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“L’INDIRIZZO DELLE FAVILLE …”

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#una Curiosità Veneziana per volta – n° 194



“L’INDIRIZZO DELLE FAVILLE …”


Era di solito il Massariòtto del paese ad allestire ed organizzare ogni anno per tutti el Panevin e la Bubaràta della Befana… Il Massariotto era una figura di semiprestigio delle zone: una specie di abile tuttofare e persona di fiducia e affidamento un po’ per tutti … Uno però non aveva alcun potere reale … quello stava saldamente in mano ai Paròni, ai Governanti e ai Preti… Il Massariòtto era spesso “un bonòmo”, una specie di animatore comunitario, un uomo quasi saggio che conosceva e perpetuava le tradizioni popolane scandendone e organizzandone le consuete rappresentazioni … Quasi “un paggio, un Servitore del Tempo”.


Dico di più … Fra le tante cose e abitudini perdute dei Venetie dei Veneziani, c’è da sapere che un tempo tanti uomini e donne erano abituati a leggere tutti i giorni e ogni sacrosanta mattina dell’anno, nel Foghèr o Larìn de casa: le brònse e la cenere… Cioè leggevano in diretta e con semplice osservazione quello che sarebbe stato “l’andamento”della giornata: positivo o negativo che fosse stato … Guai se si fosse spento del tutto il fuoco nel camino di notte: portava nera …. disgrazia ! … C’era sempre qualcuno che per ultimo o per primo andava ad attizzarlo perché questo non accadesse … Carboni neri: niente di buono …Carboni bianco-grigiastri ricoperti di cenere: auspicio buono … positivo, beneaugurale.


Ci credevano per davvero nel leggere ciò che era nascosto nella cenere e nel Fuoco ?


Boh ? … Chissà ? … Forse un po’ si, e un po’ no … Erano di sicuro più creduloni di noi di oggi … ma vi garantisco di sicuro: anche più furbi e avveduti di noi … Quindi non è che si perdessero dietro a superstizioni e basta: sapevano il fatto loro … tanto quanto, e forse anche di più di noi di adesso.


E non leggevano solo nel Fuoco, ma un po’ in tutto: l’Acqua, le Stelle e gli Astri, nei segni della Natura, degli Animali, delle Piantee della Terra, e nell’Aria… nel Vento.



Ecco allora il Vento nelle sue varie forme che fa ancora da protagonista invisibile nelle Tradizioni Veneziane: il Garbìn(Libeccio) e il Furlàn trasportavano da una parte o dall’altra “le fajlles”… le faville: “e fajve”, il fumo, l’odore e le fiamme dei Panevin: i grandi fuochi che si accendono ancora nelle campagne Venete e Veneziane … Il Garbìnè un vento vorticoso e conosciuto che spinge da sud-ovest: quindi utilissimo perché annuncia pioggia buona per preparare i campi … Il Vento Furlàn(o Burlàn: il vento freddo del nord Russo Siberiano, la “Bòra”Triestina), invece, soffia da nord-est portando tem6po asciutto che renderà arido e secco il terreno, e quindi scarso il raccolto di cereali e viti ... e difficoltosa la navigazione.


Guardando allora i grandi Fuochi della Befanadivampare nelle campagne, si osservava a cavallo fra desiderio di spicciolo benessere quotidiano e Magia trascendente volta a scrutare le aspettative degli Animi e del Destino futuro … Si osservava: “da che parte tira l’Aria”… ed esistevano a tal proposito nelle Credenze Popolari Veneziane e Venete tutta una serie di “tarantelle” sulla Rosa dei Venti, i Punti Cardinali, e di “cantate” che spiegavano quanto accadeva sotto ai loro occhi “immagàti” a guardare.


“Se e faive e il fum el va contro Sera: poènta piena in calièra … S’el va contra Mattina: tòlte su el sacco e va a farina … perché no ghe n’è da Sera … da Mezzanotte a vegnarà so a bòtte !”


Fumo e faville del Panevin quindi avevano un preciso significato: fumo a Occidente cioè verso il Mare, verso il Tramonto e Ponente era segno favorevole e di buon auspicio … Viceversa se tutto volgeva ad Oriente, cioè verso il Friuli, il Nord-Est, le Montagne storicamente considerate da “Morti de fame e miseria”, e dai luoghi da cui erano storicamente scese le disastrose invasioni nemiche … Beh ? … Per tutti era segno di gran casino, “d’asciutto”e cattivo auspicio: “le ròbe non andarà ben”… acqua alta, pioggia, grandine, siccità e cose del genere: una stagione “di magra”insomma … Bisognava ridursi ad andare in giro a questuare per non morir di fame e mantenere la famiglia: “Se va al Mare e a Garbin: tolte el sacco e corri al Molin … Se va, invesse, verso Furlàn: tolte el sacco e va a pan …”


Va ricordato che fino al tardo 1800 e primo 1900 le Campagne Venete erano devastate da Malaria e Pellagra che colpivano violentemente e di continuo: persone ma anche gli animali:“peàgra pal Gallo e el piccinin.”… La dieta del Contadino era più che spesso carente per colpa della povertà e dell’ignoranza … Quasi tutto ciò che riuscivano a produrre non era per loro, ma andava conservato scrupolosamente per essere venduto e trasformato in magri denari utili ancora e di nuovo per le sementi e le bestie, e per darli al Padrone … Era un cerchio, un ciclo continuo, che si rinnovava senza fine di stagione in stagione, di anno in anno … Un ciclo produttivo che coinvolgeva un po’ tutto dall’alba al tramonto ogni giorno dell’anno, ma che non era capace nonostante l’estrema fatica e dedizione di produrre sostentamento, Benessere e Sanità sufficienti.


“Fumo da Trieste: fame e tempeste … Quando el fumo va a Marina: tanto vin e tanta farina …”


La “Festa della Befania che tutte le Feste porta via” era un appuntamento annuale, dove il Fuoco faceva da protagonista bruciando tutto ciò che era vecchio e ormai consumato … “la stagione morta”… ed era contemporaneamente anche tempo di pronostici e auspici … Si distruggevano idealmente nel fuoco miseria e insuccessi, e con la “vècia brusàda” si esorcizzava “la mala sorte” e ogni negatività passata e futura … Quel Fuoco era rappresentazione e indice della Storia che scorreva …. Un fuoco rigenerante … che concludeva un ciclo aprendone un altro di migliore auspicio: “Che Dio ne mandi del Pan, e ne mandi del Vin … e  fasioi mandolòni, capòni par i paroni (onoranze)e par el Gastaldo ch’el stàga saldo …  par a massèra ne a so panèra: che a ne manda del formaggio, che col vin el fa coraggio … e po’ Dio ne manda ancora: patate par i patatoni, radici par i radicioni, tabaco par i tabaconi, vin par i imbriagoni, el porsel inter a panèra, e tanta ròba pal paron sentà sul so caregòn a trarse un litro de quel bòn …”


E ancora: “Ch’el vegna ! … Ch’el vègna Bubaràta e Panevin … la calza e el calzetìn … la pinsa sul larin … el putin nel so letin … la vècia sotto al camin … la Befana so dal camin … che a màgna i pomi cotti, e a ne làssa i rosegòtti … La vècia con e culàte: se magna pan e latte … el pan ne a panèra: a vècia sotto tera …”


E attorno al Panevin poi scoppiava la Festa in compagnia Ho letto del vecchio gioco della viscida Anguilla che veniva presa con la bocca dentro a una mastella tutta nera … Lo si faceva anche nei Campi e Campielli Veneziani nel dopopranzo nei giorni della Befania… Immaginate il tifo e l’incitamento nell’osservare chi, mani dietro alla schiena e col viso dipinto di nero, provava più volte e in mille modi a immergere la testa nell’acqua per catturarla con bocca e denti trattenendo il respiro: “Se alcun poi dei giuocatori riesce nell’impresa e si alza coll’anguilla che si contorce fra i denti, allora i plausi vanno alle Stelle !”


C’è ancora una cosa curiosa da aggiungere … per dire che nella Vita e nelle convinzioni delle persone e della gente a volte esiste tutto e il contrario di tutto … Certi contadini osservando i Panevin bruciare dicevano anche: “Pan e vin: la pinsa sotto al camin … Faive a Ponente; panòce gniente … Faive a Levante: panòcie tante !”


Era il contrario del solito dire … E allora ? … Chi aveva ragione ?



L’anno scorso un gruppo di ragazzini e ragazzine col cellulare in mano osservavano muti e incuriositi, ma anche un po’ intimoriti, lo spettacolo crepitante di un Panevin che ardeva:“Mah ?”mormoravano perplessi: “Sono solo  superstizioni … Ròbe da vèci !”… Non erano però del tutto convinti … qualche dubbio parevano averlo acceso in mente.


Un vecchio Veneziano carico d’anni piazzato poco distante da loro, invece, sentendoli dire così ha scosso la testa osservando lo stesso spettacolo odoroso e fiammeggiante … Proprio da “vecchio saggio” si è messo a commentare rauco e un po’ bòlso …“co a spissa in gola”: “Se disèva … e se dise ancora: s’el va al Mar: tòl su el sacco e va a insaccàr … Se va alla Montagna: mmm … Sarà durètta.” … Poi ha aggiunto ancora: “Se e va a mattina: tolte el sacco e va a farina, se e va a mezzogiorno: pien de pan sarà el forno … Se e andarà a sera: un bel anno se spera, ma se e va in Montagna: non sarà un anno de Cuccagna.”… Poisornione e sorridente, con gli occhi un po’ lagrimosi e arrossati dal fastidio del fumo, dopo un attimo di silenzio mi ha guardato dicendomi: “Par fortuna le faive da noàltri e va poche volte in Montagna … E poi: sai un’altra cosa ? … Che io sappia … Le annate qui da noi sono quasi sempre buone … perché dipendono da noi, e dalla nostra voglia di menàr le mani … la testa, e el sentimento ... El fògo fa scena e spettacolo … e basta.”


Altre note curiose …  Si osservava anche l’intensità del fuoco e del fumo, se il fuoco faceva “un vivaròn” o se era moscio: “fumo e fògo a rebèl (impetuoso, vorticoso): tira al più bel … Fumo e fògo gaivo (calmo, lento, poco crepitante): tira al cattivo.”


E poi quando si esauriva e veniva spento il Panevinche di solito veniva lasciato bruciare anche per tutta la notte, il più anziano della famiglia sfidando il gran calore ancora presente intorno, andava a rimuovere le bronse (le braci) con un forcone issandole in aria … Si diceva: “Ogni scintilla che sàlta corrisponde a un sacco de gràn o de panòcie, o a una botte de vin.”… Serviva allora saper remestare con abilità quei rimasugli bruciati: perché ne uscissero più scintille possibile !


Ho letto poi da qualche parte che si gridava dietro al Panevin: lo si incitava !


Questa non la sapevo ! … è interessantissimo !


Sono rimasugli atavici del Totemismo e del Paganesimo Deico-Naturale Veneto… Usanze e ricordi arcani, quasi ancestrali e inconsapevoli degli antichi Veneti agricoltori, salinari e cacciatori palustri prima che Marineri che ci si portava dentro e dietro fin attorno al Panevin… come una specie di prematuro DNA sociale.


Non sono sempre esistite solo le Preghiere a Dio, i Rosari e le Litanie a Santi e Madonne, le Rogazioni, le Giaculatorie prenotturne e propiziatorie … ma c’è stato prima anche “dell’Altro di tutto rispetto”: “Renghe, strenghe e bisatele … che le biave e vegna bele … Da lontan e da vizin, Dio me dàga la sanità dal Pavenin …”


Quale Dio ? … Non è detto che fosse per forza quello Cristiano-Cattolico … Anche la Natura, le Piante, gli Animali, e gli Spiriti Selvàdeghi si credeva avessero potere protettivo e propiziatorio utile per il raccolto, la pesca, l’allevamento, la caccia e la salute … Dalla Terra e dalle Bestie, dagli Insetti come dalle congiunture Astrali e dagli Elementi Naturali come l’Acqua, Terra, Aria e Tempo si possono trarre efficaci Rimedi e Semplici che per secoli hanno funzionato e guarito … Il Dio Senza Nome del DestinoOnnipresentesa controllare e contenere gli effetti deleteri della tempesta e della grandine, della siccità e della carestia … la spiga vuota o la spiga piena … la bestia magra o piena da latte … le acque stanche o le acque grandi … e tutto il resto.



E da Berolòn, Befania, Maràntega a Befana che porta ancora regali il passo è breve fino a Befania ed Epifania… Si cambia tono e significati, e spuntano i Re Magi: portatori di “doni speciali” pure loro … Si ritorna in ogni caso a qualcosa d’antichissimo, misterioso ed ancestrale: la Befana-Epifaniaè una delle Feste più antiche che esistano al Mondo … Tutti lo sappiamo chi erano i Re Magi… Chi non lo sa ? … ma in realtà in pochi ne avvertono il significato profondo … Che erano i Magi ? … Chi ? … Che significavano al di là del modello esotico e del contributo dei ricchi doni singolarissimi dell’Oro, Incenso e Mirra ? … E la Stella dei Re Magi ?


Da dove spunta ? … Che significato ha ?


Che significato e senso ha tutta quella Festona così ricca di significati per noi di oggi ? … Per quelli di ieri: tantissimo di sicuro … Tanto è vero che quei personaggi, quei doni simbolici e quelle misteriose tematiche sono state mirabilmente rappresentate ed evidenziate anche a Venezia sia dentro alla stupenda cornice Civica-Laica della Torre delle Ore in Piazza San Marco, che nei mirabili Mosaici della Marciana Basilica… Spettacolari è dir poco ! … Andate a vederli !


Non tocca di certo a me dirvi di più su queste cose …



Veneranda Porta e Stefano Santini ... amanti omicidi Veneziani del 1780

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#una Curiosità Veneziana per volta – n° 195


Veneranda Porta e Stefano Santini ... amanti omicidi Veneziani del 1780


Giuseppe Tassini nel suo: “Alcune delle più clamorose condanne capitali di Venezia” edito a Venezia dalla Premiata tipografia di Giovanni Cecchini nel 1866 racconta fra i tanti episodi quello raccapricciante di Veneranda Porta e di Stefano Santini suo amante …

L’orrendo delitto venne dai due portato a compimento nella notte del 12 giugno 1779, e accadde così che verso mezzogiorno del 14 giugno seguente una donna attingendo acqua da uno dei pozzi accanto alla chiesa della Contrada dei Santi Gervasio e Protasio nel Sestiere di Dorsoduro … cioè San Trovaso ... trasse fuori a fatica un busto insanguinato d’uomo con le braccia … Qualche ora più tardi spuntarono gambe e piedi da un altro pozzo in Corte del Basegò in Contrada di Santa Margarita vicino alla Fondamenta di Cà Renier o del Malcanton.

E non fu tutto … La mattina dopo un gondoliere colpì con un remo una testa che galleggiava nel Canale di Santa Chiara verso il Purgo nel Sestiere di Santa CroceIl Purgo era un terreno realizzato fino dal 1661 nella Contrada della Croce verso Santa Chiara (Piazzale Roma di oggi) composto da una serie di gallerie e canalette in cui si pulivano e lavavano lane e panni con acqua corrente ... La Camera del Purgo era poi: “Il Magistrato Veneziano composto soprattutto da Lanaiuoli che giudicava liti e contrasti in materia di Lanificio, e vegliava perchè i proprietarii delle fabbriche avessero cognizioni e patrimonio sufficienti per poter dirigerle, e perchè i lavori riuscissero perfetti.”

Nello stesso giorno verso mezzogiorno si recuperarono in acqua alcune interiora umane “in faccia al quartiere dei Zaffi da Barca sulle Zattere”nel Canale della Giudecca verso il Monastero dell’Umiltà verso la Dogana da Mar (la Punta della Salute).



Come potete immaginare, il clamore, lo stupore e lo sconcerto furono grandissimi in tutta Venezia, e la Serenissima si sdegnò non poco di fronte a così spavaldo, macabro e spettacolare delitto tanto che diede subito ordine d’iniziare le indagini … Per prima cosa vennero letteralmente raccolti “i pezzi” della vittima che erano stati abilmente tagliati, e dopo un’accurata analisi anatomopatologica si espose il cadavere maschile al Ponte della Pagliavicino a Palazzo Ducale: luogo abituale dove si esponevano gli annegati sconosciuti perché qualcuno potesse provare a riconoscerli.


Inoltre il “Commosso Governo a così fiero caso, ordinò che si esponesse la Beata Vergine Nicopeia per otto giorni nella Basilica Ducale di San Marco, ed il Venerabile Santissimo in tutte le chiese Veneziane sia per espiazione, che per ritrovare i colpevoli.”

Nessuno seppe dare un’identità a quello sventurato cadavere, e infruttuoso fu anche rivolgersi a Dio, Madonna e Santi, per cui si diede ordine di seppellire quel corpo eccetto la testa che venne imbalsamata ed esposta ai Veneziani fuori dell’Uffizio dell’Avogaria infilzata su due picche.

Ci fu comunque un indizio curioso che apparve … I capelli di quella testa erano acconciati con grossi riccioli laterali: “Solevano nel secolo trascorso gli uomini di basso stato lasciar cadere, al pari delle donne, dai lati della fronte due ciocche di capelli, le quali, perchè prendessero il riccio, involgevansi di notte in due rotoli di carta, chiamati rolò”... L’uomo cadavere s’era fatto quella notte i “rolò” sulla testa con la carta di una vecchia lettera che fortunosamente mostrava ancora alcune iniziali della firma finale: V. F. G. C.

La Giustizia della Serenissima quindi pubblicò nelle Gazzette il racconto del delitto accaduto e fece riferimento alle misteriose iniziali ...“e volle il caso che una delle gazzette cadesse fra le mani d’un Giovanni Cestonaro nativo di Vicenza ma domiciliato in Este, agente dei NobliHomini Leonardo Nadal e Roberto Boldù.”

Si trattava del fratello dell’uomo ucciso, totalmente inconsapevole dell’accaduto.

Costui riconosciute le proprie iniziali: Vostro Fratello Giovanni Cestonaro”, cioè V.F.G.C. contenute in una lettera che aveva scritto al fratello in precedenza, corse a Venezia il 26 giugno 1779, e si recò all’Avogaria da Comun riconoscendo nella testa sfigurata i connotati del proprio fratello Francesco a cui aveva scritto ... Presso l’Avogaria della Serenissima prese allora a spiegare che suo fratello Francesco era un uomo che aveva “sortito dalla natura una tempra irrequieta, erasi assentato dalla casa paterna per emigrare in esteri paesi, ove esercitò diversi mestieri fra cui l’arte ora del parrucchiere, ora del famiglio o maestro di casa, e che, reduce da Cefalonia, sposò a Corfù la vedova trentenne Veneranda Porta da Sacile: donna un po’ zoppa e bruttina, già madre di due figlie: una delle quali abitava con lei, mentre l’altra stava presso parenti a Sacile ...”

Raccontò anche che il fratello aveva messo incinta una donna olandese abbandonandola poi al suo destino, e che si era recato pure in Sicilia a Catania(dove aveva conosciuto Veneranda bella vedova originaria di Sacile ? … C’è un po’ di confusione nei resoconti della storia: era bella o brutta Veneranda ? … Boh ? … Non si sa bene.)

Il fratello aggiunse ancora che Francesco aveva avuto da Veneranda un’altra figlia affidata pure lei in custodia a uno zio di Este, e che da circa quattro anni abitava con quella donna e la figliastra in Contrada di San Barnaba a Venezia non lontano dal Campiello degli Squellini.

Come ultima cosa: “egli fece cadere i sospetti dell'assassinio sopra la cognata Veneranda Porta, e sopra Stefano Santini, raccontando come l'estinto fratello erasi spesso lagnato per lettera della tresca che il Santini manteneva colla Veneranda.”

Stefano Fantini o Santini da Udine oltre ad essere l’amante della donna, era Staffiere o Servitor da Casàda del NobilHomo Angelo IV detto Antonio Dolfinabitante sulle Zattere in Contrada di San Basilio o Basegio nel Sestiere di Dorsoduro a Venezia.

Dopo tali deposizioni lo stesso giorno Veneranda venne arrestata e condotta davanti ai Magistrati del Tribunale di fronte ai quali provò a comportarsi con disinvoltura, arguzia e straffotenza: “Essa sulle prime pareva disposta a deludere il vero, ma tutto ad un tratto incominciò a chiedere pietà: “Pietà! … Misericordia! … Raccomando le mie creature! … Chiedo impunità! … Parlerò tutto! … Dirò la verità ecc. dicendo che il marito dopo un alterco voleva ammazzare lei ed il Santini, e che quest’ultimo, senza che ella c’entrasse, uccise con vari colpi di mazza la notte del 12 giugno il Cestonaro, e con un coltello lo tagliò a pezzi per gettarli il giorno seguente a più riprese nei luoghi ove con raccapriccio dell’intera città erano stati scoperti.”

Una tradizione popolare attribuita al Negri riferisce che in realtà Veneranda non confessò nulla finchè dopo l’ennesimo colloquio infruttuoso le venne mostrata la testa del marito ... Nel vederla: “allora ella proferì le parole: nol gha più della so somiglianza !”… ma tradizione dice ancora che la testa del morto posta sul tavolo riaprì gli occhi guardandola: La donna allora cadde in deliquio, senza aggiungere cosa alcuna alle confessioni antecedenti…”

Il giorno 27 novembre si rinvenne e arrestò il Santiniin una casa vuota in Rio Marin in Contrada di San Simeon Grando nel Sestiere di Santa CroceMesso alle strette confessò il delitto: “ma attestava che la donna l’aveva sedotto, che era stata essa in quella notte fatale a gettarsi addosso al ferito turandogli la bocca con una gonna perché non gridasse, che, non ben sicura della di lui morte, voleva che gli fossero dati altri colpi: “Per l’amor de Dio ! … Per l’amor de Dio ! … Dèghene ancora ! … No sentì cossa ch’el ziga ?” … che con un rasoio lo ferì nella gola, e che finalmente da lei era partita la sollecitazione di fare a pezzi la vittima: “Ma bisogna farse coragio, e scomenzar perchè vien tardi, e distrigarse !”

“Die 27 luglio 1779: Fatto estrar dalle carceri e condur in officio avanti Sua Eccellenza Avogador Minoto scortato, un uomo di statura ordinaria, occhio nero, di barba scura, e cappelli […]” 
E arrivò a testimoniare di fronte al Tribunale della Serenissima: Vittoria la figliastra dell’ucciso che  affermò: “essere stata presente di nascosto ed aver visto tutto al misfatto … nonché da altri mezzi di prova appariva chiaramente che tanto Veneranda Porta, quanto Stefano Santini erano andati d’accordo nel togliere di mezzo il misero Francesco Cestonaro, e che anche prima avevano tentato per ben tre volte d’avvelenarlo affine di poter contrarre insieme novelli sponsali ...”
Secondo i Necrologi Sanitarii Veneziani, alla fine del processo: Stefano di Andrea Santini da Udine d’anni 30 venne  condannato con sentenza della Quarantia Criminal del 10 gennaio 1780, e decapitato e squartato il 12 Gennaro seguente: “ed apesi li quarti nei soliti luoghi d’ordine dell’Eccelso Consiglio di quaranta al Criminal” ... Veneranda Porta relicta (vedova) del quondam (defunto) Francesco Cestonari da Sacil d’anni 37 fu decapitata d’ordine dell’Eccellentissimo Consiglio di Quaranta al Criminal di San Marco ... A nulla valse l'invocazione della legittima difesa per le angherie subite dal marito, che aveva minacciato di morte sia lei che l’amante provando anche ad assassinarli … amante e marito erano spesso venuti alle mani …

Alcuni raccontarono che Veneranda domandò ai Giudici d’essere la prima a subire il supplizio, ma che non le venne concessa quella grazia … Leggenda aggiunse ancora che Veneranda disse al Giudice: “E’ sconveniente Eccellenza appendere in alto una donna con le gonne …”

“Mia cara … Vorrà dire che le presterò i miei pantaloni per l’occasione …” le avrebbe risposto il Giudice.


La casa di Veneranza Porta in Calle della Madonna venne demolita, e sulla sua area ancora oggi esiste un orto-giardino ... Si diffuse pure la storiella che fosse stata la Madonna a permettere di risolvere quel caso contorto facendo rinvenire ai Giudici quella lettera nascosta ... Per questo la calle venne dedicata alla Madonna Celeste in segno di gratitudine … Peccato che questo non sia vero in quanto la Calle già si chiamava così per via di alcune case lì presenti di proprietà del Monastero delle Monache Cistercensi della Celestia di Castello.


Arsenalotti e poveri Marineri Capotèri e Strazzaroli de Venessia

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#una Curiosità Veneziana per volta – n° 196


Arsenalotti e poveri Marineri Capotèri e Strazzaroli de Venessia



E’ di sicuro sorprendente, e quasi commovente rileggere la famosa relazione sullo Stato della Repubblica che il Doge Tommaso Mocenigo lesse nel 1421 in Maggior Consiglio: “… ogni settimana vengono da Milano ducati 17.000 – 18.000, cioè in un anno ducati 900.000 entrano in questa città, e introduciamo nel ducato di Milano merci per 1.610.000 ducati d’oro all’anno…di là vengono 90.000 pezze di panni l’anno, che valgon ducati 900.000 …assai si vantaggia pure coi Sali, la cui tratta è cagione di far navigare tante navi in Soria, tante Galee in Romania, tante in Catalogna, tante in Fiandra, in Cipro, in Sicilia e in altre parti del mondo per modo che Venezia riceve, tra provigioni e noli, 2 ½ - 3 %; sensali, tintori, noli di navi e galere, pesatori, imballatori, barche, marinai, galeotti e messeterie (mediatori) procacciano altri 600.000 ducati ai nostri di venezia senz’alcuna spesa e ne vivono migliaia di persone grassamente…Verona compra ogni anno 200 pezze di broccato d’oro, d’argento e di seta; Vicenza 120, Padova 200, Treviso 120, il Friuli 50, Feltre e Cividal di Belluno 12; carichi 400 di pepe; fardi 120 di cannella; zenzeri di tutte sorta molte migliaia e altre spezie assai; migliaia 100 di zuccari, 200 pani di cera … Per la pace la nostra città manda 10 milioni di capitale ogni anno pel mondo con navi e galee, per modo che guadagnano tra mettere e trarre: 4 milioni ... Abbiamo navigli 3000, d’anfore da 10 tonnellate fino a 200, con marinai 19.000, navi 300, che portano uomini 8.000; fra galere grosse e sottili ogni anno 45, con marinai 11.000, abbiamo 16.000 marangoni… avete 8 capitani da governar 60 galere e più, e così le navi: avete tra balestrieri, gentiluomini che sarebbero sufficienti padroni di galere e navi, e saprebole guidare, avete 100 uomini usi a governar armate, pratici per togliere un’impresa; e compagni assai per 100 galere, periti e savj, galeotti assai per 100 galere…….La nostra Zecca batte ogni anno ducati d’oro 1 milione e d’argento 200.000 tra grossetti e mezzanini e soldi 800.000 all’anno ...I Fiorentini mandano ogni anno panni 16.000 finissimi, fini e mezzani in questa terra; e noi li mandiamo nell’Apulia pel reame di Sicilia, per la Barberia; in Soria, in Cipro, in Rodi, per l’Egitto, per la Romania; in Candia per la Morea, per l’Istria….Ed ogni settimana i fiorentini conducono qui 7000 ducati, cioè 364.000 all’anno per comprar lane francesi, catalane, cremisi e grana, sete, oro, argento, filati, cere, zuccheri e gjoie, con beneficio della nostra terra ….”


In sintesi: il Doge Mocenigo disse che Venezia aveva 38.000 Marinai impegnati su 3.345 navi ... che più che spesso partivano per il Mediterraneo e l’Atlanticoin flottiglia o Mude di 3-4 navi-Gallee impiegando 600-800 uomini d’equipaggio in tutto.


La pittoresca schiera della popolazione degli Arsenalotti Veneziani sentiva quasi sue creature quelle Galee che creavano, facevano nascere e allestivano sugli scali dell’Arsenale … In un certo senso esisteva una specie di connubio e passamano fra Arsenalotti e Marineri che prendevano in consegna quei gioiellini navali portandoli un po’ dappertutto per mare per facendo ricca e prospera Venezia Serenissima… Entrambi, sia Arsenalotti che Marineri, sebbene in maniera diversa, erano devoti e a servizio di quella stessa causa, e quasi si confondevano e sovrapponevano l’uno negli altri nel lavorare a servizio della Patria Repubblica quasi “domatrice”e di certo Dominatrice del grande e insidiosissimo Mare da cui proveniva tanto bene come a volte: altrettanto male.



La forza navale della Repubblica era costituita da Galee e Galeazze, cioè dall’Armata Sottile che navigava soprattutto a remi, e dall’Armata Grossa formatada Barze e Galeoni muniti di pesanti cannoni di grosso calibro, che navigavano soprattutto a vela … La costruzione di una Galea Grossa veniva a costare alla Serenissima qualcosa come 55.000 ducati: manodopera, armi e munizioni, ancora, vele e cordami compresi, mentre un Galea Sottile ne costava circa 16.000 tutto compreso.


Le Galee Grosse più massicce e robuste venivano impiegate soprattutto per l’Oceano Atlantico, le Fiandre e l’Inghilterra, e via via lungo i secoli vennero studiate ed equipaggiate per sfruttare al massimo gli spazi di stiva, e per portare maggiore carico-tonnellaggio: 200 migliaia di libre grosse o anche 500 botti (circa 90 tonnellate) … In seguito Venezia adottò le “navi cocche da carico” che giunsero a portare 1000 botti cioè circa 750 tonnellate.


Nel 1577 la Flotta da Guerra Veneziana era composta stabilmente da 100 Galee Sottilie da 12 Galee Grosse sempre pronte e in attività ... Per fare un paragone: nel 1583 il corsaro Uluç Alì PasciàOcchialicioè il Calabrese Giovan Dionigi Galenidetto “il Rinnegato”disponeva di 70-80 Galee.


Come dicevo, quelle veloci, leggere e manovrabilissime navi venivano costruite nella Casa dell’Arsenale, che nel 1570-73 era come un città nella città di Venezia dove si contavano all’opera quasi 5000 lavoranti fra Marangoni (1.283), Calafati  da Figger e da Maggio(1069) e Remèri (157) che lavoravano dalla campana del lunedì mattina a quella del sabato a mezzogiorno … Nel 1575 anno di peste, cosa curiosa: gli Arsenalotti con le loro famiglie scamparono all’epidemia di peste isolandosi a vivere nell’Arsenale ... Il loro numero rimase quasi immutato nonostante il contagio imperversasse in tutta la città mietendo numerose vittime … Gli Arsenalotti lavoravano 270 giorni annui, e più di qualche volta finivano certi mesi per lavorare solo 11 giorni per colpa delle ricorrenti feste cittadine, e dei numerosi funerali ai quali erano tenuti a partecipare in massa … Venivano pagati per un valore di 48 soldi al giorno ricevendo denaro, vino e legna che asportavano per un valore di 7-10 soldi dall’Arsenale a fine giornata riducendola in “fascio di stelle”: cioè legname di scarto … Fu questa un’usanza che molto spesso diede addito ad abusi e furti di materiali celati all’interno del legname, anche se i controlli della Serenissima erano capillari e metodici ... Le Maestranze dell’Arsenaleinoltre godevano del privilegio di ottenere lo sconto di un quarto sul prezzo degli affitti delle loro case che poteva arrivare fino a un massimo di 20 ducati annui.


A quel popolo di abili Artieri Specializzatisi aggiungevano 40 donne Velere che per 14-16 soldi al giorno “tagiàvano e pontàvano” le vele delle Galee già cucite e decorate dalle giovani accolte negli Ospizi-Ospedali dei Mendicanti e degliIncurabili sotto il controllo stretto di una Mastra delle Vele … Per allestire le vele di una Galea Grossa si spendevano 2.400 ducati, 909 per una Galea Sottile ... Le Velere usavano tele daViadana-Mantova non esenti dazio acquistate da Venezia a lire 100 la libbra, oppure fustagni bianchi prodotti dai Bombaseri di città comprati fra 1637 e 1643 in 500-2000 pezze spendendo 300-12.000 ducati … oppure utilizzavano per 6 ducati Canovazzi Vercellesi acquistati nel 1639-1642 in 12-50 miare l’anno spendendo fino a 6450 ducati …

Oltre alle corpulente Velere, si aggiungevano alle Maestranze Arsenalotte anche i Bombardieri, i Segadòrie Tagièri (spesso montanari e boscaioli Trentini) che lavoravano a tariffa del segato secondo misure … C’erano ancora i Marangoni da Bosco per l’Arsenale, Garzoni, Fanti e circa 300 Bastazi cioè Facchini-Manovali generici addetti alla movimentazione dei carichi e ai lavori di fatica, utilizzati più d’inverno che d’estate per scaricare burci e navi, tirare su dall’acqua i legnami, depositare i roveri e  trasportarli alle seghe.


L’Arsenale era una Cittadella autonoma ed efficientissima, febbrile, quasi mai doma e spenta, provveduta in ogni materiale: canapa e cordami, legname, artiglierie, ferramenta, vettovaglie e velature ... I documenti d’inizio 1500 raccontano, ad esempio, di come che qualche volta in Arsenale si raddoppiava o triplicava il salario da 3 a 6 ducati al mese a “ … Mastro  Thomasin … Proto Mastro de la polvere da bombarda … considerato che con ducati 3 al mese che ha de salario et provisiò, el dicto non se puol sostentar …”


Le Cronache Veneziane del febbraio 1543, dicono ancora:“E’ necessario che domattina l’Officio nostro all’Armamento habbia danari per satisfar le ciurme delle fuste venute a disarmar, quale ogni mattina cridano et molestano alle porte del Collegio nostro …”


Nel giugno1601 scoppiò perfino una rivolta fra gli Arsenalotti: un tale Antonio de Zuane remèr incitò i compagni a protestare davanti al Provveditore dell’Arsenale Tommaso Duodo che distribuiva le paghe ... L’Antonio de Zuane gridava: “Si deve far presente che i danari havevano tochati allora erano pochi, et che ne volevano et meritavano di più.”… Il peggio fu che il Remer non si limitò a protestare ma buttò il denaro della paga in faccia al Provveditore Duodo: “… biastemando chi li aveva dati li denari, et chi più serviria la Caxa del Arsenal.”

Oltre alla protesta ci fu quindi l’oltraggio alla Pubblica Autorità che la Serenissima considerò la cosa peggiore, perciò l’Artiere venne condannato a morte “procedendo con misericordia verso gli altri Arsenalotti”.


Con sentimenti contrastanti quindi, quasi indecisi e fluttuanti fra odio e amore verso la Repubblica, gli Arsenalottilavoravano perfino in trasferta nei Boschi da rèmi della Serenissima, svolgevano funzioni di sorveglianza accompagnando il Doge nelle uscite pubbliche o proteggendolo quando si trovava “a Palàsso”, oppure intervenivano in giro per le Contrade Veneziane in caso d’incendi traendo acqua da pozzi e canali, e trasformandosi all’occorrenza anche in opportuni “Marangoni da case” ... Nel 1597, ad esempio, alcuni Arsenalotti ebbero l’ordine di acconciare: “strade e ponti di Rialto”, ma anche: “ … le strade di Portogruaro e Cordovato, per le quali transitano persone e mercanzie che vanno e vengono di Germania …”


Sulle Galee da Guerra e di Mercato Veneziane s’imbarcava sempre: un Marangòn, un Calafàtoe un Remèr… La storia degli Arsenalotti inanella una serie di vicende fatte di disciplina e paternalismo dello Stato Veneto, ma anche di ribellioni e repressioni durissime nei confronti di quegli Artieri e delle loro famiglie tutto compreso dediti “anima e cuore” alla causa della Serenissima Repubblica.


Per costruire una Galea Grossa si spendevano 17.680 ducati in legname, e 3.534 per una Galea Sottile ... Ogni anno l’Arsenaleordinava il taglio di 1500-2500 remi da Galia Sottil e 300-600 remi da Galia Grossa: “Si ordinano: Fàgari per remi da Alpago e Carnia; Nògheri ossia Noci e Olmi per timoni e bolzelli dal Mantovano; Ròveri da Rovereto e Trento, Cadore, Carnia, Friuli o dall’estero ossia Toscana e Napoletano.”5.000 roveri si trovavano stabilmente depositati in Arsenale di cui 1.000 erano ancora buoni secondo una relazione del Molin del 1633: “… a volte sono lasciati tagliati nei boschi o sulle rive dei fiumi per anni per cui vengono condotti non buoni e valgono solo a occopar e non servir la Casa (l’Arsenale)…”

La Casa dell’Arsenalera gestita e organizzata dalla Banca cioè daiPatroni dell’Arsenalche erano la mente direttiva e di governo della grande cittadella navale Veneziana … Questi “Capi”sovraintendevano alla costruzione delle Galee, alle Corderie e alle fabbriche d’armi … Erano dei Nobili Veneziani scelti dal Maggior Consigliocon un incarico solitamente di 32 mesi, avevano obbligo di risiedere nelle vicinanze della“Casa”, percepivano uno stipendio di 100-130 ducati annui“esenti da angheria”(tasse), ed erano coadiuvati da 2-3 Provveditoriscelti dal Senatocon incarico di 16 mesi ... Gerarchicamente inferiori e a diretto servizio degli stessi Patroni dell’Arsenale c’erano i Visdomini della Tanae gliAmmiragli, e una piccola folla di Capitani e Capi d’Opera, Revisori e Stimadori dei lavori eseguiti dalle Maestranze, e poi di: Proti e SottoProti dei Marangòni, dei Calafàti, dei Remèri, degli Alborànti, dei Tagjèri e Segadòri, dei Fabbri e dei Mureri… Tutti erano tenuti ad appuntare ogni gesto e attività su appositi Libri, Giornali e Quaderni dei Lavoriverificati mensilmente dai Patroni e dalle autorità della Serenissima.

Oltre a quella specie di “dirigenza dell’Arsenale” esisteva di supporto un’altra numerosa squadra di: Nodari, Scrivani, Scontri(controllori) di Cassa, Portoneri dell’Arsenale, e Appontadori e Despontadori delle Maestranze che segnavano chi entrava e usciva dal lavoro, e i singoli lavori assegnati ed eseguiti,e Sopramasseri agli Armizi, Masseri dei Piombi, del Sego e delle Micce, Ragionati Appontadori, Soprastanti alle Navi in entrata e uscita e all’imbarcato e sbarcato, Pesadori e Misuradori, Sorveglianti dei Magazzini, Deputài all’Arsenal Vecchio, alla Ferramenta grossa o minuta, alle pegole, e Custodi delle tele e fustagni consegnati e predisposti dalle Velere.


La formidabile“macchina”dell’Arsenale veniva a costare nel 1587:489.320 ducati; nel 1594: 628.328 ducati, e 722.603 ducati nel 1602comprese le spese per le paghe delle Maestranze, e “le robbe” cioè il Ferro grezzo proveniente con esenzione dal dazio soprattutto dalle miniere austriache di Villak; la Stoppada Bologna comprata nel 1632 in quantità di 52 miara; la Pegola Dura da Valona e la Pegola Tenera dal Cattaro con esenzione del dazio e pagamento alla consegna … Si utilizzava anche: Sevoper impalmare le galee acquistato in Ponente esente dazio; Vino di Vasto e Ortona comprato al pubblico incanto in quantità di 300 anfore annue da consegnare a rate in 10 mesi;  Canapa per corde comprata primaa Bolognadistinguendola in Mocàdi e Sorte(di qualità inferiore), e poi dal macereto di Montagnana che ottenne una concessione dallo Stato di 400 campi a Palù di Prova con l’obbligo di produrre la canapa in esclusiva per la Serenissima inviandola alle Corderie e al Canevo della Tana dell’Arsenale dove venivano realizzate le corde; e Salnitri e Artiglierie per l’armamento delle Galee; e il “panBiscotto”per alimentare l’ArmàdaVeneziana da Mar.




Quando tutto era allestito e pronto, le Mude Veneziane(squadra navale) salpavano “secondo Justa consuetudine” salutando tre volte la chiesa di San Antonio Abate di Castello, o rientravano in Laguna salutando allo stesso modo San Giorgio e San Marco ... con grida entusiaste e colpi di cannone.

La Muda di Ponente partiva ogni volta da Venezia per arrivare nelle Fiandre, Germania e Inghilterra giusto in tempo per partecipare alle grandi  Fiere annuali … Esisteva la Fiera dell’Anno Nuovo a Lipsia; la Fiera di Sant’Agnese a Leopoli in gennaio; la Fiera della Candelora a Lublino in febbraio; la Fiera delle Ceneri a Jaroslaw all’inizio della Quaresima, e quella di metà Quaresima a Breslavia, e di fine Quaresima prima della domenica delle Palme a Francoforte sul Meno… 8 giorni dopo Pasqua si teneva la Fiera di Pasqua a Linz seguita da quella di Lipsia, e dalla Fiera di Pentecoste di nuovo a Lublino… In giugno si organizzava la Fiera di San Giovanni a Breslavia, mentre in agosto c’erano le Fiere dell’Assunta a Jaroslaw e di San Bartolomeo a Linz… Il 9 settembre di ogni anno si teneva la Fiera d’Autunno a Francoforte sul Meno seguita dalla Fiera della Santa Croce a Breslavia, e da quella famosissima e molto frequentata di San Michele a Lipsia… A fine ottobre c’era la Fiera dei Santi Simone e Giuda a Lublino, a metà novembre la Fiera di Santa Elisabetta a Breslavia, e a fine mese la Fiera di Sant’Andrea a Jaroslawche chiudeva la stagione … e poi si ripartiva ricominciando da capo di anno in anno.


Dall’altra parte del Mediterraneo, cioè verso il Levante, prima della Guerra di Cipro(durante la quale gli Inglesi si presentarono direttamente a Zante, Cefalonia, Cipro. Smirne e Costantinopoli saltando l’intermediazione commerciale Veneziana), e in seguito fino a fine secolo, 42 grosse navi da carico Veneziane facevano la spola ininterrottamente col Mercato di Aleppo in Siria(dove erano presenti 100.000 mercanti di ogni provenienza che si assommavano alla comunità autoctona di 200.000 abitanti). Aleppo era uno dei capolinea della Via della Seta, e come precisava il Console Veneto li residente:“Aleppo era ricco di molte Nazioni presenti con grande quantità di merci di valore: sete, spezie, endeghe, gottoni, pannilani, seta d’oro ed altre infinite cose.”… Di conseguenza la Muda faceva affluire a Venezia: cotoni di Cipro, olio di Candia e Puglia, uva di Zante e Cefalonia spedita in Inghilterra, cera dalla Turchia e zucchero dall’Egitto …”


Per diversi secoli ogni anno a Venezia accadeva “l’incanto” cioè il noleggio delle Galee di Mercato di Stato cioè “da Comun” per il Ponentee il Levante che navigavano in parallelo alle navi di libera organizzazione naviganti “per divisum”, cioè da privati e a proprio rischio e pericolo ... Singole “Compagnie di Galea” fornivano il capitale necessario per noleggiare ed equipaggiare ogni Galea: di solito si trattava di Fraterne Familiari di Nobili Mercanti e Armatori abituati a mercanteggiare di generazione in generazione.


La Muda poteva comprendere sia Galee che Navi Tonde, che si registravano in anticipo versando una cauzione di 10 soldi per milliarium, e un pegno di 2000 libbre per garantire la propria partenza … Il capitale impegnato su ogni nave della Muda era suddiviso in 24 Carati o partecipazioni secondo il modello della nave utilizzata, il tipo di merci, e gli azionisti o Parcenevoliche anticipavano le spese avendo diretta influenza sul Patron della Galeao Nave considerato quasi un dipendente … Questo non valeva però per il Capitanio della Serenissima che era un supervisore generale al diretto ed esclusivo ordine dello StatoVeneto... Di solito un Parcenevole sborsava e anticipava circa 7.000-8.000 ducati, e ogni Compagnia di Galea privata cercava di far concorrenza alle altre riducendo al minimo le spese, accaparrandosi i migliori clienti e carichi, e provando a riservarsi il migliore profitto … Un’unica Compagnia era capace di movimentare anche 20.000 ducati d’oro … Di solito le Compagnie di Galea si formavano nei mezzanini dei Fondaci o dei Palazzi Nobiliari di Venezia, e si definivano e concretizzavano meglio davanti a un buon boccale di vino in qualche osteria, o nei pressi della Securtà dell’Emporio Realtinodove si assicuravano le merci e il viaggio, e si progettavano rotte, tappe e scali, vendite e acquisti consultando “occhi in su” le Mappe Dipinte che affrescavano buona parte delle volte dei Portici di Rialto.


Era il Senato della Serenissimain ogni caso, che avendo partecipazioni dirette nel capitale imbarcato e investito nella Muda, a scegliere il Capitanio che doveva guidare le navi “in nome di San Marco”… Lo stesso Senatodecideva il numero delle Galee ammesse al convoglio, mentre il suo Capitanioaveva il compito d’ispezionare il carico presenziando al caricamento delle merci e annotandole: “Se fosse stato il caso il Capitanio avrebbe anche frugato nella paglia per controllare che non ci fosse qualcosa di nascosto … Avrebbe tenuto chiuso a chiave i boccaporti nei momenti in cui non erano presenti lui e lo scrivano della nave.”Finchè avevano spazio a disposizione era tenuto a caricare tutte le merci presentate, pena una multa di 5 libre per balla, e di 10 libbre per cantàro rifiutato ... Non poteva chiedere però ulteriori denari per noleggiare la nave ... Doveva imbarcare ogni Mercanteche avesse caricato almeno 10 balle di merci, o che avesse pagasse almeno 20 soldi di noleggio, concedendogli uno spazio largo 2 piedi, e consentendogli di portare a bordo senza sovraprezzo una coperta e un materasso di peso non superiore a 30 libre, un baule, una valigia, ed eventuali armi per se e un suo servitore ... E ancora: conteggiavale razioni alimentari, e controllava e organizzava gli equipaggi le cui operazioni d’arruolamento, cioè il “Ponere Bancum”, avveniva in Piazzetta di San Marco: sul Molosotto i Portici di Palazzo Ducale ... In quell’occasione veniva fornito ai Marineri un anticipo sulla paga che era di 2 soldi di grossi al giorno.


Una Galea Grossa di Mercatocaricava in stiva un peso lordo di 140-250 tonnellate, alle quali si sommava lo spazio del ponte e l’equipaggio, che per legge era costituito da 212 Marinaicompreso un Cuoco e un Medico ... A metà 1400 la Repubblica di Venezia possedeva circa 35 Galee del tràffego insieme a una flotta di 300 navi tonde più capienti, e spediva ogni anno in giro per Levante e Ponente circa 1000-2000 tonnellate di mercanzie e prodotti del valore di 100.000 Zecchini ciascuna ... Era sempre il Senato a decidere se le navi dovevano viaggiare in convoglio e su quale rotta, e decideva anche se dovevano “attaccare o disimpegnarsi” in caso di conflitto qualora la spedizione avesse avuto anche scopi militari, cosa frequentissima … A volte la Muda era “militare” all’andata, e “commerciale” al ritorno o viceversa o entrambe, e le Galee erano tenute a navigare almeno a due a due o in flotta perlomeno fino alla Morea e Corone… dovevano fermarsi un giorno se qualcuna avesse avuto bisogno di scaricare a Corfù o a Chiarenza, e si dovevano riunire di nuovo in carovana a Modone o a Corone per il ritorno a Venezia.


La navigazione del Golfo di Venezia per il Levante cioè lungo il Mare Adriaticoaccadeva “Sottovento” cioè toccando i porti d’Ancona, Manfredonia, Barletta, Trani, Bari e Monopoli, oppure “Sopravento”toccando la sponda oltremare di Spalato, Fiume, Castelnuovo, Bojana, Durazzo e Valona ... Anche il commercio e la navigazione verso il Ponentesi distingueva per “Alto Ponente” cioè passando per: Tolone, Marsiglia, Alicante, Cartagena, Lisbona, Inghilterra e Olanda, o lungo il “Basso Ponente” cioè per: Gallipoli, Taranto, Messina, Palermo, Napoli, Civitavecchia, Livorno e Genova avendo come meta il Mar Jonio con Corfù, Cefalonia, Zante, la Morea e Tinooppure il Mar Egeo con Scio, Mitilene, Smirne e Costantinopoli oppure si percorrevano le rotte del Mar Sirio facendo scali a: Cipro, Tripoli, Alessandra e Damietta.


Di solito la Muda di Levantetrasportava: vino, spezie e sete per gli Inglesi, miele per gli Sciti, zafferano, olio, lino in Siria, Persia, Arabia e Armenia, Legna alla Grecia e all’Egitto, eriportava dalla Siria: spezie e cotone in giugno-luglioLa Muda di Ponente, invece, portava da Londra e Bruges: stoffe, pannilana Francesi e stagno.

Una Muda andava in febbraio in Siria, fra inizio e metà marzo un’altra andava a Tunisi e Tripoli, e fra metà aprile e l’inizio di maggio un’altra ancora il cui incanto era stato eseguito a gennaio costando ogni volta quasi 2000 ducati, alzava l’ancora per la Barberia e Acque Morte.

Fra metà marzo e metà luglio partiva la Muda di almeno sei navi armate per le Fiandre, le Città Anseatiche, Londrae i Mari del Nordnel Ponenteil cui carico valeva circa 250.000 ducati ...Trasportava più di 1200 uomini, e poteva viaggiare anche un anno, anche se spesso tornava a Venezia per Natale o fine anno, o nella primavera dell’anno seguente toccando: Francia, Lisbona, Cadice, Alicante e Barcellona dove si compravano sete gregge ... I Mercanti Veneziani caricavano zucchero in Sicilia, passando lo Stretto di Gibilterrarifornivano i Marocchini di: ferro, armi, panni e utensili domestici, e compravano altri prodotti che permutavano strada facendo nei porti di Barberia con frumento, frutta secca, sale, avorio, schiavi e polvere d’oro che portavano a Venezia.


Nel 1319 lo scalo della flotta a Southamton in Inghilterra provocò una rissa così grossa tra equipaggi Veneziani, cittadini, mercanti e portuali Inglesi che lo scalo nei porti inglesi venne sospeso per 5-6 anni ... I Veneziani in giro per il mondo non erano sprovveduti, né santerelli, né allegri buontemponi, ma ritenuti da tutti: avveduti, furbi e scaltri.


Verso la fine di luglio partiva ancora da Venezia l’imponente Muda armata da Comun per la Romania: Mar Nero, Costantinopoli, Grecia e Trebisonda che poteva contare e mettere insieme fino a 25 navi ... A un certo punto stabilito della navigazione del Golfo (Mar Adriatico), la grande squadra si divideva in tre: una parte costeggiava il Peloponneso andando a vendere a Costantinopoli merci Veneziane o acquistate in Grecia; una seconda parte di navi si dirigeva a Sinope e Trebisondadove andava a caricare prodotti asiatici arrivati dai Fasi e dalla Cina; e una la terza parte della flotta entrava nel Mar d’Azof e nei porti di Caffa dove andava a caricare: pesce, ferro, antenne da nave, grano e pelli.


A fine luglio e inizio agosto partiva da Venezia un’ulteriore Muda per la Siriadisarmata con navi a vela ... A fine agosto un’altra Muda andava a Beirut, e un’altra ancora ad Alessandria d’Egitto dove c’era il grande mercato di Tauris, e poi proseguiva per l’Oltremareossia: Palestina, Tunisia, Sicilia, Isole Baleari e porti dell’Atlantico… Il viaggio era relativamente breve: da 3 a 6 mesi, ma si trasportavano carichi di grande valore fino a 500.000 ducati … Si trattavano e vendevano anche schiavi e schiave provenienti dalla Georgia e dalla Circassiabarattandoli di solito con derrate del Mar Rosso e dell’Etiopia … persone in cambio di cibo ... Però ???




E poi arrivava l’autunno a Venezia: periodo in cui la Città Lagunarefibrillava ancor auna volta di grande attività e aspettative per via degli imminenti ritorni della Muda… Prima dell’inverno tornavano di solito le 3 flotte partite per il Levante, le navi partite per la Siria in estate, e quelle di Barberia e Acque Morte che rientravano dopo un anno … Venezia girava a mille, e in città c’era di tutto: carichi e merci di ogni sorta: spezie, stoffe preziose e tutto il resto, ed era stagione di grandi vendite, permute, scambi, riscossioni e pagamenti, ma anche di ulteriori nuovi progetti, impegni e spedizioni che si protraevano fino a febbraio quando le nuove Mude tornavano a riprendere il mare dopo l’obbligatoria sosta invernale.


Nello stesso tempo si riaprivano anche i passi alpini, e quindi si riattivavano i commerci e gli scambi via terra con Germania, Est Europeo e Nord Europa … In tarda primavera tornavano le Galee di Fiandra e ancora quelle di Siria partite a fine inverno … Fin dal 1180 esisteva a Venezia la grande e partecipatissima Fiera della Sensa durante la quale si trovava, trattava, vendeva e comprava di tutto per otto giorni … Papa Alessandro III aveva arricchito quell’evento concedendo la possibilità di lucrare specifiche Indulgenze nei giorni della Fiera, cosa che calamitava puntualmente la grossa schiera dei Pellegriniprovenienti da tutta l’Europa, che raggiungevano Venezia impegnandosi sulle grandi Vie di Pellegrinaggio tradizionali verso San Jacopo di Campostela, la Terrasanta, Roma, San Michele del Gargano, Assisi, la Madonna di Loreto e molto altro ancora … Ogni anno con la Fiera della Sensadi Venezia si avviava la nuova intensa stagione commerciale estiva che culminava a luglio-agosto con le nuove partenze delle Mude sempre più ricche e consistenti.


Venezia commerciava con almeno trenta città italiane e con una cinquantina di città estere raggiungendo la Persia, il Turkestan, l’India e la Cina impegnando ogni anno un capitale circa di un milione di ducati …  Nel 1490, ad esempio, nonostante due guerre contro i Turchi e una contro il Duca di Ferraraentrarono nelle casse del tesoro della Serenissima: 1.200.000 ducati, cioè il doppio di quanto gestiva lo Stato di Milano,e un ¼ di quanto disponeva il Regno di Francia… Venezia quindi fungeva da protagonista sul palcoscenico del Mediterraneo Europeo, e aveva più che buoni motivi per proclamarsi Sovrana dell’Adriatico  Per questo obbligava al contributo le navi che lo percorrevano, e si considerava ed era “Difensore della Cristianità Occidentale” da Pirati, Corsari e Musulmani sotto l’egida degli Stati Italici ed Europei, e con le abbondanti benedizioni Papali.


Tutto questo gran discorso per dirvi quanto facevano, e in quale ampio scenario e mondo commerciale s’impegnavano a lavorare per una vita intera i Marineri Veneziani … C’era da movimentare tutto quel grande “ben di Dio”, e la Serenissima sapeva abilmente governare le situazioni cavalcando le onde del Mediterraneo e dell’Atlantico destreggiandosi fra “felice commercio”e interminabili quanto sanguinose e micidiali guerre.


I Marineri Veneziani vivevano quasi un’intera “vita per mare”, ed erano personaggi-figure attivissime che sapevano “dar vita” a Venezia quando si trovavano in Laguna, ma sapevano soprattutto sfidare la Sorte e la Fortuna vagabondando e rischiando su e giù per i mari portandosi dietro il loro prezioso fagotto da mettere “sotto al trasto e al banco da remi della nave”… Lì racimolavano quanto potevano “di buono” facendo piccoli affari in ogni porto, arrotondando così la magra paga fornita dalla Serenissima.

I Marineri Veneziani non viaggiavano di certo per diletto, né tranquillamente: ogni partenza era come una scommessa, un “terno al lotto da accalappiare”Si sapeva come e quando si partiva con le Mude Commerciali e da Guerra della Serenissima, ma non si poteva sapere con certezza se e quando e in quale stato si sarebbe tornati … La vita da Marineri era un“gioco” rischiosissimo: se andava bene c’era bottino e qualche denaro, se andava male non si tornava a casa, o si rientrava a Venezia feriti e invalidi … pronti però per essere considerati “eroi della Patria”.


Marineri e Arsenalottiformavano quindi due corporazioni e categorie molto coese e solidali fra loro, anche se a se stanti … Erano accomunati dalla stessa smania di partecipazione, e dallo stesso “Amor Patrio”: per Venezia davano tutto ... Bastava che suonasse una campana in città, che era tutto un accorrere all’unisono … anche se nell’intero bacino del Mediterraneo i Veneziani furono sempre noti per essere: “Popolo di Mercanti e Marinai criticoni, sagaci, furbi, ironici, satirici, senza peli sulla lingua, e non del tutto entusiasti del loro Governo Serenissimo.”


Voglio dirvi però …


Che alla fine tutto quel mondo ambizioso, iperattivo e un po’ da sogno sfumava, e buona parte dei tanti Marineri Veneziani si ritrovavano con i piedi a terra in Laguna, cioè indotti a sbarcare per un’ultima volta perché inabili al lavoro, per l’età avanzata, o per via di malattie o ferite di guerra ... Diventavano quindi Marineri quiescenti e congedati … e Venezia: “punto di partenza e d’arrivo d’ogni cosa” assumeva per loro un volto diverso e alternativo in cui spesso dovevano ridursi a sopravvivere modestamente.


E’ curioso notare come Venezia sapeva essere allo stesso tempo Repubblica Sovranadei Mari lanciata alla conquista del mondo di allora, ma anche “Patria di ricovero e riposo” che sapeva accogliere il suo popolo quando terminava la “Stagione del Mare”.


I Marineri Veneziani non avevano alcuna fretta di pensionarsi … Anzi ! … Le Cronache Veneziane erano colme di racconti di uomini indomiti e inesauribili, Capitani da Mar e Dogi che combattevano ad oltranza sulle navi perfino in ciabatte se sofferenti di gotta … ma c’erano anche storie di Marineri finiti schiavi dei Turchi e costretti a vivere di stenti e sudditanza, o partiti e non più tornati con le Crociateo le grandi Esplorazioni fino in Scandinavia e Groenlandia, o viaggiatori sulle Vie della Seta,dell’Incenso e dell’Ambra… o forse anche scopritori per primi dell’America prima che ci fosse l’America.


Alla fine però, “all’ultimo”, quando proprio non ce la facevano più, i Marineri tornavano a sbarcare a Venezia un’ultima volta: vivi … anche se più di qualche volta: “un fià ròsti e cotti, malcònsi, a tòchi e boccòni e solo con la vita in tasca”.


Iniziava allora per i Marineri Veneziani un tempo per provare a riciclarsi risiedendo in Laguna … Non era di sicuro facile impiegarsi a Venezia trovando alternative al proprio ruolo … Ogni settore del lavoro in città era strettamente irregimentato e regolamentato … Anche i così detti “lavoretti” per tirare a campare non erano di facile reperibilità, e spesso si doveva agire di nascosto rischiando contro la legge … Perfino la pesca, la manovalanza e il facchinaggio, “la strasseria” erano prerogativa ed appannaggio esclusivo di apposite Schole d’Arti e Mestieri o degli inossidabili e onnipresenti Ebrei.


Rimaneva ben poco da fare per i Marineri “in pensione”, che di conseguenza diventavano soliti a portarsi in giro per Venezia di osteria in osteria, stazionare sui Moli di San Marco, negli Squeri e nei pressi dell’Arsenale per assistere e quasi accompagnare arrivi e partenze, e partecipare nostalgici alle manifestazioni ricorrenti della vita pubblica Veneziana che non mancavano mai … In qualche modo cercavano di curare e prolungare quell’ “Amor di Patria” che li aveva portati in giro per il mondo per tutta la vita, e s’ingegnavano intanto in qualche infima attività per “sbarcare il lunario” nel più assoluto anonimato ... Eccoli là quindi ! … Immaginateli quei Marineri Veneziani un po’ avanzati nell’età, e un po’ dimessi nell’aspetto portarsi da una parte all’altra di Venezia, soprattutto nelle zone del Sestiere di Castello e dell’Arsenaledove risiedevano maggiormente, ma anche sparsi in tutte le Contrade Veneziane … I Marineri erano spesso considerati Capoteri e Strazzaroli”:più di aspetto che di mestiere, perché erano: “incappotài, vestii de stràze, intenti a viver de niente e de miseria” … ma pur sempre fieri e ricchi di memorie vissute, e soprattutto orgogliosi d’essere ancora parte integrante della Repubblica Serenissima.


