Monache Benedettine di Santa Marta… Si trattava di un altro quei luoghi Veneziani ricco di Storia e aneddoti che oggi non esistono quasi più: quanto ne resta è stato inglobato nell’area del Porto di Venezia… Rimane il nome imposto al nostro Quartiere, e lo scheletro della chiesa quasi sempre chiusa e ridotta a saltuaria sala d’esposizione ... Dopo il passaggio annichilente di napoleone, è stato trasposto ed è ancora visibile nella chiesa di San Nicolò dei Mendicoli l’altare principale della chiesa di Santa Marta dove la si vede raffigurata appunto con un mostriciattolo tondotto al guinzaglio. Sembra quasi un porcellino all’ingrasso, un Drago “malciapà” se messo a confronto con gli altri Draghi più pimpanti e pomposi visibili in giro … Ma tanto vale: la Leggenda di Santa Marta rimaneva la stessa, e i Veneziani d’un tempo di sicuro l’avevano ben presente e la consideravano con molta attenzione rispetto a noi di oggi.
Famosissima fu per secoli a Venezia la Sacrosantissima Reliquia della Mano di Santa Marta pervenuta al Monastero dall’Oriente forse nel 1473. Venne collocata in un preziosissimo reliquiario: un capolavoro d’oreficeria alto ben 71 cm commissionato “alla maniera d’Allemagna”dalla Badessa Orsa Zorzi a un gioielliere-argentiere Tedesco: Giovanni Leon cioè Hans Löwe da Colonia attivo a Venezia.
L’originalissimo Reliquiario-custodia venne salvato con la Reliquia di Santa Marta dalla devastazione dei Francesi dalla Badessa Marina Falier: ultima Badessa di Santa Marta che se lo portò nell’Oratorio di Famiglia di Palazzo Falier nella Contrada dei Santi Apostoli a Cannaregio. In seguito gli eredi del Monsignor-Canonico Francesco Falierdiscendente diretto di quella stessa Badessa, vendettero “per un prezzo favoloso” alla Baronessa De Rothschild il prezioso Reliquiario di Santa Marta che ora si trova al Museo del Louvreinsieme alle preziosissime Collezioni Rothschild, mentre la Reliquia sembra trovarsi nel Tesoro della Basilica Marciana ... forse ?
La chiesa-monastero di Santa Marta sorse fin dal 1018 con orti, canali e rive alla fine (o all’inizio se volete) di Venezia sulla Punta e Ponte dei Lòvi di Santa Martadi fronte alla palude e al Canneto di San Giorgio in Alga. L’edificazione avvenne a cura delle Nobili famiglie Sanudo e Salomon al cui “primo uomo” (l’anziano del Casato) ogni anno la Badessa offriva una rosa di seta ... Nel 1242 il Monastero di Santa Marta, che in realtà doveva sorgere non come Monastero ma come Ospizio per i poveri della zona(soliti tramacci degli Ecclesiastici), era già diventato ricco e prospero: possedeva campi nel distretto di Mestre, e le cinquanta Monache Benedettine prima, e le ottanta Monache Agostiniane poi tenevano diverse “Putte a spese”(educande). Durante i secoli il Monastero, anzi le Monache, furono piuttosto turbolente tanto da dover esser più volte riprese e riformate dai vari Papi, Vescovi e Dogi di turno per via del loro “gran disturbo, scandalo, danno e corruzione nella gestione delle doti”… ma questa è un’altra storia.
Secondo la Leggenda di Santa Marta, lei era una donna di Betaniadel primo secolo, figlia di Siro ed Eucaria ...Il suo nome in Aramaico significava: "Padrona del proprio Destino", e Marta fu quella sorella iperattiva e affaccendata diversa dalla contemplativa sorella Maria citata nei Vangeli di Luca e Giovanni. Marta, secondo il racconto dei Vangeli, fu amicissima di Gesù, tanto che gli risvegliò da morte il fratello Lazzaro ... Secondo la“Traditio Leggendaria” risalente circa al 48 d. C., Marta con la sorella Maria, il fratello Lazzaro, Massimino e le Marie di Cleofa e Salomè: sorella di San Giuseppe, e madri dei due Apostoli Giacomo e Giovanni, insieme alle serve Sara e Marcella si spinsero ad evangelizzare come Discepole del Cristo il sud della Francia... La Serva Marcella biografa di Santa Marta scrisse: “Dopo l’ascensione del Signore, quando avvenne la divisione dei Discepoli, Marta, insieme al fratello Lazzaro, alla sorella Maddalena e al beato Massimino […] fu gettata dagli infedeli su di una nave senza vela, senza remi, senza nocchiero né provviste che andò alla deriva [...] Ma il Signore condusse i suoi Santi a Marsiglia” dove vennero accolti dai Dignitari della città … Fu Marta quindi a trovarsi più a nord della Francia fra paludi e foreste alle prese col Drago Tirascurus metà bestia a sei zampe coperta di squame e con la testa di Leone(!!!) e metà Pesce che devastava le pianure della Valle del Rodano Francese impedendo alla comunità del villaggio di Nerlucdi vivere serena e tranquilla ... Secondo un’altra variante dell’antica Leggenda di Santa Marta la Tarasca era frutto dell’unione del mitico Onachus “bruciatore” della Galazia col Leviatano Marino ... L’orrenda Tarasca, che già il pagano Ercole aveva combattuto in precedenza senza riuscire a vincerla, secondo quanto raccontava Hygin Bibliotecario di Augusto, abitava giusto su un guado del Rodano ... Stupenda l’immagine allusiva e simbolica del guado ! … Rappresenta di sicuro quello stato di precarietà e incertezza tipico della condizione umana, quel bisogno d’attraversamento delle situazioni e delle cose che apre all’Oltre inatteso … Lasciamo stare queste precisazioni però.
Sempre secondo la Leggenda di Santa Marta narrata tardivamente da Jacopo da Varazze nel 1200, la Santa inseguì la Bestia-Tarasca fin nel più profondo dei boschi e la domò a colpi di Segni di Croceaspergendola con Acqua Benedetta… Un po’ “alla Santa Margherita-Marina” ... La stessa Leggenda precisava che Santa Marta pregava mentre ammansiva il Drago, e che ad ogni ulteriore orazione che recitava il Drago diventava sempre più piccolo e innocuo. Infine la Santa prese la Bestia Antica, se la legò al guinzaglio alla cintura per la coda alla rovescia in segno di umiliazione, e la portò vincitrice in città dove gli abitanti la lapidarono e la fecero a pezzi con aste e balestre, così da vendicarsi di tutti i soprusi e le barbarie che avevano subito … Da quel momento la città cambiò nome: cioè voltò pagina, e iniziò una nuova fase della sua Storica: quella Cristiana ... Marta la Santa morì nell’84 d.C. … Si era circa nel 1000 quando si avviò in Europa il culto di Santa Marta … e siamo sempre là con i discorsi: come “da copione” secondo il classico triplice schema di molte Leggende, alcune decine di anni dopo accadde “l’Inventio”delle Sante Reliquie-Corpo di Santa Marta, e fu per questo che circa alla fine del 1100 si iniziò a costruire: Cappella-Chiesa-Santuario e Schola-Confraternita di Santa Marta di Tarascona meta di numerosissimi e “fortunati” pellegrinaggi: “Qui [a Tarascona] rimase la Beata Marta col permesso di Massimino e della sorella, trascorrendo i propri giorni fra digiuni e preghiere: alfine fondò un Convento di Religiose e innalzò in onore della Beata Vergine una grande Basilica ... In questo Convento visse in penitenza”… e la Leggenda di Santa Marta continuò a fiorire e allargarsi: “Una volta, mentre Marta stava predicando ad Avignone, vicino al Rodano, un giovane che si trovava dall’altra parte del fiume, desiderava udire le parole della santa: non avendo una imbarcazione si provò ad attraversare il fiume a nuoto, ma subito, sopraffatto dalla corrente, affogò. Dopo due giorni il corpo del giovane fu ritrovato e deposto ai piedi di Marta perché lo risuscitasse. La santa si distese a terra con le braccia aperte a forma di croce e così pregò: “Signore Gesù Cristo, ospite caro, che hai risuscitato il fratello mio Lazzaro da te tanto amato, risuscita questo giovane per la fede di coloro che mi circondano!” ... Subito il fanciullo risorse e fu battezzato”.
In realtà già nel 900 il Culto di Santa Marta era presente a Costantinopoli, e dal Diario di Viaggio in Terrasanta di una Monaca del 400 si apprende che a Betaniasopra a una presunta Tomba di Lazzaro sorgeva una Basilica in cui c’era un’iscrizione greca che faceva riferimento a Marta e Maria. Fu di sicuroil movimento Crociato che veicolò il Culto della Santa in tutta Europa, e fino da noi a Venezia.
“Santa Marta per divina rivelazione conobbe la data della propria morte a un anno di distanza. Prima di spirare […] si fece trasportare fuori dal Convento per potere vedere il Cielo, ordinò poi la deponessero in terra fra la cenere […]. Dopodiché chiese che venisse letta la Passione di Cristo secondo il Vangelo di Luca; nel momento in cui il lettore pronunziò le parole: “Padre nelle tue mani affido il mio spirito”, la Beata Marta spirò. Il giorno dopo, era domenica, mentre i fedeli innalzavano lodi attorno al suo Corpo Santo, all’incirca verso l’ora terza, al Beato Frontone che, mentre celebrava la Messa a Perigueux, si era addormentato subito dopo l’epistola, apparve il signore e gli disse: “Mio diletto Frontone, se vuoi mantenere la promessa fatta alla mia Ospite, alzati e seguimi in fretta!”. Frontone eseguì subito il comando e, guidato da Cristo, giunse a Tarascona in tempo per cantare l’ufficio intorno alle spoglie Sante e per collocarle nel sepolcro con le proprie mani. Molti miracoli avvennero sulla tomba di Santa Marta” … Il vescovo Frontone e Gesù Cristo deposero il Corpo della Santa defunta in una tomba ipogea, e attorno a loro gli ammalati e gli storpi si affollano per chiedere la guarigione.”
Altra storia e altro Drago Veneziano: quello di San Donato Protettore di Murano… Anche in questo caso ci fu un doppione, cioè c’era un altro San Donato col Drago da cui distinguersi. Si trattava di San Donato di Arezzo Vescovo e Martire del 362 che uccise pure lui un Drago lontano dalla Laguna Veneziana. Il San Donato di Murano, invece, era nativo e Vescovo di Evorea o Euria o Evria, o forse di Cusia entrambe in Epiro, e fu “Matadòr di Draghi” pure lui lanciando semplici Segni di Croce stando in groppa a un umile asinello come il Cristo che entrò vincitore in Gerusalemme ... Leggenda racconta che l’orribile Corpo del Drago era talmente grande e ingombrante che per trasportarlo servirono otto paia di possenti buoi ... Nel VI secolo durante le invasioni Avaro-Slavele Reliquie del Corpo Santo di San Donato finirono nell’isola di Corfù, e da lì nei primi decenni del 1100 nella vicina Cefalonia da dove Domenico Michiel Doge dei Veneziani si premurò di prenderle per donarle nel 1125 alla chiesa di Santa Maria dell’Isola di Murano… Fu quasi gioco-forza che comparissero in seguito nella stessa Basilica di Santa Maria e Donatoalcune costole e un dente di Drago … cioè altre tre vertebre di Balena uccisa da non si sa chi ? … Sono poste ancora oggi dietro all’Altare Maggiore della splendida Basilica dove riposa il Corpo del Santo Donato AmmazzaDraghi... Andate a dare un’occhiata.
E San Silvestro ? … Drago anche per lui, e l’immancabilechiesa Veneziana a lui dedicata che si trova nel Sestiere di San Polo a pochi passi dall’Emporio Realtino, giusto sopra quella che era stata l’Antica Palude Poncianica dove si ipotizza esistesse, non a caso, uno dei più arcani e antichi Templi Pagani delle Lagune… San Silvestrofu un Papa, e già prima di esserlo era abituato a cacciare Draghi-Demoni del Paganesimo e dell’Eresia in giro … Ad Arezzo, ad esempio, “infestata dai Diavoli del Paganesimo”, dove combattè e vinse i Mostri Maligni su ordine diretto di San Francesco... Secondo gli"Acta Silvestri" del IV secolo, in un laghetto stagnante presso il Colle Palatino di Roma viveva in una caverna sulle rive del Tevere un terribile Dragoche ammorbava l’aria col suo alito pestilenziale, e sbranava tutti quelli che gli venivano a tiro. Papa Silvestro I, che per tenersi in allenamento aveva appena sconfitto un altro Drago a Poggio Catino, intervenne personalmente recandosi presso la tana del mostro armato solo di un Crocifisso. Si raccontò ancora che alla vista del Papa che invocava la Vergine, il Drago si fece mansueto, per cui il Papa Silvestrolo legò a guinzaglio con un filo della veste, e lo portò al cospetto dei paesani che lo uccisero trascinandolo fino al Foro Romano e al Tempio di Castore e Polluce dove lo seppellirono ... Ovviamente i Pagani esterrefatti, Sacerdoti compresi, si convertirono immediatamente al Cristianesimo … Era l’epoca della Conversione dell’imperatore Costantino, e Papa Silvestro ordinò di costruire “sul luogo del Drago”la chiesa di Santa Maria Liberatrice detta “Santa Maria libera nos a poenis inferni”.
Che c’era di autentico oltre la Leggenda ? … Papa Silvestro fu presente al Concilio di Nicea al tempo il cui Costantino costruì le grandi Basiliche e sistematizzò il Cristianesimo mutandolo in Religione Obbligatoria di Stato segnando così il destino della Storia dell’Europa e del Mondo di allora, e cancellando ogni traccia del così detto Paganesimo (che era stato in precedenza Religio di Stato pure lui)… Di autentico poi esiste anche una chiesetta detta di Santa Maria Antiqua dedicata alla Vergine edificata intorno alla metà del VI secolo sulle pendici del Palatino, e abbandonata circa per tre secoli a causa dei danneggiamenti di un terremoto che la ridusse a rudere interrato. Alla fine del 1800 sono tornati alla luce i resti di quel santuario tappezzato da ben 250 metriquadri di affreschi Bizantini: bellissimo ! … La stessa Leggenda di San Silvestro e del Drago venne rappresentata nell’Oratorio di San Silvestro ai Santi Quattro Coronati, e poi in San Silvestro di Tivoli, in San Silvestro ad Alatri… e poi su su per l’Italia fino a Venezia nel Sestiere di San Polo.
Sempre nella nostra Città Lagunareè facile riconoscere in giro ancora oggi diverse formelle infisse in muro col Drago e San Michele o col San Giorgioche calpesta e trafigge il Drago. Molto spesso quelle immagini erano emblema e segno distintivo delle proprietà del Monastero Benedettino di San Giorgio Maggiore, oppure di quello Ortodosso di San Giorgio dei Greci nel Sestiere di Castello ... Bellissimo ancora fra tutti, se lo volete andare a considerare, è il Sant’ArcangeloMichele che schiaccia il Drago collocato sul Portale del Chiostro del Monastero di San Michele in Isola (l’attuale Cimitero di San Micièl) … Di certo esistevano raffigurazioni simili anche nella chiesa di Sant’Anzoloche sorgeva accanto a quella di Santo Stefano degli Agostinianinon lontane da San Marco nell’omonimo Sestiere, e forse anche a Sant’Anzolo della Giudecca e a Sant’Anzolo di Concordia e delle Polveri in Isola … All’Anzolo Raffael, invece, l’Angelo lotta non col Drago ma con la cecità ... Siamo sempre là, gira e volta, la cecità raffigura e richiama quella dell’Umanità e del Vivere: c’è sempre un Male Cieco e Invisibile che non vediamo e capiamo da combattere nella Storia.
A Venezia ancora il Leviatano Marino, cioè il Serpente del Destino era correlato con San Giobbe, San Stae, Santa Giustina, San Silvestro, San Filippo e Giacomo, Santa Marta, Santa Margherita, San Giorgio e Trifone, San Giorgio in Alga, San Teodoro, San Donato di Murano … e Santa Margherita di Caorle… Vi basta ?
In questo contesto di Draghi combattuti e Santi Patroni totipotenticapaci di tutto, non posso fare a meno di accennare alla figura fortemente connessa con loro di San Nicola: altro Santo Marinaro originario della città di Patàracapitale della Licia ad ovest di Myra, solo più tardi rinominato come San Nicola di Bari. Il Culto Nicolaianodivenne fortissimo, esteso e molto diffuso nell’intero Bacino del Mediterraneo ponendosi a cavallo dei conflitti e delle politiche economiche Arabo–Bizantine promosse e favorite di sicuro da Mercanti e Navigatori sia Pugliesi che Veneziani.Per questo San Nicola divenne via via Patrono di Bari, Cassino in Valle Sorana, Taranto, Monopoli, Venezia, Merano, Ancona, Sassari, Cava dei Tirreni, della Puglia e Sicilia, e di Russia e Grecia… ed è pure il Sanctus Nicolaus nordico, cioè il Santa Claus della Notte di Natale.
Secondo la Leggenda Nicolaita risalente all’Alto Medioevo: Nicolanacque intorno al 270 da ricchi genitori devoti da cui ereditò moltissimo impiegandolo in carità e con stile di pietà ... Salvò dal disonore, ad esempio, tre giovani figlie di un uomo caduto in miseria destinate alla prostituzione utile per creare loro una dote-capitale per sposarle ... Nicola avvolse tre palle d’oro in un panno, e lo gettò di nascosto attraverso una finestra nella casa delle tre sventurate … Poi resuscitò tre Chierici assassinati da un Oste che voleva impossessarsi del loro danaro … Rese anche la vita e la libertà a tre Ufficiali Bizzantinicondannati a morte dall’Imperatore Costantino nel 313: l’anno spartiacque in cui la Storia passò sotto la guida del Cristianesimo … Tutto: tre, come la Fede Trinitaria che serviva ribadire in quell’epoca in contrapposizione alle Eresie Pagane che propugnavano idee di Dio diverse … Lo stesso Santo Nycola intervenne poi a favore dei Myresiin tempo di carestia ed estrema necessità diventando Soccorritore dei Bisognosi e Protettore dei Commerci delle Navi Granarie ... Raccontò Simeone Metafraste di un certo Commerciante di Grani di Bari: “Un tempo quando su tutta la Licia regnava la carestia, la città di Mira, esaurì la scorta di cibo e soffriva per questa sventura. Allora il Grande Nicola, apparve di notte ad un Marinaio che commerciava in grano e, dopo avergli dato in pegno tre misure d’oro, gli ordinò di raggiungere la città di Mira e di vendere il grano ai cittadini del posto. Il mercante, stupito di vedersi tra le mani l’oro, meditò sulla visione, meravigliandosi di quanto era successo; andò a Mira e vi vendette il grano. Gli abitanti della città attribuirono la liberazione dalla carestia a Dio e al Grande Nicola” ... Per tutto questo Nycolavenne eletto Vescovo di Myra, compito nel quale si distinse, secondo la Leggenda, per zelo pastorale e bontà operando diversi miracoli già da vivo: salvò da naufragio Marinai imbarcati su una nave diretta a Myra calmando una furiosa tempesta (curiosa l’analogia col Mito Marciano), e riuscì soprattutto a strappare ai Vecchi Dei Artemide e Poseidone-Nettuno il Patronato sulle Coste e sul Mare.
Morto tra 345 e 352, NicolaSanto venne sepolto a Myra, e i suoi resti rimasero là fino al trafugamento del 1087 da parte dei sessantadue Marinai Baresi Mercanti di Grano. Santo Nicolaus divenne quindi manifesto-bandieradella nuova borghesia Normanna antibizantina e filo Gregorianaresidente in città, protagonista dei Commerci Granari ... Giovanni Diacono scriveva: “Dopo che il Beato Nicola lasciò questo mondo per raggiungere il Signore, la tomba in cui la sua venerabile salma venne rinchiusa, non cessò di stillare un liquido oleoso: la Manna di San Nicola ... E lì, si recavano folle di malati, ciechi, sordi, muti e quanti erano oppressi di spiriti immondi, che unti col Santo Liquido, tornavano al loro originario stato di salute”.
Nacque quindi un’aspra rivalità tra Bari e Benevento impoverito delle folle dei Pellegrini Garganici del Nord dirottati a Bari presso San Nicola ... e qui ci misero lo zampino i Veneziani … Già nel 1044 il Doge Domenico Contarini aveva edificato la chiesa di San Nicolò del Lido a protezione di una delle principali Bocche di Porto di Venezia, e dieci anni dopo aveva regalato insieme al Patriarca di Grado Domenico e a Domenico Vescovo di Castello-Olivolodella terra all’Abate Sergio di San Giorgio Maggiore per costruirvi e aggiungervi un Monastero Benedettino… San Nicola o Nicolò era visto e considerato a Venezia quasi come una necessaria "controfigura" complementare di San Marco… Circa dieci anni dopo ancora, il Vescovo di Padova Olderico infeudò al Monastero tre pezze di terra di proprietà dell’Episcopato Patavino site in Corte, Centa e Lanzago, ed altre in Villa di Corte Contrada di San Nicolò in Località Centa in Pieve di Linzago ... Un altro pugno d’anni dopo lo stesso Monastero di San Nicolò ebbe in dono anche tre antichi cenobi dell’Istria: dal Vescovo Adalgero ebbe Sant’Apollinare in Gasello poco distante da Capodistria, dal Vescovo di Parenzo Bertoldo: la chiesa e l’Isola di Sant’Anastasio posta dinanzi alla città, e il Cenobio di San Pietro in Carso presso Buie di Cittanova d’Istria … Insomma San Nicolò del Lido era molto considerato a Venezia: gli mancava solo il Santo Corpo di San Nicola ... Infatti negli ultimi anni del secolo avvenne la “Traslatio di San Nicola” insieme a quella del Corpo di San Teodoro che giunsero insieme in Laguna ad opera proprio di un Monaco di San Nicolò del Lido ... Nella stesura del testo della Traslatio di San Nicolò si evidenza in primo piano il Papa seguito dall’ImperatoreGreco e dal Doge Veneziano: cioè in quel momento storico Venezia ribadiva il primato-dipendenza dal Papa di Roma e dall’imperatore, ma voleva a tutti i costi il Corpo di San Nicola in Laguna per accrescere ulteriormente il suo prestigio e la sua indipendenza da tutti … e così avvenne.
Dallo stesso San Nicolò del Lido partì nel 1099 la flotta Veneziana guidata dal figlio del Doge Michele Michiel accompagnato dalVescovo di Castello Enrico Contarini. Avevano come compito ufficiale di supportare i Crociati che si recavano ad Antiochia, ma soprattutto avevano l’incarico poco dissimulato di sopravalere Genovesi, Pisani, Provenzali e Normanni nel controllo e nei traffici commerciali del Mediterraneo ... Svernato a Rodi fino alla metà di luglio 1100, la squadra navale veneziana deviò la rotta verso le coste della Licia approdando a Myra ... La motivazione leggendaria fu la Translatio Sancti Nicolai, cioè il recupero della Reliquia del Corpo Santo di Nicola CoPatrono di Venezia.
I Baresi, in realtà, si vantavano di aver già preso quel Santo Corpo di Nicola e di averlo portato nella loro città fra 1071 e 1087 custodendolo in una sontuosa arca ... Quelli di Myra, infatti, dopo debita tortura, dovettero ammettere di possedere solo il corpo di un altro San Nicola: lo zio di quello che cercavano i Veneziani ... Racconta la Leggenda: che mentre i Veneti se ne stavano già andando delusi, vennero trattenuti a Myra dalla comparsa di uno straordinario profumo proveniente da un angolo riposto della chiesa di San Nicola… I Miresi stavano beffando i Venezianidopo dei Baresi, ma i Veneti più furbi e accorti, scoperto l’inganno recuperarono l’autentico Corpo-Reliquia del Santo dei Navigatori distruggendo per scovarlo chiesa e altare che l’aveva ospitato per 700 anni. Quindi spedirono subito a Venezia come prezioso bottino di guerra la Preziosa Reliquia del Corpo di San Nicolò insieme a quello dell’omonimo zio Santo: “Melius est abbundare quam deficere”: in Laguna un Santo in più ancora una volta non guastava.
Al Leone Santo di San Marco rapito ad Alessandria, si aggiunse quindi il Nocchiero Greco San Nicolò ritratto ovunque nella Basilica Marciana come Protettore di Venezia dalle tempeste dei Marie dei commerci della politica economia espansiva Veneziana.
Fu così che verso la fine del secolo alcuni Veneziani, forti del fatto di ospitare finalmente nella propria città anche il Patrono dei Navigatori Mercantidalla cui chiesa si partiva per lo Sposalizio del Mare il giorno della Fiera Mercantile e della Festa della Sènsa, si recano a Roma da Papa Innocenzo III per provare a fargli ritirare le scomuniche inferte a chi trafficava “merci proibite” nel Mediterraneo con Saraceni, Egiziani e Babilonesi ... Il Papa non si commosse, né cambiò idea: sapeva benissimo che i Veneziani non avevano mai smesso di organizzare viaggi in gruppo, Mude di Galee da guerra, traffici fluviali, e mille commerci e scambi monetari intrattenendo buoni rapporti con Arabi e Slavi, e vendendo e comprando quanto più potevano ... I Veneziani non si potevano cambiare: erano incorreggibili !
A Palazzo Ducale nel 1204 si costruì una Cappella dedicata a San Nicolò dove ogni anno il Doge ascoltava Messa nella Festa del Santo … La chiesa fondata dalla famiglia Zancarola anticamente dedicata ai Santi Lorenzo e Niceta sulla misera Isola dei Pescatori della Mendigolaalla periferia della città venne riadattata e ridedicata al Santo Navigatore Vescovo da Myra rappresentato secondo la Leggenda “con le tre palle d’oro in mano”: andatelo a vedere a San Nicolò dei Mendicoli ! … e San Nicolòdivenne inoltre Patrono della Fraterna dei MarineriVeneziani, e di diverse altre Schole d'Arti e Mestieri di Venezia: Spadèri, Cortelèri, Segadòri, Cimadòri di panni, Magazzinieri, Pescivendoli, Barcaroli, e della stessa Nazione Greca.
Storia a parte, invece, quella di Sant’Isidoro originario d’Alessandria d’Egitto (uno dei maggiori porti strategico-commerciali sulle Vie dell’Africa e dell’Asia, cioè delle Spezie, Incenso, Seta e Perle ed altro ancora frequentatissime dai Veneziani). Marinaio e militare Romano, divenne Martire nel III secolo al tempo dell'Imperatore Decio che stabilì che ogni soldato dell’Impero doveva adorare esclusivamente gli Dei Pagani di Statosotto pena di tortura e morte. Denunciato mentre si trovava nell'Isola di Chios, venne appunto torturato, processato e decapitato, e il suo corpo gettato in un pozzo. Gli amici Ammone e Mirope entrambi poi Martiri come lui, si dice abbiano recuperato e seppellito il corpo. Mirope gli venne sepolta accanto, e sulla loro tomba cominciarono a fiorire guarigioni miracolose, e ovviamente copiose Leggende … Si costruì sul posto prima una semplice Cappella, poi San Marciano edificò una chiesa nel secolo seguente, e il Culto di Sant'Isidoro si diffuse in tutto il Mediterraneo Venerato da Cattolici, Copti e Ortodossi … Giunse anche a Nardò di Lecce e a Cagliari in Italia, e infine non poteva mancare anche nella Basilica di San Marco a Venezia dove divenne letteralmente un vero e proprio “cult”: cioè un altro dei Protettore di Marinai, Pellegrini, Viaggiatori e Mercanti della Serenissima … Esiste un sigillo bronzeo del VI secolo che conferma tutto questo, usato dai Pellegrini diretti al pozzo miracoloso di Chios dove Sant’Isidoro era Protettore sia dei Marinai che del Viaggio dei Pellegrini.
Secondo la “Translatio mirifici martyris Isidori a Chio insula in civitatem Venetam” redatta dallo stesso Prete Cerbano dedicandola al Vescovo di Castello Bonifacio Falier, fu il Doge Domenico Michiel a portare avventurosamente il Santo Corpo di Sant’Isidoroa Venezia nel 1125 su iniziativa del Chierico Veneziano Cerbano Cerbani ... Costui era un Nobile di Jesolo-Equiliocome Pietro Cerbano, e come Domenico Cerbano Patriarca di Grado dal 1073 al 1084 ... Il Prete Cerbano per una serie di circostante politico-religioso-commerciali favorenti risiedeva alla Corte del Bizzantino Alessio I Comneno, ma la sua fortunata posizione svanì insieme a quella di tutti gli altri Mercanti Veneziani quando avvenne l'insediamento di Giovanni II Comneno che si rifiutò di confermare i privilegi commerciali accordati dal predecessore. Cerbanoallora fu costretto a fuggire via col pretesto di recarsi in Pellegrinaggio in Terrasanta ... Venne però bloccato dal Catapano di Creta a Nicaria, che lo rimandò a Costantinopoli dove venne condannato al carcere. Anche da lì il Cerbano riuscì a fuggire, e sotto falsa identità salpò da Crisopoli naufragando però nel Mare Egeo ... Salvata a stento la vita approdando nell’Isola di Chios, il Prete Cerbano si ripromise solennemente di ritrovare le spoglie del Patrono dell'Isola Sant'Isidoro famoso per averla salvata dalla Peste, e decise quindi di traslarle a Venezia ... tanto per cambiare.
Come fare per trovarle ? … Si recò allora a Rodi dove svernava la flotta Veneziana del Doge Domenico Michiel di ritorno dalla spedizione vittoriosa sugli Infedeli Musulmani ad Ascalona e Tiro. A Rodi quindi il Prete Cerbano convinse alcuni Veneziani a trascorrere con lui l'inverno per aiutarlo a cercare le spoglie scomparse del Martire Isidoro di Chios… Ecco che come da classico Copione Leggendarioavvenne l’”Inventio”. Nel dicembre 1124 nella cripta della chiesa di Sant'Irene di Chios vennero ritrovati oltre al Corpo di Sant’Isidoro anche i resti dei Martiri Afra, Ilaria, Mirope e del figlio di quest'ultima. Il Doge tenuto all’oscuro di tutto, e desideroso soprattutto di non inimicarsi quelli dell’Isola di Chios, litigò non poco col Prete Cerbano che voleva portare tutto e tutti in Laguna ... Si giunse a un compromesso fra Doge e Prete, e dopo Pasqua si partì con la flotta per Venezia col solo Corpo Santo di Sant’Isidoro, che approdò in Laguna a giugno 1125 ... Non è veritiero quindi il racconto della Translatio di Sant’Isidoro che dice che le sue Sante Reliquie giunsero in Laguna nell’aprile 1125 ... Ma poco importa: era normale nelle Leggende una certa confusione e sovrapposizione di date distorcendo un po’ i fatti degli eventi storici adattandoli a spiegare e confermare la Leggenda … Ciò che importava a Venezia era sempre la stessa cosa: cioè che le situazioni economico-politiche dei Veneziani venissero “benedette e protette dal Cielo in qualche modo”.
Isidoro di Chios divenne quindi un altro dei rari Santi venerati e ritratti nei cicli mosaicali della Basilica Marciana fin dal Medioevo… a Venezia venne eletto anche a Patrono dell’Arte dei Segadori dell’Arsenale, finchè poi il suo Culto-Devozione finì nel dimenticatoio e in secondo piano forse per l’esubero-inflazione di Santi e Sante che erano stati importati a Venezia … Come accudirli degnamente tutti ?
Finchè poi avvenne la classica Inventio, cioè il recupero-riscoperta delle Sante Reliquie dello stesso Sant’Isidoroaccaduta probabilmente al tempo del Doge Andrea Dandolo fra 1343 e 1354 quando erano Procuratori di San Marco i Nobili Marco Loredan e Giovanni Dolfin come recita un’iscrizione sul manufatto della Santa Reliquia ... Fatalità in quel momento a Venezia stava imperversando la Peste Nera, e chi più di Sant’Isidoro Santo noto Santo Protettore Liberatore dell’Isola di Chios dalla Pestilenziale Epidemia poteva risolvere il problema dei Veneziani ?
Sant’Isidoro quindi ricomparve e tornò in auge il suo Culto di potente Santo Apotropaicoe Beneaugurante. La sua figura propiziatoria ricomparve nella Manualistica Liturgica della Basilica Dogale-Marciana, e nel Rituale Proprio di Venezia. Gli venne allestita un’apposita solennissima Processione, e comparve anche la Passio Sant’Isidoro che divenne parte integrante prima del Leggendario di Pietro Calò, e poi del Catalogus Sanctorum di Pietro De Natali ... In quegli stessi anni venne edificato nella stessa Basilica di San Marco il costoso Oratorio-Cappella di Sant’Isidoro visitato solennemente ogni anno da Doge, Senato e Clero Veneziano nel giorno della Memoria dell’Inventio per commemorare il Santo Patrono Isidoro, ma anche fallimento del colpo di mano del congiurato Doge Marin Falier avvenuto nello stesso giorno calendariale.
Nel 1627 anche la testa mancante di Sant'Isidororimasta nell’Isola di Chios venne portata a Venezia da Pantaleo Risicario, che si meritò per questo per sé e per i suoi eredi: una casa e una pensione annuale di Stato … Qualche decennio dopo l’Orafo Piero Bortoletto realizzò per la Basilica Marciana un Reliquiario in metallo e vetro per contenere quel Santo Cranio, che è ancora conservato nel Tesoro di San Marco.
Ed eccoci finalmente a San Marco, il SantoPlus, il cui Culto-Leggenda-Passio proVenezia giunsero in Laguna portate e patrocinate da Aquileia-Grado, ma anche dal circondario commerciale di Altino, Concordiae Oderzo: tutti “Luoghi Primi” a loro volta traboccanti di Reliquie totipotenti e Martiri Zonali e ProtoVescovi Santi come San Taziano e San Magno.
Quando nel 828 avvenne la Traslatio del CorpoSanto dell’Evangelista Marcoin Laguna, l’iter dell’apposita "Passio-Leggenda" era già più che pronto e compiuto: il SantoPatrono di Venezia era servito!
Già dal tempo dello Scisma dei Tre Capitoli del VI-VII secolo, quando un nutrito gruppo di Vescovi quasi tutti Occidentali si dissociò dal Papa e dal resto della Ecclesia non accettando i contenuti del Concilio Costantinopolitano II del 553, si andava cercando un nome prestigioso a cui attribuire la fondazione della neonata Chiesa Veneziana ... Doveva per forza essere un Santo che godeva di grande autorità per giustificare la ricerca d’autonomia che Venezia, come Aquileia, andavano trovando da Roma & C.
Si finì col scegliere San Marco Vescovo-Martire di Alessandria, e soprattutto: "Discipulus et Interpres" di San Pietro, cioè del“numero uno Ecclesiastico” in assoluto, quello fondante ... La Leggenda Marciana traballò e mutò più volte lungo i secoli seguendo di volta in volta gli umori storici ascendenti o discendenti della politica filoImperiale, filoBizzantina o filoPapale di Venezia, che alla fine puntò tutto su se stessa.
Inizialmente la Neonata Venezia fece occhiolino e diede di gomito ad Aquileia Bizzantina, poi si buttò dalla parte di Grado diventata NuovaAquileia e Sede Metropolitana di riferimento di tutta la Venezia et Istriaquando Aquileia divenne Longobarda e scismatica… In quel frangente storico Grado ricevette in dono dall’Imperatore Eraclio la presunta preziosissima Cattedra di San Marco.
Col Sinodo di Mantova del 827 poi, cambiò di nuovo il vento della Storia, e anche la NeonataVenezia mostrò segni e volontà d’indipendenza da Bisanzio quando Aquileia vantò supremazia su Grado, l'Italia Settentrionale e addirittura su alcuni territori ultralAlpini ... Il legame col Papa di Roma non sembrò essere più così necessario, e anche la nuova versione della Leggenda di San Marco si adeguò a questa situazione storica ribadendo che il Santo Marco valeva “in se” senza alcun bisogno di consenso e approvazione del Primate Pietro di Roma… Era nata Venezia ! … e lo sapete meglio di me che da quel momento fu tutto un botta e risposta e un gran tira e molla della Serenissima con lo Stato Pontificio.
Leggendo la Storia si evince che ai Veneziani non importò mai più di tanto delle dispute teologiche, perché avevano una concezione e visione di se stessi molto realistica e pratica: economica piuttosto che spirituale. Per questo alla fine Venezia preferì avere “in casa a disposizione” la solida garanzia del concretissimo quanto tangibile Corpo Venerabile del Patrono Marcodestinato ad essere tutto dalla sua parte.
Fu così che l’anno seguente alla Sinodo di Mantova, nel 828, si collocò il trafugamento-Traslatio del Corpo di San Marco da Alessandriad'Egitto portandolo in salvo a Venezia. Da chi lo si era salvato ? … Un po’ da tutti: in primis dalle possibili ingiurie degli Arabi Musulmani, ma in seconda battuta anche dalle pretese di primato e sudditanza sia di Roma Papale, ma anche dell’Imperatore, di Aquileia e di qualsiasi altro si fosse affacciato sul palcoscenico della Storia ... Ci fu subito un gran festone in Laguna quando i sei Vescovi Lagunari: Caorle, Cittanova-Eraclea, Equilo-Jesolo, Malamocco, Torcello e Olivolo-Castello con i loro Frati e Preti, il Doge Giustiniano Partecipazio e il Patriarca di Gradoaccolsero il Santo Corpo portato dai due Marinai-Commerciantitutti Veneziani: Buono da Malamocco (primitiva sede del governo Veneziano), e Rustico da Torcello (la prima Venezia commerciale erede di Altino) ... Subito dopo s’iniziò a costruire il sontuosissimo chiesone per il Nuovo SantoPatrono: la Basilica di San Marco… Per l’occasione la Leggenda Marciana venne ancora una volta ritoccata e amplificata in senso Veneziano: prima San Marco aveva fretta di correre a Roma e a evangelizzare Alessandria, Aquileia e il NordItalia, adesso, invece, a San Marco interessava solo trovare definitivo “riposo in Vinea” e fra le acque non più burrascose della Laguna: "ubi Rivoaltina Civitas constructa dignoscitur"… Era a Venezia il posto di San Marco: "Pax tibi Marce ... Hic requiescat corpus tuum", si leggeva sul Libro spalancato tenuto fra le zampe del Leone Marciano, e da allora iniziò l'ascesa di Venezia Serenissima, che non fu più né Aquileiese né Gradense né Romana, nè di nessuno, ma solo di se stessa e dei Veneziani “Figli di San Marco”.
Nel famoso anno 1000, nella Basilica Ducale si rappresentò San Marco accanto, cioè“alla pari” con San Pietro, e in "pendant" con la Vergine Maria la Donna delle Donne. San Marco cioè era Diretto Potente Intercessorepresso Cristo come gli altri due ... e Pietro Orseolo in partenza per la conquista della Dalmazia ricevette dal Vescovo di Olivolo un "vexillum triumphale" col ruggente Leone Marciano: Patrono Difensore di Venezia, ma anche Offensore dell’intero Mondo di allora … Allo stesso tempo San Marcocomparve sulle monete Veneziane barattate e movimentate a Rialto ... Venezia non si smentiva: era sempre Venezia.
In seguito, sempre seguendo lo schema della classica trilogia del copione leggendario Medioevale, dopo la “Passio” e la "Translatio"del Santo ci doveva essere “l’Inventio” del Corpo Santo che avrebbe dato il via allo spettacolare Culto Rilancio: alla Devozione irrinunciabile... Non si sa bene se si o se no, ma sembra che il Corpo di San Marco sia bruciato insieme alla primitiva chiesa nell'incendio del 976.
Che accadde in quegli anni in realtà ? … Perché quell’oscuramento-crisi dell’ormai divenuto pomposo Culto Marciano ?
Ci fu una crisi d’identità politica di Venezia che portò a una rivolta dei Veneziani contro il Doge Pietro Candiano IV reo di aver avviato un’infelice politica filo-Ottoniana-Imperiale. I Mercanti Veneziani prima gli bruciarono Fondaci, Palazzo e Basilica, poi lo uccisero insieme al figlio ... I Candiano avevano stipulato patti con Ottone I e II, e regalato all'Abbazia di Reichenau sul lago di Costanza una grossa Reliquia di San Marco (tuttora li conservata) come segno di intensa e profonda alleanza. S’era perfino sposata Waldrada con Pietro Candiano IV, e si stava di sicuro inclinando il successo commerciale di Venezia sia in Terraferma che per Mare ... il piatto piangeva insomma ... Serviva un nuovo reset, un riavvio e una rimotivazione di Venezia … Ed ecco accadere quindi nel 1094: la leggendaria “Inventio”, quando lo scomparso Corpo Santo di San Marco venne sostituito con un comune cadavere per far cessare le angosce e le incertezze dei Veneziani che avevano perduto l’identità … Il ritrovamento del Corpo di San Marco segnò non solo il riavvio del Culto Patronale che s’era assopito, ma anche il recupero della vocazione commerciale della Venezia Lagunare ... l'Inventioindicò quindi un ritorno alle origini e un punto di ripartenza, e si provvide quindi a ricostruire la Basilica con i mosaici ancora visibile attualmente ... Secondo la Leggenda, il Doge Vitale Falier dopo vane ricerche indisse una pubblica tregiorni di digiuni e preghiere, e alla fine il “Miracolo di Stato” si compì: da una colonna "caloprecia"(composta da vari pezzi), quella del pilastro sinistro della Cappella di San Clemente, spuntò un’arca marmorea col Corpo di San Marco mentre un profumo meraviglioso riempì la Basilica come nella migliore delle Leggende … Un'indemoniata subito guarì toccando l'Arca col Corpo Marciano, e alcuni Marinai Veneziani scamparono immediatamente a un certo naufragio ... A Venezia si riprese a pregare: "… pro Duce nostro et pro bono statu Venetiarum"… Viva San Marco quindi, e Venezia Serenissima ripartì secondo la Leggenda, e riprese ad andare a gonfie vele col suo Leone in testa.
Ho finito … Finalmente direte !
Sapete che sono un inguaribile nostalgico … Ricordo la Basilica Privata del Doge e di San Marco in certi anni andati che sono stati anche miei: quando la frequentavo da giovanotto e da Chierico-Seminarista. Lì dentro ho trovavo e vissuto atmosfere spesso incredibili, surreali, indicibili e speciali che mi hanno messo più volte i brividi. La Basilica mosaicata Doratami appariva ogni volta in tutto il suo secolare splendore, quasi una bellissima e fascinosa donna capace di affabularmi con la sua scintillante Bellezza … Oltre ad aver partecipato lì dentro a innumerevoli Feste, Scadenze Liturgie e Cerimonie, sempre lì dentro ho incontrato e conosciuto Uomini Illustrissimi e indimenticabili come i Patriarchi Albino Luciani e Marco Ce’: persone davvero uniche e squisite che hanno segnato indelebilmente la mia esistenza per sempre. Ancora lì in San Marco ho ascoltato rapito mille volte la Cappella Marciana cantare accompagnata dal suono suadente dei quattro organi della Basilica ... Non pensate che sto esagerando, ma in certi momenti i cantori letteralmente urlavano potenti motti e cantate al Cielo e ai Secoli facendo tremare le navate: “Quasi Leo fortissimus !” gridavano cantando e facendo vibrare tutto … e il suono dell’organo pareva un’onda travolgente che si spandeva ovunque serpeggiando sul pavimento, sulle volte mosaicate, e fin sulle pareti curve e concave dorate dell’immensa chiesa … Pareva un redivivo Drago moderno ? … Sembrava che il Tempo a Venezia si fosse fermato e spalancato sull’Eterno Impossibile e Luminoso, che come un Dragone Antico Buono e Cattivo insieme aleggiava tutto attorno a noi.
“Quasi Leo fortissimus !”ripetevano ancora gli abilissimi cantori a pagamento, gli stessi del Teatro lirico della Fenice, e facevano rimbombare di nuovo il chiesone magnetico … Altra onda sonora, altro brivido lungo la schiena … Era peggio e di più che trovarsi dentro a uno stadio invaso dal tifo insanabile e prorompente: nella Basilica si percepiva un’esultanza alta, forte e intensissima che la riempiva e saturava coinvolgendo anche noi, gente qualsiasi presente lì dentro ... Era la forza del Mito e della Storia di San Marco e di Venezia che si celebravano e rinnovavano ancora una volta in maniera palpabile e vivissima.
“Quasi Leo Fortissimus nullum pavens occursum, idola subvertit et gloriam Domini.”
“Fortissimo come un Leone, senza temere alcuna avversità … Rovescia gli idoli, e annuncia a tutte le genti la Gloria del Signore. Alleluia!”
Mi commuovevo allora, pur senza mostrarlo, e non ero più uno sbarbatello ingenuo ed entusiasta … Mi commovevo nel sentirmi Veneziano: allora come oggi ... Percepivo che quella sensazione singolare, quella specie di sofisticato e raffinato piacere provato in San Marco, quasi traboccava di fuori fra calli, rive, Contrade e campielli inventandosi la città ... come era già accaduto per secoli, quando Venezia si è spandeva ovunque in tutto il Mediterraneo, e più in là fino al confine degli Oceani, dei Deserti, oltre i Monti, i Fiumi e le Pianure in moltissime Città del Mondo Orientale e Occidentale.
E’ un gusto speciale sentirsi Veneziani, figli ed eredi di cotanta Storia, Bellezza, Fierezza e Singolarità… Ognuno di noi possiede una Patria e una Storia, ma diciamolo: a non tutti è dato di sentirsi orgogliosi di essa come noi Veneziani.
In questo tempo il Covid19, come moderno Leviatano, ha maltrattato di brutto anche Venezia: sembra quasi un invisibile DragoneCosmico Malefico che l’ha flessa e piegata e nuovamente frustata e percossa con la sua coda e l’alito pestilenziale infuocato ... Solo ora, piano piano la nostra città accenna a riprendersi provando a leccarsi le ferite … Il Leone Marcianoè spelacchiato, e zoppica forse per una fastidiosa spina infilata dolorosamente su una zampa … Le banchine del Porto sono da mesi desolatamente deserte e disertate: pochi turisti sgarruffati s’aggirano e perdono nei meandri della città, e anche i Veneziani sembrano smarriti e scomparsi, bisognosi di un sussulto … Che fine ha fatto San Marco ? … Dorme “In Vinea” come secoli fa ?
Non lo so.
Da sempre, fin da quando esiste l’Umanità, la Storia insegna che il Cielo-Eternità-Potenza inconoscibile, superiore, indicibile e caotica si è sempre contrapposto e alternato alla Terra fragile: Regno del Tempo abitato da effimeri quanto cagionevoli Uomini e Donne… Luce contro Oscurità, Male-Caos-Energia-Fuoco primordiali, distruttivi e incontenibili contro Bene-Ordine-Controllo Pacifico …
Sembra non possa esserci Sentimento che valga, che tenga, e che possa bastare.
La Storia è fatta di opposti, di categorie e suddivisioni mentali a volte contradittorie e mai esaurite che si rinnovano di continuo ... Siamo noi a trascorrere e passare intanto, mentre la Storia resta riassumendo tutto e tutti ... A ciascuno di noi dentro a questo immane vagabondare cosmico che ci smarrisce e porta rimanendo oscuro alla nostra comprensione per nove decimi, resta di raccontare e ascoltare, quasi a consolazione, mille Storie, Miti e Leggende di Draghi, Leoni, Santi, Persone e Serpenti che non smetteranno mai d’incuriosirci dandoci uno strattone o una spinta nella nostra personale e quotidiana Lotta Cosmica per esserci e determinarci.
E’ un discorso troppo grande ? … Più grande di noi ? … Forse.
Beh: intanto ascoltiamolo, pensiamoci … e lasciamoci andare, esistiamo, lavoriamo … viviamo senza prendercela più di tanto fra Leoni, Draghi e Serpenti Veneziani, che forse ora ci saranno un pochino meno sconosciuti ... un poco solo.
NOTERELLA SIMPLEX: i Draghi di Santi e Sante Veneziani hanno ali di Pipistrello ...
#unacuriositàvenezianapervolta – n° 202.
NOTERELLA SIMPLEX: i Draghi di Santi e Sante Veneziani hanno ali di Pipistrello ...
Non era affatto difficile catturare i piccoli Pipistrelli scuri che uscivano di notte dai meandri interni della Cupola della Madonna della Salute a Venezia svolazzando nel sottostante giardino del Seminario Patriarcaledove vivevo. Qualche volta riuscivano anche ad infilarsi negli ambienti interni attraverso qualche finestra lasciata aperta ... e allora comparivano striduli nel chiostro, nei corridoi, nella Biblioteca Granda, e perfino davanti alle nostre stanze.
Era semplicissimo catturarli … Li lasciavamo volare ciondolando in aria tenendo una coperta pronta in mano. All’ultimo istante, proprio quando il malcapitato Pipistrello sfrecciava sopra alle nostre teste, la lanciavamo aperta in aria ... Era troppo tardi per il sofisticato sonar invisibile del Pipistrello, quindi non riusciva ad individuare in anticipo l’ostacolo che un secondo prima non c’era in aria. Il Pipistrello di turno finiva dieci volte su dieci col sbattere inesorabilmente e violentemente addosso alla nostra coperta … ed era quindi nostro.
Nostro ? … Si, perché in quel momento iniziava per noi la seconda parte “dell’operazione Pipistrello”: utilizzavamo quei soffici animaletti scuri, che da quel momento diventavano perfettamente immobili, per realizzare l’ennesima nostra goliardata e trovata … Un Pipistrello poteva finire nottetempo sotto alle lenzuola in fondo al letto di un nostro ignaro collega Seminarista: obiettivo più che frequente dei nostri scherzi ... Va beh: lo ammetto … E’ stata una cosa insolita, ma di certo molto divertente … sentire urlare quel nostro povero compagno nel cuore della notte mentre usciva tutto imbrattato di sangue dalla sua stanza spaventatissimo … Che c’era di così grave e importante da urlare in quella maniera ? … Aveva semplicemente calpestato e spremuto nel sonno il Pipistrello che avevamo collocato ai suoi piedi … Quante storie per un semplice Pipistrello! … e quanto ci sbellicavamo per le risate alle spalle del povero malcapitato.
In un’altra occasione il peloso animaletto catturato, ancora mezzovispo, ci tornò utile per essere collocato in una graziosa scatoletta di metallo colorata. La collocammo in cima alla cattedra della nostra giovanissima Professoressa Supplente di Matematica… Alla genialità di quella donna non corrispondeva, come spesso accade, altrettanta furbizia, scaltrezza e malizia ...quindi divenne pure lei obiettivo più che adatto per le nostre ludiche performance da liceali-collegiali. Vista la scatolina lucente, non sospettando affatto del possibile scherzo, e spinta in maniera incontrollabile dalla curiosità che è sicuramente “donna” … come ci aspettavamo la “prof” aprì la scatoletta portandosela accanto al volto vicino agli occhi vistosamente miopi.
Non riuscirò mai a descrivervi la sorpresa-spavento-terrore che provò quella donna e si vide espressa nel suo volto quando vide il Pipistrello librarsi in aria davanti al suo naso. Nella mia mente la sento ancora urlare come quel giorno, e la rivedo ancora fuggire via spaventatissima lungo il corridoio della scuola, poi giù per le scale e fino all’aperto in cortile in preda a un incontenibile panico che la spingeva a cercare un qualche improvvisato riparo … In classe rimanemmo noi a scompisciarci dalle risate fino alle lacrime, insieme al Pipistrello che volteggiava ignaro in tondo accanto al soffitto.
Che tempi ! … Aprimmo poi la finestra lasciando di nuovo libero quell’animaletto. Se lo meritava di sicuro, in quanto aveva svolto più che egregiamente il suo compito, e anche con successo ... Non ricordo bene poi, se prendemmo tutti: due o tre di voto nell’interrogazione in Algebra e Geometria che seguì immediatamente al volo del Pipistrello … Il Pipistrello, fortuna sua, se l’era svignata … al contrario di noi che dovemmo subire lo smacco-vendetta della “Prof”, che c’indusse a un vorticoso quanto difficile impegno di recupero della bassa valutazione entro l’imminente fine del quadrimestre … Che fregatura ! … Ma volete mettere il divertimento !!!
Ve ne racconto ancora una: l’ultima … su Pipistrelli e Seminario … Non potevano non essere nostro ludico obiettivo le Suore che gestivano la cucina del nostro Seminario … Gestivano cucinando ? … Beh: pressappoco … Per “santa obbedienza alla Madre Provinciale” una di loro aveva accettato d’improvvisarsi cuoca dei Seminaristi pur senza avere la minima nozione di culinaria e dintorni … Mai toccato un mestolo in vita sua prima di quell’incarico … Perciò noi diventammo sue cavie involontarie, e lei: imperdonabile rea insieme alle sue consorelle di affamare la nostra giovinezza mai sazia rifilandoci certe brodaglie indefinibili, e certe monodiete settimanali incredibili che divennero fonte e ispirazione delle nostre “disperate” cantate goliardiche: “Zucca ! … Sùcca … Sùcca Barùcca ! … e dàghea: ancora … Eh: sùcca … barùcca …”cantavamo divertiti salendo sopra a una sedia del Refettorio e dirigendo un’invisibile orchestra con una posata.
Ve lo garantisco: la fame era fame … e non avevamo età per rimanere lì fermi immobili a quietare gli appetiti e i sommovimenti del languore: eravamo chi più e chi meno vulcani semoventi che sprizzavano iniziativa e vitalità. Figuratevi se ci bastava dopo una lunga mattinata sui banchi di scuola, o dopo un pomeriggio di studio o d’intense pallonate spaccagambe nel“campàsso” ritrovarsi di fronte: una Zucca lessa, un risotto di Zucca, la Zucca fritta o come contorno, la Zucca come dolce, la Zucca a merenda … Zucca, ancora zucca, e sempre e ancora: Zucca ! ... Ce la sognavamo anche di notte.
Che non meritassero le Suore almeno un Pipistrello in cambio ? … Ovvio che: si.
E così fu … ma non una sola volta, ma più di una … tante erano le settimane a base di zucca che eravamo costretti a subire.
Ancora Zucca in Refettorio ? … Ancora Pipistrello dentro al libro da Messa delle Suore.
Ancora Zucca a merenda ? … Ancora Pipistrello dentro alla loro chiesetta, dentro al casetto dei mestoli in cucina, o nell’armadio della dispensa … e ogni volta comparivano puntuali le Suore intirizzite spaurite … e li ritrovavi fuori nel chiostro in pieno inverno ad attendere che qualche“buonanima” le liberasse da quell’essere diabolico pauroso quanto importuno ... In quei frangenti ovviamente: sparivamo, e salivamo su a sbirciare divertiti le Suore dalle finestre alte del chiostro, e gongolavamo non poco nel vederle là in apprensione e attesa con i loro guantini di lana tagliati sulle dita, e l’immancabile scialletto sulle spalle mentre l’animaletto volteggiava ignaro dentro alla loro tiepida cappellina che avevano dovuto disertare e abbandonare allarmate in fretta e furia … Un bel quadretto indubbiamente … e un paio d’orette al fresco a rinfrescarsi le idee … Se lo meritavano secondo noi, ed era un compenso adeguato per quelle diete insopportabili che ci propinavano indefesse giorno dopo giorno … Perché non c’era Pipistrello che contasse: dopo le Zucche arrivavano le Patate, e dopo quelle: le Arringhe o i Cavoli, i Porri, le Carrube e le Cipolle o le Sarde scure e dure come ciabatte … ed era tempo di dolci strani maivisti a pluristrati alterni spugnosi traboccanti di crema acidula, crostoso pseudopandispagna, spine, lische e Acciughe, o di altre “prelibatezze impossbili e fantasiose” che vi risparmio di descrivervi … Fu quindi d’obbligo per noi piazzare un bel Pipistrello nella stanza da letto della “Suora Cuciniera e Pompiera”(vi dirò un’altra volta il perché e il per come di quel vezzoso nome), e un altro finito nell’armadio della Suora Superiora finito da lei inavvertitamente spalmato sui suoi candidi vestiti con relativo urlo … Il latte rancido a colazione era imperdonabile … Non era giusto propinarcelo lo stesso per non buttarlo via e risparmiare sulle economie della cucina.
Mi piacerebbe continuare a raccontarvi altro ancora … ma devo dirvi d’altro.
Secondo l’antico Mito Cosmogonico Andino del Pipistrello: l'Umanitàvolava cieca zigzagando incerta nel buio notturno del nostro MicroCosmo e Mondo: non vedevamo, non capivamo, non percepivamo quasi niente, non sapevamo dove andare … Sembrava che tutto girasse in tondo a vuoto … Però all’Umanitàriusciva in qualche modo d’intravedere come attraverso un’oscura fessura dentro a quel caos primordiale compatto e denso che riempiva l'Universo degli Universi e dei Mondi prima della Creazione del Mondo, dei Cieli, della Terra del Mare e dell’Umanità ... Non esisteva nulla all’inizio, perchè tutto era tenuto compresso insieme come in un’unica roccia … C’era solo il niente cosmico, come tutt’oggi sembra ci sia la stessa cosa a riempire quell’Universo temuto che deliberatamente ogni giorno ignoriamo ... e temiamo.
I Pipistrelli non li vedi, quasi non li sai: viaggiano nella notte, creature misteriose notturne, sembrano non esserci ed esseri inutili, mentre in realtà vanno ad impollinare diverse piante e fiori che si aprono e fiorisco solo di notte. E’ il gioco di scambi dolcissimi del nettare col misterioso input della fecondazione e della fertilità che si rivelano e sovrappongono diventando fruttuosi quando rispunta il Giorno qualsiasi dei Viventi. Ogni volta è come una Nuova Rinascita ... Ogni uomo e donna è partecipe di quella Danza Cosmica Ciclica e Primordiale che è inesauribile … Uomini e Donne continuano da millenni “a volare” come orbi Pipistrelli nel nulla che ci circonda ... ma che Nulla non è.
Provate ad osservare con attenzione certi Draghi Veneziani: sono “a Pipistrello”, cioè possiedono raffigurazioni e sembianze artistiche che richiamano e rimandano a quel piccolo animaletto pauroso, scuro e misterioso … Ci sono diversi esempi sparsi in giro per Venezia … Fra tutti vi segnalo il capolavoro di Vittore Carpaccio… Scarpatius… realizzato sui teleri della Schola dei Santi Giorgio e Trifone in Contrada di Sant’Antonin nel Sestiere di Castello… Andate a rivederlo guardandolo con occhi diversi, oppure andata a vedere in Campo Santa Margherita il Pipistrello parte delle numerosissime decorazioni immesse sulle facciate dell’omonima chiesa … E’ emblematica l’immagine, e richiama tutta una serie di contenuti che noi di oggi ignoriamo e rischiamo di perdere quasi del tutto … anche se in Campo Santa Margherita di Pipistrelli tramite il fumo di alcol, Spritz, Prosecco e addizioni stupefacenti varie probabilmente se ne vedranno molti all’opera, e credo anche di molte specie ... E’ così.
Nelle Leggende Medioevali: piccoli Pipistrelli uscivano dalla bocca dei moribondi peccatori o s’abbrancano al piatto della Pesata delleAnime Defunte effettuata dall’Arcangelo Michele ... Stormi di piccoli mammiferi volanti neri immagine di Satana venivano cacciati da San Francesco ad Arezzo mirabilmente raffigurati da Giotto ... Leonardo nel suo Bestiario qualificava negativamente i Pipistrelli considerandoli incarnazione visibile del Vizio, e collegandoli alla Lussuria, alla Promiscuità e all’Omosessualità. Scriveva: “Il Palpistrello, per la sua isfrenata Lussuria non osserva alcun universale modo di lussuria, anzi maschio con maschio, femmina con femmina, si come a caso si trovino insieme usano il lor coito.” e ancora: “Palpistrello. Questo, dov’è più luce, più si fa orbo e come più guarda il sole, più si acceca. Pel vizio che non po’ stare dov’è la virtù …”
Dopo l’immaginario animalesco medievale, ci furono le elaborazioni pittoriche soprattutto dei visionari bizzarri e raccapriccianti NordEuropeicome: Martin Schongauer, Dürer, Bosch, Teniers, Bruegel, Cranach eGrünewald… Una leggiadra Farfalla che di solito rappresentava Psiche e l’Anima presta in un dipinto le sue sembianze al Diavolo Principe del Male mutandolo in lieve, fluttuante e stridulo e cornuto Pipistrello dalle stravaganti ali variopinte ricoperte di polvere magica … Perfino il giovane Giambattista Tiepolo esordendo a lavorare fuori dalla Laguna Veneziana dipinse nel 1726-1729 su commissione del Patriarca Dionisio Delfino o Dolfin il soffitto dello Scalone d’Onore delPalazzo Patriarcale di Udine con la Battaglia del Cielo e la “Caduta degli Angeli ribelli”. L’Angelo Caduto ha ali di Pipistrello, coda di rettile, capigliatura nera, e forma goffa e disarmonica.
E la Madonna della Misericordia realizzata dal Moretto ? … Pure lei con nere ali spalancate da Pipistrello ... Un dipinto poco apprezzato da quelli dell’epoca, che non amavano vedere la Madonnasotto quell’aspetto scuro e misterioso: un po’ noir e quasi demoniaco.
Di rappresentazioni di Pipistrelli in giro per il Mondo in luoghi transoceanici più disparati, separati e distanti fra loro ce ne furono tantissime. Il Pipistrello lungo i millenni è sempre stato considerato animale icona-totemicadal significato spesso contradditorio e complementare. Di volte in volta, e in situazioni diverse, ha simboleggiato le forze delle Tenebre, la Morteed il Caos ... I Greci chiamavano il Pipistrello: “Nycteris”, mentre i Latino-Romani tradussero quel termine in: “Vespertilio” considerando il Pipistrello animale di buon auspicio, protettore dei Sonnambuli … Nella consapevolezza popolare e comune di noi Europei Occidentali l’immagine del Pipistrello divenne poi Simbolo temutissimo e maligno perché associato dalla cultura Ebraico-Cristiana e dai Bestiari Medioevali di stampo soprattutto Monastico agli Esseri dell’Impurità: il Pipistrello aveva sembianza di Satana l’Angelo Caduto, l’Amante delle Tenebre che aveva ali di Pipistrello. Da quest’immagine a rapportarsi con Streghe, Riti Magici, Leggende, Vampiri ed Entità negative il percorso è stato brevissimo, e l’immagine del Pipistrello è diventata sinonimo anche dell’occulta Invidia che ama mascherarsi e nascondersi nell’intimo delle persone senza venire alla luce.
Viceversa, gli Sciamani Americani Andini, Aztechi e Maya Mesoamericani dell’oltreoceano del Messico, Honduras e Nicaragua possedevano del Pipistrello una visione diversa. Durante le Visioni Oniriche dei Riti d’Iniziazione e delle Trans allucinogene evocavano la presenza dell’animale dentro al tramonto della notte incipiente, o durante la Luna Nuova o Piena quando i Pipistrelli uscivano a migliaia in cerca di cibo dalle loro caverne o librandosi in volo dagli alberi ... Mirando al Pipistrello se ne evocava la forza primordiale dello Spirito la cui energia dava l’Intuizione, la Veggenzae la Conoscenza, e si credeva fosse l’incarnazione e il riassunto volante e plastico di un ordine notturno delle cose “rovesciato e incomprensibile”, l’espressione di un regno sotterraneo e cavernoso in cui la psiche umana poteva solo perdersi ... e non vedere come dentro a una notte del tutto buia.
Gli Antichi sparsi ovunque nel Mondo si sono sempre dimostrati colpiti e interessati ai Miti. Fra questi anche al Mito della Caverna:luogo ancestrale emotivo e profondo paragonabile all’intimità umana da cui poteva accendersi e riemergere ogni sera al crepuscolo la Vita misteriosa trasportata fuori da quei segni volanti di Rinascita che erano i Pipistrelli … Lo svolazzare del Pipistrello apparentemente irregolare e incerto nell’oscurità, era associabile e riconducibile all’incostanza e al contradditorio “lunatico umano”, nonché alle ostiche sensazioni oscure e perverse che talvolta pervadono la nostra mente ... Il Pipistrello in ogni caso ha sempre rappresentato anche una visione non convenzionale dell’essere, cioè quella parte oscura di noi che sfugge, l’imprevisto, l’agire inconscio istintivo, il sesto senso inaspettato … Nel 550-950 circa per i Guatemaltechi: Zotz o Camatzoz era il Mastro del Fuoco e l’accecante Demone Pipistrello del Regno degli Spiriti e dei Morti dei Maya. Veniva rappresentato con coltello e la vittima fra le mani ... Il Dio Pipistrello divorava volando la luce del giorno mentre strappava le teste divorando anche la Vita dei Viventi ... Secondo il Sacro Libro del Popol Vuh: la “Casa del Pipistrello e degli Spiriti” era una delle regioni sotterranee da attraversare per raggiungere il misterioso Regno dei Morti nell’OltreAldilà degli Inferi dove le Anime dei Defunti svolazzavano e squittivano come Pipistrelli … I denti dei Pipistrelli succhiavano il sangue che conteneva la Vita come il gesto del coltello Sacrificale-Rituale che la rubava alle persone sull’altare per riaprirla rinnovata in un Altro Evo e Ciclo temporale in una dimensione diversa che stava in un Cielo Non Cielo sconosciuto dove tutto era Perfetto ed Eterno … Per i Tupinambas del Brasile la fine dell’Evo del Mondo sarebbe stata preceduta dalla scomparsa del Sole divorato da un enorme quanto misterioso nero Pipistrello.
Ancora nella stessa Asia, a differenza di noi Occidentaliche riteniamo il Pipistrello: bestia orribile, sordida e schifosa, lo pensavano, invece, di aspetto e sensibilità materna: immagine della Grande Dea Madre: in una grotta con milioni di esemplari ogni Madre Pipistrello riconosce in maniera univoca lo squittio acuto del proprio piccolo e viceversa … i Pipistrelli condividono preda e sangue rigurgitandolo ai piccoli e ai compagni affamati, e adottano gli esemplari rimasti orfani … Il Pipistrello era quindi Immagodell’attenzione Amorosa indefessa della Madre Naturale dei Viventiverso l’Umanità.
In Africa il Pipistrello era sinonimosia d’Intelligenza rapida e acuta per la rapidità con cui sa evitare gli ostacoli, che di Perspicacia in quanto sa vedere nell’oscurità e captare tutto, e di Stravaganza in quanto il Pipistrello è nemico della luce e del giorno, e fa tutto al rovescio appendendosi a testa in giù. Nella tradizione dell’ambiente Tedesco-Slavo-Balcanico il Pipistrello era il Vampiro che usciva dalla tomba per succhiare il sangue insieme all’Anima dei vivi … La Leggenda precisava che chi veniva morso dai Vampiri lo diventava a sua volta … In alcune zone campestri anche Italianes’inchiodavano i Pipistrelli sulla porta di casa come gesto apotropaico di protezione contro gli Spiriti Malefici ... Ritenuti sempre propensi ad impigliarsi nei capelli, come a intrigarsi nelle vicende oscure di uomini e donne,i Pipistrelli venivano usati come amuleti da cintura e da collo, oppure smembrati e utilizzati in pezzi per creare incantesimi, o se ne utilizzava il sangue per realizzare pozioni utili per curare malattie della pelle, morsi di Serpenti e disturbi intestinali, ma anche per tenere lontani Formiche, Bruchi e Cavallette ... Si ponevano anche alcune gocce di sangue di Pipistrello sotto le lenzuola di una donna per indurla ad essere feconda ed avere figli.
I Chirotteri, cioè i Pipistrelli “mano alata” o “volpi volanti” contano al Mondo almeno 1200 specie diverse. I “megaChirotteri” Africani, Asiatici ed Australiani possono raggiungere aperture alari fino a due metri, e si nutrono di frutta e nettare, mentre i “Microchirotteri” diffusi in tutti i continenti, hanno dimensioni più piccole e dieta più varia nutrendosi d’insetti, frutta, nettare e succhiando sangue (ematofagi) di altri animali compreso l’uomo come fanno anche gli Insetti,etrasmettendo infezioni come la Rabbia, la mortale Tripanosomiasi, e probabilmente anche altro ... I Pipistrelli sono Mammiferi volanti con un corpo senza piume da roditore e dita molto allungate e affusolate, unghiate e uncinate, che sottendono una membrana cutanea gommosa, muscolosa, nervosa e vascolarizzata: il Patagio, che li avvolge come un mantello lubrificato da apposite ghiandole poste tra naso e gli occhi tondi e neri apparentemente spenti, che scende dal collo fino alla coda e gli arti inferiori ... Per dormire, riposare, partorire e allattare i piccoli si appendono a testa in giù ancorandosi con le dita ... Hanno circuiti cerebrali simili a primati superiori, e volano lanciandosi nel vuoto come le Rondini perché non hanno zampe capaci di spinta per spiccare e balzare in volo. Si librano nell’aria volando velocemente e sbattendo le ali, e volteggiano a bocca spalancata e denti scoperti per nutrirsi.
I Pipistrelli non volano a casaccio e in maniera disordinata come sembrerebbe, ma si orientano nello spazio con estrema precisione utilizzano un sofisticato sistema di ecolocalizzazione a ultrasuoni emessi da bocca e narici: una specie di radar-sonar naturale a forma di foglia che hanno fra naso e bocca. Hanno inoltre padiglioni auricolari molto sensibili ...Alcune specie di Pipistrell sanno compiere lunghi spostamenti raggiungendo luoghi di rifugio lontani e migrando per centinaia di chilometri, altre specie, invece, adottano l’ibernazione-letargo invernale come altri tipi d’animali ... Nelle foreste pluviali oltre ad essere animali predatori indispensabili per mantenere l’equilibrio dell’ecosistema, sono prolifiche impollinatrici di diversi Fiori notturni scambiando nettare con l’efficacia misteriosa della impollinazione fertile capace d’innescare il fenomeno di nuova vita.
Oggi in tempo di pandemiaè più che mai di grande attualità il Pipistrello: esserino pesante a volte pochi grammi che vive quarant’anni librandosi e orientandosi alla perfezione nel buio più totale. Da molti il Pipistrello viene considerato temibilissimo “serbatoio-nicchia biologica” capace di generare pericolosissime patologie, da dove i Viruspossono effettuare il famoso Spillover o “Salto di specie” ... Oltre due terzi dei Virus che coinvolgono l’Uomo sono Virus Zoonotici cioè che passano attraverso gli animali per arrivare a noi.
Così è dei micidiali FiloVirus delle febbri emorragiche come Ebola (EBOV) e Marburg (MARV), ma anche di Nipah ed Hendra, dell’HIV che ha provocato la pandemia dell’AIDS saltando dagli Scimpanzé all’Uomo. Stessa cosa si dica dei CoronaVirus come MERS: la Sindrome Respiratoria Mediorientale, e la SARS con la variabile COVID-19, che ci hanno raggiunti e inquietati non poco adattandosi all’Uomo, e provocando la “tempesta storica” in cui stiamo attualmente immersi ... Altri Virus sconosciuti, dormienti forse per secoli o addirittura millenni, sono passati attraverso Maiali, Zibetti, Gorilla e Scimpanzè, Pesci, Marsupiali, Zanzare, Procioni, Dromedari, Pangolini, Cavalli, Roditori, Uccelli vari ... e Pipistrelli, anche se a tutt’oggi non è stata ancora confermata la loro capacità d’infettare la nostra specie umana. E’ noto e certo che Pipistrelli convivono asintomatici con Alfa e Beta Coronavirus in qualche zona cavernosa remota soprattutto della foresta pluviale del Congo Africanoo della Malesia Asiatica senza sviluppare alcuna malattia conclamata probabilmente a causa del loro sistema immunitario altamente sofisticato ed evoluto.
Diversi FiloVirus sono stati identificati nel sangue e nelle cellule dei Chirotteri-Pipistrelli: ilBombaliVirus (BOMV), il LloviuVirus (LLOV), il MenglaVirus (MLAV) e il MarburgVirus (MARV) ... L’HantaVirus Mouyassué (MOUV)è stato isolato nei Pipistrelli Nanidei banani di un villaggio di Mouyassué in Costa d'Avorio, mentre il MagboiVirus è stato isolato in Nitteridi Ispidi, cioè Pipistrelli diffusi nell'Africa Subsahariana vicino all’omonimo fiume in Sierra Leone ... Ancora in Australia, nel 1994, e in Malesia, nel 1998, è comparso l'HenipaVirus della malattia Nipah e ilVirus di Hendrache hanno causato malattia neurologica nei Cavalli e respiratoria nei Suini. Quegli stessi Virus sono stati riconosciuti nelleVolpi Volanti o Pipistrelli Pteropidi della frutta, e si sa che da loro si possono amplificare saltando mortalmente nell’uomo, anche se sia in Indiache nel Bangladeshgli stessi Virus passano direttamente a noi senza tanti “salti di specie”attraverso il succo di palma contaminato da urine di Pipistrello.
“Il Virus siamo noi … Persone e Gorilla, Cavalli, Cefalofi e Maiali, Scimmie e Scimpanzé, Pipistrelli e Virus. siamo tutti sulla stessa barca perché ogni specie animale,è legata in modo indissolubile alle altre, fin dalle origini, dell’Evoluzione, in salute e in malattia”ha detto David Quammen autore del bellissimo e interessantissimo saggio-profezia: “Spillover” pubblicato con successo nel 2012 anticipando l’arrivo del detestabile Covid19.
Vedete ? … Anche oggi ci sono ancora e sempre di mezzo i Pipistrelli… Storia, Leggenda e Simbologia quindi continuano ad accavallarsi, sovrapporsi, confondersi e ripetersi lungo i millenni in una specie di gioco micidiale senza fine. Non c’è fantasioso Batman Uomo Pipistrello, o Gargoyle, o Vampiro d’Amore o “che ride” che tengano … C’è dell’Essenziale-Esistenziale legato e nascosto nella figura simbolica del Pipistrello … Quando ne vedrete uno presente o rappresentato in qualche modo in giro per Venezia … Pensateci … e meravigliatevi e stupite un poco !
“A VENEZIA: SI … NELLA SACRESTIA DI SAN MARCO ... E ALTRO ANCORA.”
#unacuriositàvenezianapervolta 203
“A VENEZIA: SI … NELLA SACRESTIA DI SAN MARCO ... E ALTRO ANCORA.”
Vi è mai capitato di recarvi dietro casa e di provare la sensazione di non essere mai stati in quel luogo ? … Eppure abitate lì da sempre … A Venezia può accadere anche questo, la nostra città sa ogni volta accendere senza fine la meraviglia e lo stupore se qualcuno sa essere curioso e ha occhi per riuscire a vedere … A volte finisci per scoprire e riscoprire cose, luoghi e situazioni, una specie di retrogusto pregno di bellezza, storia e contenuti che mai avresti immaginato di scoprire … Venezia è Venezia.
E’ un peccato però che alcune cose Veneziane belle si finisca quasi per fantasticarle in quanto sono nascoste dentro a luoghi inaccessibili, e visibili solo in qualche lussuosa edizione patinata riservata a pochi ... Certi posti e certe cose finiscono quasi per diventare leggenda.
Viceversa è una fortuna che ogni tanto la Biennale, o qualche “generosa e munifica” organizzazione o Banca ci permettano di accedere “a buttàr un òcio” e godere per un attimo di certi luoghi, palazzi e vecchie chiese dimenticate “che non si sa” ... Dov’era, che era e che fine ha fatto il Gallo di Rialto, ad esempio ? … e la Cripta di San Giovanni Elemosinario ? … C’è o no c’è ? … E se c’è: com’è, che conserva, che storia ha ? … Boh ? … Chi lo sa ? … E chi si ricorda, andando un po’ a caso, di aver visto ultimamente l’interno di San Giovanni Novo ? … o quello di Sant’Aponal, o di Spirito Santo alle Zattere ? … Da quant’è che non mettete piede dentro a Santa Maria Materdomini ? … E chi ha mai visto certe altre “cose piccole”, che piccole e da poco affatto non sono, ma sono parte integrante dell’immane patrimonio che esiste qui a Venezia ? … Sono nascoste … tabù, neanche sappiamo che ci sono a volte … Ma sono là in realtà, e soprattutto sarebbero incredibilmente nostre … di tutti ... Patrimonio comune.
Eh ! Eh ? … Direbbe subito qualcuno … Cose proprio“di tutti”: no … Sono beni dello Stato e della Chiesa semmai … Non di tutti.
E, invece, insisto: no … Sarebbero cose nostre, di tutti … Anche se è vero che questa storia assomiglia molto al giochetto che fanno le banche con i nostri soldi: sono nostri, è vero, ma li gestiscono loro, e finiscono per essere praticamente loro, tanto è vero che ne fanno ciò che vogliono, e sembra quasi che li importuniamo se ci presentiamo a chiedere di usufruire di quanto è tecnicamente nostro.
Tanti luoghi e cose belle e preziose di Venezia sono in realtà beni preziosissimi spesso donati, prestati o lasciati alla Chiesa in favore dei poveri, per la “casa di tutti” e il bene comune di tutti i Veneziani … Non sono beni dati a proprio comodo, o inventati e messi in piedi dal nulla, e per la singolare estrosità e sensibilità di qualche Abate, Badessa o Piovano che ha ricevuto soldi, oggetti, disposizioni, legati e immobili in nome della “Devotio” e in cambio di garanzie diPerdono e Salvezza Eterna… Folle di Veneziani per secoli si sono privati a volte del poco che avevano per contribuire e darlo alla Chiesa e ai poveri, e per rendere certi posti più ricchi e belli in quanto “casa di tutti”: luogo in cui si riconoscevano fino a metterci del proprio ... Chiesa, Conventi, Schole, Luoghi Pii e Monasteri hanno ricevuto dai Veneziani nel tempo una miniera di denaro, lasciti e donazioni: sono di tutti quindi …No ? … o è stato tutto uno scherzetto, una burla, promesse vacue ?
Dopo lo so com’è la realtà … Stato e Chiesa a braccetto ridono di questo mio discorso, e dicono all’unisono: è tutto mio … Non se ne parla. E quindi a noi comuni morali non rimane che aspettare che “bontà loro”ci concedano, magari a pagamento, e se non li disturba troppo, di metter naso e piede dentro a ciò che sarebbe nostro.
Però adesso basta con questi discorsi inutili, e facciamo un bel esempio pratico … Uno preso a caso fra la miriade delle bellezze nascoste Veneziane che ci attorniano spesso a nostra insaputa.
Le tarsie lignee degli armadi della Sacrestia della ex Basilica Dogale e ora Basilica Patriarcale di San Marco.
Che roba è ? … Osservate un po’ le foto che allego, e di sicuro capirete.
La Basilica di San Marco ! … Quanti ricordi che emergono nella mia mente ! … tanti … troppi forse …
Chi non ha vissuto come me per anni nel Seminario dei Preti di Venezia, non sa e non potrà mai capire del tutto ciò che intendo dirvi … Oggi in molte occasioni si ha una visione parecchio sofferta e sospettosa dell’ambiente Preti & Frati & Monache in generale … a ragione veduta s’intende … anche se altrettanto spesso si può finire facilmente nel pregiudizio eccessivo e gratuito. A volte sento descrivere quello stessoMicrocosmo come: cupo, bigotto, aulico, desueto, chiuso e spesso pieno di paranoie: “Gli Ecclesiastici fanno le loro cose … più o meno pulite o viziose. Sono sinceri o ipocriti, Santi e Peccatori insieme … sono come tutti: poco credibili.”
Siamo sempre là con i discorsi: sono sempre gli stessi, triti e ritriti, ormai vecchi di secoli.
Io però ho vissuto una bella esperienza in mezzo a loro, e per anni sono cresciuto con loro in tutti i sensi trovando nel Clero magagne e sporcizie, ma anche buona gente “candida”, Anime belle non solo a causa di titoli, e Uomini e Donne di Dio davvero brave persone, sensibili, intelligenti e acculturate con le quali sono stato bene.
E mi sono anche divertito non poco in quell’ambiente particolare provando emozioni a volte davvero straordinarie … Ripercorrerei, con qualche severa modifica ovviamente, quell’esperienza di vita che ho fatto … Non siamo quindi banali e troppo severi nei giudizi, e non buttiamo via, come si dice di solito: “il bambino con l’acqua sporca che lo contiene.”
Conservo piacevolissimi ricordi, che spesso e volentieri coincidono con occasioni in cui ho vissuto momenti davvero speciali saturi di autentica e vispissima goliardica allegria … Che risate ! … Certi collegiali hanno vissuto niente se messi a confronto con quanto ci è capitato di vivere a noi Seminaristi Venezianidegli anni settanta-ottanta del 1900.
Che c’entra tutto questo discorso con le tarsie degli armadi della Sacrestia di San Marco?
Seguitemi ancora un poco, e lo capirete.
Noi Seminaristi e Chiericici recavamo di frequente nella Basilica Marciana per “far servizio” durante le cerimonie col Patriarcanelle principali ricorrenze Calendariali. Il Rettore del Seminario allestiva ogni volta un vero e proprio turno di servizio con nomi e cognomi che esponeva su un’apposita bacheca … Si doveva andare: punto … E quindi si andava su e giù a piedi dal Seminario della Salutefino a San Marco compiendo il lungo giro attraverso il Ponte dell’Accademia… Sarebbe bastato prendere il traghetto: era un attimo … Ma vuoi mettere la bellezza di respirare aria libera attraversando ogni volta un bel pezzo di Venezia ! … Per noi giovani “reclusi” del Seminario era ogni volta una boccata di vita, e strada facendo ogni volta succedeva di tutto e di più … Anche l’impensabile, l’inverosimile e l’assurdo a volte per dei Chierici-Seminaristi.
C’era, ad esempio, uno dei Chierici più anziani, cioè uno dei più prossimi a diventare Prete, che si portava dietro fino a San Marco nella Notte di Pasqua delle borse piene di bottiglie di vetro, che poi regolarmente fracassava sui muri dei Palazzi Veneziani al ritorno, uscito dalle cerimonie nella Basilica di San Marco: “In segno di festa e allegria … perché era Pasqua.”ci spiegava, e: sbadabòm ! … e sbadabàm ! … fracassava tutto rumorosamente in giro spargendo cocci dappertutto e frantumando anche la quiete della silenziosa notte dei Veneziani … Non l’ho mai capito questo modo di festeggiare Pasqua.
Altra stranezza …
Sempre durante le stesse trasferte Salute-San Marco, un altro Chiericoin regolare abito da Prete entrava in certe chiesuole Veneziane, e si metteva a pestare e spegnere a mano aperta tutte le candele accese collocate sulle “rosticcerie” che si trovava davanti. Il tutto sotto gli occhi allibiti di alcune vecchiette che sostavano lì dentro a sproloquiare e passarsela … Considerava quel gesto una“rivalsa iconoclastica” e una “spedizione punitiva” contro quel mondo piccino delle donnette pseudodevote che s’assemblavano nelle chiese dopo la spesa solo per spettegolare su tutto e tutti … Un gioco stupido e dissacrante anche quello del Chierico in realtà, anche più stolto di quello delle vecchiette: ma vaglielo a spiegare ! … Era incontenibile, pareva quasi in trance in quei momenti … e le vecchiette vedendolo all’opera andavano letteralmente fuori di testa, quasi facevano l’infarto sulla panca nell’osservare quel giovane Pretino che si comportava così … Non capivano ovviamente quei suoi gesti … e a ragione … Per loro sembrava un matto mentecatto.
Provavano allora timidamente a replicare e reagire, ma si sentivano blaterare addosso, quasi assalire dal Chierico che gridava loro: “Maledette vecchiacce ! … Megere ! ... Finirete tutte all’inferno insieme alle vostre chiacchiere, le giaculatorie sgualcite, e le vostre inutili candelette !”
“Sacrilego ! … Ipocrita ! … Vergognoso !”rispondevamo le poverette sconcertate:“Andremo noi dal Patriarca a raccontargli tutto.”
Uscivamo noi, dissociandoci così da quel modo così assurdo e per niente divertente, eccessivamente goliardico … E’ andava così: storie anche queste da raccontare.
“Maledette ! … Streghe ! … Luride pùcie !”sentivamo ancora gridare il nostro“compagno Chierico” più che spiritato, o meglio: forse disinibito e spavaldamente divertito … Poi scompariva uscendo da una porta laterale della chiesola, e ce lo ritrovavamo più tardi nello stesso nostro Refettorio del Seminario: tranquillo, composto e indifferente ... Non era accaduto niente. Non se ne doveva parlare.
Fattacci ! … Visti con i miei occhi, e sentiti con i miei orecchi … Ormai tanti anni fa ... Che dirvi ? … Niente … Oggi quel exChierico è un rinomato Parroco Veneziano … Che gli prendeva quella volta ? … Boh ? ... Chissà ?
E dei poveri Gatti presi a calci dallo stesso Chierico scatenato lungo lo stesso itinerario fra la Salute e San Marco ?