Venezia e i Veneziani non dimenticavano quella schiera così nutrita di persone che l’avevano servita per quasi tutta la vita. Lo StatoVeneto sapeva farsi carico di “quei persi in nome di San Marco”, si preoccupava per loro, e in qualche maniera provvedeva al loro ricovero e sostentamento assistendoli e ponendo un tetto sopra le loro teste.



All’inizio del 1500 si contavano in Venezia approssimativamente quasi duecento caxe e caxette gestite dalle Procuratie de San Marco de Citra. Costituivano una sorta di rete assistenziale e protettiva che dava asilo e supporto alle porzioni più deboli della società Veneziana, compresi gli ex MarineriIl numero di quelle caxette era quasi pari a quello delle Osterie, dei Bastioni, dei Magazzini da Vin, delle Malvasie e Furatole, e dei Bordelli e delle Locande che ospitavano spesso per“una sera o qualche ora”quella moltitudine polivalente e multicolore del popolo deiMarineri.

Di alcune di quelle unità assistenziali è rimasta solo la memoria, poco più che un nome, di altre si sa qualcosa di più … Si sa ad esempio che esisteva l’Ospedale della Scuola Grande di San Marco sito in Calle della Testa nei pressi dei Santi Giovanni e Paolo … L’istituzione era nata nel lontano 1347 nel Sestiere di Santa Croce, ma venne trasferita lì nel 1495 in una “casa da stazio” donata da Bernardo o Leonardo Contarini per accogliere 4 poveri affidandoli a un Priore eletto dalla Banca e Zonta della Scuola Grande di San Marco ... Ad ogni povero veniva distribuita un’elemosina annuale di 22 ducati, e altri 18 ducati venivano dati a un Sacerdote per l’assistenza spirituale dei ricoverati che dovevano indossare cucito sulle vesti il simbolo della Schola Granda di San Marco ... Chiuso una prima volta nel 1768, venne riattivato venti anni dopo prima d’essere demolito all’inizio del 1800.



Potremmo elencarne molti di quei curiosi Ospedaletti e Ospizi Veneziani: ognuno con una storia e memorie curiosissime da raccontare … Santa Caterina dei Templari a Castello… l’Ospedale di San Domenico in Secco Marina e Calle delle Furlane a Castello con “camera e cusina” per i poveri … ma rimaniamo a parlare dei Marineri.


Cinquantacinque di quelle caxette appartenevano all’Ospeal del Prete Zuanedestinato esclusivamente ai Marineri in congedo… Altre diciotto caxette erano riservate alla stessa Marinarezza che aveva servito sulle navi dello Stato ... Si trattava d’immobili pervenuti allo Stato attraverso lasciti e donazioni di privati, e in parte costruiti appositamente a spese pubbliche ... Nel 1566, ad esempio, viste le necessità dei Marineri, si decretò di costruire altre caxette in Corte Colonne, anche se poi non tutte vennero destinate allo scopo per cui erano state edificate, cioè come supporto degli Ospizi per i Marineri.

L'assegnazione dei posti in quelle piccole realtà ospitativo-assistenziali erano rigorosamente legati a specifici bandi di concorso, e disciplinati da appositi regolamenti che organizzavano la piccola comunità esclusiva e composita dei Marineri.



Scriveva G.N.Doglioni nel 1613: “Poche città puono eguagliarsi alla città di Venezia nella pietà et nel mantenir con elemosina i poverelli et specialmente che si ritrovano né luoghi dedicati  ad Opere Pie ... Che, tralasciando le tanti e tanti Monasteri di Frati e di Monache Mendicanti, ecco i bambini nati di nascosto et abbandonati da padre et madre hanno luogo comodo per allevarsi nell’Hospitale della Pietà. Gl’infermi di mali incurabili con piaghe et tumori han l’Hospitale dell’Incurabili a ciò deputato ... Quegli altri poveri, non con tanto male, sono soccorsi nell’Hospital di San Giovanni e Paolo. Li meschini Marineri malamente feriti han lor ricovero in San Pietro e San Paolo. Quelle donne che dal mal fare si rimettono e si danno al far bene sono raccolte nel Monasterio delle Convertite. Le giovanette già da marito che stanno in eminente periglio di cadere in peccato son levate da alcune matrone primarie della città et anco a forza condotte et chiuse nel Luogo delle Citelle. Quelle donne che maritate, non però voglion vivere caste, si conservano ben guardate nel Soccorso ... Vi sono anche altri Luoghi Pii et Fraterne …”

Nel 1335 il Mazor Consejo affidò ai NobilHomeni Giustiniano Giustinian e Andrea Morosini l’incarico di realizzare un apposito Hospitale sive domus communis” cioè un Ospizio per Poveri e Vecchi Marineri infermi o divenuti impotenti per cause di servizio utilizzando una cospicua somma di denaro lasciato per tale scopo nel 1300 da un certo Prete Zuane ... La costruzione doveva sorgere in un terreno da loro scelto fra la chiesa di San Biasio ai Forni e l'Isola de Santa Lena(Sant’Elena) avendo a nord come limite il Rio de San Domenegode Castèo e a sud il Canal de San Marco… La lunghezza dell'edificio inoltre non avrebbe dovuto oltrepassare la misura di 140 passi veneti.


E l’edificio venne realizzato alla Marinarezza di Castello dove in Corte Colonne tutto rimase poi immutato e funzionante per tre secoli … Nel 1645 si costruirono per i commercianti della zona del Molo di San Marco dei nuovi magazzini fronte laguna, proprio "davanti a le rughe de caxette de l'Ospeal de Comun"(il complesso dell’Ospedaletto con le sue caxette limitrofe quindi c’era) … Nel 1688 con i soldi ancora disponibili della stessa Commissaria del Prete Zuane vennero costruite altre quattro caxette che si aggiunsero alle quattro che formavano l'Ospissio … Si completò così il grande edificio un tempo prospiciente sulle acque e l’arenile del Canal e Bacino de San Marco al quale si accedeva attraversato due profondi fornici destinati a consentire il passaggio delle barche e navi degli squeri (quel che rimane dell’antico complesso "della marinarezza"è stato definitivamente allontanato dall'acqua quando venne interrata la spiaggia nel 1930 per creare la Riva dell'Impero oggi Riva dei Sette Martiri)… Nello stesso periodo col Piovan della chiesa e Contrada di San Lunardo del Sestier de Canaregio si decise la realizzazione in Calle Da Mosto o dei Colori  (dove c’era già un edificio-ospedaeto fondato dalla Nobildonna Cecilia Bernardo-Pisani per ricoverare almeno tre povere donne dando loro trentasei ducati annui ciascuna, una botte di vino, legna e altri generi di prima necessità) di una dependance dell’Ospissio del Prete Zuane da destinare ai Reduci Marineri del Sestiere di Cannaregio.



Ma non è tutto …


Cancellati dalla lista dei Marineri in servizio attivo, si poteva venire iscritti in quella dell’Ospedale di San Nicolò Protettòr dei Vèci Marineriattiguo all’Ospedal de Messer Gesù Cristo di CastelloNel 1419: i Procuratori di San Marco de Citra trattarono di vendere alcuni possedimenti in Papozze confiscate ai Nobili Querinidurante la Congiura Bajamonte per poter dotare l’Ospitale dei Marineri di Castello, che secondo gli inventari delle masserie dell’epoca era capace di ospitare 12 Marineri ... Il Consiglio dei Dieci bloccò però quella transizione perché intendeva valutare meglio a chi destinare l’usufrutto di quei beni ... Nel 1471 tuttavia il Senato deliberò: “… per tramite della florida Cassa dei Provedadori al Sal si costruisca una gran baracca in legno in Campo Sant’Antonio Abate di Castello allo scopo di dar ricovero a 12 poveri che, privi di casa, dormono sotto il Portego e i Volti della chiesa di San Marco e di Palazzo Ducale.”


Nel 1653 il lascito da parte di Marc'Antonio Ridolfi di una caxetta posta in Palùo in Calle del Cristo sotto el portego a Castello venne utilizzato per finanziare ulteriormente l’Ospissio dei Vecchi Marineri posto in Palùo de Sant’Antonio Una terminazione esecutiva dei Provveditori all’Armar recitava ancora il 10 settembre 1783: “Un vecchio Marinaio viene cancellato dal ruolo di quelli in servizio attivo e ascritto obbligatoriamente alla Schola di San Nicolò, e accolto, invece, nell’Ospedale degli Invalidi Marineri dedicato allo stesso Santo situato a Sant’Antonio di castello ... Questo si affermava in riferimento al caso dell’ex Marinaio Antonio Gislenni quondam Giovan Battista che servì sopra pubblici bastimenti come dagli autentici attestati prodotti e letti a sue Eccellenze cogl’altri legali requisiti prima della sua elezione … Verrà inserito nell’apposito rollo della Veneranda Schola e inizierà a percepire un mensuale assegnamento di ducati quattro vita sua durante dalle leggi fissato circa tali individui, col trattenimento però delle Luminarie delle quali fosse per avventura in difetto, con quei riguardi di carità che convengono … Doverà il detto Gislenni essere soggetto a tutte quelle pie regole e discipline che sono proprie del luogo medesimo, non essere molesto alli suoi compagni, né andar vagabondando per la città specialmente per questua od altro che potesse reccar incomodo alla società, in penna di essere cassato in caso di trasgressione a tenor delle leggi.”


Nel gennaio 1718 un decreto della Serenissima ordinò alle famiglie numerose Veneziane di fornire obbligatoriamente Mozzi per la flotta commerciale e militare Veneziana … I Mozzipotevano essere imbarcati sulle navi fin dall’età di dieci anni ... A quindici diventavano Marinai a tutti gli effetti, e a diciotto potevano iscriversi alla Schola-Fraterna di San Nicolò dei Marineri la cui sede si trovava presso la chiesa di San Nicolò di Bari (uno dei complessi distrutti nel 1807 da napoleone Insieme all'Ospeal dei Pelegrini, la chiesetta-Convento delle Capuzine, e chiesa-Convento di Sant’Antonio Abate de Castelo per realizzare i Giardinetti Pubblici di Castello).


La Schola-Fraterna-Fraglia dei Marineri di San Nicolòera nata fin dal 1403con lo scopo fra gli altri di educare in primis i giovani Marineri Veneziani, e secondo di supportare e soccorrere i Marineri feriti, anziani, soli o in difficoltà.

Per soccorrere i Marineri la Schola si serviva dell’Ospedale da Comun dei Feriti dei Santi Pietro e Paolo di Castello che lei stessa sovvenzionava. Usufruiva poi per le vedove dei Marineri del vicino Ospizio di Sant’Anna, e di altri piccoli Ospedaletti-Ospizi siti in Contrada di Sant’Iseppo di Castello e in Contrada di Sant’Antonin dove presso la chiesa esisteva fin dal 1500 un altro Ospissio destinato ai Marineri vecchi e impotenti al lavoro … Come dicevamo, la stessa Schola dei Marineripossedeva anche l’altro Ospedale della Confratenita dei Marineri alla Ponta e Fondamenta di Sant’Antonio Abate di Castello… Gusto nelle vicinanze della stessa Schola sorgeva poi l’Ospedale-Ospizio de Messier Gesù Cristo: Ospeàl dei Marineri pure quello, capace di 25-30 postiletto distribuiti in 34 stanze. L’Ospizio era sottoposto a diretto Juspatronato Dogale tramite la Procuratia di Supra per la Commissaria dell’Ospedale di Messer Jesu Cristo… La prima pietra venne posta nel 1476 unitamente dal Patriarca Gerardo e dal Doge Vendramin su un terreno libero tra la chiesa di San Nicolò de Castelo e quella di Sant’Antonio Abate ... Lì per Legge del Maggior Consiglio dell’11 marzo 1503, si dovevano accogliere sobriamente esclusivamente Marineried altri che si fossero “resi benemeriti allo Stato” o fossero diventati inabili per vecchiaia: “devono essere di età superiore ai 60 anni, non coniugati o vedovi, e con obbligo di vivere stabilmente nell’istituto”… I redditi per sostenere l’Ospizio-Hospedaletto provenivano dai contributi degli iscritti all’annessa Schola di San Nicolò dei Marineri, e soprattutto da un “PRO” di 36.103 ducati depositati in Zecca da pii testatori insieme a ori e gemme:“in rendimento di grazie all'Altissimo per la vittoriosa liberazione di Scutari dai Turchi del 1474”(in ricordo della benefica fondazione dell’Ospedale e della liberazione di Scutari il Doge visitava annualmente in maniera solenne l'Ospeal il 17 gennaio: ricorrenza della Festa di Sant’Antonio Abate)… In quell’occasione affluì in Laguna dal Levante un elevato numero di soldati e Marineri Veneti gravemente mutilati, feriti e infermi … Ai finanziamenti pubblici si aggiunsero i privilegi concessi dai Papi Sisto IV e Innocenzo III che conferivano Indulgenze Plenariedi 20 anni a chi avesse espressamente fatto elemosine a favore dell’Ospedàl dei Marineri.


Le solite Cronache Venezianeraccontano che nel 1489 la chiesa dell’Ospedal era ancora in legno … L’anno seguente si lavorarono gli scaloni e si portano pietre per la porta dell’Infermeria ... Poi s’incominciò a tirar su la chiesa in pietra, e si lavorò la volta della Sacrestia … Nel 1497 il complesso non era ancora ultimato:“L’Ospedale aveva due entrate e una grande sala a 15 finestre nella quale si erano creati dei divisori con tramezzi di legno, e possedeva pure un altro salone superiore sempre diviso con tramezzi, con tre camini e un altare ugualmente di legno ... Ciascuna stanzetta possedeva un camino proprio, e ingresso e cucina indipendenti ... All’interno della chiesa si pose in seguito una “Maria Annunziata” di Francesco Vecellio, e un “Cristo Risorgente” di Pietro Ricci …”




Nel 1503 l’Ospedale degli Invalidi o di Jesù Christo fu finalmente pronto all’uso, si consacrò la chiesa, e si affidò la conduzione a un Cappellano ... Un “cittadino di buona coscienza” venne impiegato come Priore per “sorveglianza e per alimentare e governar i poveri.” Si dotarono gli ambienti di letti e mobili, si assunse un Cuoco, due Massere, un Famiglio, un Fornaio, un Medico e un Barbiere ... All'Ospeal venne assegnato a titolo perpetuo il contributo di un ducato che doveva essere versato all'atto della nomina da tutti coloro che assumevano cariche statali, posti di comando, e impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni della Serenissima come: Rettore, Podestà, Ufficiale, Capitano, Padrone di Galee Grosse, Magistrato, Notaio, Scrivano, Ragionato, Massaro, Fontegher, Sensale del Fontego, Stagier e altro.


Fin dal 1573 la Fraterna dei Marinericelebrava una Messa partecipatissima una volta al mese processionando con tutti i Marineriattorno alla chiesa di San Nicolò de Castèo… Con scadenze regolari e frequenti gli stessi Marineri si congregavano in Capitolo all'interno della stessa chiesa ... Nel 1659 a proprie spese i Marinerifecero costruire un loro altare: “facendo attenzione a non arrecar danni agli altri altari già presenti in chiesa”…. Si trattava di “un altaròn grando” dedicato a Messer Gesù Cristo, che però assunse il nome della Schola di San Nicolò … I Marineri vi giustapposero una pala raffigurante il Redentore, San Nicolò e San Giuseppe”, e vi collocarono anche una Madonna dei Marinerifinita ora nella chiesa delle Zitelle alla Giudecca(nella prima cappella a sinistra)All’inizio del 1700 i Marineri  fecero stampare perfino un libretto con i "Capitoli et ordini stabiliti dagl'Illustrissimi et Eccellentissimi Signori Provveditori all'Armar per la buona regola della Schola de Marineri".


Per poter partecipare ai Capitoli dei Marineri era strettamente necessario oltre essere stati autentici Marineri Veneziani, essere anche iscritti da almeno due anni alla Schola, ed essere in perfetta regola con i versamenti previsti … Nessuno dei Marineri iscritti poteva rifiutare se veniva nominato le cariche direttive dell’organigramma della Schola: pena 200 ducati di multa se rifiutava l’incarico di Guardian o Gastaldo della Schola, o di 50 ducati per altre cariche minori della Schola ... Alle stesse sanzioni erano soggetti i Sindici dei Marineri se avessero permesso Capitoli non autorizzati, o ammesso all’iscrizione persone che non fossero stati Marineri autentici ... Solo i "Parcenevoli" (cioè i proprietari di navi)potevano essere iscritti alla Fraterna pur non avendo mai navigato, ma ottenevano in cambio unicamente benefici di ordine spirituale e l’onoranza del funerale organizzato e partecipato da tutti i Marineri della Schola(solo nel caso i Parcenevoli fossero finiti economicamente in severa disgrazia potevano accedere ai sussidi della Sch Sovegno … a patto che costoro fossero in regola con i versamenti previsti dai regolamenti della Schola).


Nel 1589 il Senato era intervenuto limitando l'accoglienza nell’Ospeal dei Marineri: “… a coloro che essendo privi di moglie ed avendo raggiunto o superato i 60 anni di età avessero servito la Repubblica come Ammiragli di Galea Grossa o Sottile, Padroni di nave, Nocchieri, Comiti di Galee Grosse o Sottili, ovvero Timonieri di mare … Solo in mancanza di aspiranti con questi titoli era concesso ai Procuratori di accogliere altre persone, comunque resesi particolarmente benemerite verso la Serenissima.”


Tre anni dopo, parte dei luoghi dell’Ospedale de Messier Gesù Cristo, al quale si poteva accedere anche dal Campo di Sant’Iseppo di Castello, vennero consegnati ai Padri Somaschi per ospitare il Seminario dei Preti del Doge, cioè il Clero che esercitava nella Basilica Dogale di San Marco (prima i Chierici del Doge studiavano ed erano ospitati presso la chiesa dei Santi Filippo e Giacomo … I Padri Somaschi avevano l'obbligo di prestare servizio d’assistenza spirituale ai Marineri ospitati nell’Ospizio).


Nel 1595 i ricoverati nell’Ospedal dei Marineri erano 30, e a ciascuno di loro veniva dato quotidianamente: due pani di buona farina di frumento del peso ciascuno di 10 once; ½ libbra di buon vino; due scodelle di minestra buona e ben condita; due soldi in denaro per comprarsi il companatico che il Priore aveva l’obbligo di far cucinare, e c’erano due donne destinate ad accudirli e a tenerli “netti e mondi” Nei tre mesi invernali la Procuratia forniva legna a ciascun Marinaio, e:  “se qualche Marinaro si fosse ammalato gli veniva fornitaassistenza medica gratuita, vin, minestra e gazetta, e si doveva comprargli vitello o ver pollo, ova freschi si come del suo medico sarà ordinato”.

Esattamente cento anni dopo, l’Ospedale degli Invalidi o di Gesù Cristodi Castello ospitava solo 12 posti “de Poveri Marineri”, perciò le parti dell’Ospedale rimaste libere e vuote vennero affittate a Veneziani qualsiasi, oppure cedute.


Nel 1716 il Capitolo dei Marineri definì che oltre al servizio del consueto Spezial della Contrada di San Biagio(farmacista) che si occupava stabilmente di rifornire e sussidiare i Marineri, fossero abilitati a fornire medicinali prescritti dal medico anche le Speziere e le botteghe della Giudecca, e quelle dei Sestieri di Canaregio e Santa Croxe ... Quattro anni dopo, e ancora nel 1739, lo stesso Capitolo dei Marineri deliberò più volte circa la Festa di San Nicolòproibendo le spese eccessive per accompagnare con la Musica la Festa, ma autorizzò altre spese per la Processione Straordinaria per la Contrada,e per onorare la preziosa Reliquia del PatronoSanto Nicolòdonata alla Schola da un privato Veneziano ... Deliberò anche circa i rapporti che la Schola dei Marineri avrebbe dovuto tenere con i bastimenti esteri approdati o salpati da Venezia magari bisognosi di soccorso.


Il rapporto fra la Schola dei Marineri e lo Stato era spesso conciliante e di collaborazione e integrazione: la Schola prestava una specie di servizio di supporto generale a favore della Categoria dei Marineri Veneziani, anche se Doge e Signoria non erano molto propensi ad assecondare le tradizionali esuberanze dei Marineri … Nel 1581, ad esempio, il Doge Francesco Erizzonon fu molto delicato con un gruppo di Marineri Veneziani consociati con un gruppo di Arsenalotti inferociti ... Ci fu un certo Buongirolamoche finì con l’istigare i compagni a fuggire da Venezia portandosi via 120 misure di farina dal Deposito dei Grani di San Marco… Il Doge s’inviperì, e pochi giorni dopo l’Arsenalotto venne arrestato e giustiziato insieme a un Calafato, mentre altre sette persone fra cui alcuni Marineri vennero condannati “al remo”, cioè a vogare “a vita”sulle Galee dello Stato ... L’intero Arsenale per l’occasione venne fermato del tutto calandovi al suo interno un insolito silenzio, mentre il Consiglio dei Dieci proibì alla Schola dei Marineri perfino la possibilità di dare onorata sepoltura al Buongirolamo ... Era tosta la Serenissima quando si metteva a far sul serio.


Sempre la stessa Schola-Fraterna dei Marineri elargiva ogni anno dodici "grazie" di 10 ducati ciascuna per maritare o monacare altrettante figlie di Marineri che avessero navigato per almeno 10 anni, e che ovviamente fossero in regola con i versamenti previsti dalla Mariegola della Scholadei Marineri…. Per coordinare le votazioni sulle doti si sceglieva ogni anno un povero Vecio Marinèrscelto fra tutti quelli che fossero inabili al servizio, e gli veniva corrisposto un ulteriore sussidio di 30 soldi alla settimana … Ancora nel 1795 le “doti per le fiòle dei Marineri” erano 24, ed esisteva un apposito “ròdolo” su cui erano scritte ed elencate più di 31 Figlie Nubili dei Marineri(c’erano elencate anche alcune figlie di Marinai Greci e Dalmati) meritevoli di ricevere eventualmente qualcuna di quelle “Grazie dotali” soggette “a bòssolo”(ad estrazione) secondo un’apposita terminazione del Magistrato all’Armar della Serenissima.


Curiosa una certificazione spuntata fuori da quel “ròdolo” delle doti delle Figlie dei Marineri… Si trattava di una dichiarazione attestante che Elena figlia di Santo Scalabrin quondam Antonioera stata estratta per una dote in data 11 gennaio 1794 contandole 10 ducati in valuta di piazza “una tantum”, usufruibili dall’interessata per maritarsi o monacarsi anche entro vent’anni, periodo oltre il quale il mandato sarebbe stato ritenuto nullo e revocato se non usufruito … In calce alla dichiarazione però si può notare un’aggiunta del 19 giugno 1799: “ancora Nubile la giovane dell’età di 21 anni è morta d’etisia come dichiarato dalle fedi allegate prodotte dalla chiesa di Santa Maria Assunta di Malamocco.”… Triste destino di una giovane donna Veneziana di fine 1700.


Sempre nella stessa chiesa di San Nicolò di Bari del Sestiere di Castello era ospitata durante il 1700 … guardacaso … anche la Schola dei Greci Capotteri e Strazzaroli… Si trattava soprattutto di un’associazione di Marinai Veneziani e Greci che fabbricavano pastrani di lana e pesanti mantelli col cappuccio … L’Associazione nel 1773 contava ben 162 iscritti, e distingueva 12 Capimastri e 150 “Mistri Marineri” impiegati nel lavoro.



Ho quasi finito … Tenete duro a leggere ! … se siete coraggiosi …


Nel 1811 a favore della Cassa degli Invalidi della Marina il Governo Austriaco impose una ritenuta del 1% su tutti i pagamenti eseguiti della Marina … Il Governo Italico la elevò al 3% su ogni tipo di spesa, stipendio, titolo e guadagno proveniente dalla navigazione ... Nel 1857 la stessa Cassa degli Invalidi della Marina possedeva un patrimonio di 794,580 Lire Austriache, mentre il capitale investito rendeva 35,526 lire, la ritenuta sulle paghe dei Marinai del Circondario Marittimo di Venezia era di lire 27,362, e lire 10,363 provenivano dal Circondario Marittimo di Chioggia, lire 600 provenivano da multe inflitte per contravvenzione delle Leggi Marinare, e con quei soldi durante lo stesso anno si sussidiarono: 2 Capitani, 5 vedove di Capitani, 20 Padronidi Nave o Ufficiali Marinaie 28 Marinai Semplici di Venezia.


Altre piccole realtà integravano e ampliavano e supportavano ulteriormente nel Sestiere di Castello l’attività assistenziale e di protezione dei reduci Marineri ... Non distante dalla Marinarezza sorgeva, ad esempio, anche l’Ospizio Morosini in Calle dell’Ogio in Contrada di Santa Ternita: una delle Contrade più povere e periferiche di Venezia … Con testamento redatto nel 1508, il Nobilomo Marco Morosini Cavalier e Procurator de San Marco, dispose che alla sua morte venisse realizzato un Ospissio per Marineri destinando a tale scopo alcune caxette raccolte intorno alla Corte Morosini posta all'angolo fra le attuali Calle de l'Ogio e Calle Malatin.



Secondo le disposizioni della Commissaria Morosini, l’anno seguente le caxette vennero assegnate "gratis et amore dei" prima di tutto a Poveri Marineri soli o con moglie, e in mancanza di questi ad altre persone bisognose ... I Commissari provvedevano a mantenere sempre l'edificio "in conzo e in colmo" così che le stanze potessero essere assegnate ininterrottamente senza che cadessero in rovina. L'Ospissio Morosini era formato in tutto da quattordici appartamentini su due piani, dotati di camera e cucina, indipendenti fra loro, e raccolti attorno a una corte chiusa dove convergevano la maggioranza degli ingressi delle caxette ... In seguito la Commissaria Morosinipassò ad essere amministrata direttamente dai Procuratori de San Marco de Suprae fu in quell’occasione che l’Istituzione si venne a chiamare: Ospissio de Santa Ternita(ancora nel 1834 dava ricovero a 14 famiglie di Poveri Marineri).




Sempre a pochi passi dall’Ospedale dei Marinerisorgeva fin dal 1418 in Fondamenta Sant’Annavicino al ponte l’Ospizio Foscolo o “Pio Loco dito de l'Ospissio de le done de la Schola dei Marineri de San Nicolò"... Sopra il portone d'ingresso c’è ancora oggi una larga architrave decorata che introduce in quella che è stata l'antica Corte de le Donne … Nella lunetta in anni recenti è stato posto un “Busto della Maternità” con una donna che allatta un bambino in quanto il luogo ha ospitato l'OMNI: un Consultorio Pediatrico Pubblico che tutelava bimbi e maternitàL'Ospizio Foscoloè statoinstituito per via di un lascito di alcune caxette nella non lontana Calle de l'Anzolo voluto dalla Nobildonna Lucia Foscolo … In seguito le caxette vennero permutate con altre di proprietà dei Padri Domenicani Inquisitori di San Domènego de Castèosite in Fondamenta Sant’Anna ... Le caxette accoglievano sedici povere vedove di Marineri che avevano l'obbligo di versare "una tantum" quaranta ducati se alloggiate al primo piano, o venti se in una stanzetta al pianterreno ... Il pagamento doveva essere fatto alla Commissaria Foscoloche gestiva la manutenzione dell'intero Ospissietto ... Le ospiti erano dette “cameriste”, e concorrevano tutte all'elezione della carica di Commissaria che gestiva l’Ospizzietto. La prescelta veniva poi confermata dai Proveditori sora gli Ospeali, Lochi Pii e per il Riscatto de li Schiavi… Oggi sono rimaste solo sei casette delle dodici caxette originarie in quanto ci sono state nel tempo certe annessioni abusive da parte dei proprietari confinanti.


Capite insomma che quell’area del Sestiere di Castello era organizzata quasi come una piccola Cittadella Sanitaria-Assistenziale allargata e sparsa sul territorio, ed era ad ogni effetto punto di riferimento comune dei Veneziani Marineri ed Arsenalotti: cioè dei quiescenti del mestiere.

Proprio dirimpetto all’Ospizio Foscolo delle Donne, giusto al di là del ponte, sorgeva anche l’Ospedale da Comun o dei Feriti detto dei Santi Pietro e Paolo e de San Gioachin… Anche quell’Ospedale possedeva un’estensione di caxette: le caxette Avanzo che sorgevano proprio in continuità con l’Ospedale stesso fondato nel lontano 1081 per curare:“Soldài e Marineri de Galea malài e ferii”Poco dopo la fondazione, ai tempi delle Crociate, l’Ospizio venne destinato anche ad ospitare Pellegrini diretti in Terrasanta provando a tenerli sotto controllo e concentrarli “a parte”, cioè  distinti dal resto della popolazione Veneziana con la quale la Serenissima non voleva si frammischiassero più di tanto … Nel 1348 al tempo del Priore Marco Bonaldo, vista la significanza del complesso, l’Ospedale venne posto sotto il diretto Juspatronato Dogale, eampliato col denaro di una cospicua donazione di Francesco Avanzo o D’Avanzo che oltre alle caxette lasciò un ingente capitale investito nel Monte Novissimo, le cui rendite dovevano essere assegnate all’Ospedaletto dato in gestione a una Confraternita Laica guidata da un Gastaldo … Probabilmente in quell’epoca si allargarono le prestazioni assistenziali che oltre ai Marinai e ai Pellegrini di passaggio interessarono anche i comuni malati e poveri indigenti dell’area Veneziana attorno all’Arsenale.

Per amministrare meglio quel piccolo nosocomio si affiancarono cinque Procuratori al Prior(tre dovevano essere Nobili, e due Cittadini Originari)… Dallo stesso 1368 l'Istituzione Sanitaria Veneziana venne considerata un Ospeàl Mazor della città lagunare: e divenne il più grande fra quelli allora esistenti a Venezia, avendo la capacità di accogliere fino a cento degenti o ospiti … Una spada verticale che incrocia due chiavi orizzontali era il simbolo del Ospedaletto che stava bene economicamente, tanto è vero che nel 1379 al tempo del Doge Andrea Contarini e degli“imprestidi allo Stato per la Guerra contro i Genovesi” offrì alla Repubblica: lire 1.000 per combattere la guerra.

Dal 1487 al 1536 il Collegio dei Fisici e dei Chirurghidi Venezia tenne nell’Hospeàl di San Piero e Paolo dei Mutilati le sue lezioni annuali di anatomia con dissezioni ricordate da Nicolò Massa nel suo “Liber Introductorius anathomiae”stampato a Venezia nel 1536 … e nel 1558 si nominò Francesco da Castellochirurgo dell’Ospedal… Fra 1573 e 1593, su 131 decessi accaduti: 23 erano dovuti a ferite e fratture di guerra, mentre la rimanenza dei decessi coincideva soprattutto con maschi adulti Soldati o Marineri de Galèa, salvo 2 ragazzini di 14 e 12 anni.



Nel 1418 accanto all’Ospedaletto venne fondato per volontà testamentaria di Elena Marchi un’altra Casa con Oratoriodedicato a San Gioacchin trasformati e ampliati a metà secolo per ospitare liberamente alcune Terziarie-Pizzocchere Francescane che vivevano in simbiosi con l’Ospedaletto spendendosi nell’assistenza dei malati … Nel 1438 Maddalena moglie di Nicolò CarrettoPriore dell’Hospedale da Comun dei Feriti lasciò per testamento un capitale interamente depositato presso la Camera dei Imprestidi le cui rendite dovevano andare a favore dello stesso Ospedale, e un insieme di altre 4 caxette sempre in zona di Sant’Anna di Castelloper dare asilo ad altre quattro donne povere … L'Ospissietto era posto ad angolo con Calle Salamon con la porta d'ingresso in Calle va al Ponte Sant'Ana oggi chiamata Calle Crosera: “Al pé pian (pianoterra): la porta d'ingresso immette in un piccolo atrio d’accesso a quattro locali con focolare e finestra prospicente su piccola corte interna e chiusa ... Da qui una scala esterna sale al soler, ovverossia al primo piano, dove in un sottotetto s’erano ricavati altri due piccoli locali con finestrella”...Primo Commissario dell’Ospizio Carretto fu lo stesso marito della donna, e dopo la sua morte, la gestione venne affidata a Procuratori Pro Tempore eletti per amministrare l'Hospealetto che possedeva come patrimonio anche circa 150 campi a Postioma nel Trevigiano … Nel 1455, infatti, Bortolo quondam Stefano da Casale dichiarava nella sua polizza fiscale di lavorare 59 campi: di questi 42 erano in affitto in quanto appartenevano all’Ospedale dei Santi Pietro e Paolo di Venezia, alle Monache di Sant’Antonio di Torcello e all’Abate dei Santi Filippo e Giacomo di Venezia...mentre altri tre campi di terra arativa piantata erano di sua proprietà insieme a 15 campi di bosco confinanti con altre proprietà di Veneziani.



Nel 1441 Papa Eugenio IV tramite il Patriarca Lorenzo Giustiniani concesse all’Hospedaletto in fondo all’attuale Via Garibaldi, che una volta era un canale, un Cappellano fisso residente, mentre nel 1590 Papa Pio IV concesse allo stesso Ospedaletto: “tutti i privilegi ed indulti goduti dagli Ospedali dell’Urbe” ... L’Ospedaletto aveva attorno 8 caxette che venivano concesse in uso ad altrettante famiglie indigenti … La planimetria originale del palazzo è stata stravolta in epoca recente aggiungendovi il secondo piano … Al piano terra, invece, si possono facilmente riconoscere i tre antichi ingressi: a sinistra l’ingresso dell’antico Convento delle Pizzocchere Terziarie Francescane che prestavano assistenza gratuita e continuativa ai circa 100 degenti Nel 1615 Procuratori Pro Tempore dell’Ospeàl insieme al Priore disposero di allontanare quattro donne Veneziane che convivevano abusivamente da diverso tempo con altrettanti uomini nell’Ospizio Carretto annesso all’Ospedale ... Durante l’epidemia di peste del 1630: tutte le Terziarie Francescane dell’Ospedale morirono a causa del morbo, ad eccezione di Domenica Rossi, che in seguito raccolse nuove compagne che ripresero a dedicarsi alla stessa missione assistenziale caritatevole e gratuita impegnandosi la vita intera … (che donne !!!) … La porta centrale dell’edificio corrispondeva all’entrata vera e propria dell'Ospeàl dei Feriti, mentre quella più a destra era quella che introduceva nell'Oratorio di San Gioachin.

Sentite da un documento del 05 febbraio 1648: “Metodo con cui si governavano gli ammaladi nell’Ospitale dei Santi Pietro e Paolo di Castello a Venezia”: “Capitando si spoglino nudi, levate immondizie se gli danno camicie lenzuili netti, si riscaldino e si pongano a letto, vengano tosti confessati e visitati dal Medico … Qualor prendano medicina si dà loro un ovo fresco, pan in brodo, un poco di polastra o vitello … Non potendo masticare, sostentansi con brodetti di ova fresche, pesti di polastra, o ristori secondo la gravità dei mali … Nella convalescenza e liberi da febre, giusto agl’ordini del Medico, si dà loro minestra d’orzo, riso o pan grattato, un pezzo di carne di manzo, qualche pomo o pero cotto, pane e vino sino alla partenza …”


Nel 1724 l'Hospeàl dei Feriti di Castellogodeva ancora di una rendita annuale di circa 3.000 ducati proveniente soprattutto dalla gestione d’immobili di sua proprietà … Tre anni dopo, le Terziarie-Pizzocchere Francescane si congregarono in comunità … Sull’edificio nel 1750, quando l’Ospedaletto godeva ancora di 2.500 ducati annui di rendita venne posta una lapide dai Procuratori con un'epigrafe andata smarrita e consumata dagli agenti atmosferici … Recitava:


PIETATEM NICOLAI ET MAGDALENE JUGALIUM CARRETTO - QUI HAEDES HAS PRO FEMMINARUM DOMICILIO EREXERUNT - MARMOREE AETERNARI MANDARUNT - CURATORES LOCI EX ORDINE PATRITIO JOHANNES PETRUS PASCALICO, GEORGIUS CONTARENO EQ. COMES. IOPFE, FLAMINIUS CORNELIO, JOSEPH AGAZZI, FRANCISCUS DE NIGRIS CIVES, ANDREA SPINELLI PRAESIDE - ANNO SALUTIS M D C C L.


Ho finito sul serio stavolta: nel 1797 con la caduta della Repubblica, l'Ospissio Carrettointernamente tutto diviso da tramezzi, scale e pavimenti in legno facilmente adattabili e modificabili, passò prima sotto la giurisdizione dell'Ospedale Civile, poi dopo numerose discussioni alla Congregazione di Carità alla quale rimase fino alla demolizione avvenuta per problemi di viabilità” all’inizio 1900 … Viceversa all’inizio 1800quando Francesco Papale aveva fondato e avviato nell’Ospedale da Comun dei Feriti anche una Scuola di Chirurgia, un certonapoleone soppresse e incamerò tutto:i ricoverati vennero trasferiti agli Incurabili sulle Zattere, le Terziarie-Pizzocchere Francescane vennero concentrate con quelle di San Francesco della Vigna, e i locali incamerati dal Demanio vennero smembrati e venduti a privati per farne eventualmente abitazioni … Solo in seguito vennero acquistati dall'Ordine delle Suore di Maria Ausiliatriceche usò gli ambienti come Patronato per ospitare Ragazzi Vagabondi, poi il complesso divenne Asilo Infantile e Casa d’Accoglienza… Solo di recente le Suore hanno venduto l’edificio dell’ex Ospedal da Comun dei Feriti al Comune di Venezia, che a sua volta l’ha ceduto all’Università trasformandolo in residenza per studenti …


Buonanotte: è finita la Storia dei Marineri Veneziani.




Tutto questo lungo dirvi e raccontare ancora una volta di come la Serenissima sapeva prendere, motivare e infiammare i Veneziani sparandoli in capo al mondo per tutta la vita, e alla fine quando tornavano esausti in Laguna sapeva offrire loro assistenza e qualche ultima possibilità come ricompensa per i meriti di servizio conseguiti lavorando nella flotta, e per aver combattuto con onore nel nome di San Marco.



“GIUDECCA FRA 1800 e 1900 … E ALTRO ANCORA.”

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“GIUDECCA FRA 1800 e 1900 … E ALTRO ANCORA.”




La GiudeccaSpinalonga a Venezia: si sa … E’ quel piccolo arcipelago di dieci isole parallelo alle Zattere di Dorsoduro, interrotte da sette canali su cui si gettano dodici ponti oltre l’omonimo Canale della Giudecca: un’isola fra le isole di Venezia … Una piccola Venezia integrata nella solita Venezia, ma anche una Venezia un po’ a parte, diversa, con una sua storica specificità … Zuèca derivata forse da Judaica: cioè luogo degli Ebrei(alla Giudecca sorgevano ben due Sinagoghe demolite soltanto nel secolo scorso: presso le Zitelle alcuni anni sono state rinvenute: “pietre d'un piede quadrato con caratteri Ebraici”… e si dice che i Giudecchini secondo tradizione sapessero indicare con esattezza i luoghi dove abitavano i singoli o le famiglie degli Ebrei) … ma Giudecca potrebbe derivare anche da: Giudicato, Zudegàin Veneziano ... Poco cambia e poco importa.


Pare che fin da prima dell’anno 1000 alla Giudecca fossero insediate persone, clan e famiglie di Veneziani di “seconda mano”… Qualche Cronaca accenna a personaggi dai precedenti loschi o segnati dalla Legge ... La Giudecca forse è stata in antichità una specie di “luogo di confinio” di Venezia, un posto di blando bando dentro alla città stessa, o perlomeno un’enclave con una certa indipendenza, un disbrigo di persone satellite e parallelo alla città dei Dogi che contava soprattutto su un gran numero di pomposi quanto ricchi e potenti Nobili, Mercanti e Navigantie più modesti ma arguti e febbrili Artigiani.


La Giudecca insomma può essere stata per secoli una sorta di luogo contradditorio di Venezia: un posto-quartiere discosto “appena fuori casa”, come “fuori porta” ricco di sontuosi giardini, Casini e luoghi di piaceri e delizie dove ci si recava per far festa e divertirsi talvolta in equivoca e libertina socialità … Era una specie di dependance di Venezia, lo spicchio prolungamento del Sestiere di Dorsoduro dove si andava a “far la Cavallerizza”, e dove c’erano diversi “Palazzi d'Ottimati, Nobili Aristocratici e Patrizi”, e un nugolo d’Accademie di Filosofia, Botanica, Studi Naturali, Musica e Commedia… Durante il 1500 a Venezia di AccademieCulturali se ne contavano più di 80, e buona parte di loro sorgeva proprio alla Giudecca … C’era, tanto per dirvi un po’: l’Accademia dei Granelleschi, quella di Filosofia e Botanica fondata nel 1484 da Ermolao Barbaro, e più avanti nel 1554 quella dei Filareti inventata dai Nobili Nani su imitazione del Cimento fiorentina che si curava di armonia fra Virtù Civili e Letteratura.


C’era poi in un Palazzo del 1500 dal 1609 e fino alla caduta della Repubblica l’Accademia deiNobili finanziata dallo Stato Serenissimo e destinata all’educazione di 46 giovani Patrizi di famiglie Nobile decadute e sprovviste di mezzi che venivano seguiti fino all’età di venti anni. All’inizio vennero affidati a certi Preti Veneziani acculturati, e poi ai Padri Somaschi sinonimo d’Educazione di Qualità che provvidero ad istruirli nella Religione e in Grammatica e Nautica come accadeva al fior fiore della Nobiltà Veneziana … C’era inoltre l’Accademia dei Pellegrini fondata da Nobili Veneziani ma che ospitava anche: Spagnoli, Tedeschi e Francesi(Fino alla fine del 1400 buona parte dei Pellegrini di tutta Europa venivano ad imbarcarsi per la TerraSanta proprio a Venezia, così che la Città Lagunare era di continuo meta per motivi diversi per Diplomatici e Ambasciatori, Ecclesiastici e Religiosi di passaggio di ogni sorta … Non dimentichiamoci dei Mercanti, Viaggiatori ed Esploratori … Tutti venivano accolti nelle case Patrizie e nelle Locande e Ospizi, o ricoverati nei Conventi: ai Santi Filippo e Giacomo, dai Domenicani e a Sant’Elena, ad esempio, ma anche nelle Isole e alla Giudecca fin da prima dell’anno 1000).



C’era ancora l’Accademia dei Separati che s’era appunto divisa e contrapposta nel 1675 dall’Accademia degli Interessati e dall’Accademia dei Vigilanti di Murano che insegnava alla gioventù Veneziana: navigazione, conoscenza delle rotte, armamento, naviglio e attrezzatura velica, alberature e cordami, e il rispetto delle buone regole per l’equipaggio, l’onore, e la vita di chi vive a bordo.


Dai … Non so resistere: vi elenco ancora qualche altra Accademia: iSempiterni, i Pacifici, i Modesti, i Fausti, gli Eterni, gli Immortali che nel 1520 ospitavano fra loro anche il Marchese di Mantova, e fecero un gran festone con Federico Gonzaga a Cà Dandolo presso San Zuane della Giudecca… C’erano poi i Trionfanti che per non essere da meno degli altri organizzarono una grande festa a Cà Malipierodurante il Carnevale di due anni dopo e c’era ancora l’Accademia dei Valorosi, quella degli Eletti, dei Semprevivi, dei Floridiche organizzarono feste di 3 giorni nel luglio 1530 sul Canal della Giudecca con cene, balli e canti fino all’alba, e con cortei illuminati e carri artistici addobbati e sfilate di animali sulle Rive della Giudecca… C’erano ancora i Belli, gli Accesi, i Zardinieri, i Reali che nel maggio 1530 organizzarono una festa in Canal Grande con 120 presenti fra cui il Principe di Salernoimbarcandosi tutti su barche a San Zuane della Giudecca C’erano gli Juniores, i Cortesi che diedero diversi festini aCà Vendramin con 50 donne invitate e 200 presenti con pranzi sotto la pergola, e macchine addobbate con bandiere, suoni di trombe e pifferi per le quali spesero 500 ducati… C’erano infine i Sbragazài e gli Ortolaniche fecero recitare una commedia a Cà Trevisansempre alla Giudecca.


A guidare ogni Accademia o Compagnia, a volte anonima, stava un Priore coadiuvato da un Camerlengo, da un Segretario, e da un Cappellano ... Quando si fondava una Compagnia-Accademia si faceva cantare una Messa dello Spirito Santo durante la quale i Compagni-Associatigiuravano di osservare lo Statutodell’Accademia, e al momento di lasciarsi si scambiavano un bacio di pace ... C’erano perfino a Venezia anche alcune Compagnie e Accademia di Gentildonne Veneziane... cosa molto insolita all’epoca.


La Giudecca era inoltre location dove i più infimi degli Artieri Venezianiandavano a collocare le loro attività produttive e commerciali: quelle più infime e più sporche, quelle basse, puzzose e inquinanti: alla Giudecca c’erano Scorzeri, Pellai e Coramèri, Acconciatori, Filocanapa,Cìnabri, Fornasieri e Cordai di budella e Cordaròli... In Isola però si fabbricavano anche Vele, e c’erano Fornaci di Verieri, Conterie e Impiraresse, e tantissimi orti gestiti da abili Vignaioli e Ortolani che fra l’altro sapevano coltivare con perizia e oculatezza assidua i misteriosi quanto efficaci Semplici ricercatissimi da tutti.


Quante news potremmo riassumere sui Giudecchini e sulla Giudecca di ieri e di oggi: sarebbe un’impresa ardua in cui non cimentarsi … Da Veneziano curioso qualcosa voglio provare a dire e scrivere “grattando via” il sottile spessore della Storia, della Memoria e del Tempo, tentando di rispolverare un volto della Giudecca che è stato e indubbiamente oggi non esiste quasi più.


Da dove iniziare ?



Provo a raccontarvi che nel 1486: “… venne grandissima neve la qual comenzò la note de Nadal, e nevegò per un mese continuo … el canal che va da San Marco alla Zuecca era tutto agiazàdo, talmente che s’andava sopra la giàzza fin alla Zuecca senza pericolo alcuno …”


Continuerei poi col dirvi che nel settembre 1536 il Collegio alle Acque ordinò che: “… assieme ad altre fondamenta di Venezia erette o restaurate fossero le fondamente alle sponde del Canal della Giudecca, e che metà della spesa fosse a carico dello Stato Veneto, e metà dei rispettivi proprietari dei fondi ed edifici fronteggianti ...”


Di nuovo alla fine di genèro 1548: “… pel gelo principiato le barche de’ Tragitti tiravansi con corde, e si va a piedi da le Zattere a la Zuecha…” e l’anno seguente nello stesso mese: “… gelò ancora la Laguna, Canal della Zuecha e fino a Muran …”


Cambierò adesso l’argomento lasciando il “Meteo” per la “Cronaca”, e vi racconterò del dicembre 1730, poco prima di Natale, quando le Raspe dell’Avogaria da Comun raccontano che: “in Campo San Giacomo alla Zuecca Antonio Scantarello teneva banco de soldi al gioco del Zurlo cioè “a Bianca e Rossa” ... Un tale che osservava giocare gli chiese a prestito del denaro ... Scantarello rifiutò scocciato ed entrambi passarono alle offese e a minacciarsi con le armi ma senza arrivare a un seguito ... Verso sera Schiantarello insieme a Pietro Giachiole si recarono armati all’Osteria della Donzella presso San Giovanni Elemosinario di Rialto dove raccontandosi l’episodio del giorno architettarono atroce vendetta ... Visto che erano agitati, soprattutto il Giachiole, si mise in mezzo per quietarli un certo Tavelli che si prese una coltellata alle carotidi rimanendo ammazzato … L’omicida venne bandito per 22 anni da tutti gli Stati della Serenissima.”


Aggiungo poi che nel giugno1747: Pietro Trevisan detto VettorelloBarcaròl della Zueccadi anni 44 venne impiccato per ordine del Consiglio dei Dieci… Aveva strangolato per rubargli tutto un altro Barcarol detto Tòmbolasotto al Ponte di San Giovanni in Lateran nel Sestiere di Castello.


Vi dirò ancora che secondo alcune Cronache Veneziane di fine 1700: uno dei spettacoli preferiti del popolino Veneziano era di assistere in folla alle frustate somministrate ai ladri dalla Sbiraglia alla Giudecca ... e che nel settembre 1798 l’ormai morente Serenissimadecretò: “… termine mesi otto: baccalàdi, pesci fumati, salati, cotti e marinati, sbudellami, salamoie e formaggi siano trasportati alla Giudecca o nelle situazioni estreme della città, cioè a San Job, sulle Fondamente Nove, a San Francesco della Vigna, Sant’Andrea e Santa Marta ... Affittanze de’ magazzini e case destinate per detti generi, prima di sottoscriversi siano rassegnate al Tribunale onde ottenere la licenza gratis ... Effetti di chi non avrà effettuato il trasporto nel periodo suddetto siano fiscati e dispensati alli poveri delle  rispettive Contrade, essendo sani ... Muri de’ magazzini siano intonacati e seliciati di pietra, abbiano ruota ventilatoria di lata nelle finestre e nel più interno siano costruiti scolatoi e condotti che tramandino in soteranee cloache le vecchie salamoie ed altre separazioni ... Venditori dal 1 novembre a tutto aprile non possano tenere nelle loro botteghe maggior quantità dell’occorrente per un mese, e da 1 maggio a tutto ottobre per una settimana. Annualmente siano da periti del Tribunale visitati li magazini prima dell’estate per la separazione del sano dal corrotto … Soggetti alla pena di ducati 100 grossi ed altre li trasgressori, siano accettate denunce e premiati denuncianti con la metà della pena suddetta, l’altra metà alla Fraterna de Poveri della Contrada …”


Eccoci quindi calati in un vago quadretto della Giudecca di fine 1700 … Un’Isola Lunga” piena di chiese e Monasteri che ne contraddistinguevano le zone riempendole di Storie vivissime … I nomi di quei posti rispondono ancora oggi all’appello e sono rimasti più o meno ancora quelli contraddistinguendo strade e posti della Giudecca di oggi, anche se di quelle realtà di ieri oggi non esiste praticamente quasi più niente, e tutto è cambiato ... quasi liofilizzato, consumato e spento.


Come ben sapete meglio di me, la Giudecca di Venezia inizia o termina da una parte con l’Isola di San Giorgio Maggiore che fu tutta dei potentissimi e ricchi Monaci Benedettini. Affacciata sul Bacino di San Marco giusto dirimpetto a Palazzo Ducale cuore dinamico della Serenissima Dogale e Marciana, è stato Porto Franco di Venezia nel 1800 con magazzini, bacino di 250 metri, e le due torricelle di 8 metri utilizzati fino al 1880 quando s’iniziò a costruire la Stazione Marittima e il Porto di San Basilio e Santa Marta oltre il Canale della Giudecca sulla punta estrema del Sestiere di Dorsoduro.




Esistevano tre Pubblici Traghetti che collegavano la Giudecca col centro nevralgico di Venezia e col resto della città: c’era il Traghetto de la Palanca, che appunto per quella cifra traghettava avanti e indietro da e per le Zattereal di là del Canale della Giudecca e fra Sant’Eufemiae San Giacomo e il Redentore. C’era poi il “Traghetto per le Colonne de San Marco e de San Zuane a la Zueca”: uno dei “Traghetti de Dentro e da Paràda” di Venezia che oggi non esiste più. Collegava fin dai tempi antichi lo Stazio de Citra del Molo e della Piazza di San Marco con lo Stazio de Ultra della Fondamenta San Giovanni della Giudecca e viceversa, ma portava anche a San Giorgio Maggiore, fino al Ponte della Croxe della Giudecca, e secondo Coronelli anche fino alla Contrada di San Gregorio verso Punta della Doganada Mar pagando adeguato supplemento ... Fin dal 1577 i Proveditori da Comun estesero i confini del Tragheto fino alla Riva di San Giacomodella Zueca perchè ci fossero sempre almeno quattro barche disponibili per coloro che intendevano arrivare al Tempio del Redentore ... Gli stessi Proveditori da Comun imposero perfino una pena pecuniaria per i Barcaroli-Gondolieri che si fossero rifiutati di dare un passaggio ai Frati Cappuccini del Redentore sia per andare fino a San Marco, che in altre zone della Giudecca … Ai tempi della Peste ogni barca del Traghetto dava 12 soldi annui per i malati di Venezia, e un “bèzo al zòrno”dal 1640 quando “il nòlo” da San Marco alla Zuecca costava “tre bèzi” in tutto.




Superata l’Isola di San Giorgio Maggiore e il Canale per la Grazia(l’Isola di Santa Maria degli Angeli delle Grazie) si arrivava un tempo all’area Giudecchina di San Giovanni Battista degli Eremiti Camaldolesi di Muranodove sorgeva l’Ospeàl de San Francesco della Giudeca con l’Orfanatrofio-Ospizio Femminile di San Giovanni, e il “Collegio per Educar nelle Umane Lettere la Gioventù Nobile Veneziana”… Sembra che l’intero complesso di San Giovanni della Giudecca sia stato soppresso insieme all’Ordine dei Camaldolesi da un decreto del Senato del 1771, che oltre al Convento dei Padri chiuse anche l’Ospizietto-Ospedale privo di rendite e diventato ormai inutile da tempo ... Tre anni dopo, infatti, l’ex Convento di San Giovanni venne venduto per 5.500 ducati, e le rendite dei Padri devolute a quello ugualmente Camaldolese di San Mattio di Murano ... Quando i Francesi giunsero a Venezia all’inizio del 1800, resero di proprietà Demaniale l’intera area dove c’era anche uno Squero, demolirono tutto, ed edificarono un’officina per Battelli a Vapore che nel 1837 lasciò il posto a un Cantiere per Bastimenti gestito da maestranze Inglesi, che a sua volta nel 1882 lasciò il posto alla  Società Veneta di Navigazione a Vapore Lagunare che rimase là finoal 1950 quando l’area divenne sede della Guardia di Finanza.


Nel 1905 in un palazzo gotico prospicente sulla stessa Fondamenta di San Giovannidella Giudeccagià adibito a magazzino fin dal 1845, si realizzarono alcuni Depositi per l’Import-Export di Oli: il giardino del palazzo era occupato da due grandi serbatoi oggi scomparsi … Poi tutto venne ristrutturato e convertito in abitazioni … Fin dal 1846 sulla stessa Fondamenta perpendicolare al Canale della Giudecca esistevano anche tre Capannoni-Magazzini di Granipoi abbandonati, e solo nel 1921, sempre a San Giovannidella Giudecca, su un’area di 5.500 mq sorse il Cantiere Navale Marvi della ditta V.Ceresetoche cessò l’attività dopo il 1950 lasciando l’area per attività alberghiera.


Se procediamo ancora lungo la Riva della Giudecca dove fino a qualche anno fa ormeggiavano le navi delLloyd Austriacoe Adriatico, incontriamo ciò che rimane del grande complesso storico delle Zitelle dove un tempo si lavoravano anche i Merletti… Il nome completo del luogo sarebbe: Pio IstitutodiSanta Maria della Presentazione delle Citelle o Zitelle.




E procediamo ancora nella nostra virtuale passeggiata lungo la Giudecca … Arriveremo allora a quel che è stato un altro insigne complesso monacale pieno di Storia: l’antico “Monasterium de Scopolo o dello Scoglio” che dal 1100occupava un’isoletta a se stante fra San Giorgio Maggiore e la Giudecca ... In seguito divenne il Monastero della Croxe delle Monache Benedettine storicamente soggiacente all’influenza indiscussa del clan della Nobile Famiglia Veneziana Dal Molin… Le Monache della Croxe de la Zueca divennero famose nel 1576 per l’“acqua salutare miracolosa antiPeste che affluiva fuori dal Pozzo di San Sebastiano del loro chiostro”… Nel 1519 si condannò Vita Banchiere Ebreo per aver diffamato un Medico ugualmente Ebreo: oltre a pagare varie ammende, venne obbligato anche a rifornire di Frumento alcuni Conventi Veneziani fra cui quello della Santa Croxe della Giudecca dove: “… in questa terra è assai malattie, maxime in Monasteri; a Santa Croxe de la Zueca tutte le Muneghe ammalae … et fo per li caldi stati in quest’inverno.”


Cinque anni dopo Sier Zorzi Pisani Dotor e Cavalier fo Savio del Consiglio venne sepolto vestito d’oro nella stessa chiesa di Santa Croxede la Zuecadove aveva le sue arche di famiglia ... Lasciò una veste d’oro anche al Monastero della Croxe e un’altra al Convento di Sant’Angelo di Concordia… Dieci anni dopo il Consiglio dei Quaranta della Serenissimaregalò: “una Galia Sotil da demolire alle Muneghe de la Croxe de la Zueca par conzar la fondamenta che ruina in acqua, et li ferramenti sia dell’Arsenal.”… In quegli anni il Monastero ospitava ben 150 Monache che il Patriarca Priuli caziò a dovere durante la Visita perché erano fin troppo appassionate a specchiarsi e contornarsi di vesti e gioielli di lusso ... Erano poi quasi sempre assenti alle prediche, per cui lo stesso Patriarcaordinò di aprire nel Coro della chiesa un’apposita finestrella dalla quale il Predicatore poteva contare e segnare il numero delle Monache presenti o assenti, anche se i volti rimanevano avvolti nell’oscurità dell’interno: “… non piace il governo temporale del Monastero che è nelle mani di alcune Scrivane, che sono in effetto già molti anni cioè le Molline (della Famiglia Nobile Dal Molin), le quali senza consenso del Capitolo hanno affittato alcune case a suoi parenti per buon mercato ne si sa quello che pagano.”… In quegli stessi anni ci fu anche il Mercante Veneto Francesco Bozza che abitava al di là del Canale della Giudecca in Contrada di San Gregorio… Costui fra l’altro commerciava anche in Reliquie, e teneva trattative private con le Monache della Croxe per vendere loro una preziosa Reliquia di Santa Marina… Peccato che finì pugnalato a morte da Zorzi De Masi Scrivano de Nave per via di alcuni sacchi di carrube caricate a Ciproe vendute in Istria.




Verso metà del 1700 tramite il Proto Giovanni Scalfarotto si rilasciarono perizie per una spesa di restauro di Monastero e Chiesa de la Croxe de la Zueca per la somma di 425 ducati ... Qualche anno dopo si chiuse una delle Cavallerizze della Giudecca che sorgeva proprio presso il Ponte della Santa Croxein quanto disturbava la vita delle Sante e PovereMonache”... per le quali Giovan Battista Ignazio Grazioli musicò l’ennesima Cerimonia di Vestizione di una Nobile Balbi… Poi arrivarono i Francesi napoleonici, e tutto a Venezia divenne sfatto, rovinato, depredato e anche l’ex Chiesa-Monastero delle Benedettine della Santa Croxe finì distrutta ed ora è magazzino A.M.A.V.-Veritas e Casa di Lavoro del Carcere Femminile della Giudecca… Un tempo la chiesa della Croxe della Zueca possedeva un ricco Coro o Barco che sovrastava l’ingresso della chiesa, e una parete a sette arcate separava la navata dal Presbiterio… Quando il Monastero venne soppresso dai napoleonici nel luglio 1806 ospitava ancora 35 Nobili Monache che vennero “concentrate”con quelle di San Zaccaria ... Nel maggio di quello stesso anno ci fu un ricorso contro le Monache della Croxe da parte dello Speziale Giampaolo Baldissera che rivendicava un credito dal Monastero. Il Magistrato invitò la Badessa a pagare, ma trovò le condizioni economiche delle Monache così pessime che invitò lo Speziere a soprassedere e rivolgersi direttamente al Direttore del Demanio che aveva incamerato ogni bene del Monastero … Secondo l’esame del Perito Demaniale Pietro Edwards realizzato nell’anno seguente risultò che Chiesa e Monastero della Croxe possedevano: 226 quadri, 51 sculture di cui 16 lignee, e 8 teste di Cherubini … All’atto della soppressione del complesso tutto venne un po’ disperso oltre che depredato: le Reliquie del Monastero finirono a Palazzo Pisani Moretta… Si misero all’asta in diversi lotti: 20 parapetti d’altare ceduti per lire 364 a Nicola Brazzoduro; un baldacchino venne ceduto a un certo Frate Fontanotto per lire 54; e vari arredi venduti per lire 312 a un Prete Antonio Pappini… Gli elenchi citavano inoltre una lunga serie di “carèghe di noghera, un organo, e diversi Cristi in avorio … e molto altro ancora.”e una casa di proprietà del Monastero della Santa Croce della Giudecca al n° 179 di Murano nel Campo detto il Bersagliovenne affittata a Pietro Zanetti per 78 ducati annui.