E chi se lo dimentica !
Quando uscivamo da “chiuso” del Seminario spesso sembrava che si aprissero le gabbie, e che trovassero sfogo in alcuni di noi certi istinti repressi e trattenuti a stento dalle regole Seminariali … Alcuni diventavano incontrollabili … Irriconoscibili … Temibili ?
Mi chiedevo in quei frangenti: “Ma chi siamo ?”
Solo per il gusto di far dispetto agli animali miagolosi e cacciarosi che a volte disturbavano le nostri notti: sbadabàm ! … Pedatone ! … e il povero Gatto accovacciato tranquillo sul punte volava letteralmente via ! … Finchè un bel giorno al posto del classico e tipico gatto randagio Veneziano c’era, invece, accovacciato sul ponte un gatto “di casada”, di casa, con tanto di collarino … e soprattutto di padrona seduta in panchina a leggere proprio dietro l’angolo. Vi lascio immaginare la ovvia reazione della donna che si è vista volare via il Gatto colpito da quel perfido giovanotto vestito da Prete: “Maledetto gatto !”gridò lui a due passi da lei.
“Maledetto sarà lei ! Bastardo ! … Altro che San Francesco !” gli inveì contro la donna … e vi tralascio il resto che aggiunse, insieme alla minaccia di denuncia che non so se alla fine portò a compimento.
Poi si arrivava, infine, a Piazza San Marco dopo aver attraversato per l’ennesima volta in successione i bei Campi Veneziani di San Gregorio, San Vio, San Vidal, Santo Stefano, San Maurizio, Santa Maria del Giglio e San Moisè, e dopo esserci immersi nella folla eterogenea dei Veneziani e dei turisti ... In San Marco cambiava “la musica” perchè entravamo in un altro microcosmo particolarissimo e dalle atmosfere suggestive forti che era praticamente solo nostro … Lì dentro oltre all’avvicendarsi macchinoso e misterico delle grandi Liturgie Patriarcali, vivevano a tu per tu con diverse figure sacerdotali, soprattutto con quelle pittoresche dei Canonici di San Marcocon i quali dovevamo per forza consociarci per realizzare le Cerimonie in Basilica.
Fu inevitabile che diventassero gli obiettivi dei nostri lazzi, scherzi, e canzonature goliardiche … e fonte inesauribile di infinite risate: di quelle da farti venire mal di pancia alla mandibola e le lacrime agli occhi a suon di ridere ... Che volete ? … Si: c’erano le Liturgie, la Spiritualità, i Fedeli e tutto il resto … Ma c’eravamo anche noi: giovanissimi e acerbi, parecchio inconsapevoli, e con una grande voglia di vivere e divertirci semmai alle spalle di chi capitava.
“Procedamus … Si svegli Monsignore.”gli diceva tirandogli delicatamente la manica, quasi pigolando sottovoce uno fra i più servizievoli Custodi della Basilica:“E’ l’ora di andare in scena con la Messa.”L’altro attempatissimo e tutto bardato già da tempo con i paramenti“da Messa” si riscuoteva uscendo incerto dal suo mondo tutto onirico ... Dove si trovava ? … Chi era quello che lo stava scuotendo ? … Poi dopo qualche istante si riaveva e si ricomponeva ritrovando se stesso e la sua consueta verve. Quindi di rimando rispondeva.
Ogni giorno era uguale, capitava sempre così: il Canonico s’appisolava appoggiato sopra ai Banconi intarsiati della Sacrestia… quelli di cui vi vorrei parlarvi …e rimaneva lì assopito finchè il provvido Sacrestanosi avvicina gentilmente a riscuoterlo:“Vogliamo andare Monsignore ?” continuava a dirgli dolcemente il Custode stavolta prendendo il Monsignore a braccetto per il braccio tutto ricoperto da bei merletti di Burano: “ i suoi fedeli la stanno attendendo con ansia sull’Altare Monsignore … Procedamus ?”… e finalmente il Canonico si metteva in moto, e s’avviavano nel Presbiterio della Basilica mentre l’orologio della Sacrestia scandiva ore senza Tempo.
“Oh ? … Ah Si ! … Eccoci … Procediamo caro … Si … Si … Procedamus.”
Ogni giorno: stessa storia, stessa scena, e l’anziano Canonico tutto bardato ripeteva “al non so chi”di turno le stesse parole di scusa:“E’ la sacra pisolàda che mi ha preso di nuovo … Così come mi prende spesso dentro al Confessionale della Basilica … Se non passa qualche raro turista penitente a confessarsi: sono dolori … Non c’è testo di Teologia avvincente, Santo Rosario da recitare, o meditazione che riescano a tenermi sveglio … Se non passate voi a svegliarmi rimango lì a dormire per tutta la notte anche quando avranno chiuso la Basilica … E’ capitato una volta ... Erano tutti in giro a cercarmi preoccupati, ed io ero là intento a pisolare.”
“Brutta cosa la Dormia … Monsignore.”
“Brutta cosa si … Brutta ròba: deventàr vèci caro … Non diventarlo !”
“Certo Monsignore … Certo … Procedamus Monsignore … che si è fatto tardi … Dopo parleremo ancora.”
“Certo caro … Procedamus in pace.”
“Amen … Monsignore … Amen e così sia … Dica la sua Messetta adesso … in pace.”
Erano davvero gentili certi Custodi nell’accompagnare quei vecchi Preti un po’ spiaggiati.
Intuite allora perché quegli stessi Canonici, sempre loro, divennero gli obiettivi della nostra scanzonata fantasia goliardica ... Erano come dei fragili nonnetti per noi … Quella Sacrestia e Basilica di San Marcola interpretavamo a tratti come un’insolita casa di riposo per Preti attempati … Anziani Preti con cui provare a divertirci … Fu il mio amico Paoloper primo a partorire l’innocente idea del “Trenino dei Canonici”vedendo quella schiera lenta di vecchi pomposi e bardati sfilarci davanti durante la solennissima Processione delle Sante Reliquie di non ricordo più quale Venerdì Santo… Quella prima volta scoppiammo tutti a soffocate risate a quella sua battuta:“Questi Monsignoroni che sfilano sembrano proprio un trenino curioso e divertente di capodanno.”… Quell’immagine indovinatissima divenne una specie di mantra, un tormentone che tornò e ritornò fra noi per anni e anni facendoci divertire senza fine.
Ciascuno Canonicoda quellafatidica Processione divenne una macchietta, e si beccò di volta in volta una personalissima razione di canzonatura quasi comica senza fine … Divenne divertente per noi recarci a San Marco… Un povero Canonico affetto da Morbo di Parkinson, ad esempio, lo paragonammo a un composto autista di Roll Royce. Lo vedevamo impettito e con le mani strette a guidare la sua auto d’epoca … Era il morbo a tenergli le mani così parallele e ferme davanti al petto, e a fargli fare quel gesto di contar monete con le mani … Niente da fare: per noi era diventato:“Monsignor Autista”.
Passandogli accanto gli dicevamo sottovoce: “Taxi ?”… e lui ignaro: bassotto, minuto e piccolino, ci osservava senza capire, e continuava “a guidare”secondo noi se stesso e soprattutto la Comitiva del Trenino dei Canonici… e noi scoppiavamo tutti a ridere a crepapelle:“Gli manca solo il fischietto e la paletta” diceva Paolo: “Sarebbe un capotreno perfetto”... e giù a sghignazzare mentre si dipanava la noiosa quanto eterna ennesima Cerimonia Marciana: “Ehi ! ... Voi imberbi Chierici !” ci richiamava all’ordine uno dei Canonici dall’altare: “Smettetela di trasformare questa Sacra Ara in luogo ludico dei vostri sollazzi … Contegno signori ! … Contegno ! … Non si è pagliacci nella Casa di Dio !“ e le nostre teste si abbassavano immediatamente, e ci toccava morderci le labbra.
Ridevo anch’io divertito con gli altri di “Monsignor Autista col suo insolito taxi”, anche se ero a conoscenza di altro che riguardava quell’uomo anziano obiettivo dei nostri scherni seminnocenti … Quell’uomo-Prete era stato il migliore amico, l’amico per la pelle, del mio vecchio Piovan Don Marco Polo di Burano: un punto in più di stima a suo favore quindi ... Di lui inoltre avevo letto alcune parole scritte di suo pugno su un suo Diarioquand’era ViceParroco della Parrocchia-Contrada dell’Anzolo Raffael a Dorsoduro... Vi confesso che mi sono commosso leggendole e immaginandomi quell’uomo. Erano in tempo di guerra: “Stanotte sono solo in chiesa … non c’è nessuno … Stanno bombardando Venezia, e tutto è vuoto e deserto: non c’è nessuno … La gente è corsa nei rifugi antiaerei … e io sono qua: solo davanti a Dio in questa chiesa vuota … vuota come il nostro Animo di uomini impavidi ma anche assurdi che giocano alla guerra con la vita di tante persone ignare e di tanta nostra gioventù ... Che Dio, se ci ascolta ancora: abbia pietà di noi tutti.”
Bellissimo !
Mentre sghignazzavamo di fronte a quel vecchio Prete “simile a pupazzo a molla che guidava il taxi dei Canonici”, non riuscivo ad allontanare dalla mia mente il fatto che lui era stato anche capace di scrivere quelle parole vivendo quei singolari momenti ... Mi passava la voglia di ridere … e ammiravo quell’uomo ormai fin troppo anziano.
“Ordine ! … Ordine ! … Ordine in questa Processione e in questa Basilica” non smetteva di ripetere, e gridava di continuo un altro di quei Canonici consumati … Era un nostalgico, uno che a suo tempo era stato noto per la sua attività da fascistone incallito …Pur essendo stato un Prete a tutti gli effetti, era sempre stato dedito“anima e cuore” come e più di tanti altri Preti alla causa e all’ideologia del Fascio e di Mussolini, ed essendo per di più di abbiente famiglia Veneziana, aveva anche doti economiche che profondeva per quello stesso ideale:“Insomma: tutti a posto qui dentro ! … O vi faremo vedere noi come si fa ! … Vi metteremo a posto noi ! … Ordine ! Disciplina ci vuole.”
E noi divertiti gli scattavamo davanti in attenti quando ci passava accanto, e più di qualche volta gli alzavamo il braccio nel tipico “saluto fascista”, al quale lui non mancava di rispondere sornione quasi leone spelacchiato alzando il suo dicendoci: “Riposo soldati … Riposo … Sempre duri bùrbe ! … che l’Impero ha bisogno di noi ... Qui fra poco ci sarà da fare un subbuglio !”… e noi giù di nuovo a ridere di quel ennesimo “vagone strampalato” del“Trenino dei Canonici” che non smetteva di transitarci ogni volta davanti: “Padova ! … Si cambia … Avanti il prossimo vagone.”mormorava Paolo sottovoce al passaggio del vetusto Monsignore che quasi transitava col “passo dell’oca”.
E infatti poco dopo ci passava davanti un altro“vagoncino dei Preti Canonici”: un altro Piovan Quiescente piazzato stavolta “per meriti”nella Canonica di San Marco… Al vederlo sembrava un personaggio scappato da un fantasioso fumetto ... Pareva uno gnomo, un mezzo folletto salterino e spiritato, col baschetto storto sempre calcato in testa …Portava sempre una tonaca fin troppo corta, sdrucita, lisa, consunta e sbiadita, dalla quale spuntavano di sotto due gambette smunte coperte da calzini giallastri un tempo candidi … come i suoi denti … Sfoderava di continuo un gridolino sorridente un po’ da Faina: hi h hi … hi hi hi … e salutava di continuo tutti con la manina:“ciài ciài … ciài ciài.” diceva, confondendoci e scambiandoci puntualmente, dieci volte su dieci, con qualcun altro che aveva in mente: “Ciao Rocco ...come va ?”
“Non sono Rocco Monsignore.”
“Ah ? … Non sei Rocco … Sei Danilo allora … Come stai Danilo ?”
“Neanche Danilo Monsignore … Ma non importa: sto bene lo stesso.”
Sorrideva con i suoi dentini aguzzi giallastri, sembrava sempre pronto a compiere qualcosa, guizzare via all’improvviso per eseguire chissà quale altra trovata e furbata … forse … In realtà era stato un buon uomo: una persona schietta, umile e schiva da ogni solennità e vanteria … Di lui sapevo una cosa bellissima: per anni e anni, soprattutto durante le due guerre mondiali che aveva vissuto entrambe da Prete-Piovano, s’era prodigato di notte per i Veneziani poveri della sua zona-parrocchia-contrada portando loro personalmente in spalla: materassi, biancheria, e cibo … e soprattutto conforto, e qualche spicciolo per vivere.Era stato conosciutissimo, stimato e amato nella sua Contrada perché girava di notte con un gran pentolone di pasta e fagioli o minestrone che andava personalmente a mestolare sul piatto di chi ce l’aveva vuoto ... Poi si sa com’è la memoria delle persone: è breve … Passato il bisogno … passato tutto, e quindi certi gesti finivano come retaggio di un passato che di anno in anno diventava sempre più lontano e sbiadito.
Ridevamo di quella macchietta d’uomo così: un po’ fantasy … ma l’ammiravamo per quel che aveva fatto in gioventù. Ci sarebbe piaciuto assomigliargli almeno un poco ... Ma chissà che cosa la vita avrebbe riservato a noi, oltre che a lui ?
C’era poi un altro “vagoncino”di quel fatidico ideale “Trenino dei Canonici”. Stavolta si trattava di un uomo dal portamento sempre fiero, cerimoniale, liturgico-solenne anche se ormai era pensionato nella mentalità oltre che per gli anni. Perennemente brillantinato in testa a tenere gli ultimi ciuffi di capelli rimasti incollati di traverso, era stato ed era un uomo di cultura: ironicissimo, sagace, flemmatico di carattere, un po’ “all’Inglese”come stile … Parlando latineggiava di continuo, e non mancava mai di canzonare un po’ tutti, colleghi Canonici compresi, per qualsiasi cosa non gli fosse andata a genio:“Pullus ! Recta crux ! … e che siamo ? … In aperta campagna ?” gridò un giorno da una parte all’altra della Basilica gremita di fedeli durante una solenne cerimonia. Un mio compagno “aveva peccato” di portare la Croce Processionale storta e troppo piegata in avanti.Era una Croce pesante e ingombrante da portare, e il mio compagno faticava a trasportarla ingombrato dalle“gonne liturgiche”… faceva di cognome: Gallina, per cui fu breve il passo del Canonico fino al corrispettivo latino di Pullus… e ci sbellicammo live dalle risate ovviamente … Altro che austera e composta Processione nella basilica Marciana ! … Terminato il Solenne Rito, il nostro compagno non mancò di reagire infastidito e impermalosito rispondendo ironico al Canonico. Quello di rimando rincarò ulteriormente la dose a sua volta:“Pullus ! … Non alzare la cresta con me ! … Meriteresti un baculus in testa per l’irriverenza che mi dimostri.”
Non sarebbe più finita … Meglio lasciar perdere … E questa è stata un’altra.
Altri “vagoncini semoventi”del nostro fantasioso“Trenino dei Canonici”era uno dei Cappellani Corali … Si trattava spesso di Preti senza storia finiti là per “contentino”, o per motivi di salute, o alla fine a volte precoce di carriere sacerdotali non troppo brillanti … Insomma venivano piazzati là un po’ “in conserva”… Un po’ perché non si sapeva dove collocarli, e un po’ perché non si sapeva più come utilizzarli: ufficiali o impiegati di Curia forse ? … o anche no.
Più di qualche volta costoro venivano addirittura vilipesi e umiliati dagli aitanti e pomposi Canonici Titolari dall’alto della loro posizione superiore … Quei umili Preti Coralifu giocoforza che diventassero i nostri preferiti. Ci rivolgevano loro provando a sollecitarli e solidarizzando con la loro depressa situazione:“Sei inutile !“ disse un giorno un Monsignorone a uno di loro: “Non vali niente: né come Uomo, né come Prete … Ti xè un bauco … Descantite !” … Pesantino … e quelli subivano in silenzio, senza replicare mai. Sembravano un muro del pianto senza lacrime ... Opprimente vivere ogni giorno così, anche se sembravano sereni e dignitosi dentro alla loro situazione.
“Spostite tònto ! … Lasciami il pàsso sempliciotto !” sbottò ancora un altro giorno ancora lo stesso Canonico verso uno dei Cappellani Corali reo di non essersi scostato per tempo lasciandogli spazio al suo passaggio.
“Meglio sempliciotto che rincoglionito come lei.”sbottò fuori una voce da dietro l’assiepamento deiSeminaristi in Sacrestia... Non vi dirò di chi fu … E il Canonico venne subissato dalle risate di tutti perdendo in un attimo dieci gradini di sontuosità e prestigio, e forse anche dieci anni di vita per lo smacco. Il Cappellano Coralenon rise ma scosse la testa, e mormorò: “Questa me la farà pagare e pesare a lungo … Mi serviranno anni adesso per sopportarlo.”
Anche questo è accaduto nella Basilica di San Marco.
E ancora il“Trenino dei Canonici”: insieme di“Grandiuomini”in disarmo con oneri e onori, portava“altri passeggeri”… “Zompa de qua … Zompa de là … Sembra un pendolo, un cucù che porta a spasso Sante Reliquie” diceva ancora il solito Paolo … e noi giù a ridere di nuovo vedendo sfilare davanti a noi quell’uomo che zoppicava vistosamente a destra e sinistra per via delle sue anche malandate e sbilenche.“Zompa de qua … Zompa di là ... Il treno va !”canticchiava Paolo, e il Canonico ci passava davanti esausto per la fatica di portare legata al collo una Reliquia ingombrante e pesantissima. Il piviale troppo grande che indossava strascicava su pavimento una volta a destra e una volta a sinistra, e c’era un altro solerte Custode che inseguiva il Monsignore che pendeva più della Torre di Pisa, e minacciava rovinose cadute ad ogni istante … e spesso, infatti, accadeva che cadesse rovinosamente a terra:“La Reliquia mi raccomando Monsignore … La Santa Reliquia … Non la fracassi.”
“Anche quello è stato un numero, un grand’uomo … Pluridecorato … La Vita poi non fa sconti a nessuno: passa per tutti.”
C’era sempre da riflettere oltre che a ridere frequentando gli ambienti Marciani.
“Che botta ragazzi !” ci raccontò un’altra volta un altro “Canonico del Trenino”: “Ho colto la famosa pietra d’inciampo … Anzi: il tappeto d’inciampo dell’altare.” Aveva il volto vistosamente mascherato, medicato e fasciato, e l’occhio del tutto contornato da un segno di tonalità scure e sfumate: “Non ho visto il cordone del tappeto, sono inciampato … e patapàm ! .. Che botta ragazzi ! … ho visto tutti i Santi e le Madonne del Cielo ... Da oggi sarà costretto ad usare il bastone per accompagnarmi.”
“Un altro vagone è deragliato.”commentò puntualmente Paolo … e giù tutti ancora una volta a ridere per l’ennesima volta, mentre il Canonico inconsapevole del perché del nostro ridere ci minacciava bonario col bastone a pomello argentato agitandolo in aria: “Vi picchio discoli ? … vi state forse beando di me ?”
“Ma scherza Monsignore ? … Ci mancherebbe altro ! … Non ci permetteremmo mai.”
Un altro “Reverendissimo Vagoncino” venne un giorno progressivamente a perdere la testa. Ripeteva di continuo, infatti: “La testa … La testa … La mia Povera testa ! … mia figlia … cioè me nèssa, no: mia nuora … La testa … La testa.”… e c’era ovviamente uno dei custodi che lo accompagnava a braccetto di continuo amorevolmente … Se lo meritava: era stato anche lui a suo tempo un buon Prete.
A un altro “vagoncinoCanonico”ancora: appioppammo il nomignolo di“Gufo triste” ... Fu mia l’idea: lo ammetto … Lo facemmo un po’ per la sua fisionomia a cavallo fra Stanlio e Olio e Totò, e un po’ per il fatto che aveva due occhioni acquosi che spalancava e chiudevano di continuo … Pareva una di quelle bambole di una volta, che quando le muovevi alzavano e abbassavano le palpebre contornate da pesanti ciglia scura sopra degli occhi immobili vitrei … Da sopra il suo possente pancione da incallito e risaputo buongustaio non sorrideva mai … Con gli anni era diventato inespressivo … Sempre presentissimo ad ogni cerimonia: immancabile, inossidabile, preciso se ne stava sempre puntualissimo al suo posto a far numero e presenza, ma era come se non ci fosse: pareva muto, incapace quasi di proferire neanche una parola. Paolo era categorico nel “dipingergo”: “Questo per farlo parlare bisogna togliergli le parole di bocca con una tenaglia: “Buongiorno Monsignore !”
“Buongiorno.”rispondeva l’altro laconico … e tutto il suo dire terminava là … e rimaneva fermo immobile a osservarci in attesa di chissà quale nuova indicazione da seguire: “Vedi: questo è il classico vagone che si aggrega” mi precisava Paolo: “Se tutti vanno di qua: lui va di qua … Se spingi tutti ad andare di là: lui va di là docile come una pecorella ... E’ il top per la locomotiva del Trenino dei Canonici.”
Il giorno in cui lo vedemmo attendere qualcuno immobile senza sapere proprio dove andare, Paolo precisò si nuovo:“Vagone vuoto … sganciato … senza passeggeri, in sosta o in completo disarmo.” Ovviamente ci fu da ridere ancora.
Ci sarebbe stati poi “Il mangialingua”: un Prete ancora sveglio, abbastanza arzillo e arguto, che per un guasto neurologico si masticava di continuo la lingua quasi comico a vedersi ... Povero: non doveva esser un bel vivere per lui vedersi così … Ma per noi era “Monsignor gomma”, perché pareva avesse sempre in bocca un chewing gum mai finito di masticare … Dovevamo stare sempre molto attenti con lui, non amava molto scherzare … e poi era sveglio e furbo. Se si accorgeva che lo canzonavamo quello sarebbe stato capace ci farci la festa con i nostri Superiori … Era stato lui a far costruire l’ultima chiesa edificata a Venezia: la Chiesa del Cristo Re nel Sestiere di Castello, ed aveva fama d’essere un economo oculato, oltre che un fervido carattere spirituale ... Non so.
Basta … mi fermo col“Trenino dei Canonici” ... anche se di “vagoni”ce ne sarebbero stati ancpra altri da descrivere … Vi sto portando troppo altrove e fuori tema, perciò torniamo di nuovo alle nostre curiose tarsie di San Marco.
E’ stato proprio uno di quegli anziani Monsignori consumati dagli anni di pastoralità ormai esaurita, un altro del “Trenino dei Canonici”ad attirare una volta in maniera insolita la mia attenzione. In un cupo e freddo giorno invernale qualsiasi, sono entrato nella Sacrestia di San Marco per consegnare un plico datomi dal Rettore del Seminario, e lì ho visto un Canonico solo soletto piegato in un angolo, mezzo scollacciato, e con un vecchio lanternino in mano intento a osservare, quasi “rasopavimento”i dettagli di qualcosa che pareva interessarlo particolarmente.
“Ma che fa ? … Che sta guardando ?”mi sono chiesto … L’ho avvicinato allora, e vedendo e ascoltandolo mi si è schiuso un piccolo mondo di Bellezza, e ho visto per davvero quanto avevo intravisto tante altre volte, ma senza capirlo e apprezzarlo sul serio … Quel manufatto splendido era come se non fosse mai esistito per me … Ed ora, invece: era là davanti ai miei occhi … Bellezza allo stato puro: un capolavoro splendido da non dimenticare mai più ... Dovreste vederlo come me quel giorno per comprendere quanto vi sto dicendo.
E’ spesso così nella vita: il Bello più di qualche volta è nascosto, ed è nascosto anche più che bene tanto che proprio non lo vedi pur avendolo davanti agli occhi … Anche con le persone a volte è così. … Fin troppo spesso abbiamo gli occhi foderati di prosciutto: siamo ciechi ... Poi per fortuna qualche volta ci riesce d’aprirli, e allora“vediamo” e viviamo effimere briciole di genuina e rara felicità …. Pensate che dentro a quel chiesone di San Marco ho vissuto per anni appiccicato a due personaggi come Albino Luciani e Marco Ce dai quali ho assorbito come una spugna … Grandi uomini! … Grandi esperienze ed indimenticabili emozioni.
Alla fine degli anni ottanta del 1400 quando prima Pietro Casola e Felice Fabbri, e poi il Nobile Milanese Girolamo Castiglione, il Cavaliere Tedesco Konrand Grueemberg e il Pellegrino Francese Georges de Lengherand autore del “Libro di viaggio in Terra Santa”(alloggiò presso il Canonico di San Marco Joannes Evrard) s’imbarcarono a Venezia per la Terrasanta, si avviarono ulteriori lavori d’ampliamento della Basilica Marciana ... Nei dintorni della Basilica che aveva subito l’ennesimo incendio bruciando la parte anteriore del tetto nel 1419, risiedevano stabilmente ad abitare più di 700 Veneziani ... Su espressa richiesta del Doge, a più riprese intervennero ad abbellire la Basilica i Mastri Toscani Nicolò e Pietro Lambertiinsieme forse a Jacopo della Quercia e Paolo Uccellodocumentato presente a Venezia sicuramente nel 1425 … A metà del 1400 si ricoprì di mosaici anche la Cappella dei Mascoli: e la Basilica d’Oro Marciana alla fine è stata ricoperta da più di un chilometro quadrato di mosaici in foglia d’oro… Nel 1486 il Proto Giorgio Spavento fece, inoltre, costruire la Sacrestia a fianco dell’abside della Basilica Dogale riattando e incorporando anche la vicina chiesetta di San Teodoro usata dall’Inquisizione Veneziana. Per abbellire e arredare la Sacrestia si prodigarono in successione artisti illustri … anzi: i più celebri del panorama artistico di quel secolo. I mosaici di tipo ormai pittorico-narrativo che ricoprirono la volta e le lunette del soffitto vennero realizzati fra 1524 e 1530, forse su cartoni e progetti di Tiziano, da Alberto Zio, Marco Luciano Rizzo e Francesco Zuccato i Mastri Mosaicisti da tempo all’opera nella Basilica dei Dogi Veneziani.
Infine nel 1489 Fra Urbano da Venezia collocò sopra nelle cantorie lo stupendo Organo di Sinistra, cioè il “primo organo”, con sette ordini di canne e sette mantici con cassa intagliata da Alvise Bianco: opera subito emulatissima in tutta Venezia ... L’anno seguente il Cremonese Francesco Tacconi dipinse le portelle che ricoprivano lo stesso organo con una “Natività del Signore” e un’”Adorazione dei Magi”all’esterno, e con una “Ressurrezione” e un’ “Ascensione”conservati in Basilica ancora oggi. In quegli stessi anni: Bartolomeo de Batista de Vilmnis e Francesco Dana erano rispettivamente il primo e il secondo organista di San Marco, e Pietro de Fossis era Maestro della Cappella Marciana … Dovete sapere che in cima agli aerei Matronei Marciani sono collocati ben quattro organi musicali... Nel 1501 Girolamo Barbarigo divenne Primicerio di San Marco: una specie di Vescovo Privato del Doge, succedendo a Pietro Dandolo che aveva fatto carriera diventando Vescovo di Vicenza…e la storia della Basilica continuò per secoli insieme a quella di Venezia Serenissima.
Fu proprio in quella stagione di riordino e ampliamento della Sacrestia di San Marcodel 1486, che si decise anche di associare allo splendore dei Mosaici quello altrettanto coinvolgente e spettacolare degli arredi lignei decorati a tarsie intagliate “di legno bollito”.
A chi commissionò il Doge il compito di decorare gli armadi della Sacrestia ?
Scelsero: Antonio e Paolo della Mola, fratelli e Mastri Lignari di notevole fama provenienti da Mantova dove da almeno tre generazioni lavoravano e intarsiavano il legno e scolpivano pietra. Come referenza avevano lavorato a Carpi, e nella splendida Certosa di Paviadove erano finiti col litigare con Monaci, Avvocati e Notai per via di pagamenti di notevoli cifre che avevano richiesto a saldo. Gli Intarsiatori arrivarono quindi in Laguna tra 1496 e 1500, andando a decorare prima gli arredi lignei nel Convento dei Frati Domenicani Predicatori e Inquisitori dei Santi Giovanni e Paolo: San Zanipolo… Quindi approdarono non oltre il 1502, con le loro suggestive vedute lignee urbane nella Basilica Dogale di San Marco… e completarono l’opera andando a scolpire qualche scultura in marmo per il Doge dentro a Palazzo Ducale.
Infine i due Della Mola se ne tornarono a Mantova a lavorare con lo stesso stile e abilità per lo Studiolo di Isabella D’Este nel Castello Ducale di Mantovae poi alla Corte Vecchia insieme ad artisti del calibro di Andrea Mantegna, Lorenzo Costa, Antonio Allegri cioè il Correggio e Andrea Perugino ... L'arte della tarsia era praticata soprattutto dai Tedeschi quasi in continuità con la vecchia idea decorativa del Mosaico musivo e pavimentale, e dei lavori realizzati ad incastro in Pietradura. A Venezia quella particolare specialità artistica in stile un po’ goticheggiante era ben conosciuta ed apprezzata. Ne furono abili interpreti: Lorenzo Canozi o Canozio Genesini o Zanesini da Lendinara e suo fratello Cristoforoche lavorarono in continuo contatto e interscambio artisticocon Piero della Francesca. Per intenderci: oltre a lavorare molto a Ferrara, Este, Reggio Emilia, Parma e al Santo di Padova, i Canozi realizzarono i dossali lignei della Sacrestia dei Frari a Venezia.
Che scolpirono e intarsiarono o Della Mola nelle 21 tarsie degli armadi della Sacrestia di San Marco aiutati dal Frate Olivetano Vincenzo da Verona e da Fra Piero dei Gesuati da Padova ?
Ovvio: intarsiarono ben nove tarsie dedicate alle Storie di San Marco e del Mito di Venezia, non poteva essere che quello il tema di riferimento dentro alla Basilica Marciana dei Dogi.
IlMito e la Storia di San Marcoa Venezia: bell’argomento … In quanti lo conosciamo a sufficienza ? … Mah ? … Non so … Forse farebbe bene a certi nostalgici Patrioti Veneziani e Veneti oltre a sbandierare gonfaloni colorati al vento, conoscere anche un po’ di Storia Veneziana che non sia solo ed esclusivamente guerrafondaia e di grandi atti eroici o presunti tali … L’identità di Venezia è stata ben di più ... e di questo forse non siamo molto consapevoli e forse sufficientemente informati.
Tornando alle tarsie degli armadi della Sacrestia, si può ammirare la scena lignea di: “Sant’Aniano tradizionale amico-compagno di San Marco e Patrono dei Caleghèri Veneziani”… “La Leggenda-Mito della guarigione di Aniano Calzolaio ad Alessandria con la sua conversione-Battesimo”… E poi il Ciclo di San Marco con la classica fase Leggendaria della Traslatio del Corpo furtato ad Alessandria d’Egitto, e poi “L’arrivo a Venezia dove si edificò la Costruzione della prima Basilica Dogale Marciana” dove “Un Muratore genuflesso si presentava con la cazzuola in mano e un Proto aveva il progetto della Basilica”… Poi accadde: “La successiva “Inventio” del Corpo del Santo Protettore” con la sua successiva “Apparizione” seguita dal fiume dei miracoli secondo la più genuina e classica delle tradizioni Santeresche: “San Marco che libera dal Carcere Mantovano un Pugliese”… “San Marco che ridà vita a un Marangòn-Carpentier caduto giù dal Campanile della Basilica Marciana”… “Un Marinaio Indemoniato guarisce alla vista del Santo Corpo di Marco”… e “Un Cavaliere Lombardo s’impegna a servire San Marco”.
Bellissimo l’insieme delle tarsie perché colloca le Storie Marciane in una Venezia davvero Venezia: uno scenario ligneo gentilissimo tutto composto da palazzi, calli, ponti, campanili e callette ... Una location davvero indovinata dagli artisti, che poi si sono sbizzarriti nel realizzare tutto l’arredo liturgico nelle parti basse del mobilio della Sacrestia.
Chi mastica un po’ di Liturgia e di “cose da Preti” potrà ben notare che non manca nulla del corredo liturgico di cui doveva essere ben fornita ogni chiesa o monastero di riguardo. La lista sarebbe lunga: Turiboli e navicella per l’incenso, Calici, Pissidi, Patène e Ampolline in vetro da Messa, e poi ancora: candele e Cantorali, Messali, Libri d’Ore, Breviari e Antifonari … e ancora: fiori, brocche e secchielli, clessidre e orologi, campane, sistri e campanelle, Reliquiari, Crocifissi, candelabri, e un organetto, e viole, violini e violoni, e frutta… e chi più ne ha più ne metta … Un capolavoro comunque da ammirare e godere sul quale meriteremmo di poter posare gli occhi un po’ di più da buoni Veneziani … Sarà mai possibile prima o poi ?
Giorni fa ho scostato per entrare in una chiesa Veneziana la vecchia tenda incartapecorita che sapeva di salsedine e umidità che copriva la porta. Dal dentro del suo gabbiotto mi ha osservato un po’ bieca la “guardiana”scrutando attentamente il documento che le ho mostrato: “Residente eh ? … Allora gratuito.” ha aggiunto regalandomi una smorfia quasi disgustata: “Se tutti facessero come lei di poter entrare gratis dappertutto: dovremmo chiudere bottega.”
“Già … bottega …” ho mormorato sorpreso e senza replicare, e sono entrato dentro avviandomi per il mio giretto di visita.
“Alt ! … Fermo ! … Non si può !”mi sono sentito urlare subito dopo.
“Che c’è ? … Che è ? … Che ho fatto ?”
Mi sono guardato attorno cercando di capire se per caso avevo calpestato qualcosa di prezioso, o superato un limite inavvertitamente.
“Non si può assolutamente fotografare qui dentro … Questo c’è.”
Perentoria e irremovibile la solerte dipendente-volontaria è scattata fuori ciabattando dal gabbiotto quasi inciampando sulla sua ombra. Traballando mi ha bloccato correndomi incontro e frapponendo la mano al mio cellulare.
“Ma neanche una foto ricordo ?”
“Assolutamente no ! … Proibitissimo ... Neanche una.”
“Non capisco … Ormai si entra ovunque, a volte anche gratuitamente … Oppure si paga, si vede, si fotografa, si compra il gadget o il materiale … C’è la spiegazione, l’audioguida o la visita guidata … Tutto tranquillamente, basta non disturbare e rovinare … senza tante ossessioni di guadagno … Qui da noi: non c’è nulla, e non si può far niente ... Bisogna solo pagare ... Oppure è tutto chiuso e sigillato in saecula saeculorum amen.”
“Sono disposizioni superiori … E poi? … Se tutti fotografassero liberamente come lei, chi comprerebbe le guide e le cartoline ?” ha provato a spiegarmi ancora “la solerte”.
“Ma dove sono queste guide-cartoline ? … Pur volendo comprarle non le avete neanche a disposizione ... Non c’è un video, né dei cartelli esplicativi … nulla.”
“Non ci sono, ma potrebbero esserci in futuro … Se tutti non entrassero qui dentro come fa lei non pagando nulla e pretendendo tutto gratis … Chissà ? … Magari si potrebbe anche diventare un piccolo museo ben fatto ... Come si dovrebbe, e come lei vorrebbe.”
“Sono d’accordo … Ma voi che offrite a chi vi paga ? … Per illuminare un quadro pallidamente per uno scarno minuto bisogna pagare ulteriormente a parte … Se serve un wc: le chiese non hanno wc … Non si può far pipì, non deve scappare mai quando si è in una chiesa … Chi ne pagherebbe poi la pulizia ? … Non c’è un defibrillatore se sto male … Se mi serve un bicchiere d’acqua ? … Non c’è … Non si può: in chiesa c’è solo Acqua Santa, e ultimamente neanche quella … E poi ci sarebbero da pagare almeno “simbolicamente” pure i custodi ?”
“No … Siamo volontari … non dipendenti: non serve pagarci.”
“Già … me l’aspettavo come risposta … Volontari del tutto ? … Pagati in nero forse ? … Assicurati almeno ?”
“Sono cose private … La chiesa non è mica sua.”
“E’ infatti questo il punto … Quante fisime per niente ! … Tutte queste cose belle, questa chiesa intera in fondo sarebbe nostra: dei Veneziani, realizzata quasi del tutto con le offerte dei Veneziani di ieri … Perché precluderla a quelli di oggi ?”
Fatalità in quel momento è passato l’indaffaratissimo “Don” della chiesa: come va, come non va ? … poi: “Scusa Don ? … Ma quante storie per visitare un poco liberamente … Tutto proibito ? … Perché tutto così in lockdown più che col virus ? … Perché non si apre un po’ di più a turisti e Veneziani senza tante complicazioni inutili ?”
“Liberamente ? … E chi pagherà ? … Se qualcuno mi coprirà le spese per la riparazione del tetto e la rimessa in sicurezza, forse si potrebbe fare ? … E poi ci sono altre spese infinite: l’assicurazione, la guardiania, l’illuminazione, il riscaldamento, le pulizie, l’acqua alta, la manutenzione e tutto il resto ... Servirebbe un capitale senza fine … Non ce lo possiamo permettere.”
“Capisco: storicamente poveri … E far pagare un biglietto più congruo a tutti ? ... magari dando in cambio qualcosa ? … Qualche servizio, ad esempio.”
“Un biglietto più grosso ? … e quante tasse mi toccherebbe pagare allo Stato per ogni biglietto ? … Che ci guadagnerò alla fine dopo tanto impegno ? … Perché dovrà pur esserci un qualche ritorno se c’investo del mio … No ?”
“Già … Un “ritorno se ci investe del suo”… Tutto suo, non di tutti … E’ accaduto qui a Venezia che per anni qualcuno ha riciclato all’infinito lo steso costoso biglietto d’entrata ritirandolo all’ignaro turista con la scusa di controllarlo, e rifilandolo al turista seguente … Dieci, venti, cento turisti con un unico biglietto dichiarato … E la differenza che fine faceva ? … Manutenzione e servizi ? … E’ la lotta storica fra povertà e Avarizia che attanaglia da sempre Clero e dintorni … Non era un Peccato una volta ? Uno dei Vizi Capitali, se non ricordo male ? … O non lo è più ?”
“Beh … Sono cose grosse … più grandi di noi e delle nostre strette finanze … Poi non è così semplice decidere su certe cose, dovresti saperlo … C’è la burocrazia, e i Superiori, e le competenze … Adesso però devo proprio andare … Ogni bene ! … Buona visita.”
Sorrido perplesso riprendendo a godermi la visita della bella chiesa Veneziana: un bijoux di Bellezza … e mi riemerge nel pensiero un vecchio ricordo di un accorato Monsignor-Rettore Veneziano di ormai tanti anni fa: “Le chiese e le Basiliche sono Casa di Dio … Non sono luoghi d’Arte e Musica per turisti … Preferisco che mi crolli mille volte la cupola in testa piuttosto che darla in pasto a sponsor e visitatori profani … Neppure la Philips metterà mai una lapide col suo nome sulla Basilica della Salute di noi Veneziani … Neanche se mi donassero tutti i dollari d’America capiterà questo … Questo è un Luogo Sacro e basta ! … e tale dovrà rimanere del tutto nei secoli ... Si dovrebbero dare finanziamenti per favorire il culto e la giusta Devozione … non per altro … Meglio chiudere tutto e lasciare andare in rovina se non si rispetta lo scopo per cui sono state realizzate queste monumentali opere ... La chiesa non è un lunapark ! … Questi vengono a saccheggiare e vandalizzare i nostri Luoghi Sacri considerandoli musei e luoghi da relax, pennichella e pic nic ... Qui si deve venire, invece, solo per pregare, e per cercare come molti secoli fa il “miracolo del corpo e dell’Animo” insieme !”
Che stana assonanza con le chiese-museo di Istambul ritornate proprio in questi ultimi giorni ad essere quasi del tutto solo Mosche Islamiche … Corsi e ricorsi storici, gira e volta le Religioni con le loro manie ed esagerazioni sono tutte uguali … Quel Monsignore-Rettore è ormai defunto da molti anni, ma non sono molto cambiate le cose qui a Venezia … E’ rimasto come uno strascico di tale attitudine e mentalità in diverse persone, e perdura in qualche modo quell’antico vizietto del voler guadagnarci sopra ad ogni costo, di trarre un qualche “utile” da ciò che “è Santo” e da cose sopra le quali non ci dovrebbe essere nulla da guadagnare … Si continua a tenere tutto chiuso e tenere nascosti tesori preziosi, unici, se non rari … se non si trova un margine per ricavarne un qualche preziosissimo utile ... e questo perché queste cose belle non sono più nostre come dovrebbero.
Va beh dai … non esagero … Per fortuna non è sempre e ovunque così in tutta Venezia … Qu
Lasciamo perdere … Sono brontolone, e sto diventando vecchio … Provate però ad andare a vedere quelle belle tarsie degli armadi della Sacrestia di San Marco… e ditemi se per caso tutto compreso non ho anche ragione nel mio sproloquiare.
Ah ! … Dimenticavo: vedete anche se passa ancora oggi il “Trenino dei Canonici”.
Varotèri Veneziani
#unacuriositàvenezianapervolta 204
Varotèri Veneziani
“Più facoltosi e sopra a tutti gli Homeni abbienti del Curame e delle Pellizzerie stanno i Varoteri che sono la parte eminente di tale genere manufatturiero Veneziano capace di dare di che vivere a molti.”
Questi erano i Varoteri o Vajai o Pellicciai: una categoria Veneziana agiata, la parte più nobile ed emergente, la più ricca e rispettabile, l’elite della Filiera delle Pelli e del Curameche a sua volta serviva e riforniva una classe ancora più agiata e preminente: cioè quella dominante della società Veneziana: le Magistrature, iNobiliHomeni e le NobilDonne, i Mercanti e i Dogi… Sembra che la dizione “Varoteri” derivi probabilmente da “Vaio o Varòta” nome forse di origine siberiana che indicava genericamente una pelliccia, o uno Scoiattolo o una Martora in genere … I Varoteri o Vajai o Pellizzeri erano Artigiani che confezionavano e vendevano pellicce di Vaio, Martora, Ermellino e Lattizio, Volpe, Gatto, Agnello, Coniglio, Arcoline (Capra), Schilati (Scoiattoli),Montone: le cui pelli erano dette “Moltoline”, e di Capretto: le così dette “Beccùne”.
Le Varoterie insieme alle Parrucche, Guanti, Scarpe, gioielli, Abiti Togati di rappresentanza o cerimonia, e i finimenti di lusso finivano per essere una delle espressioni più d’effetto della grandezza potente di Venezia Serenissima.
Già alla fine del lontano ottobre 1271 si elaborarono a Venezia i primi Statuti dei Varoteri che vennero poi rinnovati e integrati a più riprese nel 1312 e 1334-35 ... A Rialtoc’era la Varottaria cioè la Ruga della Pellizzaria, ma fin dal 1197 esistevano sparse un po’ per tutta Venezia diverse botteghe-laboratorio con tre-quattro Varitai o Varotai ciascuna dove i Varoteri sceglievano, pulivano, tingevano, sbiancavano e spazzolavano i prodotti forniti già conciati dai Scorzeri e Conzacurami rifilati a lavorare e vivere isolati alla Giudecca.
Il fenomeno della Garberia: cioè della lavorazione, concia e commercio ed esportazione delle pelli è esistita per secoli in parallelo alla grande lavorazione e commercializzazione della Lana, dei Panni e delle Telerie in genere ... E’ curiosissimo notare come storicamente agli appuntamenti soliti delle solennissime scadenze di Rito e delle Processioni Cittadine sia Civiche che Religiose, oltre che nelle circostanze di eventi eccezionali, intervenivano ogni anno fra trombe e cembali, gonfaloni e ghirlande i pomposissimi Dignitari della Serenissima accompagnati da tutti i rappresentanti delle Arti CittadineVeneziane schierate in ordine d’importanza. Per secoli sfilarono i Piazza “per secondi” dopo i Fabbri appunto i Varoteri-Pellicciai riccamente “addobbati di Armellino e Vaio, altri di drappi di Sciamito e Zendalo e soppannati di pelli”, e a seguire loro c’erano gli altri: i Sarti, pure loro a indossare “mantelli foderati di pelli”, e i Pizzicagnoli con “scarlatte pellicciate di Vaio”; e persino i Pescivendoli:“soppannati di Vaio” ... e non parliamo poi dei Nobili, della Signoria e del Doge com’erano agghindati, impellicciati e pomposati.
La categoria dell’Arte dei Varotèri era necessariamente connessa e dipendente dall’attività della categoria degli iscritti alle molteplici Schole, Fraglie, Consorterie e Confraternite degli Scorsèri-Consacurame o Curamèri le cui sedi sorgevano in città sotto l’egida Patronale di Sant’Andrea a Sant’Eufemia, e dei Santi Biagio e Catòldo della Giudecca. Sempre nella stessa isola esisteva il “Monte dei Corni” nella futura zona dove sarebbe sorto il Tempio del Redentore, e sempre là si lavoravano “Corde de Buèo”, e s’imbiancavano pelli e corame lavorando giorno e notte, mesi, anni e secoli come Consacurame patrocinati da una lunga litania di Santi e Madonne del Cielo: San Lazzaro, San Giovanni Decollato, San Michele Arcangelo, San Martino, San Vito, San Liberio, le Quattro Sante Martiri: Eufemia, Tecla, Erasma e Dorotea Santa Helisabetha dei Varoteri: “Ogni Compatrono, Santo e Madonna buoni sono, e un Protettore in più non guasterà mai ... Per questo ogni domenica e festa di Santo Protettore ogni Scorzere terrà bottega chiusa, e non ci sarà mercato.”(1417)
Nel 1530 il Senato stabilì che tutti i Mastri che “segnavano suole” dovevano consociarsi nell’Arte-Mestiere dei Calegheri ... Era tardi in realtà: s’era scoperta “l’acqua calda”, perché i Socholari (Zoccoleri), i Patitari, Calegheri-Solari e Zavateri erano un’Arte Vechia col “Capitolare Caligariorum” che risaliva al 1260.
Le Cronache Venezianeraccontano che le Schole dei Cuoiai-Curameri della Giudeccaancora nel 1699 avevano anche una “sede-dependance commerciale”nel cuore di Venezia: nel Sestiere di San Polo, precisamente in Contrada di Sant’Agostin poco distante dal Fontego del Cuoio o Curame di Rialto istituito nella Contrada di San Silvestro per ordine del Senato per favorire gli interessi della categoria. Nel Fontego i Partitanti dei Manzi, gli Scorzeri e i Beccheririponevano le pelli da acconciare o già acconciate che venivano ricomprate soprattutto da Calegheri e Zavateri ... e perché no … anche dai Varoteri.
Varoteri e Conciatori Veneziani dipendevano del tutto dalle forniture dell’Arte dei Beccheri e dei Mercanti da Cordoani che fin dalla metà del 1276 pagavano un Dazio d’Entrata agli Ufficiali o Signori alle Beccarie di San Marco e di Rialto per importare carni e pelli di qualsiasi tipo in città. L’esazione avveniva alle Palade di Torre Nuova, e agli Uffici di San Zulian, Mazzorbo, Morenzano e Cornio.
Quello delle Beccarie con la macellazione, vendita e consumo delle carni era di suo un “mondo complementare a parte”, che si congregava, riuniva e organizzava per conto proprio in apposita Schola di San Michele nella chiesetta di San Mattio di Rialto malfamata quanto i Beccài... e non a torto.
Il mercato delle pelli cittadine era controllato dai Beccheri che fornivano parte della materia prima di base ai Conciatori che lavoravano nei laboratori della Giudecca. I Beccai Veneziani, era risaputo da tutti: “erano gente riottosa e ingrata, dal contegno improbabile nonostante i prestiti con cui li sovveniva il Governo”… A un certo punto la Serenissima indispettita divenne severa di fronte ai soprusi, le angherie e gli imbrogli ripetuti dei Beccai: se un Beccaiodava sei once di carne in meno su un totale di dieci libbre, veniva multato di 10 piccoli e di un punto per ogni omissione perdendo la fornitura delle carni ... Se recidivo finiva per un mese incarcerato “nei pozzi”, e non poteva più esercitare l’Arte per tre anni … Multa di 25 Lire per bove, invece, carni buttate in acqua, e un mese di carcere a chi introduceva in Laguna: “carnes morticinas, infirma vel gramignosas”… Per tutto questo ogni anno al principio della Quaresimai Beccai Veneziani erano costretti ad essere “balottati” e superare una “Proba” in Quarantia per poter esercitare la professione, e Tre del Consiglio si recavano quindici giorni prima di Carnevale nelle banche e botteghe di Rialto per verificare il contegno di ciascun Beccaio.
Alla Categoria vispa e furbetta dei Beccai appartenevano anche i “Partitanti dei Manzi” cioè i Mercanti di Bestiame che s’impegnavano l Governo per rifornire ogni mese Venezia di pelli e carni a prezzo calmierato portandole in Laguna da stati esteri come Turchia, Ungheria e Stiria… Nell’agosto 1314: Giovannino Beccaio Veneziano vendette al Comune di Treviso 200 capi di bestiame che teneva a Marghera in un luogo detto Cà di Mezzo, pretendendo dal Governo Veneziano il risarcimento del denaro denunciando di aver subito un furto … Venne arrestato e condannato ovviamente … Nell’agosto 1339 i Provveditori alle Beccarie di Venezia furono costretti a multare un Beccaio di Rialto(facendolo pagare a rate) per aver condotto da Mestre molti animali e agnelli senza pagare il dovuto Dazio agli Ufficiali. Nell’occasione si stabilì che il Cancelliere di Mestre doveva redigere e consegnare un apposito Permesso-Bolla d’accompagnamento ai Beccai mandandone una copia per l’Ufficio delle Beccarie di Rialto ... Lo Scrivano di San Giuliano de la Palada, inoltre, sarebbe stato privato del suo lavoro se lasciava passare animali di contrabbando ... Infine: le aree prative della stessa area di San Zulian e Tombello sarebbero state affittate ai Beccai di Mestre e Venezia per far pascolare Bovini, Asini ed altri animali in attesa d’essere trasferiti a Venezia.
Capirete quindi perché l’intenso e redditizio traffico del Fondaco del Curame venne soggetto fin dal 1460 alla sovrintendenza e vigilanza di Quattro Officiali alle Beccarie di Rialto eletti dal Maggior Consiglio per sedici mesi; da Due SovraProvveditori alle Beccarie di San Marco eletti dal Senatoper dodici mesi, e da un Aggiunto al Fontego eletto dal Senato per ventiquattro mesi. In seguito si giunse alla formulazione di un Collegio alle Beccarie formato da Dodici Beccai, dai Savi alle Beccarie o alla Mercanzia e dai Provveditori eletti dal Senato ... Per ogni singolo Manzo i Beccheri ricavavano solitamente lire 1.420 circa: a 1.120 lire corrispondeva il valore della carne, lire 160 quello della pelle, lire 84 il sangue, e lire 56 si guadagnava dai “menuzzami e sugne”, cioè dalle estremità, grassi, interiora e viscere degli animali che poi venivano venduti cotti per strada dall’Arte dei Luganegheri, o adoperati per ungere i mozzi delle ruote.
Nel 1402-1484 i Beccheri di Rialto gestivano 59-61 banche vigilate da un apposito Massaro, che venivano affittate una volta all’anno all’incanto. Era proibitissimo vendere carne di notte dopo la terza campana della sera.... Dal 1675 lo Stato esercitò lo Jus Privativo sulla vendita del cuoio da suola a Venezia concedendolo in appalto a Privati Partitanti per un periodo di 10 anni con un’offerta fra i 4000 e 6000 ducati per ottenere la Concessione … Le pelli degli animali pesate e bollate alle Beccarie di Rialto dov’erano sorvegliate da appositi Fanti della Repubblica, costituivano il 10% del valore intero di ogni animale, e per poterle ammettere alla Concia gli Scorzeri della Giudecca si doveva pagare un ulteriore apposito Dazio.
Due parole … due … sui Sjori Scorzeri Consacurame delle Scortegarie della Giudecca ... Erano Sjori intanto, cioè benestanti rispetto al resto del popolino“misero” che popolava l’isola.
I Conciapelle della Giudeccaavevano la propria Schola di Sant’Andrea a Sant’Eufemia fin dal 1271: Schola antichissima il cui “Capitulare Pellium vel Curaminum” con le sue 92 regole era uno fra i più antichi della Laguna: redatto addirittura prima di quello dei Vetrai di Murano. Proprio lì accanto: nella chiesa e Monastero delle Monache Benedettine dei Santi Biagio e Catoldo della Giudecca trovava sede, sotto l’Alta Protezione Celeste dello stesso Santo Andrea, anche la Schola dei Blancarii che aveva antichi Statuti e Capitolare risalenti anch’essa all’ultimo decennio del 1200 ... Ogni iscritto Scorzèrera tenuto a pagare: soldi 40 di Tassa di Benintrada, e ciascun MastroScorzèr doveva dare: due grossi d’Honorantia al Gastaldodella Schola a Natale … Nel luglio 1314 gli Scorzeri scrissero nella loro Mariegola: “… che sia detto quivi la domenica la Messa della Schola … per l’Anema de tutti li nostri fratelli di questo seculo che è passato e che devono passar…”
Nel 1519 il Capitolo degli Scorzeri approvò la costituzione di un fondo per aiutare i "fratelli nostri consumati tutta la vita nell'Arte" offrendo denaro per l’assistenza e per l'acquisto di medicine. Ogni Compagno era tenuto a versare un soldo per ogni pelle di cuoio comprata, venduta o trattata, e se avanzavano soldi nel bilancio della Schola si provvedeva a donare “Grazie da dieci ducatialle figlie povere di quelli de la Schola da maridàr o munegàr”... Nel 1690, invece, lo stesso Capitolo degli Scorzeri bloccò la proposta di assegnare un ducato alla settimana ai CapiMastri e mezzo ducato ai Lavoranti ammalati: si sarebbero dati solo mezzo ducato ai primi, e 1 lira e 11 soldi agli altri: i tempi erano magri.
Gli Imbiancadori o Sbiancadori di Tele, Pelli e Corami agivano con Biacca o Cremor di Tartaro, cioè con Latte di Calce o Cinabro artificiale: ossia con Solfuro Rosso di Mercurio. Il Cremor di Tartaro veniva lavorato a Venezia da un insieme d’imprese che operavano con 40 caldaie producendo ogni anno 300-320.000 libbre di merce del valore di 85 ducati al migliaio. Il prodotto veniva in buona parte consumato a Venezia o nel Dominio Veneto, ma veniva anche esportato in Olanda e Belgio per tingere panni fini ... In più di un’occasione i lavoranti di quella speciale categoria lamentarono con la Serenissima che le “grigole” dovevano pagare 8 lire di Dazio d’Ingresso per ogni peso grosso, più soldi 4 per ogni collo, e che in “uscita” il prodotto finito fosse gravato dalla tassa di lire 2 per ogni 1.000 libbre: era un eccesso !
Ancora nel 1763 confluiva in Laguna quasi tutto il Cremor di Tartaro prodotto a San Vito al Tagliamento da un certo Luzzato che continuava ancora a chiedere esenzione dal Dazio di Condotta d’Entrada facendo notare che pagava per ben 3 volte l’imposta: 24 soldi per la fede rilasciata alla Cancelleria di San Vito, 3 soldi al barile al Fondaco di Portogruaro, e 1 ducato d’argento per ogni migliaio che introduceva a Venezia: “Xe màssa … Non ghe l’è de che viver e laoràr”.
Per porre parzialmente rimedio a quella situazione, esattamente dieci anni dopo, la Serenissima concesse ai 250 Blancariiattivi nelle 31 botteghe e 3 fabbriche cittadine di poter godevano degli stessi privilegi delle Cererie della Dominate. Venne cioè concessa l’esenzione dal Dazio d’Entrada su piombo e aceto oltre le misure di 650.000 libbre e 500 mastelli, e l’Esenzione dal Dazio d’Insidasulla Biacca, il Minio, il Piombo di latte, i Bastoni e la Piombella.
Fin dall’approvazione del primo Statuto degli Scorzeri, la Serenissima vietò di scaricare sostanze inquinanti nelle acque pubbliche: "niun ardisca tegnir tina alcuna in la qual sia acqua, dentro la pelle, sora canal, né scarnar né rader né lavar pele greze, né alcuna cosa de lume sora el detto canal ecc." ... Nel Capitolare del 1366 si precisava ulteriormente: “de non scolàr sora el canal davanti, né dar ogio over far pelle o cuori negri né tina alcuna tegnir sopra el ditto canal."
Oculata, previdente ed ecologica la Serenissima fin da allora: non male !
Non si lavorava e conciava cuoio e pelli solo alla Giudecca e a Venezia … Vi dice niente il nome di Scorzè? … La scorza oltre ad indicare la corteccia o il residuo dell’albero, indicava anche la pelle grezza non lavorata ... Esisteva nella città Lagunare un’attività simile a quella della Giudecca fin dal lontano 1271 anche nella Contrada di San Geremia nel Sestiere di Cannaregio, precisamente nella zona periferica di Sant’Agiopo o Job o Giobbe, dall’altra parte della città, accanto alla Schola dei Barcaroli(nell’area ENEL dove sorgeva l'Orto Botanico) dove ancora nel 1734 era presente l’attività-presenza di quelli della “Schola di Sant’Antonio e San Francesco d'Assisi dei Scortegadòri de manzi”: “Nel 1696 li Scorticatori de Bovi un tempo semplici operarij disuniti, ebbero la maliziosa industria di farsi erriggere in Arte (Schola di Sant’Antonio Martire dei Scorticadori a San Giobbe)per obbligar li Partitanti (appaltatori della carne) a valersi dell’opera di essi soli, e non di altri Mercenarij.”… La Schola faceva celebrare nella chiesa di San Geremia un gran messone cantato frequentatissimo la prima domenica di ottobre dopo la festa di San Francesco, e accompagnava con quattro asteprocessionali e un gran penèlo (gonfalone-stendardo) i Compagni Scorzèri Morti durante il loro funerale ... Nel 1733-34 il Senato decise di sopprimere e sciogliere tutto mettendo fine ad ogni devozione e aggregazione.
Nel 1520 il Consiglio dei Dieci permise anche la fondazione in Contrada di San Simeon Piccolo nel Sestiere di Santa Croce di un’altra Schola di Conzapelli dediti a pelli di vario tipo comprese pelli selvatiche, ma su richiesta proprio dei Varoterinel febbraio seguente precisò che la Schola doveva essere solo di Devozionee non di Arte-Mestiere… La Schola dedicata all’Arcangelo Gabrielerimase quindi attiva per qualche anno ma con scarsissima fortuna … Si conzavano pelli e carni anche a Murano che possedeva un suo Macello locale espressamente autorizzato dalla Serenissima.
Come avete inteso, quella della Concia era “l’Arte” per eccellenza che contraddistingueva la Zuecadove in una certa epoca storica si giunse a contare più di trenta Scorsarie-Scortegarìe: ambienti puzzosi, inquinanti e malsani collocati spesso sul margine più periferico e ancora paludoso e in attesa di bonifica di Venezia ... Si usavano anche i residui, e le “montagne di corna e zoccoli d’animale”delle Concerie per imbonire le “sacche e secchi” di Venezia. L’attività della Concia era complessa e di solito durava mesi, anche fino a ventiquattro a volte, e avveniva seguendo uno schema-procedimento “antico quanto il mondo” che constava in definitiva di tre momenti diversi.
Già Sumeri, Egiziani, Fenici e Romani erano stati ampiamente attivi nel settore della Concia, e ne avevano diffuso l’uso in tutto l’Impero Mediterraneo e Europeo caratterizzando di quell’opera anche la seguente epoca Medioevale.
Fin dal periodo Carolingio, infatti, sorsero un po’ ovunque Gilde di Conciatori: a Bruges, Gand e Rouen fin dal 938, a Strasburgo(982),Pont-Audemer (1093), Namur (1104), Magdeburgo(1150), in Carinzia (1220), Worms (1233), Mulhouse (1297), Berna(prima del 1332), Basilea(1384) dove era proibito conciare animali malati e pelli di Cavallo, Lupo e Cane … e finalmente: Parigi dove l'Arte dei Guantai vantava Statuti del 1190, aveva botteghe in Rue de la Ganterie, e lavoravano pelli di Lepre, Camoscio, Cervo, Vitello, Montone, Gatto e Capretto per farne guanti con pelo esterno e interno per Nobili o Guanti da caccia. Sempre a Parigi Filippo VI di Valois approvò nel 1345 gli Statuti presentati da Tanneurs, Corroyeurs et Sueurs relegando i Conciatori e i Mercanti di Pelle e Cuoio in località Chameaux le Halles aux Cuirs … e ancora sorsero Arti della Concia e delle Pelletterie a Offenbach(1388), Colonia (1356), e Vienna dove già nel 1330 esisteva una Lederstrasse: la Via del Cuoio... In Inghilterra l'Arte Conciaria esisteva fin da prima dei Normanni: Oxford, Londra, Colchester… i famosi Guantai Scozzesi di Perthgodevano di particolari privilegi fin dal 1165 … Riccardo II nel 1395 approvò gli Statuti della Skinner's Company che aveva l’obbligo di lavorare in vicinanza delle foreste regolando gli scarichi reflui delle acque ... In Spagna, infine, importando tecniche Africane e Arabe si conciava utilizzando anche Miele fermentato, Fichi secchi, sale e altri ingredienti segreti. Si produceva il “Marocchino”, il “Gademesino”e il “Saffiano”… a Cordova capitale del Califfato dal 711 si produceva il “Cordovano”apprezzatissimo anche dai Mercanti di Cordovani di Venezia.
In Italia l’Arte della Concia iniziò proprio da Venezia, che durante i secoli del Medio Evo fu probabilmente l’Emporio commerciale più importante, e uno dei centri d’interscambio politico-economico e religioso più significativi dell’intero Bacino Mediterraneo. La Cronaca Altinate racconta che nella Città Lagunare sorgevano molte associazioni d’Arte-Mestiere che subito dopo vennero congregate in Fraglie e Schole di Fratres et Sorores. Fra queste c’era il gruppo dei Sellatores(Sellai o Selèri) che lavoravano selle, finimenti e oggetti di cuoio, e i lavoratori della manifattura per la Marineria che producevano: vele, alberi e remi.
Lo Statuto-Mariegola dei Conciatori Veneziani indicava di usare per la concia: “Concamentum”di foglie di Sommacco e di corteccia di Rovereproibendo l'uso di “folia cocta” cioè di Sommacco bollito. Per la concia minerale, invece, si prescriveva di usare l'Allume di Rocca, escludendo però l’Allume poco puro proveniente, ad esempio, dall'isola di Vulcano.
Come sapete, la prima fase della Conciaprevedeva le così dette “operazioni umide di riviera” dette spesso anche: la “Ginestrella, il Rinverdimento, la Salatura o Scarnatura" eseguite di solito sulla sponda dei corsi d’acqua. Si trattava di bloccare il processo di decomposizione e putrefazione delle pelli grezze togliendo lo sporco, i connettivi superficiali, e i residui biologici di sangue e sterco dalla carcassa dell'animale. Alcuni usavano il fumo, altri il fuoco, altri ancora la salatura e lo sfregamento con grassi animali o vegetali per mantenere morbide le pelli che venivano perciò depilate e raschiate dal pelo, sgrassate, lavate e pulite mettendole poi nell’ambiente alcalino del Calcinaio dove rimanevano ad ammorbidire per uno o due giorni. Alcuni in questa fase curavano anche la Spaccaturadelle Pelli, soprattutto quelle Bovine, dividendole in più strati, in “fiore e crosta”, e immergendole in più sofisticati bagni di sterco di Cane o Uccelli.
Seconda fase: dopo opportuna scolatura, si rimettevano le pelli un’altra volta a macerare nel Calcinaio per un’altra settimana e più a seconda della stagione. Trascorsi quei giorni, le pelli venivano distese su un cavalletto o “galàro” e spellate ulteriormente in maniera accurata, quindi si mettevano in acqua corrente per quattro o cinque ore prima di sgocciolarle, cospargere di Vallonea sfarinata, e a volte cucirle a forma di otre per contenere l'estratto conciante vegetale: la così detta: “Rusca”, la Conciavera e propria che conteneva i Tannini della Vallonea, o del Castagno, Rovere, Sommacco, Quebracho, Mimosa, o le “galle” di Quercia di Piemonte, o la “passera” di Pino, o le cortecce del Sughero, Mirto o miscele di altre foglie e bacche. In alternativa si utilizzava, invece, il conciante minerale vulcanico dell’Allume di Rocca(alluminio) frammisto ad olii di pesce e resine. Le pelli quindi rimanevano per tre mesi e più a stagionare immerse o contenendo la Concia, venendo deposte in qualche ambiente o soffitta asciutta. Le pelli assumevano allora quel tipico colore da cuoio marroncino, oppure diventavano cuoio bianco più fragile, deperibile e non resistente all'acqua se sottoposte all’Allume.
Terza e ultima fase: le pelli venivano sottoposte alla Rifinitura prima della commercializzazione e il passaggio alla Varoteria mettendole “a vento”, ossia asciugandole inchiodate all’aria. Poi si spremevano e pressavano, si smerigliavano dal “lato carne o fiore”distendendole sul telaio, ed eventualmente si tagliavano su misura. Talvolta le pelli venivano anche tinte, ingrassate e lubrificate con oli e grassi d’animale, vegetale o minerale per ridurre ed eliminare la sensazione di ruvidezza al tatto.
La Concia era spesso un mestiere invernale perché durante l'estate ci si dedicava ai lavori agricoli ... Dai ritagli e dagli altri cascami delle pelli della Concia si ricavava anche la colla, ma, come ben sapete, col cuoio si realizzavano soprattutto: copricapo, selle, scudi, finimenti per cavalli e mezzi di trasporto, e si rivestivano mobili e libri, e molto altro ancora.
A Venezia si rifornivano di cuoio le Arti dei Caleghèri e Zavatèri, quella dei Bolzèri(valigeri), Vaginèri(foderi per spade e pugnali), e dei Cuoridoro(cuoi dorati per tappezzerie) che fin dai tempi remoti esercitavano l'arte di dorare le pelli e i cuoi per ricoprire pareti pigiandoli e folandoli con i piedi in acqua dolce. I cuoi e le pellicce Veneziani, venivano soprattutto esportati, e i Cuori d’Oro Veneziani, le scarpe, gli stivali, i guanti e le pellicce di Venezia erano considerati molto pregiati, ed era richiestissimi sia in Levante che in Ponente, nell’Europa del Nord, e fin nell’Asia più Orientale.
Curiosità nella curiosità:
Dopo l’antica moda pudica Bizantinache consigliava scarpe coprenti “a sandalo chiuso” decorate con fermagli, preoccupate di nascondere le “procaci caviglie” delle donne, si passò all’innovativa quanto bizzarra moda Francesedelle “pouaines o polognes” dette in Italia "scarpe alla polena". La Polena era il “tagliamare” della prua delle navi di cui le scarpe imitavano l'aspetto … Tragedia !
Si arrivò a realizzare scarpe a punta lunghe più di mezzo metro, per cui era necessario sostenerle con delle catenelle allacciate sotto le ginocchia per non inciampare ad ogni passo ... Boccacciosi scatenò nel descriverle: "… quelle punte lunghissime non altrimenti che se con quelle uncinar dovessono le donne e trarle ne' lor piaceri", mentre San Pier Damiani si scagliò contro quella moda dicendo: “certi calcei appuntiti come rostri d'aquila".
La moda comunque imperversò fin verso la metà del 1400 … cioè fin quando proprio i Calegheri Veneziani, che producevano da sempre: “calcarios et stivallos”, ed erano famosi ovunque per le scarpe "de somacho valentiano in cuoio finissimo”, non vollero essere da meno dei Francesi, e ispirandosi probabilmente al Levante s’inventarono una speciale novità. S’inventarono una comoda pantofola montata su zoccolo di legno decorato: i “zoppieggi e sopè” o “scarpe sotto piè”: un modello singolarissimo che andò a sostituire la vecchia moda delle “piannelle, zibrette e cancagnini” bassi, una pensata alternativa che andò immediatamente a ruba non solo fra le Cortigiane, Dame, Damigelle e NobilDonne Veneziane, ma sull’intero mercanto Europeo e Mediterraneo dove venne ovunque copiato e riprodotto.
Alcuni modelli di “chopinès Veneziani” arrivarono ad avere tacchi alti ben quaranta centimetri: buoni per l’acqua alta, o per camminare in zone fangose mi direte … ma anche per certe donne Veneziane basse che volevano farsi vedere “belle alte”.
Come per ogni moda storica ne derivò una vera e propria gara fra donne, ma anche fra uomini, fra chi “l’avesse avuta più consistente, alta e bella (la calzatura)”, tanto che alla fine dovette intervenire il Maggior Consiglioordinando che si smettesse d’usare quelle "scarpe infami"superiori “alla mezza quarta” (20cm) ... Il richiamo ovviamente venne disatteso, visto che quel tipo di scarpe imperversò diffusissimo ancora quasi per cento anni. I satirici dell’epoca dicevano che serviva una scala per baciare una donna ... ma intanto il mercato Veneziano andò a gonfie vele, e Scorzeri e VaroteriVeneziani, al pari di Guanteri, Bolzeri, Zogiellieri e Orefici, Lanieri e tutto il resto facevano affari d’oro … e la Serenissima prosperava.
Man mano che la Serenissima si espanse nella Terraferma buona parte del lavoro sulle pelli si spostò dalla Giudecca nei foli e nelle concerie della Dominante, anche se continuarono a convergere a lavorare a Venezia Scortegadorifin dall’Istria e dal Trentino. A Venezia rimase il “lavoro di fino, le rifiniture, e le attività più tipiche dell’Arte chi sapeva offrir al mondo il manufatto di gran pregio più raffinato”.
L’attività conciaria favorita dall’allevamento degli animali, dalla presenza dei boschi, e dalla notevole disponibilità d’acque e sorgenti adatte all’impianto di mulini, macine da Vallonia, foli, lavatoi e opifici, era già molto diffusa da prima del 1300 nei centri Veneti, cioè da prima dell’arrivo della Serenissima. L’Arte della Concia e dei Varòti fioriva a Verona, Bassano, Cittadella, Marostica, Godego, Chiampo, Arzignano, nell’Altopiano dei Sette Comuni che dal 1404 si affidò alla protezione della Serenissima, e a Vicenza, dove nel 1409 si costituì una Fratalia Teutonicorum dedita fra l’altro proprio alla Concia.
Venezia riforniva i paesi di materia prima importando pelli grezze da conciare da Barcellona, Valenza, Maiorca, Napoli, Pisa, Genova e dal Levante, mentre quelli di Terraferma le vendevano in cambio: legname e chiaro cuoio compatto colore nocciola dal buon odore di resina, oppure Camozzine e pelli Scamosciate (lavorate da Capra e Capriolo, non da pelli di Camoscio), o pelli di Daino, Bue, Vitello, Vacca e Vacchetta, Pecore, Montone e Agnellino utili per l’Arte della Selleria e Guanteria Veneziana, nonché per le vendite “minime”dei Varotieri che trattavano preferibilmente pelli di pregio.
L'Arte Conciaria si esercitò anche altrove in Italia: a Milano, Mantova, Bologna, Ferrara, Genova, Napoli, Parma dove nacquero Corporazioni che emanarono appositi Statuti, e in Piemonte dove c'erano concerie nell’Astigiano che fabbricavano i “marocchini” copiando quelli importati da Adrianopoli, Cipro e Persia, e colorandoli con estratti di bucce di Melograno, Curcuma, Kermes e Indaco … mentre in Val d’Aosta c’era l’Università dei Corciatores posta sotto la protezione di Sant'Orso e regolata dal “Codice delle catene” incatenato a uno scanno della Casa Comunale.
A Lucca secondo lo Statuto dell'Arte della Pelleriadel 1200 i Macellai potevano portare le pelli ai Conciatori di Borgo San Tomèo solo nelle ore notturne ... A Firenze, invece, l’Arte del Cuoio e delle Pellerie lavorava pelli, mantelli e cappelli essendo una delle Dodici Arti Maggiori ospitate presso la Loggia dell'Orcagna. Coinvolgeva nel commercio del cuoio e delle pelli famiglie prestigiose di Mercanti come erano i Peruzzi, i Bardi, e gli stessi Medici che si prodigavano a far “riflessare le pelli alla Fiorentina”, cioè le accostavano cucendole insieme di colori simili o diversi prima di darla a vendere ai Pellicciai-Varoteri… Curiosamente a Firenze le code di Vaio venivano impiegate anche per produrre pennelli da Pittori … e si conciava “a morticcio” o “a crudo” a seconda che le pelli di piccola taglia giunte asciutte venissero lavate e pettinate e messe a bagno in acqua, sale e farina per 15-30 giorni per diventare di pelo lucidissimo, o si trattasse di “pelli fresche” provenienti dal Macello Fiorentino che venivano: “scarnitate”, lavate con liscia, sapone e sale, unte con olio o burro, e messe dentro a un barile pieno di semola e battute con i piedi affinchè la segatura assorbisse l'unto del pelo che così restava morbido ed elastico.
Tornando a Venezia …. La Scorzeria e la Varoteria Veneziana davano origine a un ampio indotto, a un’intera filiera di Arti satelliti che derivavano e dipendevano dal cuoio e dalle pelli. La pelle come vi dicevo, guarnivano e foderavano un po’ tutto: borse, cinture, scatole, astucci, scudi, elmi e faretre, ricopriva, foderava e conteneva carte e libri: le Commissioni Dogali, le Mariegole delle Schole, i Libri d’Ore dei Nobili, le Bibbie, i Messali, i Cantorali e Antifonari delle chiese e Monasteri che venivano rilegati in “marocchino nero, marrone o rossiccio” … In questo settore i Veneziani erano considerati i migliori nell’esprimere eleganza e gusto. Fino alla fine del 1500 e ben oltre si foderava e decorava in cuoio lavorato imprimendolo a secco e con doratura in foglia d’oro a caldo.
C’erano poi i Guantai, e le altre Arti dedite a produrre il così detto “prodotto frivolo” per le esigenze di molti e delle molteplici classi sociali. Le “ciroteche o mofele”, cioè i Guanti dei Dignitari, Nobili ed Ecclesiastici non erano solo di stoffa ... Per un certo tempo esistette in Europa il tradizionale gesto simbolico con cui chi alienava un bene donava i propri guanti all’acquirente al momento della transizione di vendita dell’immobile o del terreno come simbolica garanzia della validità e bontà del contratto intrapreso ... Il Doge di Venezia ogni anno riceveva in omaggio dai Guantai Venezianiquindici paia, soprattutto di candidi “Blancari” bianchi che piacevano tanto anche alle Signore dalla pelle pallida o candida, e si usavano anche in abbinamento, già da allora, con borse e cinture dello stesso colore. La moda giunse a offrire sul mercato guanti di pelle, ricamati, o ornati in oro e argento che venivano impregnati o cuciti insieme a profumi, ambra, acqua di rose, belzoino ed altre essenze odorose.
A Venezia, come altrove, esercitavano l’attività anche gli Artieri della Schola dei Selleri, Bolzeri, Tapezieri, Vagineri e Chincaglieriche pellegrinò di sede in sede fra le Contrade di San Felice dove trovò accordo col Capitolo dei Preti per “ridursi in chiesa o Sacrestia a Capitolo”, e per utilizzare di volta in volta l'Altare della Beata Vergine, o quello di San Giovanni Battista, di San Pietro o San Gaetano ... Dopo disaccordi con i Preti i Confratelli si trasferirono a San Gallo in Contrada San Ziminian presso Piazza San Marco pagando lire 49 e soldi 12 d'affitto, finchè dopo cinquant’anni la stessa Schola si trasferì ancora una volta a Santa Maria Formosa, e poi ancora: a San Fantin. Autorizzati tardivamente a staccarsi dall'Arte dei Marzerinel 1730, i Selleri-Bolzeri-Tapezieri-Vagineri-Chincaglieri Veneziani fabbricavano e vendevano: selle, valige e bauli realizzando anche tappezzerie per poltrone e divani … Pietro Longhi dipinse per loro per 6 zecchini un "Penelo da Morti"(insegna per Funerali) dipinto "da le due bande": davanti e dietro … Ancora nel 1773, i Seleri contavano: 6 CapiMastri, 12 Lavoranti e 3 Garzoni, mentre i Bolzeri annoveravano 28 CapiMastri, 8 Lavoranti e 16 Garzoni; i Tappezzieri: 6 CapiMastri, 6 Lavoranti e 2 Garzoni … finchè poi nel 1802 venne tutto soppresso, e ogni cosa di rilievo e valore di quelle Arti venne incamerata dal Demanio o venduta e dispersa.
Tornando all’Arte dei Varoteri, il suo simbolo era una croce a cinque raggi. Aveva sede presso i Crociferi o Crosichieri di Cannaregio dove sorgeva la Schola di Santa Maria de la Visitasiòn dei Varotereri al cui pianterreno c’erano collocate le tombe, cioè le Arche, per la tumulazione dei Confratelli Morti della Schola.
I Varoteri Veneziani si distingueva fra Varoteri d’Ovra Verao Varoteri de Ovra Vechia che vendevano pelli nuove o usate, e Pelizeri de Pelli de Ghiro che a Venezia furono sempre una specialità a parte ... Le pellicce erano molto usate a Venezia come altrove nelle grandi città e Signorie Europe e Asiatiche: non dovevano assolutamente mancare nei guardaroba dei Nobili e dei funzionari del Governo che spesso li lasciavano in eredità ai propri congiunti e amici. Il commercio internazionale delle pellicce era quindi fiorentissimo, e non poteva mancare a Venezia dove giungeva bestiame vivo da macello ma soprattutto una grande quantità di pellame dal Baltico, dalla Russia, dai Balcani e Ungheria, da Creta, dall’Egitto, da diversi Porti del Mediterraneo, e perfino da Santo Domingo e dalle Nuove Americhedove c’erano immense praterie per l’allevamento intensivo e la produzione di pellami adatti per gli insaziabili consumatori Europei. Da Venezia poi le pelli ripartivano confezionate per tutta l’Italia e per l’Orientedando vita a un settore commerciale aguerritissimo capace di movimentare ogni anno migliaia di ducati ... Nel 1430 il famoso Mercante Nobile Andrea Barbarigo prese accordi con venti Pellicciai Venezianidiversi: da alcuni comprò abiti per se stesso, mentre con gli altri rifornì di continuo di pellicce lavorate il Mercato di Venezia e della Tanatramite l’attività del suo agente Nicoletto Gatta Varoter Veneziano.
L’Arte dei Varoteriera un Mestiere riservato ai soli Veneziani originari: per diventare Mastro Varotaio bisognava oltre ad essere Veneziano d.o.c., anche aver lavorato almeno sei anni da Garzone e due da Lavorante con Prova specifica dell’Arte ... Nel 1690 si contavano a Venezia: 109 Varotari attivi in 22 botteghe: 42 erano Mastri, 28 Lavoranti e 37 apprendisti-garzoni.
Secondo la Promissione Dogale del Doge Giovanni Soranzo del 1312 i Pellicciai dovevano garantire l’opera di un loro Mastro per tener in ordine le pelli di Palazzo Ducalee del Doge … L’Arte offriva ogni anno al Doge: lire 6 di piccoli, e ancora nel 1803 secondo le note della Visita del Patriarca Flangini, continuava a finanziare la celebrazione in Santa Margherita di 13 Messe: “secondo le intenzioni e gli scopi dei CoFrati Varoteri della Schola”.
Una volta alla settimana i Giudici della Corporazione dei Varoteri, che in realtà Giudici veri non erano, appianavano piccole dispute tra gli iscritti all’Arte circa questioni inerenti fino a meno di 5 lire di valore, e imponevano multe agli iscritti-Confratelli fino a 40 soldi. Gli stessi Giudici eletti dalla Banca della Scholaavevano anche il compito di assegnare e ispezionavano le bancarelle di Rialto in Ruga San Giovanni e di San Marco in zona Basilicaogni sabato e durante la Fiera della Sensa alla quale partecipavano anche i Pelliparii-Conciatori della Giudecca che avevano Ruga a San Bartolomio di Rialto, e i Cerdones-Calzolai che avevano bancarelle in Piazza San Marco dalla parte di San Gimignano ... Nel 1337 Bertuccio Stevano Giudice dei Varoteri venne espulso dal suo incarico per aver consigliato il Gastaldo dei Varoteri di gettar via gli Statutidella Corporazione-Schola. Tre anni prima i Pellicciai si erano accorti che cinque di loro si erano accordati illegalmente stabilendo prezzi che ignoravano i dettami corporativi della Schola. Il Governo della Serenissima si premurò di multarli per aver realizzato accordi: “… in danno e in precudixio de li homeni de la predicta Arte et de tutta la Comunansa de la Cittade.”
Gli uomini dell’Arte dei Varoteri erano persone molto pratiche e concrete, spesso: scaltre, sospettose, attente, e molto coese fra loro. Un “Tiziano Pellicciaio grande e grosso” possedeva una proprietà in Contrada di Santa Croce, aveva seguito e poi era subentrato al padre nella professione sposando la figlia di un altro Varotaio. Aveva inoltre nominato Pietro De Bonaventura della stessa Contrada e Pellicciaio come lui, suo Esecutore Testamentario chiamando a testimone un Luciano Pellicciaioquando decise di lasciare una notevole somma di denaro al Clero di Santa Margherita per darlo “in caritade ai poveri” ... Sempre lo stesso Pellicciaio, lasciò come dote 300 ducati ad ognuna delle sue figlie, e scrisse anche che voleva essere sepolto nella chiesa dei Croxichieri, e che se non fosse stato possibile si sarebbe fatto tumulare nelle Arche della Schola Grande di Santa Maria della Carità di cui era Confratello.
Bartolomeo Trevisan era Varotèr pure lui, e venne scelto da Caterucia moglie del Pellicciaio Guglielmo da Pavia come Esecutore Testamentario. Possedeva uno schiavo, e prendeva accordi con i Macellai-Beccheri di Rialto che gli procuravano le pelli da vendere. Nel 1384 avendo ottenuto la Cittadinanza Veneziana dal Senato era emigrato da Treviso a Venezia ... In seguito era diventato Gastaldo della Schola di San Giacomo: massima carica della Schola e incarico fra i più considerati nell’intero Sestiere di Santa Croce di Venezia. Aveva come Padri Spirituali-Padrini altri due Varoteri: Tiziano Moreto Donato di San Giacomo e Trevisan Natale a cui si rivolgeva per consulenze e affari.
Bertuccio Merlo, invece, il cui fratello era Prete a San Simeon Piccolodivenne per due volte Guardian Grando della famosa e ricca Schola Granda di San Giovanni Evangelista: una delle sette più famose e potenti di Venezia, come capitò a un altro Varoter Vendrame in seguito.
Giovanni Bovo Pellicciaio di San Giacomo era Gastaldo della Schola di Santa Caterina d’Alessandria di San Stae.
Nicoleto Bianco Varoter era Gastaldo a Sant’Angelo, e venne ucciso mentre beveva a casa di un suo amico: Andrea Rastellofunzionario Governativo, da un suo Lavorante: Francesco da Modenacol quale aveva avuto un diverbio accusandolo di non lavorare … Il Pellicciaio Giovanni Saimben fungeva da Procuratore della Parrocchia, mentre Luciano Datale, Varoter pure lui, era Priore dell’Ospedale di San Giovanni di Murano… Il Pellicciaio Marco Rosso di Santa Croce lasciò 50 ducati in beni e denaro come dote al suo schiavo.
Secondo l’Estimo del 1379: Augustin de Pellegrin della Contrada di Sant’Aponal era il Varoter in assoluto più ricco dichiarando 4.500 lire di grossi di capitale, seguito da Marco Rosso della Contrada di Santa Croce che dichiarò 4.000 lire ... Sette Varoteri benestanti avevano reddito tra 500 e 1.500 lire: Nicolò Panciera della Contrada di Santa Marina a Castello possedeva 1.300 lire, Bartolamio de Ugolin di San Pantalon: 1.000 lire, Nicolò de Francesco Pelizer pure lui di San Pantalon come Zuan da Vanezo avevano rispettivamente 1.000 e 500 lire, mentre Luca Da Canal Varoter a San Boldopossedeva pure lui 500 lire. Zanin Saiben di San Simeon Grando Profetaera padrone di un capitale di 1.000 lire ... Altri quattro Varoteri avevano reddito di 300 lire: Donato Varoter a Santa Maria Formosa, Francesco Rizo Varoter a Santa Sofia di Cannaregio, Lorenzo Rosso Pelizer a Sant’Aponal e Palamide Pelizer a Santa Croxe.
Qualche anno dopo, era Mastro Pellizer Bartolomeo Brocha con 1.000 lire di Estimo ad essere uno dei sedici uomini più ricchi della Contrada-Parrocchia di San Giacomo dell’Orio. Possedeva una stacione-laboratorio in Ruga a Rialto, e nel 1364 affittò una volta-magazzino nelle vicinanze. Suo figlio Bernardo fece lo stesso mestiere, mentre sua figlia Margarita sposò un altro Varoter che viveva in Contrada di Sant’Agnese che allora era una delle zone più appetibili e strategiche del movimento commerciale Veneziano ... Due Varoteri fecero da testimoni il 29 maggio 1355 alla stesura del Testamento di sua moglie Fantina, mentre nel 1371 un Terrazziere Marco lo nominò Procuratore dei suoi affari, e il Calafato Antonio Rossolo designò a Testimone insieme a due Preti di San Giacomo della dote di sua figlia ... Una volta venne multato per aver tenuto luce accesa nel suo negozio di notte provando ad avvantaggiarsi slealmente sui suoi concorrenti in affari, ma per tre volte “la fece franca” tramite giuste conoscenze con Patroni altolocati ottenendo Grazia per crimini commessi da lui e da suo figlio. Non a caso era iscritto anche alla Schola Grande di San Giovanni Evangelista: associazione in cui confluivano Nobili e Nomi prestigiosi, ricchi e potenti come i Nobili Badoer ch’erano intrufolati e introdotti dappertutto … Accadeva ieri ciò che accade ancora oggi … Nel 1372 andò a risiedere in Contrada di San Simeon Grando.
Più di qualche volta, secondo le indicazioni della Mariegola della Schola, i Varoteri mettevano in piedi delle vere e proprie indagini private con adeguati compensi per scoprire eventuali mercanti ladri o imbroglioni, oppure la provenienza di pellicce rubate o di merce ricettata e contraffatta … La Serenissima fingeva d’ignorare e lasciava fare, anche se aveva “occhi e orecchi dappertutto … anche fra i Varoteri della Schola”… e intanto il commercio proliferava e continuava.
Secondo l’usanza delle Schole d’Arte-Mestiere-Devozione Veneziane, anche i Varoteri si radunavano “in Capitolo a Levàr Tolella”(la piccola stringa nominale in legno con inciso ciascun nome dei Confratelli che veniva infilata “come presenza” su un’apposita rastrelliera collocata in muro della Schola), così come partecipavano stabilmente ai “Corpi”: cioè alle Agonie e Funerali dei Confratelli e Consorelle Morti ... I Varoteriinoltre praticavano fra loro diverse forme di sovvenzione, carità ed assistenza ai propri iscritti fornendo Doti e Grazie per monacarsi o maritarsi alle figlie dei Varoteri … e organizzavano Questue a favore: in primis dei Poveri della Schola diventati tali per le disgrazie del mestiere, e poi s’interessavano eventualmente anche dei“miseri comuni della Contrada” dove vivevano e lavoravano.
In definitiva: la Schola dei Varoteri, pur essendo classificata come una delle Schole Piccole di Venezia, era benestante come i suoi iscritti. Fin dall’inizio del 1500, infatti, concedeva in uso gratuito alcune case-alloggio di sua proprietà agli iscritti poveri dell’Arte … Nel 1562 il Capitolo dei Varoteri decise che i Confratelli Poveri che avevano ottenuto l'assegnazione "gratis et amori Dei"di una casa della Schola dovevano essere sempre presenti alle Funzioni Religiose di Chiesa a nome della Schola. Se non fosse stato così, dopo la terza assenza sarebbero stati privati del Beneficio loro concesso ... Ancora nel 1661 la Schola dei Varoteri possedeva una rendita annuale di 488 ducati da beni immobili dati in affitto a Venezia, che nel 1712 si ridusse a 280 ducati, e a soli 24 nel 1740: quando si percepiva già che i tempi e i modi a Venezia stavano cambiando andando verso qualcosa di nuovo e diverso.
Accadde però nel 1657 il “fatto epocale” dei Varotieri: i subentrati Padri Gesuiti riammessi a Venezia acquistarono dalla Repubblica l'intero complesso che era stato per secoli dei Frati Crociferi di Cannaregio decidendo di ricostruire e ampliare l'antica chiesa-convento abbattendo tutta la serie degli edifici circostanti tramite i quali si accedeva per un arco anche alle Fondamente Nuove. I Varoteri della Schola de la Visitasiòn, come i Devoti della Schola de la Conceziòn, e le Schole di San Cristoforo, dell’Arte dei Passamaneri e dell’Arte dei Samiteri furono quindi indotte a trasferirsi altrove. I Gesuiti spostarono in fretta e furia in Sacrestia la pala del “Martirio di San Giovanni Battista tra i Santi Lanfranco e Liberio”consegnata nel 1610 da Palma il Giovane per la Cappella a destra del Presbiterio dove stava l'Altare della Scholadei Varotieri, e rasero al suolo ogni cosa riedificando tutto da capo.
Ai Varoteri quindi non rimase che trasferirsi altrove, e lo fecero andando a collocarsi definitivamente in Campo Santa Margherita nel Sestiere di Dorsoduro dall’altra parte della città, dove c’era sempre un mercato fiorentissimo, e c’erano frequenti possibilità di scambi commerciali. Nel 1725 portandosi dietro fra le altre cose anche la Madonna dei Pellicciai del 1501 tratta dalla vecchia sede, edificarono la Schola Nova collocando sopra alla porta della facciata sud un’apposita iscrizione che recita: “D.O.M. - AEDES ARTIS VAROTARUM - AB ANNO MDI - IVXTA TEMPLUM S MARIAE - CRVCIFERORUM DENVO LATITVU - EXTRUCTUM SITA - HICLOCI EX SENATVS CONSVLTO - AERE TVM P P SOCIETATIS IEVS - EX PACTO POST DIREMPTAS CONTROVERSIAS - TVM EIVSDEM ARTIS - AMOTO VICINAE OBICE - VENVSTIVS RESTITVTVR - ANNO M D C C X X V.”).
La Nova Schola dei Varoteri sorse quindi autorizzata dal Senatoisolata dal resto delle case per distinguersi, e venne costruita sfruttando il rimborso di quasi 2000 ducati che i Gesuiti delle Fondamente Nove avevano dato ai Varoteri come “bonauscita”. L’edificio tozzo, a pianta rettangolare e “in stile antico” ancora oggi visibilissimo venne realizzato giusto sulla comoda riva dell’antico Rio Businiaco detto solo in seguito Rio della Scoazzera prima d’essere interrato durante il 1800. Da li si poteva facilmente approdare e partire immettendosi con le barche nel vicino Rio di San Barnaba e poi direttamente nel magnifico Canal Grande ... Il 02 gennaio 1725: “il Tagjapiera Pietro Torresini, che ha laboratorio di pietre vive, robba nova e vecchia lavorata alle Zattere, rilasciò ai Confratelli Varoteri: una polizza per i lavori eseguiti nella costruzione della Schola Nova dei Varottieri in Campo Santa Margherita lungo il canale dove aveva messo in opera pietre da lui condotte, e pagato a sue spese peata et homeni.”
Infine nel 1738 si iniziò ad applicare a Venezia la “Regola del Turno”secondo la quale l’Appaltador doveva ripartire a rotazione le pelli ricevute dalle Beccarie di Rialto tra tutte le 32 Scorzarie della Giudecca. Nei decenni seguenti inoltre, avendo introdotto a Venezia “l’uso nuovo del cuoio all’Inglese”, cioè molto grezzo e poco conciato, molti ScorzeriVeneziani finirono con l’essere esclusi dall’Appalto della Concia per cui: “alcuni vivevano nell’opulenza ed l’atri andavano a mendicar impiego”… Nell’ultimo terzo del secolo nei dodici laboratori-botteghe-Scortegarie rimaste alla Giudecca lavoravano circa 150 Scorzeri fra Garzoni, Lavoranti e Capimastri che non potevano conciare né pelli di Cavallo né di Somaro ... Non ebbe risultato la richiesta degli iscritti all’Arte di aumentare il prezzo del loro lavoro ammettendo che “per star nelle spese” ultimamente lasciavano parte del grasso e del “carnuzzo” attaccato alle pelli, e riducevano di tre mesi il tempo d’immersione delle pelli nel galàrocon conseguente calo della qualità e della durata del cuoio prodotto ... Poi la situazione degli Scorzeri andò precipitando: calò ulteriormente il numero delle Concerie, e i Conzacurame divennero tutti salariati “a soldi 9 per libbra di cuoio conciato netti di fattura” dei Partitantidi Rialto ... L’ultima Mariegola dei Conzacurame venne acquistata nel 1853 per 50 lire austriache da Emmanuele Cicognadal Negoziante di Pellidella Giudecca Giuseppe Frollo.
Se per i Scorzeri-Conzacurame le cose non andavano molto bene, non è che per i Varoteri siano andate molto meglio: in parallelo a quegli eventi lavorativi ed economici incresciosi, per i Varoteri fu la fine, e il loro tempo finì ... Alla caduta della Repubblica l’Arte contava ancora 69 iscritti presenti in città, ma la moda della “modernità francese” proponeva fogge e costumi diversi, e anche buona parte dei Nobili e delle Magistrature che costituivano l’asse portante del lavoro e dei guadagni dell’Arte dei Varoteri venne “mangiata e cancellata” dagli eventi Storici … a Venezia, ma anche in tutto il resto del mondo si respirava ormai un’aria diversa, e la foggia delle pellicce e dei Varoteri “andò un po’ in cavalleria” ... Nel 1810, al momento della soppressione della Schola dei Varoteri, si trovò al suo interno una Pala d'Altare con altri tredici quadri di cui due "di gran pregio” portati a suo tempo dall’antica sede dei Crociferi: una “Risurrezione di Lazzaro con Marta e Maddalena” dipinta da Carletto Caliari figlio del Veronese, e un“Gesù guarisce il paralitico” realizzata da Pietro Liberi… Il 25 gennaio 1815: “… il Locale dell’Arte dei Varotteri in Campo Santa Margherita a Venezia affittato a Assagioli Angelo per 85:00” faceva parte della “Lista delle vigne, orti, beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezianei giorni d’asta 12 e 16 febbraio seguenti.”
Fu così che la ex Schola dei Varotieri divenne via via: deposito di carbone, forse Cinematografo dal 1910 al 1915, di sicuro: Scuola di Mistica e Propaganda Fascista, poi: Sede della Democrazia Cristiana, quindi Sede del Consiglio di Quartiere, e infine dopo l’ultimo risanamento strutturale: Ufficio Comunale a tutt’oggi.
Venezia e la Terraferma iniziarono quindi a vivere una nuova epoca con dinamiche economiche, sociali, religiose e lavorative diverse … Dopo il 1850 nacque la tecnica industriale del “bottale”: macchina rotante che accellerò di molto il processo dell’antica Concia. Gli Artigiani-Pellaiiniziarono a lavorare le pelli in poche ore, invece che in giorni e mesi come facevano un tempo ... Il nome di Varoteri andò in disuso fin quasi a scomparire … Nel 1910 si brevettò la Concia Chimica che ancora oggi usa Sali di Cromo trivalente, e siamo ai giorni d’oggi, quando nei Distretti Conciari del Comprensorio del cuoio Italiano s’impegnano più di 1300 aziende e imprese sparse fra Veneto, Toscana, Campania, Lombardia, Piemonte, Marche, Campania e Puglia ... Nel 2010 l'Italia ha prodotto in maniera industriale 128 milioni di metri quadrati di pellami e 10.000 tonnellate di cuoio-suola importando materie grezze da più di 122 Paesi ed esportando prodotto conciato finito in altrettante Nazioni.
E le pellicce … le Varòte ? … Sono diventate in buona parte sintetiche pure quelle sulla scia della sensibilità ecologista che un tempo era sentita e vissuta anche a Venezia diversamente.
Dei Varoteri oggi rimane solo quell’angolo singolare di Venezia che langue muto in fondo a Campo Santa Margherita nella sua quasi insignificanza dentro all’agitato mondo notturno degli Spritz, dell’evasione e delle Birre ... e di tutto il resto. Solo ogni tanto qualcuno alzo lo sguardo interrogativo verso quel casone tozzo e isolato rimasto in fondo al Campo.
Giorno fa a una famigliola di turisti curiosi di passaggio un Veneziano ha spiegato senza aggiungere altro: “Ah quella ? … A gèra a Casa del boia.”
Ma anche no … Gli antichi Varoteri si sono ribaltati nella loro polverosa tomba.
Muneghe Veneziane e Galline
#unacuriositàvenezianapervolta 205
Muneghe Veneziane e Galline
Non ho saputo resistere dal scriverlo … Sapete come siamo fatti: il nostro cervello a volte procede “per associazioni” … L’altro pomeriggio una paziente in ospedale mi ha parlato del suo “singolare affetto”per le sue Galline che le mancavano tantissimo, e mentre uscivo sorridendo fra me e me dalla sua stanza, mi si sono accesi nella mente ricordi e associazioni “Venezianissimi”circa le stesse Galline.
Non ho potuto fare a meno di ripensare che nella Venezia di ieri, quella del 1400-1700 per intenderci, quando le Monache Veneziane erano costrette a vivere loro malgrado nei Monasteri dell’Arcipelago Veneziano combinandone di tutti i colori, e di tutto e di più ... c’entravano nei dettagli anche le Galline.
Le Galline ? … Si ... proprio loro: i pennuti animaletti razzolanti che ben conosciamo ... e apprezziamo al gusto.
Le Cronache e gli Atti Giudiziari e Pubblici della Venezia di un tempo sono prolisse e generose di dettagli e particolari nel raccontare quando succedeva nei Conventi Veneziani e Insulari: c’erano i Monachiniscapestrati all’opera, che li visitavano giorno e notte, scalavano pareti, scavalcavano muretti di cinta, li raggiungevano nottetempo con barche fino agli angoli più estremi della Laguna. Le Monache non erano da meno: si lasciavano rapire in gondola a termine di spudorate serenate e insistenti quanto sconsiderati corteggiamenti, e corrispondevano generosamente alle avance più estreme dando vita a un intero mondo di storie amorose e storiacce di ogni sorta.
Non lo racconto solo io, ma lo ricordavano quelli di allora sbracciandosi e ostentandosi dai pulpiti delle chiese e nei consessi civici dello Stato Serenissimo: “I Monasteri Veneziani sono dei veri e propri postriboli … dei puttanai.” sono arrivati a dire … Beh: qualche motivo doveva pur esserci no ?
Durante i restauri di certi Monasteri si sono trovati perfino murati dentro alle pareti i segni e i resti di certi parti clandestini accaduti dentro alle sacre mura claustrali … Ma non c’era solo quello, che era l’estremo: in certi Monasteri si viveva “alla grande”, né più né meno di come accadeva in tanti Palazzi Veneziani. Le Monache altro non erano che Dame Patrizie segregate in trasferta, che si permettevano lì dov’erano tutti i lussi e le libertà tipiche del loro ceto … Non c’era di che meravigliarsi: era un fenomeno che dilagava ovunque in giro per l’Italia e l’Europa intera.
A Venezia si provò di tutto per arginare quel fenomeno eccessivo: ci provarono con diverse forme di reprimenda sia l’Autorità Religiosa del Patriarca in connubio con l’Autorità Romano-Papale(da che pulpito venivano i richiami ! … di certo non erano il miglior buon esempio … ma lasciamo stare); sia l’Autorità Civica della Serenissima del Doge i cui elementi Nobili erano in realtà proprio coloro che avevano creato quella situazione.
Niente da fare ! … Il casino delle Monache durò a più riprese per secoli con alti e bassi. A Venezia ci furono sempre Monache scatenate e Monache ordinate e a posto ... Per secoli si distinse fra Monache Conventualicapaci di scandali di ogni sorta come le pompose Monache Urbaniste di Santa Chiara della Zirada o quelle di Sant’Anna di Castello, e Monache Osservanti indicando le Monache che in qualche modo “stavano alla Regola” vivendo con un minimo di coerenza la loro identità.
E ce n’erano … Non voglio essere di parte e sottolineare solo il marcio e il malcostume.
A Venezia c’erano Monache integerrime ed esemplari ... Cito un Monastero a caso, almeno in un certo periodo: quello dei Miracoli di Cannaregio dove le Monache Francescane poverissime e fedelissime alla Regola vivevano in ristrettezze totali dormendo su pagliericci pulciosi, tremando dal freddo d’inverno, e pizzicate dalla fame.
Le Cronache raccontano, infatti, di Dogiimpietositi che regalavano barche con carichi di legna o acqua, o sacchi di farina per poter fare un po’ di pane, o davano elargizioni in denaro a Pasqua e Natale per poter letteralmente tirare a campare … Ci fu perfino una volta in cui la Serenissima donò alle Monache un’intera Galea dell’Arsenalein disarmo perchè ne potessero fare legna da ardere.
Insomma a Venezia e in Laguna: c’erano Monache e Monache … C’erano quelle viziose del Monastero di San Vito di Burano, ad esempio, che di notte tiravano dalla finestra la corda della campanella appesa con un nastro rosso al membro di un fantoccio di paglia che certi Nobili vogliosi portavano sotto alle loro finestre cantando volgarità di ogni sorta … Poi passavano Badessa in primis “ai fatti” più spinti, e lascio a voi immaginare i seguiti … O c’erano, invece, Monache che vivevano di stenti in totale penitenza e miseria, orando e vegliando giorno e notte, e andando a questuare di porta in porta col sacco in spalla, senza neanche i soldi per pagarsi le medicine se erano ammalate.
Nella Venezia di ieri è accaduto sempre di tutto e di più: tutto e il contrario di tutto.
Ma torniamo alle Galline di cui volevo parlarvi.
In una e più Visite Pastorali e ispettive ai Monasteri con cui erano spesso costretti ad intervenire Vicari e i Patriarchi Veneziani spesso furibondi con le Monache, fra le tante “cose fuoriposto”che trovavano nei Claustri, c’era proprio la presenza delle Galline.
In certi Monasteri ce n’erano dappertutto: oltre che negli orti e nei giardini, ce n’erano a razzolare e raspare: in Chiesa, nei Refettori, nei Parlatori, nei corridoi, nei Chiostri, nelle Cappelle dei Santi e nella Cripta dei Morti, in Biblioteca … ovunque: fin dentro alle celle delle Monache oltre che nelle soffitte e nelle cantine.
C’erano Monache che proprio le allevavano in gran stile, e ce n’erano alcune che delle Galline facevano “mercato” a Rialto e in giro per le Contrade Veneziane dove si compravano “i vòvi e le gajne de le Muneghe” considerati di qualità.
“E’ inaccettabile ! … Non c’è decoro con quelle Galline a schitàr ovunque !” disse il Patriarca a una irrisoria e impassibile Badessa: “Ci sono Galline fin sui letti dentro alle celle delle Muneghe.”
Nei verbali delle Visite si riportò che la Badessa rispose sorniona al Patriarca: “E che preferiste Eminenza Reverendissima ? … Che ci fosse qualcun altro sul letto delle Muneghe al posto delle Galline ?”
Il Patriarca con i suoi Vicari se ne andò via sconsolato scuotendo la testa … Fu poi esemplare negli interventi che ordinò in seguito nei confronti delle stesse Monache Veneziane. Fece istallare inferriate a porte e finestre dei Monasteri ponendovi anche delle strombature verso l’alto in modo che non si potesse vedere più da fuori né dal di dentro verso l’esterno … Ordinò ancora di mettere catenacci e serrature sui portoni e sulle porticine di certi orti, Caneve, Lavanderie e Cavane che adducevano a canali dove giorno e notte si faceva baldoria entrando e uscendo dalle Stalle, dai Parlatori dei Monasteri dove succedeva di tutto: un bordello … feste e festini, banchetti, balli, musica, recite e mascherate che duravano anche tutta la notte.
Il Doge da parte sua mise in acqua qualche barca con alcun Fanti della Serenissima che facevano la ronda nei canali, e pattugliavano vogando intorno, e pizzicando ogni tanto … anzi: più che spesso, l’ennesimo gruppetto di Nobilastri, ma anche di popolani qualsiasi a caccia di facili avventure con le giovani e spesso aitanti Monache … E’ lunghissima la lista di quanto è accaduto, e di quanti sono finiti a Processo e poi puniti piuttosto severamente. I Nobili e Cittadini, ricconi e potenti, venivano mandati al confinio e al bando fuori da Venezia e dal Dominio spesso mettendo fine alle loro luminose carriere, mentre si ficcavano in qualche gattabuia buttando via la chiave o spiccandogli la testa dal collo a quelli che appartenevano, viceversa, a classi infime o qualsiasi.
Oltre a questo il Patriarca fece costruire muri divisori dentro ai Monasteri, abbattè celle di lusso obbligando alla condivisione nei Refettori e Dormitori comuni, trasferì Monache da un Monastero all’altro, proibì il proibibile, scomunicò, e fece rinchiudere “a pane e acqua”dentro alle prigioni monasteriali che spesso erano collocate dentro ai campanili dei Conventi.
Ci sono stati casi di Monache segregate “a vita”per espiare le loro bravate ed eccessi giovanili ... Povere donne: ree spesso d’essere vive e non aver potuto vivere liberamente come avrebbero voluto: “Basta con gli Animali nei Conventi e Monasteri ! … Macellate tutti quei benedetti Polli che ruspano dappertutto” tuonò il Patriarca verso le Monache Benedettine del Monastero di Ognissanti a Dorsoduro, ad esempio: “Basta riempire celle e chiostri con Cani, Gatti, Galline, Canarini e Pappagalli, Pavoni, Pesci, Animali esotici, Scimmiette, Cavalli ... e perfino Rane e Rospi per diletto ... la Casa di Dio non è un Pollaio.”
Per la cronaca: c’erano Monache che giravano con uccelletti in spalla, o perfino con “animaletti carini” che emergevano o s’affacciavano fuori “contenti” dalla scollatura del petto delle Claustrali … mentre sotto ai Portici del Mercato di Rialto c’era perfino un banchetto di Galline e Ova gestito dalle Converse di un Monastero di Castelloche faceva concorrenza e invidia, e vendeva tantissimo tanto da suscitare le ire e le proteste degli Artieri Gallinari e Buttiranti di Rialto... Certe Monache avevano fatto letteralmente fortuna allevando in serie Polli e Galline nei Monasteri Veneziani facendosele rifornire di continuo da ogni parte delle campagne della Terraferma con Regalie e compensi dovuti nelle varie scadenze annuali di Pasqua, Natale, San Martino, la Candelora, e alla Festa della Madonna dell’Estate.
“Chicchirichì !” si sentiva fare al Gallo all’alba da dentro al circolo chiuso delle Monache dei Conventi Veneziani prima ancora che la Suora Campanara assonnata andasse a tirare la corda della prima campana “dell’Ave del Mattino”che segnava l’inizio della nuova giornata.
“Coccodè !” faceva entusiasta del suo nuovo uovo in un angolo del Coro-Barco delle Monache una Gallina seduta sulla paglia accanto ai piedi scalzi di un’altra Monaca intenta a cantare impettita sul suo lussuosissimo stallo intarsiato le Lodi o la fine del Notturno di Veglia.
Venezia era Venezia ... e forse il “BuonDiodelPianodiSopra”se la rideva divertito guardando quel singolare spettacolo che accadeva di sotto fra le acque spesso miti della Laguna Veneziana.
“Castellani e Nicolotti: non solo botte da orbi, ma ben di più.”
#unacuriositàvenezianapervolta 206
“Castellani e Nicolotti: non solo botte da orbi, ma ben di più.”
Le mie “Una curiosità Veneziana per volta”sono senza pretese, sono solo semplici esternazioni di un Veneziano qualsiasi che ama ricordare come tanti la propria Città con le sue Storie e Tradizioni ... Dico questo perché so bene che su Nicolotti e Castellani si è già detto bene tutto, ma lo stesso ho voglia di ricordare ancora una volta il motivo di fondo da cui nacque probabilmente quella antica contrapposizione campanilistica, Contraddaiola e cittadina Lagunare.
Solo tardivamente la Serenissima fu abile a pilotare quella rivalità urbana trasformandola in tradizione sestierale e soprattutto in attitudine e “abilità alla guerra”: quasi un allenamento, una manifestazione popolare di forza dei Veneziani in vista di un eventuale nuovo conflitto.
A cavallo fra Leggenda e Storia, invece, la contrapposizione fra le due fazioni urbane Veneziane ebbe un preciso nesso e riferimento storico, cioè nacque da un singolare episodio reale che “sclerotizzò”da una parte di Venezia: quelli dal “berretto rosso” del Sestiere di Castello associati a quelli di San Marco e ai solitamente neutrali Giudecchini, mentre dall’altra si contrapposero quelli dal “berretto nero”, cioè quelli delle Contrade e Sestieri di Dorsoduroe i Cannaruoli di Cannaregio a cui s’aggregarono perfino i “Gnatti Muranesi”.
Tutto sembrò accadere nel lontano 1300, quando ormai la tradizione educativa e i principi sociali Religiosi e Civici dei Veneziani … e non solo di loro … erano più che assodati, praticamente ovvi e scontati: radicati per sempre nella mente delle persone.
Mi spiego.
Intendo dire che erano ormai secoli su secoli che Chiesa & Stato avevano imposto e trasmesso, impresso e imposto a tutta Europacerti contenuti diventati quasi un DNA obbligatorio, un “dictat esistenziale” per ogni persona.
Sull’intero Mondo Europeo, e quindi anche a Venezia, ancora un poco oggi, anche se in modo annacquato e ormai languido, vige nelle menti e nella sensibilità comune il costrutto Dottrinale Ecclesiasticoche indica come vivere o non vivere in vista del tragitto esistenziale finale fra Vita e Morte … L’assioma immutabile di fondo è sempre quello: tutto è nato e diretto a Dio… Tutto è creato e sgorga da Lui, e ritornava là da dove è scaturito … Di conseguenza: Chiesa & Civico erano i mediatori unici di quell’immane accadimento radicato in ogni cervello fin dalla nascita e nell’intera Societas Umana in maniera irreversibile e indelebile ... C’è poco da scegliere: è così e basta … Punto.
Di conseguenza qualsiasi cosa che succedeva ogni giorno doveva essere per forza “benedetta e voluta da Dio e diretta a Lui”… Era questione di Salvezza Eterna o Dannazione, che tradotto significava: “scelta fra Inferno e Paradiso”.
Ogni gesto e tempo del vivere era quindi declinato e scandito pro o contro quel destino e destinazione, e non poteva essere se non così ... salvo l’aggiunta tardiva della “stazione intermedia del Purgatorio”dove si sarebbe rimasti ibridi in attesa “a penare nella fiamma delle Anime Inquiete e Purganti” aspettando“la Misericordiosa Salvezza in pienezza” foraggiati dai suffragi e dalle spinte caritatevoli e oranti dei più ancora viventi ... Poveri Morti !
Per tutti il vivere era lo svolgersi e l’applicazione pedissequa di quella “disciplina e di quei valori normati da Bibbia e Vangeli, e soprattutto dalle indicazioni della Chiesa” al di là dei quali esisteva solo il Peccato, il Demonio e l’Eresia… In altre parole: “Chi non è con me è contro di me”, e si finiva bruciati al rogo se non si era d’accordo con buona pace di tutti ... oppure si diventava: “nemici del giusto vivere”, i “diversi” adatti ad essere obiettivi di Crociata.
Ma non c’era solo questo nel vivere di certi secoli Europei, c’era un’ulteriore radicale quanto magistrale ideologia … Una delle tante che ha prepotentemente segnato per secoli la Storia … C’era un “pesante di più”.
Ogni gesto dell’esistenza dal parto al cimitero era visitato, plasmato, scandito e quasi consacrato come “buono e valevole” da un preciso Rito e conferma Ecclesiastici… Chi nasceva poteva considerarsi vivo solo se Battezzato, così chi moriva poteva essere tale solo attraversando il Rito del Funerale Cristianofinendo inumato o sepolti e non disperso nel nulla … In mezzo c’era tutto il resto che conoscete benissimo: cioè la “campana dell’Ave Maria”scandiva inizio e fine di ogni giornata, e ancora “la campana della Chiesa e di Dio” determinava l’inizio e la fine del lavoro, sanciva l’Amore e il Matrimonio, e ancora il Prete entrava a visitare non solo la Malattia e la Vecchia distinguendoli dall’essere Indemoniati o Reietti per colpa dei Peccati … e ancora su ancora: ogni gesto e stagione che si succedeva doveva essere etichettata di Preghiera, Litanie, Rogazioni e Giaculatorie perché tutto non fosse “opera del Maligno” ma bensì della Chiesa e della Divina Provvidenza.
Dimenticavo … anche le Coscienze e l’Intimo personale, soprattutto quelli erano prerogativa quasi ossessiva di Frati, Papi, Vescovi e Preti… L’intera vita era un discernere e scegliere da “che parte stare” e come destreggiarsi fra colpe e peccati di ogni sorta … Ogni fatto del vivere era sospeso fra Bene e Male e fra Peccato e Virtù ben declarati, illustrati, e puntualizzati fin nei minimi dettagli dall’intramontabile connubio Chiesa & Stato.
Chiesa e Stato, sempre a braccetto lungo i secoli furono sempre ben disposti a riconoscersi e consacrarsi a vicenda, hanno spartito quasi equamente questo immane potere, e sono stati sempre astuti per non dire furbi nell’elencare e declinare liste su liste di “mali” da confessare e su cui emendarsi in varia maniera.
E veniamo al dunque …
Tutto questo ambaradan, questo immane “castello di principi e concezioni” era poi traducibile in un prezzo da pagare … Perché gira e volta si arriva sempre là: tutta quella Salvezza o “mancata Dannazione” era un tributo da pagare ai Due Potenti, e piano piano corrispose a una serie di specifiche tariffe ben elencate.
Esempio su tutti ? … Compivi un omicidio o una grossa ruberia … Beh: potevi cavartela lo stesso, e trovar“perdono”Pellegrinando fino alla Terrasanta, Roma, Assisi, Loreto, Santiago di Campostela, San Michele del Gargano… Facevi testamento prima di partire, perché spesso non tornavi, e lasciavi tutto in custodia alla Chiesa per darlo eventualmente ai poveri, cioè a se stessa … Poi andavi espiando, cioè offrendo elemosine, pagando penitenze, finanziando ovunque il “sistema”, e magari al ritorno, se eri ancora vivo, anche lo Stato si sarebbe dimostrato clemente accorciando la pena che ti aveva imposto ... magari ti dava una bella multa supplementare, o ti riduceva gli anni di carcere o da trascorrere incatenato a vogare un remo.
Per avere plateale conferma ed esempio di tutto questo andate a vedere le “Penitenze Tariffate” della Chiesa di certi secoli, dove vedrete come la Chiesa è giunta proprio a quantificare in denaro l’errore che ciascuno poteva aver commesso precludendosi la Salvezza Eterna. Serviva pagare insomma, e tanto, e sempre, e senza fine per non finire dalla parte sbagliata della Bilancia di San Michele Re e Interprete a nome di Dio della Giustizia e Valutazione Finale che sarebbe scattata alla fine di ogni esistenza: l’apocalittico e terribileGiudizio Finale.
Tutto questo generò paura, una paura atavica, impiantata nel profondo di ogni esistente, una paura simile a quella dei Galliche temevano che cadesse loro il Cielo in testa ... Una paura “da mille o non più mille” in cui si temeva la fine di tutto, soprattutto di se stessi.
Perdonate la precisazione di questo pistolotto, ma era per sottolineare come nessuno si sentiva escluso da quella logica sociale, e dal vivere secondo quel “Codice di Vita”. Tutti secondo le proprie tasche si adeguavano a “cercar Salvezza” sborsando per tutta l’esistenza alla Chiesa connivente con lo Stato.
La cosa divenne in moltissimi casi, quasi nella totalità delle persone, una vera e propria ossessione … Andate a vedere quante Mansionerie di Messe Perpetue i Nobili Veneziani pagavano per testamento “per la Salvezza della loro Anima”: un’infinità !
Chi poteva permetterselo pagava la celebrazione di migliaia di Messe per guadagnarsi la Salvezza. Per chi era meno abbiente c’era la possibilità di “scalare” nei versamenti, nelle elemosine e nelle elargizioni: “per la Salute di me e delle Anime dei miei cari”pagando meno, o a rate, o in maniera estremamente differenziata … Esistevano Messe per ogni tasca: lisce o basse e lette da pochi soldi, poi in terzo con tre Preti, e cantate e solenni … e poi Esequi, Anniversari e via dicendo: il catalogo della Salvezza era ricchissimo ... Insomma: bastava pagare.
Ogni gesto del vivere, ogni cosa aveva una corrispondente Tassa da pagare… Si pagava per nascere e morire, si pagava per il raccolto e le Feste, per gli sbagli e i successi della Vita, per quanto si faceva e quanto si sarebbe potuto fare ... Un immenso circone e soprattutto un gran giro di soldi.
Ma torniamo ai Nicolotti e ai Castellani Veneziani di cui volevo parlarvi.
Nella Venezia del 1300 Bartolomeo Querini ex Piovano della Contrada e Parrocchia di San Pantalon diventò Vescovo di Castello cioè di Venezia, e come liberalità e affetto per la zona in cui aveva operato la esentò dal pagare la “Tassa sui Morti”.
Fu di certo una benedizione per quella parte dei Veneziani che andò a coinvolgere anche le limitrofe Contrade di Santa Margherita appena al di là del Ponte e del Rio di San Pantalon, ma anche quelle misere dei Pescatori dell’Anzolo e di San Nicolò della Mendigola, e perfino quelle vicine di San Barnaba, San Basilio e San Trovaso ... Una bella roba insomma, un sollievo per tutti.
Accadde poi nel 1311, che Ramberto PoloVescovo di Castello-Olivolo successore del Querini, storicamente non ancora titolato come Patriarca, non gradisse quell’esenzione concessa dal predecessore, per cui determinò che si riprendesse a riscuotere da parte di tutti i Veneziani la solita Tassa Funeraria ... erano soldi: e non pochissimi.
Apriti cielo ! … i Veneziani interessati non ne vollero sapere: quello doveva essere un privilegio-esenzione perpetua.
Tira e molla: il Vescovo con i suoi da una parte, i Contradaioli Veneziani dall’altra … Si venne prima alle baruffe e poi alle mani, finchè quando il Vescovo si presentò per l’ennesima volta a Dorsoduro con tono severo e pretenzioso dal Piovano della Contrada di San Pantalon: Prè Bartolomeo Dandolo, i Veneziani in un gran tumulto e insorgere di popolo semplicemente lo fecero fuori.
Si si … Proprio uccisero il Vescovo di Venezia presso il luogo chiamato da allora: “il Malcantòn”(zona vicina ai Carmini e Piazzale Roma), e tutto accaddeper via di quella Tassa Mortuaria che nessuno voleva pagare … e a ragione.
Ed eccoci al dunque: mezza Venezia venne immediatamente scomunicata, giudicata rea e meritevole della Dannazione Eterna, mentre l’altra metà di Venezia, quella “buona e obbediente”, si contrappose a quella “cattiva”… Ed ecco qua quindi: Castellani e Nicolotti.
La Leggenda Veneziana poi infiocchettò e abbellì di dettagli quella contrapposizione storica con la Lotta dei Pugni in cima ai Ponti, con le Regate in Barca, e con le dimostrazioni e contrapposizioni “di forza” in Piazza e davanti al Doge delle due fazioni … Si disse che al termine di una storica contrapposizione si sarebbe deciso“a suon di botte” quale delle due Fazioni fosse stata la prevalente, cioè la migliore … I Rossi di Castello Arsenalotti chiamati spregiativamente “Gamberi Rossi”, o i Neri Pescatori e Barcaroli di Dorsoduro detti “Ombre da Morto”?
Vinsero quelli di Castello dichiarando gli altri in modo spregiativo come Nicolotti cioè: poveracci, morti di fame, mentre se avessero perso loro sarebbero stati nominati: “Bragolotti”, cioè “fangosi”, riottosi e bassi come un porco nello stagolo … “Merdosi” insomma ... Erano espliciti i Veneziani di un tempo.
Mi fermo qua: il resto lo sapete già meglio di me ... Tutto in seguito divenne tradizione Veneziana e celebrazione ludica annuale “tipo regata”, una sorta di gara agonistica, “una guerra a canne e bastoni, pugni e calci, botte e coltelli e sciòmpe in acqua”, che finì con l’allietare i Veneziani d’altri tempi.
Una mattina qualsiasi di febbraio 1848 si rinvenne sui gradini dell’altare della Madonna della Salute due sciarpe rosse e nere: Castellana e Nicolotta, annodate insieme ... Venezia stava lottando unita contro gli Austriaci “Peste di turno” calata a ghermire Venezia.
Io sono orgoglioso adesso di abitare a Santa Marta: terra dei Nicolotti di San Nicolò dei Mendicoli dove nell’aria aleggiano ancora spumeggianti quanto invisibili queste belle memorie storiche Veneziane.
Santa Margherita abita a Venezia
#unacuriositàvenezianapervolta 207 … Attenzione: prodotto ostico, pesante e noioso, non adatto a chi ha fretta e non ha tempo e voglia.
Santa Margherita abita a Venezia
Campo Santa Margheritaè luogo oggi da sballo, ma anche da nostalgia e memoria … Io ho vissuto lì per diversi anni: so dov’è, cos’è, com’è … e so anche come si è trasformato e che cosa è diventato oggi. Da campo iperattivo delle cose di tutti i giorni e del vivere spicciolo popolare di Contrada, campo politico e del lavoro, cassa di risonanza dei bisogni sociali … a parco dell’evasione traslucida alterata dell’affidamento al sapore dell’alcol e della droga, e del “qua qua qua & bla bla bla”fine a se stesso.
In mezzo al Campo qualche decennio fa c’era la sala giochi, ma succedeva anche la vita e il lavoro di ieri con “la pescaria”, i banchetti, i fiori, la panna con gli storti, la Merceria allo Stendardo, “el Capòn” e le Osterie, la macelleria “dei tòsi”all’angolo, le panche delle chiacchiere fra gli alberi e i pozzi, l’edicola e i concerti sul palco della musica e delle manifestazioni del Carnevale … Prima ancora c’erano i panni stesi ad asciugare allineati sulle corde delle “forcàe”a flottare al vento e nel sole.
Tuttavia voglio parlarne … Giorni fa una che mi legge saltuariamente vedendo una foto che ho pubblicato su Draghi e Leoni Veneziani mi la lasciato basito: “Sono foto che certificano la presenza di figure aliene in Laguna … Le abbiamo sempre avute sotto agli occhi, ma è come se non li vedessimo…”
“Mamma mia !” mi sono detto … e sono ancora qui a pensarci: “Incredibile !” ho aggiunto fra me e me: “Quelle sono semplicemente le statue che rappresentano il vecchio Mito-Leggenda delle Storie di Santa Marina e del Drago … Altro che alieni in vacanza a Venezia!”
Mi sono detto ancora: “E’ meglio se scrivo un po’ circa quei manufatti curiosi che ci trovano ancora oggi all’angolo di Campo Santa Margherita … Sono là sotto agli occhi di tutti, ma rischiamo di perdere il loro autentico significato.”
Sono consapevole che “non esiste peggior sordo di chi non vuol sentire”, e che se uno si è messo in testa che quelle statue sono certificati e carte d’identità di alieni sarà difficile smuoverlo da quella sua certezza … Che fare ? … Ci provo lo stesso a dire come sono andate un po’ le cose in quella parte di Venezia.
Probabilmente l’Ospedaletto ha seguito le vicende della chiesa e della Schola di Santa Margherita e viceversa ... La chiesa a un certo punto: nel 1687 precisamente, subito dopo la grande Pestilenza-Moria che affossò e martoriò Venezia, venne voltata e rifatta … Ci furono lasciti e finanziamenti, perciò i Preti del Capitolo di Santa Margherita provvidero a ingrandimenti e miglioramenti radicali dell’edificio della chiesa … Ne beneficiarono anche le “conviventi” attività assistenziali ? … Si: di certo, perché come dicevo poco fa: Chiesa-Schola-Ospizio erano un tutt’uno inscindibile … Santa Margherita era insomma un altro di quei “pacchetti sanitari urbano” tipici di Venezia: un’altra piccola cittadella assistenziale come quelle di San Giobbe o Sant’Anna di Castello, e diverse altre in città molto utili alla popolazione e a servizio efficace del territorio.
Sanità d’altri tempi a Venezia … In Laguna per secoli la Salute del Corpoè andata perfettamente a braccetto con la Salute dello Spirito in maniera inscindibile: era arduo distinguere il labile confine che c’era fra l’uno e l’altro. Di conseguenza in diverse Contrade Veneziane, e quindi anche in Campo Santa Margherita si confondevano e sovrapponevano Rimedi e Semplici con Litanie e Suppliche ai Santi e alle Madonne, e dove finiva la chiesa iniziava l’Ospizio-Ospedaletto, mentre dove terminava la Schola si andava ad affacciarsi nelle due attigue Spezierie del Campo, e dove finivano i Pretiincominciava e si prolungava l’opera della Serenissima.
Se andate a vedere nei Catasti Napoleonico e Austriaco vedrete che tutta la zona era ancora evidenziata come unico complesso inscindibile che includeva la chiesa ... Purtroppo rimangono scarsissime tracce di tutta la vicenda inerente la Schola-Ospizio-Ospedaletto.
L’Ospedal de Santa Margherita poi non va confuso con un altro Ospedalettoche sorgeva poco distante: l’Ospizio Contarini. Si trattava di 8 semplici caxette-cameracucina che s’affacciavano su una corte interna da un ballatoio ligneo visibile tuttora … Il piccolo complesso assistenziale fu voluto da un Nobile Contarini che lo fondò per ospitare meretrici pentite fin dal 1407: “… si qua peccatrix publica vel occulta vellet se reducere ad benefaciendum et dimittere peccata, dicta domus sit disposita ad recipiedus tales peccatrices et eas retinendum.” ... Una pàtera un tempo murata sulla facciata dell’Ospizietto è stata spostata nella vicina Calle del Magazen. Raffigurava la Leggendaria Santa Maria Egiziaca: la famosa Peccatrixrifugiata fra le sabbie del Deserto insieme a San Zosimo(che non è Pope Zosimus: il Santo Ebreo, bensì il Santo Greco-Ortodosso Monaco e Anacoreta che assistette e alla fine seppellì Maria Egiziaca). L’Ospizio Contarini esiste ed è abitato ancora oggi come parte dell’Opera Pia Zuane Contarini gestita dall’I.R.E. di Venezia, ed è visibile in Calle Ramo Secondo Cappello al civico 3373/a ... E’ suggestivo riconoscerlo … Alla sua gestione un tempo la Serenissima delegò ben Sette Commissari.Poco distante, sempre in Campo Santa Margherita, esistevano altri due Ospizi confinanti fra loro: lo Scrovegni e il Boccoentrambi prospicenti sul Rio della Scoazzera, cioè la discarica pubblica a cielo aperto sulla Secchera del Rio, oggi interrato, che nel 1700 lambiva la famosa Schola dei Varoteri…. Gli Ospizi sorgevano nella parte brutta e puzzolosa della Contrada: nella zona meno appetibile e adatta all’insediamento delle attività dei Mercantie per le residenze sontuose dei Nobili Veneziani.
L’Ospizio Scrovegni fu voluto col testamento del 1421 da Maddalena Scrovegni figlia di Ugolino(quello che commissionò la celebre Cappella Scrovegni di Padova). Donna ricca ed erudita, la Matrona Padovanaaveva casa e abitò a lungo in Contrada di Santa Margherita da noi a Venezia, e fu per l’affetto verso la gente della Contrada che destinò un cospicuo lascito-capitale per dare alloggio a donne povere del posto. Il suo lascito venne posto affidato alla tutela e giurisdizione dei Proveditori de San Marco de Citra.
Il contiguo Ospizio Bocco, invece, venne eretto “per testamento 18 novembre 1403” di Meneghina Relicta (Vedova)di Zane Bocco della Contrada di San Salvador. In quella Contrada limitrofa a San Marco i due coniugi avevano voluto fondare dodici caxette, cioè dodici posti letto (spesso monolocali con semplice angolo cottura e senza servizi) per altrettante povere donne: “bòne femmine” che avevano obbligo di residenza stabile e di non subaffittare il locale, né di ospitare altre persone. L’Ospizio di Campo Santa Margherita fu l’evoluzione e la sintesi di quell’iniziativa forse troppo costosa da mantenere, perciò si unificò tutto compattandolo in un unico edificio suddiviso in più piani destinato allo stesso scopo: fu l’Albergo Margherita detto poi Ospizio Bocco.
Lungo i secoli fu esemplare la gestione di quegli Ostelli-Ospizi, finchè finirono con l’essere trasformati come tanti altri in abitazioni private dopo vari passaggi di proprietà iniziati con l’arrivo a Venezia di napoleone. Ripudiando e non rispettando la vocazione primitiva di quei luoghi lasciati con un ben preciso motivo assistenziale-caritatevole, sia Chiesa che Civico, che Congregazione di Carità e I.R.E. si dedicarono a guadagnarci ampiamente sopra in barba ai principi che tanto acclamano e ostentano. Hanno venduto quasi tutto, affittando a conoscenti non bisognosi, trasformando, e riavviando come alberghi a scopo di lucro turistico … E’ la Storia di Venezia … Cosa che conosciamo bene ormai.
Torniamo però ora a Santa Margherita con la sua Chiesa e Campo dicendo due parole sul senso della Leggenda di Santa Margherita che i Veneziani di diversi secoli avevano ben chiare e presente in mente ... La faccio breve.
Santa Margherita insomma, al pari di molti altri Santi e Santi faceva parte della Categoria dei Santi Sauroctoni… cioè di quelli che hanno avuto a che fare col Dragoche rappresenta il Male del Mondo ... La lista è lunghissima anche a Venezia: in primis San Giorgio seguito a ruota da San Teodoro, Santa Giustina, San Silvestro e poi tutti gli altri … Il significato del Drago lo si conosce: era la Bestia Maligna e Demoniaca in cui si riassumeva e personificava ogni forma di Male Antico contro cui l’Umanità di sempre aveva dovuto scontrarsi, confrontarsi e combattere … I tanti Covid accaduti lungo i secoli per intenderci … Per Venezia poi: il Mareera anche il luogo dove abitava il Male perché insieme ai guadagni delle avventure mercantili della Serenissima, dava anche occasione di Morte, naufragi, perdite, disastri, piraterie e sconfitte ... Ne ho già parlato qualche giorno fa: non è stato un caso se in Piazza San Marco si è inalberato sulle colonne il Leone Draghiforme accanto e a un altro Drago posto sotto ai piedi del San Todaro: Venezialungo i secoli è sempre stata disposta a combattere contro ogni forma di Nemico e Male che in qualche modo si presentassero a limitare i suoi ideali e desideri soprattutto economici.Santa Margherita aveva una sua curiosa Storia-Leggenda antica, che non vi racconto per non annoiarvi … Andatevela a vedere: fu l’ennesimo esempio di figura di SantaPatrona che erompeva dal cielo sopra Venezia per scendere a dare una mano al vivere di quelli della Contrada Veneziana con tutti i suoi problemi spiccioli quotidiani.Andando alla Storia e alla Tradizione Veneziana, la chiesa di Santa Margherita risulterebbe fondata ed edificata, anno più anno meno, intorno al 837: al tempo del Doge Pietro Tradonico. Venne finanziata e fatta costruire da Geniano Busignacco padre di Mauro o Maurizio-Vincenzo, che come quinto Vescovo di Olivolo-Castello consacrò il nuovo edificio di Culto nel 853(morì dieci anni dopo quel gesto) dopo esserne stato uno dei primi Piovani. L’edificio originale di cui rimane la statua di Santa Margherita inclusa in alto nella facciata prospiciente il Campodopo la rifabbrica della chiesa nel 1034, era rinomato come racconta il Sabellico,perché aveva una cappella centrale cupolata, dorata e decorata da mosaici bizantini sostenuta da quattro grandi e grosse colonne di marmo orientale: “… aveva inizialmente abside tutta d’oro adorna di mosaici d’una meravigliosa antichità e da una grande cupola sostenuta da quattro splendide colonne di marmo orientale …”Non a caso il Rio che attraversava il Campo prese quindi il nome di Rio Businiaco, come attestano documenti del 982 dove si accenna che lì sorgevano: “… aliis duobus aquimolis positis in Rivo Businaco” di proprietà di Tribuno Memmo ... C’erano cioè due mulini ad acqua funzionanti in Contrada … Provate un po’ a immaginarveli insieme alla Venezia e alla Contrada di allora … Nel 1013 si segnalava addirittura la presenza di un Lago e Rio Businiaco: “… lacu de aquimolum desertum que est posito in Dorsoduro iuxta Rivo Businiaco...” passato in proprietà dai Memmo ai Monaci Benedettini del Monastero della Santa Trinità e San Michele di Brondolo di Chioggia allora molto potenti e ricchi.
Più di cento anni dopo, nel 1130, i documenti parlano di:“… pantano in capite Rivo Businiaco …” nella Contrada-Confinio di Santa Margherita, dove abitava Pietro Malaza che andò ad attestare insieme a Pietro Venier e Vitale suo figlio dal Confinio di San Cassian presso Johannes Presbiter et Notarius a Rialto circa l’avvenuta esecuzione dell’obbligazione con cui Serzi dal Confinio di San Giovanni Confessore (Crisostomo) sposò sua figlia Englerada con Matteo Manolessodal Confinio di San Gervasio (San Trovaso) promettendo alla figlia lire 200 come “repromissa”, e lire 100 allo sposo “pro honoricentia” ... Che confusione di dati vero ? … Ma andò così.
Nel 1168 un violentissimo incendio storico avvolse quasi tutta Venezia facendo diventare un cumulo di cenere e macerie le chiese e Contrade dell’Anzolo, San Basilio e San Barnaba, e nell’OltreCanalequelle di San Samuel, San Luca e San Beneto. Si salvarono rimanendo quasi miracolosamente intatte le Contrade di San Vidal, Sant’Anzolo, San Maurizio, San Bartolomeo di Rialto, San Zulian e San Fantine nell’OltreCanale: Santa Margherita e San Trovaso.
Nel novembre 1195 Giovanni Barastro del Confinio di Santa Margheritaera Procuratore dei redditi e dei terreni in Costantinopolidel Comune di Venezia ... mentre nella seconda metà del 1200 Johannes Flabanico Chierico di Santa Margherita era uno dei Notai più famosi, ambiti e ricercati di tutta Venezia.
Correndo il Tempo … Nel 1314 si decretò l’interramento della zona paludosa, la così detta Piscina di Santa Margherita, determinando l’esistenza dell’attuale Campo e bonificando aree che divennero utili per successive edificazioni. In precedenza nella stessa zona s’erano create alcune Chiovere utilizzate dai Tintori di Panni, soprattutto da un certo Zanino de Lismano, che ottenuto il permesso d’estendersi e allargarsi di circa 26 passi e 3 piedi, creò un suo laboratorio sulla troppo molle Palude Businiaca che si crepò facendo crollare l’edificio.
Nel 1325 Marino Civran era Plebanus di Santa Margherita, e cinque anni dopo una certa Pizzocchera Bisina o Risina Vendramin iniziò a versare ai Preti di Santa Margherita un canone d’affitto annuo di otto grossi fabbricandosi nel campanile della chiesa una piccola celletta dove viveva solitaria da eremita. Ogni giorno la donnina attraversando un piccolo passaggio interno ricavato fra case e chiesa, s’arrampicava fino ad affacciarsi sulla sommità della cupola della chiesa, e da lì in alto assisteva agli Uffizi Divini, alle Funzioni e alle numerosissime Messe lette, cantate e celebrate dai Preti del Capitolo. Come unica libertà si riservava solo di recarsi ogni anno nella notte prima della Festa della Sensa fino alla Basilica di San Marcoper acquisire e lucrare le “favolose Indulgenze” che lì venivano concesse ai Fedeli Veneziani e ai Pellegrini di passaggio in partenza per le Vie di Terrasanta, Roma, Assisi, Loreto e San Michele del Gargano.
Subito dopo, al tempo del Doge Andrea Contarini, accadde la Guerra contro i Genovesi che presero Chioggia. In quell’occasione quelli della Contrada di Santa Margherita non si tirarono affatto indietro, e concessero numerosi “imprestiti” allo Stato Veneziano quasi diventato Serenissimo. La Contrada mise insieme la bella cifra di 76.500 lire, e si distinsero nell’offrire i 19 NobilHomeniresidenti, soprattutto tre, e sopra tutti: Sier Nicolò Foscoloche sborsò 6.000 lire. Ci furono anche altre donazioni significative da parte di 18 contribuenti abbienti: il Fante Bortolamio De Bone Donado Campàzo diedero 800 lire ciascuno; gli eredi di Sier Maffio Dalla Stoppa offrirono 3.000 lire; MaDonna Seconda Da Pozzo: 500 lire come l’Orese Pier Fontana; Marco Zonazi e Mario Sapa sborsarono 300 lire ciascuno; Nicolò Dal Soldo: la bella cifra di 2.500 lire. Il migliore fra tutti fu un certo Zorzi Epa, che meravigliando l’intera Contrada di Santa Margherita offrì l’eclatante cifra di 20.000 lire ... Perché poi quella generosa beneficienza allo Stato non si trasformò in benemerenza facendolo diventare Nobile come molti altri: non si sa … Scomparve nel nulla.
Nel marzo 1377 il Maggior Consiglio autorizzò la neonata Schola de San Vettor e Santa Margarita acostruire la propria sede presso il campanile della chiesa di Santa Margherita occupando lo spazio rimasto libero a ridosso della navata destra ... Il primo di aprile seguente: la Schola stipulò il suo Atto di Fondazione iniziando a redigere la sua Mariegola.
Negli ultimissimi anni del 1300: Bellello Civran di Giacomo residente nel Confinio di Santa Margherita era Procuratoredi Andrea Civran Abate di San Cipriano di Murano. Come tale rilasciò a Rialto davanti a Victor de Mapheis Domini Ludovici Notarius Publicus Imperialis et Veneta Auctoritate: una quietanza a Lorenzo Dolfin di Martino del Confinio di San Salvador& Consorti. La ricevuta riguardava il pagamento di un Livello dovuto al Monastero Muranese di lire 10 e grossi 23 d'oro annuali per la concessione dello sfruttamento delle acque della Valle Lagunare del Cornio, e dei Fondamenti Valier, Mare e Molino dove appunto sorgevano diversi molendini ad acqua.
Nell’ultimo anno del secolo: il 1399, a Justinopoli, cioè a Capodistria in Slovenia: Leazario Porcello da Venezia Vicedomino di Capodistria e SubProcuratore di Bellello Civran di Giacomo del Confinio di Santa Margherita di Venezia, Procuratore del Monastero di San Cipriano di Murano concesse in affitto per 29 anni a Mastro Andreolo dalla Fornace di Serravalle residente in Capodistria, un casale sito a Capodistria in Porta San Martinoper annuo canone in denaro ... Nello stesso tempo, e sempre là: Bernardo Foscarini Podestà e Capitano di Capodistria pronunciò, dopo debita perizia e ispezione, una sentenza con cui dichiarava Michel Sivez da Porta San Tommaso decaduto dalla concessione di una vigna “ad pastinandum”, avuta dallo stesso Leazar Ponzelo a cui accennavo poco fa, in quanto non l’aveva lavorata debitamente rovinandola e riducendola a “barèto”.
Giri d’affari dei Veneziani di Santa Margherita del lontanissimo 1300 ... curiosi secondo me.
All’inizio degli anni ’30 del 1400, Andrea Davanzago già Piovano di Santa Margherita e Procuratore della chiesa di Santa Maria Materdomininel Sestiere di Santa Croxe, venne nominato Sindacoin una sentenza arbitrale voluta dal Vescovo futuro Primo Patriarca Lorenzo Giustiniani ... Quattro anni dopo, Nicolò Corner quondam Marco, sempre di Santa Margherita, lasciò la sua proprietà di Tombelloin prima battuta ai Frati della Certosa di Sant’Andrea del Lido, e qualora fosse stata soppressa la Certosa: “ai povari e miseri della Parocia et Contrada de Sancta Margheritadel Sestier de Dossoduro in Venèsia”.
Nella terza parte del 1400 la rivendita di pane in Campo Santa Margherita era gestita da Andrea de Zano, e un Marin Garzoninotificò di abitare sopra la Savoneria di Calle dei Saonèri in Contrà de San Barnaba un tempo soggetta alla Parrocchia di Santa Margarita.
Nel 1408 il Consejo dei Diese autorizzò la Schola di Santa Margherita a inglobare nella sua sede anche l’ultima porzione di terreno rimasta disponibile in Campo "fin al cantòn del campaniel … per essere stimato meglio evitare l'inutile callesela cieca, nella quale finirebbe per accumularsi solo immondizia.”… Quarant’anni dopo si stava ancora lavorando, e la Banca della Schola chiese ai Preti del Capitolo di Santa Margherita di allargare e innalzare ulteriormente la sede della Schola: “… avendo cura di non togliere luce alla chiesa retrostante” ... Al centro della nuova facciata si sarebbe posta in nicchia la statua di Santa Margarita, e si sarebbe abbellito il tutto con fregi alle finestre … Trent’anni dopo ancora la Giustizia Vecchiaobbligò i riottosi, spavaldi e cacciarosi Gondolieri-Barcaroli della Schola del Tragheto de Dentro de Santa Margarita (oggi non esiste più) a iscriversi obbligatoriamente, pena la “revoca del permesso di lavorare e traghettare”, alla Schola de Santa Margherita e Vetòr che stava alquanto prosperando, tanto che fece costruire un’Arca per seppellire i propri Cofrati e Cosorore nel portico della chiesa di Santa Margherita.
Ne derivò un contrasto e una lunga diatriba fra Schole e Gastaldi che durò decenni: i Gondolieri del Traghetto erano tenuti a pagare entro quindici giorni dalla Festa di San Vittore la Tassa di Luminaria della Schola che conferiva loro come ricevuta: “pan et candela”, altrimenti non sarebbero stati accompagnati dal Pennello (gonfalone) della Schola e dai Confratelli durante i loro Funerali ... Singolarissima quella Fraglia di Gondolieri Veneziani: avevano “Stàzio da barche” in Campo San Pantalon appena al di là del Ponte di Santa Margherita da dove traghettavano per ogni luogo di Venezia. La loro sede, invece, sorgeva in Campiello del Tragheto subito dopo la Calle de la Cièsa che costituiva il minuscolo sagrato di Santa Margarita, e possedevano un altro “Stàzio da Barche” anche in Campo San Barnaba dove offrivano barche a nolo verso qualunque punto della città intasando quasi sempre il Rio e bloccando il traffico verso Campo Santa Margherita ... Nello stesso anno, infatti, venne notificato loro: “de no sostare al cantòn de la Riva de Santa Margarita mentre attendevano il proprio turno di servizio, e de tenir in San Barnaba una sola barca ligàda a riva.”
A metà novembre 1529, un decreto dei Pregadi diede ordine di costruire due pozzi in Campo Santa Margarita (visibili tutt’oggi) che sarebbero stati pagati con le rendite dei Traghetti del Canal Grande ... In quegli anni in chiesa il Capitolo dei Preti di Santa Margheritapagava 10 ducati annui all’organista per rivedere e suonare l’organo, e ne spendeva altri 5 “per pagar Cantori e Sonadòri per la Festa della Titolare Sancta Margarita” che durava quattro giorni continuati. Lo stesso Capitolo dei Preti pagava ancora: “… quattro Cantori per la Settimana Santa che cantava li Passii alla Domenica dell’Olivo, le Lamentatiòn al Mercore Santo, il Zuoba et il Venere Santo, et cantava il Passio, l’Adoration del a Croxe, e par far la Procession il Venare Sancto attorno la Contrà: in tutto ducati cinque ...”
L’8 giugno 1581 passò in Contrada la Visita Apostolica di Roma che voleva conoscere e sapere tutto di tutti: sia della Parrocchia, che della Collegiata dei Preti, delle Schole, che della Contrada. Nei verbali di resoconto di quell’insolita Visita si può ancora leggere: “La Contrada conta 2.089 abitanti con solo metà che fanno la Comunione … Il Capitolo dei Preti conta il Parroco-Piovano e altri due Preti, e un Diacono che percepiscono annualmente 111 ducati, l’uso della casa, e gli incerti di stola ... Ci sono inoltre un Suddiacono e tre Chierici che costano un ducato l’anno, mentre la Fabbriceria della chiesa movimenta 30 ducati ... La stessa chiesa possiede sette Mansionerie di Messe del valore di 142 ducati che vengono celebrate sui sei Altari di chiesa: Santa Margherita, San Leonardo, Santa Trinità, l’Altare di NostraDonna, San Vittore e il Santissimo di cui c’è anche la relativa Schola ...”
Verso la fine del 1500, il laico quarantenne da Udine Valentinus Odoritius con moglie e figli teneva Scuola da cinque anni a Venezia insegnando “Lezo de humanità” a venti alunni di Santa Margherita ... Insegnava anche un Zago Maggiordella chiesa di Santa Margherita facendo “ripetitòr a de puti pizoli” fra cui un certo Battista. Tale Zago dichiarava: “… Lezo secondo el Concilio la Dottrina Cristiana del Prete Canisio Jesuita … e po di Vergilio, Oratio, Ciceron la Rethorica ad Rhenium. A quei più piccoli La Bucolica de Virgilio et la grammatica del Guerin ... Sei o sette fanno epistole, li altri latinano per tutte le regule.”… Sandrus Lanza Chierico ventiduenne, invece, insegnava Grammatica da un anno a tre alunni in casa di Giovanni Garzoni a Santa Margheritaspiegando:“… Al più grando ghe lezo el Vives solamente, alli altri ghe fazo far Latin per neutri.”… Negli stessi anni l’Abate Stefano di San Tommaso dei Borgognoni di Torcello intendeva trasferire i suoi Frati in un nuovo Monastero impiantato nella più salubre Venezia: possibilmente in Contrada di Santa Margherita… Il progetto non si concretizzò.
Negli ultimissimi anni del secolo scoppiarono dei litigi fra i Sodales(gli iscritti) della Schola di Santa Margherita e il Capitolo dei Preti della stessa chiesa … Motivo del contenzioso ? …. Sempre i soldi da ricevere, riscuotere e spartirsi … Quelli della Schola minacciarono di trasferirsi dai Frati Agostiniani di Santo Stefano pronti ad accoglierli … Alla fine intervennero i Provveditori da Comun della Serenissima che costrinsero tutti a trovare un accordo … La Schola rimase quindi in Santa Margherita rinnovando la propria Mariegola… Le spese per la Festa del Titolare sarebbero state a carico della Banca della Schola nei cui Capitoli Generali avrebbero votato solo quelli della Banca… I Preti del Capitolo di Santa Margheritaascritti gratuitamente alla Schola avrebbero celebrato in chiesa il giorno della Festa della Patrona-Titolare appositamente per quelli della Schola, e avrebbero partecipato alla Solenne Processione per il Campo ... I nuovi iscritti con candela accesa in mano sarebbero stati accettati in ginocchio davanti all’Altare della Schola nella chiesa di Santa Margherita, dove doveva ardere “un cesendello perpetuo giorno e notte senza interruzione”... I Barcaroli-Gondolieri del Traghetto… sempre loro … dovevano versare una Tassa di Benintrada di 3 lire a testa …
I Gondolieri del Traghettostanchi di quel trattamento si dissociarono dalla Schola aprendosene una per conto proprio.
Qualche anno dopo gli anni funesti della Peste della Madonna della Salute, cioè nell’aprile 1633, il Pistor Mattio Rizzo di Santa Margheritavenne decapitato per ordine del Consiglio dei Dieci… A fine 1670 nella Pistoria de Santa Margarita si consumavano 4.461 staia di farina, mentre in Contrada si contavano 46 botteghe … Cinquant’anni dopo se ne contavano: 59 con due Forni… e trent’anni dopo ancora: le botteghe erano diventate 70 ... la Contrada prosperava.
Nel marzo 1659 il Capitolo de la Scholade San Vetòr e Margharita alzò la voce ancora una volta contro i cocciuti, ticchignosi ed esosi Preti di Santa Margherita:“… non sarà impedito al Piovano Pre Domenico Rapacino di fare per sua devozione il nuovo Altare a San Domenico sull’area della Schola … Viceversa: non s’impedirà che siano rimessi a muro i quadri della Schola con i “Miracoli de San Vetòr apena restaurài” ... Il nuovo Altare non dovrà mai essere concesso ad altri privati e Schole senza l’espressa autorizzazione della Schola stessa di Santa Margherita.”
Quelli che vediamo attualmente in Campo sono i resti della ricostruzione della chiesa di Santa Margherita del 1687 realizzata dall’architetto e pittore Giambattista Lambranzi su commissione del Piovano Prè Maria Moro“col generoso concorso dei parrocchiani”, che voltò la chiesa spostando l’ingresso principale dal Campo sulla Calle: “… il Campanile viene rivestito di bugnato nella parte inferiore, l’arco della porta incorniciato da un mostro ... si fa corrispondere un esterno dimesso ad un interno sontuoso.” L’operato del Maestro, le misure dell’edificio e la qualità dei materiali della “cjesa de Santa Margharita in salizàda”vennero valutati nel 1694 dai Giudici del Piovego tramite i Periti Mattio Rendello e Alessandro Ventura ... Sul soffitto è visibile ancora oggi un affresco col “Martirio di Santa Margherita d’Antiochia” realizzato da Antonio Zanchi che probabilmente decorò buona parte dell’interno della chiesa. Di fuori si notava l'edificio della chiesa in buona parte inglobato con le abitazioni sorte attorno quasi ad amplificarne e integrarne l’opera-attività caritativa … Oggi è visibile il caratteristico “campanile mozzo” realizzato nel 1305, la cui cella campanaria e cupola sommitale sono stati ribassati di 14 metri nel 1808 per problemi statici dopo un furioso incendio del 1800 ... In quell’occasione il campanile mozzo divenne abitazione ... e lo è tuttora.
In occasione di quella stessa ricostruzione di chiesa, la Schola di Santa Margherita e dell’Ospedalettosi trasformò in Sovegno assumendo un taglio più assistenziale, previdenziale e sociale: si stabilirono nuove Tasse di Benintrada e nuove “quote mensili”da pagare da parte dei Confratelli e delle Consorelle della Contrada ... Si stabilì “l’entità dell'obolo” che ogni Confratello era tenuto a versare durante le Messe Funebri in caso di morte di ogni Confratello-Consorella … “In sepoltura” si doveva celebrare un Esequialee tante “Messe lette” quanti erano gli iscritti dell’intera Schola ... “L'assistenza e il sussidio per malattia” sarebbero stati disponibili per i soli iscritti soltanto a sei mesi dall'atto dell’iscrizione e solo dopo i relativi versamenti ... Gli iscritti che s’ammalavano “fuori dalla Dominante” potevano percepire il sussidio soltanto al ritorno in Patria ... Non era previsto sussidio in caso di ferite apportate, “Morbo Gallico”(Sifilide) e mali incurabili ... Per le“spese di sepoltura” si riconosceva il contributo di un ducato agli eredi se la tumulazione avveniva nell'Arca della Schola davanti alla chiesa, o di due ducati se venivano seppelliti da un’altra parte.
Nel 1691 il Capitolo dei Preti comunicò al Capitolo della Scholache avevano bisogno di spazio per realizzare una nuova Sacrestia... Se la Schola cedeva l'area di loro pertinenza a pianoterra col locale sovrastante l'Altare dell'Annunziata, avrebbero ricevuto in cambio l'uso in chiesa del prestigioso Altare del Cristo collocato giusto a fianco dell'Altar Maggiore ... La Schola in stagione di difficoltà economiche ci pensò … poi accettò provando a rimpolpare il suo prestigio:“trovarse in cjesia più vicini a Dio xè mègio” ... Nella stessa occasione restituì ai Preti il "Solèr de San Vettor" (grande simulacro processionale in legno decorato da portare a spalla) che non sapeva più dove collocare, e si rassegnò a tenere le sue consuete riunioni sulle panche della chiesa.
Nel marzo dello stesso anno, cioè un pugno d’anni dopo la fatidica Peste che falcidiò Venezia ancora una volta, iniziò in Chiesa e Contrada una nuova Devozione, cioè si fondò la Schola-Sovegno della Beata Vergine del Santissimo Rosario… Il meccanismo era sempre lo stesso: Registri di Cassa, Libri di Messe da pagare e celebrare, Registri d’Iscritti, Versamenti e Multe dei 60 “Associati”, Registri con i verbali delle Riunioni Capitolari, e liste infinite dei gesti di elemosina e Carità rigorosamente denunciati per esteso fin nei minimi particolari ... Sette anni dopo, nel 1698, alla Visita del Patriarca Giovanni Alberto Badoer risultava esserci in chiesa il simulacro di una preziosissima Madonna del Rosario Vestita fornitissima di abiti e ori. Secondo gli Inventari dell’epoca “la MaDonna” possedeva un ricchissimo guardaroba consistente in biancherie, 29 abiti, 13 veli, 2 stellari di rose e 48 gioielli con cui veniva di continuo “cambiata”seguendo le scadenze del Calendario Liturgico ... Due anni dopo ancora, come indice della “buona stagione Devozionale” che stavano vivendo la Contrada e Chiesa di Santa Margherita, si stipulò un contratto con Antonio e Alberto Bettamelli che realizzarono “entro la Pasqua dell’anno successivo” un nuovo Altare in chiesa “ricco di figure sulla cima” in tutto simile a quello Maggiore dedicato a Santa Margherita ... In realtà l’Altare divenne “agibile” solo dopo l’estate: per la Festa del Rosario di ottobre quando si teneva una grande Processione per il Campo e tutta la Contrada, e venne del tutto completato e rifinito nei dettagli per Natale quando si designarono dei Giudici-Arbitri per valutare il lavoro fatto, e stimare i marmi del vecchio altare dismesso dalla cui vendita si ricavarono 90 ducati.A Venezia e in Contrada in quell’epoca si viveva anche di quelle cose.
E’ curioso notare come la Chiesa-Parrocchia-Contrada di Santa Margherita fu gestita per secoli da un’insolita piccolissima Collegiatae Capitolo ridottissimo di soli due Preti titolati, che però furono quasi sempre capacissimi nel “far alto e basso della popolarissima zona Veneziana” ... La Parrocchia-Contrada era affiliata “per necessità di cose” alla chiesaMatrice di San Silvestrodi Rialto dove risiedeva l’ex Patriarca di Grado… era discretamente fornita di“Buone Reliquie”capaci d’accattivarsi Veneziani e Pellegrini di passaggio. Sopra a tutte c’era: la Santa Mascella di Santa Margherita, poi c’era: il Santo Grasso di San Lorenzobruciatoe martirizzato sulla graticola, le Venerabili Ossa dei Santi Severino e Fortunato Martiri, e molto altro ancora… Curiosissimi in se, e “sempre capaci d’attrar l’atensiòn de Venesiani e Forèsti” furono le opere in pietra poste a cintura della chiesa fin verso il ponte di San Pantalon, cioè i rilievi marmorei e in Pietra d’Istria incassati in parete dei Scacciadiavoli, e del Drago-Tarasca della Leggenda di Santa Margherita: “ … anche Venezia aveva i suoi mali, che come Serpe Malefica grampàva in ogni epoca anche i Veneziani di Campo Santa Margherita ... La Santa però stava lì apposta a vigilare in compagnia de San Vetòr, e insieme provvedevano al benessere de Corpi et Anime.”
Quelle opere di pietra stavano insomma a ricordare a chiunque quell’ineludibile lotta incipiente quotidiana fra Bene e Male che coinvolge l’esistenza di ciascuno “grande e piccolo, ricco o povero” in ogni epoca ... Le donne Veneziane portavano i figli e i bimbi a vederle, ed erano occasione per inscenare chissà quali discorsi.
Interessantissimo quadretto di un secolo e mezzo fa !
E non era tutto … C’era ancora una “Crocefissione”diAntonio Zanchi, una “Vergine con Santo armato” e un “Crocifisso e Santi” dipinto forse da Domenico Pasquale collocati sparsi e appesi alle pareti della chiesa.Appeso solitario in un angolo stava un Ciclo di Figure appartenenti alla Schola del Varoteri, e si poteva infine ammirare: la “Cattura di Gesù” e “Gesù inchiodato in croce” di Giuseppe Enzo, e la “Moltiplicazione dei pani e dei pesci” e “Mosè che fa scaturire le acque”dipinti daAndrea Vicentino.
Santa Margherita, insomma, era una specie di piccola e fornitissima Pinacoteca di preziosissime Opere d’Arte Sacra.
Sempre perché Contrada molto attiva e in posizione strategica rispetto a “dove si arrivava e partiva da Venezia”(cioè dalla vicina Contrada dell’Anzolo Raffael), la Contrada finì con l’ospitare oltre ai Nobili anche molte famiglie di Artieri e Lavoratori, che si valevano ampiamente del supporto dei numerosi Pescatori e Fadiganti-Bracciantiche vivevano e prolificavano ampiamente in zona.
In Calle e Corte dell'Asèo (Aceto) prospicente su Campo Santa Margherita e affacciata sul Rio di Cà Foscari e San Pantalon ancora nel 1740 abitava Antonio Aseo in una casa presa in affitto fin dal 1715 dalle Monache della Celestia che ne erano proprietarie. Nelle anagrafi dei Provveditori alla Sanità del 1761 si ricorda un Isepo Aseo Bollador, mentre nel Libro dei Morti di Santa Margherita si dichiara che morì in Contrada il 7 luglio 1775: la settantenne Caterina del quondam Zuane Aseo.
In una lateraleCorte de le Carozze di Campo Santa Margheritanel 1661 esisteva una casa locata dal NobilHomo Pietro Badoer fu Sebastian a Misier Visiu Carrozzer. I Carrozzeri erano inaspettatamente diffusi nell’insulare Venezia … Uniti in Arte con i Selleri, erano “Colonnello”, cioè subordinati, all’Arte dei Tappezzieri e Bolzeri cioè i Valigiai. Una legge dell’8 ottobre 1562 decretava: “Li cocchi, cocchiesse, et carrette non si possino usar con oro, ovver argento in alcuna parte, salvo che netti pomoli, restando del tutto prohibiti li stramazzi, coperte da carretta, collari, coperte da cavalli di seda, o di seda fodrate, ovver ricamate, et medesimamente li pennacchi, et li cocchieri sieno atta medesima condition del suo vestir che sono li famegli de barca … sotto pena a quelli che contrafaranno in questo proposito de cocchi, cocchiesse, et carrette de ducati vinti per cadauna cosa … et cadauna volta che contrafaranno.”… Nota curiosa di una Venezia che non ci si aspetta.
Ancora nel Sottoportico e Corte del Fontego a Santa Margherita esisteva nel 1713 la “bottega serve per fontego di farina affidata alli Fontegheri” gestita da ina certa Laura relicta (vedova) di Antonio Badoer. Oltre ai due principali Fonteghi da Farinadi San Marco e Rialto c’erano attivati in altre parti della città altri quattro piccoli Fonteghi che provvedevano i Veneziani di farina a prezzo calmierato. InPregadi si decise il 07 giugno 1704: “Siano aperti quattro Fontici sparsi per la città a comodo del popolo, cioè: Zuecca, Castello, Santa Margherita e Rio Terrà” ... Fin dal 1731 si aggiunse anche un ulteriore Fonteghetto da Farina al Ponte e Calle del Fontego in Contrada di Santa Giustina nel Sestiere di Castello, che venne dato in gestione nel 1740 a Padron Vincenzo da Rica.
Nel Sottoportico dell'Uvapresso la Contrada di Santa Margherita si coltivava una piccola vigna, mentre in un’altra piccola Corte dell’Orese con Sottoportico lavorava l'Orese del Malcanton. Nello stesso posto abitava nel 1582 Cattarina di Stefani q.m M. Francesco Orese“che possedeva colà varie case, una delle quali era “pro indiviso” colla Magnifica Maria Basadonna e colla Commissaria del quondam Mastro Bartolomeo Orese all'Ancora … Essa Catterina di Stefani dava pure in quell'anno una di tali case a pigione ad un altro Mastro Francesco Orese”.
In Calle Renier o del Pistor in Santa Margherita abitava ovviamente la Nobile Famiglia Renier… Nel 1726: Bernardino Renier di Federico era Senatoredella Serenissima e marito di Caterina Querini. In qualità di Provveditore da Comun fece costruire il pozzo al centro di Campo Santa Margherita facendo incidere il suo nome sulla vera da pozzo ... Fu anche proprietario del Teatro Sant’Angelo dove Carlo Goldoni gli dedicò il dramma in musica "Amore e caricatura"… Nel 1740 abitava nello stesso posto in Contrada il NobilHomo Daniel Renier.Nel settembre 1545 nacque proprio in Calle de Cà Renieruna speciale Devozione per la Madonna Assunta… Nel giro di un anno “la cosa” venne subito adocchiata e subodorata dai Preti di Santa Margherita, e si diffuse, ampliò ed organizzò al punto tale da trasferirsi in chiesa divenendo una nuova Schola-Sovegno dell’Assunta che s’aggregò al Suffragio dei Morti già attivo e presente in chiesa. All’atto della fondazione si iniziò a redigere un’apposita Matricola-Mariegola approvata dai Provveditori da Comun, per la quale 25 sottoscrittori spesero 230 lire e soldi 9 ... Dopo un inizio e una convivenza piuttosto travagliata con “quelli di chiesa”, i Preti del Capitolo garantirono a “quelli della Schola” in procinto d’andarsene che tutto sarebbe andato per il meglio. Assicurarono che la Schola non sarebbe stata mai più molestata circa l’uso dell’Altare da lei eretto a proprie spese, sul quale sarebbe stata celebrata puntualmente una Messa Settimanale, una Messa Ordinaria Mensile, una Messa Solennissima il giorno della Festività Patronale del 25 marzo. Si sarebbe poi predicato ogni lunedì sul suo Altare dove si sarebbe recitata anche “una corona del Rosario”, il Patriarca inoltre avrebbe permesso di esporvi il Santissimo nell’Ottava dei Morti, e la Schola avrebbe infine ottenuto anche una speciale Indulgenza Plenariadal Papa di Roma (cosa che avvenne però solo 100 anni dopo).
La Schola accettò la proposta, e gli Iscritti pagatori di una Tassa di Benintrada di soldi 8 e di altri 4 successivi ad ogni mese, salirono a cento incamerando anche le aderenti a una Compagnia di Buone Donne già presenti in chiesa. In cambio: alla morte di ogni Confratello o Consorella sarebbero state celebrate tante Messe di Suffragio quanto era il numero degli iscritti, per le quali ciascuno doveva versare 32 soldi supplementari, e recitare una “intera Corona dei quindici Misteri del Rosario” ... Gli stessi Preti di Santa Margherita avrebbero celebrato una Messa speciale sotto forma di Esequiale il terzo giorno successivo la Festa dell’Assunta, e un altro Esequiale Annuale nell’Ottava dei Morti.Nonostante tutto questo, nel marzo 1614 la Scuola-Sovvegno dell’Assunta e dei Morti, il cui Guardiano in persona questuava per la Contrada almeno due volte al mese a favore della Schola e della Chiesa, si ritrovò in disaccordo col solito Capitolo dei Preti di Santa Margherita, e non si riuscì più a trovare un’intesa nonostante i Confratelli avessero offerto al Piovano 20 ducati per rifare una campana … Molla tira, e tira e molla: alla fine la Schola rimase ancora una volta in Parrocchia-Contrada, e a fine secolo dopo la ricostruzione della chiesa ottenne dal solito Capitolo dei Preti l’uso di una Cappella della chiesa dove gli iscritti finanziarono la costruzione di un nuovo altare bandendo un apposito concorso a cui parteciparono: Marco Torresini, Antonio Temanza, Alvise Rossi e Antonio Viviani di cui venne scelto e approvato il progetto: “Dovrà consegnare l’altare per la Pasqua successiva … e sui “remenati” ci saranno 5 Angeli di cirmolo fatti da buon scultore, e dipinti che sembrino di pietra…”
Nell’aprile 1708 la Schola, che per gestire la Cassa Contante si serviva dell’Avvocato Paolo Boniotto di Santi Apostoli: uno “abile e di prestigio” che aveva gestito per anni i denari delle grosse Comissarie dei Derelitti nel Sestiere di Castello, pagò lire 600 ad Antonio Zanchi perché dipingesse la pala per il nuovo Altare.
Nel novembre 1729 la Schola manifestò i primi segni di crisi finanziaria: il Capitolo degli Iscritti decise che il sussidio giornaliero di 30 soldi per i Confratelli e Consorelle Infermi sarebbe stato portato a 40 soldi a favore di chi si fosse arrangiato a procurarsi e acquistare le medicine per conto proprio ... La Schola non riusciva più a pagarle di tasca propria alleSpeziarie con cui era affiliata.
Nel settembre di trent’anni dopo: esattamente nel 1759, i Provveditori da Comun avviarono le pratiche per la soppressione della Schola dell’Assunta-Suffragio dei Mortidi Santa Margherita affidandone i beni, la Mariegola ricoperta d’argento, e le 510 once d’argento che possedeva alla Schola del Santissimo della stessa chiesa ... In barba ai decreti tuttavia, nel giugno 1780 esistevano ancora 62 iscritti alla stessa Schola-Sovegno dei Morti dell’Assunta: 34 erano residenti e vivevano in città, soprattutto in Contrada di Santa Margherita, mentre altri 28 abitavano e provenivano dalla Giudecca.
In Sottoportico e Corte San Lorenzo sempre della stessa Contrada di Santa Margarita, esistevano alcune case di proprietà del Monastero delle ricche e famose Monache Benedettine di San Lorenzo di Castello che possedevano altre case insieme a un terreno vacuo e una bottega da Barbier nella vicina Contrada dell’Anzolo Raffael verso San Nicolò dei Mendicoli. Si legge, infatti, in un Catastico del Monastero di San Lorenzo del 1685:“Possede il Monasterio in questa Contrà di Sancta Margaritasopra la Calle va a San Barnaba, e riferisce nella Corte contigua, case n. 5, compresa una bottega sopra la Calle... Erano prima più caxette, quali essendo marze et cadenti, l'anno 1674, Abbadessa la NobilDonna Elena Foscari, furono rifabbricate, et redotte in grando nel n° delle 5 sudette, et nel muro sopra la strada vi fu posta una Pietra viva con l'infrascritta inscrittione: Ruentes Aediculas Ampliori Formae Restituit R.ma D. Elena Foscari Abbatissa. Anno 1674”.Le caxette erano state donate alle Monache con testamento 3 giugno 1248 del NobilHomo Pietro Premarin tramite gli atti di Prè Donato Pievano de San Stin e Veneto Notajo.
In Contrada, come vi dicevo, ferveva attività e vita notte e giorno un po’ come oggi, anche se attualmente si tratta soprattutto di evasiva movida Veneziana. Fra l’altro si suonava, ballava e cantava la “Furlana Veneziana”ricordata ancora nei giochi dei bambini di fine 1800 e fin dopo le Guerre Mondiali quando ancora si cantava: “… le pute de Santa Màlgarita le la ga che ghe spissa … Co' ze 'tempo del butiro tuti i fianchi ghe va in delirio.”... Piccolezzastorica.
Nell’aprile 1710 i Provveditori da Comun sollecitati dal Consiglio dei Dieci costrinsero ancora una volta a trovare accordo fra loro i 55Iscritti-Confratelli-Consorelle della Schola-Sovegno di Santa Marghiritae i Preti del Capitolo della stessa chiesa … Il Clero avrebbe celebrato una Messa Solenne all’Altare della Scholaogni terza domenica del mese e nel giorno della Festa dei Patroni Margherita & Vittor, ma le spese per le cere, le ostie, il vino e i Cantori delle Messe sarebbero state a carico della Schola… E ancora: “… gli argenti della Schola non doveva andare dispersi e prestati ... In attesa di rifare l’Arca delle sepolture di quelli della Schola ormai piena, i Confratelli dovevano essere ospitati e sepolti nelle Arche private del Capitolo dentro in chiesa ... Il Cappellano della Schola doveva essere uno dei Preti Capitolari di Santa Margherita, che doveva celebrare un Esequie Annuale per tutti i Defunti e per ogni Confratello della Schola.”… Sarebbero state chieste ulteriori nuove Sacre Indulgenze a Roma, e dalla Curia Patriarcale sarebbe giunta l'approvazione e i giorni scelti per lucrarle in Santa Margherita come Indulgenza Plenaria: cioè nella Festa di San Vitòre nella domenica seguente, nel giorno dell’Invenzione della Croce, e nella Festa di Ognissanti ... In segno di nuova riappacificazione e intesa con i Preti, la Schola s’impegnò a realizzare un nuovo Altare per il quale Sindaco e Guardiano della stessa Schola donarono una “pala” pagata a proprie spese.