In un edificio a più piani in Fondamenta della Crocesorgeva dal 1846 un Deposito della Manifattura Tabacchi che divenne poi Deposito dell’Archivio di Stato… e sempre là c’era dallo stesso anno e fino al 1930 un Palazzo-Deposito di Grani della Società S.I.L.O.S. che oggi corrisponde all’Ostello della Gioventù… Nello stesso posto ci fu per un breve periodo anche una Caserma della Guardia di Finanza, un deposito di barche, un laboratorio artigianale, euna Fornacedivenuta poi Deposito di Carbone prima d’essere abbandonata ...


E non è ancora tutto … Sempre nei dintorni della Santa Croxe della Zueca sorgeva un tempo anche una Fabbrica di Lacche di Carlo Edoardo Apperle, le Lavorazioni di Marmo di Burigotto, e fin dal 1924 la Società Pianaro di Ceramiche e Terracotte artistiche che prese il posto di una precedente Fabbrica di Stracci lasciando in seguito il posto a una Fabbrica di Liquori e a un Deposito“de ferovècio”prima del totale ennesimo abbandono.




Percorso qualche altro passo ancora, si va verso il Redentore… Lì nei pressi sorgeva il Monastero di San Giacomo di Galizia dei Padri Serviti o Santa Maria Novella o Santa Maria Nova della Giudecca dove alla fine del 1600 erano presenti circa una quindicina di Frati Serviti gran interessati e baruffanti. Dico questo perché lungo tutto il secolo seguente la vita del Monastero fu caratterizzata da continue lotte e liti con la gente della Giudecca: con lavedova Manerotto per il fitto di un orto prima, con i Nobili Corner e Tiepolo per alcuni beni siti in Terraferma a Fiesso d’Articopoi, per quanto scritto e previsto nel testamento di Giovanni Linpi tardi ... e per “un livello” contro un certo Marconi; per l’affitto di alcune case alla Giudecca con Marcocchia ... e per la gestione di alcuni beni e proprietà situate a Bagnoli e Strà… Erano tosti, insomma, quei Padri Serviti della Giudecca.


Nel 1806 Pietro Edwards Direttore delDemanio “riservò alla Corona” il soffitto del Refettorio dei Serviti dando in cambio al Piovan di Sant’Eufemia per tenerlo buono un “Crocefisso Miracoloso” proveniente proprio dalla chiesa di San Giacomo ... Poi fu il puro disastro e la rapina di tutto quanto faceva parte di San Giacomo della Zueca … Dei 1.191 libri di pregio della Biblioteca dei Serviti: 447 vennero inviati a Padova e 744 venduti al Prete Astolfoni … I  sette Padri rimasti vennero concentrati nel Convento dei Servi in Contrada di Santa Fosca a Cannaregio ... Nel novembre dello stesso anno Bastian Franzoni acquistò per 44 lire il Pulpitodella chiesa, mentre le stoffe, i tappeti e gli arredamenti vennero requisiti per addobbare Palazzo Reale in Piazza San Marco… Il Murer Francesco della Santa stimò ciascun altare di San Giacomo: 200 Lire, mentre Antonio Zane stimò l’organo con le Portelle del Veronese: 307,07 Lire Venete ribassate ad aprile a irrisorie Lire 1.240 … Se lo prese, infatti, il solito Pietro Edwards Direttore del Demanio... Nell’agosto seguente i Conti Leonardo e Bortolo Donà chiesero di acquistare uno dei due restanti altari rovinosi perché ormai privati degli ornati: dopo “attenta perizia”,Giovanni Mabonisparò la cifra di Lire 75,10 concludendo la vendita 20 giorni dopo ... Sul finire dello stesso mese, la Comunità di Pederobba chiese d’acquistare il pavimento in marmo della chiesa stimandolo 80 Lire, ma il Demaniorifiutò l’offerta decidendo di utilizzarlo per la Nuova Casa di Finanzadi sua proprietà ... In novembre ancora Pederobba stava trattando: stavolta voleva acquistare l’intero organo dell’ex chiesa ... Nel marzo dell’anno dopo, Domenico Cerin si comprò il Coro Ligneo ormai tarlato e le Spalliere della Sacrestia per farne legna da ardere ... Il Conte Panciera di Zoppola acquistò l’Altar Maggiore con i due Angeli laterali in marmo, e la pila dell’Acqua Santa spendendo in tutto: 1.165 Italiche Lire  Girolamo Mianiacquistò otto quadri per Lire 8 ... Luigi Maria Pianton prese in affitto alcuni locali del Convento, e il Prete Santo Cotti da Bergamocercò di comprare una serie di 66 quadri senza riuscire a concludere del tutto l’affare ... Infine: chiesa chiusa, e Carlo Vianello detto Chiodo divenuto nuovo proprietario a chiedere la demolizione di Convento, Chiesa e Campanile perché pericolanti … Si sarebbe salvata solo la Scholetta di San Giacomo… Si voleva far posto alla costruzione di una Fabbrica di calce e pietre, anche se fi finì con realizzare, invece, una Fabbrica di bitume e asfaltotrasformando l’ex Monastero di San Giacomo in Caserma… Infine tempo dopo ancora, l’intera area venne giudicata adatta per l’edificazione di nuove case popolari per operai, e l’area della cancellata chiesa divenne Giardinodove Domenico Checchia conduttore dell’albergo “Il Vapore”in Calle dei Pignoli a San Marco allestiva ogni estate i suoi famosi “Banchetti all’aperto” cioè: “le Cene del Redentore”frequentatissime da “gente In” Veneziana e no.


Fino all’inizio del 1900 inCalle San Giacomo il Cantiere Navale Cucco occupava ancora 6 addetti, poi sei anni dopo sempre in Fondamenta San Giacomo sorsero i Cantieri Navali C.N.O.M.V. poi abbandonati senza validi progetti di riutilizzo … In Campo San Giacomo, invece, sorsero fin dal 1930 laPianoro Liquori e la Gianolla & C: Stabilimento di Liquoriinsieme ad alcuni magazzini per il Commercio dello Zuccheroin un’area che era stata adibita a Conterie fin dal 1860.




Più o meno nella stessa zona della Giudecca, però affacciata quasi sul retro verso la Laguna aperta, c’era ancora inizialmente sotto la giurisdizione del Monastero della Croxe la chiesetta spoglia di Sant’Anzolo di Concordia o Caotorta data in uso nell’aprile 1518 ai Carmelitani di Mantova ... Nel 1762  la chiesetta venne restaurata ancora una volta dal Capomastro Pietro Fabbris e dal Tagiapjera Martino Cossetti per una spesa di 9.905 Lire di piccoli, ma nel settembre di soli sei anni dopo il Conventino venne soppresso e indemaniato, e chiusa la chiesa venduta all’incanto nel 1806 … Circa quarant’anni dopo, il piccolo complesso conventuale risultava proprietà di Alvise Cogoche ne fece Capannone-Fabbrica di Cordami facendo riaprire al culto la chiesetta come “Oratorio non Sacramentale” benedetto dal Patriarca Jacopo Monego che gli appose il titolo di Santa Maria del Carmelo della Giudecca … In seguito fu tutto un chiudere e riaprire degli edifici fino al 1867 quando la Ditta Battisti istallò nell’ex Conventino di Sant’Anzolode la Zueca un’Officina di Conterie, che divenne durante il 1900: deposito, cantiere e Quartiere dei Pompieri di Venezia ... Infine nel 1908 la chiesetta venne recuperata, comprata e restaurata dall’Ing. Giancarlo Stucky che la regalò a Don Antonio Poloni Piovan di Sant’Eufemia e in perpetuo alla Parrocchia … Salvata per sempre la chiesetta ? … Macchè ! … Dopo pochi anni venne richiusa di nuovo, e stavolta per sempre nel febbraio 1943 quando venne ceduta allo Stabilimento Junghans del Ministero della Guerra che intendeva allargarsi ... Venne perciò abbattuta, e i tre altari di marmo, le iscrizioni, gli oggetti e le suppellettili furono spostati nella chiesa di Sant’Eufemia.




E siamo ora al grandioso Redentore dei Frati Cappuccini che conosciamo bene tutti: fu Tempio del Voto e del Cristo Nero Redentore Antipeste nella seconda metà del 1500, storico dirimpettaio quasi frontista appena oltre il Canale della Giudeccadel Tempio della Madonna della Salute realizzato con un altro Voto quasi un secolo dopo … All’interno del Redentore esiste ancora l’antica chiesetta di Santa Maria degli Angeli, e a soli due passi sull’omonima fondamenta sorge ancora il Conventino della Santissima Trinità delle anziane Monache Clarisse di Clausura… Un tempo nei pressi dei Frati Cappuccini del Redentore sorgeva un Lanificio, uno dei Colorifici della Giudecca,e dal 1846 anche un altro Deposito di Grani che in seguito venne utilizzato per attività ricreative ...Nel 1938 con l’imbonimento di una sacca malsana e melmosa dietro al Redentore di proprietà dei Frati Cappuccini e della Principessa Aspasia si creò la Cooperativa di case Maria Immacolata.


Sul Rio del Ponte Longo fin dal 1730 esisteva una Fabbrica di mattoni e calce gestita dai Narduzzi poi trasformata in Officina ... Sempre sullo stesso Rio dal 1890 e fino al 1942 s’insediò un Cantiere Navale A.C.N.I.L. dove l’azienda Veneziana di navigazione costruiva e riparava le proprie barche … Ancora nel 1971 erano in attività alla Giudecca e a Pellestrinatre cantieri navali in grado di varare piccole navi per complessive 210 tonnellate, e riparavano più di 250 natanti movimentando 707.600 tonnellate annue ... Come non ricordare allora la Cantieristica Navale ele Officine Meccaniche di Motonautica della Giudecca ?


I nomi li conoscete bene: Lucchese primo di tutti, attivo fin dal 1926 in Calle Lunga dell’Accademia dei Nobili occupando 100 addetti.  Ha chiuso poi i battenti in maniera alquanto travagliata lasciando spazi e locazione a piccole attività minori legate alla stessa vocazione nautica: riparazioni artigianali, manutenzione, ormeggio e rimessaggio … Su quelle stesse aree dismesse si sono poi sovrapposti progetti artistici di privati, della Biennale, e di altri Enti Veneziani con alterno successo … In quell’area della Giudecca un tempo fervevano le attività e le iniziative lavorative: c’era la Fonderia Giovanni Grandesso, la Motovelieri Italiani, l’Azienda Daziaria, laNavale Cinti-Celli,Seno, la San Marco, Salici, Zandan, Dorigo, Gallo, Carena, Dalla Pietà, Tassan, Dal Maschio, Costantini, Tagliapietra, Casagrande e Magnanimi (attivo dal 1900 in zona Campalto occupando ancora 12 addetti negli ultimi anni), e l’Azienda-Fonderia di Toffano Alessandro detto Palassòna  e i Cantieri Navali Toffolo in Campazzo di Dentro dietro alla Palanca (attivo dal 1909 occupando 95 addetti) ... Non so se ho citato tutti ?


Aggiungo che nella zona di Campaltolavorava lo Stabilimento Meccanicocon fonderia Da Par & Cazzagon in un insieme di bassi edifici costruiti all’inizio 1900, e la Fabbrica di Ghiaccio Tanner su due piani costruita nel 1906, ampliata vent’anni dopo, e riadattata poi per ospitare per breve tempo un Pastificiopoi abbandonato … L’area venne poi utilizzata parzialmente adibendola a negozi e residenze private ... Non si dimentichi ancora che nella stessa zona di Campalto accanto alla Cantieristica Navale non mancarono le attività tipiche tradizionali dei Veneziani Marineri, Naviganti, Gondolieri e Batellanti: cioè gli Squeri con la cantieristica delle Gondole: la Daniele Manin, e gliSqueri dei Mastri d’Ascia Giovanni Giupponi e TramontinA quelle attività di stampo e sapore antico venne connessa una Fabbrica di Stoppa, le attività residue della secolare Arte dei Calafati, la Fabbrica di Cordami Inio alle Corti Grandiattiva dal 1848, e laFabbrica di Carriole di Emilio Trevisan presente dal 1930 in Corte Ferrando poi trasformata ... Sempre alle Corti Grandi era attiva una Fabbrica di Tappeti fondata nel 1878 da Bussolin Cossulich & C. ristrutturata ed ampliata nel 1922 da Casimiro Gaggio: tutto venne distrutto da un incendio e in seguito abbandonato.




Sul Rio della Palàda dove ora sorge un’area teatrale e di residenza universitaria, sorgeva fin dal 1878 in un’area di 5.000 mq fra le Corti Grandi e il Rio del Ponte Longo  (secondo la Cronaca Agostini il Ponte Longo della Giudecca fu distrutto “da fiero uragano” nel febbraio 1543, “ma poi rifabbricòssi”) un complesso di magazzini ed edifici di epoche diverse adibito a Fabbrica di Orologi dai Fratelli Herion agenti generali per l’Italia della Società Anonima Arturo Junghans… Dal 1901 divenne “Fabbriche d’Orologerie Riunite di Junghans Herion & Thomas Haller”, due anni dopo Herionsi staccò lasciando da solo Junghans che proseguì le attività fino al 1919 … La FabbricaJunghans era in grado di produrre fino a 1500 orologi al giorno, inizialmente occupava più di 650 addetti fra uomini e donne, possedeva nelle adiacenze 3.000 mq di case per gli operai-dipendenti, e  precorrendo i tempi fondò anche una Società Anonima di Mutuo Soccorso per gli impiegati e gli operai della ditta prendendosi cura dei malati e delle loro famiglie, garantendo assistenza medica gratuita nei primi tre mesi di malattia, e un sussidio giornaliero in denaro iniziale di 12 lire al giorno che continuava poi per altri 3 mesi in maniera ridotta.  La società inoltre concedeva ulteriori sussidi “ai cronici”, e provvedeva ai funerali dei soci dipendenti sovvenzionando gli eredi bisognosi … Peccato che terminò la sua attività realizzando spolette, mine, munizioni e oggetti bellici per il Governo Italiano.

Interessante la probabile origine del toponimoCorti Grandidella Giudecca …Non sembra sia dovuto all’ampiezza delle Corti, bensì al fatto che lì abitava laFamiglia Cittadinesca dei Fugacci soprannominati “Grandi”... Si trattava di tre fratelli: Antonio, GianDomenico e Giorgiofigli dell'Avvocato Marco Grandi e di Cecilia Albanesi, che ottennero nel 1634 dalla Serenissima l'approvazione aCittadini Originari di Venezia in quanto erano nati e cresciuti nelle loro case situate “sulle Corti dei Grandi in cao de la Zueca” ...Raccontano ancora le Cronache Veneziane, che sempre nelle stesse “Corti Grandi della Giudecca”untempo si tenessero le famose“Cacce dei Tori” realizzate ogni anno in molti Campi Veneziani... Scriveva, infatti, Fabio Mutinelli nel suo “Lessico Veneto” del 1851: “Appeso nel campo un ornato pallone a segno della festa, bastava questo per divulgarne l'annunzio; intanto le famiglie agiate dimoranti sul campo mandavano inviti agli amici, le povere appigionavano le finestre, ed intorno al campo s'innalzavano gradinate di legno. Così disposte le cose, giunto il giorno, e il momento della festa, comparivano a suon di tromba nello stecconato i tori condotti da macellai e da Cortesani, che dicevansi Tiratori, i quali bellamente portavano brache di velluto nero, e giubboncello di scarlatto, con berretto rosso in capo, se fossero stati della fazione Castellana, nero, se avessero appartenuto alla Nicolotta. Fatto dai Tiratori col bove un giro per il campo, e venendosi poscia alla prima slanciata, cominciava allora una fierissima lotta tra il bove ed i molti cani che si aizzavano, perocché devesi sapere come i popolani e specialmente i Cortesani, due o tre per ciascheduno, possedessero di quegli alani per boria e per diligentemente educarli a quella caccia. Consisteva per tanto quella festa di sangue nella destrezza dei cani a ferire, ed in quella dei bovi a difendersi, laonde i fiati degli spettatori andavano a sprecarsi per far plauso alla virtù di sole bestie. L'ultima domenica di Carnovale davasi una Caccia di Tori affatto sciolti anche nella Corte del Palazzo Ducale, e questa fu istituita per sollazzo delle Damigelle della Dogaressa incoronata; ma quantunque non sempre il Doge avesse moglie, e non sempre la moglie fosse stata incoronata a Principessa, tuttavia la Caccia aveva luogo in ciaschedun anno con grande numero di spettatori ... In occasione di venute di Principi si davano straordinariamente queste Cacce nella Piazza di San Marco”.


E procediamo avanti e oltre il Traghetto della Palanca raggiungendo Sant’Eufemia o Santa Fèmia della Zueca: l’unica Parrocchia-Contradastorica della Giudecca oggi mezza aperta e mezza chiusa, mezza viva e mezza morta rispetto a un tempo … Non me ne vogliano i Giudecchini della zona ... ma è così.


Nel lontanissimo 1686 proprio a Sant’Eufemia della Giudecca di tenne: “ … solennissima Processione e superba Cavalcata de Veneziani” per festeggiare la Presa di Romania da parte della Serenissima … Nei Notatori del Gradenigosi ricorda e legge: “… alla fine di aprile 1757 si riposizionò in Sant’Eufemia il “Miracoloso Crocefisso” in cassa marmorea di finissima pietra intressiata con altre più pregevoli e di varii colori, il tutto del valore di 1.000 ducati compreso i lapislazzuli che costarono 200 ducati ... In quella stessa occasione si adornarono Chiesa e Sagrestia di superbi rimessi in legno.”… Dopo metà secolo quando in chiesa c’era già una Madonna del Rosariovestita e abbellita con abiti da sposa e ori, e il Piovano Calzavara di Sant’Eufemia era fra i Governatori del Pio Istituto delle Zitelle,accadde un “furibondo litigio maligno e artificioso con molestie fra il Parroco di Santa Maria Elisabetta del Lido del Mare e il Piovano di Sant’Eufemia per questioni di diritti su Funerali e Sepolture di persone residenti alla Giudecca”... In quegli stessi anni nella Contrada di Sant’Eufemia vivevano 4.740 persone, di cui 1.582 erano di età compresa fra i 14 e i 60 anni: cioè abili al lavoro, esclusi i Nobili che non lavoravano ma formavano il 26% della popolazione della Parrocchia ... 108 erano i padroni in 100 botteghe, due le Spezierie da Medicine: “La Fenice” e quella ai “Santi Cosma e Damiano della Zuecca”, e c’era una Levatriceche operava da sola al servizio di tutta la Giudecca.


Curiosissimi sono, secondo me, i dati dell’attenta analisi dellaVisita del Patriarca Ludovico Flanginialla Parrocchiale Sant’Eufemia della Giudecca,alle Monastiche San Biagio, Santa Croxe e San Cosmo, alle chiese delle Zitelle e delle Convertite, all’Oratorio Semipubblico di Sant’Angelo di Concordia, e agli Oratori Privatinelle case del Canonico Bergamin, dei fratelli Baffoe delle Signore Elisabetta Frollo e Pasquarel Berengo tutti siti al Ponte Longo, e a quello del fu NobilHomo Cattarin Corner in Rio della Croxe ... In quegli anni erano già giunti i Francesi a far man bassa di Venezia: a Sant’Eufemiadov’era Piovano: Don Pietro BrazzoduroCongregatodeiPreti di San Lucaavevano rastrellato via tutti gli ori e gli argenti della chiesa, del Capitolo e delle Schole fondendo tutto e ricavando anche18 verghe d’argento.



Nei verbali di resoconto della Visita Patriarcale si legge che laChiesa-Fabbrica di Sant’Eufemia,pur essendo guidata da un Piovanodi nomina Patriarcale, era di fatto sotto la tutela dei Giuspatroni, cioè dei proprietari degli stabili della Giudecca ... La Parrocchia di Sant’Eufemiapossedeva rendite da un “legato per celebrare una Messa per tutti i Morti della Giudecca seppelliti nel Cimiterietto locale diventato poi Orto del Piovan”, e percepiva inoltre 1.635 Lire annuali dall’affitto di 14 case che possedeva nella stessa Isola della Giudecca… Gli introiti della Parrocchia venivano equamente spartiti fra il Capitolo dei Pretie la Fraterna dei Poveri di Sant’Eufemia... Il Piovano oltre ad usufruire di una casa di residenza, possedeva anche 42 Lire d’entratee 100 lire di “rendite di stola”, ma spendeva 130 Lire: 80 “per cere”, e 50 “per l’olio delle lampade della chiesa” ... Gli altri cinque Preti Titolati del Capitolo di Sant’Eufemia e i Chiericiche ruotavano attorno alla chiesa si spartivano altre 15 Lire annuali oltre alle case di domicilio ... C’erano inoltre ben 21 Preti che andavano in giro per la Giudecca di continuo per celebrare Messe e Funzioni Religiose allaCroxe, alle Convertite, alle Zitelle, a San Biagio e San Cosmo, e si spingevano anche “oltre Canale” fino a San Cassian di Rialtoe a San Basso di San Marco.


Lo stesso Patriarca Ludovico Flangini quantificò nella sola Sant’Eufemia la celebrazione annuale di 2.355 Messe Perpetue; 123 fra Esequie e Anniversari, e 150 Messe Avventizie … Riportò ancora nei verbali della Visita, che a Sant’Eufemia: “… si teneva la Dottrina Cristiana per le putte a San Cosmo e per i putti alla Croxe, le Esposizioni del Santissimo durante tutta la Quaresimaquando si predicava quotidianamente il Quaresimale (come in altre 37 chiese di Venezia), la Novena di Sant’Anna, la “Coroncina” all’altare della Beata Giovanna da Collalto ogni lunedì dopo l’ultima Messa, il Rosario ogni sabato sera, la Devozione dei nove martedì di Sant’Antonio da Padova, e dopo il tramonto nei giorni dei Morti il frequentatissimo Ottavario allestito a spese delle Confraternite dei Morti che pagava “i Conzadòri” per allestire “la lugubre acconciatura della chiesa” elevando catafalchi enormi alti anche fino al soffitto, rivestendo di nero “a lutto” ogni colonna e ogni altare, e coprendo di tessuti con simboli e scritte sulla Morte ogni panca della chiesa.”


Nel 1830, invece, a Sant’Eufemia alcune cose risultarono un po’ cambiate: i vecchi Oratori Privati nelle case erano scomparsi eccetto quello dell’ex Monaca Agostiniana Allegri e quelli delle famiglie Frollo, Saoner e Sanzogni... La Scuola Elementare Maschiledella Giudecca era frequentata da 7 ragazzi in tutto su 30 (fra 10 e 15 anni) che avrebbero dovuto frequentare la “seconda classe”: avevano abbandonato quasi tutti “per andare a mestiere” ... Nella prima classe delleFemmine(fra 7 e 12 anni), invece, frequentavano 16 ragazze su 47, ma nessuna di loro aveva sostenuto l’esame per passare in seconda.


Nell’agosto 1865 Don Francesco Fontanella e Don Francesco Bontamiglio Piovano e Cooperatore di Sant’Eufemia firmarono insieme ad altri Preti una petizione all’Austria per far abolire la “Commissione per la gestione degli ex beni Capitolari ed Ecclesiastici”che aveva ridotto le loro rendite a un terzo dell’originale ... Il Prefetto e la Commissione risposero attribuendo Lire Italiane 548,47 alla Parrocchia di Sant’Eufemia della Giudecca “per le spese d’ufficiatura” ... Sempre a caccia di soldi i Preti … Qualche anno dopo Sant’Eufemiavenne radicalmente restaurata a cura e spese del Piovano Felice Fortunato Berengo, che istituì il Circolo delle Donne Veneziane per gli Interessi Cattolici, il Comitato Parrocchiale, e s’inventò la Disputa della Dottrina Cristiana con accanite gare e premiazione finale impartita dal Patriarca che richiamò concorrenti da tutta Venezia fin oltre gli anni 1940 ... Nel 1876 Maria Zorzetti Fabriciera Amministratrice di Sant’Eufemia della Giudecca lasciò alla chiesa il patrimonio di 6.677 Lire come assegno di mantenimento per un Sacerdote Povero della parrocchia … Nel 1883 il Piovano Don Leandro Lizza restaurò il campanile di Sant’Eufemia comunicando al Patriarca Aristide Cavallariche la Parrocchia era piena di debiti per i restauri che si protraevano da più di un decennio, gli disse anche che Sant’Eufemia: “era un disastro, un caso limite negativoper la scarsa frequentazione dei bimbi alla Comunione: solo 750 su 4.500 abitanti adempiono al Precetto” ... Lo stesso Piovano ricevette dal ricco imprenditore Stuky alcuni arredi, il Coro e il “vestibolo colonnato”(del 1596) della ex chiesa demolita di San Biagio della Giudecca che fece inserire sulla parete della chiesa rivolta verso il Canale della Giudecca sopra gli ambienti della Schola dei Scorzeri.


E fin qua: Sant’Eufemiadella Zueca… poco distante dalla“Palàda” della Giudecca ... Esistevano due “Palàde” alla Giudecca: una era la Palàda di Sant’Anzolo (l’attuale traghetto) vicina all’omonima chiesa di Sant’Anzolo di Caotorta o Contorta, e la Palàda di Cà Lombardo dalla Nobile-Patrizia Famiglia dei Lombardo che possedeva alla Giudecca ventiquattro case passate in Commissaria amministrata dai Procuratori di San Marco ... Scriveva GianMaria Dezan:“… sulla Fondamenta della Palada alla Giudecca eravi la Scuola della Beata Vergine del Rosario, la quale celebrava ogni anno la propria festa con una pomposa solennità. Havvi memoria che nella Processione solita a farsi in tale circostanza morì ucciso nel 1758 un fanciullo da un colpo di moschetto.”


Da Sant’Eufemia seguendo la Fondamenta verso l’interno dell’isola si va per forza a incontrare due luoghi particolari: San Cosmo della Giudecca e Santa Maria Maddalena delle Convertite dove un tempo accadeva il recupero e il reintegro sociale delle ex Prostitute Veneziane … Attualmente il posto è adibito a Istituto Penale Femminile e Casa di Lavoro.




Iniziamo col fantasma del Monastero delle Monache dei Santi Cosma e Damiano de la Zueca… Fra 1645 e 1650: il Monastero delle Benedettine insieme a quello delle Benedettine dei Santi Biagio e Cataldo sempre della Giudecca, e a quelli delle Monache Agostiniane delle Vergini, e delle Benedettine di San Lorenzo e San Zaccaria nel Sestiere di Castello, venne escluso in quanto non considerato bisognoso dal SenatoVeneto dall’elenco delle annuali donazioni ed elemosine di grano che la RepubblicaSerenissimafaceva ai Monasteri Veneziani a Pasqua ... Tralascio il tanto che ci sarebbe da dire sulla Storia di San Cosmo della Giudecca, basti ricordare che nel novembre 1805 le Monache furono costrette dagli Austriacia sgomberare il Monastero trasferendosi al vicino Santi Biagio e Cataldo... Tutto venne soppresso e requisito, e Pietro Edwars Delegato della Corona e Direttore del Demanio scelse personalmente 10 pitture delle 49 prelevate in chiesa depositandole nel Deposito Demaniale di San Giovanni Evangelista ... Giacomo Florian poi nel 1813 acquistò per Lire 460 per la chiesa di Contarina in Polesine due statue di marmo: un “San Giuseppe” e un “San Giovanni Battista”di San Cosmo … Nel marzo 1839 una “Moltiplicazione dei pani” e un “Mosè separa le acque” vennero dati in deposito a San Vito di Asolo insieme ad altri 6 quadri, due dei quali di Sebastiano Ricci tutti provenienti da San Cosmo … Poi tutti gli ambienti di chiesa e Monastero vennero spogliati di ogni cosa, e destinati a diventare Caserma del V Battaglione Austriacodi Terra e poi Ospedale Militare… Nel 1847 il San Cosmo ospitava 400 soldati.


Dopo la guerra i locali dell’ex Monastero dei Santi Cosmo e Damiano rimasero liberi e spogliati, e le Monache Benedettine avrebbero potuto farvi ritorno, ma all’unanimità le ex Monache di San Cosmo(fra cui 11 Monache Coriste Nobili Barbaro e Priuli) chiesero di lasciare il San Biagio dove si stava malissimo: “… dov’erano male alloggiate, non abbastanza gradite … così che in meno di tre mesi erano morte la Badessa, la Vicaria e altre 4 Monache vittime delle sofferte angustie e dei disaggi, e risentite dall’incomoda stagione a cui loro malgrado furono obbligate.” ma non per tornare al San Cosmo ma piuttosto al San Zaccaria: il Monastero più nobile e ricco della città dove le Monache Nobili erano disponibili ad accoglierle in quanto erano Patrizie dello stesso rango ... Povere illuse ! … Convinte di poter tornare ai fasti e ai privilegi di un tempo cancellati per sempre e del tutto dai Francesi prima, poi dagli Austriaci, e poi di nuovo dai Francesi. 


Nei locali dell’ex chiesa e convento di San Cosmo soppressi e utilizzati come Deposito Junghans e Deposito Tabacchi, dal 1855 al 1868 si avviò un Opificio che trasformava il Sale Marino in Sale Industriale per l’agricoltura utilizzando una macchina a vapore ad alta pressione con macina a due cilindri. Si sofisticava inoltre il Sale per la Pastorizia aggiungendovi Genziana, Ossido di ferro e Carbone dolce in polvere ... La miseria vissuta dalla gente dell’epoca la spingeva ad utilizzare qualsiasi cosa venisse loro offerta ... Il resto del Monastero divenne “casermòn” per sfrattati, e poi Ospizio-Lazzaretto per Poveri e malati di Colera dal 1873 fino al 1886, data in cui si divise orizzontalmente in due la chiesa attivando laFabbrica di Maglierie Herion.  L’anno seguente dava lavoro a 30 maschi e 20 femmine, 4 fanciulli e 4 fanciulle, cioè a 58 persone in tutto.




Durante la Prima Grande Guerra Mondiale il convento tornò di nuovo a disposizione dei Militari che lo trasformarono in deposito, e finito il conflitto tutto tornò di nuovo in mano agli sfrattati e ai diseredati Veneziani … Nel luglio 1934 in Campo San Cosmo s’inscenarono le “Baruffe Chiozzotte” di Carlo Goldoni … Nel 1946 Don Antonio Polloni Parroco di Sant’Eufemiachiese al Demanio dello Stato tramite il Patriarca Adeodato Piazza di poter utilizzare l’ex Convento di San Cosmo per insediarvi una Fondazione Sociale Educativa ... Il Ministro di Giustizia rispose che appena liberato dagli sfrattati avrebbe fatto del San Cosmo una dependance carceraria ... Nel 1979, invece, dopo un incendio l’edificio venne abbandonato del tutto dalle 52 famiglie che lo occupavano, e si diede inizio a lavori di restauro per trasformare quel che restava del San Cosmo in appartamenti ... cosa terminata e accaduta oltre il 2004.


E passiamo finalmente alle Convertite della Zueca

Quante cose sono accadute alle Convertite di Santa Maria Maddalena ! … Tante per davvero !!!




Luogo antichissimo innanzitutto … A cavallo fra Storia e Leggenda nel lontanissimo 1117 quando PapaAlessandro III giunse in Laguna assolvendo da ogni censura ecclesiastica Federico Barbarossa, sembra abbia permesso a Giuliafiglia dell’Imperatoredi poter erigere alla Giudecca insieme ad altre dodici “donne-fanciulle”un Monastero di Regola Agostiniana diventandone la prima Badessa... Questa la leggenda … Di sicuro verso la fine del 1500 poco distante da Sant’Eufemia e da San Cosmo della Giudecca sorgeva un Oratoriettodedicato aSanta Maria Maddalena con annesso piccolo Convento-Ospizio… Qualche motivo doveva pur esserci se nel 1532 la Serenissimadisponeva che “doi soldi”di ogni multa o pubblica condanna per Contrabbando: “andassero applicati all’Hospedali delle Pietà e Convertite”… e se poi tassava di 2.000 ducati i redditi delle Cortigianeche pagavano un affitto superiore a 40 ducati annui ancora a favore delle Convertite della Zueca e se poi si consigliava ai Notai Venezianidi far aggiungere nei testamenti una donazione a favore del Pio Loco delle Convertite de la Zueca... La Storia racconta, infatti, che nel 1551 un gruppo di ex prostitute Veneziane si organizzò separandosi definitivamente dall’Ospedale degli Incurabilisulle Zattere che le ospitava, e andò a stabilirsi alla Giudecca dando origine alle “Convertite della Zueca”cioè un Monastero-Ospizio-Ospedalettoche nell’organizzazione s’ispirava alla Regola di Sant’Agostino... Papa Giulio III prima, e Papa Paolo IV poi confermarono la bontà di quell’idea mettendo “Le Convertite” sotto il “patrocinio e la protezione perpetua”sia del Patriarca di Venezia che dell’Abate di San Giorgio Maggiore ... Le ex prostitute Veneziane potevano quindi considerarsi al sicuro, “come in una botte di ferro”, libere e salvate da ogni prevaricazione ed eventuale sopruso da parte di chiunque.


Sembra allora che “Le Convertite” abbiano avviato una specie di “casa-noviziato di prima accoglienza”in Contrada di San Marcilian (San Marziale) nel Sestiere di Cannaregio dove accoglievano e selezionavano alcune donne “reduci dalla vita di meretricio e strada ma desiderose di cambiare vita” Dopo un certo periodo di orientamento e prova, le donne più determinate e adatte alla vita comunitaria e conventuale venivano inviate ed accolte alla Giudecca dove venivano ammesse a vivere nell’Ospizio-Monastero di Santa Maria Maddalenadelle Convertite tramite il gesto simbolico del taglio dei capelli.


E fin qua: tutto a posto … Pareva che tutto filasse dritto.



Fu una decina d’anni dopo l’istituzione del particolare Ospizio delle Convertite, invece, che in quel posto della Giudecca nacque un vero e proprio putiferio e gran casino … Causa di tutto fu un certo Prete Leon da Valcamonica Rettore dell’Istituto e Cappellano-Confessore delle Convertite, che giustamente alla fine venne decapitato, squartato e bruciato “in Piazzetta San Marco fra le due colonne” per ordine delConsiglio dei Dieci ... Oltre ad essere accusato d’Eresiae di aver rubato le elemosine dell’Istituto, il Prete venne riconosciuto colpevole, reo confesso, anche d’aver schiavizzato facendole lavorare giorno e notte per lui almeno venti “Convertite” che costringeva anche a rapporti sessuali con lui e altri tramite minacce e torture … Secondo la denuncia alla Serenissimadelle stesse“Convertite”: “complice la Badessa in carica(anch’essa condannata e prigione a vita, dove morì dopo 15 giorni di malattia)aveva fatto affogare e nascondere i figli che nascevano da quegli amori colpevoli”.


Quel che fa più impressione sbirciando gli atti del processo è il fatto che si diede maggiore importanza e gravità al Peccato d’Eresia piuttosto che ai furti, e soprattutto agli stupri e le violenze subite da quelle povere donne ...  Suor Petronilla già Priora delle Convertite depose al processo nelle Carceri del Sant’Uffizio di Veneziad’essere stata plagiate e convinta di opinioni eretiche da Giulio Gerlandie da Francesco Scudieri:“… Giulio niega né vol intender queste imagine ... Et ragionando cerca di questa cosa con Francesco, el mi disse: “Ma chi avesse el cuor a Dio senza guardar imagine, non saria meglio ?” … Et io gli credeti et Dio mi perdoni, d’hallora in qua non guardo la imagine della Madonna con quella devotion che soleva, maxime che ho una Madonna qua in pregion …”


Questo per dire quale fosse il costume e le convinzioni spesso fanatiche di Venezia e dell’epoca, e di come Civico e Religioso fossero spesso conniventi nel gestire la Giustizia Sociale falsando, propinando, sottolineando e adulterando certe Verità e Valori disattendendone altre spesso di vitale importanza.


Tornando alle Cronache dell’epoca, raccontano che in quegli anni “Le Convertite”della Giudecca ospitavano almeno 400 donne giovani e belle ...e dicono ancora che dopo quei fatti vennero allontanate dall’Ospizio-Monastero almeno cento Monache consenzienti e complici di quel Prete e di quella Badessa, e che s’inasprì il “regime di clausura” con cui veniva gestito ilPio Loco delle Convertiteponendolo sotto il rigido controllo di ventiGovernatori (per metà Patrizi e per metà Cittadini, con l’incarico che:“mai mancassero temporali assistenze a quel Pio Istituto).


Un decennio dopo quei fatti, tutto il complesso delle Convertite venne restaurato usufruendo di alcuni finanziamenti offerti dal ricco Mercante BergamascoBartolomeo Bontempelliproprietario di una bottega in Merceria di Rialto “All’insegna del Calice”(Il Bontempelli fu benefattore anche di San Lazzaro dei Mendicanti e della Chiesa-Monastero di San Salvador), e di alcuni lasciti di Zuane di Mascheronialtro riccoe analfabeta Mercante da Vin, che morendo lasciò alla Santa Croxe e alle Convertite della Giudecca: 12 barili di vino ciascuna testando:“… per l’Anima sua, et in remision di suoi peccati, dichiarando che a questi Monasterii ghe sia datto buon vin.” ... Negli stessi anni si respinse in Senato la proposta di dare alle Convertite della Giudecca: “due Grossi ogni cento ducati assicurati delle merci trasportate dalle navi Veneziane”confermando la tradizionale donazione per le Convertite di: “doi soldi per Lira su ogni affare”.


Tutto risolto alle Convertite della Giudecca ? … Macchè !


Nel novembre 1624 si trascinò ancora a processo un Prete Veneziano: “per doni scandalosi ad una Monaca delle Convertite” ... S’intentarono altri processi: “per colloqui di due del Volgo con le Monache”“per frequenza di due Secolari ed una donna”“per corrispondenza amorosa di un Prete con le Monache”… e ancora: “per bagordi con Monache di tre Patrizi Veneziani” “per Visite di un Patrizio” … e negli anni seguenti: “per l’Amicizia di un Ebreo con quattro Monache che tentò di sedurre”… e “non si smise di rimproverare le ospiti delle Convertite per il loro disinvolto comportamento e vestimentario”.


Insomma: “il Lupo aveva perso il pelo ma non il vizio”


Nel marzo 1629 tuttavia, in tempo di Peste, le 300 Convertite della Giudeccafinirono ridotte nella miseria più nera e alla fame più dura per via dei prezzi troppo alti del grano, e per la scarsità delle elemosine che ricevevano ...Dicono le Cronache che ilPatriarca Tiepoloimpietosito dalle ristrettezze di quelle donne “che si sostentavano di solo pane e annacquatissimo vino, le segnalò vivamente alla pietà generosa dei Veneziani, e che il Senato Veneto “non dimentico di tutto quanto era accaduto in quel luogo”,ordinò lo stesso di dare ogni volta 600 ducatianche “al Pio Loco de le Convertite de la Zueca”nel Giorno della liberazione di Venezia dalla Peste, cioè il 21 novembre di ogni anno:Festa della Madonna della Salute di tutti i Veneziani ... Per secoli inoltre, le Convertite della Giudecca: “…ch’erano all’incirca 184 Monache Professe del Velo Nero”ricevevano annualmente dai Veneziani diverse regalie per Pasqua:“per la loro estrema povertà”, insieme a 200 staia di frumento, il regalo di un carico di legna, e 300 ducati di buona valuta”.


“Estrema povertà”delle Convertite della Giudecca ? … Mah ? … Non so …

Per quasi tutto un secolo le Convertitefecero causa contro Sier Vincenzo zio e i Nobili nipoti Rivaper l’eredità cheGiacomo Riva della Contrada di San Trovaso aveva lasciato per testamento alle Convertiteprima di partire per un viaggio in Siria.Nell’inventario dei beni posseduti da quel Nobile si elencavano: “stabili a Monfalcone e Re di Puglia, e caneva con case e bagni rovinate dalla guerra recente in comproprietà con fratello Giustino… Il Cittadino Mercante Jacopo Gallimorto nel 1649 (finanziatore  della facciata del Convento di San Salvador vicino a Rialto), lasciò per testamento ingenti somme a molti Istituti Veneziani: 60.000 ducati aMarino Moscheniper costruire quella facciata, altri 30.000 per costruire anche quella della vicina Schola Granda di San Teodoro, ed altri 30.000 ancora per quella dell’Hospedale di San Lazzaro dei Mendicantivicino ai Santi Giovanni e Paolo ...In cambio volle da tutti: celebrazioni di Messe quotidiane in suo suffragio e memoria … Doveva suonargli davvero come terribile l’idea di finire nel Purgatorio, o peggio ancora nell’Inferno, voleva quindi a tutti i costi cercare d’evitarlo a suon d’elemosine, Messe e denari dati a chiunque potesse aiutarlo in quell’ardua impresa diSalvezza... Pagò, infatti, cifre esorbitanti a Preti, Frati e Monacheper celebrare un sacco di Anniversari e Mansioneriedi Messea suo favore: alle Terese, a San Lazzaro dei Mendicanti, a San Stae, alleZitelle, alla Schola del Santissimo di San Salvador, al Convento del Sepolcro sul Molo di San Marco e diede anche altri 2.000 ducati proprio alleConvertite della Giudeccaperché facessero celebrare da un Prete o da un Frate un’ulterioreMansioneria di Messeper lui … e non pago: aggiunse ancora altri 6.000 ducati perché tutte le Convertite recitassero ogni giorno“un De Profundis in suffragio di lui medesimo”.



Mamma mia !  ...Che terrore dellaDannazione Eterna !

Nel luglio 1641 una Professa delle Convertite inviò una supplica alla Signoria Serenissimanarrando di come fu costretta a farsi Monaca alla Giudecca … Due anni dopo, ilGentiluomo Inglese Ser Giovanni Brengiovane funzionario dell’Ambasciata d’Inghilterra a Venezia, venne assolto dopo sei mesi di carcere perchè con una gondola da traghetto stava per asportare dalle Convertiteuna Monaca consenziente coprendola sotto “al felze (cabina)de la gondola”con un drappo ... Era stato intortato e gabbato da una ruffianaMargherita Locardadella Giudecca che venne pure lei condannata a 4 anni di prigione.

Nel marzo 1706: si processò e condannò Anastasio Fanuloche aveva coinvolto sessualmente la Monaca Professa Alessandra Marcellofuggita con lui in barca dal Monastero delle Convertite insieme alla Badessa Adriana Franceschi ... Finirono tutti rinviati a giudizio compresi i due Marineriche li avevano trasportati, e tutti vennero condannati al bando perpetuo da tutto lo Stato Veneto e soprattutto da Venezia … Ancora nel 1758 si stipulò un altroContratto di Dote Monasticacomprensivo delle spese per il Corredo, e di quelle per la Festa della Monacazione Professa della giovane Nobile Angela Minio: “Putta dell’Ospedaletto delle Convertite”... le cui “Munèghe Convertie” nel 1770 dovevano ancora lavorare per l’esterno da come risulta da un pagamento fatto a Suor Maria Quaresimade le Convertie de la Zuecada parte della Schola della Vergine dei Frariper la quale le Monache avevano confezionato:“ .. una girlànda di fiori e un lungo manto per la Madonna da portar in Procession ...”


Dell’aprile 1796 si sa che Monache delle Convertite non solo osservavano e si atteggiavano corrisposte dalle finestre senza grate delle loro celle: a li depravosi costumi de quelli schandalosi … et ciò facevano le Muneghe con gran frequenza di zorno e di nocte, ma anche entravano direttamente tramite certe porticine nella Cavallerizza della Giudecca che sorgeva lì accanto partecipando attivamente alle manifestazioni di divertimento pubblico e ai bagordi notturni che attiravano gente da tutta Venezia.


La Cavallerizza, infatti, sorgeva attaccata al Monastero delle Convertite dove c’erano certe caxette di Stefano Venturin Cornovì detto Dalla Vecchia(originario di Bergamo e approvato Cittadino Originario di Venezia. Comprato un negozio di legname in “Barbaria delle Tole” nel Sestiere di Castello, lo permutò con uno “di Cambellotti in Contrada di San Bartolammeo a Rialto “All'insegna della Vecchia” da cui assunse e mutò il cognome: “Personaggio di “gran da fare”, seppe come investire il suo patrimonio dando e cercando umano divertimento”)… La Cavallerizza insomma era un “Luogo di piacere” ricavato ben prima nel 1798 accanto al Convento-Ricovero delle Convertite dove prima si estendevano delle grandi ortaglie del Monastero: “... nella Cavallerizza al tramonto s’accendevano lumi, et era molto bello a veder tutto chiaro come zorno, c’erano stalle e padiglioni per ristorarsi, scommettere e giocare, e stanze riservate dove ritirarsi per mangiare, bere e tripudiare in libertà come Baccanti”… La Cavallerizza non era famosa solo per i trenta cavalli che venivano lì allevati, per le piste e le corse, ma anche per i giardini e le carrozze parcheggiate nei dintorni dove ci si poteva permettere ogni tipo d’intrattenimento ... Era considerata un locale “di gran moda” molto frequentata dai Veneziani, e per questo luogo su cui volavano voci e pettegolezzi in gran quantità: “più numerosi degli sciami dei moscerini che lo infestavano” I giovani Patrizi Nobili:vi accorrevano in calzette di seta bianche, velada a l’inglese, camisola e ventoleta e braghesse con fiuba al zenoceto, le donne in cotolete curte, calze recamade, petorine tutte averte e cappelletto tondo... “In quell’allegro accorrere si formava un miscuglio di Nobili, avventurieri, Dame e Cortigiane, Forestieri e Lenoni, Maschere e Ballerine” ... Famosa fra le tante era una bella Milanese tutta vestita “da cavallerizza in pelle”… In una delle carrozze: “la NobilDonna Chiara Pisani Barbarigo se dava un gran da fàr con alcuni NobilHomeni Condulmer, Foscarini, Fini e soprattutto col Cavalier di San Marco Dolfin, Marco Badoer e Giovanni Barbaran da San Moisè.” ... Le Cronache raccontavano di come: “Furoreggiavano la Nobile Anzola Balbi di Santa Giustinacon li ochi ben marcati e li brazzi scoverti a la lavandera e una bella Greca di Corfù che diseva sempre si e mai de no.… Le stesse Cronache aggiungevano poi che: “correva più di tutti in modo indecenteuna certa Correrettamantenuta del Nobile Linardo Correr di Santa Fosca, che andava in carrozza vestita d’abiti richi ma scandalosisedendosi sulle ginocchia dei Cavalieri, dichiarando che quella era l’ultima moda venuda de Franza” … di come tutte insieme: erano chiamate: leTre Grazie busaròne… e infine di come: “LaCorrerettafinì poi male: fuggita a Milano dietro a un Francese, lì dopo essere stata maltrattata e derubata di tutto terminò suicida sparandosi un colpo di pistola in testa il 2 aprile 1797.” ... Brutta storia, e brutta fine.

“Il “Paradiso della Cavallerizza” precipitò a terra nel più putrido dei fanghi, chiuso alcuni mesi prima della caduta della Repubblica, e poco prima che su tutto e tutti s’abbattesse il terribile temporale napoleonico.”… Le solite variopinte Cronache Veneziane ricordano che fin quasi alla fine del 1800 si stampava alle Convertite dove aveva sede laSchola della Stampa: “… le Lavoranti erano per lo più le Monache che esercitavano l’Arte Tipografica dentro al Convento”… Alla Giudecca era attiva anche laTipografia Omassini & Pascon in Fondamenta al Ponte Longoistituita nel 1922 nei locali di una fabbrica di minuterie di G.Zanchi & C. da pochi anni inattivata … Nella seconda metà dell’Ottocento l’area dell’ormai ex Cavallerizza divenne azienda agricola di Mazzega Osvaldo, e nel 1943 diede spazio alla Scalera Filmprima d’essere abbandonata del tuttoSi sa chedietro alle Convertite” fu attivo dall’inizio 1900 un Cantiere navale Scarpa in gran parte poi lasciato inutilizzato.


Nel settembre 1801 avvenne una clamorosa protesta che fece eco in tutta Venezia da parte della Badessa Maria Corolina Kurz delle Convertitedella Giudecca. Motivo fu il tardivo arrivo dei sussidi governativi al Monastero delle Convertite che languiva con 51 Monache ridotte alla fame dopo essere stato privato del tutto di ogni rendita che possedeva depositata nella Zecca di San Marco. Si trattava di un capitale non da poco di 200.000 ducati con interesse annuale di 75.000 Lire, che si assommava a un altro notevole “deposito”frutto delle donazioni e legati derivanti dalla “Tassa pubblica sulle entrate delle prostitute Veneziane”, e dai fruttidell’obolo del “doi per ogni Lira” dato su ogni affare mercantile, e dell’imposta su ogni“carica di Stato” offerti obbligatoriamente a favore delle Convertite della Zueca ... Un vero e proprio ingente Tesoretto insomma incamerato dai Francesi senza battere ciglio insieme a tutto il resto.


Il Monastero delle Convertite aveva ricevuto nei primi sette mesi dell’anno un contributo statale di 27.492 Lire, ma le spese di mantenimento delle Monache assommavano a lire 37.970 ... La Badessa, coraggiosa per l’epoca e disinibita nella circostanza, uscì senza autorizzazione nè approvazione dal Monastero della Giudecca insieme a 4 Converse violando l’Obbligo di Clausura, e si recò in barca fino in Piazza San Marcoinnalzando un gran crocefisso e gridando: “La fame come l’acqua ed il fuoco dispensa dalla Clausura … Il Crocefisso è l’unica arma che rimane a una Badessa … che nemmeno con Esso fu rispettata”… Entrò quindi processionalmente e di gran carriera negli Uffici Governativi delle Procuratie dove davanti al Commissario Plenipotenziario Francese Giuseppe Mailate al Capo Generale di Venezia Giovanni Pietro Grimani denunciò a gran voce la situazione drammatica delle Monache della Giudecca ... Non ne ricavò granchè, perché rientrando più tardi al Monastero dichiarò: “… ad onta del disperato passo fatto, non ho ancora ricevuto soccorso, se Dio, dopo che tornai al Monistero non mi spediva, da privati Benefattori 6 staia di farina, 1 sacco di fagioli, ½ sacco di pane, le 40 Lire di Vostra Eccellenza, e 20 Lire da un Padre di San Michele di Murano.”


Il Governo Venezianocomunque reagì con violenza contro la Badessa delle Convertiteallontanandola e sottoponendola a lunghe controversie, limitazioni e peregrinazioni la cui eco giunse fino al Papa … Si temeva che al suo seguito si potesse attivare e scendere in piazza tutto il nutrito mondo delle Monasteria e della Frateria e Preteria Veneziana … A Chioggia si minacciarono le Monache di ogni sorta di non uscire dai Conventi neanche per chiedere l’elemosina per le strade.

Intanto Pietro Edwards Direttore del Demanio fece man bassa di quanto c’era nel Monastero delle Convertite: fra le 355 opere sequestrate in chiesa e nel Monastero scelse per se sette quadri del Palma, di Alvise del Friso, dell’Ingoli, di Durer e di Bartolomeo Scaligero permettendosi di scartare oltre 350 altre incisioni in rame e 5 sculture considerate di scarso valore e poco interessanti ... Tra le opere inviate a Leopoli nel 1852 figurava anche una “Maddalena Orante” del Salviati valutata 40 Lire prelevata proprio dalle Convertite della Giudecca.

Nel frattempo le 51 Monache delle Convertite vennero trasferite coatte e concentrate nel Monastero di Santa Lucia delle Agostinianedi Cannaregio(sorgeva dove oggi c’è la Stazione Ferroviaria), e il Convento Giudecchino“sebbene troppo grande da scaldare” venne trasformato in in Casermaper 300 Soldati di Terra Austriaci e poi in Ospedale Militare(nel luglio 1849 dopo l’evacuazione dell’Ospedale di Santa Chiara (a Piazzale Roma) bombardato, l’Ospedale delle Convertite ospitò 550 ricoverati di cui 117 feriti nei Forti), e poi utilizzato come Lazzarettoimprovvisato insieme al vicino Ospedaletto di San Biagio nel 1835 e 1848 quando a Venezia avvennero alcune epidemie di colera ... In seguito l’Arciduca Ranieri comprò dal Demanio due altari di marmo delle Convertite collocandoli provvisoriamente nella Chiesa-Abazia della Misericordia a Cannaregio.

E veniamo alla cancellata e demolita zona dei Santi Biagio e Cataldo o Catoldodella Zueca. Probabilmente quell’area della Giudecca fu a lungo un po’ il polo-motore, il cuore dell’attività lavorativa dell’intera Isola alla fine del 1800 e inizio 1900. Tutto un po’ ruotava intorno all’area di San Biagio cioè il luogo oggi corrispondente all’Hotel Stuky... Ops ! … scusate: il pomposissimo Hilton Molino Stucky Venice Hotel.


Nel demolito Monastero dei Santi Biagio e Catoldo che un tempo sorgeva a chiudere e concludere, o iniziare la Giudecca vivevano le inossidabili e potenti Monache Benedettine di cui nel febbraio 1513 scriveva il solito Diarista Marin Sanudo: “In questi zorni a San Biaxio Cataldo alla Giudecca seguite certa cuestione tra loro Monache che si treteno i libri in la testa ... Ideo andòe il Patriarcha ivi, e udite le loro querele, et soperse come vivevano inhonestamente, e trovò a una Faustina Manolesso una peliza damaschin bianco fodrà di martori, la qual si dice l'a fata Sier Cristofal dal Capello Savio ai ordeni di Sier Francesco el Cavalier” ... Venezia all’epoca era tutta così … Nei Monasteri di Venezia e delle Isole Lagunariaccadeva di tutto e di più ... e la Giudecca fu per secoli come tutto il resto di Venezia.


Finchè come dicevamo: “tutto sbaraccò e venne sfatto malamente” all’inizio del 1800 dai soliti napoleonici devastatori, e anche il San Biagio passò con ogni suo bene in proprietà del Demanio. All’inizio del 1806 le 10 Monache Professe presenti con le 5 Educande e le 14 Monache Sussidiarie o Conversefurono indotte ad ospitare anche le 9 Monache di Ognissanti di Dorsoduroprima, e altre 10 Monache cacciate via dal Monastero di San Mauro, e da quello dei Santi Vito e Modesto dell’Isola di Buranopoi ... Fra queste c’era anche una Monaca Dolci entrata da appena un anno, in favore della quale padre e due fratelli Preti s’erano impegnati a versare al Monastero 700 ducati come Dote Monacale, alcuni oggetti di valore, e un annuo livello di 30 ducati. Non avendo i familiari mantenuto la parola, la giovane Monaca mancava anche delle spese per il vitto, e non poteva avere una pensione in quanto non era ancora Monaca Professa ... Dovette intervenire il Prefetto di Venezia e dell’Adriatico che intimò ai parenti della Monaca, e soprattutto al fratello Santo Dolci Canonico benestante di provvederla entro tre giorni di tutto quanto avesse avuto bisogno ... Nell’aprile 1807 insomma, il Monastero di San Biagio della Giudecca posto sotto la guida della Badessa Maria Luigia Contarini traboccava di Monache ospitando ben 26 Monache Professe e 39 Monache Converse ... A ciascuna Monaca Professa venivano corrisposte Lire 115,12, mentre alle Monache ConverseLire 67,15.


Desolante la descrizione di metà maggio 1807: “… viene rilevato dal Prefetto dell’Adriatico che era stata trovata aperta la porta della chiesa di San Biagio della Giudecca, ed un bottegaio aveva riferito alle Autorità che era aperta da un mese, e che vi entrava a tutte le ore gente di ogni risma: soldati, marinai, sconosciuti di passaggio … A due arche sepolcrali erano stati rubati i broccoli d’ottone che le tenevano chiuse e le tombe scoperchiate rappresentavano rischio per la salute pubblica …”


A luglio si costatò il furto di 23 inferriate dalle finestre dell’ex Monastero, erano sparite anche 16 porte dalle celle, 15 vetrate e quasi tutti gli infissi … Nell’ottobre di tre anni dopo si scrisse: “… intanto resta appuntato che le chiese di Santa Giustina, Santa Maria della Celestia, San Lorenzo, quella delle Servite, Santa Maria dei Servi, San Bonaventura, le Cappuccine di San Girolamo, il Corpus Domini, le Terese e San Biagio della Giudecca restano fin d’ora a libera disposizione dell’Intendente … Si ritengono come già profanate e a totale sua disposizione: s’incarica però il Signor Intendente di presentare alla Prefettura la nota degli oggetti tanto di belle arti, come interessanti le belle lettere e l’antiquaria alla cui scelta vennero delegati il Signor Eduars e Morelli in concorso del Signor Economo Volpi ... Sopra queste note il Prefetto si riserva d’indicare il luogo sia provvisorio, sia stabile, in cui gli oggetti stessi dovessero essere trasportati sottoponendosi a sostenere le spese.”… e Domenico Diana acquistò per 260 lire l’organo e la Cantoria della chiesa ... Silvestro Camerini si comprò le proprietà dell’ex Monastero di San Biagio che fra l’altro possedeva una chiesa dedicata alla Vergine e San Biagio ad Albarea in Riviera del Brenta, e diversi terreni ricevuti anticamente in feudo compresi i Pra dei Cento di Fiesso ... Giuseppe Baldassini Perito Demaniale stimò 36 Lire dodici angioletti di legno dipinto venduti il 9 gennaio seguente al Parroco di Camponogara ... Giuseppe Florian acquistò l’Altar Maggiore di San Biagio con le due statue laterali di San Benedetto e Santa Scolastica scolpite dal Morlaiter” per la chiesa di Fratta in Polesine insieme a un gruppo di due angeli di marmo, e i gradini dello stesso altare per un totale di 1.200 Lire ... Ancora lo stesso Giuseppe Florian comprò “l’Altar de la Madonna de San Biagio e altri due altari per totali Lire 175” per il Comune di Bosaro ... A fine gennaio 1815: “chiesa, casetta e orto di San Biagio della Giudecca”vennero affittati a Giuseppe De Petris per 95,172 Lire, e l’anno seguente l’ex Monastero venne adattato ad Ospedale Civileper feriti, malati di tifo e malattie contagiose come le vicine Convertitevendendo all’Abate Daniele Canal il pavimento della chiesa collocato in quella di Santa Maria del Pianto sulle Fondamente Nove da lui riaperta.




Nel maggio 1846 l’ormai collassato intero complesso di San Biagio della Giudecca venne acquistato dalla Ditta Zucchello, che dieci anni dopo lo rivendette alla Ditta Bordier-Fabbris di Londra ... che ne fece niente … Dieci anni dopo ancora, una perizia dichiarò che tutto il San Biagio era una catapecchia rovinosa e cadente stimabile al massimo solo 10.300 fiorini … Tutto venne allora ceduto a Gioacchino Wiel che lo attrezzò a deposito di legnami e palificazioni fino al 1872 quando si dovette abbattere l’alto e robusto campanile opera del Sanmicheli perché pericolante …  E, infine, nel 1880 quanto rimaneva di quel vecchio manufatto venne ancora una volta acquistato per 70.000 Lire dall’industriale Giovanni Stucky, che demolì ogni cosa antica l’anno seguente, e costruì l’edificio tuttora esistente istallandovi un mulino a cilindri trasferito da Treviso dove già funzionava dal 1867.




La storia del Molino di Grani a cilindri e Pastificio di Giovanni Stuckyè risaputa: venne costruito su progetto dell’Architetto Ernest Wullekop occupando un’area di 21.000 mq, e riciclando come magazzino l’ultima parte rimasta dell’ex Convento delle Benedettine prospicente il Rio di San Biagio... Venezia divenne autonoma per la macinazione dei grani, che in precedenza trattava in piccoli stabilimenti a Melma, Fiera e Quinto nel Trevigiano dove si usava per la lavorazione la forza d’acqua del corso dei fiumi ... I burcisalivano lungo il Sile portando il grano da Venezia, poi scendevano portando le farine macinate in Laguna ... Ogni mulino pagava una tassa sul macinato, e Stucky era già proprietario di diversi molini nel Trevigiano.


Piano piano dopo gli ampliamenti e le ristrutturazioni del 1903, 1907, 1920 e 1926, il Molino Stuckydivenne un “Molino di gran Qualità” che serviva non solo Venezia, ma anche le piazze di Roma e Milano sfatando la comune diceria che “la farina fine e buona viene solo dall’Ungheria” ... Inizio l’attività promettendo di molinare 600 quintali ogni 4 ore, che divennero nella realtà: 500 quintali giornalieri … Col tempo però la produzione crebbe prima fino a 800 quintali, poi a 1.000, e poi si disse “forse fino a 2.500 quintali giornalieri pur non riuscendo a soddisfare il fabbisogno dell’intera Venezia” ... Nel 1887 quando un incendio distrusse il Deposito delle Cruschedanneggiando i piani superiori del corpo centrale dello stabilimento e bloccando la produzione per 8 giorni, il Molino occupava: 184 maschi e 3 femmine... Si costruì allora un nuovo edificio “per i grani duri”dietro al primo, negli anni in cui la Giudecca veniva definita: “Principe dei Mugnai d’Italia”… Nel 1903 si costruì un nuovo grosso Pastificioannesso al Molino, e quattro anni dopo si aggiunse un molino autonomo dentro al molino per trattare il Granoturco e servire il Pastificio... Tre anni dopo ancora Giovanni Stucky venne ucciso da un operaio psicolabile o insoddisfatto … Nel 1920-26 tuttavia, il Molino del povero Stucky” venne ulteriormente ampliato e potenziato aggiungendovi nuovi padiglioni, una cavana per burci e barche sul Rio dei Lavraneri, e un Corpo di Guardia per salvaguardare il tutto ... Nel 1933 la Famiglia Stucky non riuscendo a fronteggiare la concorrenza provò a riconvertirsi in S.P.A., ma senza successo … Infatti nel 1954 dopo grandi rimostranze e clamorose rivendicazioni in giro per Venezia e sul Canal Grande, tutto venne chiuso definitivamente consegnando l’intero complesso all’abbandono … Vinse la meccanizzazione moderna sulle vecchie macine, e l’area venne destinata dal Comune di Venezia a future quanto imprecisate attività alberghiere e culturali, fino al 1980 quando lo stesso Comune deliberò la ristrutturazione del complesso e la trasformazione in Hotel concedendo l’intera area alla Società Acqua Marcia che trasformò del tutto il vecchio edificio monumentale compresa l’area tutelata e alienata dalla Sovraintendenza dei Beni Artistici i cui limiti vennero abilmente e furbescamente aggirati tramite casuale quanto fortunoso e sospetto incendio.




Ancora sulla stessa Fondamenta San Biagio sorgevano un tempo i Magazzini dei Vendramin Calergi, cioè quattro capannoni affacciati sul Canale della Giudeccarisalenti al 1400, e utilizzati fino alla fine del 1800 come Magazzini da Sale e Carbone(oggi ancora utilizzati parzialmente come depositi edili) ... Sempre in Fondamenta San Biagio era attivo il Colorificio Jogna e Bruna, e dal lontano 1700 una Fabbrica di Acconciapellidivenuta poi proprietà Pivato Giacomo (ora trasformata in abitazioni).Nel 1870: “per lavorare il Cuojo rosso, Vacchette Bianche e Nere per tomaio, Cuojo nero da finimento, Montoni Imperiali e Vitelli pattinati” utilizzava una macchina a bassa pressione orizzontale a 25 cavalli occupando 100-120 uomini pagati 2,25 Lire, e 5-7 fanciulli pagati una Lira al giorno … Affacciato sul Rio di San Biagio funzionava un Cantiere Motonautico, e una Fabbrica di Vetri che divennero poi ricovero per barche. Sullo stesso Rio di San Biagio in un lungo fabbricato a due piani costruito nel 1909 ed ampliato nel 1927-1928 funzionavano le Fabbriche di tessuti stampati Fortuny… Dal 1842 parte della stessa area era occupata anche da una Fabbrica per la Distillazione della Pece e la Depurazione degli asfalti, e dal 1898-99 dallo Stabilimento Adriatico dei cementi Idraulici ed asfalto, mattoni e calce, anch’esso su più piani, trasformata poi in Fabbrica italiana Cementi Giudecca fino al 1915, quando divenne deposito di legnami prima dell’abbandonoInfine, in Fondamenta San Biagio in quello che era stato un tempo il Casino Vendramincon “la Rotonda” del Palladio, sorse nel 1902 un complesso multipiano ampliato nel 1908 e nel 1921, che ospitava la Fabbrica di Acque Gassose di Attilio Bagnolo, e la Fabbrica con deposito della Birra Venezia di Pizzolotto, che poi vennero riprogettate e ristrutturate come abitazioni.




Sentite come Michele Battagia descriveva nel 1832 la Giudecca nei suoi: “Cenni storici e statistici sopra l’Isola della Giudecca”:“… La Casa di Correzione, stabilimento grandioso, è situata ov’era il Monastero della Croxe: ad essa presiede un Appostamento Militare governato da un Direttore e da un Aggiunto … al numero 357 dell’Isola evvi un Spedaletto ovvero Ospizio per dodici povere vedove dell’isola, ciascuna delle quali ha un picciolo mensuale assegno (4,70 lire al mese), eretto esso nel 1316 da un certo Pietro Brustolado … Poi due Spedali Civici … e già nel 1816 quello ch’è formato del Monastero di San Biagio raccolse gli affetti da Tifo … L’altro è situato dove il Monastero vedevasi delle Convertite ... Una Caserma militare pur havvi formata del Monastero dei Santi Cosma e Damiano, oggidì occupata dal quinto Battaglione di Guarnigione … Quattro sono i così detti Capi di Contrada … due Scuole Elementari vi sono per ambo i sessi. Dalla parte di San Giovanni trovasi un ampio campo, formato per la devastazione di case, orti e giardini, il quale dal cessato regime italico volevasi ridurre a piazza di armi, col titolo di Campo di Marte; se non che, ora è in gran parte reso a coltivazione. Sonovi poi in tutta l'isola 46 ben coltivati orti, tra quali di vastissimi, e 7 giardini, senza ch'entrino in questo numero i piccioli orti a molte case annessi; e questi orti e giardini, che più di 3/4 occupano del suolo dell'isola, condiscono in ogni tempo gran parte della città … La disposizione degli orti maggiori …  ed i frutti e gli erbaggi … vi allignano in tutti principalmente, e saporiti riescono. E quanto alla disposizione, visto che s'abbia un orto, si acquista di tutti la conoscenza; imperciocchè hanno egualmente due, o tre, od anche quattro lunghi stradoni, che conducono alla Laguna, coperti da viti a pergola, sostenute da pertiche di salice, le quali per solito cambiate vengono di tre in tre anni. Tra uno e l'altro stradone c'è un largo spazio, ove sono formate le platee, lavorate a vanga e a rastrello, che le piante fruttifere artatamente accomodate contengono e gli erbaggi. Due o tre orti solamente, a vece di lunghi stradoni, contornati sono da viti a pergola; sicchè servir possono ad uso di cavallerizza, come fu già alcuna volta. Separati uno dall'altro sono essi orti da muraglie, e di rado da siepi, le quali muraglie sono poco meno che da per tutto coperte ove di frutti, ove del sempre verde alloro … e ove di altra verzura.

Negli angoli poi s'innalzano per lo più que mori, che per molti giorni forniscono la città di un frutto grazioso e salutevole ... Varie sorta di Uva vi sono, ma la maggior parte da vino comune, il quale riesce debole, a motivo che il terreno è alquanto leggiero; e quindi nella stagione estiva facilmente acetisce ... Degli altri frutti diversi, che piantati vi sono, riescono assai bene le Prugne, delle quali i comunemente detti da noi Verdacci e Zucchette Imperiali. Se non che il frutto, che di ogni sua spezie vi abbonda veramente, e che soave torna al palato, è il Fico; e ciò deriva dall'amar esso i luoghi marittimi, e dall'essere i terreni rivolti al mezzogiorno, e difesi per le fabbriche dagl'insulti della tramontana. Per le stesse ragioni bene allignano i Carcioffi che vengono dal Cardo; del qual prodotto ricavano gli ortolani molto profitto; siccome non poco ne ricavano dai Piselli primaticci ... Da poco in qua vi hanno introdotto Mellonaj ed i Melloni chiamati Rampeghini, fanno buona riuscita. Parimenti vi si trovano adesso Sparagiere che somministrano Asparagi grossi molto e dolci, da non temere il confronto di quelli delle migliori sparagiere di Terraferma. Erbaggi poi te ne porgono gli orti della Giudecca quanti coltivar felicemente si possono sotto il nostro clima. Di là adunque Cavoli dolcissimi di tutte le qualitadi; di là Sedano; di là Finocchio; di là la salubre Cicoria; di là, per ultimo, le altre erbe gentili, con le quali quelle insalatine si formano tanto dilettevoli di state spezialmente ... Per uso proprio poi quegli ortolani inquilini trovano d'interesse lo seminare Sorgoturco eziandio, Fagioli e altri legumi … Dugento circa sono i magazzini per uso di merci e biade principalmente; i quali non erano in così gran numero prima della demolizione di palagi e di case moltissime ... V'ha quattro Fornaci: tre delle quali per Calce e Tegole, e una da Pece ... Havvi una Ceraria ... Una fabbrica Chimico-Technica c'è anche piantata al n. 829 dove a un tempo alcuni Nobili Veneziani ed altre civili persone (ed il palco che circonda la terrena sala il rafferma) davano Accademie di Musica; ed ove veggonsi tutt'ora sussistere alcuni avanzi di be' dipinti a fresco … A levante, in faccia a San Giorgio Maggiore, vedesi un Cantiere da Bastimenti dove si construiscono anche barche a vapore; e Fucina evvi all'uopo da Artieri Inglesi tenuta … Otto sono i Fabbricatori di Corde, per servire spezialmente al sartiame delle navi mercantili, i quali in passato ascendevano a venti e più; due le Officine da Tele servienti alla Marina Mercantile … sette i luoghi dove si conciano Pelli dette comunemente Scorzerie, comprese le concie privilegiate delli Signori Alvise Baroni, Giuseppe Gerlin e Marco Gardin; e queste Concie, che prima dei fatali sconvoglimenti sino a 24 ascendevano, erano ereditarie nelle famiglie, e somministravano ad esse di che vivere agiatamente; a tal che alla Giudecca bastava il dire il tale è Scorzere, onde qualificarlo per uomo facoltoso ... Due sono i venditori di Tabacchi al minuto; c'è una Ricevitoria del Lotto; 18 sono le Botteghe da Commestibili; 11 le Bettole ovvero luoghi ove vendesi Vino al minuto; 2 sono i Pescivendoli; 8 le da noi dette Trattorie, e 2 Botteghe da Caffè ... Due negoziucci di refe trovansi; 3 Falegnami; 1 Fabbroferrajo; 1 Muratore; 9 tra Calzolai e Ciabattini, e 3 sono i Barbieri … 3 i Tragitti sono di battelli, e a un tempo altrettanti ce n'erano di Gondole … finalmente vi sono da 200 barcajuoli ...”


Alla fine del curioso testo si trova aggiunta un’ulteriore nota: “Anche il Signor Angelo Sasso Architetto di non volgare ingegno, umiliò a Sua Altezza il Vicerè nostro (saranno otto o dieci anni) un progetto di ridurre la Giudecca a luogo di delizie, e giardini reali, e di unirla al pieno della città per via di ponte marmoreo; nel qual progetto, oltre che indicare, con precisione e chiarezza, il modo di eseguirlo, presenta altresì i mezzi di risarcir l'erario della spesa, nel giro di pochi anni.”



Come ricordavamo, per i Veneziani la Giudecca è sempre stata sinonimo di svago e divertimento, di Orti e Giardini (Villa Herriot, ad esempio)… In Isolasorgevano diversi Palazzi di ricchi Nobili Veneziani come i Baffo, i Barbaro-Nani che possedevano diverse case e un Palazzo vicino agli antichi magazzini dei Padri di San Giovannicon la facciata affrescata conle Fatiche di Ercole” dipinte da Benedetto Caliari (fratello di Paolo Veronese) ... C’erano poi i Nobili Emo del Ramo di San Leonardo poiDonà, poi De Franceschi che possedevano alla Giudecca 24 case e un palazzotto del 1700; c’erano i Morosini in un Palazzo del 1660 con un giardino pieno di statue; i Visconti di Milano in una ricca casa Rinascimentale del 1500 detta “Rocca Bianca” diventata poi dei Foscari; i Maffetti del Ramo di San Polo; i Bembo; iDella Vecchia: famiglia Cittadinesca originaria di Bergamo che commerciava in legnami; i Dandolo poi Tiepolo; i Marcello; i Pasqualigo in casetta gotica archiacuta; i Moro sostituiti poi dai Grittie dai Zenobio; i Minelli divenuti poi Da Ponte; i Mocenigoin un palazzo di fine 1600 in cui Alvise Mocenigo teneva i suoi magazzini; i Da Mosto di San Leonardo da cui uscì il navigatore Alviseche dopo il 1450 navigò il mare fra Portogallo e Fiandre, ma anche lungo le coste africane scoprendo le Isole di Capo Verde…. E poi ancora: i Vendramin e i Trevisan; i Ferrando “in sottoportico” che nel 1700 avevano dietro alla Giudecca nella stessa zona in cui erano attivi gli uomini dell’Arte dei Sabbioneri:“un mulino mobile ad acqua galleggianti su sandoni che sfruttavano la forza della corrente dell’alta e bassa marea”.


In molte case popolari, stabili e palazzi della Giudecca, come i tanti appartenenti in buona parte ai Cittadineschi Montorio“che abitavano in sottoportego”(i Montorio aiutarono con molti prestiti la Repubblica nel 1379), sorgevano molti Casinidi proprietà o frequentati dai Nobili Veneziani, ma anche da tanta gente comune e da forestieri ... C’era un riservatissimo Casino dei Mercanti, un Casino dei Malipiero diventato poi Corner, e il mitico Casino dei Vendramin Calergi di San Marcuola detto Casino della Salute con grande giardino dove c’era “la Rotonda”creata appositamente dal Palladio, e dove si organizzavano feste sontuosissime ospitando personaggi illustri … Esistevano poi altri Casini: quello di Elena Morosini Contarini attivo nel 1757, quello con giardino diSante Cattaneo alle Convertiteconsiderato bellissimo e particolarissimo: “… una sala in forma quadrata con un portico riccamente dipinto a fresco, adornato di masserizie ricchissime e molto più varie tele a olio assai stimate, serviva quasi da atrio. Metteva quella sala ad un cortile diligentemente lastricato di fini e puliti marmi nel quale erano fontane e grotte, oltrechè di sassi, formate di conchiglie e coralli, tra i quali nicchi piacevolmente sgorgavano fili copiosissimi di acqua. Passatasi dal cortile al giardino che discorrendo fino alla laguna, non solamente abbondava di molti e ombrosi alberi, di gelsomini e di cedri, ma di piante assai rare e pregiate. In capo del giardino innalzatasi una elegantissima loggia, parimenti a fresco dipinta, con corridoi e stanzette deliziose, d’onde con diletto infinito portavasi l’occhio alla sottoposta laguna e alla lontana marina.”… Il 19 maggio 1628 il Casino venne visitato da Cosimo III Granduca di Toscana: “... fu al casino del Cattani, abbellito di giardino, festone e quadri con altre cose tutte belle, con una vista sul mare et una sulla città, casa bellissima, v’erano fontane  grotte de quali escano acque per diverse parti, essendovi anche molte spine sotterranee che spruzzavano sotilmente all’insu’, onde penetrando per certi foretti fatti sul pavimento lastricato di mattoni quadri divisati, per dove si transita, ben spesso quelli che vanno  a veder cosi’ mirabili case senza accorgersene si sentono bagnate le piante  e le brache.”  


Nel luglio 1692 la vedova di Cattaneo: Angola Gornini affittò il casino a Federico Correr… Dopo la metà del 1600 e fino a metà 1700 sopravalevano per fama sugli altri ilCasino di Caterina Sagredo Barbarigo col giardino“Eden”, quello diMarina Grimani Sagredo, quello diAndrea Tasca, quello del Principe Brunswich, e quello dell’Avvocato Finni.


Alla Giudecca si tenevano feste, festini, festoni e megafeste di ogni sorta … Si legge nella Cronaca Molin: “La sera del 17 Maggio 1750 Sua Eccellenza Francesco Loredan diede grandiosa festa da ballo a molte Dame Estere, et a circa 30 Dame Venete invitate, ove fu grandiosità di rinfreschi, illuminazioni, sinfonie, preziosità d'adobbi, e questo fu nel Palazzo della Rotonda alla Giudecca.”Nel 1762 lo stesso Casino venne trasformato da Francesco Rebellini Caffettiere in Campo San Polo in Laboratorio Pirotecnico, poi Benedetto Svajer la fece diventare Fabbrica di Cremor di Tartaro gestendola fino al 1814 quando morì e gli succedette Giovanni Davide Weber ... Nel 1744 era risaputo che alla Giudecca c’erano almeno tre Casini specializzati in Gioco d’azzardo, capaci di offrire 100 tipi diversi di Giochi di Carte, che totalizzavano più di 40 soci iscritti in permanenza.



Ci sarebbe da dire ancora che alla fine del 1800, e fin dopo la Seconda Guerra Mondiale, alla Giudecca si faceva e produceva un po’ di tutto: si realizzavano macchine alla Grandi Motori”, e laVinello & Armatorierede di Carlo E. Apperle armava e allestiva Trabaccoli… Funzionavano sempre alla Giudecca: una Fonderia Meccanica, una Fabbrica d’amido e di Polvere per capelli, leCererie Jvanovich & Correr, il Laboratorio di chiodi Rusconi, le antiche Saponerie dell’Industria Saponaria VenezianaC’era una Raffineria di Riso, un’Agenzia del Fontego dei Sali, il Pastificio Zaggia, e si manipolava buona parte del Latte proveniente dalla Terraferma distribuendolo in tutta Venezia … C’era la Cooperativa Facchinaggi della Giudecca, e l’Azienda Zaninche fungeva da “Fita-Batele”, mentre Renostogestiva l’Impresa Trasporti Lagunari e Fluviali che si serviva dell’OfficinadiBertoli per caricare le batterie … L’A.R.C.A.e la Mariuzzo fabbricavano Mobili, Sanzinfabbricava pianoforti, V & A Guastalla producevano sedie … Oltre alla Fabbrica di fuochi artificiali c’era la Fabbrica Chimica Tecnica Weber-eredi Swajer, la Concimaia Beccari, la Fabbrica di Concimi di Marco Cadorin, e i magazzini di stoccaggio del S.I.O. (Società italiana Ossigeno e altri gas)… Non poteva mancare in isola un Laboratorio Militare, e c’era anche una piccola Fabbrica di Reti collegata con l’attività dei Pescatori Giudecchini di Moèchee Màsenete che esiste tuttora parzialmente ... Messi tutti insieme i Pescatori Giudecchini formavano una vera e propria piccola Industria della Pesca che manipolava e vendeva Pesce e succulenti Granchi trovando di che viverci.


Termino ricordando che nel 1806 la Giudecca con le isole circonvicine contava 6.000 abitanti … L’Imprenditore Ing Giacomo Picco su progetto dell’Ing Francesco Marsich realizzò in 19 mesi 30 appartamenti in case popolari resi abitabili fin dal settembre 1907 … Nel 1946 nell’isola erano presenti 13.000 persone ... Dieci anni dopo erano: 10.769 … 11.008 nel 1962 … 7.787 nel 1984 … 4.393 residenti: 2.074 uomini e 2.319 donne secondo uno degli ultimi censimenti … A Sacca Fisola, invece, giusto in fondo o se volete all’inizio della Giudecca, dove c’è la chiesa moderna di San Gerardo Sagredo, e subito dopo l’ormai ex Isola delle Scoàsse dove fumava l’inceneritore, fra 1800 e 1900 era attivo uno Stabilimento Meccanico con Fonderia, e nel 1961 abitavano 1.234 persone suddivise in 244 famiglie che occupavano 217 case … Curiosamente in quegli anni c’erano in Sacca Fisola 116 case sfitte, e altre 34 erano occupate abusivamente.


La notte fra il 26 e il 27 del febbraio 1918 due bombe esplosive caddero nel Canale della Giudeccafra le Zitelle e San Giovanni danneggiando le case vicine alla Fondamenta, mentre un’altra cadde più avanti nello stesso Canale proprio davanti al Molino Stuky ... Due anni dopo le Cronache dell’epoca raccontano che due giovani ragazze Giudecchine di San Giacomomorirono di Peste ...


Di Peste ? … Stranissimo ! … Si … Le Cronache raccontano così … Non saprei dirvi di più !


Nel 1939 in un baraccone sempre nei pressi di San Giacomo della Giudecca si esperimentavano maschere antigas, mentre la Giudecchina Elisa Lazzaroni in Giosuèsapeva guarire sciatiche, dolori lombari, artriti e reumatismi con una ricetta di erbe di sua invenzione e dei vecchi impacchi caldi fatti “come diceva lei, e come le avevano insegnato i suoi nonni” ...Ancora quand’ero giovinetto era normale che alla Giudecca attraccassero navi, mercantili e bastimenti al Ponte Longoe nei pressi della Palanca… Ho visto tutto con i miei occhi ... Per un certo periodo ho anche abitato alla Giudecca alla fine degli anni ’80 … Mi piaceva un sacco passeggiare e andare a correre lungo la riva della Giudecca fra Sacca Fisola e San Giorgio… e mi colpiva non poco il modo di dire dei Giudecchini che dicevano: “Andèmo a Venezia” come se stessero fuori città, e la Giudecca fosse tutt’altra cosa, una cosa a parte della stessa Città Lagunare.

Era fortissimo, quasi si respirava quel senso d’appartenenza, e quel sentirsi “identità Giudecchina”.




Ecco qua … Basta, mi fermo … Vi ho detto anche troppo.


Penso che buona parte di quanto vi ho detto sulla Giudecca dov’era e com’era probabilmente lo conoscevate già meglio di me.




Lungo i secoli si è sempre lavorato, vissuto e trafficato alla Giudeccadi Venezia… L’Isola ha sempreospitato un gran numero d’attività lavorative dei Veneziani, ed è sempre stata un microcosmo febbrile e un intenso brulicare produttivo e d’opportunità al pari dell’Arsenale, del vasto Emporio Realtino e delle Mercerie di San Marco... Nel 1661 ci contavano alla Giudecca 51 botteghe diventate 121 nel 1712 … Poco più di dieci anni dopo quando alla Giudecca era attiva una Pistoria, al Ponte Longo:“… s’affittava per 123 ducati annui un inviamento di casa con bottega da Forner, e un altro a ducati 170 sempre con casa e bottega alla Corte Granda.”Due secoli dopo, fra 1901 e 1931 si riscontravano attive nell’Isola: 34-36 Attività d’Esercizio Pubblico, e accanto a quelle si segnalava tutto un intenso interscambiare talvolta ambulante, spicciolo e improvvisato per strada “un po’ da sopravvivenza e da tirare a campà”, che però dava ulteriore incremento ed energia all’attività economica che accadeva ininterrottamente alla Giudecca … Oggi è quasi tutto scomparso, e la Giudecca sonnecchia fra umori pigri di turisti, qualche progettualità di sporadici acculturati, qualche precaria iniziativa di naturalisti-ortolani nostalgici, ecologisti ed eccentrici, e qualche spavalderia tipica da Giudecchini rimasti adolescenti anche se  anagraficamente considerati adulti … Lasciamo stare.


L’Isola della Giudeccaè ancora oggi comunque bellissima: sbarcatevi una volta, ed aggiratevi tranquillamente fino a perdervi nei suoi meandri curiosi … Vedrete ! … E’ tuttora una Venezia nella Venezia: d.o.c. fino alle midolla … sebbene ricoperta da una patina di nostalgica mestizia per il tanto che c’è stato, e che oggi non esiste più.




Le Zitelle della Giudecca

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#una Curiosità Veneziana per volta – n° 198


Le Zitelle della Giudecca


Ricordo che mi pare ieri: io e Paolo, mio amico e compagno d’avventura nel Seminario in un maggio di fine anni ’70. Era un sabato pomeriggio qualsiasi, e uscimmo ancora una volta dalla visita a uno dei luoghi più dimenticati di Venezia: l’Istituto Mason alle Zitelle della Giudecca. Ci recavamo là liberamente ogni tanto, quando potevamo, per spartire due parole e tre sorrisi con quei giovanissimi e giovanissime diseredati affidati a vivere lì insieme alle Suore ... Niente di che e di speciale: cosa che chiunque poteva benissimo fare ma non faceva … Per noi due entusiasti e spinti dall’intraprendenza giovanile, era un metterci alla prova, un spingere noi stessi ad acquisire maggiore dimestichezza nello spartirsi un poco con gli altri, soprattutto con certi “altri diversi e ultimi”, quelli più complicati e difficili da incontrare … Ci sarà poi servito ? … Chissà ? … Credo di si.


Li dentro riuscire a strappare un sorriso contava di sicuro il doppio …


Insomma: in ritardo come sempre sull’orario, uscimmo di là contenti, e fuori iniziò a piovere ... Prendemmo in corsa la calletta stretta e buia per raggiungere il battello che avrebbe dovuto traghettarci sulle Zattere oltre il Canale della Giudecca, ma come spuntammo sulla Riva delle Zitelleil battello perso s’era appena staccato dall’imbarcadero, e per di più il cielo aprì su di noi tutte le sue cataratte represse inzuppandoci di pioggia dalla testa ai piedi ... Allora non esisteva il portichetto per ripararsi accanto alla riva, e perfino l’imbarcadero A.C.T.V. era del tutto scoperto e sprovvisto di qualsiasi riparo.


“Che fàmo adesso ?” chiesi a Paolo bagnato pure lui come un pulcino.


“Spetèmo el prossimo fra vinti minuti.”rispose ovvio e col ciuffo madido impiastricciato sulla fronte davanti agli occhi.

Fu così che per non rimanere là a sciacquarci e basta, intuimmo aperta pochi passi più avanti la porticina della chiesa delle Zitelle, e decidemmo quindi d’infilarci lì dentro per trovare almeno un po’ di riparo: “Sei mai entrato lì dentro ?” mugugnò Paolo.


“No … Mai.”


“Entriamo allora … Così aumenterà la nostra collezione delle chiese Veneziane viste e visitate … Ti ricordi: dobbiamo riuscire a vederle tutte.”



E così entrammo mentre il temporale estivo che incombeva sulla Laguna prese a scatenarsi come non mai: erano le quattro e mezza del pomeriggio, ma pareva fosse quasi notte, e la pioggia scrociò violenta che pareva volesse prendere a pugni l’ignara Venezia.


Spinta dalle nostre mani la porta incartapecorita dall’umidità e dalla salsedine delle Zitelle si aprì cigolando sui cardini, e ci trovammo di fronte a un ambiente mai visto quasi del tutto pieno di buio ... Da bravi Seminaristi quali intendevamo essere, ci segnammo, e Paolo più riverente di me fece anche una mezza genuflessione, poi tendemmo lo sguardo intorno attendendo di abituarsi alla penombra di quell’interno per noi inconsueto, mentre l’orecchio si tendeva vigile ad ascoltare quanto stava accadendo lì dentro.


Giusto in un angolo, proprio attaccate a una delle solite rastrelliere delle candelette semispente, c’erano un paio di vetustissime megere della Giudecca che “rosariavano” insieme facendosi compagnia e scampandosi copiose chiacchiere e pettegolezzi. Entrambe si stagliavano in controluce sullo sfondo dei moccoli pallidi delle candele che gocciolavano e sfrigolavano piano ... Al nostro apparire sulla porta di strada della chiesa insieme a una folata di vento, le due donne s’attivarono facendosi attente e sospettose, mentre le pallide luci ceree dietro di loro tremolarono e ondeggiarono a lungo minacciando di spegnersi.


Da quel momento ci piantarono lo sguardo addosso, e non ci persero di vista un solo attimo voltandosi di continuo dalla nostra parte. Per darsi tono e sicurezza poi, alzarono di diversi decibel il cantilenare monotono della loro preghiera:“SaaantaMariaMàredeDio !” gridava quasi una, e l’altra di rimando:“Pregaparnoipeccadori...adessonell’oradeanostramorteameenealleluia.”


Sembravano “due rane dalla bocca larga”, e tra una parola e l’altra gridata senza fiato aspiravano o emettevano un sospiro di grande sollievo e liberazione facendo uscire o entrare rumorosamente l’aria dalle loro bocche parecchio sdentate e salivanti.


Paolo per primo mosse qualche passo in giro per la chiesa ombrosa, unendosi istintivamente al brontolio orante che riempiva la chiesa e impregnava l’aria salmastra e umidissima ... Lì dentro c’era un forte odore di muffa e chiuso: tutto pareva antico, consumato, scuro e dimenticato … e probabilmente doveva essere proprio così.


Un lampo di fulmine per un attimo rischiarò la scena, e un istante dopo venne giù un’altra “saràcca”(tuono) potente che sconquassò il cielo e fece vibrare e tremare noi insieme alle vecchie e la chiesuola ... Le “bàbbe”quasi in risposta a quel fenomeno, incrementarono ulteriormente il volume del loro biascicato orare, che divenne quasi un urlo complice lanciato verso il più Alto dei Cieli ... In controluce verso le flebili fiammelle intravedevamo la serie degli sputacchi che uscivano dalle loro bocche … Così come, abituati gli occhi, vedevamo distintamente lo sguardo torvo che usciva dalle loro facce coperte dal pesante scialle scuro che portavano in testa.


Non perdevano né un passo né uno solo dei nostri gesti, e mentre continuavano imperterrite a inanellare preci, continuarono ad accompagnarci guardinghe lungo tutto il perimetro di quella consideravano “la loro cjèsa”.


Un'altra serie di lampi stavolta meno potenti e luminosi rischiararono a più riprese la grande aula illuminando di chiarore fino in alto nella cupola ombrosa … Alle pareti notammo avvolte nel buio antiche tele scure annerite da secoli di fumo di candele … e poi ancora intorno: “altari vestiti” dei loro consunti corredi e abbelliti da qualche pianta bisognosa d’acqua … Erano pieni zeppi di Santi, Madonne  e personaggi dipinti che di sicuro avrebbero potuto raccontarci chissà quali e tante storie … Dentro a un ulteriore lampeggiare sbiancò pallida a sinistra anche una statua di marmo della Madonna del Rosario incoronata… 


Nella luce eccessiva dei lampi pareva non avesse occhi dentro alle orbite marmoree vuote … Solo tanti decenni dopo sarei venuto a sapere che quella era la vecchia Madonna dei Marineri Veneziani di Castello finita lì alle Zitelle per colpa delle solite devastazioni napoleoniche … Tutto attorno alla chiesa, intravedemmo ancora: balconi con pesanti grate lucenti su cui non si affacciava più nessuno … Da lì nei tempi addietro s’affacciavano supplici le Zitelle pur rimanendo dentro al loro adiacente Istituto … Un altro cupo rombo di tuono possente rimbombò e rotolò ancora intorno e sul cielo della Laguna andando a terminare chissà dove … 

Sentimmo scrosciare ancora forte la pioggia, che tintinnò sui vetri dei finestroni della chiesa che in quel momento ci pareva un antro, una pieve diruta persa in mezzo alla campagna che non c’era, o in mezzo alla Laguna ...Quel chiesone era di sicuro un luogo tristo, come l’Istituto Mason dove ci eravamo appena recati in visita ... Mi facevano impressione quei bimbi e quelle bimbe che appena ci vedevano ci saltavano addosso affettuosi come fossimo loro fratelli o quei familiare che avevano perso ... Ogni volta non ci lasciavano più andare: si avvinghiavano a noi come Edere al muro, e come Ragnetti di un’appiccicosa quanto invisibile ragnatela … Dovevano intervenire le Suorine per toglierceli di dosso e permetterci così di andarcene … Non prima d’aver promesso solennemente che saremmo tornati di nuovo … Mi opprimeva non poco la sensazione di tutto quell’egoismo umano impareggiabile che quasi si respirava nell’aria dentro a quell’Istituto ... e mi facevano impressione quei figli buttati per strada il cui visetto smunto s’affacciava alle finestre per salutarci agitando le mani dietro ai vetri chiusi senza parole … Allora come non mai intuii e apprezzai la bontà di quello che sarebbe dovuto essere un vero amore materno o paterno. 


Non sapevamo mai che dire e che fare con loro: “Non date loro niente: qui hanno già tutto ciò che serve” ringhiavano dolci e sorridenti le Suore che, come le vecchie in chiesa, non ci perdevano di vista un solo istante … In quei semplici momenti fra noi: tutto veniva fuori e fluiva da se a suon di naturali sorrisi e semplici segni d’affetto … Non serviva cercare le parole giuste, né fare tanti discorsi: bastava esserci … Uscendo dissi pensieroso a Paolo: “Sembrano tanti piccoli Cristi scappati giù dalla croce ...”


Paolo non rispose … annuì solo con la testa ... La pensava anche lui alla stessa maniera ... Sentivamo anacronistico quel luogo di bimbi: una specie di promessa non mantenuta, l’espressione di una carità fraterna a cui non era permesso d’esprimersi e donarsi più di tanto e del tutto … come avrebbe potuto e dovuto.


Mi riscossi dall’inseguire ancora quei pensieri sfiorando appena Paolo con un gomito: “Andiamo ? … E’ tardi.”


Rincorrendo un’ultima volta con lo sguardo tutto quanto c’era intorno, Paolo mi rispose con una smorfia silenziosa di diniego borbottando: “Non è rimasto quasi niente del tanto che ci deve essere stato qui un tempo.”



Con buona pace delle due megere apprensive, uscimmo di nuovo fuori facendo gridare ancora sui cardini la porta incartapecorita di salsedine della chiesa delle Zitelle ... Pioveva ancora, e tornammo a inzupparci ulteriormente correndo incontro al vaporetto che stava nuovamente arrivando ... Erano quelli per me anni un po’ strampalati, in cui molto più acerbo di adesso rincorrevo, come Paolo, sogni e progetti che forse non sono mai riuscito a realizzare del tutto.


In seguito l’ho rivista ancora, e sono ritornato più volte nella chiesa delle Zitelle della Giudecca, ma non l’ho più vista come quel giorno, come quella prima volta ... Mi è parsa sempre un’altra, quasi del tutto diversa.


E sono ritornato ancora di recente un’altra volta a visitarla … Sono trascorsi diversi decenni da allora: sono tornato ormai quasi un paio d’anni fa … Eravamo in parecchi quella sera: tutti attenti e curiosi in una di quelle magiche serate di ArtNight in cui certi luoghi di Venezia solitamente chiusi e abbandonati tornano brevemente e schiudersi, rianimarsi e risplendere piacevolmente ritrovando vita.



La chiesa delle Zitelle era tutta candida e illuminata per l’occasione, ma all’interno era del tutto spoglia e disadorna … lo scheletro asettico e morto di ciò che è stata un tempo. Ho percepite le sparute e striminzite note di Storia che ci sono state offerte come l’eco lontanissima del tanto che era accaduto lì dentro.



Il Pio Conservatorio, Ospizio, Stabilimento, Corte ed Istituto delle Stabilite, Zitelle, Ritirate e Povere Vergini Fanciulle della Casa di Santa Maria della Presentazione delle Zitelle della Giudecca ... Questa era la dizione completa e corretta delle Zitelle o Citelle della Giudecca… Non erano un Ospedale però, ma una specie di particolare Ospizietto e Istituto.


Secondo le antiche Cronache Veneziane tutto iniziò quando:“Un' iniqua madre che sacrificò per danaro alla dissolutezza una figlia, scosse nell'anno 1558 l'apostolico zelo del Padre Paoluccio della Compagnia di Gesù, e, col mezzo di private elemosine, lo animò ad erigere un Conservatorio, che aperto dapprima nella Contrada di Santa Marina, venne poi nell'anno 1561 traslocato alla Giudecca in un palazzo acquistato dalla Famiglia Venier, presso cui s'innalzò in seguito l'attual chiesa disegno dell'immortale Palladio … Mantenendo l'Istituto tuttora la primitiva destinazione, accoglie e mantiene colle proprie rendite delle Povere Donzelle Civili, ed anche figlie d'Impiegati Militari, ora nel numero di 68, che vengono educate nei lavori femminili, e collocate poscia o in Matrimonio o presso Private Famiglie prima che compiano l'età di 24 anni in cui devono sortire dallo stabilimento ...”


Quel Pio Istituto o Casa delle Zitelle non era l’unico nel suo genere … A Padova esisteva il Conservatorio delle Zitelle Gasparine fondato nel 1598 per volontà testamentaria di Francesco Gasparino: “per accogliere oneste povere fanciulle sottraendole dal pericolo della seduzione”. Nel 1811 venne riunito dal Cardinale Carlo Rezzonico Vescovo di Padova (poi Papa Clemente XIII):“ad uso di ritiro per fanciulle miserabili abbandonate”, servendo attualmente anche all'educazione di fanciulle nobili e civili, vi s'insegna tutto ciò che viene prescritto dai regolamenti per le scuole elementari maggiori, oltre ogni sorta di lavori femminili ... N. 30 sono le Alunne Educande, cioè n. 15 Graziate a carico delle rendite del Conservatorio e n. 15 Mantenute dalle rispettive famiglie ... Ha un Direttore e un Amministratore Onorario.”


Pure a Vicenza esisteva un altro Ospizio di Zitelle che:“La privata Pietà all'oggetto di salvare le tenere vittime dalla seduzione eresse questo Stabilimento, che fino dal 1602 accorda il vitto a 33 Donzelle Educande.” … Un altro ancora c’era anche a Udine dove sorgeva una Casa delle Zitelle che: “Ricovera, educa e dota all'evenienza 48 Donzelle povere, ed ha 15.972 lire di rendita.”


A Brescia c’erano le Zitelle adulte di Sant’Agnese: “Nell'anno 1552 ad opera di uno zelante Predicator Cappuccino ebbe cominciamento quest'Istituto. Fu poi ampliato nel 1678 per testamentaria dotazione dell'allora Vescovo di Brescia Marin Zorzi, e vi si mantengono circa 70 fanciulle di famiglie civili povere e costumate che si ricevono dagli anni otto ai sedici, rimanendovi fino ai ventiquattro. Vengono istruite nelle classi elementari, nella religione e nei lavori femminili ... Per Matrimonio o Monacazione hanno una dote di lire 150. La rendita disponibile in beneficenza interna monta a lire 22,000 annuali.”


A Crema c’era il “Conservatorio delle Zitelle di San Carlo”istituito nel 1614: “Coi proprii annui redditi, non ammontanti che a lire 6.316.46, somministra ricovero ed educazione a parecchie povere fanciulle della città.”… Sempre a Crema c’era anche il Conservatorio delle Ritirate, che: “Ebbe principio nel 1790, e ricovera povere fanciulle pericolanti o ravvedute della città e sua antica provincia, impiegando per tale benefico scopo il suo annuo provento di lire 3581.55.”


A Como esisteva il “Conservatorio delle Zitelle dell'Immacolata” fondato nel 1680 da Giovanni Lavizzaricittadino comasco: “… e gli furono poscia aggregati il Luogo Pio delle Orfane, istituito nel 1693 dal Cavaliere Lodovico Turcone, e quello detto del Soccorso ... La sua rendita approssimativa è di lire 25,000 che si spendono nel mantenimento di circa 70 orfane e stabilite. È annesso al medesimo un Convitto di circa 140 alunne educate mercè il pagamento di modica pensione.”


Che luogo e posto erano le Zitelle di Venezia ? … Un altro luogo Veneziano per ex prostitute“scampate o rifugiate” ?



Più o meno … Era strana e un po’ strampalata la nostra Venezia Serenissima di un tempo ! … Per secoli la Chiesa e la Società Veneziana hanno fatto dell’“Ospitalità e del Soccorso” un vanto e fiore all’occhiello, una sorta di forma di provvidenza e realizzazione positiva realizzata nella Città Lagunare ... Soprattutto per i ricchi e Nobili la Povertà era considerata una realtà da soccorrere: un’opportunità, un passpartout per guadagnarsi l’Eternità … Non solo a Venezia, ma in tutta Europa, far beneficenza a ogni tipo di povero era in quei secoli considerato altamente meritorio: era la concretizzazione plastica delle migliori Virtù Evangeliche … e un’abitudine inveterata irrinunciabile abbinata a quella dei Pellegrinaggi Penitenziali alle Sante Reliquie e ai Luoghi Santi. Il tutto veniva condito di sentimento d’espiazione, e tradotto in elemosine caritatevoli, Indulgenze e Suffragi meritori da comprare e lucrare per ottenere finalmente sconti di “Pena Purgante nel Purgatorio”, o addirittura scampare la “Dannazione per l’Eternità” sita nel più profondo e lugubre degli Inferni… Per questo scopo e con questo intento, tutto l’antico Continente Occidentale Cristiano era punteggiato di Ospedaletti, Ostelli e Ospizi dislocati soprattutto sugli itinerari delle Vie di Pellegrinaggio più famose: la Romea, la Francigena, quella per Santiago di CampoStella, quella per San Michele al Gargano, o Assisi, Loreto, e infine la Strada Santa Ultramarina per la Terrasanta ... Si diceva: “La povertà e il povero sono sinonimo e simulacro del Volto del Cristo Sofferente, membra piagate e fragili da servire, sembianza misera sociale e disordine da contenere e arginare”... Infiniti Istituti vennero inventati e nacquero per concretizzare quello scopo.


La correzione dei disordini sociali “dell’oggi” era efficace per sanare i “disordini postmortem” personali del “domani Eterno”: ottemperando ai Santi e Sani Principi della Salvezza dettati dalla Cristianità Ecclesiastica ci si giocava la Salvezza ... e la Chiesa si garantiva e ne traeva il suo cospicuo guadagno.


Il Patriarca di Venezia Giovanni Trevisan diceva a metà del 1500: “Venezia è devota e religiosa come dieci volte Milano.” Zitelle, Periclitanti, Convertite, Pizzocchere,Carampane: non mancava nulla a Venezia … E tutto diventava di volta in volta un nuovo fenomeno da rinchiudere in posti specifici governandolo e curandone finanziamenti e spese seguendo quella che era la mentalità innata di una Venezia tutta Mercantile ed Economica: “le Donzelle soggiornano come in un porto sicuro d’Onestà.” ... Per ogni Pio Istituto o Loco si legiferò appositamente dettando specifiche regole al riguardo: servivano età specifiche per poter entrare ed essere ascritti alla categoria, requisiti e condizioni particolari per esservi annoverati: la perdita di entrambi i genitori, ad esempio … e poi c’era un’età d’uscita, un limite della Carità oltre il quale si doveva imparare ad arrangiarsi da soli e diventare autonomi economicamente.


Si mise in atto anche il concetto di Assistenza in cambio di Lavoro: cioè gli ospiti assistiti(le Zitelle, gli Orfani) dovevano provvedere al proprio sostentamento lavorando per l’Istituzione che diventava così una vera e propria azienda di manovalanza a bassissimo prezzo, e più di qualche volta il lavoro dei piccoli sfortunati diventava fonte di notevole guadagno per l’Opera Pia stessa che s’impinguava di rendite, immobili, depositi di denaro, e notevoli ricchezze in diversa forma ... La Priora o il Priore, i Governatori diventavano i gestori e i garanti del buon funzionamento di quella forma Economica, come se fosse un’efficientissima azienda ... Il “punto in aria” delle Merlettaie Orfane della Zitelle della Giudecca, ad esempio, faceva perfetta concorrenza in quantità e qualità al meticoloso quanto originalissimo lavoro delle Donne Merlettaie dell’Isola di Burano.



Senza girarci tanto intorno con i discorsi: a Venezia lungo i secoli, soprattutto nel 1500, molte giovani donne povere Veneziane, soprattutto quelle più carine, per tirare a campare, sopravvivere e scappare alla miseria più nera, ci concedevano al miglior offerente e vivevano senza tanti fronzoli da prostitute pubbliche. La Serenissima tanto gloriosa e splendida era consapevolissima di questo, e non solo tollerava il fenomeno, ma lo considerava quasi normalità ... Solo ogni tanto con qualche ventata di perbenismo e afflato caritatevole e devoto c’era qualcuno/a soprattutto della ricca e potente cerchia dei Nobili, o dell’esosa casta degli Ecclesiastici che usciva da quel cronico fingere di non vedere, e si dedicava a soccorrere “per nobile scopo”quel mondo fatto soprattutto di ragazzine “perse” donando loro una qualche effimera alternativa esistenziale e un pizzico di speranza.

Veniamo però “al dunqueStorico” delle Zitelle: sono della fine del luglio 1330 le prime notizie di un lotto di terreno, un pantano “di velme alla Zuèca” bonificato da Zanotto Loredan su autorizzazione del Magistrato del Piovego in esecuzione di una parte del Senato. L’area situata fra il Monastero della Croxe e quello di San Giorgio Maggiore trent’anni dopo era già sistemata e recuperata alle acque, e s’era già costruita “una casa da statio coperta de copi”… e un secolo dopo: “una casa con Saponaria del valore di 3000 ducati d’oro”.


Fu nel 1501 che Benedetto Palmio:Prete della Compagnia di Gesù(Gesuiti)innescò “la miccia” dell’iniziativa della Giudecca a favore delle “fanciulle” Veneziane ... Giunto qualche tempo prima a predicare a Venezia, non potè fare a meno di notare la situazione di quelle tante “ragazze di strada” presenti nella Città Lagunare... Spinto da compassione, all’inizio provvide personalmente ad ospitarne qualcuna in una sua casa in Contrada di San Marziale nel Sestiere di Cannaregio poco distante dal Ghetto. Poi vista la bontà di quell’idea, pensò d’avviare un progetto più ampio nella tranquilla Isola della Giudeccacostruendo una “fabbrica-spazioso ambiente”  con annesso Oratorio da dedicare a quello specifico scopo ... Sulla scia del Prete Palmioquindi, nel 1561 alcune ricche e Pie Gentildonne e Matrone Patrizie Veneziane insieme ad Alvise Mocenigo futuro Dogeacquistarono un’area edificabile di magazzini della Giudecca poco distante dal Palazzo dei Nobili Loredan, e lì ospitarono un primo nucleo di 40 “donzelle-citèlle”assistite da un Medico: Appolonio Massa costruendo un’apposita “casa d’ospitalità” concepita come Ospedaletto con due grandi saloni detti nei documenti: “Infermeria e dormitorio, dei parlatorii, del forno, di alcune camere per le Zitelle di cattiva condotta, e di una forestaria.”… Già nel 1574 Alvise Mocenigo aveva depositato dei capitali in Zeccacon lo scopo di destinarli alla costruzione di una sua tomba monumentale nel Pantheon Dogale dei Santi Giovanni e Paolo o San Zanipolo, dispose quindi che gli interessi dei suoi denari venissero intanto destinati agli Hospedali degli Incurabili, dei Derelitti e quindi alle Zitelleche frequentava spesso con la moglie Loredana Marcello. Alla Giudecca possedeva un palazzo accanto all’Accademia di Ermolao Barbaro, e da Doge nell’occasione della visita di Enrico III a Venezia confermò pubblicamente la sua intenzione benefica nei riguardi delle Zitelle della Giudecca.

Secondo le Cronache il giorno dell’ingresso delle prime Zitelle della Giudecca si schierarono ad accoglierle come Protettori i Nobili: Tommaso e Giovan Battista Contarini, Antonio Grimani e Pietro Morosini, e come Protettrici: Isabetta Grimani, Paola Donà ed Elena Priuli, mentre si proposero come Governatori delle Zitelle: il Mercante Bartolomeo Marchesi, il Reverendo Gioseffo Piovan de San Giovanni Crisostomo, e Agostino Barbarigo, Gerolamo Drusiani, Giovanni Antonio del Duca, Battista dalla Veste, Francesco di Cristofaro, Francesco Carantano, Agostino Vinci e le Governatrici: Cristina Dolfin, Lucrezia Priuli, Isabella Marcello, Lucrezia Morosini, Andriana Contarini e Marina Bernardo.


Il resto venne quindi quasi da se: nel 1575-76 si provvide ad acquistare ingenti carichi di materiali da costruzione … Il Senato della Serenissima che aveva appena fatto voto d’innalzare il Tempio del Redentore come ringraziamento per la liberazione di Venezia falcidiata dall’Epidemia della Peste, dispose che dopo la chiusura del Cantiere del Redentore si utilizzassero le impalcature per costruire le Zitelle… Quasi come rivalsa del Destino, fra 1581 e 1585 a Venezia ci furono nuove pestilenze, e nel 1620 avvenne quella terribilissima della Madonna della Salute che provocò l’ecatombe dei Veneziani.


Con l’assistenza di Giacomo Bozzetto e dei Proti Bartolomeo Manopola e Simon Sorella si costruì la chiesa delle Zitelle pare utilizzando un monumentale progetto ideato da Andrea Palladio… La prima pietra venne posta un anno dopo la morte del celebre Architetto, e ne risultò un Tempio a pianta centrale con cupola e campaniletti che venne ridotto e trasformato durante la costruzione per carenza di fondi fino a realizzare l’ampia struttura “a ferro di cavallo” includente chiesa e Ospizio visibili tutt’oggi ... Ne risultò una specie di riservata Corte Veneziana affacciata sugli orti e la Laguna, mentre all’interno la chiesa si presentava a colonne corinzie che sorreggevano la cupola, e con una serie di Corettiaffacciati direttamente sull’aula ecclesiastica dei riti in modo che le residenti della “Pia Casa” potessero affacciarsi dall’interno riservato dell’Istituto alla maniera tipica di altre chiese e strutture Veneziane ... Progressivamente la chiesa delle Zitelle divenne un’altra di quelle tipiche “bomboniere Veneziane” ricche d’Arte e bellezza, con tutte le pareti tappezzate da pregevoli dipinti e opere d’Arte.


Secondo alcuni Storici: “La chiesa delle Zitelle è atta a formare insieme al Redentore, San Giorgio Maggiore e il Canale della Giudecca un unico disegno-scenario artistico-urbanistico unificante l’unico corpo della Giudecca. Ne deriva un unico volto di continuità e valore d’insieme che trova sfogo, ampiezza, continuità e completezza nello scenario del Bacino di San Marco.”


Mah ? … Sarà vero ? … O è stata pura coincidenza e casualità che quei monumenti così insigni e singolari siano sorti in serie e continuità e senza seconda intenzione uno dopo l’altro sul panoramico palcoscenico della Giudecca ? … Chissà ?



Di sicuro il Complesso delle Zitelle entrò a far parte per secoli della lunga“collana e ininterrotta litania” d’edifici e istituzioni Civico-Religiose-Assistenziali-Culturali e dei Luoghi Sacri e Pii stemperati e disposti lungo tutto il piccolo arcipelago della Giudecca insieme a San Giovanni Battista degli Eremiti Camaldolesi di San Mattio di Murano(oggi non esiste più), San Giacomo di Galizia o Santa Maria Novella dei Padri Serviti (oggi non esiste più), Sant’Angelo di Concordia(oggi non esiste più), Santa Maria Maddalena delle Convertite(oggi diventata Penitenziario Femminile), il Redentore dei Frati Cappuccini, Santa Croxe, San Cosmo e Damiano, San Biagio e Catoldo(oggi non esiste più):tutte e tre Monasteri delle Monache Benedettine, e l’unica Piovanale dell’Isola della Giudecca, cioè: Sant’Eufemia o Fèmia.


L’edificio o “Cièsa Nova delle Zitelle” comunque venne terminato e “riconosciuto come fatto” dai Savi alle Decime, e consacrato nel 1588 da Francesco Barbaro Coadiutore del Patriarca Eletto di Aquileiache lo dedicò alla Presentazione di Maria Vergine al Tempio costituendolo in Pia Opera o Collegio Laico d’Assistenza dove le ragazze avrebbero trovato vitto, alloggio e istruzione fino al raggiungimento della maggiore età quando avrebbero potuto“liberamente” decidere di sposarsi o monacarsi.


Qualche anno prima, nel 1583, Bartolomeo Marchesi Mercante Bergamasco Governatore e Fondatore delle Zitelle(era tra coloro che il 10 giugno 1561 accolsero durante la sontuosa cerimonia col Doge e il Patriarca Giovanni Trevisan le prime quaranta fanciulle disagiate ospitate alla Giudecca) lasciò per testamento parecchio denaro per costruire un altare “nella chiesa nova che al presente se fabbrica alla Zueca al luogo delle Citelle”… Tre anni dopo venne realizzato divenendo l’Altar Maggiore delle Zitelledove si collocò il dipinto della “Presentazione di Maria al Tempio” pagato 500 ducati d’oro ai fratelli Francesco e Leandro Bassano che raffigurarono sul quadro anche Bartolomeo Marchesi e la moglie Gerolama Bonomo entrambi poi seppelliti nel pavimento ai piedi dello stesso altare.


Nell’agosto 1582 Caterina Medicinon fu da meno del Mercante Marchesi nel suo testamento: “Lasso […] alle sopraditte Citelle tutto il mio mobile di casa, et anco il scrigno con quello che vi è dentro che sono tra ori, zoie, arzenti e denari da ducati tre mille in circa … Item làsso alle sopraddette Citelle ducati mille per i quali mi paga livello Messer Mathio Pigna … et dichiaro che voglio esser sepolta nel sopraddetto Luogo de le Citelle …”


In data 03 gennaio 1587 lo stesso Gesuita Benedetto Palmio da cui era iniziato tutto provvide a compilare e promulgare le “Costituzioni e Regole della Casa delle Citelle”  alle quali incluse una serie di note storiche sui fini e l’origine dello stesso Istituto. Nelle Costituzioni dell’Istituto si poteva leggere: “… in esso si ospitano Vergini da dodici anni sino a disdotto … sane e belle ed in pericolo di essere precipitate con danno e perdita della salute loro eterna a far vita triste e scelerata o per malizia o sceleratezza dei padri e delle madri o d’altre persone o perché essendo poverissime ma di molta bellezza vengono sollecitate al male.”


Le Zitellegiunsero ben presto ad ospitare circa 160 persone, che divennero 180 poco dopo, e 200 poco dopo ancora … A Venezia si diceva che le Zitelle con l’Ospedaletto dei Derelitti, la Pietà e gli Incurabili erano: “… i quattro principalissimi bastioni della nostra Repubblicain grado d’ospitare fra adulti e bambini ben 3.000 persone !”


Nel marzo 1589 il Senato della Repubblica votò a favore per un’ulteriore spesa di 300 ducati: “per l’ampliamento dell’Infermeria delle Zitelle” ... Qualche anno dopo: Ludovica Marinoni quondam Bernardo istituì alcune “doti monacali” per le “fanciulle delle Zitelle”,donò un crocefisso alla chiesa, e si ampliò ulteriormente la Fondazionespendendo altri 1.250 ducati ... Nel 1590 poi, fu la volta di Camilla Acuzi quondam Sebastian consorte di Gerardo Cavanis di lasciare legati e beni in Cordugno sotto Noale ai Derelitti, alle Zitelle, all’Ospedaletto di Sant’Agnese a San Barnaba e alla Casa dei Cavanis a Sant’Agnese ... L’anno seguente Domenico Bonamor lasciò alle Zitelle un fondo a Rivalta di Casale perché se ne ricavassero soldi per “doti maritali”da concedere alle putte dei 5 Luoghi Pii di Venezia … e nel 1593 Adriana Bernardo vedova di Vincenzo Contarini Governatrice dei Derelitti e delle Zitelle fece ancora lasciti: “alle Putte dei Derelitti, alla Priora Violante Canal delle Zitelle, al Luogo degli Orfani di Padova, e ai Gesuiti dell’Umiltà per il Collegio del Gesù”.


La cronaca nera di ieri adesso … La sera del 23 gennaio 1597 ci fu una gran festa in maschera alle Zitelle della Zuèca, e Antonio ed Agostino Venier con Nicolò Moro figlio di Santo dalla Contrada di Sant’Antonin di Castello vi partecipavano travestiti. Ubriachi probabilmente, provocarono e s’aizzarono per una questione di donna con Pietro Mazzoleni, Giuseppe Maria Giunta e Nicolò Crota, e terminata la festa li assalirono con le armi uccidendo il Mazzoleni. Il mese seguente vennero tutti processati in contumacia, e non presentandosi in giudizio vennero tutti banditi da Venezia con sentenza definitiva del 6 aprile 1599.

Nel 1608 Caterina Mocenigo vedova di Nicolò Vendramin istituì altre doti per monacare Zitelle, e destinò una sua casa sita in Contrada di San Gregorio nel Sestiere di Dorsoduro sempre: “al sostentamento del Pio Loco delle Zitelle e delle donne che non si maritano nè vanno monache” ... L’anno seguente, quando alle Zitelle si contavano 250 fanciulle presenti, Federico Contarini Procuratore di San Marco de Suprafece apporre sull’altare “in marmi fini” di sinistra della chiesa delle Zitelle un dipinto dell’Aliense(il Greco Antonio Vassillachi allievo del Veronese) dove si fece ritrarre insieme alla “Madonna e il Bambino”... Federico Contarini era un Nobile studioso e acculturato, celebre collezionista d’antichità ... Diede anche l’incarico di scegliere e nominare dieci Fanciulle Povere delle Zitelle donando dieci ducati ciascuna in occasione del loro Matrimonio o Monacazione ... Istituì inoltre, sempre presso le Zitelle, una Mansioneria Perpetua di Messedel costo di 1.250 ducati: “per l'Anema mea e dei mei cari”elargendo alle Governatrici dell'Istituto delle Zitelle un'entrata annua di 50 ducati e la proprietà della vigna contigua alla Casa de le Citellecol compito di amministrare la Mansioneria e nominare un apposito Cappellano Titolare per celebrarla “per lui e per i suoi vècchi” ... Voleva ancora che il suo altare venisse decorato con una scultura a bassorilievo della Madonna del bacio”che gli aveva regalato Jacopo Sansovino ProtoMagister di San Marco ... Non a caso quindi iI Canonico Stringa ricordava nelle sue memorie che nel 1609 non si era ancora costruito del tutto l’altare nonostante il Donatore avesse raccomandato nel suo testamento: "... che gl'infrascritti miei residuari quanto prima facciano finir il mio altar, con il mio deposito nella suddetta chiesa delle Cittelle".




Nel 1613 Nicolò Doglioni scriveva:“Poche città puono eguagliarsi alla città di Venezia nella pietà et nel mantenir con elemosina i poverelli et specialmente che si ritrovano né luoghi dedicati  ad Opere Pie. Che, tralasciando le tanti e tanti Monasteri di Frati e di Monache mendicanti, ecco i bambini nati di nascosto et abbandonati da padre et madre hanno luogo comodo per allevarsi nell’Hospitale della Pietà. Gl’infermi di mali incurabili con piaghe et tumori han l’Hospitale dell’Incurabili a ciò deputato ... Quegli altri poveri, non con tanto male, sono soccorsi nell’Hospital di San Giovanni e Paolo. Li meschini malamente feriti han lor ricovero in San Pietro e San Paolo. Quelle donne che dal mal fare si rimettono e si danno al far bene sono raccolte nel Monasterio delle Convertite. Le giovanette già da marito che stanno in eminente periglio di cadere in peccato son levate da alcune Matrone primarie della città et anco a forza condotte et chiuse nel Luogo delle Citelle ... Quelle donne che maritate, non però voglion vivere caste, si conservano ben guardate nel Soccorso ... Vi sono anche altri Luoghi Pii et Fraterne …”


Nello stesso anno Lucrezia Da Ponte vedova Andrea Bernardo lasciò un legato alle Zitelle a condizione che rimanessero legati alla comunità Veneziana alcuni Reliquiari e un suo fondo di Pontecchio con Cappella donato all’Istituto delle Zitelle ... Chissà dove saranno finiti quei Reliquiari così preziosi e considerati inalienabili e importantissimi per quei Veneziani di allora ? … Buttate via e disperse ? … o in fondo a qualche vecchio armadio ?


Cinque anni dopo ancora, i Benefattori Lombardi Elisabetta Foppa col marito Medico Pasquale fecero collocare nel piccolo Coro-Presbiteriodelle Zitelle un’Orazione nell’Orto” commissionandola e facendosi ritrarre da Jacopo Palma il Giovane. Entrambi si fecero seppellire ai piedi dello stesso altare disponendo per testamento di “pagar un’annua Mansioneria di Messe da 25 ducati in loro memoria e suffragio, e per la loro Salvezza Eterna”.