Nel giugno 1765 si pubblicò un libretto a stampa: “Benefici che ricevono li Confratelli descritti nel Sovegno di San Vittore.”
Cinque anni dopo alla fine del gennaio 1745, il Consiglio dei Quaranta sentenziò il bando perpetuo per Marco Pellizèr reo d’aver ucciso con una coltellata alla gola Girolamo Mastella in Calle del Cristo a Santa Margheritadurante un’altra rissa. In seguito, siccome il Mastella era a sua volta “un poco di buono e un ricercato”, al Pellizervenne fatto lo sconto sulla pena riducendola a sette anni d’incatenamento al remo di una Galea con i ferri ai piedi ... Gli era andata bene tutto compreso.
Nel febbraio 1761, invece, secondo quanto raccontano i Notatori del Gradenigo: “Giuseppe Fadiga Tagjapiera a Santa Margherita, fu posto sotto i piombi delle Carceri Superiori per una certa molto disdicente corrispondenza con uno o due de suoi figlioli esistenti nelle città del Littorale Austriaco.” … Nel 1777 Nicolò Bortolatti Prete di Santa Margherita laureato Dottore a Padova, e 4 volte Vicario Generale di Venezia sotto diversi Patriarchi, divenne Arcidiacono del Capitolo di San Pietro di Castello ... una specie di“numero due e VicePatriarca” dell’intera Diocesi di Venezia.
E giungiamo a metà gennaio 1780, quando Veneranda Porta da Sacil di anni 43 e Stefano Fantini da Udine di anni 32 vennero entrambi decapitati per ordine del Consiglio dei Quaranta. L’uomo venne pubblicamente squartato per aver ucciso a colpi di maglio insieme alla donna nella notte del 12 giugno 1779 il marito di lei: Porto Francesco Centenari che se la dormiva tranquillo nel suo letto. Non contenti d’averlo ucciso, lo tagliarono a pezzi buttando i macabri resti nei pozzi del Campo di San Trovaso e in uno di quelli di Campo Santa Margherita. La testa dello sfortunato venne trovata a galleggiare insieme ad altre interiora nel Canale di Santa Chiara vicino alla Zattera del Tintor ... Una cosa crudele insomma, eccessiva, che non meritò alcuna pietà da parte della Serenissima.
Come ogni Parrocchia-Contrada Veneziana, anche la chiesa dei Santi Margarita & Vetòr non mancò d’essere riferimento ed ospitare le Schole e Sovegni d’Arte, Mestiere e Devozione della zona. Innanzitutto e sopra tutti fin dal lontanissimo 1377 trovò spazio e attività in Santa Margherita la Schola poi Sovegno dei Santi Vetòr (Vittore) & Margherita. C’era poi la Scholadei sempre “bellicosi” Gondolieri-Barcaroli del Traghetto di Santa Margherita e San Barnaba, che dal 1477 facevano riferimento alla chiesa del Campo, e c’era la pomposa Schola del Santissimo Sacramentodal 1530.
Accanto al campanile adesso "mozzo" di Santa Margarita, è ancora visibile su una di quelle che sono state le porte d'entrata della Schola di San Vettor e Santa Margarita un rilievo raffigurante un Calice Eucaristico. Si tratta di un simbolo tipico delle Schole del SantissimoSacramento ... Venezia ne è piena. Le Associazioni del Santissimo o del Venerabile, dette anche: Compagnie del Corpo del Signore o del Corpus Domini, nacquero praticamente tutte in epoca Boromaica e post Tridentina con lo scopo d’incrementare ulteriormente la partecipazione alla vita della Chiesa subordinati ai Misteri celebrati dal Clero … Alla “gente comune del popolino basso”, che comprendeva tutti ricchi e poveri eccetto gli Ecclesiastici, toccava sempre di pregare, fare elemosine, pagare per tenere la lampada accesa giorno e notte, rispettare i numerosi precetti che ti dicevano che fare e non fare fin dentro al letto con la moglie, e accompagnare il Prete in giro per la Contrada a portare la Comunione agli Infermi inforcando candelotti e suonando un campanaccio … Ovviamente doveva essere per forza così, anzi: per la maggior parte era ovvio che la Storia funzionasse anche a Venezia in quel modo … A ciascuno il suo: ai Preti, Frati e Monache toccava di pascere, guidare e governare … e intascare … e al Popolo di Dio di farsi carico obbediente di ogni necessità esistenziale e di ogni fragilità assistenziale di chi era più fragile … In cambio: piovevano dal Cielo specifiche Indulgenze ... a pagamento s’intende, e la promessa meritoria di Salvezza nell’OltreVita… che per tutti: poco non era.Dal 1500 le Schole di Devozione del Santissimo divennero le protagoniste fra le Schole in ogni Parrocchia-Contrada, quindi anche le più ricche e solide finanziariamente, anche se non le più frequentate e seguite, pur essendo a differenza delle altre Schole: “residenziali” e non “ospitate o di passaggio” come buona parte di quelle delle Arti e Mestiere... Quelle del Santissimo erano Schole governate e indirizzate dottrinalmente quasi sempre dal Piovano di ogni singola Parrocchia-Contrada, ed erano una specie di “prolungamento e ampliamento locale” di forma laicale di quanto era la chiesa stessa … Praticamente esisteva una Schola del Santissimo in ogni chiesa di Venezia … In seguito, proprio per quel loro stile e taglio specifico, furono le uniche Schole ad essere risparmiate da napoleone.
Nel 1571 la pingue Schola del Santissimo di Santa Margherita fece restaurare i quadri che possedeva in chiesa, e commissionò a Jacopo Tintoretto tre grandi teleri scenografici ad effetto da porre ai lati dell’Altar Maggiore dedicato a Santa Margherita. Si trattava dell’"Ultima Cena” e dell’"Orazione nell'Orto", mentre il terzo telero con la “Lavanda dei piedi" venne collocato accanto all’Altare della Madonna(oggi le tre preziosissime quanto splendide opere possono essere ammirate nella Sacrestia della chiesa di Santo Stefano dove sono state trasposte in epoca napoleonica).
Trent’anni dopo gli stessi della Schola del Santissimo con 35 voti favorevoli e 7 contrari finanziarono e approvarono la riedificazione dell’intero Altar Maggiore di Santa Margheritarealizzando il progetto di Giulio Dal Moro al quale furono offerti 100 ducati … Si diedero anche altre 62 lire per “pietre vive e altri pagamenti” a Melchisedech Tagjapiera marmista di fiducia di Baldassarre Longhena ... Secoli dopo: nel settembre 1702, si fece notare che quell’Altare non era mai stato completato del tutto.
Fatto singolare e curiosissimo legato alle vicende di quella stessa Schola del Santissimo di Santa Margherita: esistono scritti e segnati in un Registro della Schola dove si teneva conto dei pagamenti della Tassa di Luminaria fatta dai Confratelli e Consorelle, anche i pagamenti effettuati da quelli che erano già Morti… Già Morti ? … Si … si. Non si trattava ovviamente di “fantasmi pagadòri”, ma erano i familiari e parenti dei Defunti che continuavano a pagare la Tassa “a nome loro” come estremo e ulteriore gesto di Suffragio e Memoria. Era come se certi Confratelli e Consorelle continuassero ancora a vivere e partecipare in qualche modo alle attività della Schola … Ingegnoso ! … Astuto anche: le pensavano tutte pur di racimolare soldi … Lo chiamavano: “Il Libro della Carittà che si ricava dai Morti”.
E non era tutto … Il Capitolo della Schola non mancò mai di finanziare e pagare al Capitolo dei Preti di Santa Margherita su espressa licenza del temibilissimo Consiglio dei Dieci: una Solenne Messa Cantata ogni seconda domenica del mese, e una Messa di Suffragio con preci ogni giovedì (una ventina di Messe annue per la precisione: a due lire ciascuna)... Inoltre: due questuanti della Scholagiravano ogni lunedì per tutte le strade della Contrada chiedendo soldi per realizzare un nuovo Tabernacolo in chiesa ... Quando il Patriarca Flangini si recò a visitare la chiesa nel 1803, costatò sui registri dell’Archiviodella Schola del Santissimo che si pagavano ancora ai Preti: 32 Messe annue e un Esequiale per tutti i Morti della Schola ...Piccola curiosità: il vecchio bancone degli arredi, degli argenti, e delle “robbe de la Schola del Santissimo di Santa Margherita” si conserva ancora oggi nella chiesa dei Carmini in fondo alla navata di destradove venne trasferito insieme all'Archivio, al “Segnàl” (specie di “logo” della Schola in legno intagliato e dorato infisso su un’asta), al“Penèlo”(gonfalone) e alle suppellettili della stessa Schola.
Ancora in Santa Margheritaesisteva fin dal 1546 la Schola divenuta poi Sovegno dell'Assunta, e dal 1650 una curiosissima e singolare Compagnia delle Nobildonne della Beata Vergine e Santa Margherita, che passò abusivamente qualche anno dopo nella vicina chiesa dei Carminicon progetti e ambizioni diversi… In chiesa c’erano poi presenti le tardive Schole di Sant’Antonio da Padova dell’Arte dei Fioreri dal 1716.
La Schola dei Fioreri di Santa Margherita riuniva nel 1773: 32 Capimastri Artigiani Fiorai e Giardinieri con 4 Garzoni tutti attivi in 17 botteghe e 10 "posti all’aperto” sparsi in giro per Venezia. Curiosa è pure, a mio dire, la storia dei Fioreri Veneziani. SI trattava di lavoratori e gente Veneziana semplice, che non riuscivano neanche ad onorare e assolvere al fatto d’essere associazione … Nel 1716 erano gravemente debitori di oltre 3.905 ducativerso la Serenissima abituata a tassare ogni tipo di Schola d’Arte, Mestiere e Devozione di Venezia e dintorni ... La Schola dei Fioreri di Santa Margherita fu poverissima: riuscì appena a mettere insieme i soldi per tenere due Capitoli nella chiesa di San Zuane dei Furlania Castello: furono gli unici due della sua storia. Non avevano neanche i soldi per mandare in giro un Nonzoloa recapitare agli iscritti gli inviti per partecipare alla convocazione … La Serenissima inflessibile, non vide altra soluzione che sopprimere la Schola dei Fioreri.
C’è da ricordare che in un angolo del Campo gravitando fin da subito e sempre sulla chiesa-Convento dei Carmini nacque e lievitò grandemente la Schola della Madonna dei Scapolari dei Carmini che divenne in seguito una della Sette Schole Grandi di Venezia coinvolgendo moltissimi Veneziani ... Altra storia che meriterebbe di dire molto a parte.
Nel 1783: ultimi squilli storici di Santa Margherita: chiesa restaurata, rifatte le campane per le quali si istituì un’apposita Cassa Spese per Campane, e si scelse “il meglio” per gestire le economie della Fabbrica-Chiesa, cioè il Capitolo dei Preti si rivolse al NobilHomo Francesco Lippomano che venne eletto Procuratoredi Santa Margherita dopo aver ricoperto in precedenza la stessa carica a San Basilio, alle Eremite di San Trovaso, dalle Monache di San Giacomo di Murano, e a San Barnaba.
Quasi contemporaneamente: nel marzo 1769, i soliti Proveditori de Comun iniziano ad istruire le pratiche necessarie alla soppressione della Schola-Sovegno di Santa Margherita e Vitòr ... I tempi erano magri e tristi … e i debiti incombevano.
Nel settembre 1781 si stese un ultimo inventario dei beni della Schola, che possedeva tra l’altro:“… un altar de piera co la so pala … e i locali della Schola sopra il Campo vicino al campaniel contornadi attorno di quadri con la vita di detto Santo …”
E giungiamo finalmente al 23 ottobre 1810, quando la Collegiata dei Preti di Santa Margherita smise d’esistere e di registrare puntualmente quasi in modo maniacale tutto quanto accadeva di significativo nei meandri dell’omonima Contrada Veneziana.
Spendo le ultime parole di questo scritto per dire come tutto in Contrada era meticolosamente segnato giorno dopo giorno in appositi: "Liber Battezzatti Paròcia et Collegiatae Ecclesiae Sancte Margaritae”… "Libri de Morti della Parochial et Collegiata chiesa di Sancta Margarita.” e in mille altre carte e registri dell’Archivio Parrocchiale ... Il Capitolo dei Preti sapeva tutto di tutti: chi nasceva, s’innamorava e maritava e magari poi “contrastava” fra loro, chi lavorava o stentava economicamente, e chi s’ammalava e moriva ... I Preti iniziarono a registrare tutto quanto riguardava “Anime e Sacramentalia” fin dal 1500: “1541 adì primo marzo. Al nome de la S.ma Trinità ed de tuta la corte celestial comenzo mi pre Hieronimo Zuchoniano piovan dela chiesia de madona S. Margarita, dar principio et notar sopra questo presente libro con bona ventura tuti li fioli mascoli che de tempo in tempo nascerà in questa nostra parochia, li quali sarano nobeli et che sun tenuto dar in notta alla Vogaria iuxta il comandamento et le leze dela terra”.
Il Capitolodei Preti considerava i gesti esistenziali di ciascuna persona che abitava in Contrada insieme a quelli esercitati in chiesa come unitari segni-gesti di Salvezza “in fieri”, cioè in divenire:“Tutto associato a una buona dose di orazioni ed elemosine può diventare fautore di un “Buon Destino nell’Aldilà”… Batti e ribatti, quelle divennero le convinzioni di tutti, e la Religione continuò ad essere anche un pingue e grande affare da saper gestire con acutezza ... e i Preti erano “acuti” nel saper gestire quel genere di cose.
C’è poco poi da giustificare, nicchiare, sminuire, compatire, spiegare e girarci attorno: quello delle Messe, Mansionerie, Esequi, Anniversari e affini fu un tema, anzi “un commercio” singolarissimo che ha accompagnato per secoli l’intera storia della Chiesa e Capitolo dei Preti di Santa Margherita (al pari di tutte le altre realtà religiose Veneziane) ma anche di tutta la gente Veneziana e non che ha abitato la Contrada.
Siamo sempre là con i discorsi: le Messe corrispondevano a un considerevole patrimonio che produceva a sua volta ulteriori cespiti, Legati, entrate e soldi, che il Capitolo dei Preti di Santa Margherita per obbligo di Diritto Ecclesialegestiva e registrava accuratamente in appositi “Giornali delle Messe”, "Liber Missarum Ecclesie Sancte Margarite”, "Libro delle messe delli Devoti e Devote” e altro ancora.
Non ve lo nascondo … Io stesso ancora nel 1982-1987 ho continuato a registrare su “Liber”simili le stesse cose, sebbene i tempi fossero cambiati, e le “entrate dal giro delle Messe” fosse diventato minimo e ridottissimo … Non paragonabile a quello avvenuto un tempo a Venezia ... e in Santa Margherita.
Sempre secondo me, sono interessantissimi e curiosi, sebbene noiosissimi da leggere, gli “Elenchi delle Mansionerie” e il “Libro dei Riceveri di dette Mansonerie” di Santa Margherita … Basti dire che ad ogni Mansioneria corrispondeva un pagamento immediato o esigibile a precise scadenze annuali ... Ovviamente: chi più aveva, più poteva permettersi, e quindi erano i soliti Nobili Veneziani a far da protagonisti ordinando un’infinità di Messe come “buon passaporto utile per garantirsi l’Eternità”. La Nobildonna Paola Lando Civranistituì una Mansioneria di Messe con testamento del 1403 che venne celebrata e pagata puntualmente ai Preti di Santa Margheritadalla Famiglia fino al 1503, cioè per cento anni ! … La Nobilissima Cristina Lando non volle essere da meno, e pagò dal 1510 fino al 1795 !!! … Che si sia salvata in Cielo a quel prezzo ?
E poi ancora la lunghissima lista dei “Nobili pagadòri di Messe”: Andrianna Tron; Michiel Bon; Andrianna Renier; Marietta Lando; Pietro e Marietta Corner; Andrea Bosello e Catterina Giacomazzivedova Bosello che raddoppiò le sue richieste di Messe rinnovando il testamento; Nicolò Corner dal 1435 fino al 1554; Giacomo, Francesco, Girolamo Consado e Giovan Francesco Venier; Prè Ambrogio Baffo Pievano di San Polo; Isabella Valier; Perla vedova Alvise Barovier: dal 1555 con seguiti fino al 1725 … Altra botta di soldi per il Capitolo dei Preti !
Alcuni, come Giovanni Sandri nel 1586, si potevano permettere ieri come oggi “il meglio del meglio”, cioè una specie di “fuoriserie per l’Eternità” costituita dalla celebrazione di Messe Trisettimanali, o di sei Messe la settimana, o addirittura: una Mansioneria di Messe Perpetue ... “ab Aeternum”: come la Salvezza.
Poi c’erano i Cittadini Veneziani, sottocategoria dei Nobili, e quella dei non sempre benestanti che ugualmente furono capaci di sborsare cifre consistenti per anni e anni. I Preti gestivano un vero e proprio capitale, un investimento continuo, una specie di “mutuo per il Paradiso”: Stefano di Cortesi Tagliapietra; Vesca consorte di Marco Pietro Cortelèr che pagò dal 1472 al 1476; Marco Scudelin; Costantino dal Brolo; Antonio Tintor che fece celebrare Messe “pro Anema sàa”dal 1485 al 1689: duecento anni ! … Lo stesso Reverendo Prè Nicolò Saggia Bianca Piovano di Santa Margherita nel 1389 istituì per se stesso due Mansionerie Perpetue di Messe in sua Memoria che vennero celebrate ininterrottamente fino al 1692: trecento anni di preghiere e soldi … Saranno valsi la Salvezza di quel Reverendo ?
Storia analoga accadde durante tutto il 1600 e durante tutto il 1700, anche se venne definito “secolo illuminato” cioè disincantato e capace di maggiore lungimiranza. I Nobili: Andrianna Condulmer; Giustina e Lucietta Dolce che fece un “ordine di Messe” celebrato dal 1691 al 1720; Cecilia Riva; Teddea Revere Molin… Non veli dico tutti: ne ho contati a decine su decine … Bartolo Coi: pagamenti 1659-1729 … Pietro Busetti quondam Giacomo Nonzolo della Madonna del Carmine con donazione del 1695 e seguiti fino al 1742; Giacomo Tassan dal 1696 con seguiti di pagamenti fino al 1753 … Veronica Diotiguardi Mistrandal 1721 al 1789; Mansioneria-Legato Perpetuo nel giorno del Santissimo Natale e Anniversario Perpetuo istituiti da Lorenzo Bortoletti quondam Zuanne con testamento del 4 febbraro 1754 ... e avanti così.
C’era poi chi usava formule alternativa di lascito ai Preti sempre “a favore della propria Salvezza Eterna”, esisteva cioè la formula dei Legati: Legato di una casa a San Trovaso data al Capitolo dei Preti di Santa Margherita in cambio della celebrazione di Messe disposto da Don Andrea Sonador con testamento del 12 marzo 1642 ... Legato Perpetuo di ducati 50 annui da dispensarsi ai poveri disposto da Morosina Bollani con testamento del 17 novembre 1614 ... E poi: Lattanzio Zucconi nel lontanissimo 1308; Francesco Lando nel 1450; Don Giovanni Pietro di Fara nel 1502; Lorenzo Morosini nel 1590; Girolamo Grimani quondam Antonio nel 1626 pagatore puntualissimo fino al 1727 … e tanti altri: affitti e introiti trasformati in Messe da celebrare.
Anche in questo caso ci furono “le fuoriserie”, ossia i PluriLegati Perpetui disposti, ad esempio, da Cristoforo Filacanevodal luglio 1348 al 1470 … da Nicolò Giovanni nel 1425; da Francesco Sonador quondam Stefano nel 1464; dall’Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Giulio Ruggeri Parroco di Santa Maria di Vedor con testamento nuncupativo del 27 febbraro 1644 … e fu di certo un Legato SuperPlus quello del Legato Anniversario Perpetuo disposto da Mario de Simon con testamento 12 agosto 1273 che venne celebrato e riscosso ancora una volta per diversi secoli in Santa Margherita.
Tramite Punti di testamenti risalenti addirittura al 1300, si distingueva fra Legati Precari, Legati Perpetui e Legati ad Anniversari Annuali a cui venivano fatte corrispondere le celebrazioni di una o più Messe pagate dagli eredi, dalle famiglie, dai Procuratori di San Marco che fungevano da affidatari, o da apposite Comissarie costituite appositamente per concretizzare le specifiche volontà testamentarie.
Si giunse addirittura ad acquistare appositamente qualche casa affittandola, come fece il Nobile Costantin Renier fu Girolamo, che ne acquistò una in Contrada di San Stàe nell’aprile 1721, e la lasciò come rendita alla chiesa di Santa Margherita in cambio di Messe da celebrare: “l’Eternità non ha prezzo” disse il Nobile Renier: “per conseguirla bisogna essere disposti a tutto.”… Oppure con i soldi di un Lascitosi acquistò e restaurò una casa rovinosa come fece il Piovano di Santa Margherita il 6 febbraro 1612. Poi la diede in affitto, e ne utilizzò l’utile traducendo in Messe… Tutto un lungo giro che faceva in ogni caso alla fine convergere i soldi nel “partidòr” dei Capitolo dei Preti di Santa Margherita.
Che ve ne pare ? … Puà bastare ?
Interessantissimo e curioso ancora una volta il "Libro dei Partidòri del Venerando Capitolo di Santa Margherita." che copre l’epoca dall’inizio 1724 fino alla fine di settembre 1837 ! … Perché curioso ? … Perché incredibilmente i Preti di Santa Margherita continuarono ad annotare e a spartirsi entrate e soldi anche dopo che la chiesa-Parrocchia non esisteva più perché soppressa, e tutti i beni … o quasi tutti … erano stati avocati e Indemaniati dallo Stato
Così com’è altrettanto curioso notare che mentre i Francesi stavano incamerando ogni cosa a Venezia e nell’intero Dominio della Serenissima, i Preti di Santa Margherita in fretta e furia, e riducendo il prezzo di vendita al massimo, riuscirono a vendere i campi con casa colonica a Cerva di Noaledi loro proprietà a Don GiovanBattista Rossi Piovano di Santo Stefano di Treviso con l’intento palese “di salvare il salvabile”, e di provare almeno un’ultima volta a racimolare “qualcosa” dal loro patrimonio: “che gli invasori, maledetti da Dio, stavano impunemente alienando”.
A tal proposito, come tutte le chiese, Conventi e Monasteri Veneziani, anche la storia dei Preti del Capitolo di Santa Margheritaè costellata da un’infinità di Processi, Contrasti, Questioni e Sentenze“per diritti parrocchiali, spettanze, eredità e similari”… I soldi erano soldi … e se si trattava poi di pingui rendite, terreni e immobili:“non ce n’era per nessuno”. I Preti sapevano diventare feroci come belve, s’accaparravano i migliori Avvocati e Notai, e diventavano capaci di mettere in piedi cause che durarono diversi secoli: “I Preti-Frati e Mùneghe son coriacei: non mollano mai facilmente l’osso, anzi: lo spolpano accuratamente fino all’ultimo e alle midolla, e se possono continuano a rosicarlo finchè ne avranno … Non si stancano nel farlo.” recitava un’arguta vignetta che girava per Venezia che i Preti si affrettarono a dichiarare: “immorale, indecente e impudente”.
Nell’abbondantissima serie degli “Scartafazzi, Carte, Ricevute, Sommari, Stampe, Lettere e Conti” dell’Archivio di Santa Margarita & Vetòr esiste perfino un processo intentato dal Piovano della stessa chiesa contro gli stessi suoi confratelli Preti del Capitolo di Santa Margherita che si trascinò per 73 anni (1600-1673).
La lista dei casi è lunghissima ed esemplare, ne cito solo alcuni: "Piovano di Santa Margarita contro P. Antonio Santi, Girolamo Barbieri, et Francesco Colli"(1534- 1666); “Capitolo di Santa Margherita contro il Capitolo dell’Anzolo Raffael per diritti parrocchiali sul confinante Palazzo Vendramin” (1700); "Chiesa di Santa Margerita contro Garzoni sive Scudelino"(1472-1626); “Contro la Parrocchia di San Martino di Venezia e il Capitolo di San Gervasio e Protasio, e Don Lazaro Zorzi Sagrestano della chiesa dei soppressi Canonici Lateranensi di Santa Maria della Carità.”(1600-1800); “Contro i Padri Domenicani”; "Capitolo de Preti di Santa Margarita contro Don Valentin de Boma."; “Pendenza istituita dal Capitolo di chiesa contro Pisani per Legato istituito da Paolina Pisani consorte Bragadin"
Interessantissima la baruffa durata un secolo e mezzo: 1602 al 1757, fra il Capitolo dei Preti e i Poveri di Santa Margarita e il Convento delle Monache del Santo Sepolcro in Riva degli Schiavoni unite ad Antonia e Margarita Boneri per l’Eredità Ongaro… Esiste un curioso Repertorio di scritture e mazzi di carte che vanno dal 1206 al 1742 relative “alli processi et cause contro i Reverendi Padri Carmelitani del Monastero del Taglio al Laudo.”… Ma chi erano, dove si trovavano quei Padri ???
Alle porte del 1800, cioè poco prima della soppressione di Santa Margherita: “… Se porta avanti ancora in chiesa la Tradizion Religiosa d’esporre solennemente il Santissimo Venerabile ogni Venerdì Grasso: in reparaziòn de li eccessi e de peccadi fati nel Carneval, mentre i tori impàzan nei Campi de Venetia ... V’intervengono più di 200 Confratelli del Crocefisso, mentre in tutti gli altri Venerdì di Quaresima si compie in chiesa il Pio Esercizio di Preparazione alla Buona Morte … La Prima Domenica di ottobre si esce in Processione per tutto il Campo, le Fondamente, le Corti e le Calli della Contrada portando fuori in giro “tutto” quanto sta in chiesa in occasion de la Festa della Madonna del Rosario.”
Curiosissima l’immagine della Contrada dettata il 16 settembre 1803 dall’altrettanto curiosissimo personaggio che fu il Patriarca Ludovico Flangini: fu l’ultima Visita storica di un Patriarca alla chiesa-Parrocchia di Santa Margherita che poi non esistette più.
Noterella doverosa … Ludovico Flangini oltre ad essere stato CardinalPatriarca di Venezia fu soprattutto un ossessionato Filologo e Grecistadi grande valore. Era quello il suo principale interesse più che la Cura Pastorale delle Anime ... Patrizio d’origine, della Nobiltà importata Cipriota, venne educato ovviamente secondo i crismi classici dell’Aristocrazia Veneziano-Veneta, e finì col sposarsi nel 1759 con la Nobile Maria Laura Donà da cui ebbe una figlia: Cecilia. Morta la moglie si ritirò ad Asolo dove ricoprì più volte per la Serenissima prima la carica d’Avogador da Comun e poi quella di Correttore delle Leggi ... Austerissimo nei costumi e nelle convinzioni, praticamente bigotto fino alle midolla: propose e ottenne di chiudere il Ridotto di San Moisèa Venezia diventato di fatto un postribolo pubblico. Sull’ala di quel successo e con un buon patrimonio in tasca, provò nel 1776 a diventare senza successo Procuratore di San Marco. Non riuscendovi si buttò allora nella carriera Ecclesiastica: l’altra faccia della medaglia del potere, e fu così che scalò “la causa”divenendo Auditore della Sacra Rota di Roma tre anni dopo, poi Cardinale Diacono prima dei Santi Cosma e Damiano e poi di Sant’Agata dei Goti (che valeva di più in quanto a introiti) ... Divenne poi membro delle onnipotenti Sacre Congregazioni Romane per il Concilio, per i Riti, per l'Esame dei Vescovi, per l'Immunità Ecclesiastica e per i Disciplini e i Regolari. Nell’ultimo anno del 1770 proprio a Venezia divenne Preteentrando nel Conclave dell’Isola di San Giorgio Maggiore di fronte a Piazza San Marco dove concorse ad eleggere Pio VII, cioè il chiacchieratissimo e timido Barnaba Niccolò Maria Luigi Chiaramonti, che divenne Papa di Roma privato però della sua naturale sede invasa e occupata dai Francesi.
Esiste un interessantissimo Diario del Flangini che descrive “minuto per minuto e dall’interno” quel singolarissimo evento storico del Conclave e del Papa eletto a San Giorgio di Venezia.
“Passata la Festa”, Flangini assunse l’ancor più remunerativo Titolo Cardinalizio Presbiterale di San Marco, e con quello si recò alla Corte di Vienna mettendosi a disposizione della Corona Imperiale Austriaca che lo considerò a tal punto da nominarlo Conte e Consigliere Privato dell’Imperatore ... il che gli garantì la bella pensione annuale di 10.000 ducati.
Fu proprio l'Imperatore Francesco II a sceglierlo come Patriarca di Venezia e Primate del Veneto nominandolo come tale ... Nell’occasione divenne per forza Vescovo, e fu rimanendo a Vienna che iniziò a governare la Diocesi di Venezia “a distanza”.
A suo dire raggiunse la Laguna a malincuore solo un anno dopo, preoccupato dell’ignoranza del “grigio e molle Clero Veneziano”, e soprattutto per “… l’ignoranza Civico-Dottrinale dell’intero Popolo Veneziano obnubilato da false massime di pseudoFilosofi".
Per favorire un qualche recupero della Devotio dei Veneziani ridusse il prezzo delle Messe, provò con scarso successo a far sorgere nuove Confraternite e Schole, s’inventò la Devozione Eucaristica delle Quarantoreimponendola in tutte le chiese Veneziane, ma soprattutto rifinanziò i Pretie aprì nuovi Seminari provando a rimotivarli a suo modo ... Su suggerimento dello stesso Imperatore Austriaco provò anche a riavviare, ma senza successo, l’antico Tribunale del Sant'Uffizio-Inquisizione per combattere soprattutto le Società Segrete e Massoniche, così come provò ugualmente senza successo a riformare i coriacei e riluttanti Frati e Monache, e a ricostituire la mitica Compagnia dei Gesuiti sinonimo della massima Ortodossia, Obbedienza e Dedizione alla causa Cristiano-Imperiale.
Subito dopo essere stato decorato con la Gran Croce dell'Ordine Reale di Santo Stefano d'Ungheria che non si toglieva mai dal collo, iniziò finalmente la Visita Pastorale della Diocesi di Venezia, che venne però ben preso interrotta a causa della sua morte.
Quella di Santa Margheritafu una delle poche Chiese-Parrocchie-Contrade Veneziane che gli riuscì di visitare.
Secondo la “Relatio”della Visita alla Contrada di Santa Margherita e all’Oratorio privato di Casa Arnaldi, si osservò in Parrocchia-Contrada la presenza di 2.200 abitanti-Anime adiuvati da una Levatrice di Contrada… “esiste in Contrada anche una Spezieria da Medicine: “Santa Margherita” […] Le rendite della Fabbrica di Santa Margherita non sono molto consistenti: ogni settimana gira per la Contrada una cassella della Fabbrica, che possiede come entrate: 1.196 lire dall’affitto di due case e una bottega, e i cespiti di Legati e Lasciti vari ... Come uscite la Fabbrica di Santa Margherita spende: 480 lire annue, di cui 37,4 per l’organista, 130 lire per le cere della Festa della Purificazione, e 30 lire per quelle utilizzate nella Festa della Dedicazione ... Il Piovano come rendite ed entrate possiede: 735,15 ducati annui dall’affitto di quattro case, una bottega e di 39 campi in Terraferma dai quali riceve anche le regalie da parte dei coltivatori. Il Piovano spende in uscita: 641,2 ducati di cui 90 nelle sue funzioni di Titolare (??? … sono scomparse alcune carte dell’Archivio), 20 ducati per le spese della Festa della Dedicazione della chiesa, 60 ducati per l’affitto della sua casa di residenza che non è la Casa Canonica ma una più agiata, 32 ducati per il “Vin da Messa”, e 117 Ducati per finanziare una Mansioneria di Messe da celebrare secondo le sue intenzioni ... Gli altri Titolati di Santa Margherita possiedono la Casa Canonica di Residenza e la rendita di 48 ducati annui dall’affitto di due case ... […] … I Sacerdoti che frequentano la Parrocchia-Chiesa di Santa Margherita sono 24 nell’insieme, di cui uno è infermo, ed alcuni vanno celebrando altrove cercando elemosine più consistenti spingendosi fino alle chiese di Santa Croce, San Sebastiano, San Barnaba, San Nicolò, le Eremite di San Trovaso, San Silvestro o la Casa Araldi.”
Testualmente si legge il commento: “Quei Preti sono dei Pagliacci ! ... Ci sono inoltre altri due Chierici che andrebbero obbligati alla recita quotidiana dell’Ufficio della Madonna e allo studio assiduo nelle Scuole loro assegnate dal Vicario Capitolare ... Il Piovano Don Savoldello Bartolomio veste in abiti corti e di colori vari col cappello di campagna ... gioca e beve nei Magazzini della Contrada, e il vino lo rende cattivo … frequenta una certa femmina vedova di poca buona fama detta da tutti: “la puttana del nipote del Piovano”… la porta anche in Canonica fornendo occasione di dicerie … Assistendo un moribondo anziché confortare i familiari sarebbe uscito nella frase: i Preti hanno il privilegio sopra i Secolari di far Becchi senza poter esser fatti …Verrà sottoposto a processo … Don Bagnadega Francesco va a giocare con Don Savoldello nei Magazzini, ed è ubriaco tutte le sere. Talvolta deve essere trasportato quando viene chiamato dai moribondi in quello stato … il Sensale Fanzago afferma di tutte e due: posso dire cose che se fossimo in altri tempi avrei fatto ricorso … […] … Oltre a questo in Santa Margherita si celebrano 5.297 Messe Perpetue, e ne rimangono da celebrare altre 1.751. Ne sono state celebrate senza elemosina: 1.075; 37 fra Esequie e Anniversari Funebri, e 527 altre Messe Avventizie ... ... Si celebrano due Esequie per i Benefattori Defunti; Messe ed Esequie in Suffragio dei Defunti con offerte dei fedeli che si celebrano oltre il 2 novembre anche nell’Ottavario, nella Festa dei Santi, a Capodanno e a Pasqua … Esiste in chiesa un Legato per la Messa Solenne di Natale “in aurora”; un altro Legato per la Messa Cantata nella Festa della Madonna Addolorata; un Legato pagato per la Messa Cantata della festa di San Camillo; una Funzione Speciale in onore di San Luigi per la quale si è istituita un’apposita cassella per le elemosine dalla quale si raccolgono 25 ducati spendendone per la Festa: 18,5 per il Cassador, Fiorista, cere, Esposizione, Predicatore, immaginette, offerte e regalie ai Capitolari, ai Chierici e al Nonzolo …[…] … Sempre nella stessa chiesa si alimentano Devozioni particolari a San Pietro Apostolo, a San Paolo, San Giuseppe, San Giovanni Evangelista, San Camillo de Lellis, San Filippo Neri e San Benigno … Esiste la Predicazione annuale con spiegazione del Vangelo nelle Feste, si predica nel Mese del Rosario, e si tiene la Dottrina per le Putte benissimo diretta, ma poco seguita dai Preti che se ne vanno a San Polo, San Nicolò e San Barnaba ...”
Poi“a Venezia cascò il mondo”, e non solo a Venezia ma anche un po’ ovunque in giro per l’Italia: capitò il fatidico passaggio azzerante dei Francesi di napoleone ... Nel maggio 1796 si ospitò per qualche tempo proprio in Contrada di Santa Margherita Ercole III Duca di Modena in fuga da napoleone con un misero seguito. Venne sistemato alla buona in attesa di tempi migliori in una casetta già occupata in precedenza da Mario Savorgnan con la facciata che dava sul Rio di Cà Foscari quasi dirimpetto a Palazzo Paruta. Li con grande fatica i Bastazi (Facchini)Venezianiriuscirono a trasportare spostandoli a stento 5 grossi cassoni ricoperti di ferro che si diceva contenessero tutte le ricchezze accumulate dal Duca a Modena. Le Cronache Veneziane ricordano: “… lo si vedeva girare sgangherato per Venezia, parlando con chiunque con la grassa seconda moglie, e con poco seguito: due Ciambellani e un gondoliere, ma tutti in male arnese.”
L’anno seguente il Piovano di Santa Margherita venne segregato fra gli ostaggi-complici nella prigione “Forte” di San Giorgio Maggiore per la presunta congiura contro i Francesi … Nel 1806 quando Don Carlo Savoldellofu ultimo Piovano di Santa Margherita, la popolazione della Contrada contava 3.500 Anime, e i proprietari degli stabili della zona erano ancora i Juspatroni della chiesa, cioè continuavano a godere dell’antica prerogativa di potersi scegliere ed eleggere come loro Prete-Parrocochi volevano e gradivano maggiormente.
In quegli anni a Venezia avvenne il tracollo un po’ di tutto: nel 1810 la Parrocchia-Chiesa di Santa Margherita venne sconsacrata: l’organo Callido trasferito a San Pietro di Murano, e la popolazione dei fedeli ridotta a 1800 Anime annessa alla neonata Parrocchia dei Carmini che inglobò anche i 2000 fedeli della soppressa Contrada di San Barnaba diventata Succursale … L’ex Piovano di San Barnaba venne dirottato a Santa Maria del Giglio nell’OltreCanalGrande verso San Marco, mentre Don Savoldello espropriato e sfrattato da Santa Margherita, divenne primo Parroco dei Carmini andando ad abitare in una piccola porzione esterna dell’ex Convento dei Carmelitani sfrattati pure loro per trasformare il Convento in caserma ... Per l’uso di quella casupola affacciata sul Campo dei Carmini, Don Savoldello dovette pagare un affitto annuo di 190 lire: “... Morì poco dopo ... poveretto … forse di crepacuore: troppe novità destabilizzanti in un colpo solo per un tranquillo Piovano Veneziano.”
Nel dicembre 1813 venne rimosso e venduto il pavimento in marmo di Santa Margherita, che venne comprato da Giacomo Florian e Pietro Rigaglia insieme ai pavimenti di Santa Marta e San Severo per pavimentare la chiesa di Montereale ... Le tre tele di Jacopo Tintoretto passarono nella chiesa di Santo Stefano oltre il Canal Grande, e tutto l’arredo della chiesa scomparve andando predato e disperso: una statua di Santa Margherita del 1400 appartenente alla stessa chiesa Veneziana è spuntata fuori qualche anno fa a Parigi … Chissà perché ?
Due anni dopo ancora, il locale della chiesa con tutti gli annessi venne inserito nella “Lista delle vigne, orti, beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezianei giorni d’asta del 12 e 16 febbraio seguenti” ... L’aula della chiesa venne quindi concessa in uso alla Manifattura dei Tabacchi fino al 1839 quando cambiò utilizzo diventando uno dei depositi di marmi e opere d’Arte provenienti da altre chiese soppressedestinati a prendere la via di Padova, Milano e Francia… oppure sparire predati da qualche ignoto ladrone.
Nel 1861 l’ex Santa Margherita divenne Studio dello scultore Luigi Borro fino al 1882 quando venne adattata per breve tempo a Tempio Evangelico: c’è ancora leggibile sull’architrave del posto la titolazione-insegna di allora … E siamo all’inizio del 1900: quando la ex Santa Margherita divenne prima sede della Camera Del Lavoro, e poi dal 1921 fino al 1977: Cinema Santa Margherita conosciuto come “Cinema vècio”(me lo ricordo ancora benissimo in attività: con le locandine degli spettacoli appesi fuori).
L’aula della ex chiesa per l’occasione venne ridotta di un quinto in lunghezza, si crearono tre ordini di logge, e palchi, barcacce-gallerie dalle sei cappelle laterali della chiesa preesistente decorandoli con imitazione pseudoseicentesche: Si trasformò il Presbiterio in palcoscenico ridimensionandolo in altezza ed eliminandone la volta, si tinteggiarono gli elementi originari in pietra d’Istria, si oscurò l’affresco di Zanchi sul soffitto con un telo, e la navata centrale venne ridotta creando un piccolo foyer-ingresso per la biglietteria.
Infine nel 1987: tutto l’ambiente venne acquistato dall’Università di Cà Foscariche ne fece Aula Magna restaurando l’edificio in stato di avanzato degrado ... Venne rifatto il selciato del pavimento, consolidato e messo in sicurezza l’intero edificio rivedendo le travature del tetto, si crearono uscite d’emergenza, si riportarono alla luce la strutture esterne seicentesche ripristinando le componenti oscurate, gli elementi in pietra d’Istria tinteggiati, e liberando e restaurando l’affresco di Zanchidel soffitto ... Il foyer-biglietteria è diventato ingresso dell’Auditorium, i vani sono stati adattati alla funzione di sala, e gli spazi che ospitavano le macchine da proiezione sono stati trasformati in sale per la traduzione simultanea.
Santa Margheritaè rinata … anzi: direi proprio di no.
IN CONTRADA DE SAN BARNABA … IERI
#unacuriositàvenezianapervolta 208
IN CONTRADA DE SAN BARNABA … IERI
Ho soprattutto due ricordi della chiesa e zona di San Barnaba a Venezia, che è stata per anni in maniera specialissima anche un po’ “mia”… Il primo è un ricordo bello, anzi: bellissimo, legato all’esperienza “da Prete” che condividevo con le ragazze e i ragazzi dei Carmini. Erano gli anni del “Credo” quando ci trovavamo proprio dentro a San Barnaba per rinnovare “fra amici”la propria scelta-impegno di provare ad essere Cristiani sul serio e non solo per etichetta e a parole … Prolungavamo insomma il gesto-scadenza della Cresima che per molti coincideva, invece, col momento del “rompete le righe” e della fuga-distanza definitiva dal mondo dei Preti, della Chiesa, Dio, Catechismo e dintorni … A dirla tutta, la nostra era una “formula” un po’ impropria e insolita, inventata da noi “in casa” e non tanto in linea con l’apparato comunitario e il solito clichè Cattolico-Ecclesiastico-Preteresco ... Ma per noi funzionava in quanto era un momento d’importante aggregazione, e rendeva evidente quel “sentimento” che ci teneva insieme uniti e legati all’idea “della Chiesa e di Dio”… Non quella di mattoni intendevamo, o la solita Ecclesiacon le sue incoerenze e andature bigotte un po’ asfittiche, ma una Chiesa più “spicciola”, vissuta, terra terra … anzi: faccia a faccia, che vedeva protagonisti “noi dei Carmini” insieme a “Quello del piano di sopra”… di sicuro connivente più che mai con noi … ne ero certissimo.
Che ricordi ! … Mi piaceva un sacco quella ricorrenza annuale, che è stata qualcosa che è lievitato anno dopo anno dal nulla riuscendo a mettere insieme e in armonia, quasi unificando “forze”di età e attitudini diverse presenti nella nostra Parrocchia.
Ah ! … Sto facendo il nostalgico facendomi prendere dai ricordi “da Prete” di ieri … Chissà che cosa sarà rimasto dentro all’Animo di quelli di quei tempi ?
Che abbiamo fatto ! … Che ho fatto con loro … Rifarei tutto … Il Tempo però è passato, rimane vivo l’eco intenso e sincero di quelle singolari emozioni.
Il secondo ricordo circa San Barnaba che ho stipato e inciso nella mente è, invece, un po’ inquietante. Negli stessi anni in cui vivevo “da Prete” ai Carmini, San Barnaba ne era la Vicaria, e faceva parte dell’entourage della Parrocchia con tutto ciò che significava e conteneva.
A dirla tutta: un tempo accadeva il contrario, cioè San Barnaba e Santa Margherita erano le due chiese di Contrada: quelle a cui facevano riferimento i Venezianidel posto, mentre i Carmini era un chiesone monasteriale tutto dei Frati Carmelitani, che però ha sempre avuto una sua capacità calamitante per via della Madonna degli Scapolari e della Schola Grande dei Carmini.
E’ stato come sempre quel solito balordo di napoleone di cupa memoria a ribaltare e distruggere tutto … ed è rimasto ciò che è rimasto: cioè pochissimo … quasi niente.
Vi dicevo di San Barnaba come memoria inquietante, perché in tutto il tempo che ho vissuto là il Sacrestanodel posto con cui familiarizzavamo non poco, non smetteva mai di ricordarmi il grave disordine in cui versava quel chiesone quasi sempre lasciato in balia di se stesso ... Dico inquietante perché continuava a ripetermi che la mastodontica facciata del chiesone continuava a “camminare”pericolosamente verso l’omonimo Campo di San Barnaba staccandosi ormai della larghezza di un braccio dal resto dell’edificio della chiesa.
Stupito, e quasi impaurito da quel fatto, non ho smesso di chiedere nel tempo perché mai qualcuno non si attivasse per prevenire quella progressione così pericolosa per la pubblica incolumità … La risposta era sempre vacua e la stessa da parte di tutti: e chi pagherà ? … Tutti tacevano e fingevano di non sapere, e soprattutto nessuno si sforzava di andare un passo più in là oltre le solite denunce e le mere segnalazioni a chi di dovere ... Tutti sapevano, ma nessuno muoveva un dito o faceva qualcosa.
Tutt’ora quando passo saltuariamente attraverso Campo San Barnaba mi chiedo se quella fessura lassù in alto fra chiesone e facciata esista ancora … e ancora m’interrogo senza saper darmi risposta se ancora oggi ci passerà ancora un braccio se non di più fra i marmi della facciata e il resto della chiesa … Chissà se qualcuno sarà riuscito a sistemare tutto ?
Spero d’essere io l’unico a non essere aggiornato al riguardo.
Quella chiesa di San Barnaba a cui in qualche modo ero come Prete correlato mi procurava sempre tristezza … Tristezza per via delle infiltrazioni della pioggia che scivolavano dentro dalla facciata che il Sacrestano non dimenticava mai di mostrarmi … Tristezza perché ancora lo stesso mi indicava come sempre più spesso la chiesa lasciata aperta e incustodita rimaneva in balia di se stessa diventando retaggio della solita Zingara che se non chiedeva l’elemosina con insistenza a tutti quelli che passavano, provava a farsi pagare dai turisti per entrare in chiesa … Tristezza per via di certe refurtive degli stesi Zingari che trovavamo nascoste dentro ai confessionali o nei meandri della stessa chiesa semiabbandonata … Tristezza perché perfino il giorno della Festa del titolare, cioè il giorno di San Barnaba nonostante un robusto scampanare e chiamare: in chiesa non si radunava praticamente nessuno: “Non trovo più il coraggio di tirare le corde delle campane del campanilotto di San Barnaba”mi diceva ancora il Sacrestano sconfortato: “Una volta o l’altra rischio che mi cada l’intero campanile in testa … Sarebbe da chiudere questa chiesa … L’altro inverno ho trovato dentro un gruppetto che s’era accomodato accendendo un fuocherello per scaldarsi sulle “rosticcerie” delle candele … Nessuno se n’è accorto, nessuno ha detto nè fatto niente … Figurati se Don Angelo scende giù a controllare in chiesa col male alle gambe che ha ? … Quando sono passato per chiudere li ho trovati là che bivaccavano tranquilli da chissà quanto … A xè una disperasiòn sta cièsa.”
Sulle panche insieme a noi raccogliticci Preti sull’altare, c’erano “quattro gatti” in tutto il giorno della Festa Patronale: erano gli “affecionados” del mitico Don Angelo Altanil simpatico “Archimandrita stanziale di San Barnaba” col quale ho avuto la fortuna di spartire cinque anni di vita, compagnia, buona tavola e perché no … aneddotica curiosa, e considerazione ironica su Chiesa, Preti, Fede, Diritto Ecclesiastico e tutto il resto … Davvero una bella figura quell’uomo: conservo un bellissimo ricordo di lui ... anche se più di qualche volta davanti alla tavola imbandita con gli altri Preti del circondario non ha mancato di dirmi davanti a tutti che avrei meritato d’essere pubblicamente “condannato e messo al rogo” per il mio modo d’intendere e interpretare “il Prete, la Chiesa e la Religione”.
“Senti chi parla !” gli contestavo: “Quello che consiglia con insistenza ai fedeli di fare delle buone Novene al Santo Destrigaletti ! … e possibilmente con buona elemosina al Piovano o al Rettore della chiesa ... Che schifo ! … Che visione misera di Chiesa.”
“Eh … Va beh …” si scherniva lo stesso Don Altan: “Ciascuno ha le sue debolezze … La Chiesa ne ha tante … Perché non posso averne qualcuna anch’io ? … Tu non ne hai ?”
“Certo che si … Ma dire a chi ha un malato cronico in casa, o a chi gestisce un handicappato che sarebbe meglio per lui o lei fare una bella Novena per chiedere di liberarsi da quel peso … Mi sembra eccessivo, se non stupido … Ti sembra che Dio, Santi e Madonna vogliano e permettano una cosa del genere ? … Non è forse abbindolare la gente ?”
“Abbindolare ? … Parolone … Diciamo: indirizzare …”
“Già … Spingere verso la Salvezza …cioè a rimpinguare le tasche dei Preti e della Chiesa.”
“Eccolo qua !” si alzava allora in piedi pulendosi la barba col tovagliolo, e col dito puntato addosso a me come una pistola: “Lo vedi che meriteresti d’essere bruciato ? … Sei un eretico blasfemo …Dissacratore ! … Sacrilego !”
Ricordo ancora il mormorio che si sollevava sopra le tavole dei Preti riuniti “in congrega di Vicariato”… Col tovagliolo annodato attorno al collo, e con la bocca e il bicchiere pieno, c’era chi si schierava apertamente dalla parte di Don Angelo indicando in qualche modo la bontà (assurda) di quella pratica che lui suggeriva, e chi, invece: dava ragione a me contestandone la pochezza, anzi: l’insidiosa quanto ingannevole proposta offerta a ingenui quanto sprovveduti e ignoranti fedeli ... nel senso che davvero ignoravano e non erano a conoscenza delle vere “dinamiche del Cielo”.
Su una cosa però tutti erano d’accordo: ero un Pretino troppo spavaldo, linguacciuto ed esuberante per i loro “soliti parametri ecclesiali” … e su questo tutti concordavano con Don Altan:“darmi alle fiamme” o almeno una bonaria fiammata mi avrebbe fatto bene ...Ero troppo irrispettoso verso “Madre Chiesa” e le sue Sapienti Dottrine.
“San Barnaba” mi spiegava in altri momenti lo stesso Don Altàn,che era Rettore-Vicario della chiesa di San Barnaba dopo essere stato in auge fra i Preti della Diocesi al tempo del Concilio Vaticano II e dei primi passi dell’Ecumenismo. Poi era stato messo frettolosamente in disparte “perché Prete scomodo e sui generis”, e perché poi c’era “la Greca”che viveva con lui … Malelingue o mezze verità ?
“San Barnaba era un Santo di serie B” mi diceva Don Angelo: “una specie di Santo di Riserva dopo i Dodici Apostoli titolari, un Santo sfigato che non ha mai fatto grande carriera dentro alla Chiesa, e che è sempre stato quasi omesso dalla Storia e dalla Cristianità, o perlomeno poco conosciuto e apprezzato se non da pochissimi … E’ stato però simpatico a noi Veneziani: guarda qua che bel chiesone che gli hanno tirato su e costruito ! … E io sono onoratissimo d’essere il suo Vicario … Se poi lo festeggeremo in compagnia facendo un po’ di sana bisboccia ? … Viva San Barnaba ! … Sarà ancora meglio … Anche se detto fra me e te: sai che i documenti dicono che i Veneziani avevano già deciso di dedicare questa chiesa a San Lorenzo ? … Povero San Barnaba: messo da parte da tutti … un po’ come me.”
“Lei è un po’ un Prete gaudente Don Angelo ?”
“Macchè gaudente ! … Buongustaio finchè vuoi … Ma so fare anche astinenza e penitenza se serve … Ci dormo sopra !”
Al di là di tutto mi piaceva un sacco quel Prete e mi divertivo tantissimo ad intrattenermi con lui: quante ce ne siamo dette ! … e quanto ho imparato da quell’uomo, che ormai da un bel pezzo ha terminato la sua avventura esistenziale … Chissà se mi sente ?
San Barnaba … in Contrada di San Barnaba a Venezia? … Mmm … Quante cose sono capitate !
Sentite qua: nel 1263 Simeone Moro divenne prima Piovano della Contrada di San Trovaso nel Sestiere di Dorsoduro … Quattro anni dopo però prese al volo l’opportunità di diventare Piovano di San Barnaba, poi divenne quasi subito Vicario del Capitolo della chiesa, poi passò a San Pantalòn che era ben più dotata economicamente come Parrocchia … Rinunciò nello stesso tempo di diventare Vescovo di Chioggia dopo essere già stato eletto ... Divenne quindi Primicerio di San Marco: la Basilica Dogale ... e nel 1291 accettò finalmente di diventare Vescovo di Castello cioè di Venezia (non esisteva ancora il Patriarcato) succedendo al Nobile Vescovo Querini.
Domenica 29 gennaio 1441:“Solenne e pomposo spettacolo presentò il Campo di San Barnaba allorché vi giunse da San Samuele sopra un ponte di barche la famosa cavalcata disposta per festeggiare le nozze poc'anzi avvenute fra Jacopo Foscari, figlio del Doge Francesco e Lucrezia Contarini, comparendovi pure il Principe ad accogliere la Nuora che erasi recata alla chiesa per ascoltar Messa ... In quella occasione nel mezzo del Campo fu recitato un bellissimo sermone con tanti Zentiluomini e Puopolo che no se podeva andar in alcun luogo ... Il dopo pranzo del medesimo giorno approdò a San Barnaba il Bucintoro montato da 150 Dame, ed accompagnato da molti palischermi, e da tutte le barche della Contrada per condurre la sposa al Palazzo Ducale, ove s'imbandì lauta cena, dopo cui fo fatto festa fin a hore nove di notte.” … Quattro anni dopo il giovane Enrico Dolfin venne condannato per aver fornicato sotto l’organo della chiesa di San Barnaba con una povera e piccola prostituta chiamata Margarita.
Nel 1532 il Cristianissimo Gentiluomo Veneziano Giovan Francesco Giustinian della Contrada di San Barnaba, “stato in India et a Lisbona”, costruì nell’Arsenale di Istambul ricevendo grandi ricompense dal Solimano il Magnifico, e con l’assenso di Pietro Zen Ambasciatore della Serenissima,diversi Galeonidestinati ad essere impiegati insieme alle Galee di Ragusa sul Mar Rosso e nell’Oceano Atlantico al di là dello stretto di Gibilterra per tagliare e contrastare al Portogallo le vie marittime delle Spezie a vantaggio dei Fondaci Turchisituati allo sbocco delle antiche carovaniere, e negli interessi degli stessi operatori e Mercanti Veneziani ... Si dice che nel 1550 uno di quei Galeoni Veneziani sia approdato carico di merci a Manilanelle Filippine.
Circa cinquant’anni dopo, sempre in Contrada di San Barnaba in Corte Salomon esisteva la Scuola Sestierale di Dorsoduro dove insegnava il Maestro-Letòr Girolamo BardiFiorentinostipendiato dalla Repubblica Serenissima assieme a Prete Domenego Trevisan che fungeva da Grammatico ... Non sapevano con esattezza il numero dei loro scolari perché ora ne avevano troppi, ed ora troppo pochi a secondo delle occasioni ... Si leggeva agli scolari: Virgilio, Cicerone, Cesare, Sallustio e altri umanisti ... Lo stesso Maestro Bardi stava scrivendo un libro sulla vita dei Papi scrivendo le buone novità e tacendo le cattive ... Sempre con loro doceva pure Johannes Petrus Gottardi quondam Andree, laico di 22 anni, che da 2 anni insegnava “a lèzer, scriver, abbaco et quaderno” a 40 alunni della stessa Scuola di San Barnaba usando il“Salterio, Donado e Marco Aurelio.”Nel settembre 1705 venne definitivamente bandita la Festa Popolare dei Pugni sul Ponte e Rio di San Barnaba perché diventata troppo violenta … Sopra al Ponte si scontravano Castellani con berretto e sciarpa rossi e Nicolotti con berretto e sciarpa neri … Di tali secolari lotte sopra al ponte rimane la memoria ai quattro angoli con l’orma impronta dei piedi.
Nel 1740 un Prè Francesco Groppi, quondam Zuane, quondam Lorenzo domiciliato in Contrada di San Barnaba notificò di possedere varie case in Contrà di San Marzilian in Calle de Cà Groppi a Cannaregio, nonché altre case nella medesima Contrada, e altre possessioni ad Oriago di Mira “con riserva d'aggiungere altri beni sopra quali al presente pende litigio di ragione del quondam Reverendo Don Domenico Groppi, fu Piovan di San Barnaba, Vicario del Patriarca di Venezia Maffeo Contarini, e Pubblico Notajo nominato in parecchi rogiti dal 1453 al 1507, quando il 20 aprile fece il proprio testamento negli atti di Cristofolo Rizzo Pievano di San Moisè lasciando vari legati pii, e disponendo che fosse provveduta de' suoi beni la famiglia di Giacomo suo fratello” ... Morto nel 1507, ebbe sepoltura nella chiesa di San Barnaba, e un’epigrafe riportata dalle Cronache Cittadinesche dice che la Famiglia Groppi anticamente attendeva al commercio della seta, discese da Bergamo a Venezia, e qui produsse diversi Dottori, Secretari e Mercanti.
Da una nota del 1745 risulta che il celebre compositore e Maestro di Musica Tommaso Albinoni abitava pagando 28 ducati annui in Calle Longa San Barnaba insieme ai suoi quattro figli di cui uno era Religioso, uno Prete Secolare, mentre una figlia era nubile … Quattro anni dopo, come raccontano gli Annali di Pietro Gradenigo,essendo i muri cadenti, avvenne l’ultima rifabbrica di San Barnabasu disegno dell’Architetto Lorenzo Boschetti seguace di Giorgio Massari: “Durante i lavori cadde un Murèr e si accopò” ...Tre anni dopo ancora, raccontano gli stessi Notatori del Gradenigo: “… alquanti Muratori che nelle prime ore del giorno modellarono un’erta della finestra nella più alta parte del ristaurato sontuoso Palazzo Bon a San Barnaba comprato dal NobilHomo Rezzonico, non potendo sostenere marmorea pietra che precipitando spezzò l’armatura, caderono dall’alto al basso in numero di 5 de quali chi subbito, chi dopo alquante ore morirono, fra i quali il Capomastro Iseppo Pedolo di anni 41, sepolto magnificamente ai Santi Apostoli perché assai compianto e meritevole di quella chiesa e fabbrica …”Nel luglio 1760: Ventura Morali gestiva una Malvasia in Contrada di San Barnaba, ed era Guardian della Schola dei Malvasiotti o Mercanti da Vindella Contrada di San Silvestro … Pagava mensilmente: 20 soldi al Fiscàl, 20 soldi al Nodàroe 10 soldi al Fante come rata della tariffa annuale da pagare ai Sette Savi sopra la Mercanzia della Giustizia Nuova di Venezia ... Nello stesso anno, secondo la Gazzetta Veneta di Gasparo Gozzi: “… un venditore di frutte che sta a San Barnaba, dopo una lunga e gagliarda malattia, ricuperò la sanità in parte, ma in parte rimase malaticcio, senza forza, di malumore e svogliato lungo tempo, come si fa dopo una lunga infermità … Chiedeva a tutti i suoi conoscenti e amici qualche rimedio per rinvigorire ... Chi gli dicea questa cosa, e chi quella, ed egli ogni cosa sperimentava, tanto che il corpo suo era fatto bottega di Speziale che di giorno in giorno peggiorava ... Trovandosi dunque un giorno di profonda malinconia ripieno e udendo per caso alcuni i quali diceano che l’oro fa allegrezza e intendeano per poterlo spendere … Egli che non avea altro in capo che ricette, intese ad inghiottirlo, e presa una certa quantità di zecchini e fattone pallottole, le inghiotti tutte aspettando in pace l’effetto ... Gli zecchini, fattogli nodo e peso agli interiori l’hanno si aiutato, ch’egli a letto con gravissimo male e con dubbio di lasciarvi la vita ... Quasi si potrebbe trarne una sentenza morale, che l’oro da la vita a chi lo sa usare e ammazza chi fa il contrario …”
Nel 1791 il NobilHomo Francesco Lippomanovenne finalmente eletto nell’ambito incarico di Procuratoredel Capitolo della Parrocchia di San Barnaba dopo essere stato esemplare professionista in quel compito, e uomo di estrema garanzia e buon esito in quella stessa carica: prima a Santa Margherita nel 1784, poi alle Eremite di San Trovaso nel 1788, dalle Monache di San Giacomo di Murano nel 1789, e presso il Capitolo di San Basilio nel1784 …. La Contrada di San Barnaba contava a vivere 2.333 persone, misurava 4.318 passi ed aveva 654 abili al lavoro fra 14 e 60 anni con 75 padroni in 86 botteghe: “La Pieve era miserabile e col Piovano infermo costretto a chiedere in prestito qualche ducato, ma vi ruotavano attorno ben ventuno Sacerdoti che celebravano 3.197 Messe Perpetue ma andavano anche a celebrare altrove per cercare altre elemosine più pingui: dalle Terziarie, ai Tolentini, a Cà Rezzonico e al Convento della Santa Croce ... Non c’erano Levatrici in Contrada, ma c’erano quattro Spezierie da Medicine: “Li due Angeli” e “Le tre Frezze” ai Carmini, “San Lorenzo Giustinian” al Ponte di Ca’ Foscari, e “L’Aquila d’oro” al Ponte dei Pugni.”
Il 13 marzo 1796, infine, il Pistore di Cannaregio Giovanni Alberti, per niente Nobile, si fece benedire le nozze in gran segreto con Luigia Bonlini Patrizia Veneta… Tutti s’erano dichiarati contrarissimi a quell’unione impropria, e il loro nome correva di bocca in bocca ovunque in giro per Venezia … Ognuno diceva la sua sui due innamorati: chi sperava che iniziassero a convivere pubblicamente, altri dicevano che dovevano andare a buttarsi in ginocchio ai piedi del Patriarca inducendolo a risolvere la loro situazione … e c’era chi pensava che era meglio se incontravano matrimonio clandestino come avevano fatto altri … L’amore era Amore … Andò a finire che i due una sera si piazzarono quasi in agguato davanti al Piovano di San Barnaba con un paio di testimoni ... Avevano in tasca i certificati di “libera fede” di entrambi che attestavano che non erano sposati, poi avevano quello d’identità, di nascita, della Parrocchia e Contrada d’appartenenza … Attesero il momento propizio, et voilà: si piantarono davanti al Piovano sorpreso sui gradini dell’altare, (Probabilmente il Piovano era connivente in cambio di una buona elemosina … Ma non lo si seppe mai chiaramente, perché al processo il Prete tentò sempre di discolparsi dicendo che aveva subdorato l’inganno dei due … E’ giunto perfino a dire che in quell’occasione era corso via dall’altare abbandonando i paramenti sacri sulle panche della chiesa, aveva preso cappello e tabarro, ed era fuggito via in strada), ed espressero pubblicamente il loro reciproco consenso. Il “gioco”fu fatto: e i due si ritrovarono benedetti e sposati validamente ... La faccenda però non finì là, ma si trasferì dentro a un interminabile processo e contenzioso civile ed ecclesiastico che parve non finire mai ... I due però sposi rimasero per sempre lo stesso: punto e basta … Si sa: i ceti e le caste a Venezia non si potevano né dovevano confondere e sovrapporre: era una delle regole immutabili vigenti in Laguna … Ma quella volta non venne affatto rispettata.Va beh … Basta così su San Barnaba per questa volta … E oggi com’è la chiesa di San Barnaba ?
Bah ? … E’ diventata un altro di quei museetti asfittici, una mostra mi pare di macchine e opere Leonardesche o qualcosa del genere … Di certo non conserva più nulla della vita vissuta “da chiesa” che conservava e ospitava un tempo ... San Barnaba non c’è più: ne è rimasto il cartoccio traballante, come lo scheletro … un fantasma di pietra nudo e muto.
“Santa Marta ancùo ... e ièri.”
#unacuriositàvenezianapervolta 209
“Santa Marta ancùo ... e ièri.”
Oggi si tratta probabilmente … e senza probabilmente, di una di quelle cose Veneziane che non si vedono, di quelle di ieri a cui non diamo più alcuna importanza tanto da non degnarle neanche di una semplice occhiata … Noi Veneziani poi, con gli occhi foderati e pieni di mille cose belle come Piazza San Marco, certe cose piccole e modeste, scalcinate … proprio non le vediamo ... le ignoriamo per abitudine.
A chi, infatti, verrebbe voglia di chiedersi dov’era, cos’era e com’era la chiesa e il Monastero di Santa Martadi Venezia quando passando oggi col vaporetto vediamo distrattamente solo quella chiesa spoglia a capanna collocata di solito dietro al lussuosissimo yacht blu ormeggiato alla banchina sulla “Giràda della Scomenzera”, e al mare d’automobili del parcheggio che non ha proprio niente di bello da mostrarti ... Per chi non sa, quello sembra proprio un capannone del Porto abbandonato là, e anche la Caserma dei Pompieri che le sorge accanto non significa nulla nel vederla … ma altro non è se non quanto rimane dell’antico Monastero di Santa Marta di Dorsoduro.
Beh ? … Vedete quanto la nostra vista non vede ? … e quanto spesso non sappiamo e ricordiamo della nostra Venezia.
Non voglio star qui a dirvi noiosamente per filo e per segno la storia di quel posto dove un tempo i Veneziani … non esagero … correvano in flotta quasi tutti i giorni per vedere “i Miracoli della Màn de Santa Marta”.
Una màn ? … Si: una mano … Proprio così: “a màn Santa” che i Veneziani consideravano prodigiosa, un po’ come “el bràsso de Sant’Alban” dei miei compaesani Buranelli.
Molti di voi diranno: “Cose passate d’altri tempi ! … Ròbe vècie !”… Si: lo so … Ma secondo me: sempre belle da riscoprire e rispolverare almeno ogni tanto … Tanto per saperle e non dimenticarle del tutto.
Effettivamente esisteva nel Sestiere di Dorsoduro, proprio “sul limite della Spiaggia di Santa Marta dei Nicolotti Pescatori”, proprio dietro alle caxette dei miseri-disgraziati delle Contrade dell’Anzolo e di San Nicolò dei Mendicoli, il Monastero delle Monache Benedettine di Santa Marta. C’era proprio qua dietro, a due passi da “casa mia”… Un luogo ricco di Storia e di aneddoti che oggi non esiste quasi più perché inglobato, assorbito, quasi fagocitato dall’area del Porto di Venezia… Ne rimane solo il nome imposto al nostro Quartiere, e lo scheletro di quella che è stata la chiesa di Santa Marta: oggi quasi sempre chiusa, e ridotta a poco più di rudere restaurato saltuariamente usato come sala d’esposizione.
E’ ancora visibile, perché è stato trasposto nella chiesa di San Nicolò dei Mendicoli, quello che è stato l’altare principale della chiesa di Santa Marta. Lo si vede entrando in chiesa a destra, e si noterà raffigurata appunto una Santa Monacacon un mostriciattolo tondotto tenuto al guinzaglio … Sembra quasi un cagnolino, o meglio: un porcellino all’ingrasso … Ma tanto vale: la Leggenda di Santa Marta rimane sempre quella: i Veneziani d’un tempo di sicuro l’avevano ben presente e la consideravano importante e coinvolgente a differenza di noi di oggi che c’intriga poco o niente.
La chiesa-monastero di Santa Martaesisteva fin dal 1018 con orti, canali e rive alla fine (o all’inizio) di Venezia sulla Punta e Ponte dei Lòvi di Santa Marta giusto di fronte alla palude e al canneto di San Giorgio in Alga. Lì sulla quella punta estrema e periferica di Venezia la vollero edificata le Nobili famiglie Sanudo e Salomon al cui “primo uomo”(l’anziano del Casato) ogni anno la Badessa di Santa Marta offriva una rosa di seta ... Nel 1242 il Monastero, che in realtà doveva sorgere come “Ospizio per i poveri delle miserabonde Contradedell’Anzolo e di San Nicolò”(soliti tramacci degli Ecclesiastici), era già diventato ricco e prospero possedendo numerosi campi nel Distretto di Mestre… Nel Santa Marta vissero prima le cinquanta Monache Benedettine, e poi le ottanta Monache Agostiniane che tenevano diverse “Putte a spese”(educande). Durante i secoli le Monache Veneziane furono piuttosto turbolente e indisciplinate tanto da dover esser più volte riprese e riformate dai vari Papi e Vescovi di turno “per via del loro gran disturbo, scandalo, danno e corruzione nella gestione delle doti” ... Patriarca e Dogeerano “una tantum” concordi nel dire: “Le Mùneghe de Santa Marta ne far deventàr tutti matti co i so strambessi … Quel Monastero xe un gran bordello …”
Santa Marta era famosissima a Venezia, oltre che per la Spiaggia dei Lùni di Santa Martaquando si andava a far bisboccia e sagra sull’arenile di Dorsoduro, anche per una sua Sacrosantissima Reliquia: “a màn de Santa Marta”pervenuta al Monastero dall’Oriente nel 1466 … Fu il Patrizio Ambrogio Contarini “grande viaggiatore” a regalarla alle Monache … Contarini si trovava a Costantinopoli quando scoppiò l’ennesima Guerra Turco-Veneta, e venne a sapere dal Vescovo della città di Metelino, cioè Lesbo, che nel bottino dei Turchi c’era anche quella stupenda Reliquia tanto unica quanto preziosa … L’unico posto adatto per ospitarla, secondo lui, doveva essere esclusivamente il Monastero delle Monache di Santa Marta di Venezia… Per cui, dettofatto, rientrato in Laguna, la regalò alle Monache del Monastero di Dorsoduro.
Qualche anno dopo, precisamente il 14 ottobre 1473, la “Reliquia della Màn de Madonna Sancta Marta” venne collocata in un altrettanto preziosissimo reliquiario: un capolavoro d’oreficeria commissionato “alla maniera d’Allemagna” dalla Badessa Orsa Zorzia un gioielliere-argentiere Tedesco: Giovanni Leon cioè Hans Löwe da Colonia… Era considerato il migliore Artigiano Argentiere: il più eccentrico, abile e raffinato fra tutti quelli attivi a Venezia in quell’epoca. Leonrealizzò il manufatto devozionale a partire da un disegno iniziale di Prete Bortolo Piovan de Sant’Eufemia de la Zuecha… Il Reliquiario doveva risultare: undici marche e mezzo di peso, e misurare 70 cm d’altezza: un bel oggetto sontuoso e pomposo insomma.
Furono garanti e testimoni del contratto di lavoro: Mistro Nicolò Todescho Intajador che abitava in Contrada di San Silvestronelle case di Cà Albosani, e Mistro Corado Sartòr “che stàva a San Thomado” ... Tutto poi venne regolarmente pagato dalle Monache in cinque rate distinte versate tra il novembre 1472 e luglio 1474.
Ne riuscì un capolavoro d’argento elegante, tutto traforato e pieno di fregi, cristalli, teste umane dorate e piccoli Draghi, medaglioni smaltati di azzurro su cui sono applicati i Simboli lavorati di Evangelisti e Martiri, e nicchie e pinnacoletti pieni di Angeli Musicanti, Santi e Sante fra cui Santa Marta e Sant’Elena ... La parte del Reliquiario che conteneva la “Màn de Santa Marta in Tabernaculu” era tutto decorata a sbalzo con foglie, pietre preziose incastonate e perle. In alto poi, come in una scena a calice che conteneva la preziosa Reliquia, c’era scolpita un’intera scena che comprendeva la Pietà con la Vergine e il Figlio deposto in braccio, e attorno San Giovanni e le Sante Marie su uno sfondo pieno di croci ... A chiudere e completare la sommità dell’oggetto, c’era in alto: un PadreEterno col Mondo in mano… Un bijoux insomma: una cosa raffinata, davvero originale, singolare e preziosissima che lasciava a bocca aperta i Veneziani devoti che accorrevano pazienti in fila a venerare e baciare quella preziosità miracolosa“scappata dal Cielo dei Santi” che solo Venezia possedeva.
Le fonti ricordano che nella stessa chiesa di Santa Marta di Venezia venivano custodite e venerate anche altre Reliquie Plus, cioè degne di notevole interesse e venerazione non solo da parte dei Veneziani, ma anche dai Pellegrini Europei, e un po’ da tutti,
Insomma: la chiesa di Santa Marta era come una potente calamita che attraeva di continuo: curiosi, devoti e bisognosi di ogni sorta ... Veneziani, Foresti e non …
A Santa Marta si conservava, ad esempio, tutta una serie di Sante Teste e Reliquieprovenienti dai Cimiteri Romani Catacombali: quella di San Celso e Santa Trienia, poi un “Santo Osso del Martire San Damiano”, e un altro “Santo Osso dei fanciulli Martiri di Betlemme” cioè dei leggendari Santi Innocenti uccisi da Re Erode; una “Santa Mascella di Santa Sabina Martire”. C’era inoltre l’intero Corpo di Sant’Agapito o Agapio Martire … Non ho la minima idea di quale Sant’Agapio fosse visto che esistono almeno dodici Sant’Agapio diversi raccontati da almeno tre Passio-Racconti, dai Sacramentali e Acta Sanctorum della vita del Santo diverse, e ci sono corpi, ossa, frammenti e reliquie sparse un po’ ovunque ... Il nome poi significa: Amabile, che è già tutto dire ... Quale sarà stato il Sant’Agapio Veneziano ? … ma poco importa.
Al Monastero-chiesa di Santa Marta i Veneziani lasciarono un intero corredo e concentrato di donazioni e Reliquie … quasi tutte racchiuse poi in preziosi Reliquiari: singolari opere d’Arte e Oreficeria ... Nel 1492 Perenzina quondam Bartolomeo Bernardo lasciò, infatti, per testamento al Monastero di Santa Marta un’immagine di Santa Maria Maddalenaricoperta di perle, argento e altri preziosi ornamenti da esporre nei giorni di festa solenne … Il 24 novembre 1624 Raffaele Inviziati Vescovo di Zacinto e Cefalonia considerato da tutti Prete Illustre lasciò e donò alla nipote Cristina Monaca a Santa Marta di Venezia, numerosissime quanto preziose argenterie, e calici d’argento dorato, e un“anello Episcopale grando d’oro e d’argento”, e una Croce Pastorale pettorale piena di Reliquie, e la Reliquia in puro cristallo del Piede d’oro di San Saba(l’intero Corpo o quasi era venerato a Venezia nella chiesa di Sant’Antonin di Castello) per abbellire la Sacrestia del Monastero della stessa Santa Marta ... L’erudito Veneziano Emmanuele Antonio Cicogna ricorda poi che anche Giammaria Pitteri nel 1633 (circa negli anni in cui a Venezia infuriavano le ondate di Peste) lasciò “un gran bel Cristo d’oro” alla Abbatissa Pro Tempore del Monastier de Santa Marta con l’obbligo di farlo comparire almeno quattro volte l’anno nel Capitolo delle Monache perché potessero vedere e dire in comune quanto bello fosse.Il preziosissimo Reliquiario-custodiacon la Reliquia di Santa Marta venne poi salvato dalla devastazione saccheggiatrice dei Francesi d’inizio 1800 dalla Badessa Marina Falier: ultima Badessa di Santa Marta che se lo portò via nell’Oratorio di Famiglia nel Palazzo Falier in Contrada di Santi Apostoli. Me la immagino la Monaca scappare via di notte dal Monastero provando a salvare il salvabile … Pareva avesse infagottata di stracci fra le braccia una comune padella da cucina … S’infilò dentro e sotto al felz di una nera gongola da casada ormeggiava sulla riva … Si trattava, invece, non di una padella ma del prezioso Reliquiario con la Màn de Santa Marta ... Gli ex Nobili Falier tennero lì a lungo la Reliquia protetta, e Monsignore-Canonico Francesco Falier loro discendente decise di lasciare la preziosa Reliquia al Tesoro della Basilica di San Marco. I suoi nipoti eredi però furono più furbi, interessati e scaltri: diedero alla Basilica la nuda Reliquia di Santa Marta, e vendettero“per un prezzo favoloso” il favoloso Reliquiario dorato alla Baronessa De Rothschild. Ora il prezioso Reliquiario vuoto si trova al Museo del Louvredi Parigi come parte delle preziosissime Collezioni Rothschild, mentre la Reliquia sembra trovarsi ancora nel Tesoro della Basilica Marciana ... forse ?
Ma tanto … che interessa a noi Veneziani di oggi ?
LA CONTRADA DE SANT’ANGELO
#unacuriositàvenezianapervolta 210
“Perché fra le tante proprio la Contrada di Sant’Angelo ?” vi chiederete … Semplice.
Ricordate quando eravamo bambini “qualche secolo” fa ? Spinti dalle simpatie di sempre ci si dava appuntamento in strada, in Corte e nei Campi e Campielli di Venezia o delle isole, e dopo esserci rappacificati e ragguagliati sul nostro microcosmo, ci si metteva a giocare facendo la conta:“An … Ghin … Gò … Tre galline sul comò … che facevano all’amore con la figlia del dottore ... Il Dottore s’ammalò ? … Ambarabà ci – ci – co – co ! … Tocca a te !”… e si partiva per “mondi ludici lontanissimi” fatti di niente che ci coinvolgevano e prendevano fino al tramonto quando le mamme s’affacciavano a chiamarci sgolandosi inutilmente dalle finestre, o scendevano forzatamente in strada per riportarci finalmente a casa nonostante le nostre proteste … Non era mai troppo tardi, ed era sempre un peccato rientrare.
Ebbene ho fatto la stessa cosa ancora una volta:“Ambarabà ci-ci-co-co”… ed è toccato a caso alla Contrada di Sant’Angelo di Venezia. Tutto qua.
Non esisteva all’inizio “la collana” dei palazzi sontuosi che circondano oggi il Campo centrale della Contrada di Sant’Angelo: niente ristorantini, bancarelle e bar tenuti dai Cinesi attuali. Tutto intorno al Campo sorgevano basse caxette (spesso di legno), una miriade di piccole e basse botteghe e numerosi magazzini prospicenti il luogo comune. Lì dall’alba al tramonto ferveva l’attività delle Artiche lavoravano anche sulla strada sotto a grezze tende, e si ripeteva ogni giorno un formicolante andirivieni di merci, persone e “forèsti (stranieri)” di ogni genere che salivano e scendevano dalle barche e barchette che approdavano nei dintorni. La proverbiale iperattività commerciale dei Veneziani era già iniziata, anche se ogni tanto prendeva fuoco tutto inducendo ciascuno a ripartire un po’ da capo … Ma non era un gran problema: si faceva e basta.
I primi Nobili pomposi e “dalla borsa gonfia” s’affacciavano sul luogo comune carico d’affanni, attese e guadagni, insieme al nugolo immancabile dei Frati, Preti e Monache … che tanto per cambiare, erano arrivati sul posto quasi prima di tutti. A Venezia: Stato e Chiesa stavano insieme, giustapposti fin dall’inizio, sempre a braccetto … seppure non sempre volentieri, spesso polemizzando e litigando fra loro … ma sempre in maniera inscindibile e imprescindibile l’uno per l’altro.
Tutto accadeva fin da prima dell’anno 1000 d.C. sopra vie di terra battuta che diventavano fangose quando pioveva e putride e odorose più che spesso … Per fortuna, a differenza che altrove nella Terraferma, c’erano i rii, i rielli e i canali che fungevano da scolo per ogni liquido e residuo presente. Alcuni canalicoli erano davvero piccoli e angusti, spesso fangosi, intasati, e transitabili con difficoltà, mentre le rive erano scoscese e dirute, non contenute e segnate, solcate da pali, passarelle e approdi spesso improvvisati e approssimativi.
In mezzo a tutta quell’ingegnosa quanto assidua attivazione sorgeva un rustico chiesone di legno dedicato a San Mauro, che era punto di riferimento per tutti spiccando rozzo col suo portichetto davanti (forse) e in mezzo di un cimiterietto dove tutti andavano a collocarsi terminata la loro esistenza talvolta fugace e intensa.
Si dice che la primitiva chiesetta sia stata voluta, finanziata e costruita dalle prime Nobili Famiglie insediatesi sul neonato posto Veneziano: i Morosini, i Lupanies o Lupanizzi. Altri dicevano, invece, ch’erano stati fautori alcuni Monaci, oppure i Barbonici e Grandolini, o i Scevoli, o nel 1033 lo stesso Doge Domenico Contarini. Poco importa … si sa che ben presto la chiesetta venne ricostruita facendole assumere il titolo di San Michele Arcangelo e considerandola Piovaniae Collegiata di un Capitolo di Preti. L’assunzione del titolo di San Michele Arcangelo è la riprova che anche a Venezia si era sensibilissimi ai Culti e agli Itinerari Michaelici che segnavano e percorrevano l’intera Europa e tutta l’Italia. Anche Venezia è stata per secoli con Sant’Anzolo, l’isola di San Michele, e con San Michele al Tagliamento, e con lo stesso cognome nobile Michiel(ad esempio) parte integrante della più che famosa “Via dell’Angelo” che collegava fra loro come in lunga scia interconnessa: luoghi come Mont Saint Michael in Francia, San Michele di Pavia(solo per citarne alcuni) e giù giù fino al Gargano al Monte dell’Angelo di Puglia che è sempre “San Michele” oltre che “testa di ponte” per la Terrasanta… ma qui stiamo divagando dentro a un’altra storia.
La Collegiata dell’Anzolo dipendeva ed era affiliata fin dall’inizio alla “chiesa Matrice” diSanta Maria del Giglio ... che era considerata una vera e propria “potenza religiosa” aggregante e di riferimento. Pensate che Santa Maria Zobenigo ossia “Il Giglio” aveva giurisdizione oltre che sullo stesso Sant’Angelo anche su altre 12 “Parrocchie-Contrade Filiali”, cioè: Sant’Agnese, San Barnaba, San Beneto, San Fantin, San Trovaso, San Gregorio, San Maurizio, San Moisè, Anzolo Raffael, San Samuel, San Vidal e San Vio… ossia una buona fetta delle Parrocchie-Contrade di Venezia.
Non che l’Anzolo in se scherzasse quanto a numeri … perché si sa per certo che fin da subito le ruotavano attorno, la frequentavano assiduamente, e vi facevano capo di continuo ben 35 fra Sacerdoti e Chierici.
Sant’Angelo era una specie di centro nevralgico in mano ai Preti, una sorta di centro di controllo a cui facevano riferimento un po’ tutto e tutti nella zona. La Parrocchia col suo Collegio dei Preti era come un acutissimo osservatorio su tutto quanto accadeva fra le persone e nei dintorni … per non dire ovunque, perché esisteva un vero e proprio esercito, una piccola folla composita di Pizzocchere, devoti, uomini e donne iscritti alle Schole, e fàmuli e perpetue che aggiornavano puntualmente e di continuo la Congrega dei Preti guidata dal Piovano. Costoro, dati storici alla mano, erano spesso convinti di tenere in pugno la situazione del posto, ma era una sensazione illusoria perché in realtà era la nascente Serenissima con le sue temibili Magistrature, i Nobili, i Savi e i suoi spioni a fare realmente “alto e basso” e “chiaro e scuro” su Venezia e il suo lievitante Dominio. Non si “muoveva foglia” che Doge e Signoria non volessero … ed era così: punto e basta, con ognuno al proprio posto a recitare debitamente la propria parte.
Come spesso capitava a Venezia in gran parte costruita in legno, nel 1105 chiesona e grossa parte della Contrada vennero quasi distrutte da un grande incendio con danni ingentissimi. Venezia era simile a un gran pagliaio dove ardevano giorno e notte fiamme e fiammelle, cere, lanterne e cesendelli perpetui … Bastava un attimo di distrazione, un soffio di vento importuno e tutto ardeva.
Nel gennaio 1204 Tommaso Viaro del Confinio o Contrada di San Maurizio stipulò a Rialto con Matteo Marzulo del Confinio di Sant’Angelo una “colleganza”con la metà dell’utile per l’importo di lire 200 di denaro veneto sino alla “muda di Pasqua” per commerciare fino a Durazzo nella galea del Comito Giacomo Zaccaria. Sempre sotto ai portici di Rialto nell’agosto di due anni dopo, lo stesso Matteo Marzulo fece quietanza allo stesso Tommaso Viaro dei soldi investiti e dell’utile guadagnato avendo commerciato fino ad Alessandriae Creta.
Lo stesso Henricus de Lo Priolo Prete e Plebanus di Sant’Angelo fungeva da testimone negli accordi commerciali che si stipulavano a Rialto lavorando insieme a Dominicus Georgius Arciprete della Congregazione di San Silvestro e Piovan di San Zan Degolà che fungeva da Pubblico Notaio.