Sentite che scriveva Elisabetta Foppa proprietaria di una casa a San Salvador data a Zaccaria di Lanzi Barbiere “All’Insegna della Rioda”, e padrona di: “dieci quadri grandi e piccoli con soàze d’oro, d’ebano e d’argento, zògie e un’altra zògia de la Passion dipinta, e di un Cristo in croxe … di uno scrigno di noghèra con dentro piròni d’argento n° 16 e scullèri n°10 […]”… Voleva essere sepolta nella Casa de le Citelle della Giudecca, nella sua arca personale, da sola, sotto al suo altare … e per far anche questo lasciò detto: “Lascio alle Citelle campi 15 a Campo Nogara chiamati li Arzerini, con casa di muro … altri campi 40incirca chiamati i Pra Bassi tutti a Campo Nogara … Lasso aggravio a dette Citelle di pagare una Mansioneria di Messe di ducati 25 all’anno … Voglio che dopo la mia morte sia venduta la mia casa dominicale a Campo Nogara con tutto ciò che è nella conferenza di detta casa … Siano fatte quattro parti di credo cinquemila ducati per parte: due parti alla Casa de le Citelle con l’obbligo d’investirli per monacar o maritar dette fiole …” e … “Obbligo dette fie tutte (le Zitelle) de dir una Corona ogni anno in perpetuo sopra la nostra arca ove sarò sepolta in perpetuo … Voglio che Madonna dia ducati tre all’anno alle fie che canteranno tre Messe al mio altar i tre giorni che sarà sepolti i nostri tre corpi … Co i tòrzi impissà e le candele agli altari fino a che sarà cantà la Messa […] Lascio portacere per ducati otto all’anno acciò sia impisà su la nostra arca li tòrzi il giorno de li Morti …”


Grande e tosta la Signora Foppa !



Di nuovo nel 1647, Alberto Gozzidepositò un capitale “per doti maritali a cinque Ospiti delle Zitelle” ... ed è molto interessante ricordare poi il testamento curiosissimo del Mercante Jacopo Galli morto nel 1649, possessore della Bottega “Alla Campana” in Merceria di San Salvador ... In morte il Mercante lasciò 4.000 ducati a Girolamo Orlandoni suo Travasadore da Olio; 6.000 ducati aMaria “serva de casa”; una “rosetta di diamanti” con 24 grani legata in oro e tutti i quadri che possedeva in casa a Giulio Soderini: Massaro all’Officio del Sale “et compare amorevolissimo”; la sua casa in Contrada di Santa Maria Formosa a Castello vicino al Ponte dell’Anzolo al suo Avvocato: Tommaso Zanfonari. Dispose inoltre che entro 10 anni dopo la sua morte tutto il suo capitale di 100.000 ducati con gli utili della bottega venissero convertiti in contanti e “l’azienda” venduta a Martin Moscheni che già la gestiva a patto di mantenerne l’insegna. Due quinti del ricavato saranno suoi, il resto a Giacometo quondam Gabriel Dada ... E ancora: nel 1660 con i consistenti denari lasciati dal Mercante si giunse a redigere il contratto che permetteva l’esecuzione della facciata della Chiesa-Convento di San Salvador come monumento commemorativo dello stesso Cittadino e Mercante, che pur non essendo Nobile, ma solo semplice Cittadino Veneziano, cioè di classe subalterna, lasciò per testamento ingenti somme a molteplici Istituzioni Veneziane. Vennero consegnati dall’esecutore testamentario Marino Moscheni: 60.000 ducati per San Salvador, e altri 30.000 ducati furono messi a disposizione per costruire anche la facciata della Scuola Grande di San Teodoro, e altri 30.000 ducati per edificare la facciata dell’Hospedale di San Lazzaro dei Mendicanti nei pressi di San Giovanni e Paolo.


Il Mercante Jacopo Galli era preso da una vera e propria mania di procurarsi e garantirsi la Salvezza Eterna provando a ridursi la almeno la permanenza in Purgatorio… Chissà che aveva combinato in vita sua per avere così grande angoscia d’essere perdonato ?


Per quello stesso scopo dispose anche di far celebrare sempre in San Salvador: due Messe quotidiane e un Anniversario da 4.000 ducati in suo suffragio, ed un altro simile da 4.000 ducati anche ai Santi Giovanni e Paolo per lo stesso motivo, e due ulteriori Mansionerie di Messe da 2.000 ducati ciascuna vennero istituite anche presso le Convertite della Giudecca alle quali lasciò anche ulteriori 6.000 ducati per una recita quotidiana di un De Profundis ... Non fece mancare ancora il pagamento di un’altra Mansioneria quotidiana da 2.000 ducati presso la Casa di Santa Teresa nei pressi di Santa Marta, e una Mansioneria quotidiana da 2.000 ducati venne data a San Lazzaro dei Mendicanti, e un’ultima Mansioneria quotidiana da 3.000 ducati alla chiesa parrocchiale della Contrada di San Stae.


Come non bastasse, lasciò anche alla Schola del Santissimo di San Salvador: un premio di 4.000 ducati a condizione che amministrasse e  investisse 20.000 ducati in 4 anni per il matrimonio di 40 ragazze; donasse: 20.000 ducati per la Conversione al Cattolicesimo degli infedeli; altri 20.000 ducati per il Riscatto ogni anno di alcuni prigionieri; 20.000 ducati ai Poveri; 10.000 per liberare altri Schiavi; 4.000 ducati ai Cappuccini del Redentore riservati all’acquisto di libri; 6.000 ducati al Convento delle Monache Francescane del Santo Sepolcro sulla Riva degli Schiavoni; 10.000 ducati alle Orfane di Santa Teresa; ed infine: eccolo qua, lasciò 6.000 ducati anche alle Zitelle della Giudecca.


Per sedici anni fin dal 1655 la Nobildonna Moceniga Mocenigo di quondam Alvise della Contrada di San Samuel fu Governatrice e Benefattrice del Pio Istituto Casa delle Zitelle della Giudecca ... Non fu l’unica donna tutta dedita alla causa del Pio Loco delle Zitelle: ce ne furono diverse, tante: molte delle quali entrarono bambine nell’Istituto, poi divennero Maestre e Coadiutrici rimanendovi “a vita” al suo interno … la NobilDonna Elena Pisana si trovava a vivere alle Zitelle da undici anni, Donna Laura Zorzi vi stava da 20 anni, Anna Renier era Maestra alle Zitelle da 50 anni, come la cinquantenne Lucietta Beneti che era là da 40 anni, Isabella Rizzati: Maestro da 38 anni, Anna Spagnola residente alle Zitelle come Maestra da 37 anni, Lugrezia Bianchi da 35 anni, Oliva Boladidi anni 45 alle Zitelle da 29 anni, la trentaquatrenne Fiorina Rossida 25 anni, e Cattarina Benzoni di 39 anni stava da 26 anni alle Zitelle come Sagrestana della chiesola, over Oratorio superiore … e via così.


Nel 1671 a 80 circa, la Moceniga e si preoccupava ancora d’abbellire ulteriormente la chiesa “ancora povera d’arredi”, per la quale aveva già commissionato al pittore di Lucca Pietro Ricchi: “un quadro grande, e due più piccioli, et altri posti in chiesa”, cioè il grande quadro della Natività della Vergine” dove si era fatta ritrarre pomposa e adornata di gioielli ... L’anno seguente: “… avendo la NobilDonna Moceniga Mocenigo investiti in Zecca un capitale di 2750 ducati, disponeva in atti del Notaio Mario Piccino che i pro di esso capitale dopo la morte sua venisse corrisposto alla Pia Casa delle Zitelle.”… Tre anni dopo aggiunse: “Lascio che li migliori miei quadri siano messi nella chiesola et anco il secchiello d’argento ... Segue la nota di quello che ho dato a lascito al Pio Loco delle Citelle: prima un cesendello grande d’argento, et uno detto di latòn tutti e due per il Santissimo. Due cesendelli grandi di ltòn con su candele d’ato al basso per altri due altari, otto candelieri grandi d’argento alti per altar, un quadro grande e due piccoli, et altri posti in chiesa; fatto fabbricare la Sacrestia nella forma che si vede, e fatto càmisi, quadri, scabèli, scagni, armeri e quello che occorreva tutto di mia scarsèla … Due camere fornite di cuori, cioè quella ove io dormivo, et quella appresso, un fornimento di Zambellotti paonazzi da basso ove sta la Priora; veri par tutti li claustri, et scuri et anco par la mia camera … et di più socorreva a tutti li bisogni con la mia borsa del medesimo luoco in summa considerabile de ducati in dieci in undecimila.”… Poi curiosamente, non si sa perché, forse per dei dissapori con i Governatori delle Zitelle, la Nobile Matrona Veneziana un anno prima della sua morte del 1576 fece redigere un nuovo testamento a favore di nipoti e parenti revocando ogni disposizione precedente a favore delle Zitelle per le quali disse di aver già ampiamente provveduto più volte in maniera generosa oltremisura.


A causa di tutti quei lasciti vari, nel 1661 le Zitelle possedevano una rendita annuale di 112 ducati da immobili siti in Venezia, insieme al patrimonio di un fondo di 8 campi dato in affitto in Visnà di Coneglianoche Lucietta Cecchini donò alle Zitelle per il loro mantenimento.


Secondo il“Forestiero Illuminato intorno alle cose più rare e curiose antiche e moderne della città di Venezia e delle isole circonvicine.”: “Nella Casa di Protezione delle Zitelle in numero di almeno 200 povere fanciulle orfane, sbandate, e squattrinate senza dote vengono ospitate, nutrite, vestite e formate col proposito di fornire loro un’occasione di matrimonio o di monacarsi “a buon prezzo”, o perlomeno di collocarsi “a servizio” presso qualche Casa Nobiliare … Viene loro insegnato oltre a farsi belle e agghindarsi, anche l’esercizio della “Buona Virtù”, ed educate a cantare, leggere e far qualche conto, e rese provette a cucinare e in ogni attività di quotidiana economia domestica, oltre che rese abili a cucire e nel lavoro-mestiere del merletto “a punto in aria” … Un “fornimento accreditatissimo” de quali ascende a volta alla somma di 400 e più Zecchini.”

I manufatti prodotti dalle “maestranze da merli d’oro” realizzati alle Zitelle della Giudecca erano molto richiesti dai Nobili Patrizi e dai Governanti Veneziani e Foresti, anche perché lavorati con raffinatezza e con materiale di lusso o prezioso com’erano appunto l’oro e l’argento … Quotidianamente si assegnava alle ragazze un “lavoro ad ago” da eseguire fornendo loro una “tasca”(sacchetto) contenente il filo necessario al lavoro della giornata ... Bartolomeo Cargnoni Merciaio “All’insegna dello Struzzo” grande benefattore dell’Ospedaletto, delle Penitenti e della Casa delle Zitellecommerciava anche in stoffe e merletti prodotti dalle Citelleservendo Cardinali e Principi: a due fanciulle delle Zitelle venne affidata l’esecuzione di un collare per Re Luigi XIV composto di capelli bianchi, che indossò il giorno della sua incoronazione.




Nel 1660 Angela Adorni Sbardellini“era Priora dell’Ospizio Pia Casa delle Cittelle et insigne sua benefatrice ... Morse de anni 77 a di 25 febraro 1717 M.V.”… Agiata di famiglia, sposò giovanissima GiovanMaria Sbardellini che però morì a Spalato dopo appena dieci anni di matrimonio lasciandola con un figlio. Rientrata a Venezia, decise di ritirarsi in ritiro volontario alle Zitelle diventando Coadiutrice... Nel 1709, ormai avanzata d’età, venne eletta Priora su proposta delle Protettrici che la ritenevano capace di tale impegno … Alla sua morte lasciò tutti i suoi beni all’Istituto.


Fra 1600 e 1700 il numero delle Zitelle presenti nella struttura era altalenante fra 160 e 250 … Continuarono le donazioni e i lasciti a suo favore: nel 1690 le Zitelle ricevettero 100 ducati come gli altri Ospedali Maggiori Cittadini e come le Monache di Santa Chiara e le Convertite della Giudecca dal Doge e Ammiraglio Francesco Morosini del Ramo di Santo Stefano sepolto in Santo Stefano per il quale vennero celebrate 6.000 Messe in 3 mesi !!! ... Nello stesso anno Elena Avogadro quondam Domenico Maestra della Pia Casa delle Zitelle lasciò preziosi e quadri allo stesso Istituto … Nel 1702 Antonio Michieli quondam Marco Governatore delle Zitelle lasciò le rendite della sua “Bottega da colori”sita in Contrada di San Bartolomio, e la sua casa in quella di San Giovanni Crisostomo con quadri, mobili, preziosi, monete ed oselle … Sei anni dopo ancora: Elisabetta Querini quondam Polo vedova del Doge Silvestro Valier e Governatrice delle Zitelle donò all’Istituto 10 case site in Contrada di Santa Maria Nova in Calle della Testa da utilizzare come abitazioni delle Zitelle uscite dalla Pia Casa, diede disposizioni per consegnare premi della Dottrina Cristiana alle Zitelle, e per collocare un suo ritratto nella stanza dove si radunava la Congregazione.


I membri della Famiglia Giovannelli provenienti dal Bergamasco, diventati Patrizi Veneti nel 1668 sborsando 100.000 ducati d’oro alla Serenissima, erano famosi oltre che per il valore militare di alcuni loro personaggi, anche per le proprietà terriere e minerarie che possedevano, per i vasti commerci di tessuti che intrattenevano, per le loro committenze artistiche, e per il ruolo di Benefattori della parte più fragile di Venezia ... Fra loro merita memoria il Conte Giovan Benedetto Giovanelli del Ramo di San Stinfratello di Giovan Paolo (Governatore dell’Ospedale dei Derelitti dove nel 1717 fece accogliere fra le “Putte da Coro”: la tredicenne Cecilia Guardi sorella di Antonio e Francesco rimasta orfana di padre che finì col fuggire col pittore Giovan Battista Tiepolo che alla fine sposò): che oltre ad essere fra i principali committenti dei pittori della famiglia Guardi(Domenico, Antonio e Francesco). Nel suo palazzo esisteva una collezione di almeno 135 opere realizzate anche da artisti Fiamminghi e Nordici, che nel giro di soli tre anni dopo la sua morte si ridusse a sole 87 … Fra l’altro Giovan Benedetto Giovannelli fu anche Governatore e Benefattore della Pia Casa delle Zitelle lasciando all’Istituto con testamento del 1732 un cospicuo legato di circa 10.000 ducati con l’obbligo per la Congregazione delle Zitelle di scegliere un valido pittore a cui affidare il controllo inventariale triennale della ricca collezione d’opere d’Arte realizzata alle Zitelle.




Nel 1732 Jseppo Cagnana quondam Vincenzo lasciò una Mansioneria e diversi legati ai 6 Luoghi Pii in cui era stato Governatore fra cui Zitelle e Catecumeni ... Due anni dopo: Vitoria Galilei ospite alle Zitelle ereditò i beni di sua sorella Angela uccisa dal marito durante il Carnevale di quello stesso anno … Circa le Zitelle si legge del maggio 1736: “Essendo per Iddio grazia provveduto l’Altari della nuova chiesa di sufficienti candelabri e lampade d’argento di conveniente decoro a riserva di quello dedicato a San Carlo a cui manca la sola lampada che servirebbe nelli giorni festivi … attrovandosi nella Pia Casa un pàro di candelabri da tavola antichi con alcune posate da tavola il tutto d’argento, come spiega negli inventari, che si potrebbero convertire in una lampada dello stesso altare …”


C’era abbondanza insomma alle Zitelle: un ambiente ricco, arredato, tutelato, che funzionava egregiamente perseguendo il suo scopo … Sono del 1738:“Le Costituzione della Casa delle Citelle di Venezia eretta e fondata sotto il titolo della Presentazione della Madonna” redatte in dieci parti, e stampate e pubblicate da Giovanni Radici “con licenza de Superiori”.




Faceva scrivere laNobile Regina Nani sul suo testamento il 06 febbraio 1733: “Volendo io Regina Nani quondam Giobatta, signora delle mie facoltà sino a che lode a Dio mi trovo sana di mente e sensi … Voglio esser sepolta senza pompa alcuna ma con quella moderazione che parerà al mio infrascritto erede, et subito seguita la mia morte mi siano fatte celebrare Messe numero cento in suffragio dell’Anima mia … Istituisco erede di tutta la mia facoltà il Pio Luogo delle Citelle di questa città con obbligo di pagarli legati infrascritti dichiarando attrovasi a mio credito un capital di ducati quattro mille investiti nell’Ospedale de’ Mendicanti di questa città, e più attrovasi presso di me zecchino ottocento oltre le mie gioie, mobili et argenti … Voglio dunque che esso Pio Luogo mio erede soddisfi e paghi li legati infrascritti che ordino come segue …”


Nel 1740 la rendita annuale delle Zitelle da immobili siti in Venezia salì a 187 ducati … Ancora verso la metà del 1700 la Serenissima continuava a sovvenzionare il Pio Loco de le Zitelle come gli altri Istituti Cittadini: “Nuova distribuzione d’acqua secondo i regolativi della precedente del 1654: alli 4 Ospedali burchi 8; alle Convertite; alle Capucine della Grazia; alle Monache del Gesu’ e Maria;  alli Miracoli: 2 burci; alli Capuccini, alli Riformati; al Soccorso; alle Citelle; alli Catecumeni; alla Croxe di questa città; alle Eremite; a Santa Maria Mazor; alle Penitenti de San Job: 1 burcio d’acqua …”

Dalle Curiosità Veneziane del Tassini si evince che il 25 luglio 1764: “Sviluppasi un grave incendio alle Zitelle acceso da una figlia di Baldassarre Pasqualigo, non Patrizio, inviperita per dilazioni del promessole matrimonio.” Verità era che la ribellione era data non tanto dal fatto di potersi liberare dalla vita claustrale nel Pio Istituto, quanto più dal fatto che il possibile sposo-pretendente era un Nobile d’origine Greca piuttosto anziano, e inoltre violento e dedito ad ubriacarsi.


Nel 1778 il Piovano Calzavara di Sant’Eufemia della Giudecca era fra i Governatori delle Zitelle… Nel 1792 perfino il Patriarca di Aquileia Giovanni Grimaniistituì un vitalizio e una specifica dote per una putta povera collocata alle Zitelle … Cinque anni dopo la vecchia nave di primo rango Vittoriaancorata davanti alle Zitelle venne venduta dai francesi al Capitano mercantile Francesco Pomello per 42.000 lire venete, ma dopo aver intascato il denaro i Francesi la resero inservibile tagliandole le aste da prua a poppa a livello dell’acqua. Non rimase che affondarla subendo i danni ... Nel 1798 Maddalena Cubai Maestra alle Zitelle lasciò diversi oggetti d’uso e diversi preziosi all’Istituto per il quale aveva lavorato per tutta la vita.


Giunsero poi gli anni stranissimi del 1800 alle Zitelle di Venezia: l’onore e il buon nome dell’istituto, la bella figura e l’ostentazione d’ordine ed efficienza venivano messi prima della cura reale e dell’assistenza concreta alle fanciulle: “Valevano di più il bell’apparire, il rispetto e l’osservanza delle Regole, dei principi e dell’Autorità costituita considerata spesso infallibile ... Tutto il resto era considerato secondario: cose basse, esigenze da basso volgo che potevano benissimo aspettare ...”


Il secolo 1800 iniziò il 10 maggio pomeriggio con la visita di Pio VII neoeletto Papa a San Giorgio Maggiore di Venezia proprio alle Zitelle ... Il nuovo Papa venne ricevuto sulla Riva delle Zitelle dai Preti addetti alla chiesa, e dalle diverse Deputazioni del Pio Luogo che vennero ammesse nel Conservatorio al “Bacio del Sommo Piede” insieme a varie Dame e Signore Veneziane... Il Pontefice poi venne ricevuto all’interno dell’Istituto dalle Nobili Governatrici, dalla Priora e dalle stesse “fanciulle Zitelle” che furono privilegiate e rese partecipi dello stesso alto gesto del“Bacio del Sommo Piede Pontificio”.

Quattro anni dopo: Cubai Carolina “cieca a nativitate” e ospite delle Zitelle lasciò legati allo stesso Istituto due orecchini per ornamento della Madonna del Coro dei Morti delle Zitelle ... Il 18 giugno 1807 con Decreto Italico si tolse l’autonomia all’Istituto delle Zitelle riformandolo e fondendolo con le Carampanee le Donzelle Pericolanti: passò sotto la direzione della Pubblica Congregazione Cittadina di Carità ... Dei 217.000 ducati investiti dal Pio Loco delle Zitelle nei Pubblici Uffici, se n’erano già sfruttati 7.000, e non si recuperò che la minima parte parecchi anni dopo.


Col gran ribaltamento napoleonico arrivò nella chiesa delle Zitelle la grande statua della Madonna del Rosario che troneggia curiosa nella prima cappella a sinistra. Sapete da dove proviene ?… E’ la Madonna della Scola di San Nicolò dei Marineri di Castello… Quella posta sull’“altaròn grando” dedicato a Messer Gesù Cristo voluto, finanziato e costruito dalla Schola di San Nicolò dei Marineri di Castello… Forse finì negli ambienti delle Zitelle perché lì avevano sede due Schole d’Arti e Mestiere della Giudecca, cioè la Schola di San Marziale dei Saonèri dell’Isola della Giudecca dove ancora nel 1773 erano attive ben 7 fabbriche di sapone, e la Schola di San Cristoforo dei Marinèri e Naviganti... Ecco forse spiegato il perché del trasloco di quella Madonna dalla demolita chiesa di San Nicolò di Castello.

Nell’ “Almanacco per le Provincie soggette al Regio Governo Veneto per l’anno 1826.” stampato presso Giuseppe Gattei Tipografo dell’Eccellentissimo Governo, si elencano curiosamente oltre alle notizie astronomiche e cronologiche, le fasi lunari correlate ai Santi del Calendario, le differenze delle ere, le feste, i mercati e le fiere, la genealogia dell’Autorità della Casa d’Austria Regnante anche i Dicasteri e Consigli Aulici, i Tribunali Supremi di Giustizia e Censura e gli Istituti e Pii Collegi d’Educazione di Venezia: il Regio Convitto e Liceo, il Collegio de Martiis in Venezia, il Collegio di Santa Caterina e l’Istituto delle Scuole Pie di Chioggia“… dove si raccolgono ogni sera circa 300 fanciulli della classe più misera che non possono intervenire alle Scuole Elementari del giorno, per apprendere il leggere, lo scrivere ed i rudimenti dell'aritmetica”, il Collegio delle Salesiane in Venezia a San Giuseppe: “… dove le educande convivono nel chiostro, e sono accolte soltanto fanciulle di una civile condizione per ricevere un’educazione compita imparando: Disegno di Calligrafia, Stile Epistolare, Geografia, Sfera, Aritmetica, Lettura e Grammatica Italiana, Grammatica Francese e Tedesca, Pianoforte, Lavoro di Ricamo, Traforo e Mendatura di camicie e calze e Dottrina.”, il Collegio delle Concette di Venezia agli Ognissanti con 24 educande, il Collegio Femminile delleTerese all’Anzolo Raffael con 45 educande, il Collegio di Santa Lucia a Cannaregio con 50 educande, il Collegio delle Scuole di Carità dei Padri Cavanis alle Eremite di San Trovaso con 17 fanciulle conviventi e 100 alunne esterne allo stabilimento ammesse per carità, e il Collegio delle Zitelle alla Giudecca: “Conservatorio Istituto che mantenendo l'antico instituto forma l'Orfanotrofio Femminile accogliendo oltre a centoottanta donzelle che non hanno mezzi propri per essere civilmente educate. Sono mantenute, educate e dirette dalla Signora Regina Alessandri, e collocate poscia ove s'apra l'opportunità in matrimonio”.



Nel 1830 il Governo Austriacoa causa anche di un notevole incremento delle spese per il mantenimento del personale amministrativo a cui si dimezzò lo stipendio, si giunse ad unificare da una parte la Direzione degli Orfani dei Gesuati, le Orfane delle Terese, e le ex Prostitute delle Penitenti(unico ente con bilancio attivo) affidandole al Direttore Venier con stipendio inalterato di 3.000 Lire; e dall’altra parte i Catecumeni(peggiore Istituto di difficile gestione con numerose servitù e passività), le Zitelle e la Ca’ di Dio affidandoli al Direttore Conte Memmo con stipendio di 2.100 Lire diminuito da 2.400 Lire … Il tutto avvenne per una spesa complessiva di 16.900 Lire risparmiando 8.000 Lire ... Le “fanciulle” ospiti alle Zitelle erano 180: al 01 ottobre dello stesso anno più di un terzo delle “ricoverate” aveva un’età superiore ai 24 anni in quanto fin dai tempi del “regime francese”erano rimaste come “ospiti perpetue” non essendo più Zitelle-ragazzine. Il Viceré ne ordinò il licenziamento riducendone il numero da 180 a 60 eccetto le Maestre, disponendo che per l’avvenire le “ricoverate”dovevano avere al massimo 20 anni (poi spostato a 24 anni) ... L’Istituto comunque fu invitato a “scaricare le ospiti” e non accoglierne di nuove.

L’anno seguente il Pio Istituto delle Zitelle aveva: Priora, SottoPriora, Preposte e Maestre e “ricoverate”di numero imprecisato divise per classi, e coadiuvate da un Cappellano-Confessorecon obbligo di Messa sabato e festivi: “… le forniture sono ad appalto e le ragazze non rare volte mancano del necessario ... Ricevono 4 once di riso e mezza libbra di carne cruda dalla quale levando le ossa resta pochissimo ed è molte volte cattiva … la Priora fa quel che può … il Direttore non viene mai perché la casa secondo la Priora va bene.” Nel consuntivo economico delle Zitelle risultava un attivo di cassa di 5.294,20 Lire che permetteva così al Comune di Venezia la riduzione del Sussidio di 37.892 lire ... Il Direttore Memmo propose di dare 500 Lire di “dote”alle “fanciulle” che fossero state disposte a lasciare volontariamente l’Istituto recandosi a vivere presso parenti verso i quali furono concessi sempre più frequenti permessi di visita: “Nell’aria che si respira alle Zitelle c’era ormai la preoccupazione di perdere il Conservatorio.”

Nel 1836 a causa del “piano di sortita” attuato dal Governo Austriaco“le ospiti”delle Zitelle diventarono 60 ... Tre anni dopo, la Priora orgogliosissima riferì al Patriarca Jacopo Monico la scaletta quotidiana della vita delle ragazze dell’Istituto che veniva scandita quasi con cadenza di tipo Monastico: “Alle 06,30 del mattino: levata; alle 07.00 lunghe orazioni, e dopo breve pausa per riordino stanza: Messa, e poi in Paneteria a lavorare il pane ... Quindi Salmi Penitenziali e orazioni varie insieme al lavoro fino alle 11,30; prima del pranzo si recita obbligatoriamente l’Ufficio della Madonna e le Litanie, mentre durante il pranzo si legge il Vangelo del giorno, e alla fine si recitano 3 De Profundis ... Dopo un’ora di ricreazione, c’è la Scuola di Grammatica e Aritmetica, e poi ancora preghiere: il Rosario, il Mattutino e la Perdonanza al Santissimo; alle 19.00 si cena, e poi a letto o al lavoro fino alle  21,30 … Di domenica si partecipa a 2 Messe, e si fanno Devozioni Particolari durante le feste ...”

Il Patriarca conservatore e filoAustriacante di origine Trevigiana, membro dell'Accademia dei Filoglotti di Castelfranco Venetoche consociava aristocratici, borghesi, Sindaci e Arcipreti,si dichiarò ampiamente soddisfatto di quel modo di procedere dentro al Pio Istituto delle Zitelle della Giudecca.

Nel 1842, invece, l’Arciduca Ranieri in visita alle Zitelle: “… rimarcò l’inconvenienza della mancanza di uno spazio opportuno nel quale le ricoverate possano muoversi e respirare aria libera.”, perciò il Governatore delle Zitelle si mise in moto per procurare “un orto di sollievo”per le 58 Orfane-Educande ospitate … Nella “Venezia e le sue Lagune” realizzata da una Commissione del Comune di Veneziapresieduta dal Conte Giovanni Correr per un convegno internazionale di Scienziati a Venezia, e pubblicata presso lo Stabilimento Antonelli nel 1847 si legge fra le mille altre cose: “… La Congregazione degli Uomini accudiva all'amministrazione, quella delle donne all'accettazione ed educazione delle Zitelle, che riuscivano eccellenti nei lavori muliebri, e specialmente in quello dei pizzi detti di Venezia ... Nel 1796 la pia casa possedeva, investito nella zecca, un capitale di più che dugentomila ducati, ed accoglieva sessanta individui ... Nel 1807 vennero concentrate in questo Conservatorio le Orfane più giovani di vari altri istituti, sicchè il numero delle ricoverate si fece molto maggiore; e nel 1812 toccò la cifra di 180, che fu dichiarato non potesse essere ecceduta. Ma siccome le rendite dello stabilimento non bastavano a sopperire le spese, considerato come istituzione comunale, fu sussidiato dalla città fino al 1830, in cui si prescrisse che avesse a mantenersi colle sole proprie rendite, risultante dalle rimanenze dell'antico patrimonio, riducendo il numero delle ricoverate a sessanta. Esse vennero gradualmente diminuite, e devono uscire dallo stabilimento tostochè abbiano compiuto gli anni ventiquattro; avendo ricevuto quella educazione che le renda atte a procacciarsi onorevolmente il sostentamento (...) La Pietà, gli Orfanotrofi, le Zitelle, l'istituto Manin accolgono individui che sono abbandonati dalle famiglie, le quali dovrebbero prenderne cura, oppure appartengono a parenti che non vogliono, o non possono provvedere alla loro morale e fisica educazione. Queste istituzioni costituiscono come altrettante famiglie che s'industriano ad abilitarli, acciocchè divengano utili membri della civile convivenza.”



Nelle tristi statistiche riguardanti le Zitelle negli anni 1851-1857, ne esiste una di curiosa che fa notare come nell’Istituto morisse di media un’Orfana-Zitella ogni anno ... La cura-gestione delle Orfanelle passava di mano in mano: nel 1852 Madre Rachele Guardini succedendo alle Ancelle della Carità divenne nuova Direttrice delle oltre 60 “Zitelle”coadiuvata da 4 Suore Dorotee Maestre… Nel 1896 le “Zitelle”presenti diventarono 33, e 29 l’anno seguente: quando a fine anno il patrimonio netto dell’Istituto ammontava a Lire 1.089.545,65.


All’inizio del 1900 le “Zitelle” presenti tornarono ad essere 146: la cura delle “ragazze” venne affidata alle Suore del Caburlottoche sostituirono le Dame Venete ... Giunta la Prima Guerra Mondiale, nel settembre 1917: 52 ragazze e 8 Suore delle Zitelle partirono per Patrica vicino a Roma “per trovare calma e serenità” ... Nel febbraio dell’anno seguente due bombe esplosive caddero nel Canale della Giudecca proprio fra le Zitelle e San Giovanni danneggiando le case vicine alla fondamenta ... Un’altra bomba cadde più avanti nel Canale della Giudecca: davanti al Molino Stuky ... Terminata la Guerra si concentrarono alle Zitelle i due Orfanatrofi Femminili del Sestiere di Dorsoduro: cioè le Terese di Santa Marta e il Maninospitato nell’ex Convento di San Sebastiano ... Dopo la Seconda Guerra Mondiale, invece, si concentrarono alle Zitelle anche le donne delle Penitenti di San Giobbe, e tutto nel 1959 assunse il nome di Istituto Educativo Femminile di Santa Maria della Presentazione della Giudecca.



Ancora nel 1958 si parlava di 145 “Educande” ospitate alle ex Zitelle, mentre tre anni dopo si attestava che le “Allieve”erano 150 ... Circa dieci anni dopo i fabbricati delle Zitelle vennero adibiti quasi del tutto a Scuola Media Statale, mentre nel 1972 le ultime “ragazze Zitelle” vennero sistemate a Campalto di Mestre in Terraferma adibendo gli ambienti della Giudecca a Scuola Artigianale per Portatori di Handicapp… e si era nel 1980 ... Nel 2000, infine, è cessato tutto e non è rimasto più niente.



Si dice solo che ogni tanto nei corridoi dell’Antico Pio Loco delle Zitelle, negli stanzoni deserti, sulle scale, e fin sulle balaustre affacciate sull’interno della chiesa, riecheggi l’eco di uno scalpicciare leggero di una delle antiche “donzelle” mai vista, che però continua a vagare lamentosa in quei posti rincorrendo ancora speranzosa il sogno della sua felicità mai raggiunta.


Oggi l’antico Collegio delle Zitelle della Giudecca dopo essere rimasto a lungo desolato e deruto è diventato proprietà del Centro Servizi I.R.E. di Venezia. L’intero complesso è stato accuratamente restaurato e riconvertito in Palladio Hotel S.P.A.(dependance del celebre Hotel Bauer di San Marco), cioè in un lussuoso albergo prospiciente da una parte sul Canale della Giudecca, e dall’altra sugli orti, il giardino e la vigna affacciati sulla Laguna Sud. Sempre sul margine estremo della stessa area si è realizzata anche una Casa di Riposo per anziani non autosufficienti dove alcuni Veneziani che se lo possono permettere vanno a terminare “bene o male” i propri giorni affacciati su un panorama mozzafiato che però non sanno vedere, riconoscere, né gustare ... La chiesa delle Zitelle, sebbene restaurata, appare un po’ malridotta, malinconica e desueta quando viene aperta di rado per permettere sporadiche visite guidate di pochi fortunati, o nelle Giornate Annuali del F.A.I. o di ArtNight… Beh ? … Meglio che niente.




ALTRA NOTERELLA SIMPLEX SU SANT’ANZOLO DE LA ZUECA UN PO’ BUTTATA LA’ …

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#unacurisitàvenezianapervolta n° 199


ALTRA NOTERELLA SIMPLEX SU SANT’ANZOLO DE LA ZUECA UN PO’ BUTTATA LA’ …



Ricordate quanto è accaduto nei secoli addietro in giro per Venezia con i Frati Carmelitani dei Carmini e l’omonima Schola Granda dei Carmini nel Sestiere di Dorsoduro in Campo Santa Margherita ?… Una cosa favolosa: un gran tripudio d’Arte e colori, committenze, movimenti socio-economici, assistenza, devozione e carità … E ricordate a riprova di questo, i grandi capolavori del Tiepolo che ha tappezzato tutta la Scuola Grande ? … Immagino di si, che lo ricordiate: è uno dei più bei capolavori della nostra amatissima quanto disastrata Venezia.


Ebbene, la stessa cosa e lo stesso movimento sociale, spirituale e popolare si è diffuso e ripetuto anche altrove in giro per Venezia, seppure in versione minore e più contenuta rispetto ai pomposi Carmini di Dorsoduro… Lo stesso Tiepolo, ad esempio, ha realizzato nel 1721-1722 una “Madonna e le Anime Purganti”per la chiesa della Contrada di Sant’Aponal nel Sestiere di San Polopoco distante dall’Emporio Realtino… Anche lì: gran tripudio di colori, i soliti contenuti della Madonna del Carmine e dei Carmelitani, e la storia di Simone Stoche dei Scapolari, e tutto il resto … Voglio dire, insomma, che in giro per Venezia esisteva un grande fervore, una specie di gran coinvolgimento nelle attività e nella ricerca spirituale misto a fattiva carità e associazione … Molti Veneziani, anzi: buona parte dei Veneziani erano coinvolti in quelle realtà … 

Tempi ben diversi dai nostri di oggi in cui risultiamo parecchio apatici e refrattari su certi contenuti e argomenti.


Beh … Serve ricordare anche che intorno alle ScholeGrandi e Piccole d’Arte, Mestiere, Patria, Suffragio dei Morti, Moribondi e Condannati a Morte, e Devozioni di ogni sorta, così come nelle Chiese di Contrada c’era un gran movimento di soldi, elemosine, lasciti di immobili, terreni e denaro, Comissarie, Messe e ricche Mansionerie mescolate con tante orazioni e gesti semplicissimi quanto genuini di Fede … Venezia era Venezia insomma, e ciascuno al suo posto pensava ai propri interessi e curava le proprie convinzioni civico-religiose-sociali dando origine a un miscuglio sociale e urbano davvero singolarissimo che si curava anche di varie forme d’Assistenza per la malattia, la vecchiaia, l’abbandono delle vedove e degli orfani, e le varie forme di sussidio per gli Ultimi, o ancora le Doti per sposarsi o monacarsi, o per riuscire a mettere su qualche impresa per navigare e commerciare per Terra e per Mare ... ma di questo si occupavano con successo soprattutto i Nobili e i Mercanti con i  loro ingentissimi capitali sempre a disposizione.


Anche i Santi e le Madonne, gira e volta, erano più o meno sempre quelli e gli stessi: i Frati Carmelitani proponevano i loro ripresentandoli, suggerendoli e inscenandoli ovunque andavano: Sant’Eliseo col Carro di Fuoco, Sant’Alberto, il Profeta Elia, Santa Teresa, e la Madonna del Carmine e dei Scapolari ... La stessa cosa facevano a modo loro anche i Padri Domenicani dell’Inquisizione, i Frati Francescani, i Benedettini, gli Agostiniani e i Camaldolesi e tutto il resto della eterogenea “brigata Ecclesiastica” del Clero e dei Monaci e delle Monache facendo cose simili: ognuno propugnava “il suo” all’ombra e sulla scia dello stesso Gesù Cristo e Padre Eterno, e cercava ovviamente di fare cassa a proprio favore ... Inutile nasconderlo, la maggior parte della gente e dei Veneziani, poveri, benestanti o ricchi che fossero, acculturati o ignoranti, svegli o che si lasciavano vivere e basta, sperava soprattutto in un posto in prima fila per l’Eternità nel postVita al “piano ultratemporale di sopra”… Religione insomma in cambio di Salvezza, e anche la Politica e il Civico non si sentivano esonerati dal partecipare a quel grande consesso e progetto ... anzi: ci andavano perfettamente a braccetto.


Beh … Fra tutto questo, e in maniera e in tono ancora minore, se volete ancora più piccolo, basso, popolare, essenziale e quasi semplice, si muovevano anche certi contenuti alla Giudecca di Venezia: precisamente nella chiesetta-Convento di Sant’Anzolo in Contorta a cui ho più volte accennato altre volte ... Proprio lì gli stessi Carmelitani Scalzi dei pomposi quanto famosi Carmini di Santa Margherita finanziarono insieme ai Giudecchinidi allora non tanto il famoso quanto ben costoso Tiepolo, ma i più modesti ed avvicinabili economicamente: Odoardo Fialetti e Petrelliche decorarono e dipinsero i tre altari della chiesetta, due quadri “per il Palco”, cioè il Pulpito, e la tela del soffitto realizzata da Petrelli con “il Paradiso e la Madonna che da l’Abito a San Simone Stoch”oggi conservati alle Gallerie dell’Accademia di Venezia… Non sono andati perduti come qualcuno ha detto più volte.



Ed eccoci quindi alla Noterella Simplex a cui vi accennavo: i Frati Carmelitani portarono alla Giudecca oltra alle loro Tradizioni religiose, cultuali e devozionali anche il loro modo per provare a coinvolgere nel loro movimento i Giudecchini e le Giudecchine di allora …


Rimangono curiose tracce di quella situazione, anche se scarse … Nella chiesetta-Convento di Sant’Angelo di Caortorta fin verso la fine del 1700 vennero ospitate ben tre Schole Piccole a cui erano iscritti esclusivamente Giudecchini e Giudecchine … Più precisamente: presso la chiesetta di Sant’Anzolo esisteva la Schola della Beata Vergine del Rosario: una delle tante di Venezia (a San Gallo, San Giovanni Crisostomo, San Giovanni dei Furlani, a San Martino nell’Isola di Burano, a Santa Sofia, a San Zan Degolà, San Bartolomio, Santi Giovanni e Paolo, Gesuati suelle Zattere, Santa Maria Formosa, Spirito Santo, San Mattio di Rialto, San Domenico di Castello, all’Anconeta di San Marcuola, alla Maddalena, Sant’Antonin, Santi Filippo e Giacomo, San Simeon Grando, San Polo, all’Anzolo Raffael, San Nicolò dei Mendicoli, al Giglio, a San Pietro di Castello, alla Bragora, a Sant’Angelo, a Santa Caterina, Sant’Eufemia, San Paternian e all’Umiltà sulle Zattere alla Salute)frequentata più che altro da alcuni semplici Pescatori della Giudecca, e dalle solite donnette giovani e meno giovani della stessa zona … 



Ogni anno, anche nel 1758, Pescatori e Frati organizzavano e celebravano insieme una pomposa Festa della Madonna organizzando una solenne Processione in giro per buona parte della Giudecca. In quell’anno per colpa dell’entusiasmo dei partecipanti morì ucciso un bimbo colpito da un colpo di moschetto sparato in aria per far festa ... C’era poi ospitata nella stessa chiesetta un’altra Scholetta della Beata Vergine del Carmelo con ben 200 iscritti ! ... Eccoli qua i Frati Carmelitani di cui vi dicevo … E c’era, infine, anche una Compagnia di Devozione dedicata a Sant’Alberto, pure quella ispirata, voluta e fondata dai Carmelitani, e nata piena d’entusiasmo nel 1760, quando mise insieme ben 50 iscritti cioè Confratelli e Consorelle Giudecchini … E fin qua: niente di straordinario a Venezia mi direte.



Già … Ciò che è più curioso, invece, è la reazione dei Giudecchini e Giudecchinedi allora verso i Frati Carmelitani di Sant’Anzolo di Caotortache piano piano, ma senza poi tanto aspettare, iniziarono a pretendere dagli iscritti Giudecchini sotto varie voci un “supplemento” in denaro per la Schola sempre maggiore, fino a pretende ben 15 Ducati e 12 Grossi annuali ... Figuratevi i Pescatori Giudecchini sempre intenti a far quadrare il bilancio familiare riuscendo più o meno a portare a casa ciò che era strettamente necessario per vivere … o sopravvivere.



I Frati sembravano non capire: chiedevano ad ogni iscritto di dare 3 lire al momento dell’Iscrizione come “Benintrada”, poi di dare altri 10 soldi annuali consegnandoli un po’ per volta di riunione in riunione, di festa in festa, di partecipazione in partecipazione … I Frati avevano già fatto i loro conti: avrebbero messo insieme: 21 ducati e 21 Grossi da intascare dai “buoni quanto devoti” Giudecchini e Giudecchine … e non era tutto: il giorno della Festa del Patrono, cioè della Madonna del Carmine di luglio, chiedevano anche di pagare agli stessi Frati altre offerte ed elemosine per garantire la celebrazione di cinque indispensabili Messe Cantate Solenni, e di almeno altre cinque Messe “lette”.



Le cronache raccontano: “Ohe !?”… esclamarono a un certo punti i Giudecchini e le Giudecchine spazientiti: “Bòni: si … ma nòna: no … Che cosa pretendete da noi ?”… I Frati si fecero severi e alzarono la voce sfoggiando tutta la loro autorità o presunta tale … Dissero che se ai Giudecchini e alle Giudecchine interessava la Salvezza e il favore del Cielo”, bisognava che si dessero da fare: cioè innanzitutto pagassero oltre a pregare … come andava fatto.

I Giudecchini semplici ma scaltri né si arresero, ne gliela mandarono a dire ai Frati, ma altrettanto spontaneamente e naturalmente risposero: “Scordatevi che vi diamo quanto chiedete !”… I Frati stupiti e quasi esterrefatti tacquero e incassarono il diniego: il tono dei Giudecchini non era molto rassicurante … Alla fine della fine sapete quanti iscritti della Schola pagarono assecondando gli esosi Frati ?  … Solo tre Devoti in tutto su 50 iscritti … I Frati si ritrovarono a chiedere con insistenza elemosine nella chiesupola di Sant’Anzolo di Contorta diventata vuota e disertata … Racimolarono 40 lire in tutto: “buone solo per celebrare 12 Messette “basse … da poco prezzo”.


“Accontentarsi !” esclamarono i Giudecchini liberati.



Furbetti i Frati, sapevano fare bene i loro conti e di sicuro procurare con astuzia i loro interessi … All’atto della soppressione della Schola dei Carmini di Sant’Anzolo in Caotorta o Contorta della Giudecca i Francesi raccattarono 478 once d’Argento appartenente alla Schola di Sant’Alberto, più altre 38 once d’Argenti conservati nella Sacrestia della chiesetta ... Secondo voi, con i soldi di chi erano stati comprati lungo gli anni ? … La risposta la sapete già.


Cose … notizie … altre curiosità spicciole nascoste nei meandri e nelle pieghe della Storia di Venezia, dei Veneziani e dei Giudecchini vispissimi di ieri ... Ve ne dico un’altra … Oltre la metà del 1600 i Frati Cappuccini presenti nel vicino Convento del Tempio Votivo del Redentore della stessa Giudecca (quello col Cristo Nero della Peste innalzato per la liberazione di Venezia dall’ennesimo morbo) erano diventato più di sessanta … Sapete quanti ne vivevano, invece, nel vicino Conventino di Sant’Angelo di Contorta ?  … Solo otto … ma erano tosti, e parecchio bellicosi dal poco che si è venuti a sapere di loro ... Sapete che accadde, ad esempio, nel Conventino di Sant’Angelo di Caotorta lunedì 05 febbraio 1666 ? … I Frati si presero a coltellate fra loro esprimendosi in una lite furibonda … Non si seppe mai bene il perché, eccetto che qualcuno finì moribondo o morto del tutto, e furono proprio i Giudecchini ad accorrere per togliere i Confratelli Frati dalle mani armate di ciascuno di loro.


Che ve ne pare ? … Bene ! ... No ?




Comunque Frati o non Frati belligeranti, i Giudecchini e le Giudecchini designavano ogni anno otto giorni prima dell’elezione della nuova Banca della Schola(l’organo principale di governo della Schola) uno o più persone Giudecchine a cui dare 80 lire perché andassero in Pellegrinaggio fino alla Madonna degli Angeli e della Porziuncola d’Assisi e/o fino alla Santa Casa di Loreto dove dovevano pagare e far celebrare Messe ,e “lucrare l’Indulgenza del Perdon d’Assisi” secondo i desideri della Schola della Giudecca… I prescelti dovevano considerare un onore l’essere stati nominati per quella “Santa Opra-Mandato”, perciò dovevano sostenere a proprie spese il viaggio e il costo dell’eventuale alloggio lungo la strada … andata e ritorno: “Gli eventuali accidenti di viaggio dovaranno sbrigarseli da soli”… I soldi dati servivano per far celebrare le Messe e comprare le Indulgenze facendo opportuna elemosina ... Se per caso qualche Defunto lasciava soldi alla Schola con la stessa intenzione: si sarebbe dovuto fare un’offerta alla famiglia del Morto, o aumentare il numero delle Messe da comprare e far celebrare, ma non dare ulteriori soldi ai Pellegrini per il Viaggio.


Quelli della Banca erano richiestivi e severi: “non si potevano prestare ad altri: Croxe, Candelieri d’argento, nè la Paxe da baciare della Schola” ... I Proveditori da Comun di Venezia ricordavano che quelli che diventavano Sindaci della Banca della Schola dovevano saper almeno leggere e scrivere, altrimenti non potevano essere eletti … e altro ancora.


Al di là di tutto questo, nel 1764 i FratiCarmelitani vennero finalmente soppressi e la Casa dei Carmelitani della Giudecca chiusa … Il Senato Venetoregalò con apposito decreto la chiesetta di Sant’Angelo di Contorta al Guardiano della Schola dei Pescatori Giudecchini… Nel 1781, secondo un’iscrizione che si poteva leggere fino a qualche decennio fa sui muri della chiesa, si diceva:“Furono rifuse le due campane dalla Scoletta della Madonna del Carmine di Sant’Anzolo della Zueca sotto il Guardianato di  D.Francesco Baldio Procurator e Compagni a spese delli fratelli della medema anno MDCCLXXXI e pas a credum de polis.”… E si voleva vendere due altari della chiesuola per riuscire a finanziare ancora una volta la celebrazione di qualche ulteriore Mansioneria di Messe… Era una vera e propria ossessione che avevano quella delle Messe da comprare e celebrare, inculcata fin nell’animo della povera gente della Giudecca eternamente priva di mezzi.




Ancora nel 1780, gli stessi Provveditori da Comun emisero un bando cittadino a Venezia per cercare: “… qualcuno disposto a fungere da Cappellano a favore della Scollette della chiesola di Sant’Anzolo della Zueca, e celebrare qualche Messa per i Giudecchini soprattutto nei mesi invernali” … Nella chiesupola Giudecchiam c’erano ancora: un organo, tre altari di marmo e due quadri vecchi … Nessuno rispose al bando presentandosi … Chissà perché ?


Beh … che ve ne pare ? … ne accadevano di cose minuscole oltre il Canale della Giudecca… Vero ?

Poi passò il napoleone francese che come spugna bagnata cancellò tutto lasciando solo pallide quanto vaghe memorie … che ancora qualche volta echeggiano negli angoli, lungo le fondamente, e nelle corti, campielli e callette della Giudecca … CoronaVirus permettendo.

Sentite infine la relazione dei francesi verso l’inizio 1800 quando si recarono a depredare la chiesetta e il Convento di Sant’Angelo di Caortortainsieme a tutto il resto della Giudecca ... E’ sicuramente curiosissima:“In sintonia con altre Librarie Veneziane si mostrava quella dei Carmelitani della Congregazione Riformata Mantovana di Sant’Angelo di Concordia: poco più di 350 opere divise tra Latine e Volgari ... con una discreta scelta di Scrittori Classici e di Edizioni Basileesi e Parigine dei Padri della Chiesa … C’era poi l’ “Institutio Catholica” del Gropper, la Letteratura Ascetica tradizionale, il settore dell’Oratoria Sacra e della Scolastica Spagnola che era in pieno sviluppo a quell’epoca … C’era un testo Gioachimitico: l’ “Expositio in Apocalypsim” dell’Abate Florense considerato praticamente eretico, e alcuni libri di Magia e Secreti: la “Magia Naturalia” del Della Porta con le reminiscenze del Platonismo Rinascimentale nelle sue espressioni più inquietanti e di dubbia Ortodossia: c’erano i “Problemata in Scripturam Sacram” di Francesco Zorzi che aveva avuto un grande successo e divulgazione soprattutto con i Frati Mendicanti Veneti, tanto che copie del volume oltre a trovarsi nella Biblioteca Monastica Comune si  trovavano perfino nelle singole celle dei Frati …”


E qui mi fermo.



“Le Mùneghe de Sant'Anna de Castèo.”

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#una Curiosità Veneziana per volta – n° 200


“Le Mùneghe de Sant'Anna de Castèo.”


La Zona di Sant’Anna, che non era Contrada a se del Sestiere di Castello, ma solo Monastero incluso nella Contrada di San Francesco di Paola e soprattutto confinante con la Contrada del Vescovo, cioè di San Pietro di Castello, era comunque una zona popolarissima piena ospedaletti e microcittadelle assistenziali dove vivevano artieri e reduci Marineri e Arsenalotti.



Il nome di Sant’Anna in se sarebbe stato qualcosa di altisonante perché indicava la Madre della Madonna considerata da sempre come  compatrona di Venezia … C’è poco da dire però: la fama del Monastero di Sant’Annaè stata lungo nei secoli, soprattutto in certe epoche, una dei peggiori di tutta Venezia per via della scadente qualità della vita delle Monache, e soprattutto della bassa Moralità dei loro costumi … Diciamolo pure: è stato uno dei Conventi peggiori … Durante il 1500 per via della monacazione forzata che i Nobili Veneziani imponevano alle loro figlie per non disperdere il patrimonio familiare, il Sant’Annadivenne famoso per la “Sagra continua delle Monache”, era uno dei Monasteri in cui accadeva maggior cronaca rosa, ma anche fatti di ogni sorta e colore, tanto che un cronista arrivò a dire esprimendo il sentimento popolare dei Veneziani: “Le gambe delle Monache del Sant’Anna sono più spalancate del portone di una chiesa nel dì di Festa.”… e non esagerava affatto il cronista, perché, anche se non sto qui a riportarvi tutto per filo e per segno, bisogna dire che realmente le Monache del Sant’Anna di diedero “parecchio da fare” con Nobili, Monachini, e Veneziani d’ogni sorta ... Famosa era la Caneva delle Monache con la “stanza dei tinazzi” dove capitava di tutto, e le porticiole quasi nascoste dietro alla legnaia e all’orto del Monastero (ora cortile dietro al complesso di Sant’Anna) che davano direttamente sull’esterno aprendosi nell’anonimo canale da dove arrivava e partiva di tutto e di più per intrallazzare con l’intero Convento.



Non fu di certo un caso se il Patriarca Priuli durante una Visita ispettiva più che pastorale, viste le storie di cui era venuto a conoscenza, ordinò che fossero: “chiusi con chiavi e catenazzi le porte e i cancelli, le cui chiavi dovevano esser custodite dalla Badessa in persona” Il Sant’Anna insomma era considerato uno dei Monasteri “più rilassati” di tutta Venezia.


Se ne avrete voglia: andate pure a vedere i documenti negli Archivi, di sicuro troverete un’enorme quantità di cose capaci di esaurire ogni vostra curiosità ...Sugli Agostiniani e le Monache Benedettine di Sant’Anna di Castelloè rimasto un Archivio con ben 65 buste e 13 pergamene che riferiscono puntualmente di quel microcosmo:“mondo nel mondo Veneziano” quasi sospeso nella Storia fra 1207 e 1804 ... Esistono poi un’infinità di Processi inerenti quanto è accaduto nel Monastero lungo i secoli: c’è di che perdersi volendo.


Il Monastero intitolato, ad essere precisini, a “Sant’Anna e Santa Caterina” occupava l’area che correva a est lungo l’antico Rio di Castello(ora Rio di Sant’Anna) dal Ponte di Quintavalle sul Rio de San Piero(che allora non esisteva) fino alla Calle Larga Secco Marina che si chiamava Rio Secco. Ad ovest, viceversa, il confine correva lungo il Rio Secco che correva anche a sud, mentre a nord seguiva la Fondamenta omonima di Sant’Annafino al Rio di San Domenico oggi non più esistente (scomparso, incassato e interrato per far posto alla Via Garibaldi) ... La chiesa originaria col campanile era divisa in tre navate, e aveva l’abside prospicente sul Canale de San Piero de CastèoFu Fra Giacomo da Fano della Congregazione dei Brittini Eremitani di Sant’Agostino a stabilirsi per primo in quel posto nel 1242: acquistò un terreno paludoso in Contrada del Vescovo di proprietà di Milania vedova di Pietro del Pozzo della Contrada di San Martin di Castello, lo bonificò e interrò col permesso di Pino Vescovo Castellano, e costruì: chiesa, campanile, Convento e cimitero cingendo di mura una grande porzione rimanente di ortaglia … Terminato tutto, nel 1297 lo cedette a sei Monache Benedettine della Badessa Maria Zotto, che arrivarono nel 1304 mantenendo la proprietà del luogo fino alla soppressione definitiva del 1807.


Il passaggio di consegne fra gli Eremitani finiti poi a Santo Stefano-Campo Sant’Anzolo nei pressi di San Marco, e le Monache Benedettine non fu del tutto indolore. Avvenne al tempo del Vescovo di Castello Ramberto Polo, e fu contrassegnato da numerose liti per spartirsi un lascito di Domenico e Natalia Fraynati risolto alla fine da una sentenza dei Procuratori di San Marco a favore delle Monache. Gli Eremitani Agostiniani però intendevano usufruire delle vecchie rendite, dei legati e delle oblazioni intitolate al Monastero Castellano, ma le Monache diedero loro filo da torcere opponendosi in ogni modo, e chiedendo aiuto ad Accursio Vicario Generale del Vescovo di Castelloche fece rispettare le intenzioni di coloro che aveva fatto testamento a favore del Monastero di Sant’Anna e non a favore degli Eremitani.


Bene … Forti di quel successo, le Monache del Sant’Anna iniziarono a darsi da fare, e progressivamente fecero “il botto”affermandosi sempre di più e godendo di maggior considerazione non solo nella Contrada di Castello ma in tutta VeneziaNell’ottobre 1306 iniziò la Badessa Maria Zotto a comprare 62 campi a Zerman di Mogiàn (Mogliano), poi l’anno seguente comperò altri 31 campi a Zelarino, e altri 47 ancora nello stesso posto solo tre anni dopo.


Esattamente nel gennaio di dieci anni dopo, accadde però un grande smacco per le Monache: si impose loro il silenzio e l’obbedienza, e gli antichi legati e donazioni testamentarie del Monastero vennero attribuiti e ridati nuovamente agli Eremitani di Santo Stefano, che avevano potenti appoggi “in alto”(il Papa in persona ?)… Le Monache non si scoraggiarono né desistettero dal voler tornare in possesso di quanto ritenevano proprio ... Nel 1326 la nuova Badessa Madonna Marchesina Goro comprò ulteriori 50 campi a Zelarino dando vita “all’Età d’oro” della storia del Sant’Anna di Castello ... Nel 1330 Maestro Gualtieri Medico Veneziano ottenne la concessione dal Magistrato del Piovego e dal Maggior Consiglio di “…una punta di terra nell’estuario fra San Biagio, Sant’Anna e Sant’Elena onde piantarvi sopra un Orto Medicinale.” … e poi dagli e ridagli come nelle telenovela: l’anno seguente avvenne una nuova puntata a favore stavolta delle Monache: s’invalidò di nuovo la sentenza precedente a favore dei Frati Eremitani, e la so rigirò di nuovo a favore delle Monache ... che sulla scia dell’entusiasmo andarono a comprarsi altri 44 campi e ½ a Spinea nell’entroterra Veneziano ... Il secolo seguente fu poi tutto un aggiungere e rimpinguare il loro patrimonio: qualche campo a Piove di Sacco e botteghe a Veneziaottenute tramite altre eredità ... Poi iniziò la stagione secolare del libertinaggio e della dissolutezza dei costumi delle Monache, come ebbero a dire alcuni storici del tempo: “I Monasteri di Venezia divennero in buona parte dei grandi puttanai di lusso.”


Fu del gennaio 1487 la condanna “alle solite pene” da parte del Senato contro Bernardo Bondumier che aveva ingravidata una Monaca del Sant’Anna ... Quattro anni dopo la Quarantia Criminale processò e condannò un gruppo di Patrizi Veneziani per aver commesso atti carnali con le stesse Monache scatenate del Sant’Anna. Si trattava di: Agostino de Garzonibus, Giorgio Ferro, Antonio Pesaro, Angelo Malipiero, Francesco Zorzi ed un certo Nicola ... e qualche mese dopo toccò anche a Ettore Ottoboni di venir condannato “per copula carnale con Monaca”.


Il giorno di Natale 1497 Fra Timoteo da Lucca predicatore di grido e fama declamava così nella Basilica di San Marco davanti a Doge, Signoria e Nobili radunati: “… quando viene qualche signore in questa terra li mostrate li Monasteri di Monache: non Monasteri ma postriboli e bordelii pubblici.” … e il Vescovo di Chieti nel 1530 circa i Monasteri Veneziani confermava: “Si … bordelliveri e propri bordelli”.


Dal 1508 in poi il Patriarca Antonio Contarini stanco di quel gran casino fuse il Sant’Anna col Monastero di San Giovanni in Laterano le cui Monache erano ritenute maggiormente osservanti della Regola … Beh ? … Osservanti ? … Mica tanto in realtà … Sentite che accadde proprio nel San Zan Lateràn fra il 06 marzo e il 19 aprile 1555 !


Le Autorità Civico-Religiose di Venezia lo definirono storicamente in modo quasi veniale, come una svista o piccolo incidente di percorso: “un altro episodio di scarsa morigeratezza delle Monache di San Zan Lateran”… Già ? … pressappoco.