Qualche anno dopo, nel marzo 1224, Albertinus de Portu del Confinio di Sant’Angelo commerciava fichi diretti a Verona e trattava somme di denaro con Baxanus de Vicenza e con Paulo de Stefano da Verona.
Anche nell’agosto 1253 a Rialto c’era attivo come Notaio un Leonardus Prete di Sant’Angelo, e ancora nel maggio 1263, sempre a Rialto, il Notaio Paulus Blundo Prete e Piovano di Sant’Angelo provvide a redigere l’atto di vendita di una terra murata del valore di lire 50 di denari veneti sita a Torcello in prossimità di un canale e del Monastero, che passò così di proprietà da Marino Marin del Confinio di San Samuel a Pietro Istrico Procuratore di Santa Margherita di Torcello.
Già dalla metà del 1200 giù dal ponte privato che lo legava alla Contrada c’era il Conventone di Santo Stefano dei Frati Agostiniani: l’unico della zona, a differenza del resto della neonata città che si stava rivestendo di chiese, Piovanie, campanili e Monasteri ad ogni passo e oltre ogni canale. Il Convento degli Agostiniani col suo Studiume i suoi uomini prestigiosi era destinato a divenire uno dei più importanti e rinomati di tutta Venezia.
Circa negli stessi anni il Doge Pietro Ziani lasciò una “ruga di case” di sua proprietà in Confinio di San Giminiàn alle sette Congregazioni del Clero di Rialto (diverranno nove): San Luca, Santa Maria Formosa, Santa Maria Materdomini, San Silvestro, San Polo, San Marcuola e appunto Sant’Angelo… Forse per non essere da meno, o per le stesse convinzioni, nel 1283 davanti al Notaio Petrus Donusdeo Prete di San Polo, anche Pietro Viaro del Confinio di San Maurizio con la moglie Ziburgalasciarono oltre al resto attraverso i Procuratori di San Marco e i figli Nicola, Matteo e Giovanni: “ … lire 25 alla Congregazione di Sant’Angelo …e un lascito in denaro ad Albertino Frate di Sant’Angelo …”
La Congregazione del Clero di San Michele Arcangelo in Sant'Angelo di Venezia esiste ancora oggi ed è attiva come le altre Nove Congregazioni del Clero di Venezia. Secondo la tradizione sarebbe stata fondata prima fra tutte le altre fra 1105 e 1117. Di certo influenzata dalla vicina sensibilità dei Frati Agostiniani, la Congrega di soli Preti si preoccupava dell’assistenza dei Preti malati o poveri, e del suffragio di quelli morti. Come spesso accadeva in Venezia, la Congrega composta da trentasei Preti Confratelli(multiplo del numero dei dodici Apostoli) come prevedeva la Mariegola, si trovò ben presto al centro di un cospicuo numero di estimatori, con relativi lasciti e generose donazioni, per cui riuscì a costituire lungo i secoli un ingente patrimonio immobiliare ed economico che sopravvive ancora oggi quasi indenne. Gran parte dell’attività della Congregazione ruotava intono alla partecipazione a processioni e a solenni funzioni che seguivano un particolare calendario cittadino e liturgico.
Al suo interno, la Congregazione di San Michele governata dall’Arciprete con incarico a vita, si distingueva curiosamente in tre categorie di Preti in base all'anzianità d’appartenenza al Sodalizio e alla valenza dei titoli acquisiti al suo interno ai quali era connessa l'assegnazione-spartizione dei proventi economici annuali del“partidòr”.Oltre all’Arciprete che percepiva il doppio dei venti Fratelli Preti a "parte intera", c’erano altri otto Preti a "mezza parte", e altri otto definiti d’"orazione", ossia che pregavano e basta senza percepire niente e rimanendo in attesa di un posto da “titolari pieni” per il quale potevano servire anche sei anni d’attesa. Inoltre esisteva anche un numero variabile di Chierici “in bona spe" al servizio della chiesa, cioè aspiranti anch’essi all'ammissione alla fortunata quanto ambita Congrega.
Uno dei Preti detto "Massaro"insieme a due “Decani” e un “Nunzio” si occupavano dell'amministrazione della Congrega antichissima, e appartenere al essa era considerato così altamente onorifico che alla Visita Apostolica del 1581 gli stessi “Controllori Papali” chiesero di poterne entrare a far parte.
Nei primi decenni del 1300 quando nella Contrada di Sant’Angelo risiedevano diversi Pellicciai, giunsero ad abitarvi anche i già Nobili Ferro che con Enrico Ferro comprarono da Uberto de Baldaria Consigliere del Marchese Azzo VIII di Ferrara (ascritto con i figli alla Nobiltà Veneziana) un feudo “in concessione marchionale personale”con 3 mansi di terra e una casa in località Ruina Copparo divenendo così con gli eredi: Vassalli del Marchese Azzo.
Giunto il tempo del Doge Andrea Contarini e delle Guerre contro i Genovesi che presero e misero a ferro e fuoco Chioggia, anche la Contrada di Sant’Angelo si dimostrò generosa nel contribuire e finanziare le imprese dello Stato ormai divenuto Serenissimo. La Contrada di Sant’Anzolo nel suo insieme offrì lire 183.700, e fra i suoi offerenti c’erano 38 fra Nobilhomeni e Nobildonne generosi e abbienti fra cui primeggiò Zuanne Trevisan che offrì 50.000 lire. Bertuzzi Pettenèr però non volle nel suo piccolo essere da meno, perciò offrì lire 500; Francesco dalle Masene diede 4.000 lire, Pasqualin dalla Mesetaria lire 2.000, e Piero e Marco sonador offrirono lire 300 come Zuanne murer ... Perfino dalle case del Piovan dell’Anzolosi raggranellarono lire 700.
Nel 1347 accadde anche a Venezia (corsi e ricorsi storici) lo sconquasso del terremoto che fra le altre cose fece cadere diversi campanili dopo che le campane s’erano messe a suonare da sole. Fra gli altri crollò proprio anche il campanile di Sant’Angelo ... ma poi la vita dei Veneziani riprese il suo normale corso … Nel novembre 1353 Nicoletto Trevisan Fustagnaio della Contrada di Sant’Angelo comprò da Stefano di Libiana: “… 27 dozzine di soàtti a grossi 24 la dozzina, 1 pelliccia di volpe per 3 ducati, e 2 guarnacche glirorum de squillatis per 10 lire di piccoli ”... erano gli anni in cui i fratelli Veneziani Nicolò e Antonio Zennavigatori e Mercanti attraversavano intrepidi l’intero oceano Atlantico giungevano a commerciare in America. (piaccia o no, è assodato ormai che Sior Cristoforo Colombo vi è giunto ben dopo).
La Piccola Contrada di Sant’Angelo occupa sostanzialmente tutt’ora circa una cinquina delle piccole isole che formano il numerosissimo arcipelago di Venezia. Sant’Angelo confina con le limitrofe Contrade di San Beneto, San Samuel, Santa Maria Zobenigo del Giglio e San Maurizio, e il Rio di Sant’Angelo provenendo dal Rio di San Maurizio attraversa tutta la Contrada uscendo poi nel Canal Grande tramite il Rio di Ca’ Garzoni dopo il Ponte del Pestrin e la Piscina di San Samuel. A metà del suo corso il Rio di Sant’Angelo si sdoppia nel Rio della Verona che porta nell’attuale zona del Rio della Fenice (che non esisteva). Dalla parte opposta, invece, lo stesso Rio di sant’Angelo subito dopo il Ponte dei Frati va e andava a passare sotto alla Chiesa di Santo Stefano rinominandosi come Rio del Santissimo e infine torna a buttarsi nel Canal Grande che è la “Strada delle Strade” di Venezia, la “Via d’acqua” più importante che di fatto circonda la Contrada. Anche per questa sua centralità strategica e per questa sua agibilità, la Contrada di Sant’Angelo è sempre stata considerata una delle Contrade più prestigiose di Venezia.
Prima della metà del 1400 approfittando di un pingue lascito del Piovano Michele Davanzo si provvide a rifabbricare ancora una volta la chiesa, anche se a metà secolo il campanile pendeva vistosamente minacciando di crollare, tanto che si chiamò l’“esperto in campanili” Bartolomeo FioravantiBolognese che provò a raddrizzarlo togliendovi la terra da una parte.
Risultato ?
Dopo un giorno e una notte “dall’operazione di ripristino e sostegno”, il campanile cadde finendo rovinosamente sopra al tetto del vicino Convento di Santo Stefano degli Agostiniani, sfondando un dormitorio e accoppando due poveri Frati ignari, e distruggendo e atterrando parte della stessa chiesa di Sant’Angelo. Qualche anno dopo, nel 1456, il campanile venne nuovamente innalzato da Marco de Furi… stavolta si raccomandò: “con maggiore cura e precisione possibile”.
Esattamente venti anni dopo, accadde in Contrada un fattaccio che fece spettegolare ma anche “gridare vendetta” a tutta Venezia: Giacomo Tintore condusse Bernardino degli Orsi sotto l'antico portico della chiesa di Sant’Angelo e lo brutalizzò violentemente scappando poi via da Venezia … Venne bandito in contumacia: se solo avesse osato rimettere piede a Venezia e nel suo territorio sarebbe stato fatto immediatamente in quattro pezzi ponendone a monito uno per ciascuno confine della Serenissima ... ed erano trascorsi altri dieci anni quando il campanile venne colpito e sconquassato altrettanto brutalmente da un fulmine tanto da doverlo quasi rifare del tutto. Chissà perché, il destino s’accaniva di continuo col campanile di Sant’Angelo … (qualche pseudoteologo attuale probabilmente spiegherebbe il fatto affermando che i Nobili e i popolani Veneziani che abitavano la Contrada di Sant’Angelo dovevano essere degli efferati quanto inveterati peccatori).
Ma chi erano i Nobili che vivevano nella Contrada di Sant’Angelo?
Si trattava soprattutto di abili e ricchi Mercanti, Senatori e Avvocatidi Casati prestigiosissimi che con i loro palazzi e case sempre più belle e grandi contornarono il Campo Sant’Anzolo da una parte e resero fastosa la parte della Contrada affacciata sul Canal Grande dall’altra.
Fra i tanti nomi di Nobili e Casati illustri, in Contrada di Sant’Angelo c’erano i Martinengo, i Marcelloe i Moroartefici della realizzazione delle Procuratie Moro: un particolare esempio d’Istituzione benefica ed edilizia esistente in Venezia. Le Procuratie, che si trovavano anche a San Geremia, Anzolo Raffael, Madonna del Giglio e altrove, non erano Ospizi, ma nuclei compatti “d’edificazione popolare” concessi in usufrutto “gratis et amore dei” o con modici affitti a chi ne fosse stato degno. Ce n’erano di metrature diverse, di solito raccolte intorno e prospicenti su di una corte comune con “vera da pozzo” al centro. Nel caso del Nobilomo Luca Moro residente in Sant’Angelo, costui dispose con testamento del 1410 d’affittare una delle case di sua proprietà in Contrada di Santa Maria Zobenigo, in modo che il ricavato fosse utilizzato per mantenere “in conzo e colmo” gli edifici che aveva fatto costruire e assegnare a poveri di Venezia. L'amministrazione delle Procuratie Moro venne affidata alla Magistratura dei “Procuratori de San Marco de Supra”, che ancora nel 1796 vendette sette caxette investendo in Zecca il capitale ricavato e distribuendo ai poveri i “prò” (gli interessi maturati annualmente) secondo la volontà dell’antico testante Luca Moro. Ovviamente l’avido quanto ottuso napoleon incamerò tutti i beni delle varie Procuratie nel famoso vorace Demanio che vendette ogni cosa a privati.
Oltre ai Moro, nella stessa Contrada vivevano i Nobili Paruta in palazzetto archiacuto con quadrifora del 1500, i Nobili di V classe Barbaro di Sant’Angelotrasferitesi in seguito in Contrada di San Gregorio, i Benzon, i Cappello di Sant’Anzolo, i Malatin (forse non Nobili), i Loredan anche loro di classe V, e i Curti poi Valmarana che occupavano un altro palazzo del 1600-1700 affacciato sul Canal Grande.
Sull’omonimo Rio di Ca’ Pesaro risiedeva un Ramo dei Nobilissimi Pesaro: in uno dei Registro degli “Affari di chiesa” si registrò la controversia fra il Capitolo di Sant'Angelo e il vicino Capitolo di San Beneto circa la divisione dei proventi ricavati dall'amministrazione dei Sacramenti nel “Palazzo dei Nobilhuomini Pesaro posto in campo di San Beneto con tutte le case et mezadi posti nel suo recinto” che per antica consuetudine veniva diviso equamente tra i due Capitoli.
Soldi erano soldi… e anche i Preti di Sant’Angelo dimostrarono sempre di non disdegnarli, né di temerne gli effetti.
E veniamo ai singolari quanto interessanti Nobili Garzoni o De Garzoni. Costoro abitarono nel palazzone in stile tardogotico costruito verso la metà del 1400 con gran portale d’acqua sul piccolo Rio omonimo di Ca’ Garzoni detto anche del Traghetto. Un Zuane Garzoni giunse a Venezia da Bologna al tempo della guerra di Ferrara durante la quale pagò di sua tasca 24 soldati che combatterono a favore della Repubblica. I Garzoni entrarono quindi a far parte del Maggior Consiglio di Venezia fin dal 1289, e ottennero la Nobiltà Veneziana nel 1381 perchè Baldovino Garzoni si distinse particolarmente per il suo apporto e contributo durante la Guerra di Chioggia contro i Genovesi. Paradossalmente il Nobile morì proprio il giorno prima della sua approvazione nobiliare, che perciò venne ratificata e perpetuata nei figli Giovanni e Nicolò.
I Garzoni furono importantissimi Banchieriveneziani come i Soranzo e i Balbi, infatti a metà del 1400 furono i fondatori con Nicolò quondam Bernardo di uno dei dieci “Banchi di scritta” più efficienti e ricchi della Venezia di quell’epoca. Alla fine del secolo, le principali quattro banche in attività a Venezia: Lippomano, Garzoni, Agostini e Arimondo gestivano un capitale superiore a un 1 milione di ducati.
All’inizio del 1500, invece, a causa di una grave congiuntura politico-economica sfavorevole la Banca di Adrea Garzoni fallì con un’esposizione economica ufficiale di 85.000 ducati verso 518 creditori, ma con un debito reale complessivo di 250.000 ducati, mentre “i colleghi”Lippomanos’erano procurati un debito di “soli”: 119.000 ducati. Per farsi un’idea del “grave danno” economico in cui incapparono i Garzoni che prestavano soldi, acquistavano e vendevano argento, oro e gioielli avendo fra i propri clienti anche il Duca di Mantova, la normale paga di un operaio pubblico che faceva riparazioni per il Doge a Palazzo Ducale era negli stessi anni di 100 ducati annui.
Dopo Natale 1499, i Garzonidichiararono di aver già pagato: 128.000 ducati, ma non fu sufficiente per rimetterli in gioco economico. Dovettero svendere all’incanto tutte le loro proprietà immobiliari … che erano parecchie: ad Albaria, presso San Pietro in Valle, nel basso veronese, non lontano dal Tartaroe dal Po, e un esteso bosco di 182 ettari a Boschi Sant’Anna e di San Marco a sud di Legnago presso il Porto.
Come se niente fosse accaduto, nel 1507 il clan dei Garzoni composto da 10 individui si confrontò e si propose per l’elezione in Maggior Consiglioschierandosi contro i potentissimi Nobili Contarini il cui clan presentava ben 172 individui. Bisogna dire che ai Garzoni non mancava di certo l’intraprendenza e il coraggio ... non si arrendevano mai.
Infatti nel 1560, la Nobildonna Lucrezia Garzoni acquistò da Giulio Segato: “… una roda da molìn con sua mola et casa sopra el Sil loco Cao de Vigo nel Quintino di Treviso … per 250 ducati.” … e Frate Gabriele de’ Garzoniappartenente all’Ordine Gerosolimitano fece un notevole lascito nel 1571 a favore del Monastero di San Francesco della Croce in Venezia ... due anni dopo Costantino Garzoni esercitò a proprie spese da Ambasciatore di Venezia a Costantinopoli ... e Sandrus Lanza, Chierico di 22 anni, insegnava Grammatica a 3 alunni di Ca’ Garzoni: “… Al più grando ghe lèzo el Vives solamente, alli altri ghe fàzo far latino per neutri …”
Inizialmente i Garzoni abitavano nella più defilata Contrada di San Polo, fu infatti solo nel 1600 che acquistarono il palazzo sul Canal Grande in zona di Sant’Angelo... Significava che economicamente non se la passavano poi così male ... Pietro Garzoni possedeva una ricchissima biblioteca “laudatissima” e fu Storiografo Ufficiale della Repubblica… nel 1618 si realizzarono in Laguna i controversi “Tagli Garzoni” ideati dall’Esecutor alle Acque Zuanne Garzoni, per governare l’andamento dei fondali dell’estuario lagunare e favorire i flussi della marea … Il Senatore Girolamo Garzoni morì eroicamente nel 1688 continuando a combattere contro i Turchi nella difesa di Negroponte pur avendogli sparato una palla di moschetto in seno. Gli venne costruito un monumento sopra al portale principale del chiesone deiFrari in Venezia godibile tutt’ora ... All’inizio del 1700 si realizzò sul Brenta la “Roggia Mocenigo-Garzoni” diramazione della “Roggia Vica” voluta da Pietro Garzoni a partire da Rossanoper irrigare le terre dei Garzoni a Godego presso Castelfranco ... nell’aprile 1725 il Piovano di San Giovanni Elemosinario di Rialto era Claudio Garzoni che entrò in una lite giuridica senza fine contro il vicino Piovano di San Giacomo Angelo Bonolli che cercava di usurpargli le facoltà (e le rendite) parrocchiali … Infine, ancora nell’ottobre 1775, Elena Querini raccontava nelle sue lettere che Agostino Garzoni nei giorni passati al Casino del Ponte dell’Angelo, perdette più volte e con più persone somme non indifferenti in Carlini giocando al Rocombor ... L’equivoca dama diventatagli forse intima concludeva: “In ogni caso riuscì ugualmente a cavarsela … nè si sa il santolo che glieli diede … Voleva poi portarsi a dimorare in campagna … ma poi gli è svanita anche quella intenzione.”
I Nobili erano Nobili, e a Venezia lo erano più che mai e altrove … C’era poco da fare ...“Giravano” così.
E non è ancora tutto circa i Nobili di Sant’Angelo, perché in Contrada c’erano anche i Gritti-Morosini in un Palazzo del 1400. Nel 1310 il Nobile Cardinale Morosini di Casa Vecchiafu Plebanus della Collegiata di Sant’Angelo che veniva definita: “cièsa granda e ricca”. In seguito lo stesso Morosini intraprese una “felice carriera ecclesiastica” perché passò prima a Piovano dell’importante chiesa matrice di San Donato nell’isola di Murano, e poi venne perfino nominato da Giovanni XXII: Patriarca di Costantinopoli gestendo il ricco titolo e beneficio per cinquant’anni fino alla morte.
Poco distante in Campo Sant’Angelo abitavano anche i Nobili Duodo in palazzo archiacuto del 1400 fabbricato probabilmente da Giacomello Duodo figlio di Nicolòsul posto di un antico palazzo appartenete ai Nobili Zen. In seguito palazzo Duodo venne trasformato in albergo “All'insegna delle Tre Stelle”, dove morì il celebre protagonista della vita musicale e teatrale del settecento veneziano Domenico Cimarosa. In tempi ancora più recenti, lo stesso palazzo passò ai Nobili Balbi-Valier per via del matrimonio nel 1808 fra Marco Bertucci Balbi-Valier ed Elisabetta Maria Duodo quondam Marcantonio, e alla fine venne comprato dai Missana divenendo birreria al piano inferiore.
I Nobili di 2 classe Michiel di Sant’Anzolo vivevano, invece, in una serie di vicini palazzi del 1500 prospicenti un Rio privato ed esclusivo collegato direttamente col Canal Grande e non comunicante con nessun altro corso d’acqua pubblico … I Nobili Pisani di Sant’Anzolo di III classe, viceversa, risiedevano in un palazzo di quattro piani della seconda metà del 1600 dalla doppia facciata prospicente sul Campo e sul Rio di Sant’Angelo. Era un edificio molto ricco e ben arredato costruito inizialmente per i Nobili Trevisan, e nel 1740 Alvise quondam Benedetto Pisani,proprietario di una casa in Contrada dei Santi Apostoli, la affittava per 140 ducati annui per potersi pagare l’affitto di 130 ducati annui del palazzo in Contrada di Sant’Angelo in cui viveva.
In Campiello del Teatroavevano palazzo i Nobili Sandi di Sant’Anzolo(traslato in ultimo passaggio di proprietà ai Conti Porto di Vicenza e ai Cipollato). Anche i Sandinon erano affatto Nobili da poco: il loro palazzo era considerato fra le 15 case più riccamente arredate e decorate dell’intera Venezia. Infatti l’interno aveva affreschi di Tiepolo che dipinse mirabili vicende mitiche di Orfeo, Apollo e Marsia, Ulisse e Achille ed Ercole e Anteo. I Sandi erano Avvocati e Notai originari di Milano ma trasferitisi a Feltre per commercio. Vennero aggregati “tardi e per soldo” alla Nobiltà Veneziana nel maggio 1685 per aver contribuito alle spese di Stato per la Guerra di Morea. A Venezia erano conosciuti come più ricchi di quanto si potesse pensare: “… a loro interessava poco non essere conosciuti dalla Nobiltà per nobili … Forse per non essere troppo cogniti … venivano lasciati tranquilli negli Scrutini …”Insomma i Nobili più grandi e potenti cercavano di tenerli bassi, in disparte, e fuori dal gioco delle cariche di Stato che contavano per davvero.
Nel 1677 Vettor Sandi era il Guardian della Schola del Santissimo di Sant’Angelo, la Schola più prestigiosa della Contrada, dove a sue spese pagò: “l’adornamento di noghera attorno ai muri da una parte e dall’altra della porta maggiore della chiesa e sotto all’organo…”
Il palazzo dei Sandi venne costruito dall’architetto Domenico Rossi con preziosa biblioteca solo verso il 1721. Tuttavia i Sandi possedevano nei primi decenni del 1700 alcuni complessi di Ville prestigiose a Crocetta del Montello, e soprattutto a Moldoi di Sospirolo in Valbelluna sulla destra del Piave vicino a Maràs di Feltre dove trascorrevano favolose “Stagioni di Villa”.
“Il fatto che, con l'avvento degli Austriaci in Veneto, nessuna famiglia dal nome Sandi sia stata riportata tra gli appartenenti al Patriziato di Venezia a cui confermare il titolo, fa supporre che i Nobili Sandi si fossero già estinti.”
Quel che è certo, invece, è che ancora nel 1818 il Podestà di Venezia Bartolomeo Girolamo Gradenigo ospitò proprio a Palazzo Sandi il Vicerè Eugenio di Beauharnais ospite a Venezia offrendogli una festa memorabile. Così come è altrettanto certo che qualche anno dopo arredi e opere d’arte del palazzo vennero acquistati dalla Corte di Russia e andò dispersa allo stesso tempo tutta la preziosa biblioteca.
Ancora poco distante, e sempre nella stessa Contrada sorgeva il prestigioso palazzo rinascimentale dei Nobili Corner affacciato sul Canal Grande nel Campiello del Teatro. Venne costruito nel 1480 presso la Corte dell’Alboro e comprato dal Doge Pietro Lando già Arcivescovo di Candia. Zuane Corner lo abitava fin dal gennaio 1542 quando si spostò da San Polo dove s’era incendiato il suo palazzo. Lo stesso Corner lo fece arredare il palazzo da dipinti di GiorgioVasariche racconta nel suo “Libro delle Ricordanze” di aver eseguito ben 9 quadri ad olio per il “sofittato della magnifica camera”di Giovanni Corner tutta di legnami intagliati ricamati d’oro prima di andarsene da Venezia dove “avea poca voglia di stare” perché “… a Venezia non si tenèa conto né del disegno né dei pittori”. Il soffitto “favoloso” venne ben presto smembrato e venduto, e il palazzo venne affittato per 460 ducati annui e 12 libbre di zucchero agli Spinelli Mercanti di Seta e Nobili aggregati di III classe provenienti da Castelfranco e già residenti nella Contrada più periferica di San Felice.
In seguito il palazzo passò ancora di proprietà andando ai Carnoldi nel 1810, e finendo nel 1850 alla danzatrice Maria Taglioni che aggiunse le balaustre laterali prelevandole dalla Ca’ d’Oro che le apparteneva come Ca’ Barzizza(infine il palazzo giunse ai Salom). I NobiliSpinelli erano una famiglia di Mercanti d’oro e abili Notai, e un casato Nobile emergente in quanto con Paolo e Girolamo avevano comprato il titolo nobiliare pagandolo allo Stato 100.000 ducati nel 1718 al tempo della Guerra di Morea. Nel 1764 ebbero a che fare con gli Inquisitori di Stato per via di Paolo Spinelli che era in procinto di trasferirsi “alla reggenza di Bergamo a nome della Serenissima”. Paolo s’era innamorato di Barbara Labia a causa delle “seduzioni e le male arti” di Fernandino e Stefano Nardi, perciò gli Inquisitori di Stato convocarono la donna e “gli amici” richiamandoli e ammonendoli di non andare a disturbare il Nobile fino a Bergamo, e imponendo loro perfino di consegnare la posta che Spinelli avrebbe eventualmente loro inviato. Tre anni dopo, infatti, Spinelli finì col sposare la Nobile Cecilia Berlendis ... il capriccio transitorio con la Labiaera passato ... almeno ufficialmente. Ancora nel 1838: Dionisio Moretti disegnò la facciata di Palazzo Spinelli a Sant’Angelo sul Canal Grande: “… facendola a bugne di pietra rozza...”
I Nobili Pasqualigo abitavano in Calle della Madonna: nel maggio 1777 il Nobile Marcantonio Pasqualigo si oppose ufficialmente consegnando “un impedimento formale alla Curia del Patriarca” circa il matrimonio di suo figlio Zuanne con una vedova Marina Garbi da Spilimbergo con cui conviveva già nella vicina Contrada di San Samuel. Un matrimonio del genere sarebbe stato un disonore e uno scandalo per il casato … perciò alla fine venne loro concesso di celebrare il matrimonio in casa in gran segreto per salvare la pubblica immagine del blasone nobiliare.
Infine, un Ramo dei Caotorta Cittadini Originari abitava in Contrada di Sant’Angelo dentro a una Calle che portava il loro stesso nome. La casa l’avevano comprata Alvise Caotorta quondam Alessandro dai Nobili Cappello nel 1759, e gli stessi Caotorta avevano tombe di famiglia in chiesa di Sant’Angelo. A differenza di tanti altri illustri Nobili Veneziani tanto famosi quanto finiti in disgrazia e decaduti, i Caotorta vennero aggregati ancora nel 1802 al Consiglio dei Nobili di Treviso, e addirittura il Governo Austriaco confermò il loro “status nobiliare” nel 1819 quando il valore dei titoli Nobiliari Veneti era divenuto lo zimbello comico di tutta Europa per il loro inutile significato.
E questo è quanto circa i Nobili della Contrada di Sant’Angelo, anche se non è affatto tutto in quanto ci sarebbe da perdersi nel raccontare (ma perderei anche voi come coraggiosi lettori). Lericche Famiglie Nobili di Sant’Angelo erano fornite come tutte le altre del loro stesso lignaggio di ogni tipo di agi e servizi: barcaroli, domestici, maggiordomi e massere … e provvedevano ad allestirsi vicino a casa anche i luoghi del divertimento e dell’evasione, come, ad esempio: la Caccia all’Orso in Campo Sant’Angelo, e il Teatro Sant’Angelo ... senza contare i numerosi Ridotti e Casini da Gioco che si trovavano a due passi, e le altrettanto numerose prostitute che stavano nelle limitrofe Contrade di San Samuele e San Beneto ... e molto altro ancora.
Il Teatro di Sant’Angeloaffacciato sul Canal Grande è stato attivo dal 1677 al 1894 seppure subendo diverse trasformazioni e molti cambi di gestione. Non era un gran teatro, anzi, era formato solo da una serie di 136 bassi palchetti, ma sorgendo in una collocazione ottimale sul Canal Grande era raggiungibilissimo da chiunque possedesse barca o gondola ... il che non guastava per tanti motivi, compresi quelli di privacy e discrezione ... Perciò ebbe una sorte fortunata.
Inizialmente la proprietà apparteneva a una società fra Nobili Capello e Marcello, e il Teatro venne attivato dall'architetto, scenografo e impresario Francesco Santurini, passando in seguito di mano in mano fino ai Nobili Renier. Uno che dominò a lungo le scene di Teatro Sant’Angelo fin quasi dall’inizio del 1700 fu Antonio Vivaldi coinvolto non solo musicalmente nella gestione del teatro dove si davano sempre “prime opere in Musica” accaparrandosi il pubblico Veneziano e “non” che accorreva sempre numerosissimo. Il primo spettacolo ad andare in scena fu la “Helena rapita da Paride” con testi dell’Aureli e musiche del Freschi. I drammi in musica di solito organizzati in tre atti e con 6-7 cantanti ballerini continuarono fino al 1759 quando per opera soprattutto di Gasparo Gozzi(che abitava nel 1779 in Calle della Madonna a Sant’Angelo in casa dello stampatore Modesto Fenzo)il teatro prese la via della prosa ospitando i comici del Teatro San Samuel andato a fuoco, e soprattutto molte commedie di un certo Carlo Goldoni ! … Nel 1780 perfino Giacomo Casanova fece venire al Sant’Angelo una compagnia di comici Francesi.
Scriveva nell’ottobre 1760 il Gradenigonei suoi “Notatori”: “… al Teatro Sant’Angelo, del presente autunno e seguente Carnevale si rappresentano 3 opere buffe. Li drammi sono di nuova composizione del celebre dottore Carlo Goldoni … il senario nuovo venne dipinto da Francesco Costa architetto e pittore Veneto compreso tra i soci della rinomata Accademia Parmense …”
Il Nuovo Teatro “La Fenice” nel maggio 1792 prenderà il posto del vecchio Teatro Sant’Angelo occupando terreni acquistati in Contrada di San Fantin dai Presidenti del Teatro Sant’Angelo che presentarono nel 1789 una supplica al riguardo al Senato della Serenissima chiedendo di aprire un nuovo canale apposito per collegare direttamente il nuovo teatro col Canal Grande. I Provveditori da Comun, competenti in materia, comunicarono al Senato che il nuovo canale: “… avrà buoni effetti, e tornerà utile per minorare le cattive esalazioni dell’aria, e impedire la maggior copia di sedimenti aggravanti il Pubblico per li frequenti escavi, e di accordare una più breve e comoda via per acqua verso ogni situazione della città … oltre che un più facile accesso e per acqua e per terra al nuovo Teatro permesso dall’eccelso Consiglio dei Dieci.”
Nel 1800 sul Canal Grande sulla stessa fondamenta dove sorgeva il Teatro Sant’Angelo si costruì Casa Barocci, e per ultimo nel recente 1954 si realizzò sull’angolo del Rio di Sant’Angelo all’incrocio col Canal Grande, sull’area di una caxetta anonima, il Palazzo Tito di quattro piani a cui si accede attraverso la Corte Lucatello con antica vera da pozzo.
Dovete immaginare il Campo Sant’Anzolo impegnato in un sovente processionare per mille motivi e ricorrenze … Ogni occasione era buona per i Veneziani per uscire fuori e mettersi per strada e girare in tondo a cantare, suonare, orare, sfilare e mettere in mostra le loro convinzioni e le loro aggregazioni … I Gastaldi delle Schole con i Nonsoli andavano in giro portando di casa in casa “pan e candela” ai Confratelli che non avevano partecipato alle funzioni in chiesa, e riscuotevano tasse e multe, questuando per ogni angolo della Contrada “a fin di bene”.
A Venezia non mancava ovviamente la Spadaria con infisso sul suo muro d'ingresso: “uno stemma e scudo col leone di San Marco e sotto tre spade scolpite”.
Fin dal 1297 le Arti degli Spadai, dei Corteleri o Coltellinai e dei Vagineri o Vaginai (che non erano affatto dei maniaci perversi ma semplicemente i fabbricanti delle guaine e delle custodie per le spade) s’aggregarono insieme in un’unica Schola sotto la protezione di San Nicolò di Bari. In precedenza s’erano già fatti ospitare senza soddisfazione a San Francesco della Vigna e a San Gimignan, ma in Sant’Angelonel 1515 finirono col mettere definitivamente le radici perché utilizzando l'altare di Sant’Orsola posero la loro pala col San Nicola dipinto, promisero d’abbellirne ulteriormente la Cappella, e organizzarono ogni anno la festa patronale con una solenne processione tutto intorno alla Contrada (un’altra !).
Le cronache antiche di Venezia raccontano che nel 1574 gli Spadai della Serenissima vestiti di roso e verde accompagnarono con una barca addobbata a “cuori d'oro”Enrico III di Francia e Polonia da Murano fino a Venezia sfoggiando tutte le loro armi antiche, i trofei e i loro gonfaloni ... Fu uno spettacolo indimenticabile !
Ancora nel 1773 l’Arte degli Spadai era viva e vegeta in Venezia lavorando in 19 botteghe e contando: 26 Mastri Spadai coadiuvati da 14 lavoranti e 6 garzoni.
All’inizio del 1500 nella Contrada di Sant’Angelo cessò di vivere morendo per “morbo gallico”Marcantonio Sabellico, lettore pubblico, letterato e autore di varie opere stimatissime dai Veneziani e non solo … e qualche anno dopo vi morì anche Raffaello Reggio, altro pubblico lettore, lasciando la propria “libraria”ai Frati di San Giorgio Maggiore ... Quelli dello Studium di Santo Stefanonon la presero bene ... Secondo le cronache e le statistiche dell’epoca in Contrada di Sant’Angelo risiedevano e lavoravano abitualmente: 1.787 persone … in chiesa: Prete Gregorio Dolfin già Canonico prebendato di San Pietro di Castello e Prete titolato della Collegiata di Sant’Angelovenne eletto Piovan chiedendo però di usufruire anche del titolo e delle rendite di Suddiacono titolare di Sant’Angelo… Ma quante cariche e soldi voleva possedere costui ? … però: “Gli venne concesso … senza che alcuno protestasse qualcosa ...”
La minuscola Parrocchia della Contrada di Sant’Angelo pur vivendo un po’ all’ombra del maiuscolo Convento degli Agostiniani possedeva tutte le doti caratteristiche delle tipiche Plebanie Collegiate di Venezia.
L’Istituzione parrocchiale di Sant’Angelo se la passava bene economicamente, tanto che fra un restauro e l’altro della chiesa (la cui facciata si fece sormontare da timpano “all’antica”), si provvide a far costruire anche un organo nuovo per una spesa di 220 ducati pagati in 4 rate, si spesero 12 ducati per la Festa Patronale dell’Arcangelopagando cantori e strumentisti, altri 4 ducati dei soldi della Fabbriceria per pagare un Maestro di Cantoper Chierici e Zaghi di Sant’Anzolo, e 22 ducati annui per un organista ... Il Piovano era consueto dividere in “decima” per il Collegiata le rendite del “beneficio della chiesa e della Contrada”comprese le elemosine del giorno della Festa di San Michele Arcangelo, assegnando al Sacrestano le offerte raccolte in chiesa nel “giorno della Sagra di San Michiel” eccettuate le elemosine donate dai fedeli Veneziani durante le Messe.
Dentro alle mura della chiesa oltre agli Spadai si ospitava una quindicina di Schole Piccole Veneziane, fra le quali alcune per davvero significative, rinomate, e per noi molto interessanti.
Gli iscritti all’Arte e Schola dei Verieri erano pochissimi (solo 18 di media) ma molto agguerriti e decisi, tanto che avevano una discreta capacità economica lavorando in collaborazione con molte altre Arti cittadine come Muschieri, Marzerie Fruttaroli a cui vendevano o da cui compravano vuoti a perdere.
Nel 1592, avendo il Patriarca con apposito decreto proibito l’uso in Venezia di ogni altare di legno, la Schola approvò la spesa di 150 ducati per costruirne uno nuovo in marmo. Il Piovano di Sant’Angelo nell’occasione donò alla Schola due colonne di marmo … e allora, già che c’erano, i Verieri chiesero al Capitolo di Sant’Angelo anche la possibilità di avere delle nuove tombe in chiesa, e di collocare sull’altare una pala dipinta col loro Santo Patrono: San Bastiàn. Per un certo numero di anni i Verieri organizzarono la Festa del Patrono in Campo e Chiesa de Sant’Anzolo, partecipando a tutte le funzioni in chiesa, e organizzando anche una solenne processione tutto intorno alla Contrada dell’Anzolo (un’altra !). Tuttavia nonostante tutta quella partecipazione e quell’entusiasmo, nel 1666 l’Altare dei Verieri non era ancora terminato, e anzi: ancora incompleto la Schola lo vendette alla Schola di Sant’Antonio da Padova in cambio di 225 ducati. L’Arte dei Verieri stava piano piano involvendosi e spegnendosi finchè venne soppressa quando si riorganizzò l’intera Arte Vetraria Veneziana dopo il 1713.
Oltre alle Schole dei Verieri e degli Spadai nel 1513 ai aggiunse in chiesa anche la Schola del Santissimo Sacramento… e nel 1531: la Fraterna dei Sacerdoti dell'Assunta che aveva cento iscritti. La Schola de Preti era approdata a Sant’Angelo dopo aver pellegrinato a lungo per le chiese di San Basso e Santa Maria del Giglio, e utilizzava un proprio calice d’argento del peso di 12 once, possedendo un capitale di 4.657 ducati investiti in Zecca con l’interesse di 117 ducati annui. Ogni anno la Fraterna dava 24 ducati al Capitolo di Sant’Anzolo e 2 ducati e 1 grosso al Capitolo di San Mauriziospartendosi il resto degli interessi fra i componenti della Fraterna secondo la presenza più o meno assidua agli appuntamenti e alle scadenze della Schola stessa.
Accanto a queste, ci fu un’altra Fraterna singolare e diversa dalle altre (secondo me curiosissima) che venne ospitata a lungo nella Contrada e chiesa e Oratorietto di Sant’Angelo(ancora esistente nel Campo): era la Schola e Confraternita dell’Annunziata dei Zoti e Zonfi Mendicanti ossia degli Zoppi e Monchi Desposenti della Madonna.
Iniziò così il 1 novembre 1392 la Mariegola della Schola dei Poveri Zoti Despossenti Reduci e Mendicantiche vivevano elemosinando in giro per Venezia. Indicativo del loro “stato patriotico” fu che i Zoti stabilirono di tenere la loro Festa il giorno dell’Annunciazione: ossia lo stesso giorno in cui Venezia festeggiava la sua nascita.
La Schola s’impegnava ad assistere i fratelli bisognosi, non gli “zompi per natura”, rimborsando fino a 6 grossi per le spese mediche, e dando a chi era infermo in casa fino a 4 soldi al giorno … Viceversa la Mariegola dei Zoti decretava:“…chi farà ingiuria verso questo nostro Comun, o verrà trovato a giocare d’azzardo e non per sollievo verrà radiato dalla Schola … come chi osasse mancare de man, o de crochola, o de bastòn, o trar arma contro il Gastaldo … e oltre ad essere radiato pagherà anche un ducato.”… e continuava a comandare: “Il Guardian della Schola dovrà essere sufficientemente sòto, over shanchàdo, mendicante o meno, e nè de alcun’altra conditione: né sonfo, né orbo, né di altra infermità … Passerà per le case a distribuir il pan benedeto ai confratelli e consorelle iscritti … Per ogni Confratello Defunto si dovrà recitar: 25Pater-Ave et Requiem e s’accompagnerà il Morto al funerale fin dentro alla ciesa.”
Sfogliando ancora la stessa Mariegola dei Zoti tutta decorata a vegetali con tulipani di colore verde, arancione e rosso e da belle miniature con una “Crocefissione” e una “Madonna su leggìo con Angelo annunziante davanti”, si può ancora leggere l’annotazione tratta dal Capitolo XV scritta tra dicembre 1392 e agosto 1464: “… podranno essere eletti ala carica de Gastaldo e Banca della Schola solo Zoppi e Schancadi …” e un’altra annotazione recita: “… la Festa sia celebrada il di dell’Annunciazione … in marzo … et in quello dì se debia sentar al canchello della Schola e dèbiase dar el pan e la chandella. E cussi’ ordenemo che similmente in el dì dell’Anzolo Gabriel la qual Solennità et Festa viene il 6 luglio … volemo se debia far pan e candhela per suplir e contentar quelle persone che per la Festa della Madonna de marzo non l’abbiano avuto e per quelle che per devozione e riverenza lo desiderino due volte l’anno … El gastaldo, pena 20 soldi per volta, debbia tor per le 2 feste trombe e piffari … i qual debbia venir a sonar la Vigilia al Vespro e la mattina alle Messe infina fata la Procession e levado il Corpo de Crhisto a la Messa granda. E poi farghe el debito suo secondo usanza …”
Nel 1492 si è scritto: “… tutti gli iscritti devono partecipare obbligatoriamente “per magnificenza et trionfo” ai Vespri e alle Processione della Schola pena multa di 10 soldi … anche chi bestemmia verrà soggetto alla stessa penalità ...” e nel dicembre 1596: “le figlie degli Zompi dopo due anni d’iscrizione dei loro padri alla Schola avranno in grazia 5 ducati per maritarsi …”
Ancora nel 1527 i fratelli Francesco e Leonardo Morosiniconfermarono alla Schola la donazione dell’Oratorietto effettuata dai loro antenati, a patto che i Zotti li riconoscessero come loro unici e perpetui protettori. In quell’occasione si ricostruì l’edificio come ricorda l'iscrizione posta sopra la porta d'ingresso:
“IN TEMPO DE GREGORIO DE LUBIANA e COMPAGNI MDXXVIII
Col trascorrere degli anni, la Schola dei Povari Zotti entrò in possesso di otto caxette in Salizada di San Samuel dove costruì un suo Ospissio per ospitare "gratis et amori dei"i Zotti malati o in povertà. Ancora oggi in parete del civico 3154 si può notare fra secondo e terzo piano l’altorilievo del 1683 che raffigura “L’Annunciazione dei Zotti”con la soggiacente scritta:
“CASE DELLA SCOLA DE SAN[cta] ANV[nciata] DE POVERI ZOTTI A S ANGIELO RESTAV[rate] L’ANO MDCLXXXIII DEI BENI DI SCOLA”.
Edmondo Lundy Mercante Svizzero di Berna innamorato di Venezia descriveva sorpresissimo la Schola dei Zotti nel suo “Soggiorno a Venezia” del 1854: “… era il giorno 25 marzo, ed a caso di mattina passando per il Campo di Sant’Angelo onde recarmi a Santo Stefano dal Segretario Gratarol, vidi cosa che a prima giunta mi recò grande sorpresa. In quel campo stavano adunati più centinaia di zoppi, dei quali andavano molti girando su E giù per il campo, e molti sedevano sul terren o su seggiole. Il loro numero e le strane loro varietà non poterono fare a meno di eccitare il mio riso. Rimasi come incantato per qualche istante, non sapendo il perché di tale singolare adunanza. Ne cercai informazione e mi fu risposto che i Zoppi tutti fanno una Confraternita, e che in quel giorno 25 marzo questa si raccoglie in una piccola chiesetta intitolata all’Annunciazione posta in detto Campo ed in cui si fa solenne funzione. Ma siccome detto locale è troppo ristretto alla loro quantità, così i più sono forzati di rimanere sulla via. Mi fu poi aggiunto che in un dì del venturo mese, ciè in aprile, tutti i zoppi miserabili sono invitati a pranzo in Casa Contarini alla Carità, dove a tavola sono serviti dai Nobili Patrizi di quella famiglia …”
I Veneziani chiamavano confidenzialmente la Schola: “la ‘Nonsiàda dei Sòti” oppure “la Schola de’ Zoppètti”…
E venne un’altra stagione terribile di Peste che interessò tutta Venezia e l’intera Laguna. Era quella che portò alla costruzione del Tempio del Redentore alla Giudecca, si era nel 1576. Nel Libro dei Morti della Contrada di Sant’Angelo si leggeva: “… Prima morte sospetta il 21 agosto e morti frequenti il 24-25-26 … l’Eccelenza Misser Hieronimo Summaripa, amalato de febre ed un tumor sotto la cerchia zanca et petecchie ... In notte, 27 ditto ... il die 29: … Andrea, fiol di Madonna Marietta santona, d’anni 26 in circa, amalato de febbe. In notta hieri … Virginia de Missier Piero de Grandi, d’anni 28 in circa, amalata da febre et un tumore sopra la cossa … Il die 30 dello stesso mese: … Perotto bastaso, amalato da febre et carboni (bubboni), de anni 40 in circa, et tumori… Sospetti: Isabetta Paliceria vedoa, d’anni 50 in circa, amalata de febre et petecchie negre …”
I numeri calarono nei mesi seguenti, ma ripresero a salire nei primi mesi dell’anno successivo quando a febbraio si andava a morire al Lazzaretto. Solo dall’aprile 1577 non si annotarono più altri casi di morte per Peste.
Alla Visita Apostolica del maggio 1581, la Contrada s’era ripresa bene: c’erano 2.397 abitanti. In chiesa c’erano: “… il Piovano, un Primo Prete e un Diacono titolati che percepivano 300 ducati annui più l’uso di una casa. Gravitavano inoltre intorno alla chiesa anche un Suddiacono e altri 19 Chierici che celebravano 17 Mansionerie percependo 287 ducati, e rimanendone altre 2 vacanti del valore di 30 ducati in attesa d’essere celebrate ... Nella stessa chiesa con 6 altari è ospitata e attiva la Schola di San Nicolò degli Spadari che esercita il mestiere nella vicina Spadaria ... Nell’Oratorio ci sono i Zotti Mendicanti dell’Annunziata e un’altra Compagnia di San Giuseppe deputata ad accompagnar giustiziati al patibolo ...” Il Visitatore Apostolico trovò da ridire perché quelli della Collegiata di Sant’Angelo tenevano in chiesa Reliquiepresunte “Sante” ma d’origine improbabile e non troppo documentata e sicura.
L’elenco ufficiale delle 11 Preziose Reliquie di Sant’Angelo recitava: “Pezzo della Colonna su cui fu torturato il Salvatore”, “Legno della Vera Croce”, “Parte delle funi che strinsero i Santi Martiri”, “Corpo di San Clemente Martire”, “Santo Osso di Sant’Andrea Apostolo, di San Verecondo e San Vittorio Martiri”, “Catena della prigionia dell’Apostolo”, “Teste di San Fedele, San Gordiano e San Restituto Martiri”… Anche Sant’Angelo era inserita nel “Circuito” che procurava ai Pellegrini di passaggio per Venezia di che occuparsi e celebrare circa la “Passio Cristi”… se fosse stato il caso anche senza doversi recare per forza fino a Roma, o giù a San Michele nel Gargano di Puglia, o oltremare fino in Terrasanta. A Venezia c’era di tutto circa Reliquie e Indulgenze… volendo ci si poteva fermare anche lì ottemperando al “Voto del Viaggio Santo” per poi tornarsene a casa propria “in Santa Pace”.
Nel 1587, il laico trentaduenne da Treviso: Johannse Brochinus quondam Hieronimi insegnava a “Lezer, scriver et abbaco” a 50 alunni tenendo da 2 anni Scuola Pubblica in Contrada di Sant’Angelo: “… insegno el “Salterio”, el “Donado”, “Fior de Virtù”, la “Dottrina Cristiana”, il “Marco Aurelio”, le “Epistole” et “Evangelii vulgari” ... Per contentar i humori dei padri ghe ne sono anche che portano a schuola libri de batagia, el Furioso et simil libri: io ghe insegno a satisfation dei padri …”.
Anche Francescus De Rubeis, Chierico di 43 anni, insegnava ormai da 20 anni a 4 alunni per volta: “… El “Donado”, la “Vita Cristiana” e “Fior de Virtù” et le “Epistole” et “Vangelii Vulgarii” …” nella sua consueta Scuola di Grammatica di Sant’Angelo.
La Collegiata dei Preti inoltre registrava un’infinità di Scritture attinenti “alli testamenti di Zuanne Ferrante, e di Angela Ferrante Cortese” del 1587-1663, “della famiglia Dolfin, e cioè Pangrazio, Gerolamo, Giacomo e reverendissimo don Zorzi” del 1523-1895, oppure “Punti di testamenti”, Comissariecome quella di Pietro Beltrame drapier del 1603-1665, di Paola da Lezze del 1604-1778, o del Reverendissimo Don Andrea Nicolini del 1679-1777 e del Reverendo Don Nicolò Pizzonidel1600, “Scritture relative all'eredità di Giacomo Santo” del 1423-1781, di Bortolo Bon, di Smeralda Pellizzer da Udine del 1583, “de Ser Alvise Dandolo”, o “de Ser Domenico Duodo”, delle “Nobildonne Laura Memo Marcellini” del sec. XVII, e della “Nobildonna Elisabetta Tiepolo Duodo” del 1678, “de Ser Piero Morosini” del 1453-1627, della “Nobildonna Morosina Zustinian” del 1452-1604, e di “Elisabetta Pellegrini Filippi” ancora nel 1873.
In altre parole la chiesa di Sant’Angelo possedeva la cartina tornasole di gran parte della vita e degli affari delle persone della Contrada e di molti Veneziani ... I Preti tenevano perfino il “Cathalogus Mansionariarum perpetuarum, seu obligationum Missarum in ecclesia Parochiali et Collegiata Sancti Angeli venetiarum, quarum habetur memoria ex cathasticis ecclesiae ...”
Dal 1604 al 1689 si litigò non poco a parole ma soprattutto con i fatti e in tribunale fra le Monache del Monastero di San Girolamo e i fratelli Luca, GioBatta e Antonio De Gasperi per la proprietà di “un forno con caxette site in Contrada di Sant’Angelo” proveniente dai beni del Monastero di Sant’Andrea dell’isola di Ammiana dietro Torcello (già scomparso e soppresso fin da metà 1400) le cui rendite furono concesse al San Girolamo che aveva subito i danni di un violento incendio.
Arrivò poi l’anno 1629 che fu memorabile in senso negativo, per non dire schifoso. In Contrada vivevano 2.099 persone, e a causa delle campagne militari rovinose della Serenissima lo Stato continuava ad imporre sempre nuove tasse, proclama dopo proclama: i Veneziani erano asfissiati e oppressi da sempre ulteriori balzelli e tributi.
In febbraio s’iniziò a chiedere: “1 soldo per lira a tutti Dazi esclusa la Gabella del Sale e a tutte le gravezze a vantaggio dell’Erario da pagarsi a cura di tutti gli abitanti del Dominio compreso quello da Mar” ... a marzo si ribadì di nuovo l’urgenza di aumentare le tasse: “per bisogni importantissimi, gravissimi e urgentissimi della Serenissima Repubblica”. Il Senato impose altre “2 decime” su tutta Venezia e il Dogado da pagarsi: “… una da patroni sopra livelli perpetui, stati, inviamenti de pistorie, magazeni, forni, poste da vin, banche di beccaria, traghetti, poste, palade, passi, molini, foli, sieghe, instrumenti da ferro, battirame. Moggi da carta ed altri, dadie, varchi che si affittano e si pesano, decime di biave, vini ed altre robbe, fornari, hosterie et ogn’altra entrata simile niuna eccentuata.” …La seconda “tansa-decima” fu posta: “… sopra tutti i “livelli francabili” fondati su case, campi o altri beni in qual si voglia luoco, fati con chi si sia”.
Chi pagava entro aprile riceveva un abbuono del 10%, chi pagava più tardi un uguale aggravio.
E non fu tutto, perché 8 giorni dopo si aggiunse un ulteriore “prestito obbligatorio alla Repubblica” sotto forma di altre 2 decime e 2 tanse: “… da pagarsi in buona valuta o moneta corrente con il quinto de più, senza sconti né esenzioni, in agosto e febbraio da tutti coloro che a Venezia erano soggetti a gravezze.” (ossia: praticamente tutti).
Fu un’annata terribile, davvero tremenda, perché a fine giugno sempre lo stesso Senatofissò un termine perentorio di 15 giorni per denunciare ai 10 Savi alle Decime tutti i “livelli perpetui e francabili” ed ogni altra fonte di reddito e commetteva a Commissari Straordinari di reperire entro un mese in ogni modo denaro ricavandolo in tutto lo Stato apponendo decime alle campagne, testatico o simili seguendo la via più facile e veloce e proporzionata alle persone che dovevano pagare … Si stava, insomma, cercando di grattare il “fondo del barile di Venezia” già grattato, e di “mungere la vacca” ormai diventata magrissima da tempo. Venezia e i Veneziani: erano allo stremo.
In agosto lo Stato decise per l’esenzione dei poveri dall’imposta straordinaria e per chi a Venezia e nel Dogado pagava un affitto di casa fino a 20 ducati o affitto fra casa e bottega fino a 30 ducati in quanto il contributo sarebbe stato trascurabile per l’erario ma troppo gravoso per il debitore … In ottobre si prorogò fino al 10 novembre il termine per il pagamento delle decime, pena la consegna il 1 dicembre dei Libri Fiscali al Collegio che avrebbe provveduto ad imporre d’ufficio la tassa obbligatoria.
Non c’era scampo per nessuno … Tutta la gente di ogni ceto sociale della Contrada di Sant’Angelo, come l’intera schiera dei Veneziani non tiravano più il fiato, e non sapeva più a quale Santo rivolgersi e votarsi. Ovunque fremeva l’insoddisfazione, e premeva quell’onerosa e mai terminata pressione fiscale insostenibile. Venezia Serenissima esigeva … anzi: esigeva fortemente, senza risparmiare nessuno … neanche i soliti raccomandati che anche in Laguna non mancavano mai.
A poco valse che in Contrada per stemperare e rallegrare gli animi la Schola del Santissimo in maggio regalasse delle “Grazie”alle donzelle per maritarsi. Sapete come andò a finire, e quale fu la “risposta” a tutte queste scadenze oberanti, che azzerò ogni preoccupazione e dirottò ogni urgenza ? … L’anno seguente giunse l’immane Peste che decimò l’intera popolazione di Venezia portandola al Voto del Tempio della Madonna della Salute.
Durante la Pestilenza la Serenissima decretò che ogni Piovano dovesse avere “il privilegio” di poter assistere gli appestati in mancanza di medici ... Figuratevi che contenti dovevano essere stati i Piovani !
Era accaduto che alla fine di ottobre, proprio in Contrada dell’Anzolo, era apparsa la prima notizia della peste nella diagnosi del Medico Alberto Cerchiari: “Ho visitato io Alberto Cerchiari nel giorno di heri Madonna Anna, moglie di Misser Rodolfo detto Pestrinèr, inferma di febre acutissima, con lingua arida et alienationi di mente, onde ho giudicato che sia del numero delle pestilenti, se ben non ho veduto apparer alcuna cosa nell’estrinseco et, essendo morta questa notte, tanto più mi confermo in questo parere. Ho veduto anco nella stessa casa Simon figlio del detto Missier Rodolfo, con un tumor in una spalla, che li riferiva ancor sotto il brazzo, et un brusco nel petto, grame come un grossetto, ma di cattivo colore. L’ho stimato male contaggioso et così giudico che sia con mio giuramento.”
Nei giorni seguenti si fecero più frequenti le diagnosi per Morte dovuta a petecchie, così che nei Libri dei Morti s’iniziò da novembre e fino al marzo 1631 seguente, a segnare anche i “sospetti”, e i “sequestrati in contumacia casa”.
Sulla scia di quanto avvenne a livello pubblico e cittadino, l’anno stesso il nuovo Piovano Francesco Lazzaroni, dotto teologo e giurista, fece scolpire e apporre nella chiesa di Sant’Angelo un simulacro della Madonna della Salute dedicando la chiesa alla Vergine Lauretana della Salute oltre che al solito San Michele Arcangelo di sempre.
Ma compiuto questo “devoto e meritevole gesto” il Prete finì forse col “montarsi la testa” perché nel settembre 1640 la Signoria Serenissima dovette intervenire in quanto l’ex Piovano di Sant’Angelo divenuto Vicario Patriarcale pretendeva dopo aver impetrato e ottenuto dal Papa di Roma un apposito “Breve d’Indulgenza” di far cantare a tutti ogni sabato le Litanie davanti al nuovo altare della Vergine fatto edificare da lui stesso ... E quel che era peggio, aveva escluso dal “Lucràr Indulgenza” tutti i Preti che non la pensavano come lui, e lo ostacolavano in quella sua “nuova devozione imposta” giungendo fino a sospenderne qualcuno compreso un Chierico di San Marco, Basilica privata del Doge Serenissimo.
Nello stesso mese perfino gli altri Preti del Capitolo di Sant’Angelo e i Procuratori della Fabbrica di Sant’Angelo si dissociarono da quell’insano proposito, e presentarono una denuncia alla Signoria contro l’ex Piovano. Aveva introdotto quell’altare in chiesa con quelle devozioni e altre alterazioni contro la loro volontà e senza consultarli adeguatamente. E come sempre, dietro ogni forma di culto e devozione … c’erano anche dei significativi guadagni di mezzo.
Il Prete Lazzaroni ex Piovano di Sant’Angelo diventato nel frattempo Autorità Ecclesiastica, minimizzò la cosa e volle continuare per la sua “fortunata strada” imponendo ulteriormente le sue decisioni: “Sono solo indisciplinati disobbedienti …” spiegò, “invidiosi del successo di questa innovazione di cui dovranno farsene una ragione.” replicò ancora provocante.
La Signoria della Serenissimatuonò ! … “Il Patriarca con i suoi Canonici non devono permettersi di sospendere i Chierici della Basilica Ducale di San Marco appartenente al Doge !”… Non si doveva dimenticare chi comandava per davvero a Venezia … Venne perciò sospeso il decreto contro il Chierico di San Marco, e come effetto secondario avvenne anche che il Prete ex Piovano di sant’Angelo dovette caricare in barca il suo Simulacro della Vergine della Salute e trasportarlo con l’annessa Devozione e tutte le Indulgenze nella discosta isola di San Clemente dietro il Bacino di San Marco, e oltre l’Isola di San Giorgio Maggiore ... ossia ben fuori dal centro nevralgico di Venezia.
Per la devozione verso la Madonna della Salute Liberatrice di ogni Peste di Venezia c’era il nuovo Tempio del Voto appena voluto dalla Serenissima … Quello doveva più che bastare … Fosse chiaro per tutti !
Nel 1661 in Contrada di Sant’Angelo c’erano 16 botteghe (che crebbero progressivamente di numero fino a 28 nel 1712 e divenendo 77 nel 1740), fra cui la Pistoria di Sant’Anzolo che consumava: stara 5.030 di farina. (nel 1740 Zambattista Chiodettiera ancora Pistor a Sant’Angelo gestendo una casa-bottega con forno per la quale pagava 530 ducati annui d’affitto).
Nella stessa Contrada erano inoltre attive due Spezierie da Medicine molto rinomate: “La Montagna” in Campo Sant’Angelo, e la “San Vidal” in Calle Sant’Angelo ... In una laterale di Calle del Spezier esiste ancora oggi il Ramo e Corte dei Santi dove sembra ci sia stata un’antica fabbrica di immagini di Santi. Infatti nel 1514 abitava nella Contrada di Sant’Angelo: “Margarita relicta Cosmo de Modena la qual stampa sancti”, e il 10 dicembre 1621 morì nella stessa Parrocchia e Contrada un “Luca vendi Santi”.
Giunto il 1685 … e dagli con i lumini, i cesendelli, le lampade perpetue e le candele accesi giorno e notte in ogni angolo e sopra a mille tombe ! … La chiesa di Sant’Angelo prese fuoco ancora una volta nottetempo, e si dovette perciò restaurarla del tutto.
Arrivato il 1700 sempre nella chiesa di Sant’Angelo s’inaugurò il Sovvegno della Santissima Croce che coinvolgeva 100 uomini e 50 donne dando loro dopo 6 mesi di contribuzione: assistenza medica e medicine in caso di malattia con 6 lire settimanali per l’assistenza ... Era l’INPS della Contrada di allora … Si pagava una Benintrada d’iscrizione di lire 16 e 4 soldi versando in seguito una quota mensile di 1 lira, e altri 20 soldi ad “ogni Corpo” ossia alla Morte di ogni Confratello che si meritava tante Messe quante erano gli iscritti in quel momento. Non si riceveva assistenza in caso di “Morbo Gallico”(Sifilide) e di malattia senza febbre che doveva essere almeno “quartana”(ricorrente ogni quattro giorni) e riconosciuta dai Medici del Sovvegno con apposito certificato … Volendo si poteva ottenere a parte pagandola 2 ducati ai Frati di San Francesco della Vigna una speciale Indulgenza Plenaria di Assisiapplicabile anche a favore dei Morti ... (e ti pareva che dovesse mancare un supplemento del genere ? … ma i tempi funzionavano così).
In Calle della Madonnavicino al Ponte del Carmine a Sant’Angelo nel gennaio 1712 alle 4 ore di notte, venne ferito a morte Bartolomeo Dotti, mentre tornava a casa nella vicina Contrada di San Vidal da Ca' Fontana dove s’era recato a trascorrere la serata. Dotti era un Bresciano della Valcamonica famoso perché aveva continuato a satireggiare contro i Giudici nel Castello di Tortona mentre gli bruciavano le poesie ingiuriose e offensive. Condannato al carcere, trovò la maniera di fuggire attraversando a nuoto un torrente, e andò a rifugiarsi a Venezia dove militò sulle galee della Repubblica divenendo Cavaliere e ottenendo anche l’incarico di Nunzio o Console di Brescia a Venezia. Senonché, trascorsi altri vent’anni, i suoi stessi exploit satirici lo portarono di nuovo a cadere sotto i colpi dei suoi avversari ... e stavolta definitivamente e senza rimedio.
Il 7 giugno 1716 si ritrovò il cadavere di Regina Maggiotto vedova di Girolamo Carrara infilato dentro a uno dei due pozzi che c’erano in Campo Sant’Angelo. Era stata uccisa e poi gettata lì dentro dal Fiorentino Angelo Fiacchi che l’aveva derubata scappandosene poi via da Venezia e dintorni. Venne ovviamente condannato in contumacia al bando perpetuo da Venezia e da tutti suoi territori … Esattamente nel maggio di dieci anni dopo, il Nobile e Abate Scipione Varanoavendo redarguito dentro alla chiesa di Santo Stefano i fratelli Nobili Marcantonio e Alvise Badoer figli di Ser Marino perché scherzavano indecentemente in chiesa con una prostituta, venne assalito il giorno seguente dagli stessi individui nel vicino Campo Sant’Angelo ferendolo alla testa con armi e pietre. Va bene che erano Nobili e degni di rispetto … ma anche quello era pure lui Nobile, e per di più anche Abate. Era Nobile più Nobile degli altri … Perciò la Serenissima intervenne, e mise in carcere entrambi i fratelli Badoertenendoli dentro “in fresca e a sbollir idee e propositi” fino al 1729.
Cinque anni dopo, Agata Morelli cantante Romana e il Conte di Ferrara Carlo Bottazzi con uno stratagemma si “dichiararono sposi” contro la volontà del padre del Conte che a Ferrara negava di stilare la necessaria “Fede di libertà” indispensabile per maritarsi. I due attirarono il Piovano di Sant’Angelo una prima volta in casa della donna chiedendogli di andare a visitare un’inferma, ma prospettandogli quando comparve la loro volontà di sposarsi. Al rifiuto del Piovano, i due lo convocarono di nuovo con urgenza dichiarando che la donna incinta stava molto male e rischiava d’abortire e morire. Il Piovano allora accorse di nuovo, i due espressero il loro consenso davanti a validi testimoni presenti, e si ritrovarono perciò validamente maritati … Piovano consenziente.
Forse memori dell’ormai antico successo della coppia, di nuovo nel settembre 1758, Pietro Chiavellati figlio del Causidico Antonio e Cecilia Lazari di Michiel entrambi della Parrocchia di Sant’Angelo andarono non poco a inquietare il Piovano della Contrada perché si presentarono improvvisamente davanti a lui dichiarandosi “marito e moglie” in aperta opposizione al volere del padre della donna. Fu un gran casino … ma i due espressero una volontà giuridicamente valida che ebbe il suo peso.
Ancora nel 1754 si poteva leggere nei documenti della Fraterna dei Poveri di Sant’Angelo: “… i pro e le rendite dipendenti dai Legati Montano e Piolotti, lasciati alla Fraterna dei Poveri in Sant’Angelo, siano riscossi dal Piovano, consegnati ai Cassieri pro tempore, e dispensati dai Presidenti della stessa.”… Sempre nella stessa chiesa e Contrada, nel 1760 la Compagnia di Sant'Adriano dei Morti presente in Sant’Angelo aveva i suoi 33 iscritti regolari (come gli anni di Cristo) ... Venne soppressa nel 1785 insieme a tutte le altre omonime sparse in giro per Venezia.
Nell’aprile 1761, secondo lo “Specchio d'ordine delle Magistrature di Venezia”, in Calle degli Avvocatinella Contrada di Sant’Angelo risiedevano ben 5 Avvocati del Foro Veneto e Veneziano, e altri 20 abitavano ed esercitavano stabilmente nella stessa Contrada. Nella stessa Calle degli Avvocati rimase attiva fino al 1821 (seppure trasposta a Padova nelle attività) la sede dell'Accademia dei Sibillonisti, istituita dal Notaio Ruggero Mondini, e composta da Accademici di varia natura che produceva sonetti “Sibilloni”, ossia ingegnosi e contestatari durante “giulive adunanze” in occasione dell’assedio di Venezia.
Quattro anni dopo, la Fraterna dei Sacerdoti di San Pietro residente in chiesa di Sant’Angelo, formata all’inizio da una trentina di Preti quasi tutti della cerchia della stessa Parrocchia, andò sempre più allargandosi raggiungendo più di 100 Preti iscritti. Ciascun Sacerdote versava 6 lire l’anno accettando di “curare” la festa dell’Apostolo loro Patrono ... Solo che alla fine pur raggranellando 200 lire l’anno, le spese delle uscite della Fraterna furono di 5.240 lire e 14 soldi superando quelle delle entrate di 4.401 lire e 17 soldi … perciò si chiuse bottega: “C’erano state troppe spese pagate ai Preti per Messe Solenni e Vespri in Musica senza tener debito conto dei bilanci ...”
Più modesta, meno interessata, e chissà ? … forse più sincera, era nel 1782 la Compagnia di San Luigi che era una Scholetta ad offerta libera ospitata in chiesa di Sant’Angelo con un bilancio annuale di sole 100 lire ... Stavolta con attento occhio ai bilanci, due anni dopo i Provveditori da Comun ordinarono ai Preti di Sant’Angelo d’unificare le Schole della Purificazione della Beata Vergine Maria detta "delle Candele"(fondata nel 1627) donandone gli argenti pesanti 55 marche alla Schola del Santissimo, con la Schola della Beata Vergine del Santo Rosario(fondata nel 1792) che possedeva una Mariegola di 26 pagine rilegata in velluto verde con decorazioni d’argento, e anche con la Schola di Sant’Antonioda Padova … tutte presenti e attive nella chiesa di Sant’Angelo … ma con pochi iscritti, debiti e scadenti bilanci.
L’origine della Schola di Sant’Antonio da Padova in Sant’Anzolo era stata curiosissima nel lontano aprile 1657.
Nell’agosto 1645 era accaduto proprio nella Contrada dell’Anzolo che un bambino cadesse in acqua annegandovi due ore prima del tramonto senza che nessuno se ne accorgesse. L’Avvocato Zaccaria Pontin saputa da una donna la notizia e senza conoscerne l’esito aveva promesso un dono a chi avesse riportato il bimbo sano e salvo a terra. Non immaginava minimamente che quel bimbo fosse suo figlio. Essendo rimasto in acqua da più di due ore, il fanciullo era ormai gonfio e privo di vita, perciò fu in quella circostanza che si supplicò Sant’Antonio da Padova perché riportasse in vita il bambino … cosa che avvenne poco dopo. L’Avvocato allora donò alla chiesa di Sant’Angelo un dipinto ex voto con Sant’Antonio che salvava miracolosamente suo figlio … e da lì nacque la devozione al Santo la cui organizzazione in Schola venne inizialmente respinta nel 1655 dal Consiglio dei Dieci perchè c’erano in Venezia già fin troppe Schole dedicate a quel Santo ... In realtà c’era stata l’opposizione esplicita della ben più famosa Schola di Sant’Antonio da Padova presente, attiva e ben avviata da molto tempo nella chiesa dei Frari.
Due anni dopo però, un Barbiere, unLibrer e due Marzeri della Contrada di Sant’Anzolo tornarono alla carica per lo stesso motivo con la Serenissima, e stavolta il Consiglio dei Dieci cedette autorizzando la nuova Schola che prese accordi tramite il Notaio Gregorio Bianconi col Capitolo di Sant’Anzolo ... La nuova Schola di Sant’Antonio da Padova perciò partì con le solite devozioni, la Mariegola, le Messe, le Esequie per i Morti, un nuovo altare, e l’immancabile Festa Patronale con la processione annuale il 13 giugno tutto intorno al Campo di Sant’Anzolo (un’altra ?). Il Nonzolo insieme a uno della “Banca”della stessa Schola passava instancabile a setaccio ogni martedì, bello o brutto tempo che fosse, tutta la Contrada chiedendo elemosine per la “Schola de San Toni” … anche perché il 25% di tutto quanto raccoglieva, come da Mariegola, gli spettava per diritto. Alla fine, nel 1783, la Schola possedeva un capitale di 1.200 ducati e parecchi argenti del peso complessivo di oltre 106 marche … (e il Nonzolo era diventato ricco ?) … Non era stato un caso se il Consiglio dei Dieci da un po’ di tempo aveva proibito esplicitamente che la Schola esercitasse in Contrada quelle sue questue così puntuali, insistenti e troppo invadenti.
E siamo verso la fine … Allo “scader della Repubblica”, in Contrada di Sant’Angelo vivevano 2.338 persone, e si contavano 937 persone abili al lavoro fra 14 e 60 anni, esclusi i Nobili che rappresentavano il 40% dei residenti in Contrada.
Nel novembre 1795, il Piovano Don Bortolo Fiorese andò a rivelare ai Magistrati che si era presentato nella casa-canonica uno strano “Abate forèsto” a raccontargli il caso dello sfratto di una giovane ballerina incinta amata da un Nobile Patrizio forse Pizzamano che voleva sposarla. L’Abate gli aveva proposto “pagandolo” di farli sposare segretamente contro la volontà paterna. Gli Inquisitori dopo essersi doverosamente informati … soprassedettero al caso: semplicemente tacendo senza pronunciarsi ... Ormai non era più affar loro perché i tempi, e non solo quelli, stavano cambiando del tutto … c’erano i Francesi “alle porte della Laguna”.
Infatti, giunto napoleòn a Venezia, anche il Piovan di Sant’Angelo venne associato agli “ostaggi-complici contrari al nuovo Regime” che vennero segregati nel Forte-Isola di San Giorgio Maggiore con l’accusa di congiura contro i Francesi.
Scorrendo i verbali della Visita del Patriarca Flangini alla chiesa Parrocchiale di Sant’Angelo e all’Oratorio privato in Casa Gabrieli del settembre 1803 si può ancora leggere: “In Contrada risultano vivere 4.000 abitanti aiutati da 3 levatrici. Risiedono lì anche diverse “pubbliche peccatrici” per le quali però non è necessaria l’assistenza del braccio secolare (?) ... La Fabbrica della chiesa possiede rendite in entrata per 1,214 ducati da affitto di 10 case e 10 botteghe, e in uscita per 9.093,12 lire di cui 217 pagate all’Organista,186 al Sacrestano, 200 spese per acquistare carbone, olio per le lampade, ostie e vino da Messa ... La stessa Fabbrica produce un debito di 2.479,13 lire che paga a rate a causa della morosità degli affittuari delle case che sono debitori di affitti per 8.000 lire … Il Piovano Don Luigi Angeli, possiede rendite per 746,5 ducati provenienti da affitti di 13 case, 1 bottega, e 1 magazzino. Spende per garantire il Culto, e per pagare la celebrazione di 3 Esequiali annui ed alcune Messe.
I 5 Preti titolati della Collegiata percepiscono: il 1 Prete: 165,5 ducati annui; il 2 Prete: 171,4 ducati annui; il 3 Prete 140,4 ducati annui; il Diacono: 123 ducati e il Suddiacono: 66,3 ducati annui.
In chiesa si celebrano: 4.374 Messe perpetue, 100 Esequiali, e 500 Messe Avventizie restando 2.370 Messe ordinate e pagate ma ancora da celebrare. Esistono inoltre 13 Mansionerie di Messe da celebrare con relative rendite, e ci sono 17 Sacerdoti ascritti alla Parrocchia fra cui alcuni Mansionari. Inoltre ci sono alcuni Chierici: “Boni putelli … seppur vivi, ma disciplinati” ... Nella stessa chiesa di Sant’Angelo si celebra Messa cantata ogni giorno e si predica a tutte le feste; si attua l’Esposizione del Santissimo con i Vespri solenni a tutte le domeniche e feste; durante la Settimana Santa ci celebrano le “Quarantore”; si praticano molte novene; l’illuminazione dell’altare di San Sebastiano nelle domeniche e nelle feste; si accendono ceri durante l’agonia dei parrocchiani; si passa per le elemosine con una “Cassella dei Morti” durante le Esequie e le Messe; si coltiva la Devozione alla Madonna e a San Luigi Gonzaga, e la Dottrina Cristiana per tutte le putte della Contrada …”
Quel verbale indirettamente segnava la fine di un’epoca … Nel dicembre 1807 la Parrocchia e Contrada di San Michele Arcangelo venne unificata con quella vicina di San Benetto… Alla fine del 1810 la chiesa di Sant’Angelo venne chiusa al culto e trasformata in magazzino ... Nell’ottobre 1816 si costituì la nuova Parrocchiale di Santo Stefano Protomartire affidata a Don Luigi Angeli(ex Piovano di Sant’Angelo) che annoverava e riuniva oltre alle sue 4.800 Anime, anche le 1.000 della Contrada e chiesa di San Vidal qualificata come: Succursale, le 750 e 1.900 delle Contrade e chiese di San Maurizio e San Samuel dichiarate: Oratori Sacramentali, e le 2.700 di San Michiel Arcangelo che stava per non esistere più.
L’anziano ex Piovano di Sant’Angelo si portò dietro “il salvabile”: ossia il vecchio Altare del Santissimo della chiesa di Sant’Angelo con le statue di Giulio Del Moro che andò a collocare sull’altare di Sant’Agostino in chiesa di Santo Stefano. Salvò anche dalla distruzione il prezioso Battistero anch’esso con una statua di Giulio Del Moro che pose nella Cappella Contarini sempre in Santo Stefano portato via per sempre ai Frati Agostiniani che erano stati cacciati.
L’antica Contrada di Sant’Anzolo di Venezia aveva cessato d’esistere: la chiesa venne demolita nel 1837 lasciando sul posto in cui sorgeva solo una lapide a memoria sul Campo spazioso coperto dai masègni oggi calpestati dai pochi Veneziani rimasti e dalla folla sempre straripante dei turisti spesso ignari e col naso all’insù ... In mezzo al Campo, pallido riflesso di quel che era stato un tempo, venne posto per un certo periodo il monumento all’Ingegnere Idraulico Pietro Paleocapa(Ministro della Repubblica nel 1848-1849) scolpito da Ferrari, ora collocato nei giardinetti Papadopoli accanto a Piazzale Roma.
Come in un ultimo squillo storico, nel 1870 si trasferirono in Corte dell’Alboro nella Contrada di Sant’Angelo le Orsoline(dal Doge Orseolo) che stavano in Campo San Gallo nei pressi di Piazza San Marco. Si attivarono 5 caxette per ospitare 6 vecchie poverepiù una sesta caxetta riservata al Priore.
Alla fine della fine … e stavolta termino per davvero … la vita dei Veneziani nella Contrada di Sant’Angelo continuò ugualmente e nella più normale delle quotidianità. In fondo, oltre ogni vicenda, persona e accadimento storico tutto continua ad accadere e procedere e “girare” ... Gira la “giostra del vivere” anche in quelle che sono state le antiche Contrade di Venezia, compresa quella di Sant’Angelo.
“Il Confinio di Santa Sofia e l’epopea dei Nobili Priuli.”
#unacuriositàvenezianapervolta 211
“Il Confinio di Santa Sofia e l’epopea dei Nobili Priuli.”
Santa Sofia … “So fìa de chi ?” verrebbe subito da chiedersi in scherzoso dialetto Veneziano.
E’, invece, una domanda destinata a rimanere senza risposta perché la “Sophia”è un termine antico greco che più che un Santo o una Santa, sta ad indicare la “Saggezza, ossia la Sapienza”. Ecco quindi l’ennesima conferma che Venezia l’ha sempre “saputa lunga”, e che dietro a certe apparenze ha sempre posto attenzione e fatto spazio a contenuti importanti ... e anche alternativi.
Altri tempi di certo rispetto ad oggi ! … Adesso probabilmente non ci interesserebbe affatto un contenuto del genere. Ma allora è andata così, e anche a Venezia si parlò di Sophia, tanto da dedicarle non solo una chiesa, ma un’intera Contrada.
“Aghia Sophia” era la Divina Sapienza le cui figlie erano secondo la tradizione: Fede(Pìstis), Speranza(Elpìs) e Carità (Agàpe). La “Sophia”è quindi sempre stata per secoli, anzi millenni, l’anelito di tutto un mondo Orientale e Asiatico: la sintesi di ogni Filosofia e Letteratura, la domanda delle domande, un atteggiamento interiore, mentale e dello Spirito che ha sempre fatto dannare e cercare gli uomini e le donne di ogni tempo anche oltre il Bacino del Mediterraneo.
Sophia quindi indicò e spalancò tutto un mondo di significati e contenuti verso i quali i Veneziani hanno a lungo appetito portandoseli dietro e ospitandoli stabilmente nella nostra Laguna. Non era affatto un caso se nel cuore dell’Impero politico-commerciale di Costantinopoli o Istambul esisteva (c’è ancora oggi) quel mirabile tempio di “Aghia Sophia” espressione di tutto quel congegnare interiore … e se provate a frugare curiosamente un poco nel “microcosmo del pianeta Greco-Balcanico-Anatolico-Russo-Ortodosso” vedrete che di “Aghie Sophie” ne troverete tante … quasi a bizzeffe.
Venezia e i Veneziani non ci pensarono su due volte: si portarono a casa tutto.
La Sophia incarnata in figura di Santa e Titolo è quindi migrata e sbarcata a Venezia dall’area Bizzantina-Orientale a braccetto di altri nomi significativi e originali di Profeti e Santi che hanno dato il nome e tappezzato chiese, Monasteri e Contrade di Venezia: San Paterniàn, San Procolo o Provolo, San Teodoro, San Zaccaria, San Moisè, San Samuel, San Geremia, San Giobbe ... solo per citarne alcuni.
Al di là di queste considerazioni introduttive, possiamo già dire che Santa Sofia di Venezia corrisponde ancora oggi a una chiesetta e a una Contrada abbastanza nascosta e modesta rispetto a tante altre molto più grandi e significative. La chiesa “che quasi non c’è” sembra come un souvenir incastrato fra le case. Il Confinio di Santa Sofiaè posto nel cuore del Sestiere di Cannaregio, ed è la Contrada in cui sorgono la splendida e ricamata Ca’ d’Oro, il Palazzo dei Nobili Sagredo: (i Nobili conservatori di Segreti), ma anche il pratico Traghetto di Santa Sofia che quasi da sempre congiunge assiduamente le due sponde del Canal Grande fra Cannaregio e il Mercato-Emporio di Rialto. Quel tragitto è sempre stato come un’arteria vitale, un fluire obbligato avanti e indietro, un “de qua e de là dell’acqua”, di cui Venezia non ha mai saputo fare a meno.
Quella di Santa Sofia è stata una delle prime Contrade a sorgere certamente prima dell’anno 1000 come estensione funzionale del grande Emporio Realtino da una parte, e probabilmente come espansione oltre il Canal Grande in zona San Marcuola di un primo nucleo proveniente da San Giacomo dell’Orio o del Lupriodall’altra, che andò ad occupare una zona ancora fangosa e ricca di “Piscine”e grandi spazi liberi tutti da occupare, interrare, bonificare e quindi abitare.
Il Chronicon Altinate, Galliccioli, Corner e le Cronache Antiche “un po’ industriose” di Daniele Barbaro e Andrea Navagero(che in realtà antichissime non erano perché risalenti in gran parte al 1400-1500) riportano come già esistente la chiesetta di Santa Sofia intorno al 866, edificata forse da un certo Giorgio Trilimpolo, che in altri documenti successivi del 1020 è diventato: Giorgio Tribuno commissionato dalla Nobile famiglia dei Gussoni ... Poco cambia: a Venezia si usava sempre conferire alle chiese, Monasteri e Contrade un inizio prestigioso e Nobile. La verità era, invece, che non si sapeva bene com’erano andate le cose all’inizio ... perciò quel che non si conosceva un po’ lo si inventava attribuendosi così origini alquanto pompose.
Il primo documento certo che cita esplicitamente il Confinio di Santa Sofia di Veneziaè del 1111 quando a Costantinopoli i rappresentanti degli affari delle Monache di San Zaccaria di Venezia rogarono un atto notarile commerciale in cui comparivano due fratelli Giovanni e Federico Aurio “del Confinio di Santi Sophie di Venezia”… mentre nel successivo novembre 1140 in un “Atto de Securtà” redatto da Ugerio Abate di Sant’Ilario di Fusina e Vitale Cauco si nominò esplicitamente: “Antonius Presbiter Plebanus et Notarius ecclesiae Sancta Sophie” di Venezia.
In quell’epoca quindi esisteva già la Contrada con la sua prima chiesetta ad unica navata (forse ancora fatta in legname),con portico davanti e con all’interno due soli altari dedicati a Santa Sofia e alla Mia Donna (Madonna).
Nel secolo seguente i riferimenti circa il Confinio di Sancta Sophia di Veneziae i suoi Preti si fecero sempre più numerosi per non dire pressanti (almeno una trentina) soprattutto ad opera di Jacobus Lampardo Piovano e Notaio di Santa Sofia che ad esempio nel 1161 rogò l’atto con cui Enrico Dandolo Patriarca di Gradoe Ildebrando Cardinale aggiudicarono alcune case alla Parrocchia di San Salvador di Venezia.
Nel successivo novembre 1203, lo stesso Pre Jacobus Lambardus venne ancora citato come Plebanus, Presbiter e Notaio dei Preti di Santa Sofia: perciò si evince che lì doveva esserci già attiva da un bel pezzo una piccola Congrega-Collegiata di Pretiche fungeva da punto di riferimento religioso e commerciale per tutta la Contrada. Un paio di anni dopo, infatti, fu il Plebanus Petrus di Santa Sofiaa concedere ad Antonio Cartura un pezzo di terreno vicino alla chiesa di Santa Sofia per un canone annuo pagabile “nella terza feria dopo Pasqua”, ossia proprio nel giorno della festa di Santa Sophia.
In quella stessa epoca la Parrocchia di Santa Sofia era affiliata e dipendeva giuridicamente da tempo dalla chiesa Matrice della Purificazione di Maria, ossia Santa Maria Formosanel Sestiere di Castello o del Vescovo. Erano suffraganee alla stessa maniera le vicine chiese e Contrade dei Santi Apostoli, San Felice Prete e Martire, San Zuane Crisostomo, San Zuane in Oleo o Novo, San Leone IX Papa (ossia San Lio), Santa Maria Assunta o Nova, Santa Marina Vergine e San Procolo o Provolo Vescovo. In quegli anni la chiesetta di Santa Sofiadal punto di vista architettonico doveva essere un “classico” delle chiese Veneziane medio-piccole: era suddivisa da sei colonne in tre navate, e presentava arcate a tutto sesto nella navata centrale e nel Presbiterio con finestre semicircolari centinate ai lati, e una volta a crociera con cupoletta. Un altro piccolo bijoux veneziano insomma.
Nell’anno in cui Santa Sofia venne rifatta, ossia nel 1225, Rainerius Genodel Confinio di Santa Sophia di Venezia, presentava fidejussione per Ysembardus Radarolus da Verona per acquistare 4 miliaria di fichi diretti a Verona … e una ventina d’anni dopo il Vescovo Filippo di Ferrara investì “sine fidelitate” di metà del feudo di Villanova e Vigonza e delle rispettive decime Giovanni Michiel della Contrada di Santa Sofia di Venezia, che era Podestà di Torcello… mentre il Plebanus Stefanus di Santa Sofia nel 1245 fece da garante presso Pino Vescovo di Olivolo-Castello per il Confratello Giovanni Prete della Contrada di Santa Ternita per il pagamento di certe decime sulle rendite provenienti dalla chiesa di San Marco di Baruto che gestiva a Costantinopoli.
Pensate ! … Un Prete Veneziano del 1200 che gestiva a Venezia rendite e chiese di sua proprietà in Turchia.
Esattamente nel giugno di dieci anni dopo, e sempre a Rialto davanti al Notaio Stefano Mauro che era Piovano della Contrada di Santa Maria Materdomini: Giacomina moglie di Giacomo della Stoppadal Confinio di San Beneto nominò suoi esecutori testamentari il marito Giacomo e il nipote Mattia Prete a Santa Maria Formosa. Lasciò diversi legati in denaro e abiti di valore a diverse persone appartenenti alle Congregazioni di San Polo e di Rialto, ai Frati Francescani di Treviso, al Monastero di San Maffio di Costanziaco nei pressi di Torcello (a Benedetta Monaca di San Maffio lasciò l’usufrutto di una proprietà sita nel Confinio di San Maurizio), e ai Frati Minori di Venezia. Al nipote Leonardolasciò un terreno sito nel Confinio di Santa Sofia con obbligo di offrire ogni anno una libbra di olio per le lampade della chiesa della stessa Contrada … Ancora negli stessi anni, Antonius Plebanus et Notarius di Santa Sophia provvide alla sottoscrizione notarile di una permuta di proprietà fra il Monastero di Sant’Ilario di Fusina e l’Ospedale di San Giovanni Evangelista di Torcello… così come Gratianus Clericus Sancte Sophiae funse da testimone alla donazione di Giovanni Bianco a Bartolotta Giustiniana del vicino Monastero di Santa Caterina; e Crescenzi Plebanus et Notarius di Santa Sofia provvide a stilare l’atto con cui Natalina del fu Marco Vitali abitante nel Confinio di Santa Sofia donò in morte una casa divisa in tre parti offrendone una ai Chierici di Santa Sofia, una seconda ai Frati del Convento di Sant’Anna di Castello, e una terza a quelli di Santa Maria del Carmelo nel Sestiere di Dorsoduro.
Ancora nel 1300 i Preti Egidio e Avanzo di Santa Sofia erano considerati fra i Notai più valenti e di fiducia di Venezia. Proprio da Prè Egidius nel 1303 Ramperto Polo Vescovo di Castello-Olivolo pretese dai Preti di Santa Sofia il versamento annuale di tre lire come “tassa di Cattedrattico”, e impose inoltre ogni tre anni un invito a pranzo per se e tutta la sua corte e famiglia nel giorno della festa di Santa Sofia … o in alternativa un altro più comodo versamento di 3 lire di piccoli … Nel 1310, invece, Nicolaus Plebanus Sancte Sophiae che era anche Procuratore del Monastero di San Maffio di Mazzorbo, venne eletto Arciprete della Congregazione dei Preti di San Canciano(una delle più importanti, antiche e ricche di Venezia).
Nella Venezia in grande espansione e affermazione del 1342, quando Lucia della Contrada di Santa Sofiafaceva la “vendrìgola” ossia la “Rivendugliola di stràzzarie”, si costruì in Santa Sofia un terzo altare dedicato al Battista… Jacobo SpadaPlebanus di Santa Sophia pagò in fiorini d’oro alla Camera Apostolica la tassa sui redditi del suo primo anno di Plebanato … Nello stesso anno Prè Marchesin Piovàn de Santa Sofia lasciò al Capitolodi detta chiesa diversi campi a Mars(c)òn e Gàs(i)o che poi vennero venduti. In Contrada accadde anche un fatto singolare: si tassarono tutti i Veneziani residenti nel Sestiere di Cannaregio fra l’area dov’era sito il Monastero delle Monache Agostiniane di Santa Lucia (l’attuale Stazione Ferroviaria) e la Contrada di San Giovanni Crisostomo parte limitrofa ma integrante l’Emporio Realtino.
Tale pagamento era motivato “dall’ampliamento della pubblica strada” fra la Contrada di San Bartolomeo di Rialtocol Fondaco dei Tedeschi e San Giovanni Crisostomo con abbattimento di alcune case e anche di un campanile. Tutti avrebbero beneficiato di quell’opportunità per spostarsi e commerciare meglio con Rialto, perciò la neonata Serenissima istituì dei “Commissari ad hoc” per ripartire le spese fra tutti tenendo conto di quanto ciascuno guadagnava: chi era più ricco pagava di più. Ogni residente della Contrade di San Giovanni Crisostomo e Santa Sofia che erano le più vicine a Rialto avrebbe pagato: 2 soldi e 6 denari per ogni valore di 1000 lire delle loro proprietà; chi abitava, invece, nelle Contrade di San Felice e San Marcuola avrebbe pagato solo 1 soldo e 6 denari; mentre chi risiedeva nelle più lontane Contrade di San Leonardo o Lunardo e Santa Lucia avrebbe versato solo 1 soldo. Solo quelli che abitavano la Contrada di San Bartolomeo accanto a Rialto: erano esentasse.
Nel 1370 Giovanni Priuli Capitano del Golfo residente in Contrada di Santa Sofia venne processato per aver rifiutato di consegnare ai Signori di Notte un tale Lombardinoche faceva parte dell’equipaggio della sua Galea commerciale. Dopo averne usufruito dei suoi servigi, aveva picchiato a morte una prostituta, e connivente il Priuli era fuggito via. Al Nobile Priuli venne imposta una multa di 300 lire di piccoli ... Nove anni dopo, al tempo del Doge Andrea Contarini e degli “Imprestidi allo Stato per la Guerra di Chioggia contro i Genovesi”, la Contrada di Santa Sofia nel suo insieme si distinse egregiamente fra le altre contribuendo efficacemente all’impresa Veneziana offrendo ben 72.000 lire. (la sua fu l’ottava migliore offerta di tutto il Sestiere di Cannaregio con le sue 12 Contrade, di cui la più ricca e generosa si dimostrò essere quella dei Santi Apostoli che offrì: 176.000 lire e 700).
Fra i contribuenti più significativi del Confinio di Santa Sofia ci furono 5 Nobilomeni e 2 Nobildonne sui quali primeggiò: Sèr Nicolò Grimani che offrì da solo 30.000 lire. Ci furono inoltre ben 16 contribuenti abbienti fra cui: Barbon Battioro che diede 500 lire, Francesco Rizzo di professione Varotèr che diede 300 lire, e Pantalòn che faceva il Partidòr che offrì altre 300 lire. Le famiglie Nobili un po’ tirchiotte ma predominanti all’epoca nella Contrada di Santa Sofia erano quelle dei Michiel di Santa Sofia Nobili di III° Classe, i Dolfin di Santa Sofia, i Basegio, gli Zen e i Renier. Sempre nella stessa Contrada abitarono i Nobili Giustiniani-Pesaro, i Salamon, i Finetti, gli Albrizzi, i Zanardi, i Grassi, i Perducci, i Trevisan di Santa Sofia Nobili di IV° Classe, i Benedetti, i Giusti-Miani-Coletti-Duodo, i Da Mosto, i Sagredo che avevano un palazzo appartenuto ai Morosini con una scala pomposa che scendeva fin in mezzo al Campo Santa Sofia, e i Foscari “al Prà” che in seguito ospitarono nel loro palazzo sul Canal Grande Ambasciatori e Duchi fra cui il Marchese di Mantova(1520) e il Duca di Ferrara(1523) che quando entrò in Territorio Veneziano a Chioggia viaggiando in incognito venne oltraggiato dai Provveditori alla Sanità in quanto non s’era palesato. Insomma in Contrada di Santa Sofia risiedeva una bella rappresentanza, una buona fetta della Creme e dell’elite della Nobiltà Veneziana più prestigiosa.E siamo così arrivati a parlare dell’Epopea dei Nobili Priuli con quella che fu quasi una vera e propria saga Veneziana. Non penso sia errato definire la Contrada di Santa Sofia come la Contrada dei Priuli perchè praticamente gran parte del Confinio finì progressivamente con l’appartenere a loro, e fu soggetto per secoli alle vicende e alle influenze della loro famiglia. I Nobili Priuli delle Erbe o di Santa Sofia erano presenti in Contrada fin dal 1297 col capostipite Beneto Priuli la cui famiglia veniva considerata da qualcuno discendente diretta di Attila. Era una gran balla, e i Veneziani lo sapevano bene, ma stava ad indicare l’intraprendenza di quella famiglia che fin dal 1310 venne ammessa al Maggior Consiglio oltre che per la ricchezza economica e l’intraprendenza commerciale, anche per essersi distinta a favore della Serenissima durante la famosa Congiura dei Baiamonte e Tiepolo.
I Nobili Priuli divennero un po’ i boss della Contrada di Santa Sofia, o meglio: i Nobili più prestigiosi e significativi. Sembra che: “Tutto a buon fin pensate !” sia stato il loro motto ... e che con i loro Rami familiari sparsi e accasati un po’ ovunque per tutta Venezia, facessero parte dei “Curti” ossia dei clan Nobiliari detti di “Casa Nuova o Ducali”.
Esistevano i Priuli degli Scarponi del Ramo di San Felice, i Priuli “Stazio” di Santa Sofia, c’erano poi i Priuli di Cannaregio che si distinguevano dai Priuli di San Polo detti “Grassi”, e dai Priuli “Gran Can”, dai Priuli “Bruolonghi de San Stae", dai Priuli de San Samuel, de San Giovanni Nòvo, de San Pantalon e de San Barnaba che abitavano in un palazzo chiamato anch’esso “Cà d‘Oro” per il suo splendore.
Fu un po’ strana l’epopea dei Priuli, un po’ double face, perché da una parte erano considerati una Famiglia superdevota e filoPapale, mentre dall’altra erano abituati ad attorniarsi di tutte le immagini, le simbologie, le figure e le vestigia di un mondo alternativo Pagano e Antico che esprimeva“tutt’altra Religio”. L’essere “de Cièsa”, ieri come oggi, si riduceva a un’opportunità utile al successo e alla carriera, un’identità spesso puramente di facciata. I Priuli, quindi, come molti altri Nobili non furono affatto stinchi di Santi né devoti bigotti, ma piuttosto dei grandi opportunisti. A tal riguardo basti notare e considerare le decorazioni dei loro palazzi e giardini dove amavano far inscenare dagli artisti quel che era il meglio del meglio della grande epoca culturale antica, mitica, e preCristiana piuttosto delle scene evangeliche che tappezzavano già a sufficienza chiese e Monasteri.
Comunque i Priuli, che sapevano mettere insieme doti favolose da 200.000-300.000 ducati per sposare qualche loro putta di famiglia, erano considerati dai Veneziani: “devotissimi e Cristianissimi”: sette figlie su otto nate da un unico matrimonio Priuli divennero “Monache di Famiglia”. Fra i Nobili i Priuli di Casa Nova erano considerati ed avevano fama d’essere: conservatori, filoRomani, filoCuriali ossia Papalisti … anche se le cronache veneziane raccontarono di un Michele Priuli che rapì una Monaca da uno dei Conventi di Murano, e si disse anche che i Priuli avversarono non poco Fra Paolo Sarpi non tanto per le sue concezioni Teologico-Politiche, ma perché affermava cose poco utili ai fini economici e sulla gestione dei benefici ecclesiastici di famiglia.
I Priuli di San Felice di Cannaregio che possedevano un’azienda di legnami con capitale di 4.000 ducati, e una tenuta nel Polesine, comprarono per 24.000 Ducati dal Cardinale Pietro Aldobrandini il Palazzo dei Duchi di Ferrarache divenne dal 1621 il Fondaco dei Turchi ... I Priuli di San Stae, invece, abitavano in Campo San Polo ed erano proprietari d’immobili, botteghe, magazzini, appartamenti affittati, e di campi a Mira, Arquà sugli Euganei, e in Polesine che procuravano loro una rendita ufficiosa dichiarata al fisco di soli miseri 433 ducati annuali.
Falsi come Pinocchio ! (che non era stato ancora inventato)… Era risaputo in tutta Venezia che i Priuli possedevano molto, tantissimo di più ... L’ho detto: godevano fama d’essere avidi e tirchiotti.
In ogni caso i Priulifurono una famiglia di Nobili Veneziani prestigiosissimi. Nel loro albero genealogico annoverarono una folla di Cavalieri, Procuratori di San Marco, Senatori, Abati, Vescovi, Cardinali, e ben tre Dogi: Lorenzo nel 1556, Girolamonel 1559, e Antonio nel 1618.
In Contrada di Santa Sofia si costruirono un Palazzo su un terreno che apparteneva prima ai Nobili Michiel fin dal 1360, ed era passato poi ai Nobili Muazzo nel 1537, che lo affittarono a Girolamo Priuli per 65 ducati annui. Alla fine gli convenne comprarselo ... e quello fu l’inizio dell’espansione dei Priuli in Contrada, perché nel 1592 Michele e Piero Priuli comprarono altre case e terreni della Contrada per poi affittarli, e continuarono così per secoli giungendo nel 1700 a possedere quasi tutta la Contrada di Santa Sofia arrivando a comprare fino in quella vicina dei Santi Apostoli.
Oltre a questo i Priuli investirono acquistando interi feudi nel Padovano e nel Veronese… Zuan Francesco Priuli possedeva un’agenzia commerciale a Istanbul... la famiglia possedeva un carato della Galera Foscara che commerciava con l’Inghilterrae le Fiandredove i Priuli, che non esercitavano direttamente la Mercatura sul posto, facevano vendere: cera, spezie, cotone e panni, acquistando stagno e cuoio che venivano smerciati a Tunisie Messina, e in parte poi trasportati a Venezia… Dai Priuli venne edificato il Ponte della Priula a Susegana di Treviso sulla riva sinistra del Piave dove s’incontravano la Via Claudia Augusta Altinate diretta a Feltre e la Via Iulia Augusta proveniente da Mestre e diretta a Udine … Così come furono sempre i Priuli ad occuparsi a nome della Serenissima delle frodi che da tempo si riscontravano nell’Arte della Seta di Venezia.
Nel 1334 Giacomo Priuli ottenne l’appalto di una delle Galèe di Mercato per Cipro divenendo Comandante di Galèa anche nei due anni successivi. Esordi in politica due anni dopo venendo eletto fra i Tre Savi deputati a esaminare i contrasti insorti tra gli abitanti delle isole di Arbe e Veglia sul Quarnaro. Nel 1337 come Savio agli Ordini propose alla Serenissima senza essere ascoltato misure di tutela della “Muda di Cipro” che partì ugualmente. Era nato a Venezia all’inizio del 1300 da Nicolò della Contrada di Santa Ternita nel Sestiere di Castello, e ben presto entrò dentro ai grandi giri e manovre della politica Veneziana che contava. Nel 1339 venne inviato in missione a Ferrara per rivedere i patti fra le due città, e due anni dopo partì per la Dalmazia per dirimere contrasti e violenze sorte a Zara e Capodistria, e nelle isole di Pago e Arbe ... e poi ancora: Ambasciatore presso Mastino della Scala; Capo della Quarantia(1349 e 1366);Rettore a Candia(1351-1352);Console dei Mercanti(1354);Consiglio dei Dieci(1355). Nel 1362 rifiutò la Podestaria di Torcello per assumere due giorni dopo l’incarico di Ufficiale al Cattaver; partecipò alla Commissione per regolare i rapporti col Clero Veneziano (1363), fu Provveditore da Comun(1364 e 1370)deliberando l’armo di quattro Galee per Cipro; rifiutò la Podestaria di Asolo per fare il Savio agli Ordini (1365-1366); e fu anche Consigliere Ducale nel 1367.
Questo per farvi intendere quanto valeva e di quanto era capace un Priuli ... e non vi ho detto ancora tutto: nel 1371 ottenne dal Senato il permesso di riportare a Venezia, esenti da dazio, certe sue merci rimaste invendute a Maiorca e a Cipro; frequentò Commissioni e Zonte per traffici connessi col Levante (1370-1376), curò i rapporti col Sultano d’Egitto e questioni concernenti la Siria e i dazi di Creta e Cipro(1371); gestì i viaggi del convoglio delle Galèe per Alessandria(1371); delle Galèe per Beyrut(1374), e di quelle per Costantinopoli e Trebisonda (1376).
Dal 1372 fu chiamato a interessarsi anche di questioni concernenti la Terraferma e i confini col Padovanoe laPatria del Friuli; fu Ambasciatore in Ungheria con Zaccaria Contarini per trattare la pace (1373); Podestà a Treviso (1374), Podestà a Chioggia (1376); Ambasciatore presso Ludovico Re d’Ungheria per contrasti sul Feltrino (1377 e 1379), e col nipote Carlo di Durazzo e Francesco il Vecchio da Carrara a Sacile per staccarli senza esito dalla Lega Antivenezianadurante la Guerra di Chioggia. Morì nel 1379 dopo questo lungo e intenso tour de force di carriere precisando nel testamento che era andato ad abitare nel Confinio di San Giovanni Crisostomo per essere più vicino a Rialto, e che era assai ricco (venne allibrato nell’Estimo del 1379 per ducati 12.000). Fra i molti lasciti ed elemosine che previde nel suo testamento, ordinò anche la costruzione di un altare in onore di San Giacomo nella chiesa di San Felice destinandovi molte rendite di un’apposita Commissaria.
Questo era un Priuli !
Quanto valeva un uomo così per Venezia e i Veneziani ? … e quale opportunità era per quelli della Contrada di Santa Sofia vivere accanto a un Priuli, o aver a che fare con qualcuno di loro ?
Marco Priuli attivissimo con i Priuli di Santa Sofia, invece, era nato a Venezia da Nicolò di Marco nella Contrada di Santa Ternita da dove si trasferì in quella di San Zan Degolà alla fine del 1200. Consigliere Ducale fin dal 1338, nel febbraio 1345 gli fu concesso il permesso di rientrare a Venezia dal Rettorato di Serravalle per occuparsi di suo padre ammalato. Negli anni seguenti occupò numerosissime commissioni e cariche di Stato della Serenissima: almeno una trentina. Rimase sempre attivo in campo mercantile e commerciale: una sua nave subì gravi danni e perdite a Cipronel mese di novembre nel 1366, ma l’anno seguente inviò ugualmente mercanzie in Fiandra come niente fosse accaduto; due anni dopo risultò coinvolto in un sequestro patito da Mercanti veneziani; e nel 1371 poco prima di morire a Venezia ordinò di vendere certi prodotti che gli erano giunti da Alessandria d’Egitto… Si occupò a nome della Serenissima dei feudi e dei Fondaci a Cretae in Siria; offrì consigli all’Arsenale su come armare le navi dei convogli mercantili rafforzandole con un numero adeguato di Balestrieri, e su come organizzare efficacemente il commercio con le Fiandre e il Levante; dispose provvedimenti in favore dei luoghi in Dalmazia, Istria e Trevigiano che avevano subito danni più gravi a causa della guerra contro Ludovico re d’Ungheria; si occupò delle vertenze fra il Vescovo di Ceneda e il Vescovo di Olivolo-Castello di Venezia per le Decime sui Morti; propose non ascoltato di costruire un Forte a Mestre per difendere la Laguna da Francesco da Carrara; si occupò dei “facti sancti Ilarii”(di Fusina) nel territorio conteso a sud di Oriago; dei confini di Chioggia e Valmareno; di Creta e dell’Istria, e della cessione dell’Isola di Tenedo; e dei rapporti col Sultano d’Egitto e del rafforzamento delle difese di Motta di Piave.
In altre parole: anche questo Nobile Priuli fu un altro “grosso calibro” utilissimo per le sorti dell’intera Serenissima.
Non esistevano però soltanto i Nobili e i Priuli in Contrada di Santa Sofia: il volto del Confinio veniva espresso in Calle del Cristo col suo originale Capitello in legno, nel Sottoportego del Tagiapiera e in quello dei Preti, nella Calle dell’Oca e in Calle Corrente… così come nelle calli e luoghi che rivelavano le attività artigianali che interessavano quel piccolo microcosmo quasi autosufficiente della Contrada.
Calle del Pestrin, Calle del Frutarol, Calle delle Vele, Corte dello Squero Vecio, Calle de la Pègola, Calle dei Pali o dei Testori sono toponimi rivelatori di presenze intense vissute … e poi c’erano le Corti e le aree tipiche dove s’assiepavano a vivere quelli della Contrada: Ruga Do Pozzi, Rio dell’Acqua Dolce, Calle dei Zotti e Calle e Rio de la Racchetta.
Nel 1397 Lorenzo Maccaruffo legò in perpetuo al Capitolo dei Preti di Santa Sofia le rendite di 2 mansi con bosco a Zero chiedendo in cambio una Messa quotidiana e un Esequie annuale per se e per sua madre … e nel 1406 la Nobile Famiglia Sandei pagò di tasca propria la costruzione di un quarto altare in Santa Sofia dedicato a Sant’Osvaldo collocandolo accanto all’Altare Maggiore ... il celebre pittore Gentile da Fabriano che abitava proprio in Contrada di Santa Sofia a Venezia ed era amico di Jacopo Bellini(che per questo forse diede nome Gentile a uno dei suoi figli) dipinse per la chiesa di Santa Sofia una pala per un altro nuovo altare dedicato a Sant’Antonio Abate ... pagato ancora una volta dai Nobili Sandei.
Nel 1414 Giovanni Priuli s’imbarcò nella Squadra Navale Veneziana che operò nell’Adriatico contro Sigismondo Re d’Ungheria, e l’anno seguente comandò la Galea Veneziana che condusse a Napoli Giacomo di Borbone-La Marche per sposarsi con la Regina Giovanna II. Come gli uomini illustri del Casato Priuli fin dal 1420 occupò e rifiutò almeno una ventina di cariche importantissime dello Stato dedicandosi alla guerra, alla condanna a morte di Francesco Bussone detto il Carmagnola, al processo contro Alvise Correr e Pietro Morosini per un’Assicurazione Marittima, e giudicò Jacopo Foscari figlio del Doge esiliandolo prima nel Peloponneso, e commutandogli poi l’esilio riportandolo nel Trevigiano.
Era nato nel 1384 in Contrada di San Felice a Venezia da Costantino di Lorenzo e da una figlia di Giacomo Loredan di Bartolomeo, e aveva trascorso l’intera giovinezza esercitando la Mercatura nei Fondaci Siriaci curando gli affari di famiglia. Nel 1414 sposò Maria Donà di Nicolò, cugina di Andrea Donà futuro cognato del Doge Foscari, e si trasferì in Contrada di San Severo poco distante da San Marco e dal Palazzo Ducale dove suo padre aveva appena acquistato una grande casa che divenne la residenza dei Priuli del Ramo di San Severo. Morì a Venezia nel dicembre 1456 lasciando quattro figli maschi e una femmina, fra cui Francesco Priuli che sarebbe divenuto Capitano Generale da Mar ... Venne sepolto nel chiostro di Sant’Andrea della Certosa di Venezia (che oggi non esiste più):“Lodato ed esaltato per l’onestà e la purezza dei costumi”. Fu insomma un’altra carriera politica senza respiro, sempre ai vertici più alti del governo della Serenissima dalla quale ottenne molto ma alla quale offrì tantissimo.
Intanto nel febbraio 1416 sempre in Parrocchia e Contrada di Santa Sofia dov’era stato confinato da 6 mesi con parte dei suoi libri, era morto Giacomo Vescovo di Treviso. Era un uomo di Chiesa che s’era indebitato fino al collo per aver partecipato per 9 mesi al Concilio di Costanza, e per aver poi soggiornato a lungo a Venezia … senza mai pagare.
Un mese prima di morire, trovandosi in disaccordo col suo Clero e Capitolo di Treviso che non lo voleva più “foraggiare di denari”,chiese dei prestiti a Venezia impegnando alcuni beni della stessa Mensa Vescovile di Treviso (ossia della Chiesa e Diocesi di Treviso). Dopo la sua morte i suoi libri vennero venduti all’incanto, e con i 100 ducati ricavati si pagarono dei nuovi paramenti per la Sacrestia di Treviso rimborsandone almeno intenzionalmente il Capitoloche era stato a lungo “spremuto e privato delle sue rendite”. Poi si presentarono gli Ufficiali alle Cazzude della Serenissimache tentarono a lungo di saldare i crediti lasciati in sospeso dal Vescovo defunto. Fra i creditori che esigevano rimborso c’erano: Giovanni De Palena che chiedeva 207 ducati (era stato per 6 anni Vicario Generale dello stesso Vescovo senza percepire neanche un soldo); il suo segretario: Prè Bonaventura da Ceneda che pretendeva almeno 92 ducati; e donna Antonia che chiedeva 7 ducati in quando il suo defunto marito Bertonis De Cumis da Treviso era stato per anni coppiere e domestico dello stesso Vescovo ... ma senza incassare niente.
In quei tempi non so quanto in verità importasse ancora ai Preti della Collegiata e Capitolo di Santa Sofia del Sapere, della Verità e della Conoscenza, ossia della Sofia-Sapienzache aveva dato inizialmente nome e titolo alla Contrada e alla loro chiesa. Forse ben poco o niente, perché si lamentavano che quello di Santa Sofia (che pur possedeva un buon numero di rendite e di Mansionerie di Messe) era un piccolo beneficio economico ecclesiastico troppo piccolo, forse uno fra i più poveri, meno ambiti e poco redditizi dell’intera Venezia. I Preti Veneziani “di spessore” non amavano molto divenire Preti della Collegiata di Santa Sofia. Infatti, intorno agli anni venti del 1400, venne a vivere in Contrada e chiesa di Santa Sofia il Prete-Piovano Pietro Negro: “un numero d’uomo … matto come un cavallo” ... Nei documenti dell'Avogaria da Comun si legge che venne esonerato nel 1436 dall’incarico di Pubblico Notaio perché rogò e pubblicò un testamento in cui una certa Cristina de Sana lasciava a Francesco Rizzotto Piovano di Santa Maria Nuova tutte le sue facoltà: era un falso ! … a redigere il quale la povera vecchia era stata indotta.
Come non bastasse, lo stesso Piovano Negro era famoso in giro per tutta Venezia perchè faceva pagare i funerali dei suoi parrocchiani a 3 ducati invece dei soliti 3 soldi per pagarsi così i numerosi debiti di gioco di cui era fanatico.
E non è ancora tutto: un suo figlio naturale: Antonio, avuto da una relazione con una donna della Contrada, faceva il “Cultrarius”, ed era, come si diceva spesso anche a Venezia: “talis pater talis filius”in quanto aveva messo incinta Catterina Bedotolo Badessa del Convento dell’isola di San Giacomo di Paludo poco distante da Murano. La Serenissima lo condannò a due anni carcere dal quale però fuggì l’anno seguente finendo bandito da Venezia e da tutti i Territori del Dominio Veneto ... pena la morte se fosse stato catturato.
Nel 1441 Francesco Priuli si trovava ancora “in partibus Syriae” rimanendo a lungo lontano da Venezia dove tornò solo a trentun anni dopo l’elezione del padre come Procuratore di San Marco de Citra. Era nato a Venezia nel 1423 da Giovanni di Costantino e da Maria Donà di Nicolò, e ancora nel 1479 si occupava di merci sequestrate ai suoi agenti di Damasco. Sposata Contarina Contarini figlia del Procuratore Federico di Bertucci, da cui ebbe cinque maschi e altrettante femmine, entrò tra i Pregadi, poi venne eletto all’Ufficio dei Cinque Savi alla Pace, fu Avogador da Comun(1475 e 1480); Provveditore al Sale(1476); e Savio di Terraferma(1479 - 1482 e 1483) al tempo della difficile e dispendiosa Guerra del Polesine che diede a Venezia il territorio di Rovigo, ma non il controllo sul Po.
Negli stessi anni per non farsi mancare niente fu anche Savio del Consiglio e Consigliere Dogale per il Sestiere di Castello, Capitano Generale da Mar quando Bayezid Sultano Ottomano allestì una squadra navale per muovere contro l’Egitto chiedendo a Venezia la concessione di un porto di Cipro Protettorato della Repubblicadove regnava Caterina Cornaro. Il Senato Veneziano temeva allo stesso modo sia le mire espansionistiche degli Ottomani, che quelle di Ferdinando Re di Napoli che intendeva impadronirsi dell’isola.
Lo storico Marin Sanudodei Diari scriveva in quei giorni: “…perché se intendeva el Turcho feva armada, et etiam re Fernando, per dubito di l’isola di Cypri fu terminato etiam nui far grossa armada, et preso far Capetanio General di Mar. Et cussì … fo electo Francesco di Prioli, Savio dil Conseio … El qual aceptò e andò”.
Nell’aprile 1487, infatti, Franceco Priuli sbarcò a Cipro con 500 Stradioti (mercenari Dalmati, Greci e Albanesi ortodossi che formavano unità militari di cavalleria della Repubblica di Venezia e del Regno di Napoli) per rafforzare le difese di Cerines e Famagosta; mentre il Consiglio dei Dieci inviò a Costantinopoli Giovanni Dario per dissuadere i Turchi dall’impossessarsi dell’isola. Priuli in seguito lasciò Cipro svernando a Corfù, e incrociava con le sue navi nel Mare Egeo presso Adana e Tarso quando nel maggio seguente la squadra di 84 navi Turche venne sconfitta dai Mamelucchi d’Egitto. Il Senatoallora gli ordinò di recarsi a Cipro con tredici Galèe, e vi giunse giusto in tempo per bloccare il tentativo di far sposare la Regina Cornaro con Alfonso d’Aragona figlio di Re Ferdinandodi Napoli. Francesco Priuli arrestò Rizzo de Marino e Tristano Giblet organizzatori del complotto inviandoli a Venezia, e a metà marzo 1489 Caterina Corner abdicò a favore di Venezia lasciando Francesco Priuli come Bailo di Cipro: “… né vi è memoria che ritornasse più a Venezia, essendo mancato in quelle parti …”
In seguito però a Venezia si scrisse: “… fu preso che Sier Francesco di Priuli Capetanio Zeneral da Mar vengi a disarmar, et cussì vene”. Morì infatti a Venezia nel 1491 venendo seppellito a Sant’Andrea della Certosa.
Nella stessa epoca un altro Priuli: Pietro,fece una “gran chiassata” nel 1442 con altri giovani Patrizi Veneziani che vennero esclusi da Palazzo Ducale per sei mesi. “Fatto giudizio”, sposò Elisabetta Vendramin figlia di Luca, fratello del futuro Doge AndreaVendramincon la quale “si diede molto da fare”mettendo al mondo ben dodici figli. Poi riprese l’attività della Mercatura in Levante che aveva già praticato a lungo in giovinezza apparendo ad Alessandria d’Egitto come testimone di procure, malleverie e numerosi contratti mercantili.
Era nato a Venezia nel 1420 da Lorenzo di Costantino e da Chiara Tron di Luca, e tornato a Venezia nel 1450 inanellò e intraprese o rifiutò come di solito facevano i Priuli una lunga serie di prestigiosi incarichi di Stato continuando a dedicarsi ai commerci. Solo nell’agosto 1482 venne eletto Procuratore de Supra, incarico secondario solo al titolo Dogale, e spostò così la sua residenza dalla Contrada di Santa Foscaalle Procuratie di Piazza San Marco. Più tardi divenne Provveditore sul Campocombattendo gli Estensi insieme a Marcantonio Morosini, edificò un fortino a Lagoscuro per proteggere il transito sul Po, e giunse ad assediare Ferrara. Fu quello un capitolo tristo delle guerre della Serenissima perché i soldati Veneziani si trovarono a combattere in ambienti malsani e paludosi che causarono molte malattie e morti, inducendo lo stesso Pietro a rientrare a Venezia come racconta il solito Marin Sanudo: “… amalato di dolor colici, havé licentia di vegnir a repatriar, et poi che fu venuto, referì al Senato di quelle cosse dil campo, et introe Savio del Consiglio, dove era stà electo”.
Negli anni seguenti, mentre nel 1469 “Daniele Priuli pacificò i Triestini coi Giustinopolitani, e assalse Rodi, e di non poco danaro sussidiò lo stato nella guerra di Negroponte …”, Pietro Priuli si occupò di frodi daziarie come Savio della Serenissima; reperì risorse finanziarie e fiscali per la guerra; attuò restrizioni dell’abbigliamento femminile delle Veneziane; obbligò Artigiani, Rettori e Magistrati a decurtarsi lo stipendio; e si dedicò alla correzione della Promissione Ducale per i Dogi Marco e Agostino Barbarigo con i quali era imparentato. Morì nel dicembre 1492 venendo sepolto a San Michele di Murano dove aveva speso e investito tantissimo realizzando la Cappella della Croce ideata da Mauro Codussi.
Nel 1461, intanto, era stato il turno di un altro Prete di Santa Sofia a salire all’onore delle cronache Veneziane: si trattava di Prè Vito Pugliese che venne condannato al carcere a vita per aver violentato e avuto una storiaccia infame insieme a Lucia moglie di un Agostino Lanaiolo da Feltre. Fu la stessa donna a denunciarlo e smascherarlo … ma solo perché non le aveva dato i soldi che avevano pattuito. Un anno dopo su intercessione del Principe di Taranto la pena comminata al Prete venne commutata in Bando Perpetuo.
Nel 1470 Antonio Priuli venne inviato come Ambasciatore a Firenze: “… è stà manda a Fiorenza, per haver qualche aiuto da quella Comunità contra ’l Turco”; e come Savio di Terraferma nell’agosto di due anni dopo partecipò a una vertenza con alcuni Mercanti Catalani che reclamavano per dei danni subiti da una loro nave ad opera di una Galea veneziana. Era nato a Venezia nel 1418, primogenito di Lorenzo di Costantino del Ramo dei Priuli “dal Capuzzo” di Cannaregio e di Chiara Tron di Luca, e in gioventù aveva esercitato a lungo la Mercatura partecipando alla Muda di Barbaria(1441); beneficiando di una procura in Alessandria d’Egitto per riscuotere a Rialto un credito per conto di Giovanni Dolfin(1448); e fu Capitano delle Galèe della Muda per Aigues-Mortes.
Tornato a Venezia sposò prima Elena Contarini, e poi Maria Foscari ricoprendo a sua volta numerosissime cariche di Stato come era uso di famiglia: Quarantia(1448-1451); Visdomino al Fondaco dei Tedeschi; tra i Cinque Tesorieri Nuovi al Fisco(1452); Savio agli Ordini(1453-54); Savio di Terraferma(1457, 1464, 1469 e 1471-75); Ambasciatore presso il Duca Stefano di San Saba per provare a sottrarre la Bosnia dall’asservimento ai Turchi (1463); e Camera degli Imprestidi nel 1464. Due anni dopo come d’abitudine di famiglia rifiutò l’incarico d’Ambasciatore in Ungheria per cui venne spedito come Podestà a Chioggia(1467); riacquistata la stima della Serenissima, venne inviato come Ambasciatore presso l’Imperatore Federico III; poi rifiutò di nuovo l’incarico d’Ambasciatore Ordinario a Romae anche quello a Napoli (1469) dove fu costretto ad andare lo stesso con Zaccaria Barbaro per cercare aiuti contro i Turchi (1471).
Tornato ancora una volta a Venezia, entrò nella Zonta del Consiglio dei Dieci(1473), rifiutò ancora un’Ambasceria a Firenze (1474), fu Savio sopra i Dazi e Avogador da Comun(1475); come Savio del Consigliopropose la costruzione di una fortezza antiottomana a Gradisca sull’Isonzo(1478); e morì attorno al 1480 lasciando la sua inconsolabile vedova che tre anni dopo si risposò felicemente con Pietro Corner.
La Contrada di Santa Sofia, intanto, continuava a vivere la sua storia. Non erano tutti mascalzoni e inetti i Preti di Santa Sofia: fra loro nel 1464 c’era anche Prè Pietro Bianco di origine tedesca, che era abile organaro e costruttore di diversi strumenti istallati soprattutto nelle chiese della Terra del Friuli (San Daniele, Gemona, Udine, Tolmezzo)...
Nel 1471 Tommaso De Thomeis, Sancte Sophiae Plebanus, Notarius, Vicario della chiesa Dogale di San Marco e Cancelliere Ducale rogò il testamento del Doge Cristoforo Moro… in seguito Prè Giovanni Del Lago fu Letterato e Giurista, come lo fu Prè Francesco Speranza… Nel 1488: Luca Tron Provveditore da Comun propose al Maggior Consiglio di costruire due ponti sul Canal Grande: uno che congiungesse Santa Sofia col Mercato di Rialtoe uno San Vidal con la Carità: gli risero tutti dietro spiegandogli che esisteva già dal 1342 e funzionava egregiamente l’efficientissimo Traghetto di San Giovanni Battista a Santa Sofia della Ca' d'Oro(uno dei più antichi di Venezia). Era più che sufficiente quello gli risposero.
Nel 1483, Marin Sanudo scrisse e raccontò nel suo “Itinerario per la Terraferma Veneziana”circa le residenze dei Nobili Muazzo a Bassano, e di quelle dei Cappello dal Banco. Riferì inoltre che i Veneziani erano nomi importanti presenti fra quelli dell’Arte Molinatoria e del Commercio dei Legnami, e che alcuni Patrizi come i Pizzamano, i Morosini, i Cappello, i Belegno e i Priuli erano concessionari di porzioni della “Campanea del Comune” irrigata dalla Roggia Rosà che usciva dal Brenta, derivata dai beni appartenuti un tempo ai Carraresi e ai Visconti ... Dal 1492 al 1498 Girolamo Priuli fu presente a Londra come commerciante rimanendone ammaliato. Tornato a Venezia iniziò a scrivere un suo Diario Segreto nel quale esternò aspre critiche al Governo della Serenissima, ai Nobili e alle Istituzioni Veneziane, precisando che i Conventi di Venezia troppo libertini dovevano essere tutti bruciati con le Monache dentro.
All’inizio del 1500 il Capitolo dei Preti di Santa Sofia possedeva diverse case in Venezia: “… quatuor domos in Judaica (Giudecca)… domini obligatam domini Francisci Foscari positam apud nostrum traiectum … domum obligatam positam apud porticum ipsius ecclesiae in qua habitat pomarius sive venditor fructum …” e anche alcuni campi in Terraferma presso Zero e Martellago: “… duas possesiones in villa Zerri … in villa Martelagi duos campos …” che erano stati lasciati al Capitolo di Santa Sofia nel 1485 dal Plebanus Giacomo Rizzo insieme a una rendita di 200 ducati versata alla Camera degli Imprestidi in cambio di una Mansioneria di Messe da celebrare ogni giorno in suo suffragio nella chiesa di Santa Sofia.
In quegli stessi anni in Contrada accaddero un paio di episodi inquietanti oltre che curiosi: nel 1506 ci fu quello della Meretrice de Miràn. Un Fabbro benestante abitante in Campo Santa Sofia in una casa del Cittadino Longhin, aveva una tresca amorosa con una vedova di Mirano che faceva la prostituta. Una sera la donna si recò a trovarlo a Venezia, e atteso che il Fabbro si fosse addormentato, scese di sotto in cucina a scaldare dell’olio. Salita poi di sopra, prima diede all’uomo una coltellata nel petto, poi gli versò addosso l’olio bollente, e infine lo ammazzò pestandogli un candelabro sulla testa. Già che c’era rubò all’uomo tutto il denaro che aveva addosso insieme ad altri due sacchetti di monete che trovò nella casa, e dopo aver provato inutilmente a forzare la “cassa forte” del Fabbro, se ne fuggì via dando fuoco a tutto. Quando tempo dopo la donna venne arrestata dopo un altro furto commesso a Venezia, emerse anche la vicenda precedente. Nel gennaio 1505 venne condannata ad essere trasportata su una chiatta lungo tutto il Canal Grande fino al Monastero del Corpus Domini(attuale luogo dell’accesso al Ponte Calatrava dalla parte della Stazione Ferroviaria), e poi ad essere accompagnata a piedi attraverso il Sestiere di Cannaregio fino alla Contrada di Santa Sofiadove le sarebbe stata tagliata la mano destra. In seguito si sarebbe prolungata la sua ultima camminata fino alle Due Colonne di Piazza San Marco dove le sarebbe stata tagliata la testa, e infine il suo corpo sarebbe stato bruciato, e la sua testa appesa sulla riva dell'Isola di San Giorgio Maggiorea monito di tutti … Per niente impressionate da questi fatti, nella notte del 22 luglio 1512 alcune “donne di mestiere e malaffare” con un gruppo di “Zentiluomini” uccisero Ser Battista Gradenigo… sempre e ancora in Contrada di Santa Sofia.
Già che siamo in argomento, in quello stesso secolo diverse “Signore” abitavano in Contrada di Santa Sofia dove prestavano stabilmente la loro opera più che ricercata da molti, e piuttosto ben tollerata dalla stessa Serenissima. Ad essere precisi, era piuttosto la limitrofa Contrada di Santa Caterina ad essere fornitissima di “donne di malaffare” spesso gestite dai Barcaroli del vicino Traghettoe ospitate spesso da argute “Massère” o parenti stretti: se ne contavano ben una trentina. Le liste che giravano per le Osterie, le Locande, i Mercati, i Traghetti e le Contrade menzionavano comunque anche Cornelia Murlaquetta di Santa Sofia che abitava in casa di Betta fia de Maria a Santo Apostoloin Ca’Michiele si faceva pagare 4 Scudi … C’era poi a disposizione: Catarina Tagiapietra che stava ed esercitava in Ruga Do Pozzi in casa di suo fratello Zorzi … ed Elena Driza che “lavorava” in Contrada de Santa Sofia in casa de la so Massèra … Nella stessa zona esercitavano anche: Viena e Giulia Barcaruola donna maridada che “prestavano le loro cure” in Calle delle Erbe “in cào alla Ruga”in casa di Chate Schiavona al prezzo di 1 o 2 Scudi per volta … Lucietta Trevisana, invece, costava 2 Scudi, e si concedeva in casa di sua madre nella stessa Contrada di Santa Sofia … Lugretia di Colti abitava lì nei pressi nella stessa Contrada “presso il Bataòr” prestando i suoi favori per 2 Scudi … e “drio la gièsia de Santa Sofia stava Donna Verginia Armano” che venne multata di 50 ducati et spese il 02 Zenèr 1598 come si può leggere “a squarzafoglio 49” nei documenti di coloro che controllavano ogni cosa che accadeva nelle Contrade di Venezia.
All’inizio del 1500: i Nobili Priuli vendettero “… a pezzi e bocconi …” a proprietari locali, la Gastaldia di Fiumicello che possedevano nella Terra del Friuli… Nel 1504 Girolamo Priuli lamentava nei suoi Diari Segreti che in quell’anno non partivano più Spezie da Venezia per il Ponente perché andavano direttamente dall’India al Portogallo eludendo la storica Via Classica del Mediterraneo. I Priuli allora non trovando più Spezie acquistarono dal Patron Federigo Morosini “una quota” della Compagnia di Galea che trasportava 200 botti di Vino Cretese e Malvasia da portare in Inghilterra. Di solito il vino veniva trasportato dalle grosse navi tonde dalle fiancate alte, mentre le Galee erano riservate al trasporto “più leggero ma più prezioso” delle Spezie. Al ritorno verso Venezia il Capitano comperò anche un carico di piombo per zavorrare la Galea pagandolo “in maòna” ossia “in società”con i diversi Mercanti Veneziani … L’anno seguente Nicolò Priuli già Capitano a Famagosta e Luogotenente a Cipro venne riconosciuto colpevole d’essersi impossessato di denaro appartenente al Comune e a Mercanti privati. Il Consiglio dei Dieci gli ordinò di rifondere subito la somma, poi lo bandì per 2 anni da Venezia e dal suo Dominio escludendolo da ogni Ufficio e Consiglio e incarico di Stato, inibendolo inoltre per sempre dal ricoprire cariche commerciali inerenti Cipro.
Secondo il Libro dei Conti di Lorenzo Priuli, grande detentore di importantissime cariche di Stato della Serenissima e proprietario di diversi immobili in Venezia e di notevoli tenute in campagna, il periodo fra il 1505 e il 1535 fu quello di maggiore floridezza e fortuna per le sorti della Famiglia Priuli. Girolamo Priuli, Diarista e Banchiere, con Vincenzo Priuli Ufficiale di Marina e Comandante per qualche tempo delle Galèe per Beirut, che sposò una figlia del grande Banchiere di Stato Alvise Pisani di cui continuò l’attività bancaria, importavano lana dall’Inghilterra insieme con un figlio Francesco vendendola ai Drappieri Veneziani ai quali concedevano abitualmente credito di pagamento per due-tre anni.
Fin dal 1506, quando ormai i viaggi di quasi tutte le Mude delle Galèe erano entrate in crisi, il Viaggio di Barberia era considerato ancora l’unico ad essere sicuro e redditizio, e i Priuli usarono i fondi di famiglia per commerciare e investire in spezie, argento, stoffe, obbligazioni governative e soprattutto lana ... Un Corsaro Napoletano che catturò “un Barzotto” di proprietà di Matteo Priuli trovò che trasportava 200 botti dirette a Costantinopoli insieme a stagni, panni di seta e lana per un valore complessivo di circa 30-40.000 ducati … L’anno seguente Girolamo Priuli, il Diarista-Banchiere, figlio di Lorenzo Priuli(che aveva ricoperto tutte le cariche di Stato eccetto quella di Doge), inaugurò una piccola Banca: uno dei dieci “Banchi di scritta” presenti a Venezia in quell’epoca, ma fu costretto a chiuderla e liquidare dopo pochi anni, nel 1513, a causa dello scoppiare di una nuova guerra infelice che portò la Serenissima ad Agnadello. Già fin dal 1509 la Banca Priuli entrò in crisi vittima d’aver fatto credito al Governo procurandosi una perdita personale di 10.000 ducati dovuta alla soppressione dei pagamenti del Monte Nuovo: molti dei creditori vennero pagati con crediti del Governo che valevano poco o niente.
Nel maggio 1509, Alvise Priuli quondam Giovanni era uno dei sei Savi di Terraferma, mentre Lorenzo Priuli era il Cassiere del Consiglio dei Dieci. Più in alto di così dentro alla Serenissima ?
Lorenzo Priuli & Figlipossedevano 8 carati cioè un terzo della Compagnia di Galeadella Muda di Fiandra guidata dal Patron Federico Morosini e composta da 3 navi. Partirono da Venezia nel settembre 1504 dirette in Inghilterrae rientrarono a pieno carico a Venezia nell’ottobre 1505. Nel 1507 il Patron Morosini riferì a Lorenzo Priuli che il costo totale della Galea per il viaggio in Ponente, esclusi i noli pagati in Inghilterra e a Venezia, era stato di 7.503 ducati e 7 grossi: “Per Galia de Fiandre, Patrono Federico Morosini e Capitanio Marco Antonio Contarini. A Ser Federico Morosini come Patrono per tanti ne assegna per suo conto montar dita Galia 7.503 grossi 7, che tocha a noi per caratti 8: ducati 2.501 grossi 2, computano i danari ave de Vincenzo a sterlina 54 ducato, val lire 250…”
Fra 1514 e 1566 la Serenissima registrò a Catasto 6 case di cui “una roinàda” a San Domenego de Castello in Calle del Sarasin. Erano state donate da Maffio Priuli alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista per essere date gratis o a minimo canone d’affitto ai Marangoni ed Operai dell’Arsenale o a “poveri fratelli della Schola” ... Nel giugno 1515, Orsato Priuli Provveditor alle Bocche d’Anglò venne decapitato per ordine del Consiglio dei Dieci per averle cedute ai Tedeschi ... Nello stesso anno e in quello seguente, i Nobili Trevisan e Priuli acquistarono dallo Stato Veneziano le terre a Lissaro nel Padovano e ad Arlesega verso Vicenza confiscate ai “ribelli”dopo il 1509. Altre terre comperarono gli Arimondo, i Pisani dal Banco, i Cappello i Lando e i Dolfin in un’operazione finanziaria fra Nobili e Stato che metteva in vendita 2.200 ettari di terra su 3.800 confiscati in Terraferma con un esborso complessivo da parte dei Patrizi Veneziani di 85.000 ducati … Nel 1518 risultava già appartenente ad Alvise Priuli fu Nicolò(candidato al Dogado nel 1520), la Villa signorile in Contrà Santa Giustina a Piove di Sacco lungo la strada che andava ad Arzerello. Si trattava di uno sfarzosissimo complesso edilizio disposto su tre piani, con grandi stanze e saloni, scalone monumentale a tenaglia, mascheroni, arcate, grandi fabbriche adiacenti, e giardino con viali ombrosi ed esedra con molte statue ... Nello stesso anno i Priuli possedevano 12 carati di una Galea della Muda di Fiandra che salpò all’inizio dell’anno. Gli furono addebitati 4.220 ducati: valore pari a quella della Muda di Barberia che partiva nello stesso anno … e il Registro Catastale del Padovano per Nobili e Cittadini comprendeva in tutto: 1.523 proprietari. Fra questi erano segnati: il Monastero di San Giovanni di Torcello che possedeva 465 campi, Alvise Pisani che ne possedeva 10.000, Gasparo Contarini: 445 campi, il Cittadino Alvise Saraxin: 10 campi, e Alvise di Pietro Priuli, zio del Diarista Girolamo, che aveva 250 campi.
Nel 1514 prese fuoco la Contrada di Santa Sofia, ma l’incendio venne presto circoscritto e domato rimettendo ogni cosa al proprio posto … Si provvide anche a seppellire in chiesa di Santa Sofia un paio di personaggi illustri: Nicolò Dolce Vescovo di Limisso, e Ser Armorò Pisani di 46 anni potentissimo Capo del Consiglio dei Dieci… Tre anni dopo il Marchese di Ferrara alloggiò con la moglie in Contrada di Santa Sofia assieme a un seguito di sette donne Mantovane accompagnate dai rispettivi mariti.
Girolamo Priuli, invece, era l’altro aspetto della “medaglia Priuli”, avverso alla politica e alle cariche ed intrighi di Stato ed Ecclesiastici, ma non meno afferrato nell’economia e nei commerci redditizi. Scriveva sul suo Diario Segreto: “…costatato come io appartenga ad una famiglia insigne e di sangue nobilissimo, mio padre, mio zio e tutti i miei parenti, compresi quelli acquisiti, godono di un grande onore nella Repubblica. Ed essendo io ricco, secondo il mio rango e la mia posizione, non mi mancherebbero gli onori e la dignità che spettano a tutti gli altri nobili veneziani. Tuttavia il mio spirito è sempre stato alieno e distaccato da tali onorificenze e sono dieci anni che non frequento il Maggior Consiglio o altre assemblee cittadine…”
Fra 1514 e 1518 Girolamo Priuli che era nato a Venezia nel 1486 da Alvise di Nicolò del Ramo di Santa Sofia, e da Chiara Lion di Giacomo, si trovava in Siria, poi ad Alessandria d’Egitto e al Cairo dove risolveva controversie fra Mercanti Arabi e una nave Veneziana. Aveva trascorso gran parte della sua vita esercitando la Mercatura soprattutto delle Spezie, e s’era arricchito moltissimo raddoppiando più volte il proprio capitale. Il sempre solito Diarista Marin Sanudo scriveva di lui nel settembre 1514: “… il morbo a Damasco era miorato, adeo sier Hironimo di Prioli era partito di l’isola [Cipro] e navegato a Baruto”.
Nel 1517 Girolamo Priuli venne incarcerato per bancarotta e debiti ma la causa del suo scoperto fu la Tesoreria dello Stato Serenissimo.
Tornato a Venezia nel 1520, si comprò l’ingresso in Senato per 500 ducati prima di sposare cinque anni dopo Elena Diedo di Antonio da cui ebbe un unico figlio: Ludovico ossia Alvise. Solo nel 1531 accettò di diventare Provveditore alle Pompe per calmierare le spese pubbliche e gli eccessi dei privati Veneziani; quindi fu nella Zonta del Senato(1532), Provveditore alle Biave (1535), Ufficiale sopra gli Atti del Sopragastaldo(1539), Savio alla Mercanzia(1540-42-48 e 50), nel Consiglio dei Dieci nel 1543-45-47-49-51-52-54, uno dei 25 Savi incaricati di rivedere l’Estimo cittadino(1548); Consigliere Ducale per il Sestiere di Dorsoduro(1551); Savio sopra le Lagune(1552); Governatore delle Entrate e Provveditore all’Arsenale; Provveditore all’Armamento (1553-54); e Conservatore delle Leggi e Provveditore sopra i Beni Inculti(1556).
Passata la bufera, nel 1522, fu Antonio Priuli(con Matteo Bernardo figurava fra i 4 maggiori mercanti di Alessandria dove commerciava in diamanti per migliaia di ducati) ad aprire insieme ad Alvise (assolto quell’anno dalla condanna all’esilio per l’omicidio di Giorgio Loredan figlio di Marco Antonio Capo del Consiglio dei Dieci in cambio di 1.000 ducati e di un sussidio in favore delle truppe dislocate a Padova) un nuovo “Banco di scritta” dei Priuli ancora in stretta alleanza con la Banca Pisani. Il Banco Priuli fu uno dei più notevoli del gruppo Bancario Veneziano anche se i Priuli erano impopolari e avevano sempre fama d’essere avari e grossi taccagni.
La Serenissima si servì astutamente non poco delle Banche dei Nobili, e “giocò” parecchio e a piacimento con i patrimoni e i capitali dei Mercanti e dei ricchi Nobili della finanza Veneziana. Lo Stato Serenissimo doveva ai Priuli più di 14.000 ducati, e li ripagava parzialmente di solito con obbligazioni di Stato e applicando loro nuove imposte.
Il Banco Priuli, infatti, nel 1551 finì ancora una volta col fallire e chiudere travolto dalla crisi economica generale che coinvolse tutta la Serenissima. Esisteva però un altro motivo che distraeva i Priuli dall’economia: prediligevano la frequentazione dei circoli letterari dove presenziavano: Francesco Maria Molza, Francesco Berni, Benedetto Ramberti, Pietro Bembo, Trifone Gabriele, Benedetto Lampridio, eVittore Soranzo con Lazzaro Bonamico che furono compagni di studi dei Priuli a Padova dove studiavano Filosofia, Greco e Latino e anche Aramaico. I Priuli amavano frequentare l’Abbazia dei Monaci Benedettini di San Giorgio Maggiore dove convenivano per studiare e discutere personaggi del calibro di: Gasparo Contarini, Marcantonio Flaminio, Antonio Brucioli, Giovanni Battista Ramusio e Donato Rullo, che erano in rapporti con Antonio Priuli anche “per occasione di traffichi et mercandia che facevano insieme”.
I Priuli frequentando quei Circoli esclusivi associando quindi “l’utile col dilettevole, la politica con la Mercandia, lo Stato con la Religione, la Scienza Prima col vile Commercio.”
Nel 1545 dopo aver soggiornato a lungo a Bologna e Roma si recò in Inghilterra con lo stesso Cardinal Pole col quale condivideva “ogni suo pensiero … ed era conformissimo di vita, dottrina e di volontà”. Quando però salì al trono d'Inghilterra l’anti-protestante Maria Tudor “la Sanguinaria”(che fece bruciare al rogo circa 280 Protestanti), Alvise Priuli partì precipitosamente da Londra passando per la Francia, partecipò al Concilio di Trento rifiutando la nomina a Segretario come aveva fatto anche il Flaminio, e si portò a Padova col progetto di pubblicare a Venezia molti scritti che l’Inquisizione di Venezia giudicò “pericolosissimi”.
Nel 1549 il Cardinale Pole mancò per un solo voto l'elezione a Papa lasciando il posto prima al gaudente Giulio III, e poi al fanatico e violento Papa Paolo IV che avversava e temeva moltissimo: “quella scola maledetta … la casa apostata del Cardinal d’Inghilterra … nella quale parlando di heresia, non vi è persona più del Priuli”. Giunse perfino a intentare un Processo dell’Inquisizione contro lo stesso Alvise Priuli, e il Cardinale Pedro Pacheco giunse ad affermare che il Papa Paolo IV nonostante le insistenze dell’Ambasciatore Veneziano Bernardo Navagero sancì l’abolizione degli accessi ai benefici ecclesiastici proprio per invalidare un privilegio riservato ad Alvise Priuli di subentrare nel governo e godimento del beneficio della Diocesi di Brescia alla morte del titolare in carica.
Alvise Priuli, infatti, mentre “… si teneva per certo che harrebbe havuto il Vescovato di Verona rimasto vacante”, morì proprio a Padova nel 1556 debilitato da febbri quartane, e venne portato e sepolto nella chiesa di San Severo nel Sestiere di San Marco a Venezia ... Papa Paolo IV aveva ottenuto ciò che aveva desiderato.
Daniele Priuli, invece, fornito di una buona cultura letteraria (compose sonetti, rime e versi), iniziò nel 1539 a soli diciotto anni la sua carriera pubblica entrando in punta di piedi nel Maggior Consiglio della Serenissima alla quale donò una cospicua somma dopo la battaglia persa della Prevesa. Inizialmente poco vistoso e poco intraprendente come personaggio, ottenne solo dieci anni dopo il modesto incarico della Podesteria di Pirano in Istria, e continuò per quasi vent’anni a passare di carica in carica minore senza grandi successi.
Solo più tardi, grazie all’eredità della madre ottenne con i Nobili Martinengo Bresciani e i Nobili Lion Padovani il diritto di subentrare ai Venier nel consorzio che amministrava la Contea di Sanguinetto nel Veronese ricca di amplissimi benefici totalmente esenti dal fisco cittadino Veronese. Nel 1552 i Priuli stipularono un accordo col Comune di Verona sulle prerogative annonarie, fiscali e giudiziarie della stessa loro Contea, e nel 1559 concessero a livello per 1300 ducati annui “tutti i luoghi et la giurisditione di Sanguinetto” a Pietro Avogadro Conte Bresciano che però fu padre del bandito Ottavio.
Nel 1561 lo stesso Daniele Priuli, nato nel 1521 a Venezia, primogenito dei tre figli di Angelo Marino Priuli delle Guglie Patrizio Veneziano, Giudice della Quarantia, e di Andriana di Pellegrino del Ramo dei Venier, sposò Marianna Cocco di Bernardino nipote di Giacomo Cocco Arcivescovo di Corfù dalla quale ebbe tre figli. Da lì in poi andò tutto in discesa per il Priuli, che ricoprì cariche di Stato sempre più importanti: Provveditore alle Pompe(1561),Avvocato Fiscale(1562), Senatore (1568) fino ad ottenere la Luogotenenza del Friuli ai confini con gli Asburgo dal 1571 al 1573 dove fu un critico implacabile delle pretese dei vecchi Feudatari e Nobili Castellani Friulani che non volevano rinnovarsi; deplorò gli arbitri in seconda istanza di molti Giurisdicenti; e stigmatizzò la sfacciata svogliatezza con cui i Nobili Friulani avevano mobilitato per la Guerra di Cipro solo una cavalleria pesante di 80 cavalli invece dei 300 richiesti dalla Serenissima. S’interessò inoltre dei problemi della Contadinanza sopraffatta dai debiti e dai sequestri di cui sospese tutte le imposizioni fino al raccolto seguente, pretese però le Ordinanze o Cernide di 2500 uomini da utilizzare contro gli Ottomani. A Udine potenziò la “Scuola dei Bombardieri” lottando contro le resistenze dei popolani che temevano d’essere arruolati e imbarcati come galeotti sulle Galee della Serenissima: “… numerosi erano li fuggiti con tutte le famiglie loro per tema d’andar in galìa”.
Fu poi Censore, Consigliere dei Dieci e della Signoria; Capitano di Padova (1579-1581); Capitano di Brescia dove rafforzò il castello e contrastò il bandito Alfonso Piccolomini pagando regolarmente i soldati, ma contestandone lo scarso addestramento e la disorganizzazione delle Cernide Rurali (1584-85); Soprintendente alla costruzione delle nuove prigioni (1593); e candidato a Doge nel 1595 quando gli fu preferito Marino Grimani. Daniele Priuli allora pensò bene che non gli rimaneva altro che morire, e lo fece a Venezia nel 1596 venendo sepolto nella chiesa di San Geremia.
Nel gennaio 1525 Marco Antonio Priulidi Andreaera Podestà di Rovigo, e relazionò in Senato che a Lendinara esistevano 8 Ville, mentre Rovigo ne contava 41 … Alla successiva Redecima del 1537 a dimostrazione che aveva “studiato bene” quel territorio che governava, risultò possedere 150 campi nello stesso Polesine ... Nell’estate 1527 il solito Marin Sanudo ricordava che: “… almeno 150 Patrizi occupano cariche di Governo nella Terraferma ed altrettanti nei Domini da Mar ... Alle riunioni solite del Senato partecipano 180 su 300 membri ed il quorum era di 70 individui … Su un totale di 2700 Patrizi eleggibili con quorum di 600 persone, in Maggior Consiglio erano presenti in media 1.000-1.500 Consiglieri che salivano di qualche centinaio in occasioni particolari … Numerosi patrizi si trovavano fuori città per motivi ed affari pubblici o privati … Alcuni nobili pur essendo residenti in città non avevano mai messo piede in Palazzo Ducale, altri, almeno 46: non vi si recavano da almeno 20 anni ... I membri della Signoria o Consiglio ducale e quelli del Consiglio dei Dieci indossavano sopravesti scarlatte ed abitavano nelle Procuratie Nuove accanto a Piazza San Marco, i Senatori erano vestiti di porpora, in Maggior Consiglio si entrava con la toga nera, i membri del Collegio vestivano violetto o blu a seconda del grado gerarchico ... Chi occupava le 28 posizioni in seno ai consigli esecutivi centrali dei Dieci, del Collegio e della Signoria facevano parte della Cerchia del Governo ossia della classe al potere di 100-200 individui: il gruppo di governo detti: Padri, Grandi, Homeni de conto, Primi della terra. Costoro erano i Vendramin, i Foscari, gli Zen, i Barbo, i Dandolo, i Pesaro, i Tron e i Grimani … L’unico che vestiva d’oro era il Doge eletto e scelto fra 9 Procuratori … I Patrizi appartenevano a 134 clan diversi, e solo 9 gruppi familiari non avevano maschi in età per entrare nel Maggior Consiglio … Alcune famiglie di piccole o medie dimensioni godevano di posizione di prestigio acquisendo benefici importanti: 19 erano le “Case Grandi” con più di 40 individui, ossia il 45% dell’intero Patriziato: fra queste c’erano i Nobili Priuli con 56 membri stabilmente presenti nel Maggior Consiglio ...”
Nel febbraio 1543 i Procuratori di San Marco Antonio Priuli e Venturin di Cornovi Dalla Vecchia(forse il principale Mercante da Seta di Venezia) si presentarono davanti ai Provveditori dell’Officio della Corte della Seda: Zuanne Pinardo, Francesco Traversini e Zaccaria Botta spiegando di aver ricevuto dalla Spagna: “… tre sorte Cremisi le quali disseno che nasceno nelle Indie della Cesarea maiestà dell’Imperatore … Una sorta chiamasi: Uchimillia, la segonda sorte chiamasi: Cochimeia, la terza sorte chiamarsi: Panucho …”
Si trattava cioè di nuovi coloranti provenienti dall’America: vari tipi di Cocciniglia che avevano una capacità colorante dieci volte superiore al tradizionale Kermes di Ragusa. Con quel “nuovo metodo Indiano” di tingere si sarebbe potuto abbattere i costi della produzione dei Panni di Seta Rossi, e forse prospettarsi e aprirsi a un nuovo mercato diverso e più moderno.
I due Mercanti perciò chiesero all’Officio della Seda di: “…sazarlo per vedere la sua bontà se l’è cremese o veramente non…”
Il Provveditore Pinardo bocciò subito l’idea timoroso di quella novità inattesa, mentre Traversini e Botta più possibilisti convocarono alcuni Tintori Saxatori Ordenari dell’Officio della Seda, cioè: Mistro Batista de Jacomo sta a San Cassan e Mistro Michiel de Andrea sta al Ponte dei Meloni, insieme ad altri quattro Tintori da Seda di fiducia, ossia: Mistro Carlo de Jacomo ai Santi Apostoli, Mistro Zuà Maria de Zuane di Santi Apostoli sul Ponte, Mistro Paulo di Ventura di San Zulian e Mistro Vincenzo di Benedetto alla Maddalena.
I Provveditori consegnarono a Zuà Maria tre sacchi di Seta cruda ordinandogli di cuocerli e luminarli con i nuovi Cremese entro il lunedì seguente, e questo tornò all’Officio della Seda col lavoro svolto. Nell’occasione si aggiunsero anche altri Tintori: Adamo de Antonio sta a Santa Maria Materdomini, Bortolo de Nicolò sta a San Poloe Domenego de Michiel sta a San Lunardo che provarono tutti a tingere la seta con le sostanze nuove. Intanto il Provveditore Francesco Traversini mandò a prendere un “Zocchello de Seda” tinto col tradizionale “Cremisi Raguseo, marchiàn e grosso” e s’iniziò il confronto. I risultati vennero “saggiati”sotto giuramento, e Mistro Batista de Jacomo fu il primo a confermare la bontà dei nuovi prodotti coloranti Americani seguito da tutti gli altri all’unanimità. Fu così che cambiò la Tintoria Europea, e iniziò il declino progressivo del Classico Tessile Veneziano.
Nel 1549 secondo il Podestà Veneziano Bernardo Navagero, i Veneziani su 400.000 campi arativi del Padovanone detenevano 66.000 ... Tra 1573 e 1587 gli acquisti nel Vicentino dei Nobili Veneziani: Badoer, Bernardo, Bon, Contarini, Diedo, Dolfin, Foscarini, Priuli, Sagredo e Sanudo ammontavano a 500.000 ducati, e tutti si dedicarono ad ampia opera di bonifica dei loro territori.
Verso la metà del 1500 quando già la chiesa di Santa Sofia era anticipata da una casa con portico, tutte le offerte raccolte il Venerdì Santo, così come quelle della Festa della Titolaredella chiesa dovevano essere destinate interamente al Piovano che aveva l’obbligo di celebrare gli appositi Riti ... Si pagavano anche con 8 ducati annui a un Organista, e si utilizzavano altre “due paghe par conzàr l’organo”... Nello stesso portico davanti alla stessa chiesa di Santa Sofia, dal 1534 lavorava e vendeva nella sua bottega un“Naranzèr o Fruttariòl”.
Nel gennaio 1527, quando i Priuli erano “Zentilhomeni de conto” e commensali dell’Illustrissimo e potentissimo Cardinal Marino Grimani che abitava in Contrada di Santa Maria Formosa, Lorenzo Priuli e Gasparo Contarini furono scelti dal Consiglio dei Dieci per valutare il “Libro della origine delli volgari proverbi”appena stampato da Alvise Cinzio de’ Fabrizi e dedicato forse ironicamente a Clemente VII. Il testo era stato denunciato dai Frati Francescani Osservanti di San Francesco della Vigna che si erano offesi perché nelle pagine venivano definiti: “dalle gran tasche rigonfie d’oro di contro al precetto del loro Santo”… I due prescelti dal Consiglio dopo attenta analisi conclusero che il libro “non era particolarmente empio”, perciò ai Frati non rimase che comprarsi tutte le copie disponibili sul mercato che poterono … per bruciarle ovviamente.
Nel settembre 1552, invece, Andrea Priuli era stato Rettore dell’isola di Zante dove era stato costretto a prendere provvedimenti contro l’eccessiva proliferazione di nuovi impianti di Uva Passa che andavano fortemente a discapito della produzione di Grano dell’isola … e delle entrate fiscali della Serenissima. Le tasse provenienti dalla Decima del Frumento, infatti, erano scese da 3.000 a 1.400 ducati a causa di quella coltivazione impropria di vigne che lui aveva cercato di bloccare denunciando, confiscando e multando. In parallelo, invece, stava accadendo un aumento della popolazione dell’isola … che aveva sempre fame ed esigeva da mangiare. Secondo la relazione presentata a Venezia dallo stesso Priuli: l’isola di Zante in passato produceva 40.000-50.000 stara annuali di Frumento, mentre ora arrivava a produrne solo 20.000 con grave danno sia per la Signoria che per la popolazione dell’isola che sperava grandi utili, seppure non immediati, dalla produzione dell’Uva Passa. Il Priuli col suo fiuto da Mercante chiese alla Repubblica:“Non sarà forse giusto e più utile approvare quella riconversione agraria dell’isola a discapito del Frumento ?”
In quegli stessi anni i Priulipossedevano un appezzamento di 70 campi a Piacenza, dove esistevano ben 2.250 campi padovani (855 ettari) appartenenti a pochi intestatari Nobili Veneziani come appunto erano i Priuli, i Boldù, gli Zen, i Querini e soprattutto i Morosini.
Lo stesso Lorenzo Priuli divenne Doge, (era nato a Venezia nel 1490 circa, secondogenito di sei figli maschi di Alvise di Niccolò Priuli del Ramo di San Stae e di Chiara di Giacomo Lion). Di lui si scrisse: “Gentiluomo molto honorato et di buone lettere et costumi”.Aveva studiato Latino, Greco, Teologia e Filosofia poi si era dedicato alla Politica divenendo: Senatore, Consigliere dei Dieci, Savio all’Esazione, Governatore alle Entrate, Consigliere Ducale e Savio di Terraferma: un successone insomma.
Nel novembre 1522 venne eletto Oratore al Re di Inghilterra al posto di Gian Antonio Venier, e poi Ambasciatore presso l’Imperatore Carlo V insieme ad Andrea Navagero al tempo in cui in Europa infuriavano pestilenza e guerra. L’Imperatore lo fece Cavaliere offrendogli 200 scudi, e ritornato a Venezia Lorenzo ricoprì un’altra “raffica” di cariche importantissime della Serenissima fino a diventare Doge. Suo fratello Girolamo venne nominato prima Procuratore di San Marco de Ultra(1557); poi Provveditore all’Arsenale e Conservatore delle Leggi(1557-1558), e quando nel 1559 il Doge Lorenzo morì si pose “per continuità” un altro Priuli al Dogado … seppure dopo ben 35 scrutini.
Il Residente Fiorentino a Venezialo descriveva come: “un uomo grosso che non può quasi parlare per haver impedimento ne la lingua”. In realtà Gerolamo Priuli era un uomo maestoso, generoso e devotissimo, e favorevolissimo alla presenza dei Gesuiti del Papa a Venezia. Quando in tempo di carestia venne eletto Doge fece distribuire a proprie spese denaro e viveri al popolo, e sollecitò la creazione delle Fraterne dei Poveri nelle Contrade Veneziane. Governò tranquillamente da Doge solo per otto anni subito dopo la Pace di Cateau-Cambrésis e la conclusione del Concilio di Trento(fenomeno che avrebbe segnato e influenzato per secoli la Storia dell’intera Europa). Morì a 81 anni a Venezia venendo seppellito nella tomba di famiglia a San Domenico di Castello che era appena stata restaurata insieme all’intero Convento dal fratello Doge Lorenzo.
Anche Giovanni Priuli, figlio del Doge Lorenzo, venne sepolto sempre lì a San Domenico di Castello, ma senza epigrafe, perché: “… ha commesso opere da mariuolo pubblicamente”.
I Preti del Capitolo di Santa Sofiacontinuavano a “leggere e segnare” nel loro Archivio e sui Registri Canonici l’intera vita e le vicende di tutta la Contrada di Santa Sofia (avevano iniziato dal lontanissimo 1191, e a Venezia in quei secoli non esisteva alcun tipo di anagrafe). Dal 1571 si diede inizio alla compilazione e tenuta dei Libri dei Battesimi, alle Filze e Squarzi, Pubblicazioni e Contraddizioni raccolti nei Libri dei Matrimoni; due anni dopo s’inizio a redigere anche il “Libro dei Morti”; e in un altro Libro dei Poveri apposito si elencarono in ordine alfabetico dal 1595 tutti i Miseri della Contrada”: “… 1595 adì terzo agosto ... Li clarissimi signori Alvise Malipiero e Andrea Bragadin ... i quali hanno eletto li infrascritti nella Contrà de Santa Sofia per far elletion delli poveri de ditta Contrà meritevoli di haver le casole ... iuxta li ordeni infrascripti dati al Reverendo Piovan de ditta Contrà...”
Nei Libri dell’Archivio di Santa Sofia i Piovani registrarono perfino dei pettegolezzi: il Piovano Tommaso Bianco, eletto Canonico di San Marco dal Doge Gritti, annotò a margine nel 1550 di un “paio di zoccoli comprati per la sua cognata”… così come segnò la donazione di “uno schudo del valore di lire 6.918 offertogli da Bianca Michiel e Alvise Loredan che aveva unito in Matrimonio”… di “un paio di campi venduti a Martellago per pagare alcuni lavori fatti in chiesa”… e del denaro offerto, e dei regali fatti a “Cecilia mia massèra”(domestica) che finalmente era riuscita a sposarsi liberandolo della sua presenza assillante: “Cecilia se maridò et tolse per marido Francesco Marangon, fiol de Missier Zuanmaria Marangon Visentin sta in Padova … e li ho dato doi braza de panno de Fiandra per ducati 87, e un letto con due canapàl e còlxara e cussìni e lenzuòl …”
Negli stessi anni in chiesa di Santa Sofia erano attive almeno tre Schole Piccole di Devozione: quella del Santissimo Sacramento(dal 1507), quella di San Luca dell’Arte dei Depentori(1536), e dal 1589 anche la Schola dell’Assunta… e sempre in chiesa c’erano due Madonne Vestite a cui quelli della Contrada erano molto devoti e affezionatissimi: “… una Madonnetta piccola alla greca con 10 abiti in seta neri e altre di diversi colori che verso fine secolo divennero 36 … e una Madonna Granda con 20 abiti di valore” ... In Contrada Prè Gerolamo Lonigo venne processato e condannato “per gravi irregolarità economiche dovute al vizio del gioco, e pesanti fatti di carnalità”.
Ancora lo stesso Capitolo dei Preti di Santa Sofia s’impegnò in numerose liti, processi, sentenze e controversie senza fine (alcune si protrassero per secoli) per la difesa dei propri confini, dei terreni, degli immobili e delle numerose proprietà che gestivano sia in Laguna che nella Terraferma Veneta.
Contrastò non poco con i vicini Preti della Collegiata di Santi Apostoli; con le limitrofe Monache Agostiniane del Monastero di Santa Caterina; con Laura et Alvise Finettiper dei beni della quondam Marina Barelli che aveva donato un stabile alla chiesa di Santa Sofia nel lontano giugno 1390; per una “Mansionaria lassata dal quondam don Antonio Longino sopra le case al Traghetto hora posesse da nobil huomini Foscari che pagano tal legato e mansionaria"(1400-1793); col fu Nobil Homo Ser Sebastiano Capello: “… sopra Monti per la Mansioneria della quondam Nobil Donna Biriola Michiel” (1411-1685); "Pro ecclesia Sancta Sophia contra Scolam Pictorum" e "Santa Sofia contro Depentori"(1531-1698); “circa il livello che riscuote la chiesa di Santa Sofia dalla casa in Calle dal Forno per le rappresentanze di Tomaso Sandei”; e “per il Diritto Capitolare sopra la Cappella di Sant'Osvaldo”(1387-1727); “per le case poste in Sant'Eufemia della Zuecca”, e “per la Mansioneria et Anniversario della quondam Sandei et esecuzione Speranza"(1465-1687); “per la chiesa di Santa Sofia contro don Cariteo de Caritei per la casa della Pieve” (1599-1619); “per la Mansioneria del fu Nobil Homo Ser Orsato Giustinian all'Eccellentissima Procuratia de Supra"(1462-1679); "per la chiesa di Santa Sofia contro il Nobil Homo Ser Lorenzo Morosini fu de Ser Barbon sopra il romper un muro della proprietà della medesima sotto il portego d'essa" (1221-1578); “… contro l'Eccellentissima Procuratia de Supra per la Mansioneria del quondam Prè Giovanni Mando Titolato di Santa Sofia”(1495-1541); “per la Mansioneria della quondam Elisabetta Bellionori con litigio col quondam Zuanne Battistello et partita all'uscita de ducati 400: il capitale sudeto per publica affrancazione dell'anno 1777 verrà ridotto a ducati 228 …”(1597-1678); “per la Mansioneria della quondam Cecilia Colombo con un litigio contro Vicenzo Colombo Commissario et obligazione di due case a Portogruaro et altra Mansioneria per la quondam Caterina Colombo"(1610-1701); “per la Mansioneria del quondam Francesco Donati quondam Liseo con un'informativa e giro schossi in Cecca de ducati 200: il capital sudetto per pubblica affrancazione nell'1778 fu ridotto a ducati 76, e passò investito nel Novissimo diposito in Cecca …”(1668-1778); “per la Mansioneria Zorzi Viviani Spiera"(1606-1694); “per alcuni livelli affrancati a Sabbina Brighenti, a Prè Filippo Lava, a Prè Antonio Venerio, a Pietro Baldigiani, al Nobil Homo Rezzonico et al Bonfiglii"(1645-1721); “per la Mansioneria del quondam Bernardo Sandei quondam Vicenzo et litigio col Nobil Huomo Ser Zorzi Contarini fu de Ser Zuanne Battista et con ditto Lorenzo Contarini da Padova"(1605-1680)… e poi ancora, senza fine, contro i Governatori alle Entrade e quelli alle Cazude; applicando o provando a discostarsi dalle condizioni e terminazioni imposte dai Dieci Savii; davanti ai Provveditori Sopra ai Monasteri, ai Provveditori sopra alla Sanità, ai Provveditori del Proprio, ai Provveditori da Comun e delle Acque ... e ancora baruffe, liti e ricorsi dal 1529 e fino al 1568 anche per le "Gratie a dongelle della Contrada di Santa Sofia solite dispensarsi dalla Comissaria di Monsignor Domenico Benedetto Vescovo di Città Nuova".
Che ve ne pare ?
Insomma i Preti di Santa Sofia erano dei gran baruffanti e dei bei intriganti soprattutto quando c’era di mezzo qualche bel gruzzoletto di soldi … I soldi ieri come oggi sono sempre appetibili, e quindi anche i Preti Titolati della Collegiata di Santa Sofia non seppero esimersi dall’impegnarli nel farli crescere e fruttare più che poterono ... ovviamente s’intende: “per il bene dei poveri e dei devoti della Contrada di Santa Sofia”… Sempre ! ... e che avevate forse qualche dubbio al riguardo ?
Palazzo Manfrin Venier sul Rio de Cannaregio era l'antica “Ca' Priuli ai piedi del Ponte di Cannaregio” fatta edificare nel 1520 da Angelo Maria Priuli quondam Pietro Savio del Sestiere di Cannaregio e dalla moglie Andriana Venier che aveva sposato nel 1517. Costei portò in eredità ai Priuli il Castello di Sanguinetto nel Veronese. Due secoli dopo, Elena Priuli figlia di Angelo Maria e sposa di Federico Venier lasciò ai figli Giovanni e Pietro lo stesso palazzo dove nel 1745 si ospitò l'Ambasciatore straordinario d'Inghilterra Roberto Conte di Holderness con tutta la famiglia.
Nel maggio 1577 Paolo Priuli di Gerolamo che possedeva 377 campi a Marcon, e le cui rendite erano subordinate alla produzione manifatturiera impiantata a Bassano, scriveva nel suo testamento: “… laudo et prego miei fioli dolcissimi che alli suoi tempi volgino lavorar de lana come ha fatto molti anni li quondam miei fratelli e me medesimo.”… Dieci anni dopo, Johannes Maria SquàquaraChierico di Vicenza di 27 anni inviato dal Vescovo di Vicenza Michele, insegnava Grammatica a due-tre putte di casa di Ser Francesco Priuli a Venezia … Luchas Guadagnoli Chierico da Arezzo di 44 anni, insegnava Grammatica a nove alunni abitando da nove anni in casa di Zaccaria Priuli del quale ammaestrava i figli spiegando loro: “…Virgilio, Cicerone, Terentio et li do epistole et Latini.”… e Quintilianus Angeletus Chierico di Roma di 42 anni, che stava a Venezia ormai da sette anni abitando in casa di Lucrezia Priuli in Contrada di San Trovaso, insegnava Grammatica a un alunno di 23 anni spiegandogli: “…qualche libro volgare, alcuni Fioretti de Virtù … per esercitarsi più nel legger che per altro…”
A dire il vero è noiosissimo leggerne l’elenco, ma è sempre interessante e quasi incredibile sfogliare e scorrere la lista delle Cause Giudiziarieintentate e messe in atto e mantenute in essere per tantissimo tempo dal Capitolo deiPreti di Santa Sofia un po’ contro tutto e tutti. Pareva che non avessero altro da fare, e che pensassero solo a quel genere di cose redditizie … e forse era proprio così.
"Per il Capitolo di Santa Soffia contro don Pietro Fontana erede del quondam domino Andrea Fontana quondam Jovita per occasione della Mansionaria instituita da ditto Fontana con altro legato di cere et oglio in ditta chiesa cioè ducati 12 all'anno.” (1640-1661); “Circa la Mansioneria et Anniversario in Santa Sofia per il quondam Reverendissimo Pre' Lorenzo Crappi d'investita de ducati 3333 soldi 8, per la quondam Margherita Brugnolli e suo figlio d'investita ducati 1000, per il quondam pre Francesco Nascivera.” (1667-1778); “Contro alli Governatori dell'Intrade per le Mansionerie della chiesa di Santa Sofia per li quondam Adriana Balbi Muschieti et Claudio Paulini con investita de ducati 680 et per li quondam Maddalena e Marco Franco con investita de ducati 100." (1651-1778); “Contro alli Revisori Regolatori per la Mansioneria della quondam Francesca Simeoni per il quondam Lorenzo Bartoli con un litigio contro Bortolo Basso et una investita de ducati 280 et altra de ducati 200 di legato del quondam Girolamo Negroni alli Chierici di Sancta Sofia.”(1652-1778); “Per il Reverendo Capitolo di Santa Sofia contro il Reverendo Capitolo de' Santi Apostoli per la casa di Ca' Contarini."(1429-1721), e "Per il Reverendo Capitolo de Santa Sofia contro il Reverendo Capitolo de Santi Apostoli con una composizione avanti l'Eminentissimo Cardinale Vendramini Patriarca per la stessa casa Contarini.”(1616-1790); “Per una Mansioneria di Messe 12 et un'esecuzione ogni simestre per il quondam Prè Marian Lucadello e suoi Morti con un'investita de ducati 126 a San Marco."(1670-1715); “Per la Mansionaria del quondam Francesco Bianchi et per la quondam Anzola Mazorini mogier con instrumento d'investita de ducati 450 alla Misericordia per ducati 18 all'anno ... e Mansionaria del quondam Giuseppe Costantini." (1675-1765); “Per la Mansioneria per il quondam Reverendissimo Prè Francesco Speranza Piovano di nostra chiesa e de suoi Morti." (1677-1717); "Per il Reverendo Capitolo di Santa Sofia contro il Nobil Homo Ser Sebastian Capello per le botteghete sotto il portico sopra il sagrà della chiesa con terminazione delle Rason." (1534-1701); "Pro Capitulo Ecclesiae Sanctae Sophiae contra Capitulum Sancti Ioannis Chriisostomi causa Funeralis quondam Mattei Bontempo.” (1701-1711); "Pro Admodum Reverendo Capitulo Ecclesie Sancte Sophie circa Mansioneriam Viri Nobilis Ser Sebastiani Capello fundatam supra livellum ducati 500 assicuratam supra domos in Iudaica pro affrancatione livelli Pasini Cavazza."(1563-1713); "Pro ecclesia Sanctae Sophiae contra Virum Nobilem Misser Gerardum Sagredo Procuratorem Sancti Marci et supradictae Ecclesiae causa clamoris Reverendi Capituli.”(1555-1731); “Circa la Mansioneria della quondam Margarita Enrich rifiutata col legato lasciato a Santa Sofia."(1729-1731); "Reverendo don Pietro Colauto per messe n. 6 per la quondam Lucia sua madre et Anniversario per il quondam Signor Bortolo Palatino. Il capital Colauto de ducati 200 per pubblica affrancazione fu ridotto nell'1778 a ducati 114.” (1757-1779); “Circa laMansioneria per il quondam Francesco Donati con investita in Cecca al 3%; e circa la Mansioneria della quondam Faustina Paulini, il qual capital di lire 775 ch'esisteva investito nella Scola grande di San Rocco passò nell'1764 nel publico deposito.”(1746-1781); "Pro Donna Dorotea Buggier quondam Santo di Santa Sofia contro le Reverende Madri di Santa Chiara di Loretto di Bellun con il testamento della quondam Teresa Venier.”(1620-1785); “Circa il Funerale del quondam don Iseppo Peloso morto per accidente in nostra Contrada."(1761-1763); “Contro la pretesa del Molto Reverendo Capitolo di San Luca sopra il Funeral della quondam Maria Capoccio Barbieri nostra parrocchiana morta nel 1775 e prima abitante in Parrocchia di San Luca.” (1775); "Fra il Molto Reverendo Capitolo di Santa Sofia e il Molto Reverendo Capitolo di San Giminiano circa la sepoltura del fu Nobil Huomo Ser Gregorio Michiel morto in Parochia di San Giminiano.”(1766).