Le Monache in realtà vennero inquisite dai Provveditori sopra i Monasteri: “… per un secolare trovato a letto con Monaca e poscia fuggito insieme …” Si tratta della storia di Faustina figlia illegittima di Francesco Polo fuggita dal Convento di San Zan Lateran per la terza volta, e sospettata addirittura d’essere incinta. Secondo suo padre chiamato a deporre dai Magistrati: era stata inizialmente la zia TadiaMonaca al San Teonisto di Treviso ad indurre la nipote a convivere con lei nel Monastero come Educanda. Il padre riferì d’averla più volte dissuasa d’intraprendere quell’esperienza cercando di ravvivare l’interesse della figliastra per il mondo anche portandola al Carnevale di Venezia ... Era stato inutile: quella piangendo voleva tornare al Convento, e quindi versando una dote di 200 ducati (una miseria) le aveva permesso di vestire l’abito monacale. La giovane donna quindi visse al San Teonisto di Treviso per diversi anni intraprendendo prima la Professione, quindi la definitiva Consacrazione Monastica, ma dopo la morte della zia Monaca iniziò a soffrire i contrasti interni con le altre Monache che definì “vere e proprie persecuzioni” ... Finchè un giorno fuggì dal Convento di Treviso con un cugino andando a trovare rifugio presso una zia materna. Informato della fuga il padre andò allora a prenderla e la fece trasferire nel Convento Veneziano di San Zan Luteran ... Lì poco dopo Faustina ebbe una relazione con un dipendente del Monastero: tale Francesco delle Crosette col quale fu scoperta a letto qualche anno più tardi.

Secondo la successiva testimonianza delle Monache di San Giovanni in Laterano: il Crosette era una specie d’impiegato del Convento con mansioni diverse a seconda delle necessità: trasportava acqua e materiali edili, aiutava le Monache a fare il pane all’interno del Convento: “andava dieci volte al di quando le me chiedevano per suoi bisogni.”Il Crosette si diceva:“figlio del Convento” Suor Zuana di Tomasi testimoniò fra l’altro: “… veniva qualche volta a far qualche servizio per il Monastier, perché l’aveva anche una sua ameda nominata la Mare Suor Seraphina, che è la Priora di questo Monasterio ... Et così el prese poi amicitia con la detta Faustina, el parlava spesso con la ditta, et steva purassai qua in Parlatorio, et diceva a noi altre che essa lo mandava in diversi suoi servizi …”


Insomma: entrambi fuggirono di nuovo dal San Zan Luteran ... Già due anni prima, appena arrivata a San Zan in Lateran, Suor Faustina era fuggita per i tetti: i vicini le aprirono una botola sentendosi supplicare dalla Monaca: “Aiutème per amor di Dio … Che se voi non mi aprivi così presto me voleva gettar giù dai coppi perochè son stata mesi sei in prigion sotto la scala del Monastero di San .Zuan Lateran …”


Sempre secondo le testimonianze raccolte: la Monaca nella stessa occasione aveva rassicurato i vicini del Monastero dicendo loro: “Non ho un posto dove andare, ma ho un marito da raggiungere.”… Un’altra Monaca confermò che in verità Suor Faustina aveva ricevuto una promessa di matrimonio da un uomo successivamente bandito dal Territorio della Serenissima ... Francesco delle Crosette testimoniò a sua volta che il padre aveva strappato Faustina dal marito, e la stessa Faustina affermò che padre e matrigna l’avevano costretta a monacarsi ... Un gran intrigo insomma: finito con la comparsa di tutti davanti ai Magistrati deiTribunali Ecclesiastico e Civile.


Voglio dire insomma, che se il Sant’Anna di Castello non brillava per coerenza e integrità Monastica, gli altri Monasteri Veneziani non erano da meno … Vista la situazione, Papa Leone X ordinò con apposita Bolla Papale del 25 giugno 1515 la riforma dei Monasteri Veneziani irregolari, soprattutto di San Zaccaria, Santa Marta, Santi Biagio e Catoldo della Giudecca e Sant’Anna di Castello... L’opera di Riforma continuò almeno fino al 1520 ... Il 17 maggio 1519 col consenso del Consiglio dei Dieci e del Papa, con l’aiuto degli Avogadori da Comun e della forza pubblica si entrò con la forza nel Sant’Anna, si tolsero quattro Monache “dal comportamento discutibile” inviandole nell’Isola di San Secondo: la figlia di Benedetto Baffo, la figlia di Luca Michiel, la figlia dei Nobili Premarin e la figlia di Galeazzo Contarini; il Monastero venne diviso in due parti consegnandone metà a sette Monache Riformiste mandate appositamente a convertire e riportare all’ordine le consorelle, e si elesse una nuova Badessa.


Il Monastero riprese vita, celebrò la Festa Patronale, le sepolture dei Confratelli delle Schole e riprese a celebrare le solite raffiche diMesse Cantate o Solenni.


Tutto a posto ? … Macchè !


Nel luglio 1568: punto e a capo, nuovo processo a una Monaca del Sant’Anna “per visite clandestine d'un secolare”… Il Patriarca Giovanni Trevisantuonò alla Visita Pastorale ordinando: “… del mandato del Patriarca di Venezia sia commesso a tutte le Madre Abbadesse, Prioresse et Monache di cadaun Monasterio … che in virtù de Sancta Obbedienza et sotto pena de escomunicatione debbino obbedir al mandato del Patriarca del 11 gen 1565 altre volte intimidatori, di non ammetter né permetter che nelli Parlatori si habbi a disnàr, né mangiàr per alcuna persona sii di che condizion e grado si voglia, né padre, né madre, né fratelli, né sorelle, né admetter maschere, buffoni, cantori, sonadori et de simili sorte persone sotto niuno pretesto, né modo, che immaginar si possa, né permetter che in essi Parlatori si balli, né si canti né si soni per alcuna persona sii che si voglia …”


Risultato ? … il 21 giugno 1585 l’intero Monastero venne demolito chiesa compresa ricominciando tutto da capo …


Nel 1593 il Patriarca Priuli informò il Senato e il Consiglio dei Dieci che:“… la maggior parte dei Monasteri si trova in gran bisogno, non avendo le Monache non pur il vestito, ma neanco il sufficiente vitto.”  decretò, invece, di allontanare entro tre giorni i cani personali dai ricchi Monasteri dei Santi Biagio e Cataldo della Giudecca, dall’Isola di San Servolo, da San Lorenzo, San Iseppo e Sant’Anna di Castello... Al primo piano del Sant’Anna sorgeva anche l’Infermeria delle Monachecon due ampie finestre diurnali prospicenti sul canale che andavano dal soffitto al pavimento: “Troppo grandi” sentenziò il Patriarca Priuli: “mancano di adeguate trombe protettive per proteggere dalla vista esterna e garantire il decoro delle Monache allettate.”


Monache e Monastero in realtà avevano ben altri problemi che le finestre …


Fin dall’inizio del 1600 il Sant’Anna delle Monache Benedettine possedeva un non indifferente patrimonio immobiliare sito nei dintorni del Convento Veneziano: nella Contrada limitrofa in Calle e Corte Sant’Anna dove possedeva 27 case da cui percepiva affitto, e dai cui affittuali riceveva anche regalie in occasioni e ricorrenze specifiche dell’anno ... Il Monastero era poi proprietario di due case nella vicina zona di Quintavalle, appena giù dal ponte nella Contrada di San Pietroo del Vescovo ... Poi ancora aveva una casa in Contrada di San Pantalon, un’altra casa in Contrada di Santa Ternita, una in quella di San Vidal, una in Contrada di San Marcilian nel Sestiere di Cannaregio dall’altra parte della città … e ancora: due case a Malamocco, e due botteghe a Rialto.


E questo per quanto riguardava Venezia città e Laguna … Le Monache erano inoltre proprietarie anche di molto altro in Terraferma: 240 campi a Mogliano, Zelarino, Spinea e Piove di Sacco ed altri 15 campi acquisiti per eredità in frazione di Sant’Ambrogio di Fiera di Treviso: nell’insieme un patrimonio agricolo valutato circa 7.200 ducati capace di una rendita annuale del 6%, ossia 432 ducati … Non male se messo insieme a tutto il resto del patrimonio ... Da questo patrimonio campestre venivano portati al Monastero i prodotti della campagna da consumare: 200 ettolitri di grano, 140 di vino, e ben 2 quintali e ½ di carne porcina e salumi annuali … Ogni anno il Monastero ricavava circa 670 ducati dalla vendita del vino, e quasi 1000 dalla vendita di Farine e Formento.


C’erano poi i lasciti testamentari, i legati, le Mansionerie di Messe da celebrare, le donazioni dei fedeli, e i cespiti che entravano da parte delle Schole d’Arte-Mestiere e Devozione che venivano ospitate nella chiesa o nei luoghi limitrofi del Monastero.


Esisteva infine posto a bilancio dell’Economia del Monastero il capitolo delle rendite del Monastero derivante dalle Doti delle Monache… Trovandosi a Venezia, era abbastanza comune che il Monastero ospitasse figlie di Nobili o perlomeno di personaggi illustri di un certo tenore. Non a caso erano ospitate là le due figlie del pittore Tintoretto: Ottavia e Perina… Le rette delle Monacazioni erano solitamente da circa 1.000 ducati in su, e si lasciava ai Nobili, ai Mercanti e ai più facoltosi la possibilità di aggiungere altre miglia di ducati a piacimento … Perciò le Monache Nobilivivevano speso nel Monastero come se fossero “a palazzo”: certi temi del rigore, della disciplina e della povertà delle Monache erano nel Monastero un optional poco più che simbolico, una sorta di vecchia ispirazione di base a cui far solo riferimento come da tradizione, ma niente di più ... La “Dota”di molte Monache veniva incrementata ulteriormente dalle famiglie d’origine che le rifornivano puntualmente di denaro, diverse Monache possedevano proprietà e rendite aldi fuori del controllo del Monastero, e si procuravano guadagni personali “extra moenia” tenendo spesso “cassa propria”amministrata “a capriccio”, libera dalle interferenze dei Superiori.


Diverse Monache arredavano lussuosamente la propria cella: si portavano casse e cassoni da casa con veri e propri “corredi nuziali”, abiti, biancheria, opere d’Arte (nel 1700 in una sola cella del Sant’Anna si contavano 16 quadri: 4 grandi e 12 piccoli e 1 cristo d’avorio). E poi ancora: mobilio, strumenti musicali, scaldaletto, posate, lucerne, brichi e lucerne rigorosamente d’argento, c’erano tende e portiere alle porte e alle finestre (bianche per l’estate e verdi per l’inverno), libri e manoscritti: Martirologi, Breviari, Libri d’Oree Salteri secondo la Regola, ma anche romanzi e “testi leggeri o procaci” spesso confiscati dai Preti espressamente inviati a controllare dal Vescovo-Patriarca, e perfino animali domestici di diversa natura come: Canarini, Gatti e Cagnolini (a certe Visite Canoniche si trovarono Galline che ruzzolavano liberamente nelle soprastanti soffitte o perfino sotto ai letti deponendo uova agli angoli delle stanze e celle Monastiche)… Le Monache curavano giornalmente accurata toeletta personale acconciandosi di abiti, profumi e belletti, e coltivavano orticelli personali o porzioni dell’Orto Comune del Monastero ricevenfo fiori che portavano intrecciati sui capelli o collocavano nella fessura dei seni (secondo le cronache del tempo: “messi bene in mostra”).


Come potete intendere: il Monastero di Sant’Anna, come buona parte di quelli di Venezia, possedeva un bel giro economico, e non si faceva mancare nulla … sebbene non fosse proprio al livello dei più grandi Monasteri Veneziani capaci di ospitare le figlie Nobilissime del Doge, dei Senatori e dei Grandi di Venezia: San Zaccaria e San Lorenzo di Castello su tutti ... Diciamo che nel Sant’Anna si trovavano le Monache figlie della Nobiltà “media”, ricche ma non in maniera stratosferica … Era un Monastero simile a quello di Ognissanti a Dorsoduro, o a quelli delle Benedettine della Giudecca, o Sant’Alvise e San Girolamo di Cannaregio, o Sant’Andrea e Santa Chiara della Zirada a Santa Croce … e molti altri ancora.


Le Monache venivano supportate quotidianamente nelle loro mansioni da diversi professionisti esterni che provvedevano di continuo a garantire il loro benessere personale “in Spiritualia et Materialia”: Confessore, Medico, Barbiere per i salassi, Sarta, Acconciatrice… E ancora: Panettiere, Fattore, Spenditore-Economo, Facchini, Operai, Barcaroli e Ortolani che curavano e provvedevano ad ogni esigenza del Monastero.


Nel Monastero per non far rimpiangere la bella vita di palazzo era spesso tutta una Festa, e non mancava mai occasione per inventarne altre extra o speciali … Anche le scadenze del Calendario Liturgico non si esaurivano nel celebrare un po’ di Vespri o Messe, né si le Monache si accontentavano di trascinarsi in tondo orando in qualche Processione … Le Feste si prolungavano nel Refettorio, e diventavano ogni volta occasione di Teatro, Musica, Canto, Ballo e altri divertimenti espressione anche della continua educazione e cultura Letterario-Musicale-Canora fornita dalla Madre Maestra e spesso da un apposito Maestro di Canto e Musica che frequentava assiduamente il Monastero … Nel Monastero si assisteva e si partecipava quindi alle così dette: “Sagre delle Monache” che si concretizzavano nelle varie Feste della Monacazione: l’Accettazione, la Vestizione, la Professione dei Voti, e la Professione Solenne Definitiva: cioè una specie di consacrazione tramite la quale le Monache diventavano parte definitiva della Comunità Monastica  d’appartenenza indossando il “velo nero” e partecipando a pieno titolo alle attività, scelte e decisioni del Capitolo del Monastero guidato dalla Madre Badessa ... Le stesse occasioni erano poi motivo di sfoggio e bella apparenza da parte delle stesse Monache e delle Nobili Famiglie di provenienza: “Chi più ne ha più ne metta” era uno dei motti: perciò le Monache Patrizie Veneziane facevano a gara fra loro sul come ben figurare suscitando invidie, contrapposizioni e adulazioni di ogni sorta.


Capitava che nei giorni delle “Sagre Monastiche” tutte le Monache e le stesse Educande o “fiòle a spese” ospitate nel Monastero, ricevessero ciascuna dalla famiglia e dai parenti della Monaca interessata: un magiòl(un moccolino per accender lumi) da ½ chilo, 12 storti per ciascuna, una libbra di confetto e un pan di zucchero per ciascuna di peso e fattura diversa, e 15 lire di denaro ad ogni Monaca … Alla Madre Badessa, alla Madre Maestra e alla Vicaria spettava il doppio, al Vicario Patriarcale: un bacile di ciambelle, al Confessore che faceva gli Esercizi Spirituali alle Monache e presiedeva le cerimonie si dovevano offrire: maggioli, pani di zucchero da 1 chilo, un marzapane vistoso di 4 libbre con confetti, frutti canditi, bellissime persegate e confetture, ¼ di vitello, 12 fiaschi, 1 bacile di ciambelle e 2 zecchini o 2 scudi, o più raramente 10 ducati … Ai 5 ChiericiAssistenti: marzapane da ½ libbra, ciambelle e ¼ di ducato ciascuno … al Sacrestano un marzapane, confetti, bozoladi e 1 scudo ….. Allo Scaccino o Zago 1 marzapane da 1 libbra e ½ ducato … alle “fiòle a spese”: mezzo ducato d’argento ciascuna … ai 4 Uomini di Servizio del Monastero: gli stessi regali, e 1 scudo d’argento allo Spendidor e 1 ducato agli altri tre ... e via così … Poi c’era ancora il Medico, il Barbiere, il Fattore: altri marzapani, confetti, bozoladi e 1 scudo ciascuno … Si compensavano anche le Converse che preparavano i buzzoladi con: selado, formaggella e 2 lire di sapone per ciascuna, alle 12 Donne di Servizio: le Massère del Monastero si doveva 1 marzapane da ½ libbra, 1 libbra di carne, ½ ducato ciascuna e minestra per tutte … e colazione, bussoladi, storti e moscato ai Musici, Cantori e Sonadori.


Che ve ne pare ? … Un vero e proprio piccolo-grande, quanto lussuoso “Mondo a parte”.


Le singole Monache poi erano solite tenere nella propria cella una vera e propria dispensa personale con: “pan di zucchero, marzapani, bozzolai, burro, frutta, uova e olio”, e allestivano pranzi e pranzetti a piacimento per se o per tutto il Monastero ... Ci fu, ad esempio, la famiglia della Nobile Laura Molin che per la Vestizione e la Professione della figlia offrì un pranzo all’intero Monastero spendendo 1.400 ducati, mandando 4 staia di farina per fare i bozzoladi, e altri 1000 per gli abiti e le varie spese … In certi periodi è documentata una rendita media annuale delle Monache del Monastero di circa 2000 ducati: le Monache erano più che benestanti ... ricche insomma.


Ogni 2 anni si celebrava la Festa delle Obbedienze quando si conferivano a ciascuna Monaca specifiche Mansioniall’interno del Monastero: esisteva l’incarico di Camerlenga che amministrava la Comunità, Scrivanao Segretarie della Badessa, Madri Maestre(venivano chiamate “le Zie Benedettine” in quanto facevano da tutrici alle Educande ricevendo una percentuale di 5 ducati annuali sulle loro rette. Avevano obbligo di tenerle pulite e in igiene, e di fornire loro“adeguato companatico”, non mancando di ricevere per far questo: “adeguati presenti a Natale e Pasqua e nelle Feste Stabilite”). C’erano poi le Monache Rodiere addette alla custodia delle ruote da dove entrava e usciva dal Monastero di tutto, le Portinaie, le Sacrestane, le Speziali che “s’interessavano e curavano della coltivazione e raccolta dei Semplici” confezionando medicine, impiastri e medicamenti per il Monastero e affiliati. C’erano le Suore Canevere-Cantiniere, le Cellerarie o Dispensiere, le Formentere per frumenti e farine, le Fornaie, le Tessitrici e Ricamatrici o Maestre da Deda, le Infermiere, le Ortolane, leLavanderee le Gallinareche avevano l’incarico fra l’altro di gestire “le onoranze-tributi” che giungevano periodicamente al Monastero dalle Campagne della Terraferma alle scadenze calendariali stabilite: a Ognissanti arrivavano ogni anno 130 oche da Zelarino, Spinea, Zerman e Piove di Sacco; a Natale: il Monastero veniva rifornito di Capponi; a Carnevale: di nuove Galline; a Pasqua di: uova e formaggio; alla Madonna d’Agosto arrivavano i polli ... Le Monache facevano ingrassare le bestie in appositi pollai, curavano le covate, e rifornivano i mercati e le botteghe del Sestiere di Castello e delle Contrade limitrofe.


Anche la Festa delle Obbedienzeera una circostanza e un’altra occasione per spendere e spandere: sia la Monaca Entrante che la Monaca Uscente dall’incarico erano tenute a far regali e offrire pranzi talvolta scandalosi spendendo fino a 200 ducati in una sola volta … C’erano Monache che s’indebitavano per questo motivo, e c’erano quelle che andavano di continuo a battere cassa presso amici e parenti.


Nel 1608-1609 il Patriarca Francesco Vendramin provò a riprendere in mano il controllo di Venezia e dei suoi Monasteri dopo tre anni di “sede vacante”qualificò i Monasteri dichiarandoli per la maggior parte: “per lo più overi”, mentre circa il Sant’Annaconsigliò alle Monache anziane di visitare ogni cella dopo il suono della Campana della Notte per controllare che le Monache non condividessero le celle chiudendosi dentro con chiavistelli e serrature, né che tenessero tutta la notte candele accese nei dormitori ... Alcune Monache tenevano nascoste nelle cassapanche e nelle credenze alcune scorte di cibo e vino avanzate e prelevate dal Refettorio e le condividevano con le amiche.



Negli stessi anni s’inauguròin chiesa il Paliotto a ricamo rappresentante la Crocefissionedipinta dal padre per la Schola Granda di San Rocco eseguito da Pierina e Ottavia figlie di Jacopo Robusti il Tintoretto, entrambe Monache al Sant’Anna. Si diceva a tal proposito che Ottaviafosse diventata cieca per l’eccessivo sforzo del lavoro di ricamo … L’opera singolare veniva esposta ogni anno nei Giorni di Passione della Settimana Santa, e suscitava non poca ammirazione nei Veneziani ... Nello stesso anno ripresero gli antichi comportamenti sconvenienti e i costumi degradati delle Monache contornando il Monastero di disagio: la Serenissima fu indotta a intervenire allestendo un nuovo grosso processo in più riprese contro una quindicina di giovani Patrizi Veneziani: due Nobili Gussoni, Morosini, Tiepolo, Querini, Mocenigo, Zen, Gritti, Giustinian, Dolfin, Surian, Zorzi, Grimani: il fior fiore della Nobiltà Veneziana ... Suor Maria Isabella appartenente a illustre Famiglia Veneziana scappò via dal Chiostro del Sant’Anna su invito del NobileAgostino Gussoni: venne arrestata insieme a Suor Maria Alba Semitecolasua compagna, e dopo processo vennero consegnate al Patriarca Vendramin.... Suor Maria Alba finì alle Convertite della Giudeccadove trascorse il resto della vita non senza altre prevaricazioni, mentre i Giovani Nobili fuggirono tutti dalla Laguna e vennero condannati in contumacia a Bando Perpetuo da Venezia e da tutto il suo Dominio.


Secondo le testimonianze del processo: i Nobili erano soliti raggiungere di notte il Monastero dalla parte retrostante del Canale, ed entrati dalla porta dell’orto raggiungevano la Cantina dei Tinazzi del Sant’Anna dentro alla quale poi succedeva di tutto e di più … Da li entravano e uscivano portando le Monache in gondola in giro per Venezia ... Più abile e attivo di tutti in quel “gioco” era il Morosini che per anni aveva praticato una delle Monache fermandosi a lungo nei Parlatoi, in chiesa e dalle finestre, e aveva mandato e ricevuto regali e messi dalle Monache, e di notte faceva serenate dalle barche chiamando per nome le Monache in maniera oscena.


Nel 1611-1612: Mastro Bernardovenne accusato, incarcerato e processato ammettendo d’aver lavorato nel Sant’Annasenza permesso dei Magistrati costruendo e abbattendo muri divisori fra due celle, e riparando tetti con la sola licenza della Badessa... Nello stesso anno: Battista Garzon di un Fruttivendolo venne punito con sei mesi di carcere per essere passato in barca ubriaco di notte accanto al Monastero cantando oscenità su Suor Lucia una delle Monache.


Nel 1614 la solaspesa annuale del Sant’Anna per procurare:pane, vino, carne, uova, pesce e olio per sfamare e rifornire le 100 Monache presentinel Monasteroera di circa 800-900 ducati ... Il preventivo annuale di spesaper la vita del Monastero redatto dalla Madre Economa e dalla Madre Celleraria era di circa 6.000 ducati ... Ciascuna Monaca spesata di abiti e vitto costava circa 60 ducati (nel 1770-1773: l’intero bilancio del Monastero era sceso e constava circa 3.437 ducati annui a cui si aggiungevano circa 100 ducati degli affitti di Campagna).


Nel 1617 entrò a vivere nel Monastero di Sant’Anna come “fia a spese” la famosa Elena Tarabotti divenuta Suor Arcangela. Nata probabilmente in Parrocchia di San Giuseppe o Sant’Iseppo di Castello fra 1604 e1610, proprio nella zona del Palùo accanto al Monastero di Sant’Anna, fu tenuta a Battesimo dallo Speziale Eustachio Matrico che aveva bottega-confetteria-drogheria-farmacia “all’insegna dell’Agnus Dei” ... Elena aveva quattro fratelli di cui tre morti probabilmente in tenera età, e quattro sorelle di cui tre rimasero nubili ... Il Sant’Anna in quel triennio contò solo 5 Suore nuove vestite, mentre il vicino San Lorenzo ne ricevette 35 come il solito ... Solo in seguito il Sant’Anna arrivò ad averne pure lui 25 “Ingressi Monacali”, ma solo perché le nuove Monache appartenevano a Famiglie Nobili Decadute… Inizialmente la Badessa Elisabetta Trevisan, viste le numerose assenze in Refettorio Comune della Tarabotti, le tolse “il diritto al vino” ... Viceversa più tardi Suor Arcangela riuscì ad ottenere dal Monastero tramite la Priora Suor Maria Diana Foscoloun prestito di 213 lire ossia 5 ducati, che le riuscì di restituire a fatica entro un anno ... La “Tarabotta” già a 11 anni fu indotta a vestire l’abito da Monaca, per cui si sfogò a inveire producendo scritti accaniti contro la vita monastica: scrisse la “Tirannia paterna”, “La semplicità ingannata” e “L’Inferno Monacale”… poi passando gli anni si rassegnò al suo stato e alla sua condizione di Monaca reclusa iniziando a scrivere opere di tono e natura diverse: più favorevoli alla vita monastica. Scrisse perciò il “Paradiso monacale”, “La luce monacale”, “La via lastricata per andare in Cielo” e “Le contemplazioni dell’Anima Amante”… ma non smise mai di sottolineare e contestare le costrizioni morali a cui era costretta a vivere prigioniera del Chiostro che chiamava: “il Purgatorio delle malmaritate” o ben di peggio come ha scritto nelle sue più di 300 lettere … Un bel tipino di Monaca insomma.


L’anno seguente Piero Da Mostovenne processato dai Provveditori Sopra i Monasteri perché durante le feste di Pasqua aveva portato in barca a cenare due straniere di notte: aveva comprato 10-12 sgombri e altro pesce, e s’era proposto d’andare a trovare insieme a sua sorella vedova una zia Monaca nel Sant’Annache non vedeva da diversi anni: “… e così mandai un servitor in terra colla sessola piena di pesse a far reverentia a Suor Cherubina da Ca’ Da Mosto pregandola che facesse cucinare il pesce …”


Suor Cherubina vedendo la sorella chiese che sbarcasse ma mancando a questa le scarpe decisero di andare con la barca lungo il canale che circondava le Cantine del Monastero: “… e così andassimo dove venne detta nostra ameda e due mie zermane, e Suor Nicolosa da Cà Foscarini, e Suor Costantina da Cà Zorzi colle quali la ragionò.”… Il gruppo familiare si diverti per un quarto d’ora finchè intervenne un agente dei Provveditorida Comun che pattugliava la zona, per cui tutto terminò senza pesce cotto e con una dura reprimenda.


Era il tempo del Patriarca Giovanni Tiepolo che scrisse al Doge delle concittadine Veneziane ridotte: “… a tale ristrettezza che mancandole il necessario cibo, dovevano pascersi solo di lagrime ed affanni …” Il governo rispose che molti Monasteri erano opulenti pur ammettendone la decadenza economica:“… il molto bisogno, i molti debiti per le spese delle fabbriche e per loro urgenti necessità… attribuibili a disordini amministrativi e numerosi crediti inesigiti ...”


E giunsero gli anni ’20 del 1600: quelli della grande Pestilenza dellaMadonna della Salute: il morbo dimezzò i Veneziani e metà egli isolani della Laguna… Altro che il Coronavirus ! più di 50.000 Morti solo a Venezia e Laguna … Il Monastero di Sant’Anna in quello stesso tempo spendeva 222 ducati annui per comprare vino di qualità per le più di 40 Monache Professeche lo abitavano insieme ad altre 9 Monache Converse e le 8 “Fie a spese”… La Badessa Regina Rossi spendeva annualmente: 36 ducati e 6 soldi, compresa la spesa dei buzzoladi e delle frittole da distribuire dentro e fuori del Monastero il giorno della Festa della Patrona MadonnaSant’Anna.


Le Monache tuttavia “cambiavano il pelo ma non il vizio”: se ne calmava e quietava una, ma subito dopo se ne attivava in esuberanza e trasgressione un’altra o più di una … Dal 1625 e fino al 1638 si trascinarono a processo a ripetizione altre Monache del Sant’Anna: “per frequenza in Parlatorio di un Prete, di un Ebreo e di un secolare con varie visite” ... “per pratica scandalosa con una Suora e un Reverendissimo. e per visite in Parlatorio di un Patrizio”“per visite in Parlatorio e discorsi scandalosi con Converse di un Prete”... “per visite di un Patrizio nei Parlatori” ... e via così …


Civico e Religioso persero la pazienza: tutto venne disfatto e raso al suolo un’altra volta.




Nel 1634 la chiesa del Sant’Anna venne rifabbricata ad unica aula-navata con soffitto a scomparti adorno di quindici tele con ovale al centro, e riconsacrata nel luglio 1659 ... Nel 1631 la Cappella Maggiore: corpo di fabbrica appoggiato alla struttura principale della chiesa venne eretta e decorata a spese delle quattro Maestranze dell'Arsenalecome recitava un’epigrafe in pietra collocata a memoria sulla parete di fondo: “Questa Capela et Altar fu fato per voto delle Maestranze dell’Arsenal, nel tempo della Peste, delli loro beni, l’anno MDCXXXI … Marangoni, Calafai, Remeri e Segadori.”… Immaginatevi l’ampia struttura con l’ingresso principale sulla Fondamenta di Sant’Anna da dove si svilupparono due ali col Chiostro porticato e l’Orologio sormontato da un campaniletto a vela, ampio cortile, Parlatori, Dormitori Vecchi (comuni per le Educande) al primo piano, e Nuovi (celle singole per le Monache) al secondo piano, Foresteria, Refettorio, Cucina e Dispense, stanza da Forno e Pane, Cantine e orti retrostanti ...



Ecco in breve alcuni documenti che scandiscono gli eventi del Sant’Anna di Castello in quegli anni: “Mercoledì 16 agosto 1634 nel Claustro (chiostro) del Monastero dei Molto Reverendi Padri di San Domenico di Castello si ridusse (radunò) il Capitolo de Calafati della Casa dell’Arsenal con licenza dell’Illustrissimi Signori Giustizieri Vecchi … Oltre al Nodaro, presenti i testimoni Domenico Francesco Zotti quondam Marci e Domino Antonio Tiraoro quondam Marci …”


“Il 07 settembre dello stesso anno nella chiesa di San Martino di Castello di ridusse il Capitolo dei Marangoni della Casa dell’Arsenal  che discussero, ballottarono (balle 81 a favore e 25 contrarie), approvarono e ratificarono alla presenza del Proto dei Calafati Domino Jacobo Grassi e del Calafato Domino Johanne quondam Thomae …”


“Venerdì 15 settembre 1634 in Arsenale nella Sala dei Remeri nel luogo chiamato Consiglio, si ridusse il Capitolo dei Remeri della Casa dell’Arsenale fu proposto, mandato a parte e balotato con balle 45 a favore e una contraria.”


“Venerdì 28 settembre 1635 in occasione della Peste comparvero davanti all’Eminentissimo ac Reverendissimo … Cardinale Sancti Sacra Romana Ecclesia Presbitero Cornelio Patriarca … il Magnifico Domino Pascalinus Vice, Jacobus de Grassi Protus e Alexander Salavlinus a nome dei Confratri del Capitolo Marangoni, Calafati, Remadori e Segadori della Casa dell’Arsenale di Venezia chiedendo di fare una Cappella e Altare a spese delle delle Maestranze dell’Arsenale presso la chiesa di Sant’Anna dove ogni seconda domenica del mese far cantare una Messa Solenne con Processione secondo l’uso della vicina chiesa di San Domenico in occasione della Santissima Vergine del Rosario … Cercata e contattata la Reverendissima Madre Abbadessa e le Reverendissime Monache con patti che dovranno essere inviolabilmente osservati … Né possino dette Madri o successori variare i muri di tale Cappella, né far depositi (tombe) di sorta alcuna … il tutto inteso dalla Reverendissima Abbadessa et Molto Reverende Monache di esso Monastero redotte nel loro Capitolo a suon di campanella justa l’ordinario al qual intervennero la molto Rev. Madre Suor Gabriella Marcello Abbadessa, la Molto Reverenda Madre Suor Cherubina Mosto Priora, la Molto Reverenda Madre Suor Orsetta Foscolo, Suor Maddalena Diana Foscolo, et Suor Celestina Trevisan Camerlenghe, et Molto Reverende Madri: Suor Candida, Suor Nicolosa, Suor Perina, Suor Marina, Suor Ottavia, Suor Giulia, Suor Vittoria, Suor Claretta, Suor Lugrezia, Suor Francesca, SuorSerafina, Suor Olimpia, Suor Virginia, Suor Clementia, Suor Maria, Suor Stella, Suor giulia, Suor Colombina, Suor Elena, Suor Claudia, Suor Lucietta, Suor Giacinta, Suor Regina, Suor Arcangela, Suor Maria Felice, Suor Maddalena Celeste, Suor Degnamerita, Suor Barbara, Suor Prudenzia, Suor Lodovica, Suor Laura, Suor Caterina, Suor Maria et Suor Cecilia tutte Professe del detto Monastero et quello la maggior parte rappresentano … facendo la licenza del Reverendissimo Monsignor Zorzi Polacco Vicario Generale delle Monache dal quale hanno avuto licenza e colla presenza et intervento dell’Illustrissimo Signor Alvise Mocenigo Primo Procuratore di dette Molto Reverende Madri hanno concesso alle dette Maestranze luoco per far Cappella et Altare … Di più siano obbligati detti Intervenienti dar per ricognizione di tal concessione di tal concessione alle dette Molto Reverende Madri ogn’anno alla Festa di Sant’Anna: doi miri d’oglio principiando dal giorno che sarà cantata la prima Messa nella loro Cappelle ... Inoltre obbligandosi le dette Molto Reverende Madre di darli a detti intervenienti molto devoti numero doi Reliquie acciò possano decorare detto Altare …”


Nello stesso 1635 la Nobile Famiglia Albertini Giusto quondam Francesco donò 200 ducati alle Monache di Sant’Anna per contribuire a ricostruire e abbellire ancora una volta Chiesa e Monastero … Nel 1659 si collocò un’altra lapide sulla porta laterale della chiesa di Sant’Anna, che recitava:“Nel Pontificato di Urbano VIII, Doge Francesco Erizzo, Patriarca Federico Corner, Badessa Domina Gabriela Marcello si riedificò questo Tempio con le limosine del Publico et de Privati autrice la suddetta Abbadessa quale ne ebbe particolar cura et sempre sopra intese alla fabrica agiutata da sua nepote Domina Barbara Marcello ... Li Procuratori et massimi Benefattori che concorsero ad opera si pia con il dinaro et con opera furono gli Illustrissimi et Eccellentissimi Signori Carlo Contarini fu Principe Antonio Da Canal, Don Giustinian Martinoni et li Signori Francesco et fratelli Nichetti, Tommaso Canal, Giovanimaria Pugliol et fratelli Trevisan, Giusto Albertini, e Gasparo della Chiesa ... La Madre Suor Paola Bonardini faccendiera che mai cessò d’impiegarsi et di operare per vedere terminata questa fabbrica sha fare del suo proprio questa memoria in segno di gratitudine verso così pii et caritativi Signori nell’anno MDCLIX.”


Il più era fatto … e le Monache del Sant’Annaripresero a litigare fra loro per motivi di “… precedenza nelle file, nel Coro e nelle Processioni …”


Beh ? … finchè era per quello ?




Nel gran casino della vita disordinata delle Monache di metà e fine 1500, quando la Serenissima provvide ad abbattere tutto compreso la chiesa: “andò a remengo e venne indirettamente soppressa” anche l’attività e la reputazione delle consociazioni delle Schole d’Arte, Mestiere e Devozione ospitate nella stessa chiesa e Monastero delle Monache ... Già nel 1562, in verità, era accaduta una vera e propria piccola rivoluzione in chiesa: erano naufragate tutte le singole Scholepresenti: quasi tutti gli iscritti s’erano tirati fuori da quel caos così imperante in quell’angolo di Venezia … C’era sempre subbuglio, un accorrere di Clero e Fanti del Governo … Non era vita pacifica quella: non si poteva godere di tranquillo e produttivo associazionismo … Un po’ più tardi però si trovò la soluzione giusta: cioè si decise d’aggregare e fondere insieme le Schole presenti a Sant’Anna sebbene appartenenti ad attività del tutto eterogenee fra loro.


Fu così che sull’onda di quella decisione tardo cinquecentesca, ancora nel maggio 1620 si fusero e riunirono fra loro riprendendo vita, entusiasmo e attività e stendendo una nuova Mariegola: i Devoti rimasti dell’Antica Schola di Sant’Anna, quelli della Schola delle Maestranze dell’Arsenale che riuniva:Marangoni da Nave, Calafai, Remeri e Segadori(molti dei quali s’erano comunque dissociati andando ad aprire nuove Schole e Sovegni in altri luoghi della città coinvolgendo anche titolari della Magistratura dei Patroni e dei Proti dell'Arsenale), e infine: gli iscritti-Confratelli della Scholadegli Spizieri da Grosso di San Gottardo provenienti dalla Contrada di Sant’Aponal di Rialto dall’altra parte della città.


L’Antica Schola di Devozione di Sant’Anna risalente agli inizi del 1300 aveva steso regolare Mariegoladove nel 1360 aveva annotato perfino i nomi dei 4-5 Sonadori che avevano allietato la Festa della Patrona: “Lucha dal organo e Negro trombadòr furono obbligati a suonare a le Feste de Sancta Anna” ...  Solitamente la Schola associare una media di 180 iscritti di cui circa 73 erano Nobili, 71 Arsenalotti, 72 Tessili, 15 fungevano da Ufficiali della Banca della Schola (l’organo direttivo della Fradia-Fraglia-Confraternita-Corporazione), e uno operava da Nònsolo.


Curioso notare la composizione di un campione di 118 iscritti del 1308:  3 iscritti esercitavano la professione di Venditori di beni di lusso, libri, gioielli, arte e musica; 2 erano Bottegai che vendevano alimentari e spezie; 10 lavoravano in Arsenale come Marinai o Barcaioli; 11 erano Tessili;  5 Calzolaicioè Calegheri;4 rifornivano di vettovaglie e vino; 5 erano Costruttori Edili, Mureri e Arredatori; 3 lavoravano legno e metallo; 1 vendeva casalinghi; 3 erano Barbiere, Cirusico e Dentista ... Di tutti questi: 94 erano residenti nel circostante Sestiere di Castello; 31 provenivano dal vicino Sestiere di San Marco; 22 venivano da Cannaregio; 8 da Dorsoduro; 2 da San Polo; 1 da Santa Croce e altri 5 dalle Isole Lagunari: insomma in quella forma aggregativa era coinvolta ogni parte e classe sociale della città.



Ciascun iscritto della Schola di Sant’Anna era tenuto a pagare una tassa annuale di Benintradadi 6 grossi per i maschi e 12 grossi per le femmine (poco gradite); si pagava inoltre una seconda tassa di Luminaria di 6 grossi per poter usufruire come da Statuto di candele da 4 libbre ciascuna per le cerimonie funebri, della Candela Benedetta annuale, della Candela da tenere accesa nelle Processioni dei Giorni Ordinati, e durante la Lettura del Vangelo e all’Elevazione di ogni Messa ... Ad ogni adunanza a cui partecipavano i Soci-Confrati riunendosi in Capitolo, cioè ad ogni “Levar Tolella o Toletta”(l’etichetta in legno col proprio nome che andava inserita in un apposito registro dei presenti appeso al muro) si dovevano pagare altri:8 soldi i maschi, e 6 soldi le femmine, mentre durante la partecipazione obbligatoria ai Funerali detti “Corpi” ogni singolo Confratello/Consorella doveva offrire ulteriori 4 soldi di piccoli i maschi, mentre le femmine erano esonerate dal versamento ... Tutti erano tenuti a versare saltuariamente un Supplementodi 4 piccoli secondo le necessità e le richieste della Schola.

Insomma: partecipare alla vita e alle attività associative della Schola era un vero e proprio grosso impegno di tempo, e anche un investimento economico: una spesa continua non indifferente che dava però in cambio assistenza economica e professionale, una rozza forma di previdenza antelitteram, la garanzia di un Funerale dignitoso con l’aiuto ai superstiti, e perché no ? ... anche occasioni di svago e aggregazione spirituale insieme a qualche bisboccia.


La seconda Schola aggregata nella ricostruita Sant’Anna fu quella delle Quattro Maestranze dell’Arsenale unite insieme: Sant’Elisabetta dei Marangoni da Nave, i Santi Marco e Foca dei Calafati, San Bartolomeo dei Remeri e Sant’Isidoro dei Segadori. Pur avendo subito anche loro una notevole flessione degli iscritti, anche per colpa delle sorti dell’attività della Caxa dell’Arsenal, furono loro a fungere da protagonisti nella situazione: si riunirono in Capitolo provvisoriamente nella chiesa della Contrada di San Silvestro di Rialtoche accettò di ospitarli temporaneamente, e approvarono all’unanimità l’idea d’essere coinvolti nella ricostruzione della chiesa di Sant’Anna optando a favore per la spesa di costruire un pulpito per la nuova chiesa, ma anche di pagare la costruzione di un nuovo sontuoso Altare Maggiore-Cappellaadatto alle attività della Schola: Sul nuovo Altare dovrò essere posta una pala che raffigurerò i nostri Santi Protettori”… e già che c’erano, deliberarono anche circa quella che doveva essere l’ammontare della spesa massima per celebrare dignitosamente la futura Festa annuale dei Santi Gioacchino e Anna Patroni della Schola Nova.




La terza Schola che si assimilò fondendosi nella Nova Schola dei Santi Giacchino e Anna fu quella della declinante Arte e Schola degli Spizieri da Grosso che così riprese vigore e consistenza. Gli Spezieri da Grosso erano una delle Arti Veneziane più antiche: riconosciuta già come “Dogale”da Renier Zen che ne promulgò gli Statuta aboservanda a Medici set Spetiariis Inclitae Repubblicae Venetiae” nel 1259 divenendo riferimento per tutta Europa.

La Schola-Arte dei Spizieri da Grosso si distaccò e distinse quasi subito dagliSpizieri da Medicina cioè i Farmacistiraggruppando insieme“l’Università” (cioè la categoria professionale) dei:Confettieri, Droghieri, Venditori di Cera da lume e di Cera lavorata, Raffinatori di Zucchero, e Fabbricatori di Mandorle Dolci.


Inizialmente gli Spizieri da Grosso s’erano fatti ospitare come Schola nella chiesa della Contrada di San Mattio di Rialto da cui però scapparono ben presto in quanto: “… la Contrada di San Mattio aveva dintorni turpissimi e scandalosi pieni di persone disoneste, e c’erano numerose prostitute che sostavano nei paraggi giorno e notte … clima poco adatto per gli scopi della Schola.”… S’erano allora rifugiati nella chiesa della vicina Contrada di Sant’Aponal qualche centinaio di metri più in là verso Campo San Polo ... Lì avevano trovato tranquillità e avevano rinnovato la Schola e un po’ tutto trasformandosi nella Schola di San Gottardo dei Mandoleri e Spizieri che rimase ospite là fino al 1674 quando avvennero contrasti col Clero della Collegiata dei Preti per via di eccessive pretese di emolumenti da parte loro … Gli Spizieri da Grosso allora si divisero dall’Arte dei Mandoleri che contavano circa 231 iscritti sparsi per tutta Venezia: 173 CapiMastri, 30 Garzoni e 28 Lavoranti venditori al minuto e all'ingrosso di Mandorle, vari tipi di frutta secca e Olio di Mandorle, e si trasferirono nuovamente finendo dalle Monache di Sant’Anna di Castello.


Ancora nel 1773 gli Spizieri da Grosso contavano 77 CapiMastri,42 Garzoni e 71 Lavoranti attivi in 90 botteghe sparse per tutta Venezia (di cui 20 dei Droghieri che erano: 63: 20 CapiMastri, 19 Garzoni e 24 Uomini a salario), mentre le Raffinerie di Zucchero a Venezia erano 4-5: tre in Contrada de San Canzian, una in quella di San Marcillian e una a San Cassiangestite da 4 CapiMastri, 6 Garzoni e 31 Salariati-Lavoranti ... Già nel 1366 la Nobile Famiglia Corner di San Lucas’era arricchita prestando soldi a Re Pietro I di Lusignano divenendo  concessionaria di territori nel Distretto di Piscopia Cretache coltivarono a Canna da Zucchero utilizzando schiavi e servi e coltivatori dipendenti, costruendo molini con cui spremere la canna trasformandola industrialmente in succhi, e portando da Venezia due colossali caldaie in rame per far bollire e raffinare lo Zucchero.



Ogni Raffineria da Zucchero ricava ogni giorno 1000 libbre di Zucchero dalla cui deposizione si formava “il mielazzo”. Inizialmente lo Zucchero non aveva sostituito il Miele nell’uso comune, e veniva utilizzato soprattutto per la Farmacopea importandolo in grosse quantità da Cipro e da altre regioni del Mediterraneo … A Venezia si usava depurare lo Zucchero mescolandolo con uova, scolandolo attraverso tela, separando feccia dal puro, e filtrandolo in stampi dopo rimestolatura a fuoco … I Consociati delle Arti pagavano una tassa alla Serenissima per ogni bottega, e ne versavano un’altra per poter armare la Repubblica in caso di necessità ... La Schola dell’Arte-Mestiere dei Confettieri o Spezieri da Grosso, cioè Fabricanti e Venditori di Confetti e Confetture era aperta a chi era figlio di CapoMastro della stessa Arte, o a chi aveva praticato già in città per almeno 5 anni l’attività da Raffinador de Sùcaro(zucchero), Speciere da Grosso, Cerere, Doghiere, o Fabbricatore d’Oglio di Mandorle Dolci, elavorava e preparava dolci e dolcetti ricoperti di Zucchero, Miele, Mandorle, Pinoli, Anici, Coriandoli, Cedri e Pere. Preparavano anche confetture, e aggregavano i lavoratori della cera famosi per l'abilità con cui sapevano riprodurre imitazioni in qualsiasi misura di qualsiasi frutto, ma anche d’intere scene, paesaggi, favole, miti, volti, storie e personaggi in maniera così verosimile da sembrare veri. Il loro mercato era vastissimo ed erano richiestissimi per abbellire banchetti, cerimonie e particolari ricorrenze. Agli Spitieri da Grosso la Serenissimaaveva proibito d’acquistare fuori Venezia la materia prima da lavorare, eccetto lo zucchero che veniva poi trattato con Essenza di Violettae Acqua di Rose ... Curiosità: nonostante Venezia venisse detta “la Drogheria d’Europa” per via soprattutto del Mercato delle Spezie, nel 1540 Anversa contava già 19 Raffinerie da Zucchero, cioè molte di più di Venezia.


Secondo una Tabella di Mestieredel 1574, gli Spizieri da Grosso si curavano di:“… Eleutari, Rabarbaro, Mana, Cassia, Scamonia falsa et altre simili false, rancide, vecchie, pessime e non sufficienti, Peppe d’India, caselle di Gradamono, Terra gialla, scorzi di Noci Moscate … Biscotto pesto e farina d’Amito non possano esser tenute in luogo alcuno sotto verun pretesto né meno in minima qualtità ... Pepe Rosso montan affatto proibito eccetto nelle Speciarie Medicinali, in pena perdita et incendio robbe e di ducati 50 grossi.”




La ricostruzione della nuova Chiesa e Monastero di Sant’Anna andarono per le lunghe: nel 1630, sempre in tempo di Peste, si stava ancora decidendo e progettando … Quattro anni dopo iniziarono i lavori che si prolungarono fino al 1659 sotto la direzione dell’Architetto Francesco Contin. La Chiesa Nova col Convento delle Monache di Sant’Anna vennero solennemente consacrati il seguente 6 luglio ... Nel frattempo, nel 1636, il Senato Venetoautorizzò la Nuova Schola di potersi edificare sulle fondamenta del vecchio Monastero demolito una nuova sede: "… nell'ultima parte del Rio, nel proprio recinto, vicino (addossata) alla Cjesia Nova"... La nuova sede della Schola era suddivisa al suo interno in due "soleri"(piani): quello superiore dove c’era la Sala Capitolare col proprio altare, e quello inferire con la Sala dell'Albergo e un altro altare ... Tutto fu costruito, terminato, pronto e agibile l'anno seguente, e la Nuova Schola venne arredata e abbellita a spese dei Confratelli con numerose pale e opere d’Arte.



Nell'aprile 1674 versando un ducato a testa, e con la successiva approvazione ufficiale dei Proveditori da Comun, quelli dell'Arte degli Spitieri da Grosso “vennero armoniosamente incorporati” nella Schola dei Santi Gioachin e Anna accogliendoli anche nel principale organo amministrativo della Banca”.  

Noterella: nella stessa chiesa di Sant’Anna era attivo per conto suo fin dallo stesso luglio 1636 anche un piccolo Sovegno della Madonna di Loreto che celebrava per i fatti suoi la sua Festa Patronale annuale ogni 10 dicembre … Non era l’unico a Venezia nel suo “genere”: esistevano Scholettesimili anche in Contrada di San Giacomo dell’Orio, e nella Santo Stefano dei Frati Eremitani.


Nel 1642-50 si contavano nel Sant’Anna: 38 Monache Professe, 16 Monache Converse e 13-15 “fie a spese” o Educande ... Curiosa la situazione di quelle “fie a spese” che di solito erano ragazze abbienti i cui familiari inducevano le “vecchie zie Monache”(spesso sorelle dei padri protettive come madri), cioè le Madri Maestre attraverso regalie, denaro, doti onerose e favori a spingere le giovani figlie a farsi Monache prospettando loro una vita tutta di comodità, soavità e dolcezza: “allettanti giochi, disobbligo dal lavoro, lauti pranzi e colazioni di buona cucina, divertimenti, canti e balli ed evasioni in maschera cioè il miraggio di una vita d’estrema libertà e agiatezza”.




Da questo non corrispondendo poi nella realtà le promesse fatte a quelle giovani donne, il passo a transigere verso scelte e abitudini libertine da Cortigiane era davvero brevissimo.

Il Sant’Anna delle Benedettineaveva fama di possedere buone entrate, e per questo riceveva poche elemosine dai Veneziani ... I Monasteri delle Vergini Agostiniane, San Lorenzo e San Zaccaria delle Monache Nere Benedettine nel Sestiere di Castello, e quelli delle Benedettine dei Santi Cosma e Damiano e dei Santi Biagio e Catoldo della Giudecca erano esclusi dal Senatodall’elenco delle donazioni Pasquali annuali di grano in quanto ricchi e non considerati bisognosi ... Il Sant’Anna, viceversa, avendo quel numero di Monache Professe, Converse e “Fie a spese” non del tutto agiate da mantenere riceveva 7 staia di frumento, mentre il vicino Monastero delle Agostiniane di Sant’Iseppo con 65 Monache Professe riceveva 20 staia di grano … Il San Sepolcro delle 55 Francescane Professe sulla Riva degli Schiavoni riceveva, infine, 36 staia di grano essendo considerato fra i 4 più poveri di Venezia insieme al Santa Maria Maggiore e il Santa Croce delle Francescane e il poverissimo Miracolidelle Clarisse di Cannaregio ... A metà strada dal punto di vista economico stavano il Santa Chiara delle Clarisse della Zirada che aveva 43 Monache Professe; il San Daniele delle Canonichesse Bianche di Castello che contava 41 Professe; il Santa Giustinadelle Agostinianedi Castello che aveva 19 Professe; il Sant’Alvise delle Agostiniane di Cannaregio con 56 Professe; il San Gerolamo delle Monache Gerolomine di Cannaregio: 52 Professe; il Santa Caterina delle Agostiniane: 56 Professe … Tutti questi ricevevano 2 staia di grano ciascuno ... Allo Spirito Santo delle Agostiniane sulle Zatterecon 36 Professe la Serenissima dava 20 staia di grano come alle Convertite della Giudecca che ricevevano però diverse regalie prima di Pasqua per via della loro estrema povertà, insieme a 200 staia di frumento e 300 ducati di buona valuta.


Questo per dirvi un quadretto Veneziano d’insieme …


Il 10 marzo 1683 Suor Maria Catterina Bellotto Badessa del Monastero dei Miracoli del Sestiere di Cannaregio rilasciò ricevuta per il versamento di 25 ducati in elemosina “al povero Monastero” da parte del Musicho Pietro Basadonna  condannato a una multa, pena il Bando da Venezia, per non essersi presentato alle Prigioni dei Capi del Consiglio dei Dieci in quanto accusato d’aver suonato senza permesso e dopo le ore concesse nella sera dell’Epifania a Sant’Iseppo di Castello e a Sant’Anna“… insieme al Musicho Don Paulo che suonava corneto e violin, un altro col basso, e un altro a suonar la tromba.” ... Insomma: una vera e propria serenata per le Monache dei due Monasteri Castellani … Continuava la solita solfa degli amoreggiamenti in quanto non s’era affatto risolto il problema alla radice.




Le Monache del Sant’Anna, intanto, s’ingegnavano e s’inventavano di tutto per far tornare i conti economici e rimpinguare le casse a volte esaurite del Monastero ... Fra la fine del 1600 e l’inizio del 1700 le Monache incrementarono ulteriormente la loro raccolta di prestigiose Sacre Reliquie (di San Benedetto, di San Simone Apostolo, Sant’Antonio da Padova) ricevendone in dono diverse altre capaci di captare l’attenzione dei Devoti Venezianie soprattutto la loro benevolenza elemosiniera verso il Monastero. Dicono le minute cronache: “… il Cardinale di Carpineo e la Principessa Maria Ottoboni donarono alla NobilDonna Giulia Priuli Monaca al Sant’Anna la Santa Testa della Vergine e Martire Santa Lucilla appena estratta dal Cimitero di Callisto a Roma, e la Santa Gamba di San Teodoro Martire estratta dal Catacomba Romana di Calipodio … il Padre Gesuita Antonio Soffietti donò alla Nobildonna Monca Suora Daniela la pregevolissima Reliquia dei Santi Martiri Massima, Secondo e Venusta appena estratta dal Cimitero di Lucina, mentre il Padre Paolo Giudici dell’Ordine dei Paolotti di San Francesco di Paola diede alle Monache del Sant’Anna  preziose Reliquie di San Francesco di Paola.”... Per altra via nell’agosto 1739 le stesse Monache del Sant’Anna chiesero con numerosi contrasti durati anni senza ottenere soddisfazione, d’essere esentata dalle tasse da pagare al Cleroper i loro 240 campi e ½ da cui erano già state parzialmente esentate, o non avevano mai contribuito del tutto … Il Patriarca di Venezia fu irremovibile: le Monache dovevano pagare le Decime al Clero.




Ancora nel 1747-1765, quasi allo scader della vita e della Storia della Repubblica Serenissima, le Monache di Sant’Anna su scritture e perizie dei Proto Giovanni Scalfarotto e Paolo Rossi diedero mandato per spendere altri 22.000 ducati per abbellire e ampliare ulteriormente il loro Monastero modificandone i muri perimetrali ... Nel settembre 1756 l’Architetto Tommaso Temanzarilasciò un’altra perizia per restaurare il Coro delle Monache per una spesa di 465 ducati ... Nello stesso anno i Notatori del Gradenigoraccontano della Monaca Camerlenga del Sant’Anna Donna Maria Teresa Martinelli che a proprie spese pagò 450 ducati per far apporre nella chiesa una nuova grata di ferro dorato disegnata da Giovanni Grevenbroch,realizzata dal Fabbro Bernardo Rusconi e dall’Indorador Vincenzo Rosa… All’inizio del 1766 un’apposita “terminazione”dei Magistrati Veneziani diede facoltà al Provveditore di Sant’Anna di prelevare i 100 ducati della Dote Monacaledella donzella Anastasia Filippo depositati nel Deposito Novissimoper sanare un debito dei restauri del Monastero contratto con la ditta di Domenico Gaetano Brunello ... Nello stesso tempo le Monache chiesero ai Gastaldi delle Quattro Arti delle Maestranze dell’Arsenale ancora ospitate in chiesa di accettare due brazaletti dorati da apporre nella loro Cappella e di far fare in cambio una seconda lampada d’ottone: le Arti degli Arsenalotti accettarono.




Nel 1773 gli Spitieri da Confetti della Schola di Sant’Anna annoveravano fra le loro fila: 77 CapiMaestri, 42 Garzoni e 71 lavoranti attivi in 84 botteghe sparse per tutta Venezia ... I Cereri, invece, contavano: 16 CapiMaestri, 19 Garzoni e 103 Lavoranti a salario impegnati in 16 Cererie ... Gli Spitieri da Grosso avevano: 20 CapiMaestri, 19 Garzoni e 20 Lavoranti a salario distribuiti in 20 botteghe ... Infine i Rafinadori da Sùcaroerano diventati pochi, cioè: 4 CapiMaestri, 6 Garzoni e 31 Lavoranti impegnati in 4 raffinerie ... Gli Spizieri stavano prevalendo all’interno della vita della Schola … Infatti nel 1785 i Proveditori da Comun considerarono la Schola de Sant’Anna e San Gioachinde Castèo come coincidente con quella dei Spizieri: le Maestranze dell’Arsenale l’avevano di fatto abbandonata.


Qualche anno dopo lo stesso Monastero considerato malandato dalle Monache venne nuovamente soggetto a restauri rifacendo il chiostro contrattando: “Domenico e Gaetano Brunelli Pubblici Periti e Architetti diligentissimi”… Le Monache però si trovarono nell’impossibilità di pagare la spesa di 47.465 Lire Venete dovuta ai lavori di ripristino eseguiti ... I Magistrati diedero allora di nuovo facoltà di prelevare dal Deposito Nuovissimo altri denari delle “Doti Spirituali delle Signore Monache”: si usarono i soldi depositati di Suor Clara Maria Filippi e delle Suore Margherita e Pasqua Santelloper pagare i debiti contratti per i restauri ... Non furono sufficienti, per cui ne nacque una lite con gli imprenditori della Ditta Brunello che si protrasse a lungo e si risolse solo nel 1784 quando i Provveditori ai Monastericonsentirono di nuovo alle Monache di eseguire ulteriori Prelievi Dotalidalla Zecca di San Marco pagando il dovuto a rate.


E arrivarono i Francesi col “luminoso”quanto buio e devastante napoleone …




Fatalità ? … Corsi e ricorsi storici … Nel 1806, dopo che le Monache Benedettine di San Giovanni in Lateranoerano state concentrate proprio presso il Sant’Anna, lo stesso Monastero con le sue 10 Monache Professe e 13 Converse fu il primo fra quelli Veneziani ad essere chiuso e soppresso definitivamente secondo le indicazioni date dallo stesso napoleone ... Un po’ tristi le vicende finali delle Monache di San Giovanni in Laterano ospitate in modo coatto al Sant’Anna: nel 1797 Maria Luigia Ruzzini iniziò a maggio il suo mandato triennale di Badessa votata dalle altre 7 Consorelle presenti: Contarina, Pisani, Anna e Lucrezia Frari, Antonia Valatelli, Maria Morosini ... quasi tutte Nobili come sempre …anche se la Nobiltà a Venezia era ormai agonizzante … Il mese seguente si tenne l’ultimo Capitolo della storia del Monastero accogliendo fra loro la Cittadina Antonia Giorda... A luglio la stessa Badessa fu costretta a consegnare biancheria ai militari: “6 paia di lenzuola, 12 intimele, 12 sugamani, 24 tovaglioli per le truppe Francesi acquartierate nell’ex Monastero di Santa Maria dei Servi di Cannaregio” ... In autunno nel Monastero morì di tubercolosi l’ultima Monaca di 83 anni che venne sepolta lì nel giardino del Monastero ... Quindi ci fu l’atto della chiusura definitiva del Monastero con cui vennero trasferite altrove le 8 Monache Coriste Professe e le 14 Monache Converse ridotte alla fame: in ottobre la Deputazione alle Istituzioni della Casa Patria aveva inviato 620 Lire urgenti alle Monache del Sant’Anna per provvedere per qualche giorno alla loro sopravvivenza in quanto non avevano nulla da mangiare ... Erano quelle stesse Monache Benedettine del Sant’Anna che avevano fatto così tanto parlare di se lungo la Storia di Venezia… Vennero tutte 31 private di ogni cosa, caricate in gondola, e traslocate così com’erano vestite senza null’altro al seguito presso il vicino Monastero di San Lorenzo di Castello ... La storia del Sant’Anna era finita, e la chiesa venne completamente spogliata di ogni arredo, e demolito il campanile ... La Schola di Sant’Annaseguì la stessa sorte del complesso religioso di Sant’Anna: venne soppressa, e i suoi beni avocati e incamerati dal Demanio Militare, e la sede presto demolita.




Tre anni dopo l’ormai ex Monastero di Sant’Anna venne adibito a scuola gratuita per 136 Cadetti e Macchinisti della Marina(36 Pensionanti, e 100 Aspiranti fra i 12 e 16 anni con 5 anni di studio prima dell’imbarco), e la chiesa trasformata in palestra … Gli altari e il pavimento vennero impiegati per riaprire al culto la chiesa di San Biagio dei Forni sulla Riva degli Schiavoni regalata pure lei alla Marina e svuotata di tutto ... Il quadro: “La Vergine col Bambino e Santa Caterina” di Scuola Veneta venne prelevato dall’ex Monastero di Sant’Anna e depositato prima nella Commenda dell’Ordine di Malta, poi a Palazzo Ducale, e infine all’Accademia, mentre presero la strada di Brera a Milano: “altri quadri bislunghi Tiepoleschi di Santi e Sante Benedettini”, e la “Pala del Beato Lorenzo Giustiniani” cioè il dipinto di Michiel Nallingher: “San Lorenzo Giustiniani appare alla Badessa Beata Nicolosa”, che stava nel Parlatoriodel Sant’Anna accanto al finestrone delle Monache.



Sembra che alla stessa Pinacoteca di Milano siano confluite anche la maggior parte delle altre opere e teleri che arredavano la chiesa di Sant’Anna: la pala dell’Altare della Schola dei Speziali Confettieri da Grosso che rappresentava il loro protettore: “La Trinità con la Vergine, un Angelo e i Santi Gioacchino e Anna” realizzata da Domenico Tintoretto… il parapetto dell’organo dipinto con: la “Nascita di Gesù” nel mezzo, e l’“Annunciazione” dalle  parti; le Portelle d’Organo dipinte da Pietro Vecchia con “fuori”: la “Nascita di Maria” e “dentro”: la ”Morte di San Giuseppe” e lo “Sposalizio di Maria”… e poi ancora: un quadro del soffitto rappresentante: “San Giovanni Battista che predica nel deserto”… la pala dell’Altar Maggiore dipinta da Bartolomeo Scaligero con: “Padre Eterno, Gesù e la Vergine, Sant’Anna, San Marco, San Nicolò, San Giovanni Battista e un’infinità di Santi e Angeli”… la pala collocata a destra dell’Altar Maggiore commissionata a GiovanBattista Lorenzetti dalle Maestranze dell’Arsenale con: “La Peste a Venezia nel 1630 con Gesù, la Vergine, Sant’Anna, i Santi antipeste San Rocco e San Sebastiano e San Lorenzo Giustiniani”… il bel soffitto di Francesco Ruschi con rappresentate: “Le 14 Parabole delle Otto Beatitudini e delle Sei Parabole di San Matteo e le Quattro doti del Corpo Beato” ... e una tavola con un “Santo Francescano” di maniera Bolognese con due altre tele di Santo Piatti collocate in fondo per uscire dalla chiesa. 


Un bel bottino no ? … altro esempio di saccheggio esercitato a Venezia dai francesi.




Nel 1847 con gli Austriaciil numero degli allievi scese a 63: ciascuno pagava una retta di 422 fiorini, e l’Imperial-Regio Governo spendeva 147.000 lire annue per pagare i 14 insegnanti, mantenere lo stabile, e organizzare le esercitazioni navali e militari … L’Ammiraglio Guglielmo Tegethoff Comandante delle forze Austriache durante la Battaglia di Lissa fu allievo e studiò presso il Sant’Anna, così come Emilio ed Attilio Bandiera, e Domenico Moro furono allievi del Sant’Anna … Finchè dopo altri vent’anni la Regia Scuola venne trasferita a Triesteistituendo a Castello l’Ospedale-Infermeria Militare della Marina del Regno d’Italia ... L’ex chiesa di Sant’Anna venne divisa in due parti e spogliata ulteriormente di ogni cosa: di sotto divenne magazzino e deposito, di sopra corsia medica con 20 posti letto ... e giunsero 8 Suore di San Vincenzo de Paoli a gestire l’assistenza dei Marinai … dopo il 1960 l’abbandono totale con la successiva rovina ... e l’attuale recente recupero ad area residenziale.




E mi fermo qui con quest’ennesima: “Una Curiosità Veneziana per volta”… la duecentesima … Grazie che mi leggete e apprezzate.




"UNA CURIOSITA' VENEZIANA PER VOLTA." 3 - 4 - 5.

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"UNA CURIOSITA' VENEZIANA PER VOLTA."  3 - 4 - 5.


Beh ... ora posso dirvelo: sono stati pubblicati su Amazon.it i volumi 3-4-5 delle mie "Una curiosità Veneziana per volta." ... ovviamente si aggiungo ai volumi 1 e 2 che già c'erano ... Grazie che mi leggete: li dedico a tutti i Veneziani come me.


Come sapete già le mie “Una curiosità Veneziana per volta.” le ho già pubblicate via via su Internet in questi ultimi anni … Gli ebook e i volumi cartacei che ora ho editi non fanno servono a mettere insieme e ordinare tutto ciò che c’è già dandogli una veste editoriale di riferimento … Tutto qua.

Si tratta di altre 100 “curiosità” che si aggiungono alle prime 100 dei volumi 1 e 2 che ho già editi nel 2016.

Insieme alle “Curiosità” che sono una specie di zibaldone in cui raccolgo note, citazioni e aneddoti storici su alcuni degli infiniti luoghi e aspetti della nostra magica Venezia, ho aggiunto nel volume 5: Venezia come la vivo e la sento io oggi … Una Venezia vista da un Veneziano da mettere al confronto con la Venezia Maiuscola di ieri.


Chi mi conosce sa bene, che non bramo affatto paragonarmi, o mettermi a confronto con le infinite opere bellissime che già esistono in commercio, né sono interessato a guadagnare con queste mie pubblicazioni: mi basta “esserci” … Le considero una piccolissima sintesi per conoscere meglio la nostra amatissima città che mai smette di ammaliarci con la sua Storia, Arte, Tradizione e Bellezza ... Le mie “Una curiosità Veneziana per volta” 3-4-5 saranno quindi per un po’ disponibili ad essere viste liberamente su Prime di Amazon … Se qualcuno poi lo vorrà potrà in seguito ordinarsi gli ebook … Prossimamente ci sarà a disposizione anche la versione cartacea per gli amanti del libro di carta da tenere in mano … Buona lettura.




Sempre per essere io, vi fornisco gli indici di quanto contengono i volumi delle mie “Una curiosità Veneziana per volta” 3-4-5 … così potrete farvi un’idea più precisa di quanto state andando a guardare.

“UNA CURIOSITA’ VENEZIANA PER VOLTA”

Indice volume 3

-        Per iniziare                                                                                             13-14

-        Arsenale, Mude e Galee.                                                                   

·       La cesètta della Madonna dell'Arsenale                                                   15-46

·       Due passi fra l'Arsenale e la Tana a Venezia ...                                        47-55

·       Arsenalotti e poveri Marineri Capotèri e Strazzaroli de Venessia           56-86

-        Arti, Mestieri, Schole e Devozioni.

·       Zattieri, Zattere e Incurabili ... a Venezia                                               88-108

·       L'università dei Nonsoli o Sacrestani di Venezia                                  109-122

·       Zonte e curiosità spicciole sulle Schole e Scolette Veneziane               123-126

·       Un grido disperato lungo secoli ... anzi una vita ... a Venezia             127-156

                        Schole de Morti e Aneme Purganti a Venezia e in Laguna

·       Ciò giòvane spòstite ... ti xe incocaìo                                                   157-173

·       La Dextera Domini ... anche a Venezia                                                 174-177

·       Cintureri e Cinturere a Venezia ... e anche a Burano                           178-208

·       Due Fiolèri di Santo Stefano de Muran del 1300                                 209-226

-        Chiese e Contradedi Venezia.

·       Do Sante Marie ... una de fàssa all'altra                                              228-241

·       Il loghetto dell'Anconetta a San Marcuola ... a Venezia                       242-253

·       Un paio di semplici flash sui Carmini del 1600 a Venezia                   254-256

·       La cèsa de le Sette Madonne ... a Venezia                                            257-271

·       Intorno alla Fondamenta de Liza Fusina all’Anzolo Raffael               272-320

·       Le fave della Fava a Venezia … Ma c’è stato ben di più                      321-326

·       Una cruda lettera su quelli di San Marcuola nel 1820                         327-341

·       La maxiContrada di San Marcuola nel 1820                                        342-370

·       La macchina subliminare di San Marcuola                                          371-405

·       Rissa e bastoni in San Marcuola a Venezia                                          406-417

·       La Visita del Patriarca Pirker a San Marcuola nel 1821                     418-428

·       Clamoroso furto in Contrada di San Marcuola nel 1815                     429-447

·       Le quattro cose che sappiamo su San Marcuola                                  448-471

·       Quello che forse non si sa su San Marcuola                                         472-491

·       San Marcuola a luci rosse nel 1500                                                      493-495

·       Inconfessi, Scomunicati e Insordescenti                                               496-517

·       Quella delle Nove ... di San Marcuola                                                  518-557

·       Le ultime su San Marcuola                                                                   558-566

·       Giudecca tra 1800 e 1900 ... e altro ancora                                         567-608

·       Altra Noterella Simplex su Sant'Anzolo de la Zuèca                            609-616

-        Doge, Politica e pettegolezzi di Palazzo.

·       Un Muranese nella Cancelleria Dogale e con i Turchi                          618-62

-        Feste e Tradizioni di Venezia Serenissima.

·       L’altra faccia della Festa Granda della Salute                                    623-658

·       El Redentore sul Monte dei Corni alla Giudecca                                 659-692

·       Arsenale, Arsenalotti e Festa della Sensa nel 1700                              693-698

·       Un San Martino Veneziano ... sexy !                                                     699-705

·       L’indirizzo delle faville …                                                                     706-711

-        Foresti, Ghetti, Ebrei e Armeni.

·       Il Fondaco dei Tedeschi a Venezia                                                      713-742  

-        Fra Ville e Riviere

-        Giustizia, Prigionieri, Galeotti e Criminali.

·       Veneranda Porta e Stefano Santini ... omicidi del 1700                       744-748


“UNA CURIOSITA’ VENEZIANA PER VOLTA”

Indice volume 4

-        Il passaggio dei Templari a Venezia.

-        Inquisizione, Streghe, Diavoli, Eretici e Libri Proibiti.

·       Non s'abbrusarà persona in Piazza San Marco !                                     12-31

·       “Do tre Strigarie … a Venezia nel 1641.”                                                32-34

·       Strighe Herbarole ... a Venezia nel 1500                                                  35-52

·       Uno strano Inquisitore da inquisire ... a Venezia nel 1629                       53-65

·       Sparpagiòn Strolego Diabolicus in giro per Venezia nel 1633                 66-77

·       Laura ... la Striga de Castèo ... a Venezia                                                 78-93

·       Frate Esorcista inseguito dal Demonio ai Frari 1500-1600                    94-99

·       I Pelagini ... anche a Venezia nel 1600                                                 100-136

·       Piccola aggiunta su Pelagini, Inquisizione e Borri                              137-140

-        Lazzaretti, Pestilenze e Pizzegamorti.

·       Trovato iI colpevole della Peste del 1348 ... a Venezia                         143-170

·       La Peste in gita da Venezia a Capodistria ... nel 1630                         171-183

-        Le Isole e la Laguna.

·       Buranèsi contro Muranelli... 1 a 1                                                        185-201

·       Non posso crederci ! ... a Burano nel 1689.                                         202-215

·       Il brutale saccheggio dei Francesi a Burano all'inizio 1800               216-222

·       L'uragano del 25 settembre 1867 a Burano                                          223-226

·       Strano connubio fra Burano e Santa Marta di Venezia                        227-229

·       Torcello: Preti briganti, Ospedàl e Monasteri a metà 1300                 230-235

·       Il mesto quanto ineludibile declino di Torcello                                     236-272

·       Maiurbium: la “Spudorata Mazzorbo” della Laguna                          273-304

·       Sant'Eufemia di Mazzorbo e ...                                                             305-312

·       Le isole dei matti                                                                                   313-333

·       San Clemente: Santa Casa, Isola dei matti e Hotel a 5 stelle               334-348

·       San Giorgio in Alga: Porta di Venezia, Casa Canonici Turchini        349-361 

·       L’isola di Salina nella Laguna di Venezia                                            362-371

·       L'isola di San Micèl dei Morti                                                              372-395

·       La dirimpettaia di San Micièl: San Cristoforo della Pace                   396-416

·       Venezia 1709... Laguna gelata                                                              417-420

·       Sacca Sessola ... Isola delle Rose o Giardino Marryott                       421-427

·       L'isola dell'Anconeta o di Santa Maria della Drezzaglia                     428-435

-        Nobili e Palazzi.

-        Piazza San Marco.

·         Piazza San Marco ovverosia la Stazione Ferroviaria                                    437-440

-        Pizzocchere, Ospealere, Donne, Ospizi e Hospedaletti.

·         Una lista di Prostitute del 1500 ... a Venezia                                                 442-452

·         Un'altra lista di benemerite ... a Venezia fra 1500 e 1600                             453-467

·         L'Hospedàl de San Giovanni dei Battuti di Murano                                      468-476

·         Le Romite sòra ai còpi de San Marcuola ...                                                   477-486

·         Le Zitelle della Giudecca                                                                               487-515

-        Preti, Frati, Priori, Monaci e Muneghe.

·       Suore, Monache ... donne radicate e imprigionate in Laguna             517-541

·       La Domus Ciliota e Santi Rocco e Margherita a San Samuel              542-550

·       Le Mùneghe dell'Isola di San Secondo                                                 551-569

·       Noterella breve et simplex sulle Monache di San Zaccaria                  570-573

·       Ex Giustinian Ognissanti Benedettine, Senseri e BR                            574-599

·       Scherzetto ai Preti ... nel 1714 a Venezia                                              600-603

·       Singolari Preti di Contrada Veneziana                                                 604-630

·       Le Mùneghe de Sant'Anna de Castèo                                                    631-660

-        Rialto: fra Mercanti e Pellegrini.

-        Venezia e la sua maiuscola Storia.

·         Un Papa eletto a Venezia ... il 14 marzo 1800                                               662-715

·         Uno strano reduce della battaglia di Lepanto.                                              716-734

·         Il tesoretto dell'ultima Serenissima                                                                735-739


“UNA CURIOSITA’ VENEZIANA PER VOLTA”

Indice volume 5

-        Venezia da Terra e da Mar: il Dominio della Serenissima.

·         La Polenta Porporina ... nelle Province Venete nel 1819                                   11-19

·         Aprile 1945 i cannoni del Cavallino puntati su Venezia                                    20-24

·         Sant'Ilario di Fusina: dove iniziava e finiva la Serenissima                              25-42

·         Ancora sulla Fossa Gambaria, Dogaletto e Malcontenta                                 43-56

·         Sant'Elena de Texera o Texaria                                                                          57-71

-        Novità e stranezze dei tempi.

·         Un alchimista strampalato a Venezia nel 1590                                                  73-83

·         Uno strano vasetto misterioso e terrificante ... a Venezia                                  84-94

·         Un aerostato andava tombolando sopra la laguna nel 1803                           95-100

-        Venezia … tipi e persone.

·       Tipi e persone …                                                                                   102-157

·         Sulla strada della Marittima del Porto di Venezia                               158-203

·         Venezia così …                                                                                     204-305

-        Conclusione                                                                                               306


Infine, sempre per rendervi meglio l’idea, allego l’Indice completo di tutti i 5 volumi pubblicati fino ad ora con le mie 200 curiosità su Venezia, altro e di più … Ho fatto una specie di scommessa con mio figlio: “Sarai capace di scriverne mille in tutto ?” … Chissà ?



**** la prima cifra di ogni titolo indica il volume in cui è contenuta la singola curiosità.

“UNA CURIOSITA’ VENEZIANA PER VOLTA” volumi 1 - 2 - 3 - 4 - 5

Indice analitico e integrato



*In GRASSETTO le curiosità dei tre nuovi volumi aggiunti.

-        Per iniziare                                                                                        03/13-14

-        Arsenale, Mude e Galee.

·       Proteste dei lavoratori in Arsenale nel 1500                                       01/10-12

·       La cesètta della Madonna dell'Arsenale                                            03/15-46

·       Due passi fra l'Arsenale e la Tana a Venezia ...                                 03/47-55

·       Arsenalotti e poveri Marineri Capotèri e Strazzaroli de Venessia  03/56-86

-        Arti, Mestieri, Schole e Devozioni.

·       Il testamento di Giacomo Brentella Forner a San Tomà                     01/14-18

·       Altro che pacifici Devoti Veneziani !  ... nel 1550                                01/19-26

·       Stioreri, Semolini, Gallineri e Buttiranti                                             01/27-34

·       Imbriagoni & Mercanti da Vin                                                            01/35-50

·       L’Orefice addormentato di Rialto                                                        01/51-59

·       Zattieri, Zattere e Incurabili ... a Venezia                                        03/88-108

·       L'università dei Nonsoli o Sacrestani di Venezia                          03/109-122

·       Zonte e curiosità spicciole sulle Schole e Scholete Veneziane      03/123-126

·       Un grido disperato lungo secoli ... anzi una vita ... a Venezia       03/127-156

                 Schole de Morti e Aneme Purganti a Venezia e in Laguna

·       Ciò giòvane spòstite ... ti xe incocaìo                                             03/157-173

·       La Dextera Domini ... anche a Venezia                                          03/174-177

·       Cintureri e Cinturere a Venezia ... e anche a Burano                   03/178-208

·       Due Fiolèri di Santo Stefano de Muran del 1300                          03/209-226

-        Chiese e Contradedi Venezia.

·       Vecchie Contrade Veneziane dimenticate                                            01/61-69

·       La spiaggia e i lunedì di Santa Marta                                                 01/70-72

·       Dai Santi Biagio & Catoldo al Molino Stucky della Giudecca           01/73-75

·       Gondole e Sestieri                                                                                01/76-77

·       San Boldo o Sant'Ubaldo & Agata                                                      01/78-82

·       L'Angelo della Fama a Santa Maria Zobenigo                                   01/83-90

·       Una chiesa invisibile, nascosta a Rialto                                              01/91-96

·       Sapresti riconoscere questa chiesa Veneziana ?                                01/97-102

·       San Sebastiano … un bijoux con una storia                                    01/103-110

·       A proposito di Sant'Agostin a Venezia                                             01/111-119

·       Sant’Angelo di Concordia alla Giudecca                                        01/120-126

·       In Contrada di Sant’Aponàl                                                             01/127-137

·       Il Santo Sepolcro ... ma a Venezia                                                    01/138-152

·       In Contrada di San Provolo                                                             01/153-165

·       San Giovanni Novo o in Oleo                                                          01/166-183

·       Chi ha fregato cavallo e mantello di San Martino ?                       01/184-199

·       E' caduto il campanile di Santa Ternita !                                        01/200-217

·       I Paolotti de Castèo                                                                         01/218-233

·       Do Sante Marie ... una de fàssa all'altra                                       03/228-241

·       Il loghetto dell'Anconetta a San Marcuola                                    03/242-253

·       Un paio di semplici flash sui Carmini del 1600 a Venezia            03/254-256

·       La cèsa de le Sette Madonne                                                          03/257-271

·       Intorno alla Fondamenta de Liza Fusina all’Anzolo Raffael      03/272-320

·       Le fave della Fava a Venezia … Ma c’è stato ben di più               03/321-326

·       Una cruda lettera su quelli di San Marcuola nel 1820                 03/327341  

·       La maxiContrada di San Marcuola nel 1820                                03/342-370

·       La macchina subliminare di San Marcuola                                  03/371-405

·       Rissa e bastoni in San Marcuola a Venezia                                  03/406-417

·       La Visita del Patriarca Pirker a San Marcuola nel 1821              03/418-428

·       Clamoroso furto in Contrada di San Marcuola nel 1815             03/429-447

·       Le quattro cose che sappiamo su San Marcuola                           03/448-471

·       Quello che forse non si sa su San Marcuola                                 03/472-491

·       San Marcuola a luci rosse nel 1500                                               03/492-495

·       Inconfessi, Scomunicati e Insordescenti                                        03/496-517

·       Quella delle Nove ... di San Marcuola                                           03/518-557

·       Le ultime su San Marcuola                                                            03/558-566

·       Giudecca tra 1800 e 1900 ... e altro ancora                                   03/567-608

·       Altra Noterella Simplex su Sant'Anzolo de la Zuèca                    03/609-616

-        Doge, Politica e pettegolezzi di Palazzo.

·       Qualità politica a Venezia fra 1500 e 1600                                     01/235-237

·       Antiche notizie ... fra Venezia e Mestre                                            01/238-246

·       Due opinioni del 1400 sui Veneziani                                               01/247-248

·       Un Muranese nella Cancelleria Dogale e con i Turchi.             03/618-621  

-        Feste e Tradizioni di Venezia Serenissima.

·       Che c'è sotto allo zatteròn segreto della chiesa della Salute ?               01/250-280

·       L’altra faccia della Festa Granda della Salute                             03/623-658

·       Faville a Levante o a Ponente ?                                                        01/81-287

·       Fra baloni e foghi ... torna el Redentor                                           01/288-295

·       El Redentore sul Monte dei Corni alla Giudecca                          03/659-692

·       San Marco in bòcolo                                                                        01/296-303

·       La Festa della Sensa e lo Sposalizio del Mare                                01/304-307

·       Arsenale, Arsenalotti e Festa della Sensa nel 1700                       03/693-698

·       Un San Martino Veneziano ... sexy !                                              03/699-705

·       L’indirizzo delle faville …                                                               03/706-711

-        Foresti, Ghetti, Ebrei e Armeni.

·       Casa sora casa ... i Ghetti di Venezia compiono 500 anni              01/309-323

·       Bepi del giazzo e gli Armeni a Venezia                                            01/324-335

·       Il Fondaco dei Tedeschi a Venezia                                                 03/713-742

-        Fra Ville e Riviere

·       La fame Verde della Serenissima                                                     01/337-343

-        Giustizia, Prigionieri, Galeotti e Criminali.

·       Stupro di fanciulle                                                                                          01/345

·       Sforzati al remo o galeotti                                                                01/346-350

·       Prigioni a Venezia fra 1500 e 1700                                                 01/351-355

·       Il corso della Giustizia a Venezia alla fine del 1600                       01/356-357

·       Un'ingiustizia a Venezia nel 1700                                                    01/358-359

·       Condanne capitali di due anni a caso a Venezia: 1623 e 1625               01/360-364

·       Un paio di Veneziani troppo vispi nel 1714                                     01/365-367

·       Un inseguimento notturno in Laguna ... nel 1150                           01/368-375

·       Veneranda Porta e Stefano Santini ... omicidi del 1700               03/744-748

-        Il passaggio dei Templari a Venezia.

·       Cavalieri Templari a Venezia                                                           01/377-379

·       San Giovanni dei Templari a Venezia                                              01/380-384

·       I luoghi dell'Umiltà e della Trinità dei Templari e Teutonici           01/385-403

-        Inquisizione, Streghe, Diavoli, Eretici e Libri Proibiti.

·       I Libri del Prete Cicogna di Sant’Agostin                                       01/405-407

·       Questo si può dire                                                                                   01/408

·       Le streghe di Marcòn                                                                       01/409-410

·       Il permesso di scrivere                                                                            01/411

·       Ancora sui libri                                                                                       01/412

·       Retata di Librai nel 1570                                                                 01/413-414

·       Un libro da bruciare nel 1527                                                         01/415-416

·       Giansenisti a Venezia ... chi l'avrebbe detto ?                                 01/417-419

·       Non s'abbrusarà persona in Piazza San Marco !                              04/12-31

·       “Do tre Strigarie … a Venezia nel 1641.”                                          04/32-34

·       Strighe Herbarole ... a Venezia nel 1500                                            04/35-52

·       Uno strano Inquisitore da inquisire ... a Venezia nel 1629               04/53-65

·       Sparpagiòn Strolego Diabolicus in giro per Venezia nel 1633         04/66-77 

·       Laura ... la Striga de Castèo ... a Venezia                                          04/78-93

·       Frate Esorcista inseguito dal Demonio ai Frari 1500-1600            04/94-9

·       I Pelagini ... anche a Venezia nel 1600                                          04/100-136

·       Piccola aggiunta su Pelagini, Inquisizione e Borri                       04/137-140

-        Lazzaretti, Pestilenze e Pizzegamorti.

·       Anno 1630                                                                                               01/421

·       I Pizzegamorti e la danza della Morte che balla                             01/422-431

·       Venezia fra pozzi, Santi, Peste, Preti e giochi                                  01/432-437

·       Il Lazzaretto Nuovo                                                                          01/438-447

·       Il Lazzaretto Vecchio funziona ancora ?                                          01/448-467

·       Trovato iI colpevole della Peste del 1348 ... a Venezia                 04/142-170

·       La Peste in gita da Venezia a Capodistria ... nel 1630                  04/171-183

-        Le Isole e la Laguna.

·       Fisolo ... persa in fondo alla Laguna                                               01/469-472

·       L'isola della Madonna del Monte                                                    01/473-474

·       Mazzorbo, San Francesco del Deserto, Burano … e via                 01/475-483

·       San Francesco del Deserto ... una visione                                       01/484-493

·       Sant'Ariàn ... isole, isole ...                                                              01/494-502

·       La strega di Santa Chiara di Murano                                              01/503-507

·       So andà a Buran e …                                                                       01/508-542

·       Buranèsi contro Muranelli... 1 a 1                                                 04/185-201

·       Non posso crederci ! ... a Burano nel 1689.                                  04/202-215

·       Il brutale saccheggio dei Francesi a Burano all'inizio 1800        04/216-222

·       L'uragano del 25 settembre 1867 a Burano                                  04/223-226

·       Strano connubio fra Burano e Santa Marta di Venezia               04/227-229

·       L'isola di Poveglia                                                                           01/543-556

·       Il porto di Torcello inghiottito dalla Laguna                                   01/557-568
·       Torcello: Preti briganti, Ospedàl e Monasteri a metà 1300          04/230-235

·       Il mesto quanto ineludibile declino di Torcello                              04/236-272

·       Ci ritroviamo in piazza ad Ammianella !                                         01/569-578

·       San Bortolomio di Mazzorbo                                                           01/579-584

·       Maiurbium: la “Spudorata Mazzorbo” della Laguna                   04/273-304

·       Sant'Eufemia di Mazzorbo e ...                                                      04/305-312

·       L’isola di Sant’Angelo del peccato                                                  01/585-598

·       Le isole dei matti                                                                             04/313-333

·       San Clemente: Santa Casa, Isola dei matti e Hotel a 5 stelle       04/334-348

·       San Giorgio in Alga: Porta Venezia, Casa Canonici Turchini   04/349-361  

·       L’isola di Salina nella Laguna di Venezia                                     04/362-371

·       L'isola di San Micèl dei Morti                                                        04/372-395

·       La dirimpettaia di San Micièl: San Cristoforo della Pace            04/398-416

·       Venezia 1709... Laguna gelata                                                        04/417-420

·       Sacca Sessola ... Isola delle Rose o Giardino Marryott                 04/421-427

·       L'isola dell'Anconeta o di Santa Maria della Drezzaglia              04/428-435

-        Nobili e Palazzi.

·       Il Casino Venier al Ponte dei Baretteri                                            01/600-603

·       Le sorelle Foscarini a San Lorenzo di Castello                               01/604-607

·       Lobbie di potere al tramonto della Serenissima                              01/608-616

·       Rumors sui Nobili Grimani                                                              01/617-630

·       I Nobili Girardi, Patriarca avvelenato, la Girarda e i Stioreri     01/631-645  

-        Piazza San Marco.

·         I segreti dei mosaici di San Marco                                                            01/647-652

·         Piazza San Marco ... in filigrana                                                               01/653-690

·         Piazza San Marco ovverosia la Stazione Ferroviaria                             04/437-440

-        Pizzocchere, Ospealere, Donne, Ospizi e Hospedaletti.

·         L’Ospedal dei Samiteri a Sant’Andrea della Ziràda                                     02/08-11

·         L'Hospeàl de San Piero e Paolo dei feriti a Castello                                    02/12-15

·         L'Ospizio dei Crosecchieri                                                                            02/16-26

·         La Cittadella Assistenziale di San Job o Joppo                                            02/27-34

·         A proposito di Ospizi e Hospedaetti a Venezia                                              02/35-43

·         Pizzocchere                                                                                                    02/44-56

·         Un Hospedaèto scomparso ... e una cjesa de Suore                                      02/57-62

·         Le Agnesine                                                                                                   02/63-69

·         Ospealère ... e Melograni                                                                              02/70-88

·         Le orfananelle Terese                                                                                  02/89-102

·         San Lodovico dei vecci … e il Prete ha preso le botte                              02/103-111

·         Una lista di Prostitute del 1500 ... a Venezia                                           04/442-452

·         Un'altra lista di benemerite ... a Venezia fra 1500 e 1600                      04/453-467

·         L'Hospedàl de San Giovanni dei Battuti di Murano                              04/468-476

·         Le Romite sòra ai còpi de San Marcuola ...                                            04/477-486

·         Le Zitelle della Giudecca                                                                          04/487-515

-        Preti, Frati, Priori, Monaci e Muneghe.

·       Santa Maria del Pianto, la De Rossi e Doge Da Molin nel 1647   02/113-129 
·       Accadimenti a Sant’Andrea della Zirada                                        02/130-133

·       La misteriosa Ca' Granda dei Frari                                                02/134-161

·       Il lingotto delle Monache                                                                 02/162-168

·       Qualche nota e curiosità su Santa Croce della Giudecca               02/169-176

·       Le Monache Urbaniste di Santa Chiara della Zirada                     02/177-188

·       Svamp ! Svamp ! … Venezia 1800                                                    02/189-219

·       Santa Croce 324: Santa Maria Maggiore un mondo alieno           02/220-235

·       Libreri e Mastini di Dio a San Giovanni e Paolo                            02/236-247

·       Tremendi e paranoici i Mastini di Dio di San Zanipolo                  02/248-254

·       San Zanipolo dei Mastini di Dio                                                      02/255-274

·       Qualcosa di buono però l'han fatto i Mastini di Dio                       02/275-286

·       Il campanil del Contrabbando … e le Vergini del Doge                  02/287-309

·       Le Monache Nere di San Zan Lateran                                             02/310-321

·       Una biblioteca nascosta con frecce tribali al curaro                      02/322-336

·       Suore, Monache ... donne radicate e imprigionate in Laguna    04/517-541

·       La Domus Ciliota, e i Santi Rocco e Margherita a San Samuel   04/542-550

·       Le Mùneghe dell'Isola di San Secondo                                         04/551-569

·       Noterella breve et simplex sulle Monache di San Zaccaria         04/570-573

·       Ex Giustinian Ognissanti Benedettine, Senseri e BR                   04/574-599

·       Scherzetto ai Preti ... nel 1714 a Venezia                                       04/600-603

·       Singolari Preti di Contrada Veneziana                                          04/604-630

·       Le Mùneghe de Sant'Anna de Castèo                                            04/631-660

-        Rialto: fra Mercanti e Pellegrini.

·       San Giacometto di Rialto e il Voto Oltremarino                              02/338-343

·       Un Mercante in crisi a Venezia nel 1510                                         02/344-348

·       Incroci fra uomini e donne a Venezia nel 1786                                02/349-352

·       Sotto ai portici di Rialto                                                                  02/353-421

·       Di passaggio per Venezia                                                                 02/422-438

·       Un vispo casotto grando a San Mattio di Rialto                             02/439-447

·       Accadimenti Fiorentini al Banco Giro di Rialto ... nel 1621                     02/448-451

-        Venezia e la sua maiuscola Storia.

·         Un Papa eletto a Venezia ... il 14 marzo 1800                                         04/662-715

·         Uno strano reduce della battaglia di Lepanto.                                        04/716-734

·         Il tesoretto dell'ultima Serenissima                                                         04/735-739

-        Venezia da Terra e da Mar: il Dominio della Serenissima.

·         La Polenta Porporina ... nelle Province Venete nel 1819                           05/11-19

·         Aprile 1945 i cannoni del Cavallino puntati su Venezia                             05/20-24

·         Sant'Ilario di Fusina dove iniziava e finiva la Serenissima                       05/25-42

·         Ancora sulla Fossa Gambararia, Dogaletto e Malcontenta                       05/43-56

·         Sant'Elena de Texera o Texaria                                                                   05/57-71

-        Novità e stranezze dei tempi.

·         Un alchimista strampalato a Venezia nel 1590                                           05/73-83

·         Uno strano vasetto misterioso e terrificante ... a Venezia                           05/84-94

·         Un aerostato andava tombolando sopra la laguna nel 1803                    05/95-100

·       Una nota sui Veneziani …di oggi                                                     02/453-454

·       ... e finalmente cala la sera                                                              02/455-457

·       Bacari, trecce e storie                                                                      02/458-471

·       Bertilla                                                                                             02/472-500

·       Ciabattando notte e giorno per Venezia                                          02/501-521

·       Bubo xe andà                                                                                   02/522-535

·       Una Venezia intorno al pozzo                                                          02/536-564

·       Notte Emma ! ... Notte notte                                                            02/565-567

·       Venezia in ammollo dovrebbe dormire ...                                         02/568-574

·       Due sorellissime                                                                               02/575-582

·       Una giornata di passi in giro per Venezia                                       02/583-597

·       Il cavaliere Giorgio delle orfanelle                                                 02/598-607

·       Venezia vecchia ... di vecchi                                                             02/608-615

·       “Xe cascà un fìo in acqua !” ... a Buran                                         02/616-623

·       Tipi e persone …                                                                            05/102-157

·         Sulla strada della Marittima del Porto di Venezia                       05/158-203

·         Venezia così …                                                                               05/204-305


Infine, alla fine della fine: questo è il link di Amazon se qualcuno è interessato e vuol saperne di più.


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Venezia fra Leoni, Draghi e Serpenti.

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 #una curiosità veneziana per volta_201

Venezia fra Leoni, Draghi e Serpenti.

 

Ultimamente il Logo-Simbolo del Leone Marciano di Venezia lo vediamo raramente: quasi solo in televisione o sui social quando si accenna alle manifestazioni della Biennale o della Mostra del Cinema. Vediamo quel Leone un po’ liofilizzato e impachettato, quasi ridotto ai minimi termini … Più raramente può capitarci di vederlo live sul gonfalone della nostra Città Lagunare portato a spasso durante qualche Festa Veneziana da qualche Vigile pomposo infagottato nell’uniforme di gala, impacciato al seguito delle nostre Autorità Veneziane in prossima scadenza ... C’è di più da sapere un po’ di più intorno “alle Glorie del nostro Leon” tanto cantato e diciamolo: anche amato ... La Storia però a volte è avara, ha le gambe corte come le bugie, e rischiamo spesso di dimenticare … di perdere la valenza del tanto che è capitato qui da noi in Laguna lungo i secoli.

Quando entriamo nella Basilica di San Marco a Venezia non possiamo non notare oltre ai chilometri quadrati dei scintillanti e affabulanti mosaici che ricoprono cupole, volte e soffitto, anche l’incredibile pavimento di marmi policromi che calpestiamo sotto ai piedi. E’ una specie di festa e canzone visiva, un intreccio policromo incredibile di Aquile simboliche segno di Saggezza, Pavoni simbolo di Rinascita, Aironi immagine di Sacrificio, e Grifonimezzi Leone e mezzi Aquila simbolo di Coraggio, Virtù, Fede e Purezza, che secondo i Miti Antichi facevano il nido vicino ai tesori deponendo uova d'oro … Stupiscono ogni volta vero ? … e fanno pensare che i Veneziani di ieri pensavano diversamente da noi … Sembravano attaccatissimi a quel mondo così immaginario, quasi fiabesco … apparentemente poco reale e concreto.


Credo di poter dire che i Veneziani di ieri non erano affatto creduloni e sempliciotti, nè persi bambinescamente dietro a Miti e fiabe ... Erano, invece, piuttosto scaltri e sapevano leggere benissimo fatti e segni della Storia, solo che se la intendevano e interpretavano diversamente da noi tecnologici e moderni di oggi. Avevano un’altra prospettiva socio-politica-economica e spirituale, e forse anche un qualcosina in più dal punto di vista culturale rispetto a noi di oggi … Un qualcosa che probabilmente abbiamo perso ...

 

Penso che nonostante tutto il nostro savoir faire e l’autostima che abbiamo oggi, non solo non saremmo capaci d’inventarci e realizzare capolavori simili a quelli realizzati dai nostri antenati lagunari, ma neanche sapremmo avere la loro raffinata sensibilità mentale e interiore ... Erano più avanti e svegli rispetto a noi di oggi, anche se si ritrovano ad essere indietro e superati dai secoli.

 

Provate adesso ad assecondarmi e seguirmi per un po’ a cavallo fra fantasia, Storia e Legenda, e proviamo ad andare a spasso fra Leoni, Draghi e Serpenti di Venezia. Ce ne sono delle belle da scoprire …


Dunque: Venezia aveva appena combattuto e vinto la Battaglia del Cadore del 02 marzo 1508, in montagna e sotto una tormenta di neve … Sebbene il tempo fosse stato proibitivo, i Venezianiguidati dal Comandante Bartolomeo d’Alvianosi erano portati sul Ru Secco presso Tai di Cadoredove travolsero letteralmente gliImperiali di Massimiliano d’Asburgo facendone letteralmente strage ...L’Imperatoreintendeva passare per i territori Veneziani per recarsi a Roma dove farsi incoronare dal Papa, ma i Venezianinon glielo avevano permesso, per cui dovette accontentarsi di farsi incoronare a Trento dal Principe-Vescovo della città ...Il Papa s’era rabbuiato contro Venezia per questo fatto, e l’Imperatore se l’era legata al dito … Mai come allora Leone e Aquila erano giunti così ai ferri corti … Un Distaccamento Tedescoquindi, guidato da Sixt Von Trautson Conte-Maresciallo del Tirolo si era portato dalla Pusteria nel Cadore  passando per Misurina e l’Ampezzano valicando Passo Tre Croci“con le gràmpie (i ramponi) ai piedi”… I Veneziani fuggirono giù per la Valle del Piave, mentre gli Imperialiconquistarono il Castello di Pieve di Cadore… Il Senato Veneziano reagì subito inviando il D’Alviano a Longaronementre Girolamo Savorgnansarebbe arrivato a supporto dal Friuli accerchiando gli Imperiali in una morsa mortale …L’Alviano con 1500 Fanti e 100 Cavalieri Pesanti e 400 Cavalieri Leggeri, e i temibilissimi, feroci e indisciplinati Stradioti, cioè: Albanesi, Epiroti e Greci del Peloponneso mercenari di Venezia, passò nel gelo per la Val Zoldana e Forno di Zoldo valicando Forcella Cibianafacendosi strada nella bufera di neve e sulle strette mulattiere con l’aiuto dei buoi dei Villici locali … Si ritrovarono così alla fine a Valle di Cadore: giusto alle spalle dei Tedeschiignari … GliStradioti subito incendiarono case, fecero violenza e saccheggio …Gli Imperialiallora si accorsero delle manovre, videro il fumo degli incendi, e presi dal panico fuggirono scappando verso Cortina: finirono giusti in bocca dei Veneziani, e soprattutto degli Stradiotiche tolsero loro tutti i cariaggi, le artiglierie, razziarono i cavalli lasciando a piedi Cavalieri e Balestrieri … Fu una carneficina: vennero uccisi tutti i Comandanti Imperialie “lasciati nudi semimorti nella neve diversi Gentiluomini Todeschi”. Vennero stuprate tutte le donne trovate al seguito degli Imperiali, e i fuggiaschi vennero inseguiti fin dentro al Torrente Boite, braccati e presi-annegati, spogliati, derubati di tutto, perfino dei vestiti e dei soldi e gioielli nascosti nelle parti intime. Rimasero sul campo 1800 Tedeschi ammazzati, mentre i Venezianicontarono solo dodici perdite umane e quindici cavalli abbattuti … Gli Stradioti erano tremendi, implacabili: si riconquistò il Castello di Pieve con dentro ancora ottanta Imperiali che si arresero, e vennero inviati e scortati a piedi come prigionieri verso i Territori Asburgici, con gli Stradioti che li massacrarono uno dopo l’altro strada facendo: morirono tutti ! … Nei giorni seguenti apparentemente senza nessuna fatica Venezia conquistò: Pordenone, Gorizia, Cormons, Trieste, Postumia, Pisino e Fiume giungendo fin sul Golfo del Quarnero: insomma dilagò su tutto il Friuli arrivando fino in Istria ... Gli Asburgonon solo erano stati sconfitti, ma anche villipesi e umiliati, mentre il D’Alvianocol Cornere il Savorgnanrientrarono in trionfo prima a Margherae poi a Venezia sul Bucintoro fino a San Pietro di Castellodove fra barche addobbate, più di trecento Nobili Patrizi eProcuratori, e Senatori e Clero vestiti sontuosamente, trombe, banchetti, musiche, danze, dolci enormi di zucchero a forma delle città conquistate, e Zentiluomi e Belle Dame si fece:“memorabile e assaissima festa per la grandissima Vittoria dei Veneziani”.

Ebbene in un pomeriggio afoso estivo di poco tempo dopo, il Papa di Roma rabbuiato e vistosamente incazzato per quanto era accaduto e aveva saputo da poco … ricevette in udienza l’Ambasciatore Veneziano dotato di un’ironia e una sagacia capaci di rovinargli i nervi ... Non gli andava né su né giù quell’uomo Veneziano … Anzi: peggio … Gli procurava un fastidio insolito, soprattutto perché gli ribatteva spavaldo parola dopo parola ogni cosa che gli diceva ... Se avesse potuto gliela avrebbe fatta ingoiare tutta quella sua presuntuosa sicumera … ma non conveniva né al Papatoné alla Serenissima.

Il Sommo Pontefice quindi aspirò forte la sua profumata polverina dalla sua preziosissima tabacchiera incastonata e decorata riccamente, tutta tappezzata dai Santi del Paradiso: quella si che era un piccolo gioiello-capolavoro … Magari tutte le cose che intendeva gli fossero riuscite come quella piccola cosa là realizzata alla perfezione secondo il suo intendere e volere ! … Quello smargiasso di Veneziano, invece, era tutt’altra cosa, quasi l’opposto di quella corroborante Bellezza che stringeva in mano … Chiudendo quindi la scatoletta respirò a fondo di nuovo … Provò a rilassarsi, e lanciò un fugace sguardo di fuori al suo bellissimo giardino in fiore.

Poi riprese in mano la situazione e tutto se stesso, e col “pugno chiuso” che danzava in aria, riprese a dire parole veementi nei confronti dell’elegante e baldanzoso Veneziano che aveva volutamente lasciato lungamente in piedi davanti a lui: “Che imparasse a chi si doveva riverenza e ossequio !”borbottò fra se e se … Infine alzò il tono della voce, e tornò a dirgli: “Prima o poi qualcuno riuscirà a tagliare la criniera e strappare unghie e denti a quel vostro arrogante Leone Marciano.” esordì rabbioso.

Il Sommo Pontefice Romano era davvero inviperito, pareva gli fosse riuscito di vuotare d’un colpo solo il pesante calderone che gli ribolliva dentro. L’Ambasciatore Veneziano, invece,non battè ciglio né si scompose di un solo pelo, e le parole gli salirono ancora una volta prontissime e spontanee fuori dalla gola con tutta la loro capacità di ferire peggio di lame chiunque le avesse accolte e ascoltate:“Mi dovrà scusare se la contradico Santità Eminentissima … o se preferisce Sacrosantissima … Venezia non diverrà mai uno stagno di scarni pescatori salinari cenciosi come vorrebbe la vostra illuminata Santissima idea.”

Si pulì un angolo della bocca con un delicatissimo fazzoletto merlettato e profumato, e continuò: “Sarà piuttosto maggiormente verosimile che accada, e forse sarà più opportuno, che Roma torni ad essere, nonostante le sue glorie, quel pescatore grossolano e ignorante che è stato Pietro all’inizio … talmente rozzo e poco pronto da abbisognare in tutto dell’ingegno, e del saper leggere e scrivere del nostro giovane Santissimo Evangelista Marco … Come Voi ben sapete: è stato il nostro San Marco che ha ruggito e dato voce in maniera ottimale alle esperienze e memorie ingarbugliate del Primo Apostolo inventandosi il Santo ProtoEvangelo ... E quel possente ruggito da Leone, Papa Nostro Amabilissimo, non è ancora inverosimile terminato … Venezia con San Marco ruggiscono ancora.”

Il Papa quasi esplose sul suo seggiolone, o poco ci mancò ... Strinse il bracciolo dorato, drizzò nervosamente il ricciolo del baffo che gli pendeva accanto alla bocca, e dimostrando vistosamente l’imbarazzo di non sapere ancora prontamente replicare borbottò: “Neanche un miscredente infedele oserebbe apostrofarmi così … Non sembrate neanche un Cristiano.”

“Per grazia di Dio, Santità Illustrissima, noi Veneziani Credenti e Popolo di Fede lo siamo, ma siamo prima Veneziani e poi Cristiani."replicò di nuovo l’Ambasciatore … e vi tralascio il resto del piccato dialogo che accadde nel cuore della Città Eterna, che sembrava ignara di tutto e quasi sonnecchiare pigra come un gatto abbandonato al sole dentro a quella calura estiva.

Come avete inteso, non se le mandavano di certo a dire il Papae l’Ambasciatore Veneziano in udienza ... Da una parte c’era schierata la volontà del Sommo Pontefice di primeggiare sull’intera Europa Cristianaaffossando le velleità sognanti della Serenissima Veneziana che intendeva farsi padrona a sua volta dell’Europa … e quasi quasi ci stava riuscendo … Dall’altra c’era, appunto: Venezia conscia di se, del suo appeal, della sua forza e arguzia economico-commerciale-militare. La Serenissima stava subdorando la possibilità di diventare parte integrante dei Grandi d’Europa insieme e alla pari deivari Imperatore, Zar e Re di Francia e Spagna… e perchè no ? … Al modo delle tanto chiacchierate e semisconosciute potenze del lontano ma vicinissimo Orientetanto magico e misterioso, quanto redditizio e tutto da sfruttare e imitare … Il Doge Veneziano della Repubblica Serenissima sarebbe diventato un Novello Khan d’Europa???

Che idea luminosissima ! … “Magari !”pensò l’Ambasciatore Veneziano … O era solo un sogno ?

 

Noi di oggi possiamo dire che se in quell’occasione storica fosse riuscito a Venezia d’affrontare e vincere certi contrasti Italiani e Europei surclassando il Papa e gli altri Sovrani, probabilmente adesso non staremmo qui a raccontare le memorie della Repubblica Serenissima rimasta ferma a cavallo fra Laguna e Terraferma, e affacciata solo sulle sponde Adriatiche e Mediterranee… Forse racconteremmo la storia dell’Impero Veneziano se Milano, Firenze e lo stesso Papato fossero diventati parte integrante e dedita ai progetti Veneziani ...

C’è stato un momento storico in cui è mancato solo un attimo … solo un pizzico di ardimento in più perché potesse accadere tutto questo, ma non è accaduto ... Pensate ! … Se solo Veneziaavesse osato e fosse stata meno indecisa e più intraprendente vincendo i Visconti Lombardi di Milano: al posto della Madonnina oggi forse vedremmo il Leone Marciano sul pinnacolo più alto del Duomo Milanese, o un Leone Alato sul Castello Sforzesco … Se il Leone Marciano di Venezia in un’altra occasione avesse maggiormente affondato i colpi, gli artigli e i denti su Firenzerivendicando i debiti che aveva con lei, la Serenissimasarebbe arrivata a dominare fino a Livorno, Pisa e il Mar Tirreno… e se avesse vinto con Genova ? … Immaginate … ma con i se e i ma non si è mai fatta la Storia.

Lasciamo perciò cadere nel dimenticatoio quei sogni nostalgici, e ritorniamo a dire di quel Papa dentro a quel torrido pomeriggio Romano … Deglutì ancora “amaro” per colpa dell’Ambasciatore di Venezia, e dentro di se, ma anche attorno a lui: nell’animo rabbuiato di tutto il suo pomposo corteggio ed entourage divenne più pressante l’urgenza di calmierare e contenere quella Serenissima Venezia.  Era giunto il momento di provare a spegnerne tutta quell’alterigia e veemenza, e soprattutto tutte quelle velleità di grandezza che indossava San Marco… Sarebbe servito cercare e trovare le giuste alleanze sullo scacchiere politico dell’Europa che contava … ma che ci voleva ? … A nessuno piaceva in realtà la boria ascendente dei Veneziani … Per tutti stavano diventando sempre più ingombranti e  scomodi ... Dove credevano di poter arrivare ?

La Storia la conoscete … Sapete bene come all’inizio del 1500 Venezia venne ammorbidita, anzi: demolita, rallentata e ridimensionata pesantemente da l’insieme dei potenti della Cristianità, amici o nemici che le fossero stati in precedenza. Tutti si coalizzarono contro al Leone Marciano per deprimerlo e ridurne sogni e ambizioni una volta per tutte ... La Lega Santa, la cocente sconfitta di Agnadello, la logorante lotta secolare senza fine con i Turchi avrebbero succhiato all’infinito e quasi del tutto le risorse e le velleità di VeneziaDa quella solenne batosta la Repubblica Serenissima non si rinvenne più, e si dedicò per tre secoli a un declinante quanto progressivo ridimensionamento di se stessa, che si concluse con lo sfortunato arrivo dei francesi in Laguna all’inizio del 1800 … Così andò la Storia ...

Al Papa di Roma & C riuscì alla fine l’intento di contenere la Serenissima Repubblica… anche se criniera e artigli del Leone Marciano non gli riuscì di spuntarli e tagliarli mai del tutto.

Quella volta, comunque, l’Ambasciatore Veneziano aveva perfettamente ragione nell’inseguire i suoi ragionamenti davanti al Papa. VeneziaSerenissima aveva sempre saputo approfittare di ogni momento di debolezza dimostrato dal Papatoper poter procacciare i propri interessi ... Aveva perfino annesso al suo Dominio ulteriori pezzi proprio nel momento in cui lo Stato Pontificio era più debole: durante l’interregno fra un Papa e l’altro … Nell’ultima occasione Venezia ne aveva approfittato subito, e s’era incamerata la Romagna Pontificia… e non è stato un caso isolato, il modo e lo stile della Serenissima era sempre lo stesso, era risaputo ormai: “Venezia è un Leone potente difficile da domare: mai sazio … mai domo ... La Regina Cornaro di Creta e altri ancora ne sanno qualcosa: un Regno in cambio di una bella scampagnata sui Colli Asolani.” così si diceva in giro per le Corti Italiane.

L’opportunismo come il tempismo erano di sicuro alcune delle tante doti dei Veneziani… Venezia insomma: sapeva agire e ruggire, e sfoderava gli artigli, e ghermiva e sbranava la preda quando le conveniva ... Ne erano a conoscenza tutti: il Mito di San Marcoera raffinatissimo, arguto, ambizioso e lungimirante: Venezia intendeva diventare Nuova Roma, una specie di “Pietro 2”disposto a giocarsi il primato sullo scacchiere Mediterraneo ed Europeo… o addirittura, chissà ? ... forse Mondiale.

Non sono mie queste considerazioni, sono valutazioni e riflessioni di Storici autorevoli, che accanto all’analisi del Mito di Venezia, hanno anche saputo ricostruire dinamiche seminascoste o non del tutto palesi della regia storica e della gestione del potere in Europa durante certi secoli ... Si ipotizza documenti alla mano, ad esempio … e io ci credo … Che l’intera Opera delle Crociate sia stata un’altra invenzione dei Papi ideata per distrarre e deviare altrove le forze, gli interessi, le risorse e la presenza dei Grandi Poteri costituiti che gestivano l’Europa. S’inventò come nemico urgente da combattere fino alla morte il Turco Infedele e Ottomano residente nell’Asia MedioOrientale, così da lasciare sguarnita e sgombra l’Europa: libero spazio dove poteva esplicarsi l’iniziativa e concretizzarsi il controllo dei progetti Cristiano-Papali… L’intero Mondo Europeo sarebbe stato tutto finalmente Cristianizzatoin maniera irreversibile e secondo gli schemi etico-morali e politico-economici Ecclesiastico-Pontifici...Mentre tutti i Grandi d’Europa, Venezia compresa, erano impegnati in nome del “Dio lo vuole !” sui fronti della Crociatatutti dediti al sogno del bottino, all’allestimento dei Nuovi Regni Cristiani, e a “matàre i Mori”meritandosi in cambio il Paradiso… Beh ? … Papa & C che facevano ?

Potevano bellamente e tranquillamente seminare e infiltrare se stessi e le proprie dottrine fin nel più profondo degli animi più disparati, e negli angoli più reconditi dell’intera Antica Europa ottenendone il possesso e il pieno controllo politico-economico-sociale e morale.

Illazioni ? … Bah ! … Non so … Questa è Storia … Ed è stato così che la Chiesa si è ritrovata ad essere per secoli incontrastata padrona dell’Europa, facendo alto e basso un po’ di tutto e tutti, almeno fino all’epoca della Riforma Protestante. In quell’occasione di nuovo la Chiesa venne rimessa in discussione, e si vide costretta a scendere un’altra volta in campo inventandosi a suo favore un’altra puntata della Lotta contro l’Eresia, che a quanto si sa non la portò stavolta da nessuna parte … o quasi ... Ma stiamo divagando …

Solo Veneziaè stata capace in una certa stagione storica di dirottare in parte la Crociataa suo favore contrastando parzialmente quell’immane Progetto Pontificio-Ecclesiastico, che in fondo si è realizzato ... Le tracce e conseguenze storiche di quella pensata Cristiana pesano ancora su noi di oggi.

 

Torniamo in Laguna però … a casa del Leone Marciano Serenissimo, e osserviamolo stavolta in maniera un po’ diversa.

Veneziaera stracolma di LeoniTroverete Leoni Marciani ovunque a Palazzo Ducale: un intero campionario di ogni sorta, misura e sembianzaQuelli che possiamo vedere oggi sono solo una piccolissima parte di quanto c’era, il poco rimasto dopo il passaggio velleitario ma ben riuscito dei napoleonici che hanno capillarmente scalpellato Venezia … Rimangono però ancora tanti Leoni a Venezia: quanti bastano per poterne fare ancora memoria.

Della figura-simbolo del Leone in generale si sa, è risaputo: è quell’icona che riempie da secoli gli stemmi di Sovrani, Nobili Casati, Avventurieri, Mercanti e altro ancora … Non è un caso se ancora oggi appare plastico negli stemmi di Svezia, Regno Unito, Paesi Bassi, Cecoslovacchia, Bulgaria, India, Iran, Canada, Spagna e altro ancora ...

 

L’antica immagine del Leone è sempre stata fascinosa, una dei più diffuse in ogni civiltà. Pensate: Leoni dipinti appaiono rappresentati già nelle Grotte Paleolitiche di Lascaux e Chauvet in Francia ... Il Leone fu pensato come simbolo di Virtù, Fierezza, Intraprendenza, Ardore, Maestosità, Nobiltà, Regalità, Orgoglio, Valore, Eroicità e Coraggio: il Re Leoneinsomma … ma significava anche la forza istintiva primordiale incontrollabile, la concupiscenza, il desiderio sfrenato di possedere tutto ciò che cade sotto ai sensi ... Il Leone è l’indomabile, il feroce.

Qualcuno ha aggiunto anche che il Leoneè espressione massima di Luminosità, Saggezza ed Energia …  Considerato “Re degli Animali” per antonomasia, a differenza di altri felini questo maestoso animale ha uno spiccato senso di socialità vivendo spesso in branco dove vige la predominanza ... Come abbiamo imparato fin da bambini: caratteristica fisica del Leone maschio è la folta criniera della testa, che è stata associata e paragonata al Sole attorniato dai suoi raggi ... Templi, città e Palazzi nell’antichità, così come qui a Venezia, erano e sono ancora decorati da numerosi Leoni e Leonesse … Alla stessa figura del Leone, ad esempio, si riconducono tutti i Miti legati al Sole degli Egiziani: la Sfinge aveva il corpo da Leone, la Chimera e il Grifone erano animali Leoniformi che assicuravano il passaggio dei Faraoni nell’Aldilà … Il Leone esisteva nel Giappone con Amterasu Dio del Sole, nell’India di Surya e del Vedico Mytradove coloro che superavano le prove Misteriche venivano chiamati non a caso "Leoni"… Leoni c’erano in Grecia dove il felino era riconosciuto come volto di Zeus, Apollo ed Helios… Il Leone rappresentava anche il Calendario ... Un Leone stava sulla parte superiore di ogni Arco Reale dove il SoleLeoninoritornava a passare durante ogni Solstizio Estivo ... A Babilonia: IshtarDea dell’Amore e dell’Eros era definita “Leonessa”, e il Leone era animale sacro consacrato a lei. In quel caso si sottolineavano ed evidenziavano anche le doti di sensualità e maternità della Leonessa riconoscibile come Dea-Madre ... La Dea SumericaInannacavalcava due leonesse ... Nella Cina un tempo Buddistail Leone rappresentava il Fuoco, era una creatura misteriosa: un Vigilante della Porta che proteggeva gli esseri umani da Spiriti, Fantasmi e Demoni ... Il Leone ancora era sinonimo di Potere, Stabilità, Prudenza, Dignità, Gloria e Vittoria: il Budda stesso appariva in forma di Leone ...  In Tibet il Leone delle Nevi rappresenta la Terra … potremmo continuare a lungo.

Esemplare e curiosissima è l’immagine del Leone presente nei Bestiari Medievalidove appare dotato della capacità di “dormire ad occhi aperti” Ugo da San Vittore affermava che il Leone simboleggiava il Cristo: l’Unico capace per davvero di dormire ad occhi aperti, cioè di vedere e cogliere il significato dell’Aldilà del Mondo, delle persone e delle cose … La Vigilanza Attentaè stata per secoli una delle doti e VirtùMaggiori consideratissime in tutti i Monasteri del Cosmo Cristiano Occidentale… Nel mondo Biblico-Evangelico-Liturgico-Catechetico ruggiscono “come un Leone” sia la Parola di Dio che la Parola del Diavolo ... Il Leone richiamava anche una realtà salvifico-pacifico-idilliaca dove lui riposava tranquillamente accanto alle pecore: un Leone mansueto insomma, quasi come un Agnellino … ma allo stesso tempo il Leone rappresentava anche l’immagine delle passioni irrefrenabili e nascoste, delle forze del Male Puro e del CaosInfinito e Abissale… Il Leone, insomma, possedeva significati ambivalenti, anzi: era ambiguo di suo.

Di recente qui a Venezia ho sentito consigliare alla Giudecca: “Fàtte un tatuagio da Leon … xè ben stamparselo addosso su un bràso o su una gamba … Xe par sentirse Leoni ... par esser come lù.”

 

Il senso-significato del Drago, invece, è presto detto ... Indica tante cose, e più che un fatto di stampo Religioso-Interiore, il Drago rimanda a un fatto esistenziale-Storico. Il Drago indica la consapevolezza del proprio limite, ciò che l’uomo ha di fronte, ma di cui gli manca la chiara consapevolezza … Il Drago richiama l’handicap del non capire che l’Uomo ha di fronte alla Morte e ad ogni ostica forma di Male che lo brutalizza in ogni tempo. Indica e sintetizza tutte le attese e gli obiettivi non raggiunti, inevasi o impossibili da raggiungere, gli insuccessi e i timori, i bisogni d’aiuto, e la gran voglia di esplicare e rendere plasticamente visibile e immaginabile ciò che ogni Uomo e Donna che respirano sulla Terra non sanno comprendere. Il Drago-Serpentepoi, personificava anche l’inconscio, le passioni, l’istinto, la valenza fallica della sfera sessuale soprattutto quando diventa incontrollata, violenta e incontenibile, cioè il Lato Oscuro dell’Umanità ... Ecco quindi che si contrappone al Drago l’altra faccia della medaglia: quella del Mito e della Leggenda del Nobile Cavaliere che indosa ogni Valore e Virtù, e si valorizza l’atteggiamento Verginale, la Purezza Sacrale, e i Culti della Santità degli infiniti Santi e Madonne che affollano ogni giorno del Calendario contrapponendosi ad ogni forma Draconica in cui si sintetizza e riassume il Male.

Ciascuno portava dentro al proprio Animo un Drago di perplessità, incoerenze, egoismi e incertezze da combattere, ed ogni esistenza di volta in volta mostrava eventi dentro ai quali si era obbligati a combattere Mali che ti assaltavano come possenti Draghi.