Questa è soltanto una parte di un intenso e consistente mondo di cause, processi, carteggi e risoluzioni che hanno di certo impegnato a fondo quell’entità di Preti che probabilmente hanno fatto un lavoro dell’occuparsi di quelle questioni economiche.
Un altro Priuli, Giovanni, figlio di Baldassarenacque a Venezia intorno al 1575 quando alla Dichiarazione di Redecima del 1582 la famiglia Priuli dichiarava ai fini fiscali solo poche case e terreni con un’entrata annuale di circa 1.259 ducati.
Poveri nobili ! … In realtà tutti sapevano bene che possedevano molto di più e cercavano ogni maniera per aggirare tasse e balzelli e contribuzioni verso la Serenissima.
A differenze della maggior parte dei Priuli, Giovanni fu compositore di madrigali e abile liutista, tanto che a Venezia nel 1613 lo chiamavano: “il Magnifico”. Visse a stretto contatto col famoso Giovanni Gabrieli col quale suonò nel maggio del 1595 per la “Festa della Sensa” nella Basilica di San Marco divenendo terzo organista marciano e suo sostituto nel 1607, ma non riuscì mai a diventare il suo successore. Non soddisfatto d’essere l’organizzatore dell’annuale, sontuosa e sentitissima e partecipata Festa della Scuola Grande di San Rocco, se ne andò da Venezia nel 1614 per diventare a Graz: Maestro della Cappelladell’Arciduca Ferdinando d’Austria con 60 musicisti. Nel 1619 quando Ferdinando divenne Imperatore si recò con lui a Vienna dove ebbe grande successo fino al 1626 quando morì mentre viaggiava per tornare a Venezia. Nel testamento, redatto il 18 luglio nel Castello di Klamm presso Schottwien nella Bassa Austria, Priuli si dichiarava scapolo e senza discendenti salvo il nipote Baldassare, figlio di suo fratello Francesco residente a Venezia nella Contrada di Santa Sofia.
Intanto nella stessa Contrada di Santa Sofia, la Ruga Do Pozzi apparteneva di fatto quasi per intero al Nobile Alvise Benedetti che aveva lì il suo palazzo di famiglia dove ospitava l’Ambasciatore di Mantova per 324 ducati annui. Più tardi il Palazzo Benedetti passò in proprietà a Zuan Antonio Zen, e venne diviso in molte parti che vennero concesse in affitto. Da una parte della Ruga Do Pozzi i Benedetti affittavano 3 caxete per 12 ducati, un’altra casa per 18 ducati annui, e 4 pianoterra per 5-9 ducati annui, mentre dalla parte opposta della Ruga affittavano 3 caxette per 16-18-20 ducati annui, e 3 pianoterra per 6 o 6 ½ ducati annui … Nel 1582 Piero Benedetti quondam Vincenzo affittò a Nano Bernardo (a 30 ducati annui), a Franzina Spagnola (a 16 ducati), a Vittoria quondam Francesco de Vegia(27 ducati), alla vedovaFaustina (12 ducati), a Mattio Veronese(12 ducati), a Zuan Battista Fiorentino(32 ducati), a Cecilia de Zuane(11 ducati), a Isabella Anzelini(40 ducati) e ad Alvise d’Orfici(14 ducati).
Cecilia Nani vedova di Vincenzo Benedetti affittò, invece, a Bettina Drezza(30 ducati), a Nadalin Lion(32 ducati), a Laura di Benedetti(36 ducati), e con Piero Benedetti a Catarin Testor(5 ducati), e a Marco Napolitano Sartòr in Rialto per 15 ducati annui.
Il tutto avvenne prima del 1658 quando Vincenzo quondam Pietro Benedetti venne ferito a morte da dei ladri nel suo stesso palazzo portando all’estinzione il suo Ramo familiare ... Ancora nel 1745 il Pittore Jacopo Amiconi abitava in Ruga Do Pozzi insieme a Francesco Nassi Prete Napoletano pagando insieme 95 ducati annui.
Nel Sottoportico e Ponte della Guerra di Campo dell'Erba o della Guerra o Priuli a Santa Sofia un tempo di tenevano certi combattimenti ... Nello stesso Campo dell’Erba nel 1661, ai tempi del Piovan Prè Lorenzo Crappi, in una stessa Ruga di case si contavano ben 68 alloggi tutti affittati e di varia capienza e valore che procuravano un guadagno annuale di 1.063 ducati.
59 case venivano affittate a Nobili percependo in totale 833 ducati: ai Basadonna (16 ducati), tre parti di palazzo ad Alvise, Bortolo e Lucrezia Cappello (593 ducati), 4 case a Francesco Gussoni (42 ducati), due case ad Orsetta e Zuanne Nani (20 e 26 ducati), un’altra casa a Zuanne Querini (14 ducati), due case ad Andrea Renier (65 ducati), e altre tre a Betta e Domenego Zane per 58 ducati.
Altre 7 case venivano affittate per complessivi 110 ducati annui a persone non Nobili ma ugualmente benestanti e capaci di pagare come Pietro Cimiani (12 ducati), Zuanne Dal Mal (12 ducati), Pietro Facchinelli (8 ducati), Pietro Mattaccini (42 ducati), Simon Porta (12 ducati) e Giacomo Valvassor (24 ducati).
Due case, infine, venivano affittate anche alla Scuola Grande di San Rocco(uno degli enti religiosi più ricchi di Venezia e proprietario di un numero ingente d’immobili sparsi ovunque) che pagava 120 ducati annui.
A seguito del testamento della Nobile Isabella Zen, la Procuratoria di San Marco dispose fra 1551 e 1555 di dividere la sua proprietà in Calle, Corte e Ramo degli Albanesi in 13 alloggi popolari da concedere per 8 ducati annui a piccoli artigiani, vedove ed immigrati stranieri.
Gran parte di quegli edifici, rughe di case, e frazioni di palazzo esistono ancora oggi.
C’era poi, e c’è ancora oggi più che mai in fondo alla Calle del Traghetto: la magica Cà d’Oro su cui esistono libri e volumi di ogni sorta, nonché resoconti, documenti, studi e analisi storiche di ogni tipo, forma e gusto.
Che altro si potrebbe dire meglio e di più su di lei ? … Nulla.
MarinoContarini si emancipò presto dal padre e dalla famiglia con rogito Notarile presso Marco Raffanelli, e navigò tutto il Mediterraneo dedicandosi al cambio marittimo e al prestito a breve termine, e collocando fondaci e basi commerciali “di famiglia” attentamente gestiti da agenti di fiducia alle Baleari, a Valencia in Spagna e ad Alessandria d'Egitto.
Il Ramo principale dei Contarini era residente alla Madonna dell’Orto: erano una delle Famiglie Apostoliche “di Casa Vecchia” di Venezia, filoPapali e di supposte origini Romane, e fra le più antiche e “fondatrici”della realtà Nobiliare della Serenissima. I Contarini erano anche fra le Casate Nobiliari più numerose in quanto durante il 1500 si contavano 1.523 nuclei familiari di Contarini sparsi per tutta la città.
Nella loro storia annoverarono ben otto Dogi: Domenico(1041-71); Jacopo (1275-80); Andrea (1367-92); Francesco(1623-24); Nicolò (1630-31); Carlo(1655-56); Domenico (1659-75) e Alvise(1676-84), e molti Contarini ricoprirono importanti cariche Ecclesiastiche, politiche, diplomatiche, economiche, militari, e letterarie. I Contarini della Madonna dell’Orto acquisirono attraverso matrimoni mirati vasti possessi fondiari nel Padovano; ilRamo dei Contarini dal Zaffo finì perfino con l’insediarsi a Giaffa in Siria dove divennero nel 1473 Conti di Giaffa con Giorgio Contarini, e per questo insigniti a Venezia del Cavalierato e della Stola d’Oro; c’erano poi i Contarini dal Bovolo(definiti così per la loro la bellissima scala del loro palazzo) residenti nella Contrada di San Paterniàn; i Contarini di San Silvestro; quelli di San Beneto; i “degli Scrigni o Corfù”; i “dalla Porta di Ferro”; i Contarini dei Santi Apostoli o "dalle scoàzze"; i Contarini dei Cavalli e altri ancora.
L’attuale capolavoro della Cà d’Oro è il frutto di un lungo lavorio perpetrato nel tempo e prolungato per anni dal 1421 a dopo il 1440, e realizzato da un gruppo di abili artigiani e Mastri fatti pervenire appositamente a Venezia: soprattutto Mastro Marco di Amedeo Muradòr, Mastro Zuanne Bon Taiapiera col figlio Bartolomeo e due garzoni che realizzarono il portico, la facciata a guglie e la vera da pozzo. Alla realizzazione della Ca’ d‘Oro parteciparono inoltre anche Mastro Matteo Reverti da Milano Lapicida che s’inventò la scala scoperta del cortile e il traforo della loggia del primo piano, e Mastro Niccolò Romanello che realizzò diverse raffinate decorazioni e capitelli.
Nel 1431 Marino Contarini fece ricoprire con 23.000 fogli d’oro e con lapislazzuli dal pittore francese Jean Charlier detto Zuane de Franza Pentòr da Sant’Aponal la facciata in pietra d’Istria, le finestre, gli archi, alcuni capitelli e decorazioni.
Poi dopo un po’ di anni Marino Contarini si sposò di nuovo, stavolta con Lucia Corner dalla quale ebbe il figlio Pietro suo erede universale che a sua volta diede il palazzo in dote alla figlia che sposò Pietro Marcello che la spartì con i Loredancon i quali si sposò una nipote Elisabetta.
Sembra la cantilena di “Alla Fiera dell’Est” di Branduardi … perciò vi risparmio tutto in resto … E così, di mano in mano e di famiglia in famiglia, la Ca' d'Oro passò ai Molin, ai Zulian, ai Donà delle Rose, ai Veniere agli Zen che frammentarono il palazzo lasciandolo andare in degrado tanto che, fra 1802 e 1808, l’uomo d’affari Giacomo Pezzi potè acquistarlo come “bene rovinoso”, prima che l’edificio finisse ai proprietari moderni ossia Moisè Conegliano, che a sua volta nel 1846 vendette la Cà d’Oro al Principe Russo Alessandro Trubetzkoyche ne fece dono alla sensuale ballerina Maria Taglioni che aveva trionfato al Teatro Gallo a San Beneto ammaliando spasimanti su spasimanti che le regalarono uno dopo l’altro: Palazzo Barzizza a San Polo, Palazzo Giustinian Businello a Sant’Aponal, Palazzo Giustinian Lolin a San Samuele, Palazzo Corner Spinelli a Sant’Angelo, e quindi la Ca' d'Oro che fece restaurare in maniera discutibile dall’architetto Giovanni Battista Medunanel 1865.
In seguito fu il turno del Marchese Tavoli di acquistare il palazzo nel 1890, e ne affittò gli appartamenti allo storico Pompeo Molmenti e alla famosa e celebratissima Contessa Annina Morosini amica dei grandi dell’epoca. Alla fine, nel 1894, si arrivò al “tristo” ma generoso Barone Giorgio Franchetti che nei primi decenni del Novecento spese denaro, idee ed energie per “salvare” quel che rimaneva della prestigiosa Ca’ d’Oro prima di spararsi un colpo in testa perché malato inguaribile. Oggi è seppellito sotto a una colonna a pianoterra del “suo palazzo” della Ca’ d’Oro.
Tornando ancora una volta a Santa Sofia e alla sua Contrada, la Schola del Santissimo o del Venerabile, o Confraternita del Corpus Dominidi Santa Sofia pagava anch’essa “un livello di lire 12”al Capitolo dei Preti di Santa Sofia per essere ospitata in chiesa e per celebrare una serie di Messe ed Esequie. La Schola era nata su espressa richiesta del Piovano e della gente della Contrada presentata al Consiglio dei Dieci e autorizzata nell’agosto 1507.
La “Banca della Schola del Santissimo”garantiva come da Mariegola e Statuto il pagamento della celebrazione di una “Messa in terzo” con Canto e Organo e una Processione intorno alla chiesa ogni ultima domenica del mese, e una "Messa Bassa ma cantata” ogni giovedì della settimana. Le offerte per pagare tali cerimonie e per sovvenire a domicilio i poveri e gli infermi della Contrada venivano raccolte in una cassetta posta in chiesa ma anche da delle questue che venivano effettuate in tutto il territorio della Contrada ogni quattro mesi: la Vigilia di Ognissanti, il primo sabato di Quaresima, il giorno dell'Assunta.
Praticamente insieme alla Comunione portata solennemente a domicilio al suono delle campane di Santa Sofia, gli assistiti della Schola percepivano anche un’utile bustarella che provvedeva a sostentarli almeno in parte. (Nel 1507 la Schola offriva a ogni malato: “un Marcello”al mese).
Una nuova convezione con i Preti del Capitolo di Santa Sofia venne redatta nel 1581 concedendo alla Confraternita l'uso di una stanza sopra alla Sacrestia e stabilendo di far diventare Altar Maggiore quello della Schola. La Confraternita in cambio s’impegnava a mantenere accesa in chiesa una lampada perenne, e a provvedere al restauro della Cappella del Santissimo inserendovi dentro anche due Arche per seppellire i propri Confratelli.
Nell’agosto 1680 il pittore Ottavio Arnos dispose per testamento di provvedere ogni anno con alcuni beni lasciati alla Schola alla distribuzione di una quindicina di “grazie”di 10 ducati l'una “a donzelle di buoni costumi per sposarsi o monacarsi”. Nel 1720 erano giacenti inevase e non ritirate 285 “Mandati di Grazia” provenienti sempre dai finanziamenti della stessa Comissaria Arnos.
Nel 1700 il Guardiano, il Vicario e lo Scrivano della Schola del Santissimo commissionarono a Giuseppe Torretti un baldacchino intagliato per l'Esposizione del Santissimo spendendo 248 lire. Appartennero alla Schola del Santissimo di Santa Sofia sia l’Architetto Andrea Tirali, Proto e Magistrato alle Acque che ottenne nel 1706 dai Provveditori da Comun d’essere esentato (in cambio di 50 ducati d’offerta al Santissimo) dall'incarico di Vicario in quanto troppo oberato da impegni di lavoro; sia il celebre organaro Gaetano Callido che fu Guardiano della Schola del Santissimo nel 1790, e consegnò “una grazia” di 15 ducati a Elisabetta Zanardi dandole 25 anni di tempo per sposarsi o monacarsi.
Alla Visita del Patriarca Barbarigo nel 1710 quando in Santa Sofia c’erano ancora 15 Preti, e il Piovano Pietro Leoni con Prè Broggia e Prè Zio affermavano che: “tutto procedeva bene e a dovere, e tutti i Preti vivevano con giusta morigeratezza e senza scandali”, alcuni Preti del Capitolo di Santa Sofia: Prè Vincenzi Terzo Titolato, Prè Biasutti, Prè Cecchini, Prè Poloni e Prè Pasiniprecisarono, invece, che: “… il Piovano è sempre assente ai Sacramenti … che gli stessi non vengono amministrati a sufficienza dai Preti di chiesa … che non vengono ben distribuite le rendite dei beni di Zero … che non si suonano le campane quando si porta la Comunione nelle casa degli Infermi … che parte del Clero di Santa Sofia da scandalo ai fedeli con le sue dissenzioni … che non porta la tonsura, nè la veste talare … che si comunica poco … che la biancheria di chiesa non è pulita … che si alterca in Capitolo per la distribuzione dei proventi dei Funerali … che non ci sono Confessori sufficienti in chiesa … che qualcuno in Contrada muore perfino senza Sacramenti … e che i poveri della Contrada sono malamente aiutati.”
Pre’ Pisenti Sacristagiunse ad affermare in maniera severa: “… che molti Titolati disertano i Divini Uffici … discorrono in chiesa con cattivo esempio ai fedeli … celebrano in vesti smanicate, non attendono alle Confessioni … e che i Chierici Gambaro e Venier sono poco timorati di Dio, frequentano spesso l’Osteria della Malvasia, e si comportano in chiesa in modo scostumato facendo gli amoretti …”
Sempre la stessa Schola del Santissimo era abbastanza ricca e fornita di beni e capitali: nel 1772 spese 200 ducati per rifabbricare l’Albergo ossia la sede del Capitolo della Schola… nel 1797 fu costretta a consegnare in Zecca:cinque lampade, due aste processionali, sei candelieri, un secchiello con aspersorio, e un ostensorio … il tutto in argento ... La preziosa Mariegola o Matricola della Schola del 1588 che era ricoperta di velluto rosso e di finimenti d’argento andati venduti è conservata oggi al Museo Correr di Venezia … Ancora nel 1803 alla Visita del Patriarca Flangini la Schola del Santissimo finanziava la celebrazione di 220 Messe annue che venivano celebrate in Santa Sofia.
Tornando alle liti e alle controversie del 1500 da cui eravamo partiti, nel 1568 il Piovano Pre Tommaso Bianco litigò a lungo con Barbon Morosini per la demolizione di un muro del portico … ma oltre le controversie si giunse anche a finanziare molti artisti che dipinsero, abbellirono e arredarono Santa Sofia: Leandro Bassano collocò in chiesa un’ “Adorazione dei Pastori”, una “Nascita di San Giovanni Battista”, e i “Simboli dei quattro Evangelisti”sul soffitto dell’andito prima d’entrare in chiesa dove c’era anche un Capitello con “Padre eterno e 2 angeli” di Baldissera d’Anna autore anche di una “Crocefissione”e di una “Risurrezione” collocati all’interno.
Jacopo Palma il Giovaneprovvide a realizzare una “Madonna Annunciata di Firenze” per la Cappellina fatta costruire dal Fiorentino Strozzi, e poi dipinse pure due portelle d’organo “figurando in essi un’“Adoration dei Magi” al di fuori, e nel di dentro un “San Giovanni e San Marco” … Domenico Tintoretto dipinse un “Sposalizio di Maria” e una “Madonna col bambino”… Paolo Veronese(che abitava nella vicina Contrada di San Felice appena giù dal ponte) collocò sopra la porta maggiore di Santa Sofia un’ “Ultima cena”… Joseph Heintz realizzò per l'Altare Maggiore un “Battesimo di Cristo”, e Francesco Bassano un “Gesù che predica al popolo”… Il Muranese Leonardo Corona dipinse l’“Assunta con gli Apostoli”,Alvise dal Friso detto Benfatto un’“Ascensione”, un “Gesù nell’orto” e un “Gesù al Calvario”… Andrea Michieli detto il Vicentino dipinse una “Maria che presenta Gesù a Simeone”… Giovanni Segalla una “Madonna e Santi con Venezia”… e infine Angelo Trevisani un “San Lorenzo Giustiniani”.
Fin dal 1570 e dopo aver studiato pochetto, Antonio Priuli entrò al servizio della Repubblica con la guerra di Cipro divenendo per due volte Governatore di Galea e “Venturiere” dell’armata, ossia alla testa di un gruppo armato autofinanziato che agiva a favore della Serenissima. Tre anni dopo ottenne il Provveditorato di Peschiera, e nel 1580 sposò Elena Barbarigo figlia dell’eroico ammiraglio Agostino della Battaglia di Lepanto del 1571 dalla quale ebbe sei maschi e otto figlie. Era nato nel 1548, secondogenito di Girolamo del Ramo degli Scarponi di San Felice e di Elisabetta di Michele dei Cappello del Ramo di San Polo. Aspirò al Dogado per ben tre volte: nel 1606, 1612 e 1615, superato prima da Marcantonio Memmo e poi da Giovanni Bembo. Si accontentò allora d’essere Provveditore Generale in Terraferma durante la prima guerra del Monferrato (1613-14); e Provveditore Generale delle armi in Terraferma et Istria durante la guerra di Gradisca contro gli Uscocchi di Segna al tempo della Pace di Madrid con l’Arciduca Ferdinando d’Asburgo ... e già che c’era prima di diventare Doge ricoprì ben 75 Cariche o “Dignità della Serenissima”, compresa quella per cinque volte di Riformatore dello Studio di Padova dove apprezzò Galileo Galilei per le sue scoperte, gli aumentò lo stipendio, e lo difese con la Signoria dall’Inquisizionefino alla sua partenza per Firenze nel 1610.
Mentre si trovava a Veglia insieme al Procuratore di San Marco Girolamo Giustinian nel maggio 1618, Antonio Priuli ricevette la notizia della sua elezione a Doge succedendo a Nicolò Donà che l’aveva preceduto ancora una volta. Durante la cerimonia d’insediamento distribuì al popolo oltre 3.000 ducati e si dice che nel tradizionale giro di Piazza in Pozzetto portato dagli Arsenalotti abbia distribuito pane, vino, barili di Moscato, prosciutti e dolci in abbondanza. In seguito guidò la Serenissima nella Guerra dei Trent’anni.
Nel 1622 disputò aspramente e senza successo tramite l’Ambasciatore Veneto Zeno col Papa Gregorio XV per ottenere il Vescovato di Brescia per suo figlio il Cardinale Matteo che era già Abate della Vangadizza. A Venezia si diceva che Antonio Priuli avesse speso 80.000 ducati per far diventare Cardinale suo figlio. Infine morì nell’agosto 1623 di ritorno da una gita sul Brenta, e venne sepolto nella chiesa di San Lorenzo secondo le sue dirette disposizioni.
Nel frattempo nell’ormai trascorso giugno 1581 era giunta in Contrada di Santa Sofia la Visita Apostolica compiuta da Lorenzo Campeggi Nunzio Papale a Veneziae da Agostino Valier Cardinale, Vescovo di Verona e Lettore di Filosofia Morale presso la celebre Scuola di Rialto. Si registrò che in Contrada abitavano in quell’anno: 3.000 Anime alle quali venivano somministrate 1.200 Sante Comunioni … In chiesa c’era Piovano Prè Luigi Della Torre con altri 3 Preti: Prè Francesco Dulcio assente perché contemporaneamente “curava Anime”a Orsagopresso Aquileia, Prè Pietro Tinco assente perché fungeva da Curato anche presso San Salvador, e Prè Girolamo Longo assente perché infermo. C’era inoltre: Prè Giovanni Battista da Acri col titolo di Diacono, e Prè Tommaso Mologno Suddiacono che avevano 205 ducati di rendita annuale, una casa per abitare, e gli “incerti di stola”, e altri 4 Chierici: Prè Sebastiano De Fracchinetti e Prè Paschalino da Motta“in minoribus”, e Prè Lorenzo Veneto e Prè Varisco che percepivano 20 ducati annui ciascuno, mentre la Fabbriceria di Santa Sofia assommava a un bilancio annuale di soli 5 ducati … Nella stessa chiesa si celebravano 5 Mansionerie di Messe quotidiane che fruttavano 123 ducati annui … c’era attivo anche un lascito particolare “per maritar donzelle”.
Nell’insieme l’esito e il giudizio della Visita Apostolica fu positivo, anche se: “… s’abbisogna d’indorare i calici per la Messa, cambiare i tappeti degli altari, imbiancare la Cappella Maggiore, rifare il pavimento, e dipingere il soffitto della chiesa, comprare un Messale e un Salterio nuovi ...”
Solo Prè Girolamo Longo“assente perché infermo” venne richiamato e condannato severamente perché “scandaloso”, cosa che gli capitò di nuovo in quanto recidivo alla Visita del Patriarca Priuli nel 1593. Marco Malardi laico di chiesa, infatti, andò a raccontare al Patriarca che Prè Gerolamo Longoinsieme a Prè Nadalin andavano sempre al Magazèn (osteria) in Calle delle Vele dopo Nona “a bere un gòtto de Malvasia e far scommesse e portandosi vino a casa.” … anche Ginetto Caenèlla Nònzolo della Schola della Madonna confermò i vizietti dei Preti che si ritrovavano spesso in casa di Prè Pasqualin… mentre Lorenzo Barbitonsore e Giovanni Nònzolo della Schola del Santissimo raccontarono che “tutto andava bene nella Contrada”.
Alvise PriuliPodestà di Bergamo fu colui che diede il nome alla Via Priula costruita tra 1592 e 1593 per collegare Bergamo a Morbegno. Sempre lo stesso Alvise Priuli riferì a Venezia che a Clusone in Val Serianavenivano commessi molti disordini nell’amministrazione della Giustizia Penale.
A fine secolo quando gli abitanti del Confinio di Santa Sofia erano scesi a poco più di 2.300, la Contrada pagava 4 ducati per la “Texa praeceptoris Sexteriis Canalis Regii”ossia per la Scuola Sestierale Pubblica che raccolse nell’intero Sestiere di Cannaregio un totale di 74 ducati. La Scuola Sestierale aveva sede proprio a Santa Sofia, e il Patriarca Lorenzo Priuli aveva concesso licenza a Bartolomeo Nardo della Diocesi Cenetese di aprirla e gestirla.
In quegli anni c’erano diversi Maestri privati e pubblici che lavoravano in zona: c’era il Maestro Baldo Antonio Penna Chierico di 47anni originario di Aquileia che era “Prete Seculàr et Dottor dell’una e dell’altra Legge et Publicus Humanorum litterarum Professor” ... Agli scolari leggeva: “le Epistole familiàr de Ciceron, un aletion de logicha et la instituta ... Oltre ad insegnar dovea anche riveder i libri che vanno in stampa che non siano contro la Fede Cattolica e contro li principi et contra i boni costumi ... Dicea di aver ammaestrato in diversi tempi 5.000 studenti, e insegna a 50 alunni …”
Insieme a costui insegnava anche Johannes D’Ogniben quondam Johannis Anthoni, che era un laico di 57 anni: “… è Magister abbachi di 20 alunni in Contrada di Santa Sofia ... Anche suo padre era Maestro, e insegna a lèzer, scriver et abbaco, e a tegnir conto de libri che chiameremo quaderno ... Lèzeno el Donado, el Fior de Virtù et Marco Aurelio ... Tutti i altri fa abbaco.”… C’era, infine, anche Aloysius Lioni quondam Petri, laico di 50 anni: “… insegna a lèzer et scriver et abbaco a 80 alunni a Santa Sofia, dove insegna da 30 anni: Vita Cristiana, Fior de Virtù et le cose moral, e Marco Aurelio Imperator…”
La chiesa e la Contrada di Santa Sofia ospitavano pure la Schola dell’Arte di San Luca dei Dipintori e Cuoridoro: la varietà dei “Colonnelli” in cui era suddivisa al suo interno l'Arte della Schola, rende l'idea di quanto ampia fosse stata la varietà dei prodotti che venivano fabbricati e venduti e patrocinati dagli artigiani che erano iscritti e facevano parte a quella Schola specifica. Gli Artisti, ad esempio, che non risultavano iscritti all'Arte di San Luca non potevano vendere "Ancone"(dipinti e icone) in tutta Venezia “sotto pena di 20 lire di piccoli per ogni vendita impropria”(eccetto i giorni della Fiera della Sensa in Piazza San Marco dove chiunque poteva vendere qualunque cosa). A questa limitazione erano soggetti e compresi gli Specieri, i Ricamadori, i Libreri da carta bianca e da conti, i Coffanèri o Cassellèri(decoratori di casse per corredi nunziali e forzieri), i Cuoridoro(dipingevano tappezzerie in cuoio dorato o argentato), i Miniadori, gli Indoradori, i Targhèri, i Depentori, i Pittori, i Disegnatori, i Pignatèri, i Dipintori di travi e biancheria, i Maschereri, i Depentori da Elmi e Armature, i Depentori da Scudi o Scuderi, i Depentori da Selle, i Botegheri da quadri e colori e di tele imprimide con mestica, e i Coltreri da Tajo e da Ponto che non potevano mettere liberamente sul mercato: specchi, tessuti o oggetti decorati e dipinti.
Nel 1504 alcuni Giustizieri Vecchi condannarono dei Fruttaroli Veneziani perché scoperti a vendere abusivamente: "carte depente da zugàr"(carte da gioco e tarocchi dipinti) che erano spettanza e commercio solo della Schola dei Cartoleri (fabbricanti e venditori di carte da gioco)affiliati all’Arte dei Depentori.
Fin dal 1271 i Depentori di Venezia si consociarono in Arte di Mestiere, e dal 1376 i Depentori si riunivano nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo vicino a Piazza San Marco prima di trasferirsi a San Luca e poi a Santa Sofia nel 1530, dove il pittore Vincenzo Catena permise per lascito testamentario di acquistare un terreno in Contrada “fra la chiesa di Santa Sofia e la Calle Sporca o Priuli” dove poter costruire: “su due solèri (piani), con quattro finestre per piano, e affacciata sulla strada” la nuova sede della Schola.
Ancora oggi si possono notare sui pilastri d'angolo di sinistro e destra dell’edificio i due bassorilievi ovali che raffigurano l’Evangelista San Luca con suo simbolo del Bue intento a dipingere. La Sala del Capitolo si trovava al secondo piano e conteneva dipinti di Jacopo Palma il Giovane, Pietro Liberi, Alessandro Varotari detto il Padovanino, Battista Del Moro e Domenico Mancini.
Fra gli altri era Confratello di quella Schola il pittore Gentile da Fabriano che abitava proprio in Contrada di Santa Sofia, e lavorò a Venezia dopo il 1425 su commissione del Senato nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale dove dipinse “Il conflitto navale fra il Doge Ziani e Ottone figlio di Federico Imperatore” ottenendo dalla Serenissima una pensione annuale e il privilegio di vestire “la toga al modo dei Nobili Patrizi Veneziani”.
L’Arte di San Luca nel suo insieme era considerata poverissima, anche se nel 1522 concedeva 6 Grazie di 10 ducati l’una a 6 donzelle di almeno 15 anni per maritarsi o monacarsi … il suo Gastaldo o Sindaco doveva però saper leggere e scrivere, e il suo Nonzolo aveva il compito di esporre “il penèlo della Schola (gonfalone)” nelle feste di San Marco, Pasqua, Natale, Sensa, Pentecoste e soprattutto nel giorno di San Luca(18 ottobre)Patrono dei Depentori. Portando lo stesso “penèlo” il Nonzolo doveva aprire il corteo funebre e partecipare anche ai Funerali dei Confratelli Dipintori fino a “consegnarli” all’Arca della Schola.
Nel 1588 gli iscritti all’Arte de San Luca de Depentori pagavano ogni anno il giorno di San Luca i 30 soldi della Tassa “Luminaria” ricevendo in cambio “Pan e candela”. La Schola giunse anche a contrastare col Capitolo della Basilica di San Marco perché non offriva regolarmente “cere bòne” alla chiesa del Doge. Il Gastaldo dei Depentori si recò allora in Basilica con alcuni Compagni della Schola con stendardi ed insegne, e offrì al Doge 30 torzetti da 1 lira e 2 torzetti da 2 lire intonsi come segno di riparazione.
Nel 1626 quando era Piovano di Santa Sofia Prè Giovanni Turatto: Antonio De Aleardi Gastaldo dei Cuoridoro propose alla sua Arte di ritornare presso la chiesa di San Luca, e offrì per la Festa Patronale di quel Capitolo 2 ducati annui e altri 4 ducati per allestire addobbi e pagare Cantori e Sonadori ... Nel 1651 chi vendeva abusivamente Maschere in giro per Venezia doveva pagare alla Schola 2 ducati annui di multa. Ancora nel maggio 1782 i Maschereri e il Colonnello dei Dipintori presentarono all’Inquisitor alle Arti una supplica contro l’illecita concorrenza di estranei che producevano “Maschere” ricorrendo al “lavoro nero” e rivendendo poi il prodotto all’estero: “… Essendo però incombenza dell’Arte nostra il formare e vendere volti ad uso di Maschere, non solo per la Dominante, ma molto più per esteri Stati, costretti siamo rivolgliersi a certe donne la di cui incombenza si è di formare di scheletri quali poi da noi terminati con pittura e cera, servono questi a sostegno dell’Arte nostra e mantenimento delle povere nostre famiglie ... Insorti dunque in questi ultimi recenti tempi diversi contrafacenti, quali, non ascriti in Arte, si fanno leciti assumere in sé di nascosto commissioni per esteri Stati, trovando il modo di suplir alle medeme perché facile e comodo li riesce il provvedersi dalle suddette donne delli suaccennati scheletri piturati, poscia questi supliscono alle suddette commissioni che senza tali contrafacenti e comodo della comprenda de scheletri medemi, impossibile le si renderebbe il dar esecuzione a tali commissioni: oltrechè da tal libera vendita di dette donne ne nasce che persone anco di estero Stato, facendosene provista, portano con ciò l’Arte fuori del Stato. Motivo per cui l’Arte nostra a poco a poco verebbe a distrugersi … Suplicano perciò genuflessi che dall’innata Pietà e Giustitia dell’Eccellenza vostra venghi permesso e rilasciato un comandamento penale a dette donne, acciò, intercette in tal modo ad esse la libera disposizione e vendita a contrafacienti et estere persone, siano costrette il solo farne l’esito a CapiMastri; i quali con venerazione soccombono agli aggravi che dal Sovrano suo Principe li viene addossati, e perciò sperarne a simili contrafazione la venerata Giustizia e Protezione, per sollievo dell’Arte nostra e delle proprie famiglie …”
Nel 1682: il Senato rilevò che su 200 Pittori presenti in Venezia solamente 30 erano iscritti all’Arte dei Depentori: “Tutti sono tenuti ad iscriversi per il buon ordine dell’Arte. I Pittori foresti sono tenuti all’iscrizione dopo 6 mesi di permanenza a Venezia.”In seguito i Pittori ottennero di separarsi dagli altri rami dell’Arte divisa in più di 100 botteghe costituendo un “Collegio dei Pittori” con Banca propria di: Prior, Consiglieri, Conservadori, Tansadori e Scodidori che inizialmente si riunirono in casa del Pittore Cavalier Liberi ... Solo nel 1750, infatti, il Senato istituì la Pubblica Accademia di Pittura e Scultura,che al tempo del Prior Giacomo Marieschi prese sede sopra al Fontego della Farina sulla Riva di San Marco.
Secondo un Inventario del 1762 “de’ Depentori rimasti a Santa Sofia”,che il Gastaldo Pellegrin Arzentini passò in consegna al suo successore, si legge:“… nella Schola di conservano un Crocifisso di bronzo dorato per l’Altar … un soraporta in Sacrestia di cuoridoro con l’immagine de Gesù Cristo che porta la Croxe istoriato ... La Sacrestia è tutta fornita di cuoridoro con sottobalcon e soprabalcon … 10 brazzaletti di ferro dorati per l’Altar … 1 pezzo “de cuoro” in fondo la prima scalla, con adornato di fiori e frutti naturali e con l’immagine della Beata Vergine e San Luca … 1 quadro in Sacrestia con l’immagine di San Luca, di pittura buona antica, con soaza d’oro … 2 Reliquiari di legno dorati nelle sue custodie, uno per parte dell’Altar … 1 Reliquiario di legno dorato con “Ossi de’ Santi Nocenti” … 1 detto senza reliquia … 2 Anzoli, un per parte dell’Altar, di legno dipinti … Al secondo piano gli ambienti della Schola contengono sul soffitto del primo pianerottolo un dipinto di Angelo Mancini: “Madonna con bambino”, e una tavola dell’Altare del Polidoro. Di sopra ci sono diversi quadri di Giulio del Moro: “San Luca ed un altro Santo Vescovo”, “Ritratto di Giulio del Moro” e “Cristo che da la mano a San Pietro sulle acque”. Ci sono inoltre lavori di Pietro Liberi, un chiaroscuro di Bernardo Strozzi: “Gesù tra Mosè ed Elia”, “San Luca che predica” e “La pittura” di Jacopo Palma, un “Buon smaritano” di Alessandro Varottari, e un’ “Annunziata” di Angelo Mancini con ai lati un “Miracolo di Cristo” e le “Tentazioni di Cristo”.
Ancora nel 1773, i Dipintorierano attivi il 35 botteghe con 100 iscritti all’Arte, di cui 17 erano Garzoni, 34 Lavoranti e 49 Capimastri. I Disegnatori di Stoffe, invece, lavoravano in 3 botteghe, ed erano 11 di cui 5 Lavoranti e 6 Capimastri; i Cuoridoro erano 11 attivi in 4 botteghe; e gli Indoradori: 144 in 33 botteghe … Nel 1797 quando l’Arte Riunita de Depintori pagava al Capitolo di San Luca 12 lire e 8 soldi, e “impiantava stendardo” spendendo 88 lire 88, gli iscritti erano: 263 in totale ... Infine nel 1807 l'Arte dei Pittori venne soppressa. Il Demanio ne incamerò tutti i beni, e l’edificio della Schola venne venduto a privati che lo trasformarono in abitazione, panificio e bottega.
All’inizio del 1600 il Patrizio Sebastiano Cappello residente in Contrada di Santa Sofia, lasciando rendite ad entrambi i Monasteri, chiese e ottenne dalla Badessa del Monastero delle Benedettine dei Santi Cosma e Damiano della Giudecca dove sua figlia Contarina viveva come Monaca d’essere sepolto in una cripta della Cappella del Santissimo già concessa anche i Nobili Venier. In quel sepolcro di famiglia fece convergere anche i corpi della sua prima moglie Contarina e della figlia Morosina sepolti nel Monastero sempre di Benedettine di Santa Croce della Giudecca dove viveva come Monaca un’altra sua figlia Grazia… Cinque anni prima, vivevano a Venezia: 1.967 maschi Nobili sopra i 25 anni appartenenti a 139 Casati diversi. Fra costoro: i Contarini erano: 100, i Morosini: 68, i Querini: 54, e i Malipiero e i Priuli: 52 ciascuno … Zuan Francesco Priuli fu in quegli stessi anni l’artefice principale dell’ammortamento del Debito Pubblico … spedì a un suo agente a Pera panni di lana della sua bottega: “roba squisitissima e panni di seta comprati con molta diligenza” ... Viceversa: Antonio Priuli del Consiglio dei Dieci commerciava in diamanti per molte migliaia di ducati ... Fece partire da Venezia per Tripoli più di 2 milioni d’oro: la metà in contanti e il resto in “pannina, panni di seta e altre merci”.
Nel giugno 1603 Francesco Priulivenne nominato Savio di Terraferma dal Senato della Serenissima che in realtà voleva impegnarlo economicamente come Ambasciatore in Spagna dove fu costretto a recarsi l’anno seguente. Lì dovette interessarsi dei frequenti sequestri di navi Veneziane da parte dei corsari spagnoli, dell’aggressiva politica del Governatore del Ducato di Milano, e dell’Interdetto. Il Nunzio Pontificio Giovanni Garcia Millinicercò più volte di scomunicarlo per impedirgli di rimanere accanto al Re. Filippo III, invece, lo nominò Cavaliere, e quando tornò a Venezia relazionò in Senato sul punto di vista della Corte Spagnola circa l’Interdetto imposto dal Papa su Venezia. Pur essendosi ammalato, Francesco Priuli accettò ancora di diventare Ambasciatore alla Corte Cesarea di Praga nel 1609 da dove aggiornò di continuo il Collegio della Serenissima e Fra Paolo Sarpi circa le liti tra Rodolfo II e i suoi fratelli circa la successione ormai imminente … Infine morì, sempre a Praga nel maggio 1610. Era nato nel 1570 a Venezia nel palazzo di famiglia in Contrada di Santa Sofia, da Lucrezia Contarini e da Michele di Francesco, e pur essendo un “Nobile devotissimodi grande cultura e pregio e con copiosa libraria”, rifiutò una ricchissima Prelatura Ecclesiastica preferendo servire lo Stato per il quale divenne Diplomatico al seguito di Francesco Vendramin (futuro Patriarca di Venezia) e Ambasciatore in Spagna nel 1592. Nella penisola iberica imparò a parlare il Catalano, viaggiò moltissimo e tenne un diario sulla Spagna e i suoi usi e costumi, poi rientrato a Venezia divenne Savio agli Ordini, e Ambasciatore presso il Duca di Savoia nel 1600.
Nel 1606, ai tempi di Prè Domenego Querengo Piovano di Santa Sofia e Canonico della chiesa Ducale di San Marco, sulla scia di un decreto del Senato del 1529 si istituì in ciascuna delle 69 Parrocchie-Contrade Veneziane una Fraterna per i Poveri provando a risolvere la mendicità dilagante in città e in Laguna conseguente a guerre, epidemie e carestie. La Fraterna dei Poveri di Santa Sofia era presieduta dal Piovano e composta da 300 fra Mercanti, Nobili, Cittadini, Artieri e Bottegai che s’impegnarono da essere: “Custodi et deputadi delli poveri et infermi di essa Contrà esercitandosi quelli di sovvenir et consolar gli infermi et famiglie bisognose, provvedendo a loro di Medico, medicine et dinari delle cerche fatte in essa chiesa a questa istanza”. Si raccolsero fondi, elemosine e lasciti testamentari a favore dei poveri della Contrada incapaci d’essere avviati al lavoro e segnati in appositi Registri, mentre la maggior parte dei “foresti", invece, vennero rimandati ai loro luoghi d'origine. L’iniziativa non ebbe molto successo, perché poco dopo s’istituì a Venezia il grande Ospedale Pubblico che si fece del tutto carico della precaria situazione cittadina.
Girolamo Priuli sposò nel 1618 Franceschina Dolfin con una dote di 200.000-300.000 Ducati: un’enormità per quell’epoca ... Lorenzo Priuli, invece, sposò nel 1526 Zilia Dandolo figlia del potente Patrizio Marco, mentre loro figlio Giovanni sposò Isabella Giustinian… Infine Adriana Priuli sposò Francesco Corner del Ramo di San Polo che nel 1656 divenne Doge della Serenissima.
Nel 1622 uno zuccherificio di proprietà de Priuli posto in Contrada di San Canciano passò in proprietà a Grazioso fratello di Bartolomeo Bontempelli legato ad un livello di 18.000 ducati da pagare ... Due anni dopo, quando il Nobile Antonio Grimani lasciò in eredità fra le altre cose: 12.000 ducati investiti in un saponificio con la raccomandazione ai familiari di continuare in quell’iniziativa, Zuanne Dolfin, Agostino Nani e Alessandria Paolo Paruta esercitavano la Mercatura con Costantinopoli, mentre Alvise Mocenigo e Zuan Francesco Priulilavoravano con la Siria commerciando panni di lana. Giacomo e Giovanni Battista Foscarini dei Carmini si dedicavano al commercio dei grani insieme a Nicolò Donà e a Zorzi Corner di Giovanni I che si occupava anche di bestiame, e Antonio Priuli mercanteggiava legname in tutto il territorio della Dominante.
Nel 1642 nella Confinio di Santa Sofia vivevano 2.100 persone … nel 1661, quando Carlo Manzoni faceva il Frutaròl in Contrada, c’erano attive 75 botteghe (83 nel 1712) fra cui un “inviamento da Forner con casa e bottega” affittato per 160 ducati annui … Negli stessi anni venne rinnovato il tetto e il pavimento della chiesa, fu rifatto l’Altare Maggiore, ampliata la Sacrestia ad opera del Piovano Tommaso Curini e dell’Architetto Antonio Gaspari(che voleva ricostruire Santa Sofia alla maniera di San Marziale e San Moisè: ossia ad unica aula-navata centrale). Santa Sofia venne quasi rifabbricata a 8 altari (Santa Sofia, Santissimo, Sant’Antonio, Crocefisso, San Giovanni Battista, San Mattia, San Vincenzo e della Madonna) divenendo una tipica chiesa-bijoux Veneziana tappezzata di pregevoli opere d’Arte.
Alle Visite Patriarcali Morosini, Badoer, Barbarigo e Corner si confermò di volta in volta “la proliferazione” nell’edificio di “Madonne Vestite” di ogni sorta. Alla Visita del Patriarca Badoer nel 1695 si segnalò la presenza della Schola dell’Assunzione della Beata Vergine con un simulacro Mariano che possedeva molte vesti preziose … C’era poi una Madonna Annunziataricoperta di abiti ed ori … una Madonna del Pianto con argenterie, 21 abiti e 6 veli … e un’altra Madonna del Rosario ugualmente fornita d’argenterie, e rivestita anch’essa con 6 abiti e altrettanti veli “di pregevole fattura”.
Nel 1650 nacque Alvise Priuli da Marcantonio del Ramo di San Barnaba e da Elena Basadonna. Costui fin da giovanissimo ebbe “una fissa”: voleva diventare Auditore della Sacra Rota di Roma, un incarico un po’ insolito ma di certo al vertice della gerarchia ecclesiastica e della Curia Romana-Papale ... nonché una carica dal notevole interesse economico. Alvise iniziò la sua “scalata” fin da giovanissimo ottenendo prima il Canonicato del Duomo di Treviso, poi accompagnò l’Ambasciatore Michele Morosinipresso la Santa Sede di Roma ottenendo nel 1674 d’entrare fra i candidati all’Auditorato. Venne scelto però Antonio Paolucci, e Alvise si consolò assumendo il ricco e prestigioso beneficio dell’Abbazia di San Zeno a Verona che conservò per tutta la vita. Morto Paolucci di nuovo l’Abate Priuli tornò alla carica provando ancora una volta a conseguire quel benedetto Auditorato di Rota: finì di nuovo fra i quattro nomi proposti al Papa.
Perfino l’Ambasciatore Veneziano Girolamo Lando caldeggiò a nome della Serenissima la nomina del Priuli presso il Papa Innocenzo XI, considerando il Priuli come: “…soggetto per nascita, virtù et costumi che non può essere più proportionato a così grand’ufficio”.
Ma probabilmente dalla Nunziatura di Venezia, giunsero, invece, al Papa di Roma altre scritture anonime che stigmatizzavano la vita scandalosa dello stesso Alvise Priuli che aveva ben tre amanti di estrazione sociale diversa: una Nobile, una Monaca e una Cortigiana.
La prestigiosa nomina perciò si fece attendere e gli sfuggì ancora una volta ... Priuli però non si scompose.
L’anno seguente seguendo un percorso didattico facilitato: “more nobilium”, cioè riservato ai Nobili, ottenne a Padova il dottorato “in Utroque Jure”, e nell’ottobre 1689 coronò finalmente il suo sogno divenendo Auditore della Rota con l’appoggio del futuro Papa Ottoboni che era amico dalla famiglia Priuli: ce l’aveva fatta !
“Chi la dura la vince” , come si dice di solito … e il Priuli rimase Auditore della Rota per 23 anni fino alla morte ... non senza aggiungervi strada facendo qualche altro beneficio economico di contorno per integrare il suo già imponente patrimonio. Priuli assunse il beneficio dell’Abbazia di Villanova di Camposampieroche gli rendeva 2000 ducati annui (1692), poi la Prefettura dell’Università della Sapienza di Roma(1694), e il Cardinalato di San Marcelloche il Papa gli fece bramare e attendere fino al 1712 quando la sua carriera corse in discesa vedendolo eletto in diverse potenti Congregazioni Romane: quella dell’Immunità, del Concilio, dei Vescovi e dei Regolari. Già che c’era, divenne anche Protettore dell’Ordine della Santissima Trinità per il riscatto degli Schiavi e Camerario del Sacro Collegiofino alla morte che lo colse a Roma nel marzo 1720.
Alla fine lasciò i suoi libri e le sue numerose argenterie alle sue Abbazie; e dispose un cospicuo legato per il mantenimento di giovani Patrizi Veneziani presso il Collegio Clementino dei Padri Somaschi di Roma. Venne tumulato nella chiesa di San Marco di Roma in un sepolcro sontuoso ornato di statue, con tanto dl busto in marmo e dovuta iscrizione a perenne gloria … nei secoli dei secoli: Amen !
In Veneto intanto, nel 1659, si scavò la “Roggia Moranda di Ca’ Priuli” sul fiume Brenta, e l’acqua presa dalla Moranda di Ca’ Corner in Contrà delle Motte scorreva fino a Treville chiamandosi: Seriòla o Ceriòla Priuli… In Contrada e chiesa di Santa Sofia continuavano a funzionare diverse Schole che coinvolgevano i Veneziani della Contrada: la Schola dell’Assunzione della Beata Vergine, la Compagnia-Schola-Sovvegno di San Lorenzo Giustiniani, dal 1690 la Schola-Sovegno di San Francesco di Paola, e soprattutto la Schola della Madonna o dell’Assunta che pagava lire 20 di Livello al Capitolo dei Preti di Santa Sofia per Messe ed Esequie … Celebrava una Messa Cantata con Processione intorno al campo ogni prima domenica del mese ed il giorno della festa ... e ogni sabato: una “Messa Bassa” ... (Nel 1803 alla visita del Patriarca Flangini: Schiavon Pietro stramazzèr era ancora: Guardiano della Schola della Madonna) ... Nel 1591 negli ambienti della chiesa di Santa Sofia si scriveva: “… Si spenda quanto occorre per le bolle del “Perdon d’Assisi” ottenute da Roma ... Quanto si ricaverà dalle offerte del Perdon d’Assisi serva per maritare donzelle della Contrada.”… Nel 1594 il Gastaldo ed il Vicario della Schola della Madonna le donarono: “un Penèl (gonfalone) de legno dorato co la Beata Vergine”... Nel 1610 si scrisse: “… si spenda quanto occorre per terminar il quadro della Natività della Madonna”.
Nel 1676 però la stessa Schola della Madonna era ormai in declino: si richiamò il Nonzolo perché ricordasse agli iscritti l’obbligo della partecipazione alla Messa della prima domenica del mese a cui non partecipava più quasi nessuno … Lo stesso Gastaldo della Schola tuonò: “Chi osasse prestare le aste d’argento della Schola pagherà 50 ducati di penalità, metà dei quali saranno devoluti all’Arsenale”, ma gli fu risposto: “Almeno altri usa quelle ròbe che vien solo trascuràe e desmentegàe da noialtri” ... Nel 1692 in un Inventario redatto dal Piovano di Santa Sofia circa la Schola della Madonna si elencava: “… un paramento bianco in terzo con piviale, molte vesti della Madonna, una corona d’argento, una corona di cartone, e una corona di ricamo.” di cui pochi s’interessavano.
Poi non se ne seppe più niente.
Nella Terraferma Veneziana di Marocco sul Terraglio in via Gatta esiste ancora oggi sulla facciata di una modesta Villa ora appartenente ai Nalesso, “un’arma gentilizia”, ossia lo stemma dei Nobili Priuli documentati lì presenti fin dal 1631 … Fra 1661 e 1664, ai tempi del Podestà e Capitano Alessandro Priuli s’imputò per la seconda volta a Margherita Boccato d’aver fatturato Andrea Cavazzin e altre persone. L’accusa oltre che dalla voce pubblica, venne confermata anche dai Cappuccini della Fontana di Bottrighe, che considerando le strigarie commesse dalla donna, avevano ispezionato ad Adria i letti della donna. Lì avevano rinvenuto e fatto bruciare: “… pezzi di tela, fave, grani di formentòn, e diversi ossetti da morti …”
Sembrava tutto fatto: quella donna era da bruciare senza esitazione.
Il Podestà Alessandro Priuliperò non era molto convinto di tutta quella faccenda. Decise perciò di vederci chiaro, e fece condurre una nuova indagine scrupolosa che fece emergere dietro alle accuse dei vecchi risentimenti per un fidanzamento rifiutato, delle ruffianerie, e delle invidie per l’attività manifatturiera esercitata dalla stessa Donna Margherita che sapeva abilmente “… esistàr canne e grisiòle…”
La donna “… davanti a un gran fòco di carboni acceso da suoi piedi snudati …” venne difesa anche da alcuni Medici. Il Podestà Priuli allora accolte riprove e testimonianze, eseguiti certi sopraluoghi, e andando controcorrente assolse Donna Margherita e incriminò i suoi accusatori condannandoli a pagare le spese del processo e a restituire “la so bona fama a la donna”.
E bravo Priuli !
Nello stesso anno in Calle Priuli detta dei Cavaleti agli Scalzi di Cannaregio a Venezia, laNobildonna Paolina Priuli relicta Ser Zamaria possedeva cinquantanove caxette … Donna Soffietta Priulli figlia di Ser Ferigo e consorte di Messer Almorò Tiepollo ne possedeva altre nel Sestiere di San Marco … Così come Dona Isabetta di Priuli relicta Ser Zamaria per conto de Ser Alvise e fratello Priuli suoi fiolli … e Ser Sebastian di Priuli quondam Ser Piero habitante in Valpolesella sotto Verona … Il NobilHomo Ser Alvise di Priulli figlio di Francesco istituì una Comissaria nella Schola di San Giovanni Vancellista de Muran … Vincenzo Priulli quondam Andrea habitante a Fogiaschea sotto Vicenza pagava: lire 1, soldi 18, e denari 5 di tasse … Donna Lugretia Priulli relicta in terzo voto di Ser Cabriel Corner residente nel Sestiere di Castello ne pagava: lire 1, soldi 15, e denari 2 … Il Priorado di Ser Lodovico di Priulli sito nel Sestiere di Dorsoduro contribuiva con lire 16, soldi 3, e denari 8 … Ser Nicollò Dolfin quondam Piero e Ser Zaccaria Priulli del defunto Ser Anzollo moglie e nepoti quondam Ser Daniel del Sestier de Cannaregio pagavano: lire 1, soldi 7, e denari 10 … mentre Ser Zamaria di Priulli di Ser Anzolo Maria e nepoti quondam Ser Daniel residenti a Cannaregio contribuivano alla Serenissima: lire 22, soldi 7, e denari 8 … e via così per tanti Nobili Priuli che stavano in Venezia.
Nel 1668 Prè Francesco Speranzalaureato in Filosofia e Diritto, Canonico Ducale, Vicario Generale del Martinengo Vescovo di Torcello, ProVicario Generale del Patriarca Sagredo e Confessore delle ricche e potenti Monache Agostiniane del Monastero Dogale delle Vergini di Castello (presso le quali morì nel 1677) divenne Piovàn di Santa Sofia… Nella stessa estate il Nobile Ottavio Labia indispettito dal divieto d’uso della parrucca imposto dalla Serenissima, spinse altri Nobili a negare il proprio voto “circa quell’infausto decreto”.Venne subito ammonito dal Tribunato degli Inquisitori di Statoinsieme ai Patrizi Girolamo Priuli, Alvise Foscari III°, Gerolamo Giustinian e Lunardo Loredan, che trasgredendo gli ordini della Serenissima avevano portato alcuni capelli posticci in testa.
Nel 1681 ai tempi del Piovano Prè Francesco Bellotto si provvide a rialzare il pavimento di Santa Sofia perché troppo soggetto all’alta marea: “Si commissionò il lavoro all’artigiano Andrea Comminelli e al figlio Giobatta della Contrada di San Maurizio, e si realizzò la nuova pavimentazione utilizzando pietra rossa di Verona e pietra bianca di Rovigno … e già che s’era in opera, si provvide anche a rifare le colonne dell’Altare di Sant’Osvaldo ...”
In quegli stessi anni in chiesa erano attivissime ben 5 Schole di Devozione: la Schola del Santissimo, la Schola dell’Assunta, la Schola di San Francesco di Paola, quella di San Lorenzo Giustiniani, e la Schola-Sovegno dei Barcaroli di San Giovanni Battista. C’era poi la solita Schola dei Depentori in Calle Sporca, la Fraterna dei Poveri e la Schola della Dottrina Cristiana a cui prestavano aiuto 66 donne operaie popolane guidate dalla Priora Nobildonna Vincenza Fini… La Fabbriceria della chiesa di Santa Sofia era composta da 25 Procuratori di cui 12 erano Nobili della Contrada … e la Messa Solenne e Cantada nelle feste di precetto doveva essere obbligatoriamente partecipata da tutto il Clero del Capitolo de Santa Sofia ... Ogni sabato si cantava Compieta e Litanie della Madonnaall’altare dell’Assunta con la partecipazione di quelli della Contrada … I Padri Gesuiti preparavano i maschi della Contrada alla Prima Comunione tenendo lezioni nella vicina chiesa dei Santi Apostoli… e in Contrada vivevano anche Luterani, fra i quali c’erano alcuni Calegheri(Calzolai) e un Oste.
I Veneziani della Contrada testimoniavano di loro: “… sono tranquilli e non recano disturbo alcuno, e quando passa il Santissimo per la Contrada si genuflettono … Forse sono solo miscredenti …”
La Schola-Sovegno più importante e frequentata della Contrada e della Parrocchia era quella di San Giovanni Battista dei Barcaroli del Traghetto della Ca’ d’Oro posto fra Santa Sofia e la Pescheria di Rialto (esiste e funziona ancora oggi).
L’associazione-fraglia era nata nel 1342 (gli Statuti dell’Arte dei Traghettatori sono del 1344: i più antichi di Venezia e della categoria) scrivendo nella sua Mariegola (la Madre di ogni Regola): “Missier San Zuanne pregi continuamente Jesu Christo nostro Redemptore che mantenga la nostra citade de Venexia in bon stado, in paxe et in charità con tute le tere de li fedeli Christiani ... Amen”
La Fraglia d’Arte, Mestiere e Devozione si occupava oltre che d’offrire indicazioni operative per la categoria, anche di sussidi e previdenza sociale accogliendo fino a 100 iscritti: “tutti boni homini et bone donne” che potevano essere anche estranei al Traghetto, ma di età non superiore ai 35 anni. A costoro garantiva assistenza Medica, medicine di uno Speziale, sostegno agli infermi per 6 settimane e fino a 2 giorni dopo la completa guarigione. Non si concedeva assistenza e sovvenzione in caso di “Morbo Gallico”(Sifilide), né per cadute e ferite volontarie.
Si trattava di moltissimo per quell’epoca in cui a Venezia non esistevano sussidi e organizzazioni sanitarie e previdenziali come quelle di oggi.
I nuovi iscritti pagavano 1 ducato di “Benintrada”, e poi 18 soldi mensili insieme alla tassa delle “Luminaria” a Natale (per un “Vivo”costava 4 lire, e a nome di un “Morto”costava 1 lira e 4 soldi).
La Schola annoverava anche un ramo femminile che si eleggeva una propria Gastalda-Priora e 6 Degane che prestavano assistenza alle iscritte che non potevano recarsi in chiesa. La Mariegola recitava: “de non recever alcuna femena in la Schola per men de grossi VI de Benintrada”.
Nel 1516 sul Capitolo 53 della Mariegolasi precisarono i probabili confini dell’area del Traghetto sul Canal Grandosu cui verteva il lavoro dei Barcaroli: il Traghetto poteva arrivare fino “alle barche de la Lozeta e del bùrcio de le Becarie”… e si minacciarono penalità di 25 lire ed altre pene compreso il carcere, a “chi osasse far noli al Traghetto da la Pescaria che buta a Santa Sofia” ... Nel 1593 la Schola dispose che nel Traghetto funzionasse per 15 anni una barca o “Libertà soprannumeraria” per poter pagare “le spese dell’Altare Novo in cjesia” mettendo il ricavato in una cassa speciale chiusa con 2 chiavi: una consegnata al Piovano di Santa Sofia e un’altra al Gastaldo della Schola. Nel 1603 la raccolta di denaro venne prorogata per altri 10 anni per poter pagare la nuova Pala dipinta per lo stesso altare della Schola.
Dal 1533 al 1565 la Scuola si trasferì “sventatamente” sull’Altare dei Trevisani alla Madonna dell’Ortoforse a causa della ricostruzione della chiesa di Santa Sofia, ma nel 1582 ritornò a Santa Sofia firmando una concessione col Capitolo della chiesa per usufruire di un’Arca sepolcrale in chiesa, della Cappella di San Giovanni, e di una sede per riunirsi sopra alla Sacrestia offrendo 30 ducati annui ai Preti di Santa Sofia ... Nel 1633: i Provveditori da Comun suggerirono che: “… ogni turno de Barcaroli debia tenèr acceso il feràl davanti a la Madonna del Traghetto” ... Nel 1652 tutte le 23 barche del Traghetto di Santa Sofia dovevano dare 2 lire alla Schola … Chi “operava contro la Repubblica”, chi viveva “in pubblico peccato”, chi seminava discordie e si dava al gioco, e chi diceva villanie contro il Gastaldo o i Compagni della Schola: veniva escluso dalla Schola annotandolo in uno speciale Quaderno de la Schola.
Secondo quanto ricordato dalla Visita del Patriarca Badoer del novembre 1690, il Sodalizio del Traghetto aveva sede e altare in chiesa di Santa Sofia al cui Capitolo dei Preti: “… i 121 iscritti della Schola di San Zuane pagano di livello al Capitolo di Santa Sofia per Messe ed Esequie lire 43,8 ... il Sovegno della medesima Schola lire 31.”… Dagli stessi verbali di quella Visita si evince che nella chiesa di Santa Sofia c’erano presenti 13 Preti dei quali 4 erano Confessori e altri 14 Chierici dei quali 9 erano consacrati “in sacris”. Nella stessa Contrada di Santa Sofia abitavano 25 Preti di cui solo 8 erano afferenti alla chiesa mentre gli altri servivano in altre chiese della città … Uno dei Preti non volle dichiarare le proprie generalità: era uno strano Prete Francese che abitava in Ruga Do Pozzi a Santa Sofia, celebrava Messa nella chiesa dei Miracoli, e teneva in casa una donna Inglese che però non andava mai a Messa … Un personaggio insolito, un po’ particolare, sul quale la Serenissima fece i suoi bei ragionamenti senza mai perderlo d’occhio.
Prè Brassi, Terzo Prete del Capitolo di Santa Sofia precisò: “… nel Ridotto di Gaio Barbier vanno Preti Secolari che giocano e scommettono senza alcun riguardo alle persone e alla Religione …”
Il Secondo Prete Toffaninprecisò ancora: “… in Contrada c’è anche uno Scaletèr Luteràn (pasticcere) inconfesso che intende a tutti i costi obbligare suo figlio alla stessa professione di fede” ... Due laici interrogati riferirono che c’era una donna che veniva spesso in chiesa per provocare “a cose non punto belle”il Prete Suddiacono di Santa Sofia… Nadalin Cecchini precisò che si trattava di Anna la domestica di Prè Carlo Vincenzi, una “donna di fama leggera” che abitava in Contrada di Santa Fosca ai piedi del Ponte de Noal. Si aggiunse poi che: “Prè Carlo insieme a Prè Zio sogliono vestire in curtis … e Prè Carlo insieme a Prè Barbini dopo la Messa in Nocte di Natale avrebbero infranto in maniera non da poco la legge del Celibato …”
Nel 1621: i Provveditori da Comundiffidarono i Pescatori e i venditori di frutta e verdura di Rialto dall’occupare con le loro merci la Riva del Traghetto di Santa Sofia dal lato della Pescaria pena lire 25 multa e confisca di tutte le merci: bisognava non intralciare il lavoro dei Barcaroli del Traghetto di San Giovanni Battista di Santa Sofia.
Dal 1686 in poi, gli stessi Barcaroli si obbligarono a pagare 2 lire per ogni defunto della Schola-Sovegno del Traghetto di Santa Sofia al quale garantivano: “un Esequie solenne in canto”. I Barcaroli Morti dovevano essere adeguatamente “bagnati e preparati” per il Funerale ... Ad ogni Morto spettavano: 25 Pater-Ave… e doveva essere accompagnato alla sepoltura: “con la Crose et Penèlo (gonfalone) de la Schola”… e gli si dovevano celebrare tante Messe di Suffragio quanti erano gli iscritti della Schola: “Non sia mai che un uomo del Traghetto di Santa Sofia debia presentarsi al Dio Superno a man scorlàndo … e senza i suoi dovuti suffragi …”
La sepoltura per i Barcarolipoveri era gratuita, e gli iscritti che morivano fuori Venezia avevano diritto a: “… una Messa Esequiale con in mezo la glesia uno tapedo et un cusinello e de sora uno pallio con la Crose suso e da cavo li arda 2 candelotti che mete a li corpi con 5 candele e sia messo in meco de la glesia lo pennello segondo usanca, e la recita dell’Ufficio come se il cadavere fosse presente”.
In chiesa di Santa Sofia c’era una Cassetta che raccoglieva elemosine a favore della Schola del Traghetto che ogni anno celebrava con Vespri, Processione e Messa le due feste solenni del 24 giugno e del 29 agosto: San Giovanni Decollato “dando a tutti pan et candela”… così come a Natale “quando la Fraglia del Traghetto di Santa Sofia debia far e dar pan benedetto a tuti li fradeli e soròr di questa benedetta e Santa Schola”.
Ogni seconda domenica del mese ogni iscritto della Schola del Traghetto pagava 7 soldi di piccoli perché venisse celebrata una Messa Solenne-Alta-Cantada per tutti gli iscritti; e ogni lunedì, invece, si faceva celebrare per 1 soldo di piccoli per iscritti: una Messa Bassa-Letta a cui partecipavano tutti gli Ufficiali della Scholadei Barcarolide Sancta Sophia ... Inoltre la Schola faceva celebrare per 1 lira anche delle “Messe dello Spirito Santo” prima delle nuove elezioni alle cariche del Sodalizio ... Ogni anno quindi si celebravano ben 69 Messe a pagamento fra le quali: 12 Messe Alte mensili e 4 Messe Basse ogni lunedì.
Si pagava inoltre anche un “supplemento”di 20 soldi annui “per il sovegnimento dei poveri della Schola” ai quali andavano anche le multe e le pene pecuniarie ai Confratelli che erano di solito di 5 piccoli ciascuna … Chi si ammalava poteva mettere un altro a lavorare al proprio posto al Traghetto … e si affittavano 2 barche del Traghetto per aiutare i Confratelli in stato di necessità, donando 6 ducati “una tantum” alle vedove dei Barcaroli.
Ancora nel 1770 quando il Traghetto di Santa Sofia aveva ancora 48 Libertà(licenze concesse dalla Serenissima per traghettare) che si potevano ereditare, affittare, vendere e comprare; si esercitava servizio notturno sul Canal Grande con 14 barche precisando che i confini del Traghetto de Dentro de Santa Sofia(il raggio d’azione) andavano dalla Calle della Ca’ d’Oro al Campo di Santa Sofia e alla Calle Dragan, mentre dall’altra riva si estendevano: dalla Riva dell’Olio alla Lozzetta, alla Pescaria e a “Tre volti” delle Fabbriche Nove … Nel 1779 tuttavia, il Piovano di Santa Sofia Don Pierantonio Colauto attestava che ormai da 3 anni il Sovegno del Traghetto era estinto e disciolto, anche se la Congregazione Delegata richiamava il Gastaldo del Traghetto di Santa Sofia all’obbligo di tutti gli addetti del Traghetto di frequentare le lezioni di Catechismo settimanali nella chiesa loro assegnata che era quella di San Mattio di Rialto.
Ve li vedete e immaginate i Barcaroli del Traghetto recarsi ordinatamente a frequentare il Catechismo serale ?
Giunto il 1700 anche nel Confinio di Santa Sofia, Girolamo Negroni della stessa Contrada lasciò per testamento alla chiesa due quadri dipinti da Antonio Zanchi con “San Girolamo e Sant’Erasmo”, che però non giunsero mai in chiesa prendendo chissà quale altra strada … Il celebre “amateur”Giacomo Casanova, invece, “insidiò”Caterina Caretta che abitava in Contrada di Santa Sofia e finì col farla abortire presso le Monache di Santa Maria degli Angeli di Murano ... Nel giugno 1722 secondo quanto scritto nei documenti della Quarantia al Criminal, il cameriere Antonio Polinari uccise per motivi di gioco “… con una spada larga che aveva cinta al fianco” in Corte del Magazen alla Cà d’Oro il bottaio Giovanni Capulin ... Due anni dopo in Calle Priuli a Santa Sofia, sempre secondo le Raspe dell’Avogaria da Comun, Bernardo Bonlauti e il figlio Giovanni entrambi Barbieri litigarono aspramente con Giuseppe Seleri dopo una partita in Calle della Racchetta a Santa Catarina nei pressi di Santa Sofia. Dopo un primo approccio i tre s’azzuffarono di nuovo in Fondamenta Priuli, e il Seleri buttò in acqua Giovanni Barbiere minacciando i due di dura vendetta.
Il giorno dopo, infatti, “armato di spontòn, vitivo e zacco” andò a cercare i due barbieri che armatisi a loro volta lo aggredirono alle spalle. Il Seleri che non era uno sprovveduto reagì subito ferendo Bernardo Bonlauti al ventre e al braccio destro, ma venne a sua volta ferito più volte alla testa, scivolò e cadde a terra, “… e i Bonlauti lo ridussero a mal partito e alla morte che raggiunse dopo una dolorosa agonia che durò 16 giorni”.
Pietro Priuliintanto, si stava dando un gran da fare nel 1706 per diventare Commendatario dell’Abbazia di Santa Maria della Vangadizza in Polesine succedendo al Veneziano Daniele Dolfin. Era nato a Venezia nel 1669, figlio di Alvise di Giovanni. Suo zio Lorenzo era stato Vescovo di Lesina; e la madre Vittoria Ottoboni era nipote del Cardinale Pietro che divenne Papa Alessandro VIII nel 1689. Fu tutto facile quindi per Pietro Priuli che si fece Abate e divenne Referendario in Utriusque Signaturae trasferendosi a Roma dal nuovo Papa Innocenzo XII nel 1694. Lì assunse la carica di Gran Curiale e Presidente della Camera Apostolica, e a trentasette anni divenne Cardinale Diacono di Sant’Adrianofacendosi Prete (cosa che prima non era).
“Troppo potente quel Veneziano a Roma !” si disse di lui.
Perciò venne subito allontanato da Roma nel 1708 nominandolo Vescovo di Bergamo al posto del defunto Alvise Ruzzini, e dandogli una bella pensione di 1000 scudi annui. Contrariamente alle aspettative però, Priuli si affezionò a Bergamo e visitò in lungo e in largo il suo territorio per 8 anni visitando tutte le chiese Arcipretali della Val Seriana, poi quelle della pianura, quindi tutte quelle della Val di Scalve, Clusone, Lovere e Gandino.
Insomma: anche quel Priuli sorprese un po’ tutti.
Come Nobile Patrizio della Serenissima, Priuli non si dimenticò di Venezia, e le offrì migliaia di ducati per la guerra spogliando Bergamo letteralmente. Nel 1720 tornò a Roma come Cardinale di San Marco risiedendo a Palazzo Venezia sede degli Ambasciatori Veneziani. Già che c’era partecipò ai due Conclavi che elessero Innocenzo XIII e Benedetto XIII, poi ritornò di nuovo a Bergamo per il Sinodo Diocesano nel 1724, prima di ritirarsi a Venezia per motivi di salute presso il palazzo di famiglia per trascorrere una buona e serena vecchiaia … Per far questo si assicurò nel 1726 anche le rendite della Commenda del Monastero di Sant’Andrea di Busco di Treviso. In realtà si godette poco la vecchiaia, perché morì non ancora sessantenne due anni dopo, e venne trasferito “nella sua Bergamo” dove venne sepolto nella Cattedrale di Sant’Alessandro.
Sempre all’inizio del 1700 si prolungò la Roggia Priuli sul Brenta uscendo da Galliera, e la Roggia Cappella venne prolungata fino a Treville prendendo il nome dagli stessi Priuli... A Bassano proprio sotto il castello e poco prima del ponte una poderosa rosta alimentava fino a 10 ruote appartenenti ai Molini dei Priuli che fin dal 1400 sorgevano accanto a quello dei Padri di San Fortunato… Ancora fra 1705 e nel 1793 i Nobili Priuli vennero considerati dalla Serenissima alla stregua dei Nobili Poveri. Secondo un Catastico dell’Avogaria da Comun, infatti, i 9 nuclei familiari dei Priuli vennero sussidiati dalla Repubblica con ben 28 provvigioni-sussidi pubblici. Non erano affatto poveri in realtà … ma le sovvenzioni pubbliche ieri come oggi facevano gola a tutti … E chi più riusciva … più otteneva e prendeva.
Allo stesso tempo alcune Commissarie del quondam Reverendissimo Lorenzo Crappi, del quondam Gerolemo Galedin, e di Donati abitante in Contrada di Santa Sofia rimpinguarono ulteriormente, se ce ne fosse stato bisogno, le Casse del Capitolo di Santa Sofia alle quali si aggiunsero anche i proventi della Commissaria di Don Bartolomeo o Bortolo Zorzi Primo Prete Titolato di Santa Sofia che oltre al Legato dei beni immobili lasciato nel 1764 per testamento, lasciò anche dei libri accuratamente stimati e inventariati da Antonio Foglierini “libràro matricolato”.
Nel 1714 a Venezia si contavano 216 famiglie Nobili Patrizie suddivise in 667 casate, e con 2.851 Patrizi maschi attivi in Maggior Consiglio. Fra quelle si estinsero in breve tempo 233 nuclei familiari antichi presenti nel Maggior Consiglio già dal 1297. Cinque di quei nuclei andati estinti erano Priuli, mentre altri nuclei dello stesso Casato erano piuttosto decadenti … Quattro anni dopo, infatti, Marco Priulifiglio di Andrea chiese con insistenza alla Serenissima una provvigione di 5 ducati al mese per ciascuna delle sue figlie: Anna Maria e Laura: “… per la propria infelicissima conditione … continuo e incessante sagrifitio di rassegnazione, d’obbedienza, e di fede alla Patria adorabile eccelsa …”
Incredibilmente quelle provigioni vennero accordate dalla Serenissima per ben 50 anni consecutivi ! … e ancora nel 1761 le discendenti: Marta, Laura, AnnaMaria e AnnaMichela e Luca Priuli ricevevano contribuiti di Stato Serenissimo per 401 ducati annui.
I privilegi erano privilegi, e la Serenissima seppe mantenerli in piedi e garantirli per i propri Nobili fino alla fine della sua Storia.
Nel maggio 1733 gli Inquisitori di Stato fecero comparire davanti a loro Giovanni Girolamo Priuli di Ferigo relegato nel Castello di Chioggia. Fu riconsegnato al padre nel suo Reggimento di Crema, chiedendogli di modificare la sua condotta per la quale avrebbe meritato un castigo ben peggiore ... In quello stesso anno a Padova presso Pontemolino erano ancora attivi i tre Molini Priuli: due erano “terragni”e uno galleggiante: era l’unica macchina a sandoni non destinata a ridurre in farina i cereali come tutti gli altri della Terraferma, ma fungeva da: “… pestrina de macina da valonia per uso de pellattieri.”… I Priuli inoltre comprarono nel 1741 dai Nobili Bon:“… una Villa con Loggia, Scalinata, Arcate e Colonne, Oratorio e un gran bel Parco cinto da alto muro”a Malcontentaverso Oriago sulla via Padana … Di nuovo nel settembre 1741 gli Inquisitori di Stato ammonirono severamente ma con clemenza Alvise Priuli, altro figlio di Ferigo del Ramo III dei Priuli di San Polo accusato d’insidiare la NobilDonna Elisabetta dei Nobili Donà del Ramo di Sant’Agnese, introducendosi perfino “… con abiti mentiti nella sua stessa habitazione …”
Il Priuli ascoltò il richiamo degli Inquisitori di Stato e fece giudizio, e si sposò nel 1755 con la Nobildonna Marina Mocenigo.
Antonio Marino Priulidel Ramo degli Scarponi di San Felice, invece, divenne nel 1733 Arciprete del Capitolo di Padova dove si laureò in Utroque Iure, e poi ottenne la carica di Vescovo di Vicenza con rendita annuale di circa 5.000 ducati, dove si dimostrò ostile verso l’Abate Giovanni Checcozzi accusandolo di Giansenismo ed Eresia, inducendolo a processo davanti all’Inquisizione di Venezia, e portandolo fino all’abiura finale. Priuli era un uomo tradizionalista, erudito e di cultura, con una biblioteca ricchissima stimata come una delle più insigni di Venezia. Era fratello di altri cinque tutti con lo stesso nome, suo padre fu Podestà di Bergamo e Censore, sua madre era figlia del Doge Giovanni Corner… Il suo imponente palazzo di famiglia del 1300 con due facciate sull'acqua in Contrà di San Felice poco distante da Santa Sofia venne distrutto da un devastante incendio nel 1739.
Nelle “Memorie” del Benigna si legge: “A 8 marzo 1739, quarta Domenica di Quaresima, fu il fuoco nel palazzo di Ca' Priuli Scarpon a San Felice, havendo principiato nella cucina di sopra, et ha circondato tutto il grande palazzo con averlo consunto et incenerito.” ... E qualche anno dopo sempre nelle stesse Memorie si aggiunse ancora: “A 11 settembre 1741: è caduto e morto un huomo nel disfare il palazzo rovinoso di Ca' Priuli Scarpon a San Felice”.
Per niente turbato “da que’ banali danni e semplice incidente di percorso”,lo stesso Antonio Marino Priuli divenne Cardinale facendosi conferire la Commenda dell’Abbazia di San Gregorio di Venezia che gli rese 4.265 ducati annui, e quella dell’Abbazia di San Eufemia di Villanova di Camposanpiero di Treviso che gliene rese altri 3.634 … Divenuto “vecchio e malato”, fu messo da parte nel 1767 dallo stesso Papa Clemente XIII che lo mandò come Vescovo a Padova. Lì, invece che quietarsi, il Priuli si rianimò e iniziò un’altra vita visitando capillarmente tutta la Diocesi e contrastando tutti i Monasteri e i Canonici del Capitolo di Padova per niente disposti a rinunciare ai loro antichi diritti e privilegi. Riformò il Seminario Padovano trovato decadente, indisciplinato, in grave crisi economica e pieno di studenti privi di vocazione ecclesiastica riportandolo a un certo splendore e con 200 seminaristi; si schierò contro il Professore Angelo Antonio Fabbrointeressando Lorenzo Grimani Inquisitore di Stato che ottenne dal Senato di allontanarlo dallo Studio Padovano; e solo nel 1772 si arrese alla morte nella villa di famiglia di Treville venendo poi sepolto nella Cattedrale della stessa Padova … Altro che vecchietto il Priuli !
In chiesa di Santa Sofia al tempo di Prè Andrea Sturioni Procurator del Capitolo della chiesa, con i contributi dei fedeli, della Schola di San Francesco di Paola, e degli artisti Andrea Tiralli e Iseppo Torretti che offrirono: 15,10 e 6 ducati, si provvide a finanziare la costruzione di un nuovo organo “a sette registri, con ripieno, pifferi, voce umana, flauto, cornetta e duodecima …” commissionandolo al Prete organaro Pietro Nacchic (ossia Nacchini) ... Nel 1730 il Piovan di Santa Sofia litigò parecchio con la famiglia Sandei e con la Schola del Santissimo per l’uso di un locale attiguo alla chiesa usato come magazzino … Nove anni dopo Benedetto Marcello che era molto affezionato alla Contrada scrisse numerose composizioni liturgiche musicali per la sua chiesa e il suo Piovano Prè Antonio Capretta… Nel 1741 il solito Capitolo dei Preti di Santa Sofia dopo aver ampliato la Sacrestia a spese dei Nobili Morelli e della Schola de Depintori, deliberò di: “… supplire alle gravose spese nell'incontro dell’escavazione delle Arche riservate ai Preti Titolati sepolti in chiesa destinando a tale scopo una quota dei proventi derivati dai funerali celebrati in Santa Sofia … Per deposito dunque di tal Cassa il Capitolo commise al Reverendo Procuratore pro tempore che nell'incontro di tumulazione d'adulti in chiesa debba dall'offerto ducato per arca estraer la metà, cioé lire 3.2, e similmente dall'offerta degli “Anzoletti” sepolti in chiesa levar lire 2 e registrarle nel capitolar libro e debbasi dal reverendo procurator suddetto custodire tal annuo provento sino all'occorrenza della necessaria escavazione e supplir possi alle minute annue spese ch'insorgono per il governo e riparo delle suddette arche.”
A fine secolo Pietro Priuli possedeva una fabbrica a Selvana, e rendite a Porcia e a Rorai in Friuli… S’erano completati i lavori del Palazzo dei Priuli di San Geremia a cura di Andrea Tirali discostandosi dalla classica moda di copiare le antiche architetture Greche … I Priuli del Ramo di San Geremia erano stati un ramo povero del Casato ma di antica nobiltà, ma da quando acquisirono dai Pesarol’eredità di un palazzo nel Rio di Cannaregio s’impegnarono in tutta una serie d’imponenti acquisizioni immobiliari sparse in tutta Venezia assumendo grande prestigio fra tutti. Marc’Antonio Priuli divenne un grande Senatore della Serenissima Repubblica, e sposò la sorella del celebre Pietro Basadonna: “… il più scaltro e raffinato cortigiano che cammini il Palazzo, onde lo chiamano: “Fia mia”, che è molto più che puttana vecchia … il suo giudizio non è grande, ma politico e cortigianesco …”
L’ultimo giorno di febbraio 1760 la chiesa della Contrada di Santa Sofia di Venezia prese fuoco ma venne subito restaurata rifacendola con un nuovo organo (1773)… Nel luglio dello stesso anno Bortolo Scuri gestiva una Malvasia in Contrada di Santa Sofia per la quale pagava una rata mensile di 20 soldi al Fiscal, 20 soldi al Nodaro e 10 soldi al Fante come rata della tassa annuale che bisognava corrispondere ai Sette Savi alla Mercanzia della Giustizia Nuova ... Durante tutto il secolo la Collegiata di Santa Sofia versò e registrò in Zecca capitali obbligati legati a Mansionarie, Anniversari e Legati lasciati a Santa Sofia ottenendone “Pro” del 3 % regolarmente riscossi … La stessa Collegiata dei Preti di Santa Sofia vendette la carica d'Esatòr delle Tanse e dei Campatici della città di Verona investendone il capitale in Zezza nel Deposito Novissimo al 3 ½ % d’interesse; e investì altri 650 ducati provenienti dalla Mansionaria della quondam Perina Balduin nella Schola Granda di San Marco.
Contemporaneamente sempre lo stesso Capitolo dei Preti di Santa Sofia riscuoteva “Livelli da Schole e Suffragi”ospitati in chiesa; incassava soldi da numerosi “Livelli, Mansionarie, Legati, Anniversari ed Esposizione del Santissimo celebrati in cièsa”; possedeva e gestiva “n° 8 Case e caxette in Sant'Eufemia della Zuecca …”; era proprietario di beni, 57 campi e chiusure dati a livello annuo di frumento e onoranze a coloni della Villa-Borgo di Zero nella Podesteria di Mestre. (Come già vi ho detto, questi ultimi beni erano stati ceduti per testamento ai Preti di Santa Sofia di Venezia da Lorenzo Macaruffo, e il Capitolo non si risparmiò di litigare per la loro gestione, per alcuni danni subiti, e per la vendita con le famiglie Celeghin e Gasparini, con Francesco Castrato, e col NobilHomo Ser Nicolò Pizza dal 1393 al 1784 ! … Per 4 secoli ! … Che ve ne pare ?)
Tutte le rendite del Capitolo dei Preti di Santa Sofia venivano accuratamente registrate nei “Libri Cassa” di Santa Sofia, e finivano in un unico “Partidòr” che veniva poi spartito fra i componenti del Capitolo secondo il grado della “Dignità Titolare” di cui ciascun Prete godeva il beneficio … Nel 1776 celebravano in Santa Sofia ben 45 Preti che per la maggior parte abitavano nei pressi della chiesa: molti provenivano ed erano originari da Como, alcuni da Piacenza, Scio, Avellino, Concordia, Giarre in Sicilia, Aleria in Corsica, Padova, Belluno, Brescia, Modena, Bergamo, Arbe, Bologna: 24 avevano più di quarant’anni, e undici avevano superato la sessantina: … “un piccolo esercito di celebranti che si occupava in pianta stabile e come Api sul Miele di un succulento patrimonio e giro di Messe” ... Fin dal 1300 i Veneziani erano consueti a recarsi in pellegrinaggio fino al Santuario di Sant’Osvaldo a Sauris di Sotto in Friuli, e avevano costruito a Venezia in Santa Sofia un altare dedicato a quel Santo. Nel 1752 i Preti Luzzana e Trognon di Santa Sofiapensarono bene d’incrementare quell’antica devozione istituendo a Venezia una Schola o Compagnia di Sant’Osvaldo. L’idea piacque a quelli della Contrada ed ebbe successo venendo approvata anche dal Consiglio dei Dieci nell’anno seguente. Dieci anni dopo la Schola di Sant’Osvaldo contava ben 250 associati iscritti fra cui 43 Religiosi, 2 Monache, 100 uomini fra cui c’erano anche dei Nobili, e 200 donne fra le quali c’erano anche alcune Nobili Dame.
Nell’ultimo quarto del 1700 nel Confinio di Santa Sofia risiedevano 555 famiglie Veneziane con 904 uomini fra 14 e 60 anni: considerati abili al lavoro. In Contrada poi abitavano anche 11 famiglie Nobili che non lavoravano e vivevano solo di rendita rappresentando il 36% dell’intera popolazione della Contrada che contava 2.535 persone in tutto. 64 erano i Cittadini, 480 gli Artieri, 53 i Religiosie i Preti, 799 le Donne di cui 98 lavoravano come Servepresso i Nobili … I Putti fino ai 18 anni erano: 416, mentre le Putteerano: 393; gli Uomini sino ai 50 anni: 631, sopra i 50 anni: 181 … C’erano inoltre presenti: 50 Forestieri, 62 Servitori de Casàda, 20 Gondolecon altrettanti Barcaroli, e 2.090 “Aneme da Comuniòn”… Nel ministero di Piovano in Parrocchia e Contrada, a Prè Collauto seguì Prè Martino Ortolaniche era abile Predicatore Quaresimalista, autore del trattatello: “Il Libro del Cristiano ossia l’uso del Crocefisso”, e capace di radunare a casa sua un’Accademia Ecclesiastica che studiava la Scrittura a cui partecipava anche il Canonico Cicuto Capo Ispettore di tutte le Scuole Pubbliche di Venezia.
Nel dicembre 1787 accadde in Contrada di Santa Sofia un altro fatto insolito: Abram Geremia Calimani di 58 anni, figlio del Rabbino Simone Calimani, ricevette il Battesimo Cristiano-Cattolico alla Pia Casa dei Catecumeni nel Sestiere di Dorsoduro dopo aver percorso tutto l’itinerario catecumenale di rito Cattolico. Nell’occasione venne accompagnato dal Nobile Girolamo Ascanio Molin, da Francesco Ballarin, e dal suo Piovano di Santa Sofia: ossia Don Martino Ortolani di cui vi ho detto poco fa.
In quegli stessi anni i Priuli aggiunsero due Barchesse laterali e un Oratorio dedicato a Sant’Andrea e alle Sante Elisabetta ed Elena alla loro Villa Signorile di Piove di Sacconel Padovano. Ci misero dentro anche un bel altare barocco intarsiato con marmi policromi … ma vollero che gli spazi interni alla chiesetta fossero ben demarcati e distribuiti per riservare posti “adatti e alti” per i Padroni Nobili e altri “più bassi” per la semplice servitù. (La villa verrà utilizzata come ospedale militare durante la terza guerra d’indipendenza, mentre durante la prima guerra mondiale fu alloggio di sfollati, magazzino e sede del Comando Tedesco. Venne incendiata nel 1940, ma dal 1957 venne nuovamente adibita ad uffici e magazzino di tabacchi)… Nel 1772 le proprietà più consistenti di Nicolò Tron(uno degli ultimi boss dell’antica Serenissima) vennero intestate a Loredana Tron moglie di Antonio Priuli che possedeva 100 ettari a Gambararee 355 ettari a Cà Tron a Musestre… Cinque anni dopo Elena Querini nelle sue lettere ricordava che due dame veneziane furono costrette a ritirarsi in casa per comando pubblico. Avevano trasgredito al decreto che impediva di andare a teatro senza maschera ed abito confacente allo stato nobiliare. Secondo le voci che circolavano per Venezia, le due donne apparivano spesso a teatro: “… vestite con la massima indecenza ed ornate a capriccio …”
Le due Nobildonne erano una Priuli nata Labia ed una Toderini nata Bon… Nel 1781, invece, l’Accademia dei Nobili della Giudecca presentò una supplica alla Quarantia Civil Vecchia lamentando il mancato introito di 200 ducati annui dovuto per testamento del 1623, da parte della NobilDonna Anna Maria Priuli a cui erano pervenute le sostanze del NobilHomo Ottaviano Bon ... A fine 1700 nella Terra del Friuli esistevano le piccole proprietà di 100-200 ettari delle famiglie Friulane dei Sbruglio, Valentinis, Asquini, Girardis e Fabris che affidavano a fattori la gestione le loro tenute. La maggior parte delle terre Friulane appartenevano però a 3 Famiglie Nobili Veneziane: i Riva, i Priulie i Morosiniche da sole possedevano 2.345 ettari ossia il 34,6% dell’intera superficie catastatica del Friuli.
Nel 1789 nella chiesa di Santa Sofia venne fondata la Compagnia dei Morti per volontà dei Veneziani della Contrada e soprattutto grazie al generoso contributo di Antonio Sgualdini venditore di pentole. La Compagnia si preoccupava soprattutto di far celebrare ogni anno tutta una serie di Messe per i Morti di cui il Sacrestano di Santa Sofia rilasciava quietanza di pagamento al Cassièr della Compagnia dei Morti registrando tutto puntualmente in appositi registri ... Se si voleva celebrare Messe per i Morti nei giorni festivi bisognava pagare un apposito supplemento … Nel 1794 divenne Piovano di Santa Sofia Prè Giovanni Capretta, poeta Bernesco e autore del poema: “Il Mondo della Luna” scritto quando fu costretto a riposo a causa della “Podàgra”mentre era Parroco a San Nicolò di Barbuggio nel Polesine. In Santa Sofia di Venezia fondò l’Accademia dei Sofronomi che nel 1803 si fuse con la famosa Accademia Veneta e Letteraria di Santa Apollonia.
E siamo finalmente al 1800 … Era ora direte !
Nei primi anni del secolo Bartolomeo IV Priuli ereditò tutto l’ingente patrimonio dei Nobili Priuli “che avevano continuato a fare alto e basso nella Contrada di Santa Sofia alla maniera che sapevano fare i Nobili”… All’ultima Visita Pastorale del Patriarca Flangini prima della “tempesta napoleonica”, quando ancora il Fornaio Martino Gattiebbe il coraggio di far fabbricare in Calle del Forno in Contrada di Santa Sofia un Oratorio-Anconeta dedicato alla Natività di Maria e a San Roccocollocandovi dentro un vecchio Capitélo di legno molto venerato dai devoti della Contrada … Nelle congiunte Contrade di Santa Sofia e Santa Caterina si contavano 3.500 abitanti soprattutto Veneziani ... Nei pressi di Santa Sofia era attiva la Spezieria da Medicine “Ai due Persici”, e operava in pianta stabile una levatrice ... Fra i tanti fedeli e devoti che risiedevano in Contrada si annotava e segnalava un solo impenitente, e un solo concubinario: Gabriele Piazza che era: “oscuro Professore Alchimista e uomo di cattivo nome”.
Intorno alla chiesa di Santa Sofia ruotava ancora la vita e l’attività di 22 Preti fra i quali c’erano anche un Napoletanoe un Trevisano… Si teneva e insegnava la Dottrina Cristiana per le Putte nella chiesa di Santa Caterina che era “assai ben frequentata” … e il Piovano possedeva una rendita di 1.250 lire annuali provenienti per 202,14 ducati dall’affitto di 2 case e 7 botteghe a Venezia, e da alcuni livelli e da 1 quarto d’affitto di vari campi in Terraferma.
Gli altri titolati della Collegiata di Santa Sofia possedevano come entrate: il Primo Prete 109 ducati con spese di 34 ducati; il Secondo Prete 87 ducati con spese di 32 ducati; il Terzo Prete 85 ducati con spese di 30 ducati; il Diacono 123 lire nette; e il Suddiacono 98 lire nette ... Uno soltanto dei Preti: Don Bagolìn, era dedito al vino e in certe occasioni faceva chiasso in Sacrestia: “… Prete indiscreto, torpido e intrigante”dicevano di lui i suoi colleghi Preti, “Vuole soggiornare senza permesso e gratis a Zero nel villino rovinato dall’invasione dei Francesi e destinato alla famiglia del Procuratore del Capitolo di Santa Sofia e a spese di codesto …”
In chiesa dove si predicava tutto l’anno, si celebravano l’Ottavario dei Morti, e i Vespri tutte le domeniche eccetto che nella stagione invernale … Nel solo 1802 si celebrarono ben 810 Messe da Funerale, altre 5.000 vecchie Messe perpetue finanziate da antichi testamenti risalenti ancora al 1600 e 1700; 32 fra Esequiali e Anniversari, e altre 1.000 Messe avventizie “ordinate al momento”.
Giunti i Francesi a Venezia, nel 1810 tutte le pale d’altare di Santa Sofia compresa l’“Ultima Cena” di Paolo Veronese(trasportata alla Pinacoteca di Brera di Milano), e le portelle d’organo del Palma(finite prima in Seminario e poi all’Accademia) vennero prese e portate via insieme ai paramenti liturgici, le suppellettili di chiesa e ogni altro arredo di valore. La Municipalità Provvisoria requisì argenterie in Santa Sofia per un valore di 472,3 ducati, il Capitolo dei Preti e il territorio della Contrada vennero annessi a quelli di San Felice e Santi Apostoli, e la chiesa di Santa Sofia venne venduta dal Regio Governo a degli imprenditori Ebrei che ne fecero magazzino di sabbia chiudendo molte delle 16 finestre, e vendendo il pavimento alla vicina chiesa della Maddalena… Il 30 aprile 1812 il Governo comunicò al Patriarca di Venezia: “… essendo mancato ai vivi il Parroco di Sant’Ermagora e Fortunato (San Marcuola), ed essendo stato sostituito al medesimo il Parroco della riunita chiesa di Santa Sofia che porta con se la congrua di lire 276, ed essendovi la circostanza che la parrocchia di Sant’Ermagora non ha che la rendita fondiaria di lire 107,6, propongo d’investire definitivamente il Parroco di entrambe le rendite perché passino a suoi successori come congrua stabile di Sant’Ermagora e Fortunato…”
Furono le ultime schermaglie giuridico-economiche del nuovo Governo di Venezia circa la chiesa di Santa Sofia … Nel gennaio 1815 il Locale della chiesa di Santa Sofia in Venezia e annessi vennero inclusi nella “Lista delle vigne, orti, beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezia nei giorni d’asta 12 e 16 febbraio seguenti”… Prè Giovanni Bellomo ex Prete di Santa Sofia, Letterato e Professore di Storia e Filosofia inneggiò prima a favore “della nuova idea Francese”, poi fu prontissimo a cantare la vittoria dell’Austria su napoleone esaltando l’arrivo a Venezia del Patriarca Milesi e dell’Imperatore Francesco I°(come sempre la Chiesa si schierava dalla parte del più forte e di chi le conveniva di più)… Nel 1817 l’ex Capitolo soppresso di Santa Sofia possedeva ancora alcuni stabili dall’affitto non pagato, alcuni fondi posseduti da beneficiati defunti, qualche bene in terreni a Zero che le procurava una rendita annuale di 285,51 lire, e una Vigna a Malamocco di proprietà del defunto Parroco di San Giovanni Crisostomo che rendeva lire 70,01 annue … Alla Visita del Patriarca Pirker esistevano ancora in circolazione 20 abiti della Madonna di Santa Sofia, e 5 vesti e 3 faccioli per vestire “la Madonna in piedi”, e perfino “una statua di Sant’Osvaldo vestito” … mentre nel 1823 l’organo di Santa Sofia costruito dal Callido venne trasportato a Sant’Antonio di Pellestrina dove si trova tuttora ... Infine nel 1834-36: Giovanni Battista Rebellini impiegato del Lotto e nipote di un Padre Somasco ricomprò gli edifici di Santa Sofia per 3.500 lire Austriache contanti (secondo una voce maligna anonima: “… quei soldi erano stati frodati al Banco del Lotto”).
Santa Sofia venne perciò restaurata: si portarono via burci su burci di macerie, si raccolsero numerose offerte dai fedeli e da ex Sacerdoti della stessa chiesa come Prè Antivari e Prè Avon (6.152 lire Autriache in tutto). La famiglia Zoppetti pagò il restauro di un muro, altri ridussero per motivi statici e restaurarono il tozzo e ora sproporzionato campanile collocandovi una formella di Sant’Antonio Abate recuperata in chiesa … Si rifece il pavimento in cotto e un nuovo altare con i rimasugli di quegli vecchi andati distrutti, e si posero sopra due statue di “San Luca e Sant’Andrea”offerte dalla Famiglia Colombo che le aveva recuperate dall’incendiata e distrutta chiesa di Santa Maria dei Servi di Cannaregioche sorgeva non molto lontano da Santa Sofia.
Si regalarono nuove argenterie, Messali, candelieri d‘ottone, sete, banchi e quadri perchè tutto l’arredo originario era andato perduto … L’impresario Veneziano Varetton donò un paio di busti, un lavello in marmo per la Sacrestia, finanziò il restauro delle Cappelle laterali e la ridipintura della navata principale con aggiunta di affreschi e stucchi ... Un certo Barbison regalò un Crocifisso che venne collocato sull’Altare Maggiore … la Famiglia Dal Senno offrì due tele della Scuola di Leandro Bassano: “L’Adorazione dei Magi” e un “Cristo deriso”… il restauratore Antonio Florian diede un quadro con “San Carlo Borromeo”… Maddalena Berardi da Venezia mise a disposizione una pala realizzata dal Vicentino Giambattista Maganza con: “La Vergine, Santa Veneranda e Sant’Antonio da Padova” che venne riadattata a un altare tagliandola in tre pezzi ... E dopo aver speso 6.288,87 lire si fece finalmente ribenedire la chiesa dal Patriarca Jacopo Monego riaprendola al culto.
Il Rebellini per completare l’opera destinò per il mantenimento della chiesa uno stabile di sua proprietà che avrebbe dovuto procurare una rendita annuale di 130 lire. Santa Sofia venne perciò restituita ai fedeli della Contrada che non esisteva più, come Oratorio di San Felice e con l’onere di mantenerla aperta pena il passaggio dell’edificio in libero uso agli eredi dello stesso Rebellini.
Nel maggio 1792 nacque a Venezia Marc’Antonio Secondo Nicolò Priuli. Educato nel Seminario di San Cipriano di Murano, socio dell’Ateneo Veneto, fra gli “Scienziati Italiani” nel 1847, fu sostanzialmente un uomo moderato e di mediazione. Come Assessore Municipale di Venezias’impegnò con Pietro Du Bois, Pietro Bigaglia e il Podestà Domenico Morosini fra 1828 e 1831 per ottenere dall’imperatore Francesco I il Porto Franco di Venezia, e con Daniele Manin, Leone Pincherle, Valentino Pasini, Gian Francesco Avesani, Agostino Sagredo e il Podestà Giovanni Correr fu protagonista del biennio del Risorgimento Veneziano nel 1848-49.
Insieme all’Abate Pietro Canal, suggerì ai Veneziani che era meglio arrendersi e non resistere all’Austria perché ne avrebbe subito le ritorsioni. Per questa sua posizione centinaia di Veneziani andarono a manifestare violentemente sotto Palazzo Priuli, ma quando Venezia capitolò all’Austria lo scelsero con Manin, il Patriarca Jacopo Monico, il Podestà Correr, il Principe Giuseppe Giovanelli, Giacomo Treves de’ Bonfili ed Edoardo Becker per trattare con gli Austriaci.
Priuli si recò in delegazione a Viennasottomettendosi all’Imperatore e provò a convincerlo a non essere punitivo con Venezia confermandole il privilegio del Porto Franco. L’Imperatore stizzito con Venezia per le spese di guerra inizialmente non accettò la proposta, ma si ricredette nel 1851 proprio per le insistenze dello stesso Marc’Antonio Priuli che nominò Cavaliere di terza classe dell’Ordine Austriaco della Corona Ferrea. Il Priuli però rifiutò la candidatura a Podestà di Venezia, e nel biennio rivoluzionario e fino agli ultimi momenti della sua vita, dedicò energie e sostegno economico alla diffusione degli Asili dell’Infanzia per le classi popolari sviluppati a Venezia dal 1830 sull’esempio di quelli realizzati a Cremona da Ferrante Aporti.
Marc’Antonio Priuli morì a Venezia l’11 febbraio 1854, senza lasciare eredi chiudendo così l’ennesima pagina dell’antica saga dei Priuli che fra 1843 e 1874 possedevano ancora terre a Meolo, Dolo, Vigodarzeree nel Polesine, oltre che una tenuta di 850 ettari a Turriaco di Monfalcone.
Ancora nel 1853 nella chiesa di Santa Sofia “dove pioveva dentro”, si continuava a celebrare pratiche devozionali come la Via Crucis, e ogni Martedì Santo si andava ad esporre fino a mezzogiorno le Reliquie della Passione impartendo una solenne benedizione finale per i pochi fedeli dell’ex Contrada rimasti che continuavano a presenziare a quei riti. La chiesa aveva più che mai bisogno di restauri urgenti per i quali Don Epis Parroco di San Felice chiese aiuto al Governo in quanto l’edificio lasciato dal vecchio Rebellini(andato in fallimento) non era sufficiente al mantenimento della chiesa che sopravviveva grazie alle sole elemosine dei fedeli (lo stabile del Rebellini messo a disposizione di Santa Sofia era sito a San Sebastiano. In realtà era gravato da numerose ipoteche, e non venne mai donato veramente e giuridicamente alla chiesa).
Nel 1872 si provvide a realizzare e aprire “la Strada Nuova” che congiungeva Rialto con la Stazione Ferroviaria attraversando tutto il Sestiere di Cannaregio … Il Rettore di Santa Sofia: Don Missiaglia fece riattare la chiesa rifacendo l’atrio-ingresso e altercò non poco col vecchio Rebellini in quanto il Prete-Piovano aveva già ceduto al Comune parte del fondo dalla chiesa per ottenere dei finanziamenti per i restauri, e intendeva anche vendere qualche opera d’Arte e un paio di campane di Santa Sofia. Il vecchio che aveva salvato la chiesa dalla rovina e dalla demolizione non voleva saperne di quelle manovre.
“Sono io il padrone qua dèntro … e fuori della porta vedo lo stemma di sua Eminenza il Patriarca e non il suo …” gli ribadì storicamente Don Missiaglia furente. Non fu di certo riconoscente con quell’anziano donatore che di fatto salvò Santa Sofia.
Nella Visita Pastorale del Patriarca Cavallari del 1907, su Santa Sofia si scrisse: “Nulla di rilevante.”… Nel 1911 il Piovano di San Felice Monsignor Luigi D'Este realizzò il Patronato di Santa Sofia nei locali semiabbandonati della chiesa … Alla Visita Pastorale del 1919 col Patriarca La Fontaine si richiamò la necessità di rinnovare gli arredi, gli abiti liturgici, i Confessionali, d’indorare la porticina del Tabernacolo, rimuovere i fiori di cartapesta polverosi e smunti messi in giro per la chiesa, e rimediare alle tovaglie degli altari incartapecorite e pregne d’umidità ... I Patriarchi Piazza (1945) e Agostini(1951) di fatto non aggiunsero altro di significativo … e siamo ai giorni nostri: Santa Sofia non è più quella di un tempo ... così com’è cambiata quasi del tutto la vita di quelli della sua Contrada, di tutti i Veneziani, di Venezia e di tutto il resto.
E’ rimasta soltanto la Storiaa volte inseguita e frequentata da pochi curiosi ... come te che sei riuscito a leggere fino a qui le mie forse noiose parole.
“La Contrada de San Zàn Degolà … una cièsa inbusàda.”
#unacuriositàvenezianapervolta 212
“La Contrada de San Zàn Degolà … una cièsa inbusàda.”
Sia che la raggiungi dalla parte della Salizada del Traghetto e del Fontego dei Turchi e per Calle dei Preti, che percorrendo il Ramo, Ponte, Sottoportego, Calle, Fondamenta del Megio dove sorgeva l’omonimo Fontego, e poi le curve e controcurve delle callette buie e strette di Calle del Capitello e Calle del Spezièr… Anche giungendo dall’altra parte ancora: ossia dal Ponte di Calle Bembo, il Campo di San Zàn Degolà, cuore dell’omonima Contrada, ti appare davanti all’ultimo momento quasi sorprendendoti. Sembra proprio un gioiellino, un bijoux nascosto, avvolto nel portagioie delle case e dei palazzi di quella minuscola e recondita parte di Venezia. San Zàn Degolà è stata una Contrada di Venezia davvero mignon.
Dentro a un pomeriggio tiepido e dalla luce soffusa, le ho riviste e rivisitate di recente sia l’ex Contrada che la chiesetta di San Zàn Degolà(ossia San Giovanni Decollato) nel Sestiere di Santa Croce. Le case intorno sembravano dipinte a pastello, ed era del tutto deserto il Campo di San Zàn Degolà. C’era solo una giovane donna biondissima dell’Est, che con un abito lungo fino a terra, e un fazzolettone variopinto alzato sopra alla testa, si è fermata compostissima giusto davanti all’entrata della chiesetta segnandosi la fronte “alla greca”, e chinando devotamente la testa prima d’entrare lentamente … L’atmosfera sembrava d’altri tempi.
Da quando è stata riaperta, infatti, la chiesa di San Giovanni Decollato è stata affidata per darle un po’ di vitalità alla Comunità degli Ortodossi Russi che vivono a Venezia e dintorni.
Entrando appunto all’interno, ho trovato un austero Pope Ortodosso grigiovestito e dal barbone rossiccio, elegantissimo nella sua uniforme nuova fiammante ... La nuova Iconostasi collocata sul Presbiterio, il Luogo invalicabile del Sacro distinto dall’aula dei Fedeli comuni mortali, non s’accorda affatto con le vecchie sembianze della chiesa: stona un poco, è troppo sfacciatamente colorata e dorata, le manca il sapore d’antico … Ma per gli Ortodossi deve essere così: di Dio si può vedere solo l’Icona, percepirne lo sguardo, avvertirne solo l’alito invisibile luminoso, dorato e misterioso. Niente di più.
Sostandovi dentro, pur non essendoci Battistero, Cripta, e neanche il Portico antistante spazzato via perchè forse luogo dei soliti improprio “bàgoli notturni Veneziani”, si percepisce tuttavia quell’atmosfera tipica Bizzantina e Battesimale di Torcello, con gli affreschi alle pareti (che non ci sono più) che raccontano “Storie”, e l’orientamento dell’edificio verso est: luogo della Luce, del Sole Oriens richiamo esplicito al Cristo Lux Vitae et Mundi.
“Le Suore che se ne sono andate via dopo decenni di gestione di San Zàn Degolà, si sono portate via anche la luce del Sole … Non hanno lasciato dentro nulla.”, mi ha raccontato di recente con un po’ d’ironia un Prete navigato Veneziano che vive e opera proprio lì, poco distante,“Se avessero potuto si sarebbero portate dietro perfino i moccoli consumati delle candele … Hanno asportato e portato con se qualsiasi cosa, comprese alcune che appartenevano da sempre all’antica Contrada Veneziana … Hanno fatto un bel repulisti in stile napoleonico … E’ rimasto solo il nome di San Zan Degolà, che suona rotondo quasi come uno scioglilingua … Lo senti ? … San Zàn Degolà … è proprio Veneziano puro.”
Pur affacciandosi sul Canal Grande di fronte alla vispissima Contrada di San Marcuola, e poco distante dal Fondaco dei Turchi (che meriterebbe lunga considerazione a parte), quella di San Zàn Degolà è stata sempre una fra le Contrade più discoste, piccole, amene, recondite e semisconosciute di Venezia ... E’ sempre sembrata un frammento poco significante di Venezia, non c’erano altisonanti Monasteri in zona, ma vi abitavano diversi Nobili illustri come i Donà di San Zan Degolà“Mercanti di carisèe in Siria” considerati “di casa grande o Ducali” ossia fra i 15 casati più ricchi di Venezia. Furono: Senatori, Ambasciatori, Patriarchi di Aquileia e Venezia, e proprietari di grandi feudi e possedimenti nella Terraferma Veneta e oltre.
Sempre nella stessa Contrada di San Zàn Degolà, abitavano anche altri Nobili illustri come i Foscarini-Giovannelli, e i Gidoni-Bembo-Valier di San Zan Degolà che erano un Casato di II Classe legatissimo ai potenti Nobili Labia, Priuli, Tiepolo, Loredan e Corner con i quali vantavano anche debiti personali. Se da una parte erano un gruppetto, un clan di Nobili religiosi e devoti al Papa e alla sua Santa Sede, dall’altra: Valier, Dolfin e Correr erano famosi a Venezia perchè pagavano le multe dovute al rifiuto della Cariche Pubbliche col denaro vinto al gioco d’azzardo di cui erano entusiasti interpreti. I Valier possedevano grandi terreni, campi, foli da lana e mulini a Malcontenta, Borbiago e Sant’Ilario di Fusina, come a Musestre e Meolo nella così detta: Zosagna di Sotto Trevigiana, e a Monastier dove fecero rompere i pubblici argini del fiume Meolo per far funzionare i propri mulini.
A San Zàn Degolà non mancarono d’abitare neppure i Marcello, che erano Nobili fin dal 1297 appartenenti alla fazione dei “Curti o di Casa Nuova o Ducali”, grandi latifondisti dediti alla Merchandia a Constanopoli e Trebisonda, amicissimi per matrimoni e consanguineità, e alleati in Maggior Consiglio con i Longo, Dandolo, Bemboe Bragadin. Le cronache cittadine raccontano che ciascuno di loro sapeva di poter contare incondizionatamente sull’appoggio degli altri in qualsiasi momento. I Marcello erano legati da vincoli sponsali con i Toderini aggregati alla nobiltà veneziana “per soldo” al tempo della Guerra di Morea. Erano una famiglia di Notai prestigiosi, con Villa a Codognè di Treviso… Una Toderini fu famosa perché: “… appariva spesso a teatro …vestita con la massima indecenza ed ornata a capriccio, senza maschera, né abito confacente …” Fu costretta a ritirarsi in casa in applicazione di un pubblico decreto della Serenissima.
C’erano infine, i Nobili Venier, che possedevano un palazzo proprio a destra della chiesa di San Zàn Degolà. Lì abitò il Doge Antonio Venier: “uomo giusto e severo, incorruttibile e rigidissimo, chiamato Antoniazzo dai Veneziani”. Al tempo in cui fu Doge (1382-1400), suo figlio, lo scapestrato Alvise, amico di Marco Loredan, fu autore nel 1388 dell’affissione di alcune corna d’animale sulla casa del Patrizio Dalle Boccole in Contrada di Santa Ternita a Castello. Le aveva accompagnate con scritte volgari nei confronti della moglie del Nobile che aveva più volte spudoratamente violato, e già che c’era aveva offeso pure la suocera e la sorella con epiteti improponibili. Entrambi i giovani vennero condannati a due mesi di carcere duro nei Pozzi di Palazzo Ducale, le famose prigioni umide a livello d’acqua, dove Alvise si ammalò. Il Doge Venier fu irremovibile: non volle esprimere clemenza verso suo figlio nonostante le numerose suppliche di familiari, amici e conoscenti, e lo lasciò morire miseramente in prigione. Si dice che lo stupendo affresco di San Michele: Arcangelo della Morte e della Giustizia raffigurato in San Zàn Degolà, sia stato voluto e commissionato proprio dallo stesso Doge Venier per ricordare quel suo grande evento-dolore familiare.Andatelo a vedere ! … E’ singolare collegare l’aspetto così singolare di quell’Arcangelo della Morte col così tragico destino (forse storico) di quel padre che fatalità era anche Doge.
E’ interessantissimo notare leggendo fra le pieghe storico-artistiche e i segni rimasti, la presenza del Culto dell’Arcangelo Michele a Venezia e in San Zàn Degolà. Come sapete meglio di me, il Culto Michaelico dell’Arcangelo“Principe degli Spiriti Celesti … Contra insidias Diaboli, e contro gli Spiriti Maligni che vagano nel mondo per la rovina delle Anime” ha interessato l’Europa Medioevale intera lungo la “Via dell’Angelo” che va da Mont Saint Michel in Francia fino al Santuario dell’Angelo sul Gargano in Puglia. Anche i Veneziani furono partecipi di quella sensibilità Michaelica collegata inoltre al Suffragio e Culto dei Morti, e all’Apocalittico Giudizio Finale(pensata all’isola di San Michele, alla Contrada di Sant’Anzolo, a San Michele del Quarto ...o più semplicemente alla Pala d’Oro di San Marco dove non è mancato d’essere raffigurato l’Arcangelo Michele.)
Accanto all’Arcangelo, è altrettanto bella poi la serie degli affreschi del 1200 rinvenuti quasi casualmente durante i restauri del 1942-1945 restaurando la Cappella del Crocefisso. Soprattutto la splendida “Annunciazione” staccata nel 1974 per portarla alla celebre mostra “Venezia e Bisanzio”, ma anche gli “Evangelisti” della stupenda volta dipinta sul soffitto a crociera, e la “Sant’Elena e Santi”(Elena fu l’Imperatrice, la Scopritrice della Vera Croce, nonché la moglie di Costanzo Cloro e madre di Costantino il Grande, quello dell’editto, il regolatore del Cristianesimo).
I primi documenti di San Zan Degolà risalgono al 1007 … La Contrada, vista la vicinanza, è sempre dipesa come oggi, dalla massiccia vicina San Giacomo dell’Orio o del Luprio, che un po’ ha scandito i destini e dettato il tempo di tutta l’area veneziana rubando la scena alla piccola San Zàn Degolà.Probabilmente “all’inizio”, diciamo circa nel VII-VIII secolo, nelle “piscine o pullarie” di quel che sarebbe diventato il Sestiere di Santa Croce, esisteva forse già un povero Oratorietto di legno dedicato a San ZanDegolà. Fu poi verso il 900-1000, che sorse la chiesa vera e propria ad architettura Veneto-Bizantina, con pianta basilicale a tre navate finanziata forse dai Nobili Venier quando la zona per lo sviluppo dell’asse commerciale Rialto-San Marco con relativo incremento abitativo e produttivo, divenne Contrada e Parrocchia-Collegiata con Capitolo di Preti Secolari affiliata alla Matrice di San Pietro di Castello.
San Zàn Degolàrimase indenne insieme con le vicine: San Stae, San Giovanni Evangelista, San Giacomo dell’Orio, San Tomà, San Polo e Sant’Aponal quando scoppiò il grande incendio nel gennaio 1106 che bruciò e distrusse, invece: Sant’Agostin, Santi Apostoli, San Cassian, Santa Maria Materdomini, Sant’Agata ossia San Boldo e San Stin (San Stefanin)… Nel 1118 assunse ufficialmente la titolazione e dedicazione a San Giovanni Battista Decollato… ma non scappò né si salvò nel 1149, quando furoreggiò un altro nuovo grave incendio che coinvolse ben 13 Contrade Veneziane distruggendo ancora: Santa Maria Materdomini, Sant’Agostin, San Stin, San Basegio, l’Anzolo Raffael, San Nicolò dei Mendicoli, San Boldo, San Stae, San Giacomo dell’Orio, Santa Croce, San Simeon Grande e San Simeon Piccolo. Si salvarono stavolta solo: San Cassiano, San Polo, San Silvestro, San Giovanni Evangelista e Sant’Aponal… Ma tutto venne prontamente riattato e restaurato, come si usava a Venezia in certi secoli, e nel 1171 circa si giunse al riordino urbano e cittadino con la nuova suddivisione di Venezia in Sestieri e Contrade.
Nel primi decenni del secolo seguente, quando al tempo del Piovano Prè Giacomo Viviano la chiesa di San Zàn Degolà pericolante venne a spese dei Nobili Pesaro in gran parte modificata e rifatta, Dominicus Georgius Arciprete della Congregazione dei Preti di San Silvestro e Piovano di San Zan Degolàossia Sancti Iohannis Decollati, fungeva da Notaio nel vicino Emporio di Rialto redigendo l’atto con cui Tommasina moglie di Giacomo Mudaciofece quietanza a Tommaso Viaro del Confinio di San Maurizio di un prestito di lire 125 di Denari Veneti fattogli dal defunto padre per commerciare fino a Cretae sino alla “Muda di Settembre”… Fu ancora lo stesso Prete di San Zàn Degolà nel marzo 1248, e sempre a Rialto, a presenziare come testimone insieme al Notaio Johannes Rolando Prete di San Giovanni di Rialto, al gesto con cui Tommasina vedova di Andrea Dolfin residente già in San Cassiano, e ora in Contrada di San Giovanni Decollato, vendeva per lire 26 di Denaro Veneto a Cecilia Badessa di Santa Margherita di Torcello la metà di un manso sito a Villorba, già di suo marito ... In quegli stessi anni. a ridosso di una Vera da Pozzo decorata a foglie e disegni da cui attingevano tutti quelli della Contrada, sorgeva il vecchio campanile in mezzo al Campo (ora e fin dal 1700, invece, c’è “una mezza canna campanaria” che spunta fuori incorporata e amalgamata sul retro della chiesetta).
Risale all’inizio del 1300, ai tempi forse del Piovano Bonamico, una serie di leggende che interessarono la Contrada di San Zàn Degolà. Una, quella più conosciuta e famosa, fu quella di Biasio o Biagio Luganegher della Contrada, che sembra possedesse un’osteria-taverna proprio in Campo San Zàn Degolà o sulla riva accanto. Doveva essere invidiatissimo dai suoi colleghi per uno speciale “sguazzetto” delizioso che sapeva preparare, fatto di frataglie di carne e verdure … uno spezzatino, insomma, che doveva rendergli parecchio. Fu così che si mise in giro una voce-sospetto che quella “carne tenerella” fosse fin troppo simile a quella morbida dei bambini … E poi fu quasi conseguente, che un bel giorno Marangon Toni finisse col trovare nella sua zuppa qualcosa di molto simile a un dito … Il resto venne da se: denuncia di Biagio alla Quarantia Criminal, tortura, ammissione del reato, decapitazione e squartamento, e perfino casa-osteria rasa al suolo … Un tempo si portava i bambini Veneziani a vedere una sembianza consunta infissa in muro nei pressi del ponte e della chiesa di San zan Degolà. Si diceva: “E’ il volto di Biagio Luganeghèr !”… Un’immagine da brividi per i bimbetti … In realtà, la così detta immagine di Biagio Luganeghèr altro non era che un’antichissima “Testa di San Zan Battista Decollato”, che nel 1968-69 don Boccanegra Vicario di San Zàn Degolà si premurò di far rimuovere e spostare dal pilastro accanto al ponte collocandola su un muro accanto alla chiesa.Sempre a proposito di dita … Un’altra leggenda tradizionale di stampo diverso risalente al tempo del Piovano Vittorio Cottario, racconta della vicenda di un Cavaliere Boemo Pellegrino verso la Terrasanta attraverso Venezia, che venne ricoverato in fin di vita nell’abitazione di un certo Antonio Colonna. Scriveva Flaminio Corner nel 1758 nel suo “Notizie storiche delle Chiese e Monasteri di Venezia e di Torcello”: “Gloriasi questa chiesa di possedere quel dito del suo Titolare col quale indicò ai Giudei il Redentore del Mondo. Ottenne quella preziosa Reliquia un Cavalier Boemo nel corsi dei divoti suoi viaggi per la Palestina, ed arrivato essendo nell’anno 1334 a Venezia colto da grave malattia, e ridotto agli estremi della sua vita, inculcò con premura ad Antonio Colonna, nella cui casa era alloggiato, che dovesse offrir la venerabile Reliquia a qualche chiesa dedicata al Santo Precursore. Era ascritto Antonio ad una Pia Confraternita sotto il titolo di San Giovanni Battista istituita in questa chiesa: perlochè le destinò il Sacro Dono, che con solenne processione dalla di lui casa situata sulla pubblica Piazza di San Marco ad essa fu trasportato …”
Fu così che nel successivo 1341 scappò fuori l’istituzione di una nuova Schola di San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, che in seguito divenne: Schola di San Giovanni Battista dei Forneri di San Zan Degolà… I Forneri erano sempre pronti a festeggiare con Messe, Processioni e candele accese le ricorrenze del 24 giugno, 29 agosto e 27 dicembre rispettivamente: Natività del Battista, Decollazionedello stesso, e Festa dell’Evangelista Giovanni... Come tutte le altre Schole di Venezia, la Mariegola dei Forneri di San Zàn Degolàè piena zeppa d’indicazioni sulle qualità necessarie per potersi iscrivere alla Fraglia, sulle Messe di Suffragio per i Confratelli e le Consorelle per i quali si recitava ogni volta “25 Pater-Ave”, sulla Terza Domenica del Mese “che era ordenàda”… e ricorda curiosamente anche tutta una serie di curiose liti con i troppo numerosi Sonadori della Schola(iscritti di prestigio e con più privilegi) che vennero radiati e ridotti a soli otto: “perchè non compivano il loro dovere”.
La Schola conservava nel suo “Albergo a pianoterra della casa del Piovano verso Cà Morosini” il famoso “Dito-Reliquia del Battista” lasciato dal misterioso Pellegrino Boemo ... Nel 1510 la stessa Schola, che nel frattempo s’era sdoppiata accogliendo anche l’Arte dei Gua Cortellini proveniente dalla Contrada e chiesa di San Geminianoo Ziminiàn (Piazza San Marco) da dove era stata sfrattata, volle ampliare e rinnovare la propria sede, perciò “il Santo Dito” incominciò ad andare a spasso ospite delle case di quelli della Contrada senza tornare più in chiesa … Tanto che nel 1601 i Provveditori da Comun si ritrovarono costretti ad ordinare che la “Reliquia del Battista Zàn Degolà” tornasse sull’altare della sua Schola collocandola in un apposito tabernacolo in marmo.
Anche nel 1677 gli iscritti della Scola dei Forneri e dei Gua Coltelli di San Zan Degolà fecero un certo casino: non volevano pagare una doppia “Tassa di Luminaria”. C’era qualcuno che s’era iscritto contemporaneamente per opportunità a due Schole: quella di San Giovanni Battista e quella dell’Annunziata…. Erano troppi i privilegi e i tornaconti sommati a cui miravano gli iscritti … Dovettero intervenire di nuovo i Provveditori da Comun, che imposero ai “Mistri de Forni o de mezzi forni” di pagare le tasse di entrambe le singole Schole ... pena la radiazione.Nel settembre 1773, invece, quando la statistica delle Arti Cittadine numerava 98 Capimaestri Gua Coltellini, 6 Garzoni e 124 Lavoranti Gua Coltelli attivi in 29 botteghe, 9 posti e 38 inviamenti di Venezia, solo 58 Gua Coltellini erano regolarmente iscritti alla Schola e all’Arte. S’iniziò perciò la procedura di soppressione della Schola perché inadempiente ... Si fece l’Inventario dei beni ricordando ed elencando argenti per 2.334 lire e 15 soldi, alcune opere di scarso valore: ossia 5 piccoli quadretti valutati 6 lire, “una Mariegola schietta”, e un “pennello di pittura (gonfalone processionale decorato)” finiti nelle mani del Nonzolo della chiesa. Il Piovano fu costretto ad imporsi ancora una volta perché la “Reliquia del Santo Dito” di nuovo in partenza rimanesse in chiesa, e perché tutti quegli oggetti non finissero venduti, ma consegnati alla Compagnia del Rosario che continuava le sue devozioni.
Nel 1797 l’Arte dei Gua Coltellinivenne sciolta e soppressa del tutto perché giudicata Arte manifattrice di consumo soggetta a schiavitù e da aprirsi … Quasi incredibilmente e curiosamente però, nel 1961 il Reliquiario del Dito di San Giovanni Battista girava ancora per la chiesa di San Zàn Degolà. Eccone la descrizione in un Inventario di quegli anni: “Reliquia in rame dorato e argento inciso con base esagonale, con tre piastrine con figure di Santi, e nodo a popone. Teca ed edicola esagonale con contrafforti e pinnacoli; cupolino alto cuspidato con croce a fiorami.” … Poi risultò scomparsa del tutto e forse per sempre … Dove andò a finire ?
Fra 1318 3 1320 Andrea Dotto(Padovano o Veneziano ?)era Notaio e Cancelliere Ducale nonchè Piovano di San Zan Degolà ... Poi fece carriera divenendo prima Piovano di San Martino di Castello, e poi venne Vescovo di Chioggia nominato nel 1322 da Giovanni XXII. “Non ancora sazio”, nel 1337 divenne per ben vent’anni Patriarca di Grado nominato da Benedetto XII, conservando ugualmente fino alla morte del 1350 … povero … i benefici e le rendite della Commenda della Parrocchia de San Martin di Venezia in cui non mise più piede neanche una volta.
Nel 1343 Prè Giovanni divenne Piovano di San Zàn Degolà succedendo a Prè Vittorio Danerio. A lui succederà sempre come Piovano tre anni dopo Prè Marco Bruno. Ci fu di certo un pastrocchio interpretativo, un equivoco e una sovrapposizione e confusione di nomi e cognomi circa Prete Giovanni Olim che alcuni classificarono come Olini.
Pasquale Cicogna ricorda: “… trovarsi esso nominato negli antichi documenti come Beato Zuane olim Piovan de San Zuàn Degolado”. Non si chiamava quindi Olim o Olini, perché “olim”in latino significa: “una volta” ... Perciò il Beato Zuane fu “una volta” Piovano di San Zàn Degolà, non si chiamava “Olim” ossia: “Giovanni Una volta”.
Ma queste sono minuzie … Di certo Prè Giovanni Olini dev’essere stato un buon uomo, perché divenne celebre per la sua vita santa, tanto da essere definito Beato. Esistono perfino alcuni racconti sull’ “Invenzione del corpo del Beato Giovanni Olini Pievano di San Giovanni Decollato”, e sui “Miracoli del Beato Giovanni fatti dopo la traslazione del suo corpo incorrotto venerati nella chiesa di San Sebastiano presso il Monastero di San Lorenzo di Castello.”
Nel maggio 1385, Giovanni Grizo o Grazo Piovan di San Zan Degolà venne citato a giudizio perchè inosservante della prassi d’invitare a pranzo nella Parrocchia in occasione della sua elezione a Piovano, tutti i Canonici di San Pietro di Castello pagando loro anche le tre barche per l’andata e ritorno ... Nel marzo 1393, i Giudici del Forestier gestirono una lite fra Marsilio Amici Barcaroloquondam Giovanni da Cefalonia abitante nel Confinio di San Zàn Degolà nelle case dei Davanzago, e Vespasiano Zufolo quondam Marco della stessa Contrada. Amici s’era impegnato a restituire 9 ducati d’oro avuti a prestito dal Zufolo insieme a una barca nuova a titolo gratuito. Come pena per la mancata restituzione, l’Amici dovette portare a spasso lo Zufolo la sera “fino alla seconda campana di notte”a suo piacimento per 18 mesi, inoltre venne condannato a pagare 16 ducati d’oro, e le spese di giudizio, o in alternativa subire il carcere in qualsiasi luogo si trovasse.
Negli anni seguenti si susseguirono ancora nella carica di Piovano di San Zàn Degolà: Prè Antonio Spinello, sostituito nel 1416 da Prè Antonio Federico, nel 1420 da Prè Antonio Rovella, e da Prè Marco Alberto nel 1426. San Zàn si confermò essere un buon trampolino di lancio per la carriera ecclesiastica, perché Prè Marco De Gusmieri, celeberrimo Giurisperito e Notaio, già Piovano a Santa Croce del Luprio, venne trasferito a San Zàn Degolà da dove passò poi a San Giacomo dell’Orio, divenendo poi Vescovo di Napoli di Romania in Morea. Morì a Venezia nel 1476 venendo sepolto a Sant’Andrea della Zirada per essere stato più volte Confessore di quelle Monache, ed aver assistito in qualità di Notaio più volte ai loro Capitoli, compresa l’elezione a Priora di Tommasina Giustiniani nel 1448.
Giusto nel novembre dell’anno seguente, alcune devote persone della contrada di San Giovanni Decollato decisero di erigere in chiesa un nuovo altare e una Schola “col levar Pennello et Insegna come fanno le altre Schole simili di Venezia” dedicandoli ai Santi Sebastiano e Flaviano: Santi difensori dalla Peste…
Nel 1452 Prè Benedetto De Smeritivenne eletto Piovano di San Zàn Degolà sostituito nel 1464 da Prè Domenico Nigro nell’anno in cui Gregorio Correr si fece Monaco a San Giorgio in Alga prima di divenire poi Patriarca … Nel 1477 i Turchisi affacciarono in Friuli compiendo diverse incursioni e scorrerie … Tre anni dopo Prè Francesco Nigro divenne Piovano di San Zàn Degolà, proprio quando scoppiò la Guerra del Polesine fra Venezia e il Duca di Ferrara Ercole I° d’Este, detta “Guerra del Sale di Comacchio” che si trascinò fino al 1484 ... Tre anni dopo ancora, venne pubblicato il famoso “Malleus Maleficorum” che insieme alle bolle Papali di Innocenzo VIII diedero inizio alla caccia e persecuzione ai fantasmi delle Streghe e dei Maghi, Erbaroli e Magòni che tanto infierirono su povere donne e uomini rei di niente, se non di tentare di campare in qualche maniera ... Nel 1492 si scoprì e aprì la strada delle Americherivoluzionando e abbacchiando gli affari economici e marittimi della Serenissima … il Frate Domenicano Ser Tommaso Donà divenne Patriarca di Venezia, e Prè Giorgio de Spatari Piovano di San Zàn Degolà succeduto tre anni dopo da Prè Biagio de Leoni.E siamo così giunti alla vicenda strampalata forse inscenata da un Prete pazzoide di San Zàn Degolà.
Gli Inquisitori di Stato interrogarono e torturarono Prè Francesco ritenuto l’ultima persona ad uscire da Cà Morosini e a vedere vivo il “putto”. La Saraxina compagna del Morosini riavutasi lo accusò direttamente, sulla veste da Prete si trovarono tracce di sangue, e il Prete stesso alla fine confessò il suo delitto.
Circa a metà del dicembresuccessivo, Marin Sanudo proseguì ancora nello scrivere le sue cronache e gli appunti Veneziani: “… In questo zorno (19 dicembre) fo exeguito la sententia del Prete amazò Ser Benedetto Morexini. Fo portato per Canal fino a Santa Croxe, et davanti la porta del morto taiatoli la man destra, e menato a coa di cavallo fino a San Marco, dove fo discopato, qual stentò assà a morir, et poi squartato in quatro parti”.
Qualche anno dopo, su istanza del Capitolo dei Preti di San Zàn Degolà, il Patriarca istituì due nuovi Titoli-Prebende per Preti “Accoliti” residenti in San Zàn Degolà traendone una rendita di 4 ducati dalla Carica del Prete-Diacono della chiesa. Allo stesso tempo, si confermò che qualsiasi offerta fatta al Sepolcro del Venerdì Santo in chiesa di San Zàn Degolà, così come tutte le offerte della Festa principale del Titolaredella chiesa, spettassero in esclusiva e per intero al Piovan di San Zàn, che da parte si sarebbe accollato tutte le spese per le cerimonie ... Erano gli anni della pesantissima sconfitta di Agnadello che tarpò le ali alla Serenissima … In Contrada di San Zàn vivevano 536 persone ... Erano pure gli anni in cui attraversava un periodo di gran spolvero la Schola del Santissimo Sacramento di San Zàn Degolà che faceva Festa Generale il Venerdì Santo quando ogni iscritto doveva obbligatoriamente offrire 1 soldo ... Veniva multato chi arrivava in chiesa dopo il Vangelo alla Messa Mensile della Schola … e si spendevano tutte le rendite procurate dai 7 campi e mezzo posseduti dalla Schola a Villa di Motta nel Veneziano (lasciati dal Piovano Biagio Leoni nel 1529), per allestire “un putiferio” di cere e luminarie nelle Feste di Natale, Pasqua, Venerdì Santo, Corpus Domini, della Natività e Decollazione di San Giovanni Battista Titolare della chiesa, nella festa di San Giovanni Evangelista, e ogni terza domenica di ogni mese quando si cantava una Messa Solenne durante la quale ciascuno della Schola teneva in mano una candela accesa: quando si cantava il Vangelo, quando si cantava il Prefazio, quando si levava il Corpo di Cristo, e durante tutta la lunghissima Processione intorno alla chiesa o in giro per tutta la Contrada ... Ancora: “a candele accese” si accompagnavano tutti i Morti della Schola al Cimitero (che forse si trovava prospicente alla chiesa nell’attuale Campo San Zàn Degolà)… Insomma: era tutta una spesa ingente di cere su cere, tanto che i Provveditori da Comunricordarono a quelli della Banca della Schola che: “… oltre a far bàgolo continuo, si ricordassero pure di pagare anche le spese per vino, olio e le tovaglie di chiesa … e non solo spendere e spandere per tutte quelle cere”… In linea con l’abitudine scialacquona della Schola, ancora nel 1796 il Tagliapietra Sante Cocalìn s’impegnò a costruire un costosissimo tabernacolo per l’altare del Santissimo di San Zàn Degolà utilizzando il migliore marmo di Carrara disponibile in commercio. Secondo il disegno che presentò, si dovette impegnare per tredici anni a pagare una spesa di 650 ducati con rate annuali di 50 ducati (che venne decurtata di 150 riciclando i marmi del vecchio altare).
Ferveva grande attività in chiesa di San Zan Degolà dove c’erano moltissime opere d’Arte appese alle pareti e sui sette altari dove si celebravano “raffiche di Messe” dall’alba al tramonto. Si conservavano inoltre diverse Sante Reliquie, fra cui quella del Dito di San Giovanni Battista, e di San Filippo Neri, oltre a due Madonne: “una grande ed una piccola con abiti distinti”… In Calle dei Preti il Capitolo si dava un gran da fare per tenere d’occhio e registrare tutto quanto accadeva fra le persone, dentro le case di tutta la Contrada, e tutti i movimenti delle capienti casse della Parrocchiale. Già nel 1534 col Piovano Giovanni de Urseti, ma soprattutto dal 1576 col Piovano Francesco Da Olio, s’iniziò a compilare dettagliatamente, anzi: meticolosamente, il "Libro de Battizi di San Giovanni Decollato”, il “Libro de' Morti”, il “Liber Matrimoniorum” con le “Stride e Squarzi de Matrimoni”.
Accanto a questi esisteva anche tutta una serie di “Scritture diverse spettanti alla chiesa che s'attrovano in Archivio”; un “Indice delle cose più notabili presenti in Chiesa”; “Mansionarie, Esequi, e Giornali di Messe che s'officiano e da celebrarsi ogni anno in Chiesa”… e: Registrini, Condicioni, Inventari delle scritture, Catastici, Liste di Reliquie, “Riscossioni da farsi per ciascuna rata nei Pubblici Depositi”,“Affittanze di case della Fabbrica", "Affituali del Reverendo Capitolo”, “Registri di Cassa Sagrestia”, "Libro de Proventi e del Campatico”, e “Polizze, Riceveri, Rinunzie”… seguiti da opportune “Regole per li partidori delle rendite Capitolari”, e da un: “Scossi e Spesi” dove si segnavano i debiti della chiesa e i lavori pagati distinguendoli per: “Murèr”, “Marangòn”, “Fabro”, “Incurabili”, “Maestro del Sestier”, “Spese extraordinarie”, "Conti saldati e Polizze de materiali e fatture d'operari spettanti alla reffabrica delle case del diacono titolato della chiesa Parochiale e Collegiata …”, e "Polizze del debito che ha dovuto incontrare il Reverendo don Iseppo Valotto Procurator per il ristauro della casa capitolare di San Giovanni Decollato posta in Contrà suddetta.”
Era tutto un intenso registrare, raccogliere, riordinare, ricopiare in più copie: Lasciti, Testamenti, e "Instrumenti di Livello” a favore della Parrocchia, Tasse di “Decime Ecclesiastiche pagate al Secolàr”(ossia al Vescovo) o alla Serenissima; e corrispondenze, decreti e documenti dei “Dieci Savii”, “de Governatori”, nonché infinite cause e controversie: del "Reverendo Capitolo di San Giovanni Decollato contro Schola et Arte de Forneri" (1601-1738); “Contro il Reverendo Signor Prè Giovanni Battista Redolfi" (1605-1707); “Contro il Capitolo per la Mansionaria Nazari"(1743-1775); “Contro Domino Pasqualin Sagramora"(1769-1794 con documenti fino al 1805); “Contro il Signor Christoforo Gidoni"(1588-1779)… e molto altro ancora … Sembrava un febbrile formicaio mai stanco la Casa dei Preti di San Zàn Degolà.
Nel settembre 1549, il Consiglio dei Dieci della Serenissima autorizzò l’apertura in San Zàn Degolà della Schola della Natività o dell’Annunciata… Nel 1691 la stessa Schola unitamente alla Compagnia delle Consorelle del Santissimo Rosario depositò un significativo capitale al Magistrato del Sal che fece stupire i Veneziani … La Schola pagava un Predicatoreche veniva a recitare il Rosario a 24 ducati annui: “li sabati, per tutte le feste di precetto, l’Ottava dei Morti, la Novena del Rosario e il giorno della stessa Festa, le 40 ore di Quaresima, la Festa del Corpus Domini e della Madonna del Carmine”… e offriva al Capitolo di San Zuàn altri 10 ducati “par esporre el Santissimo in cièsa e recitare el Rosario.”Pensate poi come già in quel tempo s’incrociavano i destini di certi posti lontanissimi fra loro: da una parte e dall’altra del Mediterraneo. Vi spiego … Nel 1550, quanto Prè Filippo Stridonio era Piovano di San Zàn Degolà, Pietro Lando Arcivescovo di Candia decise che se l’isola fosse andata perduta cadendo in mano ai Turchi durante la guerra, il vitalizio che percepivano i 4 Cappellani che esercitavano nell’isola sarebbe stato devoluto ai Preti di San Zan Degolà di Venezia tradotto in Mansioneria di Messe da celebrare, e in elemosine per i poveri della Contrada ... A Venezia, intanto, al tempo del Piovano Gaspare De Dotti, la Parrocchia di San zàn Degolà spendeva 6 ducati annui per pagare l’organista, e un altro ducato dandolo “al levafolli” per far suonare l’organo. Si spendevano, inoltre, altri 2 ducati per i Cantori della Festa del Patrono, e altri 10 ducati per pagare il pasto ai Preti che s’alternavano a partecipare alle celebrazioni dei Vespri, delle Messa e alla Solenne Processione ... Nel 1582 proprio in Parrocchia di San Giovanni Decollato venne a morire Pietro Lando l’Arcivescovo di Candia, che venne sepolto a San Sebastiano. Fatalità … era nipote di un altro Arcivescovo di Candia di nome Giovanni Lando accusato come falsario dalla Serenissima nel 1519.
Verso fine secolo, alla Visita Apostolica, San Zàn risultò essere Parrocchia Collegiata di 688 Anime ... Il Piovano, il Primo Prete e il Prete-Diacono percepivano 120 ducati annui, la casa d’abitazione e gli “incerti di stola”; il Prete-Suddiacono, due Chiericiospiti stabili della Parrocchia percepivano, invece, 3 ducati annui; la Fabbriceria di San Zàn Degolà possedeva 70 ducati annui d’entrate, e donava 7 ducati annui per i poveri della Contrada … In chiesa si celebravano ogni giorno: 4 Mansionerie di Messe su diversi altari: quello di San Giovanni Battista, quello della Madonna, quello di San Nicolò, quello del Crocefisso e quello del Santissimo … Il Patriarca si rammaricò non poco per alcune inadempienze palesi dei Preti di San Giovanni Decollato: cioè perché mancavano “i segnàcoli d’ordinanza” ai Messali di Chiesa per le Messe, e perché non c’erano sufficienti paramenti di colore Viola e Verde in Sacrestia … Inoltre era necessario togliere o almeno spostare un leggio fisso che impediva la vista diretta dell’Altare Maggiore… Furono grandi preoccupazioni ! … da non dormirci la notte ... Proprio “roba da Preti”.
Poco dopo, invece, nel 1590, un altro fatto aspro e crudo di cronaca inquietò Venezia e fece parlare non poco le 626 persone che abitavano nella Contrada: la vittima fu una donna “usa a lavorar da meretrice” nei pressi della Salizada del Fontego dei Turchi e del Traghetto fra San Zàn Degolà. Quello era un Trageto de Citra che portava a San Marcuola de Ultra al di là del Canal Grande (funziona ancora oggi). Il suo raggio d’azione andava: “… dal Canalazzo fino al Ponte de San Lunardo dalla banda de San Marcuola, e fin ai do ponti del Rio de le Callesele"... Un proclama dei Provveditori da Comun imponeva pesanti multe “a chi farà noli dal Ponte de San Lunardo fino al Canalazzo per il Rio de San Marcuola compreso”.
La Fraglia o Fraggia degli uomini del Traghetto era composta inizialmente da 31 Barcaroli considerati poi eccessivi … Nel Capitolo del Traghetto si precisava: “le prime due barche del mattino devono pulire i pontili dello Stazio … I Frati Riformati e gli altri Religiosi saranno traghettati gratuitamente per “amore Dei e della so Màre la Vergine Maria"… La prima barca inizi il turno spostandosi allo Stazio dalla banda dei Turchi …”
In quel luogo insomma: “… i Patrizi Giovanni Bragadin quondam Vettor Cavalier, Daniel Venier quondam Giovanni, e Francesco Bon quondam Alessandro Procurator, andati di conserva il Sabato Santo alla casa d'Adriana Formento, meretrice a San Zuan Degolà al Traghetto per mezo San Marcuola, ed avendola ritrovata a desinare, la condussero in una camera, ed ivi, spogliatala per forza, la vollero, l'uno dopo l'altro, etiam con modi stravaganti, usare contro natura, ad onta della continua renitentia di detta donna così di pianto come di resistentia …”.
Non erano rari a Venezia episodi del genere, soprattutto perpetrati da Nobili, che rimanevano quasi sempre ignorati e impuniti. Ma stavolta “una tantum”, i giovani Nobili furono tutti citati a giudizio dalla Serenissima. Ovviamente quelli non si presentarono, e perciò vennero tutti banditi da Venezia e dai suoi Territori con sentenza del Consiglio dei Dieci del 21 aprile 1590. Per un Nobile “il bando” da Venezia era una pena orribile, pesantissima, che equivaleva quasi a una pena di morte in quanto gli impediva di vivere dentro allo scenario che ospitava tutto quel che era. Fuori da Venezia certi Nobili erano “niente e nessuno” ... contavano solo i soldi, e se venivano loro sequestrati, spesso per loro era la fine perché molti di loro non avevano mai lavorato un giorno solo in vita loro.
All’inizio del 1600, ai tempi del Piovano Gerolamo Barbieri prima, e del Piovano Gaspare Lonigo dopo, si eresse in chiesa di San Zuàn un altro altare in onore di San Filippo Neri, San Luigi Gonzaga e San Girolamo, e ne nacque ovviamente un'altra Confraternita dedicata al “Santo delle Contrade povere e dei ragazzi di strada” continuando la tradizione degli Oratoridei Filippini con le attività ricreativo-culturali “offerte ai miseri” che s’era instaurata anche a Venezia dopo Roma, Napoli, Palermo e altri posti ancora dell’Italia. Alla fine però l’Oratorio dei Santi Filippo e Girolamosi ridusse alle attività di sempre prettamente di stampo interiore, perdendo di vista il suo principale e iniziale scopo sociale. Si pensò solo a dedicarsi “all'esercizio della mattina e della sera secondo la Pugna Spirituale con speciali Preci aggiunte", e a tenere e redigere puntuali “Registri di Cassa”, "Registro degli adobbi e delle cere”, e “Registro delle uffiziature per i Defunti” che vennero redatti ininterrottamente fino al febbraio 1923 !... Pensate quasi per trecento anni ! … Quella piccola Confraternita è stata capace di passare “quasi”indenne anche attraverso la bufera napoleonica che ha disfatto e soppresso tutto e tutti.Nell’agosto 1761, Pietro Gradenigo nei suoi “Notatori” offre una curiosa descrizione circa San Zàn Degolà: “… li Sacerdoti di esso tempio cantano li Divini Offici in un Retrocoro; cioè dietro l’Altar Maggiore ... All’altro Altare di San Filippo Neri il quale fu dipinto dal Cavaliere e Poeta Carlo Ridolfi vi è un fanciullo in abito di Chierico che tiene un Messale in mano figurato. Era Don Ottavio Bandino, che era solito servire alla Messa l’oltrascritto Filippo Neri; l’Ottavio medesimo sortì come Cardinale nella seconda promozione fatta da Clemente VIII …”
Nel gennaio 1625, il Piovano di San Zàn Degolà: Gasparo Lonigo, Consigliere Giuridico della Repubblica e Conservatore della Bolla Clementina, inviò un’accorata Supplica alla Signoria contro le ingerenze dei Preti di San Zuàn sull’amministrazione delle entrate della Fabbrica della chiesa usurpando l’attività dei Procuratori Laici che la dovevano gestire. “I denari sono della chiesa e dei poveri, non de Preti !” tuonò … e vennero gli anni dell’ennesima Grande Peste a Venezia, quelli della Pestilenza col Voto e Tempio della Madonna della Salute, quando in Contrada e chiesa di San Zàn Degolà “governava”il Piovano Giovanni Battista de Bianchi. In Contrada prima d’essere decimati “dalla morìa venefica” vivevano 455 persone, e c’erano attive 3 botteghe in tutto: un Forno, uno Spezial, e un Tintòr(?). Si era vicinissimi al vispissimo Campo di San Giacomo dell’Orio e all’Emporio di Rialto dove c’era di tutto e di più. Non era quindi facile mantenere aperte attività in Contrada ... Nel 1656, “passata la buriàna de la Peste” si provvide a vendere a Girolamo Bonotti una casa rimasta disabitata sita in Campo San Zàn Degolà di ragione del Magistrato dei Governatori alle Entrada Pubbliche. All’atto di vendita si aggiunse l’obbligo di pagare annualmente 20 ducati al Monastero dei Santi Marco e Andrea di Murano che un tempo erano proprietari dell’immobile ... Quasi trent’anni dopo, quando il Piovano Francesco Casetti istituì la Congregazione della Dottrina Cristiana in San Zàn Degolà, lo stesso Girolamo Bonotti restituì la casa allora affittata a Caterina Zanchi, al Monastero dei Santi Marco e Andrea di Murano stanco di pagargli ogni anno 20 ducati. Mantenne, invece, un’altra casa di sua ragione sita nella stessa Contrada di San Giovanni Decollato.
Alla Redecima del 1661 il Reverendo Capitolo et Fabrica de San Zuàne Degollà pagarono: “soldi 3 edenari 7 di Pubblica Tassa”… Nel 1685 si unificò il Suffragio de Morti con la Schola della Natività. Il tutto verrà trasformato nel 1760 in Compagnia della Buona Morte con 52 aderenti che versavano 6 lire annue formando un capitale di 48 ducati usati per finanziare Messe … Nel 1698, “quando la Madonna di Loreto de cièsapossedeva cinque abiti”, Monsignor Onigo Piovano di San Zuan Degolà ed eminente Teologo della Repubblica compose una valente scrittura circa il Giuspatronato del Doge sul Monastero di Sant’Andrea della Zirada. Fu un documento che “fece Storia” per la sua pulita e dotta redazione.
E si giunse così al 1700: “Età dei Lumi e degli Illuministi”. Non sempre i Nobili Veneziani si dimostrarono essere persone per davvero “illuminate” anche se si ritenevano tali. Proprio vicino alla chiesa di San Zàn Degolà, in una Calle e Corte Omonima vivevano i Correr o forse Corraro di Casa Nova, Nobili Veneziani di III Classe. In origine erano stati Nobili di Torcello trasferitisi a Rialto forse già prima del 1000, e furono Famiglia Veneziana potente e ricca di Procuratori di San Marco, Capitani da Mar, Provveditori di Campo, Rettori e Podestà, oltre che Casato religiosissimo: tanto che dopo Pietro Correr che nel 1270 divenne Arcivescovo di Candia e Patriarca di Costantinopoli, Angelo Correr nato e vissuto a Venezia dove essere stato Vescovo di Castello, divenne Papa Gregorio XII nell’epoca travagliatissima della Chiesa piena di scismi, Papi e Antipapi ... Suo nipote Antonio Correr Cardinale Vescovo di Porto, Ostia, e Velletri, morto nel 1445 in “Concetto di Santità”, fu uno dei fondatori dei Canonici Regolari di San Giorgio in Alga di Venezia dove volle farsi seppellire ... Beriola Correr, invece, sorella del Papa, sposatasi con Angelo Condulmer divenne madre di Gabriele Condulmer che a sua volta divenne Papa pure lui col nome di Eugenio IV. Come non bastasse, la stessa donna fu anche ava di Petro Barbo, che fu Papa Paolo II dal 1464 … Niente male come ambizione religiosa in famiglia !Un altro Antonio Correr dell'Ordine dei Domenicani Predicatori fu Vescovo di Ceneda nel 1406 ... mentre Gregorio Correr, nipote del Cardinale Antonio, fu eletto Vescovo di Vicenza nel 1459 morendo però prima di prendere possesso del suo illustre incarico, cosa che accadde anche a un altro Gregorio Correr nominato nel 1460 da Papa Pio II come Vescovo di Padova ... E non è ancora tutto, perché anche Antonio Francesco Correr, dopo aver percorso tutti i gradi della Carriera Militare nella Merina della Serenissima, si fece Frate Cappuccino venendo poi eletto a Patriarca di Venezia nel 1734.
Proprio una Santa Famiglia i Nobili Correr !
Da un’altra parte però, i Nobili Correr furono anche “piccoli” in diverse occasioni. Quando, ad esempio, nel settembre 1732, Giacomo Correr del Ramo di San Zan Degolànato nel 1710, si sposò clandestinamente con Giovanna Gasparini. L’atto fu immediatamente invalidato dal Patriarca di Venezia, e Giacomo Correr fuggì a Bologna, mentre la ragazza da cui gli era nato un figlio venne trasferita coatta in un Convento di Treviso. Dopo un po’ di tempo, amici e familiari lo invitarono a ritornare a Venezia dal padre Todero e dalla madre Elisabetta Molin, ma lui si dimostrò ritroso perciò venne richiamato dagli Inquisitori della Serenissima che lo accusarono d’imprudenza e ingratitudine. Per questo venne esemplarmente inviato prigioniero al Castello di Chioggia, dove rimase fino al 28 marzo successivo, quando venne liberato su richiesta dello stesso padre. Giacomo Correr fu fatto allora risposare con Anna Petagno nel 1735, e nell’anno seguente una supplica di Giovanna Gasparini si rammaricò col Doge del fatto che il Correr avesse di fatto rigettato il suo Matrimonio e la sua stessa prole considerandoli: “chiusa e veniale storia giovanile”. Nessuno le rispose … povera donna!
I Correr furono ancora “piccoli”anche nell’ottobre 1772, come ricordato in una lettera scritta da Elena Querini che aveva raccolto le confidenze da Nicoletto Foscarini. Era accaduto sul Brenta un intreccio di due Burchielli che navigavano sul fiume verso le Ville di Villeggiatura. Su uno di questi si trovava la Nobile Famiglia di Alvise Diedo di Calle del Remedio, mentre sull’altro era imbarcata la Famiglia dei Nobile Zanetto Correr. A un certo punto i Diedo si sentirono andare alla deriva sul fiume portati a spasso dalla corrente. “Chiesto che cos’era o che non era”, gli fu risposto che due uomini in livrea avevano tagliata la “corda dell’alzana” che trascinava la sua barca, e portato via il cavallo ponendolo “alla tira” di un altro Burchiello. Erano i domestici del Correr, che potè così proseguire indisturbato il suo viaggio verso Miradove possedeva la sua Villa, e poi fino a Padova. I Diedo, invece, rimasero lì ad attendere soccorso ... In seguito, quando finalmente Alvise Diedo giunse a casa, scrisse una lettera indignatissima al Correr lamentandosi dell’insolenza che aveva subito dai suoi servitori, supponendo diplomaticamente che egli fosse ignaro dell’accaduto dovuto solo all’ignoranza e impudenza dei suoi domestici. Zanetto Correr rispose, invece, che i colpevoli non erano i suoi servitori, ma che era stato lui stesso a dare l’ordine di tagliare la corda perché aveva visto che nell’altro Burchiello non c’era nessuno di rispettabile. Ci fu poi tutto un carteggio fra i due Nobili … ma non si sa bene come sia andata poi a finire la faccenda.
Secondo un’ulteriore prospettiva, i Correr furono, invece, ancora “Nobili splendidi” quando successivamente con Teodoro Correr figlio di Giacomo che abitava in Contrada di San Zuàn Degolà sul Canal Grande, lasciarono la collezione di famiglia composta da quadri, statue, libri, manoscritti, oggetti d’antichità, curiosità, monete e armi associandola a una rendita per realizzare un Museo Cittadino nel loro palazzo. (Il Museo Correr venne aperto effettivamente al pubblico in altra sede due volte la settimana fin dal 1834, sotto la Direzione di Marcantonio Corniani “uomo dottissimo nella Storia Naturale”… ed è visitabilissimo tutt’ora dopo secoli d’arricchimenti, ampliamenti e integrazioni aggiungendovi quel che rimaneva delle raccolte di Jacopo Nani, dei Contarini di San Trovaso, di Tommaso Giuseppe Farsetti, di Girolamo Ascanio Moline Girolamo Ascanio Giustinian… Fu un “piccolo miracolo”, perché nel 1808 la Biblioteca dei Nobili Collaltovenne venduta a due Ebrei e da questi a Adolfo Cesare, come quella dei Nobili Pisani e del Nobile Sebastiano Zeno. La stessa fine fece anche la Biblioteca di Marco Foscarini finita alla Biblioteca Nazionale di Vienna, mentre i libri dei Nobili Soranzo vennero dispersi, e i loro manoscritti venduti ai Canonici di San Marco. Sopravvissero solo la Biblioteca Giustiniani-Recanati salvata parzialmente dagli eredi, la Biblioteca dei Nobili Manin finita a Udine, e quella dei Nobili Querini che venne riaperta al pubblico a Venezia nel 1864 dal Conte Giovanni Querini) ... Meglio che niente ... ma maledetto quel devastatore di napoleone ! … che impoverì così inutilmente e senza senso tutta Venezia.
Due passi più in là da dove risiedevano i Nobili Correr, i Preti di San Zegolà continuavano indefessi nella loro solita opera. Nello stesso 1700 in chiesa ci fu un’ulteriore stagione di fioritura di Schole e Confraternite sostenute dalla sensibilità e soprattutto dalle elemosine dei Veneziani che abitavano la Contrada.
Nel Luglio 1707 gli uomini del Sovvegno, Schola, Pia Unione dei Santi Antonio e Gaetano da Thiene stipularono un accordo col Capitolo di San Zàn che gli permetteva l’uso dell’Altare del Crocifisso dove potevano collocare le immagini dei propri Protettori ... Ognuno era tenuto a farsi secondo un modello stabilito, una cappa nera da usare ai Funerali dei Confratelli e nelle Processioni: “… con scarpe, fiocco, segnali, managhette, guanti e corona del costo di 26 lire pagabili a rate di 10 soldi la settimana”… Già tre anni dopo però, ai tempi del Piovano Giovanno Palmano, i Confratelli si trovarono costretti a risanare i debiti posti a bilancio per le troppe spese superflue che avevano incontrato. Si obbligarono perciò i 38 iscritti (di cui 6 sempre assenti) ad autotassarsi di 4 lire ciascuno … Il Sovvegno, oltre alle “solite pratiche e funzioni religiose di chiesa che garantivano efficacissimi e preziosi benefici spirituali con tante Messe di Suffragio in caso di morte, quanti erano gli iscritti”, garantiva agli iscritti visite mediche e 7 lire alla settimana in caso di malattia (portate a 14 lire se si fossero superati i 100 iscritti: numero raggiunto nel 1711)… Nello stesso 1710, il Guardiano della Schola Francesco Novello che era Chirurgo anticipò di tasca propria una spesa di 100 ducati per far indorare le Aste Processionali e far sistemare il Pennello (Gonfalone)della Schola. In cambio chiese e ottenne d’essere eletto per 5 anni come Chirurgo ufficiale del Sovvegno con uno stipendio annuale di 20 ducati … Nell’agosto 1756, cioè soltanto a cinquant’anni dalla sua fondazione, il Sovvegno venne soppresso per carenza d’iscritti. All’atto formale della sua chiusura, si dichiarò che la Schola possedeva: una pala d’altare coi suoi Santi Protettori, una Mariegola, e alcune aste processionali di valore che furono vendute insieme ad altre cose alla Schola del Crocefisso di Sant’Andrea della Zirada.
In parallelo a tutto questo, la Schola del Rosario di San Zàn divenne la più significativa, importante e seguita di tutta la Contrada. Era così facoltosa da poter offrire 22 lire nel 1728 per la costruzione della nuova chiesa dei Domenicani sulle Zattere… e i Provveditori da Comun permisero che fosse lei ad ereditare gli oggetti dell’ormai decadute Schole dei Forneri e Schola dell’Arte dei Guacortellini della quale si vendette anche il “Pennello” (gonfalone) ricavando 42 lire.
Sull’onda dell’entusiasmo degli stessi della Contrada, nel luglio dello stesso anno sorse anche il nuovo Sovvegno della Beata Vergine di Loreto, San Spiridione e altri Santi… Era tale e tanta la voglia di condivisione, ma anche il bisogno d’assistenza e previdenza dei Veneziani della Contrada … Per ben tre anni il Consiglio dei Dieci aveva fatto di tutto per ostacolarne l’istituzione non raggiungendo per ben 5 votazioni il quorum valido per approvarla, e respinse di continuo la richiesta d’apertura …“Ci sono fin troppe Schole aperte, inutili e in affanno in questa nostra Venezia …”si diceva a Palazzo Ducale e presso i Magistrati di Rialto ... Nel 1736, infatti, la nuova Schola già languiva economicamente, e per sopravvivere dovette ricorrere al Papa Clemente XII che la rimpinzò di parecchie preziose Indulgenze(sinonimo di opportunità d’incasso e guadagno offerto da chi ne usufruiva) … In caso di malattia la Schola offriva assistenza medica agli iscritti con un sussidio di 12 lire settimanali ... Niente in caso di “Morbo gallico”, ferite volontarie e malattie incurabili ... In caso di Morte offriva un Esequiale celebrato in Terzo (ossia con 3 Preti sull’altare) e 60 “Messe lette”… Nonostante tutto questo, come previsto dai Provveditori da Comun, nel 1784 “il Sovvegno era in estremo ribasso … e pronto alla chiusura”.Da parte loro i Preti del Capitolo di San Zuàn Degolào pensarono di restaurare e abbellire ulteriormente la loro chiesa: “Dèmoghe una vèrta … una bèa restauràda a sta cièsa cupa e scura ! … che mette angòssia.” disse e scrisse uno dei Preti di San Zàn Degolà … e vennero così aperte tutte le finestre laterali e quelle della facciata della chiesa, “togliendo via una volta per tutte quel buio interno che andava bene per le epoche passate e crude del Medioevo”. Si perse, invece, l’originario stile e assetto Basilicale-Bizzantino-Orientale quasi unico in tutta la Laguna di Venezia.
I Preti però non fecero caso a “tutto quel vecchio sentire”, e pensarono piuttosto a costruire n nuovo altare col “Martirio di San Giovanni Battista”(entrando a destra), a porre sull’Altare Maggiore il tema insolito da Vangelo Apocrifo di: “San Gioacchino e Anna genitori della Vergine che educano Maria a leggere la Legge e la Scrittura” dipinto da Antonio Balestra… mentre a sinistra della chiesa, allestirono e rinnovarono l’Altare dell’Addolorata seguendo l’ispirazione di quel culto devozionale-sentimentale dell’epoca legatissimo alle atmosfere e al “clima spirituale dello Stabat Mater e della Mater Dolorosa”… Tutte cose andate perdute sia artisticamente che interiormente ... … Nel 1733 Zanettiricordava il parapetto della Cantoria di San Zàn Degolà con tre quadri con la “Passione”dipinti dal Cavalier Bambini … e a completamento dell’opera nel 1740, i Preti di san Zuàn col Piovano Giovanni Maria Segnaghi edificarono pure un Altare della Madonna di Loreto associandola a San Carlo Borromeo, San Francesco di Paola e San Nicolò di Mira: solito “Santo Navigatore”patrono tipico delle genti di mare, marinai e pescatori, devozione tipica e molto diffusa a Venezia … Nel 1744 al tempo del Piovano Tomma Segnaghi si restaurò e rinnovò l’organo con le elemosine dei fedeli … Dopo Prè Giacomo Rinaldi fu Piovano di San Zàn Degolà nel 1785: Prè Giuseppe Driuzzi che costruì l’Altar Maggiore con le offerte della Confraternita del Santissimo Sacramento ornandolo di marmi le pareti e arricchendo ancora una volta la chiesa di dipinti … Si rifece la casa diaconale di San Giovanni Decollato per una spesa di 1.750 ducati secondo le indicazioni del Perito Antonio Mazzoni che rilasciò apposita scrittura, e col nuovo Piovano Antonio Puppo si completarono i restauri della chiesa: “edificando la chiesa nella forma presente in più nobil maniera della facciata con adornazione decorosa della cappella maggiore”, e facendo una nuova fusione di campane. Come riconoscimento di tutta quella fervida opera, il Piovano venne eletto: Canonico della Basilica Ducale di San Marco.
Nel maggio 1773 la Compagnia delle Consorelle del Rosario con 5 Direttrici Principali e 4 Sindiche e un totale di 17 donne continuava a prosperare in Contrada e in chiesa … Ai Provveditori da Comun risultava che la Schola celebrava continue Messe mensili e Rosari, accompagnava Morti, curava esposizioni del Santissimo nelle Feste Mariane, e soprattutto era in possesso di 9 once e 3 carati d’argento, e gestiva un capitale annuo di 66 ducati e 15 grossi dovuto alla tassa annuale di 3 lire e soldi 10 che versava ciascuna iscritta. In totale la Schola possedeva in Zecca un Capitale di 400 ducati che producevano una rendita annuale di 14 ducati … Dall’Inventario dei suoi nuovi acquisti si registravano ben quattro nuovi abiti per la Madonna, che non erano cose da nulla, ma abiti preziosissimi ricamati, con 4 paia di maneghetti di valore che il Nonzolo della Scholafaceva indossare al Sacro Simulacro durante le 6 Festi Mariane annuali per un compenso di 11 lire … Nel 1778 il Carmelitano Scalzo Fra Giovanni Antonio del Santissimo, ossia Andrea Girardi, lasciò alla stessa Schola del Rosario un Capitale di 100 ducati investiti in Zecca al 5% ... Ancora nel 1790 la Direttrice Principale della Schola del Rosario: Domenica Bertolla informava per scritto i Provveditori di Comun che la Schola avrebbe depositato in Zecca altri 100 ducati segno della stabilità della Compagnia, mentre le rimaneva un’ulteriore somma abbondante in cassa … Giravano parecchi soldi intorno a certe Devozioni chiuse dentro alle chiese di Venezia … Nel 1806 al tempo della soppressione della Schola con incorporazione nel Demanio Pubblico di tutti i suoi beni, risultavano ancora iscritte alla Schola 13 Consorelle popolane che si recarono mestamente a consegnare in Zecca per essere registrati e poi fusi: 4 candelieri d’argento grandi, 2 piccoli, e altri due cesendelli della Schola.
Verso la fine della Serenissima, nella Contrada di San Zàn Degolà che misurava 447 passi e ospitava 448 persone, c’erano 170 uomini abili al lavoro fra 14 e 60 anni con 6 padroni in 5 botteghe, esclusi i nobili che erano il 38% della popolazione residente in Contrada ... Nel settembre 1803 alla Visita del Patriarca Flangini a San Zàn oltre a registrare la presenza di 500 abitanti, si segnalò la presenza in zona di una scuola privata tenuta da don Folin, ma la mancanza di qualche Levatrice in quel che era stata la Contrada. Nei verbali della Visita si può leggere: “La Fabbrica di San Giovanni Decollato possiede entrate di 122 ducati provenienti dall’affitto di 5 case di cui 1 vuota ormai da molto tempo ... Il Capitolo dei Preti che celebra 1.954 Messe Perpetue, 14 fra Esequie ed Anniversari, e 500 “Messe avventizie”, possiede 217 ducati di rendita provenienti dall’affitto di 8 case … mentre il Piovano che spende 18,2 ducati l’anno, ha una casa di residenza in buon stato, ed entrate personali per 84 ducati provenienti dall’affitto di 2 case ed 1 magazzino. Gli altri Titolati del Capitolo dei Preti di San Zuàn Degolà percepiscono: il I° Prete: entrate per 152 ducati dall’affitto di 6 case, spendendo 75,13 lire; il II° Prete: entrate per 694,8 lire dall’affitto di 1 casa e da “incerti di stola”, con uscite di 17,7ducati; il Prete-Diacono guadagnava: 80 ducati, ed accusa uscite per 10 ducati; mentre gli altri 11 Sacerdoti che ruotavano intorno alla chiesa, fra cui diversi Preti Mansionari-Altaristi, vanno a caccia di celebrare Messe anche altrove: a Santa Lucia, Sant’Agostino e San Marcuola ... C’era infine in San Zàn Degolà anche un unico Chierico “ch’è un buonissimo figliolo”; la Fraterna dei Poveri di San Zàn, essendo stata privata dei suoi proventi in Zecca, è così misera che i poveri della Contrada sono del tutto abbandonati e lasciati a se stessi … Sopravvivono solo due Schole Laicali: quella della Beata Vergine e quella della Madonna del Rosario … la Nobildonna Anna Correr sostiene la Dottrina Cristiana per i ragazzi e le ragazze della Contrada due volte la settimana…”
Nel 1807 le Parrocchie e Contrade di Santa Maria Materdomini e San Giovanni Decollato vennero unificate con quella di San Eustachio, cioè San Stàe… Un anno dopo ancora, San Zàn Degolà venne inclusa nella lista delle chiese da chiudersi definitivamente, venne ufficialmente soppressa e spogliata di tutto. Nell’occasione andarono disperse alcune antiche tele, mentre qualche altra venne prelevata e trasportata salvandola nella vicina chiesa di San Giacomo dell’Orio.
Nel gennaio 1815: “Locale della chiesa e annessi di San Giovanni Decolato” finirono nella “Lista delle vigne, orti, beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezia nei giorni d’asta 12 e 16 febbraio seguenti”… Le persone residenti nella zona dell’ex Contrada unita ora a quella di San Giacomo dell’Orio erano 363, l’ex Piovano di San Zàn Degolà era morto, e inutilmente i Veneziani auspicarono la riapertura di San Zan Degolà “per la comodità della gente del posto”… Tre anni dopo, sui “Notatori” di Pietro Gradenigo si poteva leggere: “San Giovanni Decollato venne aggiustata perché cadente, e riaperta come Oratorio Sacramentale di San Giacomo dell Orio dopo maldestro restauro che ne falsò le strutture”.
Nel 1840 Ermolao Paoletti nel suo: “Il Fiore di Venezia, ossia i quadri, i monumenti, le vedute e i costumi dei Veneziani” scriveva non sorprendendo affatto: “La chiesa succursale di San Giovanni Decollato, vulgo San Zandegolà … riedificata nel 1703 al modo presente … Se si tolga la paletta a sinistra con la Deposizione, niente vuol qui essere ricordato.”… e non aggiungeva nient’altro circa l’intera Contrada.Tuttavia nel 1853 le memorie cittadine dei Veneziani ricordano che: “… in chiesa di San Zan Degolà si recitavano ancora “i Novissimi” di pomeriggio nella quarta domenica di Carnevale, e il 13 giugno si celebrava la festa di Sant’Antonio da Padova con Messa Solenne la domenica sucessiva …”
Nel 1866 le 34 Suore Figlie di San Giuseppe presenti a Venezia per occuparsi della Sezione Femminile dell’Istituto Manin(Orfanatrofio) collocato a San Sebastiano, inviarono 14 di loro per aprire una Scuola Elementare nella zona di San Giovanni Decollato ... Nel 1880-1881 le Figlie di San Giuseppe erano ancora là presenti in 11.
Al tempo del nuovo restauro della chiesa iniziato nel 1939, ma completato solo nel 1945 dopo la guerra, si provò a riportare San Zàn Degolà alle sue forme originarie rimuovendo il superfluo: la ditta Ruffini invitata a presentare un preventivo di restauro per l’organo di “tipo Callidiano” in accordo con la Sovraintendenza lo asportò per restaurarlo insieme alla cantoria “con parapetto e li tre quadri con la Passione di Nostro Signore dono del Cavalier Bambini …” e non si sa più dove l’hanno riposto: scomparso tutto per sempre … Infine il nuovo restauro del 1983, con “magistrale intervento” della Sovraintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Venezia (chi si loda si sbròda), portò a riaprire per l’ennesima volta San Giovanni Decollato dopo 11 anni di lavori nell’aprile 1994 … Il resto lo sapete già.
L’ormai purtroppo defunto, l’austero Don Antonio Niero mio amatissimo professore per molti anni in Seminario, appassionatissimo cultore di Storia, Lettere, Arte, Tradizione e Cultura Veneziana, descriveva così il Campo San Zan Degolà: “… luogo dove le stagioni fioriscono e muoiono serene, come se il tempo restasse immobile, costituendo un angolo irripetibile di pace Veneziana, un luogo di autentico riposo dello Spirito.”
Sembra una fotografia ... neanche poi così vecchia.