Il Drago in qualche modo indicava l’affacciarsi del Divino, del MisteriosoTerribile e dell’UltraUmano sullo scenario del mondo concreto, visibile e spicciolo del quotidiano qualsiasi. Il Drago si poteva incontrare, ed era incontrollabile ed ostico come gli effetti della Natura che procuravano Vita e Morte, cioè la cronica sfida esistenziale presente in ogni tipo di cultura.

Non trovando in se e nel proprio entourage valide spiegazioni, l’Uomo si buttava allora nel Mito e sulla fantasiosa Leggenda pur sapendo che quelle non erano vere risposte, ma solo immagini, prefigurazioni, intuizioni limitate che potevano anche ingannare ... il Mistero del Vivere e del Cosmo rimaneva lo stesso tutto là intonso … Ma tutte quelle immagini erano pur sempre un coraggioso tentativo di porsi certe domande: cosa che noi di oggi evitiamo più che spesso accuratamente di fare …

Tante persone: tanti problemi … tante vite e situazioni diverse … quindi tante risposte e figure differenti per interpretare tutto il vivere che c’era intorno. Ecco spiegata quindi tutta la folla enigmatica e allusoria delle Arpie, delle Chimere, Serpenti e Basilischi “Piccolo Re” (l’essere covato da un Rospo, ma nato Serpente coronato e con le ali da Gallo. Pure lui sputafuoco e con lo sguardo e l’alito mortiferi, capaci di distruggere e rovinare ogni impurità e vizio, ma anche simbolo del Demonio) ... E poi c’erano ancora: Sfingi, Meduse, Idre, Sirene, Aguane, Melusine,Astomati e Astomori che si nutrivano di soli odori, e Panozi, velocissimi Sciòpodi, Blemmi, Unicorni, Ciclopi, Androgini, Traghelafi o Ircocervi, Cinocefali,Acefali, Centauri e chi più ne ha più ne metta … S’impiegava il catalogo di un’immaginazione fantasiosa intera per descrivere tutto ciò che non si capiva, ma stava accadendo dentro ai limiti e la sfera della Storia Umana. 

Il Dragosi mostrava e svelava come figura complessa dai tratti ricorrenti che riassumevano in se i quattro Elementi Naturali della conoscenza classica e alchemica, quella considerata “scientifica” allora. Il Drago possedeva, infatti, il corpo da Serpentecon le zampe ad indicare la Terra, il Serpente con la sua continua muta era anche simbolo di ambiguità, doppiezza, viscidità, micidialità velenosa maligna, ma anche di rinascita, continua riproduzione, scaltrezza, furbizia e forza. Non a caso il Culto del Serpente era antichissimo, e implementato in numerose culture diverse … Il Dragopoi aveva ali da Uccelloper ricordarel’Aria e il Cielo, aveva la coda-timone da Pesce per richiamare l’Acqua e il Maredove s’annidava il Misterioso Male, e sputava dalle fauci il Fuoco per ricordare appunto la potenza distruttiva ma calorifera dell’elemento Fuoco… In altre parole il Dragoera una figura di Sintesi Cosmica … Il Dragone, infatti, fin dalle Tradizioni Greco-Romane e Orientalistava ovunque influendo sul Destino delle singole persone e delle comunità procurando Vita e Morte: lo si riconosceva nel Cielo nelle Costellazioni, nelle caverne ipogee sotterranee, nei posti più segreti dove custodiva tesori, nel Tempio-caverna, nella foresta-palude-santuario, e negli abissi delle acque del Mare-Oceano ben conosciuti dalle Civiltà Marinare e fluviali come quella Veneziana, che individuavano e sapevano riconoscere il Kêtos, cioè: il Drago-Leviatanocome qualcosa in tutto simile a una Balena o grande Pesce.

 

Quando si partiva per qualsiasi forma di viaggio, un tempo non si sapeva se si ritornava. I Draghi come Scilla e Cariddiincombevano sugli stretti dalle vorticose correnti di Messina, Gibilterra e del Bosforo, ma potevano trovarsi ovunque, ad ogni bivio o strettoia di strada. Erano sinonimo di quel pericolo sempre incombente che esisteva durante il multiforme vivere …. I Miti antichi come quello di Perseo e Andromeda, come i Racconti Biblico Ebreo-Cristiani erano chiari: c’era sempre un Mostro Marino Serpentiforme che inghiottiva ondeggiando ogni evento e circostanza del vivere storico. Il Giona biblico veniva inghiottito dalla Balena-Leviatano, ma quella era una variante di uno stesso motivo originale ripetuto mille volte dai marinari dei porti del Mediterraneo, come a Giaffa e Alessandria, o sul Mar Rosso, nel Mare Indico-Cinese, dai beduini del deserto dell’area Semitica-Ugaritica… Insomma il Drago sputava ovunque … e c’era sempre ovunque un qualche Dio o SantoGuerriero deputato a combatterlo e eliminarlo, o perlomeno a tenerlo a bada e governarlo …  e il Mondo era il sito, il campo di battaglia di quel combattimento primordiale ancestrale mai terminato ...

Sorprendente la somiglianza con le concezioni dei Benandanti Friulani “nati con la camicia” del 1500-1600, che a distanza di secoli, e in un tutt’altro luogo riproponevano più o meno le stesse cose.

Quando si andava e navigava mercanteggiando per Mari, impervi Monti e Deserti infidi come facevano i Veneziani, era sempre possibile incappare in qualche razzia, incontrare la Peste, qualche comunità ostile, e perfinoperdere la vita oltre che il carico o il capitale, annegare e perdere il cadavere … Era il Drago ! … Si rimaneva privi di quella Sacra Sepoltura nella terra-Patria dove si era nati, quella degli Avi, del Clan e di tutti i parenti da dove si era sorti come infimo granellino di polvere immesso per procrearli da un uomo come Adamoin una donna come Eva sinonimo di ogni UomoDonnaqualsiasi.

Il meraviglioso enigmatico insolito quanto pericoloso del Dragone abitava spesso in zone poco frequentate e ostili, sul margine ultimo fra Natura e Civiltà: oltre le Colonne d’Ercole, sui confini dell’esplorato, e nelle zone di periferia dove c’era l’imprevisto e il banditesco di cui non si avevano mappe nè carte per prevederne un qualche controllo … Di quei posti ai naviganti e mercanti riusciva solo d’immaginare l’imprevisto pauroso e incognito: “Hic sunt Leones” scrivevano i Romani sulle loro mappe circa le parti dell’Africa ancora inesplorate e sconosciute ... Il che significava: “Lì non si sa che cosa ci possa essere …State attenti ! … Non si sa bene come potrà andare … C’è sempre il Drago: un Mostro incognito, che potrà ghermirvi e farvi del Male in qualche modo.”

Insomma: il Dragone dai mille volti e opportunità era sempre quella grande incognita in agguato ... Nell'iconografia e nel riciclo dei contenuti antichi fatto dalla cultura Cristiana, il Drago divenne reincarnazione-immagine fantastico-intellettuale di Satanail Diavolo, il Nemico Antico contro il quale l’intera Storia dell’Umanità non aveva mai smesso d’intraprendere una lotta senza scampo, senza fine e senza Tempo. La Lotta col Dragosintetizzava e riepilogava il Destino del Mondo e di ogni persona che si destreggia di continuo fra Bene e Male durante tutta l’esistenza … A volte vinceva il Drago Maligno, altre volte, invece, vincevano Santi, Madonne, Pii Cavalieri… e persone qualsiasi di turno che riuscivano a sconfiggerlo. 

 

Antiche teogonie, cronache monastiche, leggende popolari si sono affannate a descrivere più e più volte il Dragone Antico che aveva l’età dell’Umanità … Il Profeta Isaia appartenente alla letteratura d’impronta MedioOrientaleBiblicache divenne ben presto EuropeoOccidentale diceva: “In quel giorno il Signore punirà con la spada dura, grande e forte, il Leviatano serpente guizzante, il Leviatano serpente tortuoso e ucciderà il Drago che sta nel mare.”… Il Salmo 74: “con la tua forza hai diviso il mare e hai schiacciato la testa dei mostri marini nelle acque. Hai frantumato le teste del Leviatano…”, e il Biblico Libro di Giobbe: “Ecco, si gonfi pure il fiume: egli non trema, è calmo, anche se il Giordano gli salisse fino alla bocca. Chi potrà afferrarlo per gli occhi, prenderlo con lacci e forargli le narici? Puoi tu pescare il Leviatano con l`amo e tener ferma la sua lingua con una corda, ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un uncino ? Ti farà forse molte suppliche e ti rivolgerà dolci parole ? Stipulerà forse con te un'alleanza, perché tu lo prenda come servo per sempre ?”… Nel costume comune della Tradizioni Ebraica si ponevano porzioni del Libro di Giona sotto al cuscino delle partorienti, e si ampliava il significato originale della Bibbia affermando che il Mostro Anticosarebbe finito come portata principale sul Banchetto Futuro dei Giusti… L’equazione Mostro Marino-Tomba esplicita nel Libro di Giona venne trasposta pure nel Vangelo di Matteo, e affrescata più tardi nelle Catacombe Paleocristiane come “segno-annuncio-prefigurazione”della Resurrezione di Cristo, che a sua volta era pure lui: “un fuoriuscito illeso dalla bocca e dal ventre del Mostro del Male e della Morte”. La Risurrezione del Cristo proposto dalla Rinascita Cristiana era assimilabile a un nuovo parto, ed era parabola-epopea di Morte e Vita e vittoria del Bene Eterno sul Male … Chi Rinasceva-Battezzato prendeva nome di Renato o Rinatus, ed era come Giona scappato fuori “in salute”(Salus = Salvezza) dalla bocca del Leviatano-Male… Non fu un caso se qualche secolo dopo in perfetta analogia, sintonia e continuità con quelle vecchie usanze e precisazioni del Microcosmo Ebraico, anche la Devotio a Santa Marina diede raccomandazioni simili alle partorienti di cui divenne Patrona.

Altri ancora, come Rabano Mauro, si sono cimentati nel dipingere e descrivere quello stesso Drago Antico: Il Drago è il Diavolo, è Satana, e i Draghi sono i suoi adepti”… e Isidoro di Siviglia: “E’ il più grande di tutti gli animali: è una bestia sotterranea ed aerea che ama lasciare le caverne in cui si nasconde per volare nell'aria, la sua forza risiede non nella bocca o nei denti ma nella coda con cui può stritolare il suo avversario per eccellenza: l’elefante …”, e l’ultrafamosa Apocalisse Giovannea con i suoi Commentari: Nel Cielo apparve poi un segno grandioso: una Donna vestita di Sole, con la Luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici Stelle … Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto … Allora apparve un altro segno nel Cielo: un enorme Drago Rosso con dieci corna e sette teste con sette diademi: la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del Cielo e le precipitava sulla terra ... Il Drago si pose davanti alla Donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. La Donna, invece, fuggì nel deserto dove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per 1260 giorni … Scoppio quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi Angeli combattevano contro il Drago. Il Drago combatteva insieme con i suoi Angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in Cielo … Il grande Drago, il Serpente Antico, colui che chiamiamo il Diavolo e Satana e che seduce tutta la terra. Fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi Angeli … Ora quando il Drago si vide precipitato sulla terra si avventò contro la Donna che aveva partorito un figlio maschio … ma furono date alla Donna le due ali della grande Aquila per volare nel deserto verso il rifugio preparato per lei per esservi nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo lontano dal Serpente ... L'Arcangelo Michele gli impedì di volare ma egli vomitò liquido per far annegare la Donna e Dio aprì una voragine che inghiottì il fiume. Allora il Serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d’acqua dietro alla Donna per farla travolgere dalle sue acque. Ma la terra venne in soccorso della Donna, aprendo una voragine e inghiottendo il fiume che il Drago aveva vomitato dalla propria bocca … Il Drago infuriato contro la Donna giurò di vendicarsi verso la sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù … Due furono le Bestie create dal Drago: la Bestia del Mare e la Bestia della Terra ... La Bestia del Mare aveva sette teste con sette bestemmie e dieci corna con dieci diademi; era simile a una Pantera con le zampe di un Orso e la bocca di un Leone. Gli antichi Romani furono impressionati da quella Bestia perché le sue ferite si rimarginavano. La Bestia della Terra aveva due corna d'Agnello e parlava come un Drago. Subito questa fece far costruire dai Romani una statua della Bestia del Mare e la animò cosicché potesse mettere a morte chi non la adorava ... Dalla bocca del Drago escono tre spiriti di Demoni simili a Rane che operano prodigi radunando tutti i re della terra per la guerra del gran Giorno di Dio.”

Beh ? … Che ne dite ? … Fate un po’ voi: Draghi e Leoni erano Simboli potenti ed efficaci: la maggior parte delle persone nella loro ignoranza “li leggeva” avidamente pur senza saper né scrivere nè leggere. Non erano immagini isolate e uniche, ma facevano parte di un pacchetto di figureSimbolo parallele a loro volta ricchissime di significato, che più di qualche volta finivano col sovrapporsi e confondersi l’una con l’altra divenendo integrate ed equipollenti. L’Albero Cosmico della Vita, del Bene e Male, della Conoscenza, Sapienza e Verità, ad esempio, era uno di questi. Il Simbolo Arboreo rappresentava la ciclicità stagionale riproduttiva, col ritmo annuale di Morte e Rinascita: era figlio immortale del Tempo … Nell’immaginario culturale sfidava i secoli radicandosi nel Mondo di Sottodei Morti, stava col tronco tenace nello Spazio del Mondo di Mezzospettatore del comune Vivere, e aveva chiome al vento protese a sostenere e interagire col Mondo di Sopra del Cielo Eternodel Santorale Divino. L’Albero al pari del Drago riassumeva in se i Quattro Elementi Naturali essenziali dello scibile “scientifico”di allora: Acqua, Terra, Aria e Fuoco… Stormiva nel vento parlando a modo suo, emettendo da specie a specie voci diverse, mandava messaggi, con i suoi prodotti sapeva nutrire, e possedeva sensibilità medicamentose e propiziatrici capaci di risanare la comunità umana come le Erbe della Guarigione: gli efficaci Semplici… L’Albero ancora era anche Casa degli Spiriti. Le Piante ospitavano entità misteriose partecipi delle qualità vitali del Cosmo Divino Naturale che si rivelava in modo superUmano tramite la violenza dei terremoti, dei vulcani e degli incendi, nelle acque impetuose delle cascate e delle piene dei torrenti alluvionali che straripavano, nei vortici delle profondità marine dove si annegava e naufragava … Quel Naturale Potente e Misterioso oltre che Benefico sapeva, tuttavia, essere anche docile e delicato: faceva capolino in maniera gentile e pacifica nelle amene Sorgenti, Fonti e Fontane, oppure nei placidi fiumi che scorrevano giorno e notte all’insaputa dell’uomo sopra e sottoterra, o nei placidi Laghi: altre case capaci di ospitare il Divino, il Nume Tutelare, la Pizia o l’Oracolo di turno ... L’Alberoalla fine finì anche col trasformarsi in Croce, in Palma Benedetta, in Cipressi e Betulle Funebri-Cimiteriali, nei Melograni della prosperità e fertilità … E sapete bene come la Croce: Nuovo Albero di Morte e Rinascitaè riuscito a spaccare a metà Oriente e Occidentale contrapponendolo per secoli, e ancora oggi, una buona parte del Mondo mena ancora botte da orbi o le subisce infiammando la Storia per lo stesso motivo e simbolo … Chi starà combattendo la giusta battaglia ? … E chi lo sa ?

 

Esistevano Simboli “positivi” come l’Aquila, il Bue, l’Angelo e appunto il Leonedell’EvangelistaSan Marco … E c’erano SimboliSegni “cattivi-negativi”, cioè “nocivi”per il corpo, la psiche umana e la comunità sociale come appunto il Noce o Nòghero Albero delle Streghe, dei sortilegi e degli incontri con Satana ... Il Vecchio Noce di Benevento ... Era stata la Santa Inquisizione, che proprio Santa non era, a modificarne, trasporne ed evidenziarne il contenuto rendendolo malefico … E’ vero che l’albero Nocecontiene la Juglandina alcaloide allucinogeno, così come il Tasso Sacro ad Ecate: l’Albero della Morte esala la mortale Tassina. Ma chi lo sapeva a quei tempi di quei contenuti velenosi ? … Il motivo del mutamento di significato non fu quello, ma un altro: l’Inquisizione e il Cristianesimoin genere intesero dislocare, sradicare, stravolgere e capovolgere ogni immagine efficace della Cultura Pagana che fosse pregna di qualche significato apprezzato dalle persone. Il Noce, ad esempio, significava e rappresentava nella fattispecie gli Antichi Culti Propiziatori della Fertilitàassociati alla Madre Terra che si celebravano attorno ad esso … Allo stesso modo: Bosso, Cipresso, Mirto e Pioppo Nero(come la Morte) e Pioppo Bianco(come la Vita-Rinascita)erano gli Alberi dei Morti e della Dea Ade degli Inferi-Oltretomba… Dentro alle Sacre Querce delle radure dei Druidi abitava la Ninfa Amadriade, mentre Dafne abitava nell’Alloro, e l’Animo delle Sorelle di Fetonte risiedeva dentro ai Pioppi, così come le Sette Ninfe Sorelle abitavano, s’incarnavano e personificavano nellearcane quanto stupende Stelle Pleiadi del Cielo.

Anche il Lupo divenne un Simbolo negativo: abitazione del Demonio, e finì per questo in seguito anche col far la parte del cattivo nella fiaba di Cappuccetto RossoIl GalloNerodivenne Segno-Simbolo del tradimento del boss San Pietro raccontato nei Vangeli, ma corrispondeva anche alla capacità innata di ciascuno vivente di tradire ed essere incoerente e infedele … Ovviamente il Serpente più di tutto si trasformò in segno cattivo diventando la casa del Diavolodopo essere stato per millenni il principale simbolo dei Culti Antichi alternativi al Cristianesimo. E’ emblematico, infatti, il fatto che il Cristostesso, venisse considerato innalzato come Nuovo Serpente della Storia in sostituzione e miglioramento delle facoltà salvifiche dei vecchi Culti del Serpente ... Prima c‘era DioGiove a scagliare il fulmine e far tremare la terra, a far sorgere il Sole facendolo correre nel Cielo col suo mitico carro … Ora s’era voltato pagina, c’erano “i nuovi SuperEroi”, le nuove storie, e i nuovi Miti-Leggende da accogliere e condividere, che avrebbero sostituito tutto ciò che era vecchio e superato ... e per questo: insano, peccaminoso, negativo e malefico ... causa di morte e dannazione.

Non dimentichiamo però: le grandi Cattedrali Gotichecon le loro possenti foreste di colonne, pilastri e capitelli intendevano visualizzare plasticamente proprio il bosco, la radura, le chiome della foresta tanto cari ai Simbolici Culti Naturali Antichi… Erano in un certo senso: la clonazione, la replica e il prolungamento trasformato, l’elaborazione e integrazione di tutto quanto aveva interessato il vecchio Mondo Pagano precedente il Cristianesimo ... Per certi versi il Cristianesimosi è rivelato come Nuovo Paganesimo: un Paganesimo.2, una nuova sensibilità con cui leggere diversamente il significato del Vivere riciclando, ampliando, modificando ed esorcizzando il prima PreCristiano… Gira e rigira tutta la Simbologia dei Draghi, Serpenti coabitanti con le figure Mitico-Bibliche di Adamo ed Eva, Cabala, Bestiari, e i vari: Odino, Dea Madre della Fertilità, Gilgamesh, Ulisse, Vizi e Virtù: “Licet o non licet”, Budda, Islam, Sacramenti e Santi e Madonne di turno sono stati e sono una sorta di servizio immaginifico che ha provato a regalare, proporre e tramandare la Storia con i suoi numerosi Sacri Testi, Leggende e Miti per aiutarci a intendere noi stessi, il Destino che ci avvolge, e il contesto storico ed epopea personale in cui tutti ci ritroviamo immersi volenti o nolenti … La marea dei Simboli sparsi, diffusi, riconoscibili e collocati ovunque: fra le Costellazioni e gli Astri in Cielo, nel grembo ipogeo di cripte, grotte, caverne e SacriMonti sulla Terra, nell’Aria volatile e nuvolosa, o nelle profondità acquose del Mare, delle Baie, degli Stretti e dei Canali: tutto quell’immane e immaginifica disgressione e riflessione della nostra cultura, è stata consegnata di generazione in generazione come seme di Tradizione-Educazione concentrato, trasposto, liofilizzato e passato in eredità alla nostra mente insieme al latte materno, quasi fosse un DNA supplementare, un patrimonio irrinunciabile aggiunto che diventa parte integrante di ciò che siamo.

L’immaginifico simbolico è diventato cultura, abitudine, convinzione, e spesso anche insito dictat-precetto etico-morale codificato dentro noi stessi.

Ricordo quando vivevo da bambino nella mia isoletta di Burano in fondo alla Laguna di Venezia: “Via gli Allori, il Bosso e i Cipressi dalla mia chiesa !” diceva il vecchio Piovàn Bonsignòr di Burano Don Marco Polo: “Non voglio piante pagane nella mia Casa di Dio !”… ed eravamo negli anni 60-70 del 1900 !

 

Torniamo alla nostra Venezia però con i suoi Simboli … La Serenissima fin da subito non poteva esimersi dal frequentare, e dall’essere parte coinvolta di tutto quell’immane calderone immaginifico, fantasioso ed espressivo … Anzi: ne è stata per certi versi anche estroso esempio, prototipo ed esplicito modello innovatore nonché sintesi curiosissima.

Il Leone Veneziano piano piano ha cambiato sembianza e significato: è diventato più pregnante di significato. Nell’intendere Veneziano si assemblò, integrò e concentrò nel Drago-Serpenteuna grande massa di significati fondendoli e coniugandoli insieme nel unico simbolo di San Marco col suo Leòn ... Il Leone finì col simboleggiare e impersonificare Venezia stessa, e i Veneziani, che divennero i “figli del Leòn de San Marco”.

Allo stesso modo Venezia si identificò nel Cavaliere San Giorgio o nelCoPatrono San Tòdaro o Teodoro che combattevano, infilzavano e calpestavano il Drago-Coccodrillo-Biscione posto quale simbolo preminente proprio in Piazza sulle Due Colonne, proprio di fronte all’Isola dei Benedettini dedicata esattamente allo stesso San GiorgioSi trattava di due grandi SantiSoldativincitori del Demonio-Dragone effigiati in vesti Bizantine con in mano un Libro e una Crocetta, simboli della Fede Cattolica professata col Martirio.

Dal Molo e dal Bacino di fronte a Piazza San Marco, cuore pulsante della nostra città, partiva e arrivava, si esplicava buona parte dell’economia commerciale e marittima Veneziana. Tutti i Veneziani dovevano per forza guardare sempre quelle massicce Due Colonne Simboliche cogliendone il significato … Sul Molo di San Marco ad accogliere ed ispirare i naviganti al rientro a casa in Patria si levavano alla vista sempre loro: quelle due Colonne-Immagine di Marco e Tòdaro Lottatori e Vincitori contro ogni Male Cosmico e Quotidiano.

San Tòdaro era San Teodoro Tirone detto l’“Orientale”, cioè d’origine Bizzantina, era del IV secolo, e fu un altro MegaloMartire di Venezia … A Bisanzio-Costantinopoli, cioè Istambul, esistevano ben sei chiese a lui dedicate, e anche a Ravenna, nel 680, l'Esarca Teodoro fece costruire una chiesa in suo onore ... Il titolo Teodoriano era presente pure a Roma, non poteva quindi mancare a Venezia.  

Originario di Amasea nell’Ellesponto oggi Turco, Tòdaro-Teodoro fu un legionario romano torturato e bruciato vivo sul rogo … anche se il suo Santo Corpo finì a Brindisi… Ma allora, fu bruciato o no ? … dettagli inutili … Secondo la Leggenda di San Teodoro la cosa più importante fu che fu lui a bruciare il Tempio di Cibele Madre degli Dei, e che fu sempre lui a combattere e uccidere dei Draghi ben quattro secoli prima dell’epopea del famosissimo Cavaliere San Giorgio ... San Tòdaro quindi era un altro SantoMatadraghi: un altro capace di dissolvere e superare tutto l’Antico retaggio Pagano-Malefico.  

In seguito anche il Mito di San Marco si riferì ai contenuti Leggendari dell’antico coProtettore San Tòdaro ... Non a caso la Leggenda Marciana narra di una Venezia nata dentro alla lotta di una burrasca Marina dove le acque buie e incerte del Misterioso Mare-Male minacciavano di annegare il futuro di Venezia … Tramite l’intervento dei Protettori e di San Marco le acque ostili, come il Dragoneche spesso contenevano, si rappacificarono e diventarono talmente favorevoli alla Serenissima che non solo imparò a navigarle e dominarle, ma addirittura le sposò amandole del tutto e condividendone il Destino … Suggestione dell’immagine e del racconto Leggendario !

E’ evidente il richiamo alle Acque Primordiale della Creazione Biblica, nonchè alle antichissime e travagliatissime Acque Diluviali della Saga di Noèsopravvissuto sull’Arca all’acqua Malefica di Morte, non può mancare come riferimento il Mosè Salvato dalle Acque, e la correlazione ispirativa con tutti quei grandi personaggi mitici storici lottatori contro l’instabilità del Cosmo incerto, e talvolta inopportuno e importuno … San Tòdaro quindi prima di San Marcoè stato archetipo, tipos Mitologico-Leggendario, schema di riferimento per il Mito Marciano che esprime quella stessa lotta cosmico-politica-economico-esistenziale contro il Male, le avversità, e tutto ciò che era difficoltà e incertezza storica.

A Venezia esisteva già un edificio sacro dedicato al Santo Tòdaro-Teodorocontiguo a San Marco: il testimone oculare Giovanni Diacono lo vide bruciare nell'incendio del 976 ... Le spoglie del Corpo di San Teodoro giunsero a Venezia nel 1096 al tempo delle Crociate insieme a quelle di San Nicola-Nicolò di Mira: “San Pietro, San Marco, Sant'Ermagora e San Nicolò figurano tra i Patroni Ufficiali del nostro Stato … A questi Quattro è affidata la cura e l'onore dei Veneti. Con questi Protettori la Repubblica sta salda, cresce e risplende per Terra e per Mare."declamavano le Cronache Veneziane Antichissime.

Durante la Guerra di Chioggia del 1377-1381 sembra ci sia stato un ulteriore incremento del Culto di San Tòdaro, una specie di riscoperta-Inventioda schema Leggendario.  Fu allora che venne eretta la statua sul pilastro del Molo collocandola accanto al Leone Marciano già esistente. In quello stesso frangente storico San Tòdaro entrò a far parte del tutto del Leggendariodella Coscienza Nazionale Veneziana. Secondo il racconto del Sansovino, che riprese un poema di Bernardo Zorzi, in quel momento storico si sarebbe inalberato a Venezia il Vessillo Teodoriano considerandolo Patrono delle Armi Veneziane.

Diciamone poi un’altra: i Veneziani fecero confusione tra San Tòdaro Teodorosoldato di Amasea (quello della Colonna di Piazza San Marco) e un altro San Teodoro di Eraclea Comandante e Patrono delle truppe Imperiali Bizantine sepolto ad Euchaita… La “Traslatio” del Santo Corpo di San Teodoro di Eraclea avvenne a Venezia nel 1267 a cura di Marco Dauro che si premurò di collocarlo nella chiesa di San Salvadorpoco distante da San Marco ... ma nelle Mercerie prossime a Rialto, dove un Santo in più non avrebbe guastato per proteggere, favorire e tutelare ulteriormente le economie dell’Emporio Realtino. Alla fine come d’abitudine a Venezia, e per non far torto a nessuno … figurarsi al Cielo ! … si tennero e venerarono entrambi i CorpiSanti dei due San Teodoro, ed entrambi vennero rappresentati sui mosaici della Basilica Marciana… Che importava quale fosse il Tòdaro giusto ? Ciò che importava era sempre, solo e unicamente il bene di Venezia sotto ogni forma … e con buona pace di qualsiasi tipo di Cielo.

Leone e Drago quindi richiamavano alla mente dei Veneziani una Venezia intesa come: “Porta fra Luce e Tenebre del Destino della Storia … Palcoscenico privilegiato dove si combatteva la Battaglia Cosmica definitiva fra Bene e Male”.

Sapete una curiosità circa i Leoni-Drago di Piazza San Marco e di Veneziain genere ?  … Per secoli i Veneziani hanno tramandato l’idea che ogni Drago, compreso quello del San Tòdaro Sauropode della Colonna di Piazza San Marco, corrispondesse a quello combattuto con le Crociate, cioè il Drago era sembianza e sinonimo del Turco Maligno, Bestia Nera Maledetta, Malefico InfedeleSenzaDio, l’Eretico Nemico dei Nemici, il Peggior dei Mali in genere, quasi quanto la Peste e la Carestia. Il Turco era l’Antico-Ancestrale Male-Nemico da vincere, trafiggere e calpestare, e ogni Veneziano di fronte alla Colonna pensava che Venezia era come quella Principessa Salvata da San Giorgio o dal Tòdaro, e pensava ancora che San Marco e la Serenissima sarebbero stati capaci di continuare quella Lotta combattendo, difendendosi e vincendo contro ogni tipo di Male ... Anche se con lo stesso Turco Malvagio si poteva ugualmente continuare a fare buonissimi affari e commerci … perfino in tempo di guerra, e le guerre si sa: a volte duravano anche decenni allora.

Raramente, infatti, s’è interrotto del tutto il flusso commerciale ed economico fra Venezia e la Porta dell’Oriente Arabo-Ottomano. Il risvolto economico e il guadagno venivano prima di ogni Fede e Politica: “Siamo Veneziani prima che Cristiani” aveva detto l’Ambasciatore Veneziano al Papacome vi ricordavo prima ...  Andate a vedere i teleri realizzati da Vittore Carpaccio per la Schola di San Giorgio e Trifone nelle popolari Contrade di Sant’Antonin e della Bragora nel Sestiere di Castello… Stupendi !!! … con tre punti esclamativi.

Anche in quei dipinti il Drago dipinto da Carpaccio per i Veneziani era una strana sintesi di Bestia alata Antica e Nuovo … Di sicuro vedendolo i Veneziani di allora andavano col pensiero dritti dritti alla vittoria desiderata e voluta contro quel Drago Maledetto dei Turchi Infedeli: erano loro il Male dei Mali, il Drago indomito da schiacciare con coraggio, e provare a vincere senza esitazioni, e risparmi di energie e risorse.

 

Tornando in Piazza San Marco, accanto al Tòdaro, giusto sull’altra Colonna, c’era e c’è il Leone Alato Marcianod’incerta provenienza, Di sicuro era già presente in città dalla fine del 1200, e s’integrò alla perfezione collocandosi nell’ormai usuale discorso di San Giorgio, San Teodoro, l’Arcangelo Michele trafittore di Draghi e Giudice con la Bilancia del Destino dell’Umanità, e tutti gli altri Santi e Sante Sauroctoni presenti a Venezia … Qualcuno dice che la testa del Leone Marciano della Colonna sia stata privata di alcune corna caprine sostituite dalla criniera di riccioli visibili ancora oggi. Le corna erano tipiche dell’iconografia del culto al Dio Sandon Protettore di Tarso in Cilicia… Altri dicono, invece, che il Leone fosse parte di un monumento funebre eretto da Alessandro Magno per i caduti della battaglia contro Dario a Issopoco distante da Tarso.

A guardarla meglio poi, quella statua proprio Leonedel tutto non è, perché è un miscuglio fraLeone, Serpente, Basilisco, Chimera e Coccodrillo (l’Essere-Coccodrillo era simbolo di Ipocrisiae Lussuria in quanto l’animale pur incedendo solenne, elegante e impavido, era di natura furbesca e malvagia rimanendo sommerso, mimetizzato e nascosto in agguato. Covava e dissimulava brutali intenzioni rapaci.) 

Poco cambiò comunque per i Veneziani … Ogni immagine di Drago-Leone-Serpentepresente in Laguna e a Venezia impersonava e riassumeva plasticamente qualsiasi Nemico potesse avere nel tempo la Repubblica Serenissima. La tipica immagine del Leone Marciano, infatti, mostra una coda appuntita “da DragoAntico”, il Libro del Sapere, della Legge, e del Bene e Male del Vivere aperto in tempo di pace e chiuso in tempo di guerra, criniera raggiata al vento come un Sole Divino, occhi di brace, artigli rampanti e spada in mano … Gli mancava solo di sputare fuoco, ma la Serenissima sapeva sputare benissimo fuoco, e non solo quello … senza paura e in ogni circostanza.

La sintesi plastica Drago-Leone-Serpente divenne emblema politico-religioso, motivo d’identificazione, intenzionalità espressiva della potenza e delle capacità-intenzioni della Città Lagunare… Come simbolo di straordinaria diffusione, il Leone Marciano venne amato e odiato sia dai Veneziani, che dai Veneti, che da tutto il suddito Dominio da Mar e di Terraferma, ma fu anche input per molti di rispetto e timore: “Col Leon de San Marco no se scherza ! … El Leòn de San Marco fa ribaltar le budella in corpo, infiamma gli animi, accende una sensasiòn de violenta ribelliòn dentro … Impìssa un sentimento d’ostilità vendicativa incontenibile mai esausto verso i nemici della Repubblica, insieme a un sentimento d’amòr generoso e sacrificio pal Gonfalòn-Bandiera nostro … Il nostro Leon fa combatter ogni rivalsa con furbizia e coraggio, e spinge ad accompagnàr Venessia e San Marco dovunque andranno …”

Mettiamo da parte l’idea un po’ semplicistica di Venezia col Canal Grande a forma di Drago-Grande Pesce Marino, e anche quella di SanGiorgiocontroSanMarco, e della fantasiosa coda Draconica-Demoniaca che raggiunge Palazzo Dario dove nei secoli sono accaduti uccisioni, morti e feriti ... Sono mere illazioni e congetture fantastiche gratuite che fanno sorridere ... Non c’è nulla di storico e utile in certe considerazioni per cogliere il senso di Venezia col suo Mito.

Come ben sapete, a Venezia esisteva Il classico Leone Alato col libro e la scritta: “Pax tibi Marce evangelista meus”. Lo si ritrova a Palazzo Ducale sulla Porta della Carta, sulla Torre dell’Orologio, nella Piazzetta dei Leoni, appunto sulle Colonne di Marco e Todaro, sulla Porta dell’Arsenale, sul culmine della facciata della Basilica Marciana ... Qualche Nobile Veneziano oltre a inserire il Leone nel proprio stemma araldico, provò anche ad allevare qualche leone spelacchiato in casa: nel 1316 una leonessa partorì dei cuccioli a Palazzo Ducale… Raccontano le Cronache Veneziane che per un certo tempo in Piazza San Marco esisteva un altro spelacchiato Leone in gabbiache sembra sia morto avvelenato per l’ingestione delle dorature della sua stessa gabbia … Durante il Carnevale 1762 venne esposto un leone vivo in Piazza San Marco ritratto da Pietro Longhi nel “Il casotto del leone”.

Minuzie, curiosità e luoghi comuni sul Leone Marciano: veniva raffigurato “rampante” di profilo, o piuttosto: “in moèca”, cioè frontale con l’aspetto del granchio al tempo della muta del carapace. A volte il Leone era fuoriuscente dall’acqua simboleggiando l’elemento e il Dominio di Venezia: con una zampa sulla Terraferma e una sul Dominio da Mar, la dualità del Dominio Veneziano … C’erano poi Leoni accosciati, con le ali spiegate a ventaglio, Leoni “in gazzetta”: cioè seduti ad ali spiegate e con l’aureola, Leoni Vessilliferi con la bandiera della Serenissima, “Leoni andanti” col libro aperto o chiuso e con la spada sguainata verso l’alto o il basso a seconda che Venezia fosse in pace o in battaglia. Secondo un’interpretazione diversa: il libro aperto voleva significare città soggetta a pagamento di tasse alla Repubblica Serenissima; mentre libro chiuso e spada rivolta verso il basso significava: città esente da imposte, affiliata e di “comodo economico”per Venezia.

Come vi dicevo, c’era un vero e proprio affollamento di Leoni a Venezia. C’era e c’è ancora quello davanti alla Porta dell’Arsenale, ad esempio. Parte di quel monumentale insieme è stata portata a Venezia nel 1687 da Francesco Morosini da Delosdurante le guerre della Lega Santa contro il Turco dell’Impero Ottomanoe l’assedio di Atene. Delos oggi è un’isoletta disabitata di tre kmq e mezzo poco distante dall’altra isoletta di Rineja e dalla famosa Mykonos nell’Arcipelago delle Cicladi nel Mare della Grecia. E’ un sito archeologico di primaria grandezza ricco di reperti e mosaici, patrimonio U.N.E.S.C.O. molto conosciuto e visitato … Un tempo era isola strategica sulle rotte Mediterranee, centro di mercato, scambi e commercio di ogni genere conosciuto e frequentato anche dalle Mude della Serenissima. Per il Porto Leone di Delosnel Pireo, antico porto di Atene, sono passati Romani, pirati, e appunto anche i Veneziani che scambiavano schiavi, e che per non smentirsi al momento giusto si sono presi dei “ricordini”saccheggiando frettolosamente l’isola. Hanno rubato ed asportato, ad esempio, alcune teste di antichi Leoni del I secolo abbandonandone il corpo lì dov’era e dove sta ancora adesso, e viceversa: hanno imbarcato pesanti statue di tre metri portandole oltremare fino davanti alla Porta dell’Arsenale di Venezia.

Curiosa le vicende di alcuni di quei Leoni vandalizzati mentre stavano a Delosda alcuni “writer Scandinavi-Variaghi” dell’anno 1000 che vi incisero su spalle e fianchi alcune iscrizioni in Runicoincidendole a forma di Serpente ... Rieccolo sottolineato: torna l’abbinata Serpente-Dragone sopra a un Leone ! … Si sa che in quell’epoca alcuni Variaghi erano al servizio come mercenari dell’Impero Bizantino, e che vennero inviati in Grecia e nelle isole per reprimere alcune rivolte della popolazione locale. Comunque al di là della bravata della manomissione di quei Marinai, e della quasi banalità del contenuto delle iscrizioni che dicono solamente: Asmund incise queste rune con Asgeir e Thorleif, Thord e Ivar, su richiesta di Harold l'Alto, nonostante i Greci riflettendoci lo vietino.”... e: Hakon con Ulf e Asmund e Örn conquistarono questo porto. Questi uomini e Harold l'Alto imposero una forte tassa a causa della rivolta dei Greci ... Dalk è tenuto prigioniero in terre lontane. Egil è andato in missione con Ragnar in Romania e in Armenia.”, emerge il segno di una cultura Nordica che considerava il significato del potere ancestrale del Serpente-Dragone, chissà: forse in contrapposizione a quello del Leone?

Sui quattro Leoni diventati subito parte integrante del Portale dell’Arsenale Veneziano non mancò d’impiantarsi e fiorire immediatamente una fra le più curiose Leggende tipicamente Veneziane. Si narrò che nell’autunno 1719, ma poteva essere un giorno e un anno qualsiasi, dopo che aveva infuriato su Venezia e la Laguna una violenta bufera si ritrovarono nei pressi del Portale dell’Arsenale i corpi dilaniati di un paio di Marinai Greco-Maltesi che sembravano sbranati da un Leone. Ovviamente la Serenissima s’attivò subito ad indagare, ma non trovò alcuna spiegazione plausibile, perciò crebbe la paura degli Arsenalottie soprattutto della gente popolanissima delle misere Contrade delSestiere di Castello.

 

Erano stati i Leoni delPortale stregato dell’Arsenale?

Lo Stato allora incaricò Enrico Giustinian Capitano della Marina Venezianadi venirne a capo di quei fatti misteriosi, e di sorvegliare la zona ... Dopo circa un’altra settimana, come nelle fiabe: altra bufera sulla Laguna, e altro cadavere dilaniato rinvenuto il giorno seguente davanti alla stessa Porta dell’Arsenale … Stavolta si trattava del corpo di Jacopo Zanchi… La cronaca cittadina esplose saltando di bocca in bocca, e fu panico per tutti ! …  Zanchi abitava lì nei pressi, ed era un Veneziano qualsiasi “senza arte né parte”, uno di poco conto e un po’ losco a dire il vero, la cui moglie “per arrotondare”faceva la prostituta. Fu proprio la vedova insieme ad altri testimoni che si presentò dal Capitano Giustinianad accusare un certo Fòscaro. Costui era un vecchio mercante usuraio che abitava pure lui in una calletta poco distante dall’Arsenale. I testimoni raccontarono che Foscaro il giorno precedente al nubifragio s’era affacciato alla finestra di casa minacciando lo sfortunato Zanchi: “Vedrai dove finirà la tua baldanza la prossima notte di tempesta !”

Il Capitano Giustinian ascoltò tutti e annotò ogni cosa ... Altra settimana … e terza bufera tra mezzanotte e l’una: terzo tempo scenico come nelle migliori Leggende … col Capitano nascosto a controllare ogni cosa nei pressi del Portale dell’Arsenale. Mentre scrosciava la pioggia s’accese nell’aria un arco luminoso che uscì da una delle caxette vicine, e dalla luce comparve Fòscaroche iniziò a girare attorno alle belve di pietra accarezzandole e sussurrando loro parole stranissime. Poco dopo: altro fulmine che andò a schiantarsi su uno dei Leoni che si svegliò e mosse riprendendo completa vitalità ... Fatalità, in quel momento stava rincasando la vedova del Zanchi con una sua amica, e fu allora che un secondo fulmine colpì un altro Leone che si scagliò ruggendo col primo sulle due sfortunate. Fòscaro immobile stava ad osservare la raccapricciante scena rimanendo immobile e impassibile.

Capitàn Giustiniàn allora non perse tempo: estrasse la spada conficcandola nel petto del vecchio stregone maledetto, proprio mentre un terzo fulmine colpì un terzo leone che iniziò a muoversi e ruggire … Trucidato Fòscaro, tutto si fermò: due Leoni tornarono immediatamente ad essere di pietra, mentre il terzo continuò a ruggire scuotendo la testa imprigionata nella pietra. Giustinian allora con un altro deciso fendente decapitò il Leone la cui testa esplose in aria in mille frantumi spandendo ovunque una misteriosa sostanza nerastra puzzolente (come i Draghi)… Per terra intanto stavano i corpi delle due donne sbranate accanto a un cuore di pietra: era quello del vècjo Foscaro maledetto.

Le indagini finali chiarirono che Fòscaro era effettivamente un mago-stregone, e che Zanchi contrattando un prestito ad usura aveva provato ad imbrogliarlo … La vedova sopravvisse alla tragedia, ma si dovette internarla in una delle isole manicomiali in quanto era andata del tutto fuori di testa … La testa del terzo leone, quello verso il Rio delle Galeazze dell’Arsenale, venne sostituita con una copia, e oggi si possono ancora vedere i segni di quella spadata ben data dal Capitàn Giustiniàn.

Fine della storiella … Interessante vero ? … Una fascinosa leggenda di una Venezia tutta noir e non molto antica, la cui regia aveva gran voglia di stupire e meravigliare!

Di Leoni vecchi e nuovi, solitari o in lotta con Serpenti e Draghi se ne trovano molti altri in giro per Venezia: immessi in muro al Traghetto della Contrada di San Tomà… in marmo rosso collocati nella Piazzetta nel 1722 realizzati da Giovanni Bonazza… sulle pareti dell’Archivio di Stato, cioè sulle pareti di quel che è stato il magnifico quanto potente Convento della Cà Grande dei Frari dove è capitato di tutto … e ai piedi del Campanile a cuspide conica del 1352 della chiesa di San Polo poco distante. I Leoni di San Polo sono stati realizzati in perfetto stile Romanico di certo fra 1100 e 1200, e sono stati probabilmente due Leoni stilofori che adornavano l’antico portale della precedente chiesa di San Polo. Indossano però alcune storie singolari curiose: uno dei due Leoni viene aggredito al collo da un Biscione… Era Venezia tradita dalla “serpe in grembo” del decapitato Francesco Bussone Conte di Carmagnola Capitano delle truppe Veneziane durante la guerra con Filippo Visconti di Milano? … L’altra statua dei Leoni di San Polo ha una testa umana fra le zampe, e allude forse alla decapitazione del Doge Marin Falierpure lui personaggio traditore della Repubblica … Erano quindi due Leoni di monito quelli di San Polo ? … Infatti in quelle occasioni storiche s’era appositamente istituito il Consiglio dei Dieci col compito specifico di “stritolare” il tradimento della congiura Baiamonte TiepoloCarmagnola era però del 1432, mentre il Doge Falier era del 1355, e la congiura dei Patrizi Bajamonte-Tiepolo-Queriniè avvenuta nel 1310 ... I Leoni di San Polo quindi erano molto più vecchi di secoli, quindi precedenti a quelle vicende che vennero loro giustapposte e attribuite dalla credenza immaginifica Veneziana e popolare ... Durante il Medioevo era normalissimo porre e trovare sull’esterno di facciate di chiese e campanili tristi e foschi Mostri, Draghi, Leoni e Serpenti che riassumevano e simboleggiavano il Male del Mondo contrapposto alla Gloria Luminosa di Dio che risplendevano all’interno della chiesa dove trionfava e si celebrava il Mistero Provvidente del Bene di Dio.

Come sapete meglio di me, di Biscioni Milanesi-Lombardiche insidiavano il Leone Marciano a Venezia ne sono stati accuratamente rimossi e scalpellati via diversi. Ogni volta che Venezia e Veneziani erano in rotta con i Milanesi facevano piazza pulita di tutto …  Se ne salvano e ritrovano, infatti, pochissimi: solo qualche esemplare che per qualche motivo è riuscito a nascondersi in qualche calle o angolo di palazzo privato sfuggendo alla cancellazione … Nel Sestiere di San Polo ne esiste uno in una calletta chiusa, e ce n’è un altro, invece, molto bello, liberamente visibile nella nascostissima Corte del Rosario ai Santi Filippo e Giacomo. E’ quasi impossibile da scovare se qualcuno non ti segnala esattamente il posto … E’ bellissimo: andatelo a vedere !

 

Altri mirabili e significanti Leoni Venezianisi possono ammirare ancora nell’amena Isola di Torcello: sui plutei della Cattedrale di Santa Maria Assunta a sostenere l’Albero della vita, ad esempio, e ci sono altri Leoni messi in muro appesi nella Piazzetta antistante la tonda Santa Fosca nella stessa protoIsolaVeneziana … Altri Leoni ancora si trovano incisi nei “cippi di conterminanza o conterminazione” lagunare, alpina o territoriale che segnavano un tempo la fine o l’inizio, i confini del territorio Veneziano fin sulle pareti sperdute delle cime Dolomitiche, come sulla Muraglia di Passo Giau, ad esempio ... Tanti altri Leoni “a guardia e monito” si possono vedere in cima alle colonne di tante Piazze Venete: Padova, Verona, Vicenza, Bassano, Marostica, Conegliano, Castelfranco, Cologna Veneta, Belluno, Feltre, Udine, “il gatto” di Chioggia solo per citarne alcune … e Leoni Veneziani Marciani sono sparsi nei porti di buona parte del Mediterraneo: Montenegro, Croazia, Istria, Corfù, Pola, Zadare ovunque dove è giunta Venezia … che ha saputo arrivare lontanissimo: più in là di quanto si possa credere ... IQuerinisono arrivati di sicuro fino all’Estremo Nord riportando salva la vita a Venezia insieme ai baccalà … Si dice perfino di alcuni Veneziani, che pare abbiano messo piedi nella ghiacciata Groenlandia e in Americaben prima di Colombo. Di sicuro Mercanti e Navigatori Veneziani hanno navigato la calda Africa, e impresso le orme mille volte sulle sabbiose Vie della Seta, dell’Incenso, dell’Ambra, dei Profumi e delle Spezie dell’Asiacol misterioso, ricchissimo e misconosciuto Estremo OrienteInfiniti Leoni continuano ancora a sventolare su mille bandiere colorate, a volte slabbrate, smunte e consumate dal tempo, nostalgiche o entusiaste issate un po’ ovunque per le Contrade, i Campi, i Traghetti di Venezia, ma anche in giro per il Veneto antico o nuovo ...

Venezia col suo Leone non finisce mai di stupire e ammaliare.

Esiste un’altra Leggenda Veneziana che sicuramente conoscete. Racconta dei Gondolieri Veneziani che come novelli Guerrieri Samurai della Laguna avrebbero combattuto, vinto e sottomesso un tremendo Drago del tutto nostrano: un “Mostro delle Acque Nere” che risiedeva proprio “in casa nostra”, nel cuore della Laguna Veneziana, proprio dentro al Bacino di San Marco, in una caverna subacquea sotto alla Punta della Dogana della Saluteallo sbocco-imbocco del famoso Canal Grande.  Da lì usciva per far danni e predare dopo aver sputato immense nuvole di “Caìgo” che riempivano di fosca e densa nebbia la Laguna ... Pare che il termine Gondola e Gondolierederivi da etimologia tedesca che significherebbe: “Guerriero-Guerreggiare” ... Mamma mia ! … Ve li vedete i Gondolieri Guerrieri ? … Quelli benestanti e addizionati di oggi, prendersi cura delle sorti di Venezia frammischiandosi con la Leggenda? … Io proprio no … Li vedo semmai più dediti a combattere fra una vogata e l’altra Draghi e Leviatani che spuntano dallo spritz, dai cicchetti, e dal prosecco in qualche bàcaro, ignari per non dire indifferenti come molti di noi Veneziani sia dei turisti che di quanto accade quando si rivoltano le acque o le memorie della nostra Laguna ... Secondo la Leggenda Venezianacome San Giorgio aveva ucciso il Drago con la lancia, così i Gondolierisarebbero riusciti nell’antichità a soggiogare a suon di remate l’orribile bestione, e solcando e vorticando col remo in perpetuo l’acqua dei Canali Lagunari sarebbero in grado di mantenerlo sempre intimorito, mansueto e buono: addirittura pauroso di uscire fuori e risalire in superficie … Sempre secondo la stessa Leggenda, i Neri Monaci Benedettini dell’Isola di San Giorgio Maggiore, pure loro esperti in Draghi, si sarebbero aggregati ai Gondolieri in quell’opera di contenimento del Mostro Venezianoimpegnandosi per sempre a contenerlo e tenerlo a freno a suon di potenti quanto costanti canti, litanie e orazioni recitate giorno e notte in saecula saeculorum ... Amen !

 

A Beryto in Libia, cioè a Lydda, una ProtoLeggenda profilo base di molte altre seguenti raccontò che esisteva un grande stagno in cui si nascondeva un enorme Drago sputafuoco cioè ignivomo, alato, coduto e pieno di zampe: anche sei, sette se fosse stato il caso, il cui alito fetente e velenoso giungeva fino alla città vicina di Selem uccidendone gli abitanti. Per tenere a bada la Bruttabestia, i cittadini Seleniti(Adoratori dellaLuna: cioè appartenenti a un Culto Maledetto Pagano, quindi rei, e meritevoli della pena di avere il potente Drago incarnazione del Male in casa) iniziarono a versare tributi allo stesso Drago dandogli in pasto dapprima le proprie pecore, e poi persino esseri umani e fanciulle scelti a sorte fra i più giovani della città. Venne il turno della giovane Silene il cui padre Re si oppose scatenando le furie dei suoi concittadini ... La Leggenda continuò a narrare che sbucò dal nulla un impavido Cavaliere Santo-Guerriero di passaggio che si offrì di uccidere il Drago in cambio della conversione al Cristianesimo dell’intera città ... Che rappresentava quindi quel Drago ?

Il Drago abitava nell’acqua: personificazione certa dell’elemento oscuro vitale primordiale … L’alito pestifero era quell’influsso negativo delle convinzioni pagane che riuscivano ad arrivare ovunque fin oltre le mura difensive di qualsiasi città e roccaforte interiore o ordinamento sociale … Ciascuno: chi in un modo o nell’altro, chi prima e chi poi, doveva affrontare dentro al grande o nel piccolo della propria esistenza episodi di Draconico Male… Nessuno era esente, proprio nessuno: neanche gli apparentemente fortunati che sembravano esenti da tutto e tutti e protetti dalla cultura e dall’efficienza urbana … Le seguenti epopee di San Giorgio, dell’Arcangelo, di San Tòdaro, Santa Marta e Marina e di numerosi gli altri vennero quindi declinate e raccontate ovunque a partire da quella specie di copione e tracciato base principale di Leggenda, e da lì con mille varianti si riempirono e affrescarono infinite chiese, cripte e Monasteri in tutto il mondo Cristiano-Occidentale ... Un gran bel vedere di certo per tutti.

Come nelle fiabe, infine, ottenuta la conversione di tutti: battezzati uno per uno, il giovane San Giorgio fracassò “l’orribile animale”, che divenne così mansueto tanto da poter essere tenuto a guinzaglio dalla stessa Principessa Silene… Attenzione a un dettaglio interessante: non venne uccise il Drago, ma lo vinse … ossia la lotta col Drago non finisce mai, è sempre vivo, latente e in agguato abitando dentro al cuore sociale della città di tutti.

Vi dice niente questo dettaglio ? … Il Male del Cosmo e del Mondoè stato mai vinto del tutto ? … Servirebbero ancora oggi milioni di San Giorgio di turno per poter continuare l’effetto benefico della Leggenda, che forse Leggenda del tutto non è, ma credo corrisponda alla Storia reale vissuta da quelli di ogni epoca. Credo che Draghi e Leggende descrivano quanto ciascuno di noi vive a proprio modo nella propria personalissima lotta interiore e sociale in cui gli capita d’esistere.

Fatalità … Il Mito Greco di Perseo col cavallo Pegaso salvava la Principessa d’Etiopia Andromeda da un Mostro Marinoproprio a Lydda: nello stesso posto in cui nacque la Leggenda di San Giorgio e il Drago ... Proprio lì ilSanto Giorgio Agricoltoree del buon raccolto, questo significa il nome, vinceva la sua nuova lotta persa dal PaganesimoClassico Dragosinonimo e causa di ogni Male, quindi anche della carestia, della siccità, di ogni forma d’infertilità, e di ogni magagna poteva capitare  Al pari del vecchio mitico Pegaso: anche lui personaggio “ammazzaDraghi” veneratissimo ovunque nei tempi antichi, i SantiMataDraghi Giorgio, Michele, Tòdaro, Giustina, Marina & C prolungarono e rinnovarono l’antico Mito pre-cristiano trafiggendo con la spada il mostruoso "Ketòs o Kètos" alla cui volontà bisognava votarsi per forza in sacrificio … Stranissima, quasi contradditoria, ambigua e storpiata a volte la Leggenda: paradossalmente al tempo delle Crociate l’ImperatoreBizzantino era assimilato e identificato col Dragone… Si voleva alludere al fatto che l’Imperatore stesso fosse un nemico pestifero della Fede, della Cristianità, e della Storia … La più antica rappresentazione di San Giorgio Santo-Soldatoè Armena di Akdamar e risale a prima del 1000. Lì San Giorgio appare insieme a San Sergio eSan Teodoro di Amasea: tutti impegnati a uccidere Draghi-Serpenti antropomorfi, cioè: persone figli del Caos Eretico-Pagano aderenti alla perdizione dell’antico onnipresente Culto Eretico della Grande Madre Terra ... Il Drago aveva il volto dell’Imperatore, e la Principessa salvata dal Drago, infatti, simboleggiava la Nuova Fede, cioè il Bene che trionfava battagliando sul Male Religioso del Paganesimo, ma anche contro qualsiasi  Male Sociale e Fisico, e perché no ? … Anche Male Politico-Economico … Non a caso San Giorgio divenne Patrono d'Inghilterra e Portogallo ... Non vi ritorna in mente come i Veneziani impersonavano il Male del Mondo nel Turco ?

Le Crociate in seguito amplificarono tutto quel primigenio apparato Leggendario, e funsero come da immensa cassa di risonanza Europea per tutta quella concettualità Simbolica: il Serpente Orientale si trasformò nel Drago-Infedele da combattere senza fine, e ciascuno si sentì coinvolto nel compito del San Giorgio e di tutto quel Santorale Leggendario-Eroico che traboccava in Occidente insieme ai Crociati, il bottino del saccheggio, le Sante Reliquie e i sopravvissuti Pellegrini che tornavano a coinvolgere con i loro racconti fra paure e speranze: grandi e ricchi, poveri e miseri, Papi, Re, Monaci, Mercanti e Preti, e fino all’ultimo dei popolani ignoranti riempendoli di Corpi e Reliquie da venerare e Leggende a cui ispirarsi e in cui identificarsi.

Fu quindi per questi motivi che anche Veneziaa seguito delle politiche filoBizzantine e Papali che andavano di moda in quel momento divenne una grande Dragoneria di Santi Orientali, Protettori, Mitici e Miracolosiai quali non si mancò in fretta e furia di innalzare chiese e cappelle e d’intitolare Parrocchie, Piovanie, Contrade e Isole Lagunari… Venezia volle diventare una Seconda e Nuova Bisanzio come veniva ricordato ancora nel 1400 dall’acculturatissimo e ricco famoso Cardinal Bessarione… I Veneziani come tutti allora, erano convinti che c’erano Draghi-Maligni ovunque sempre nascosti in dirupi scoscesi, paludi ostili e caverne, ma anche in città rabbuiate dalle tenebre … Anche a Venezia quindi fu tutto un fiorire d’Icone e dipinti, cicli raffigurativi affrescati dentro a numerose chiese cittadine o insulari, cripte, chiostri e cappelle di Monasteri, statue e mosaici: più di un terzo dei Santi raffigurati nei mosaici di San Marco corrispondevano a Santi d’importazione Orientale vestiti da Bizzantini: Gregorio Nazianzeno, Sant'Atanasio, San Basilio, San Giovanni Damasceno che nell’VIII secolo descriveva i Demoni come Draghi volanti in Aria, San Simone Stilita, San Foca, i Santi Cosma Eremita e Damiano finiti incardinati alla Giudecca, Santa Caterina di Alessandria, Santa Barbara di Nicomedia, Sant’Elena, i Santi Sergio e Bacco nella Contrada del Vescovo di Olivolo-Castello che solo dopo si sarebbe dedicata a San Pietro, e ancora: Santa Marina, Sant’Eufemia, Santa Dorotea, Tecla ed Erasma, San Metodio Patriarca di Costantinopoli, San Fantin, San Giovanni Crisostomo, San Lazzaro, Sant'Antonin, San Biagio, San Giminiano, San Giuliano, San Saba e Santa Giustina Martire giunta attraverso Padova vestita da Imperatrice.

Santa Giustina era anche lei una Santa con Drago, ed era Protettrice di vigne, campi e del raccolto, una SantaZonale come San Francesco della Vigna e la contigua San Marco “in vinea”a cui si legò la Leggenda Marciana.

Venezia poi volle fare “la splendida”, in quanto più di altri e in maniera insolita, unica e curiosa dentro a tutto il panorama scenico Devozionale Europeo, accolse il Culto e le numerosissime Reliquie, Corpi, Resti e Memorie dei Santi dell’Antico Testamento Biblico.Certi Santi vennero celebrati in Europa solo a Venezia, e secondo le scadenze calendariali Orientali e non del Calendario Romano-Papale:San Moisè, San Zaccaria, San Geremia, Sant’Isaia(sostituito poi da San Stae), San Giobbe, San Samuel, San Simeone Profeta e San Daniele:ultimo dei Profeti Maggioridell’Antico Testamento Biblico, era stato Prefetto e Principe di Babilonia dove i Babilonesi erano sfegatati adoratori di Draghi, e Oracolo Potente e Giusto, grande visionario e lettore, Operatore di Segni, e ovviamente Uccisore di Draghi che faceva scoppiare offrendo loro focaccia fatta con pece, peli e grasso cotto. Sopravvisse al crollo dell’Impero NeoBabilonese del 539-38 a.C. ma non al rigurgito del Paganesimo … La chiesa-Monastero dedicata a San Daniele sorgeva a Venezia nel Sestiere di Castello fino al 1800, e venne spazzata via dal solito napoleone ovviamente.

 

Le conquiste di Narsete e la Guerra Greco-Gotica indussero i Veneziani a costruire due chiese dedicate al culto di San Mennasoldato e Martire Egiziano il cui culto era diffusissimo in Oriente e Occidente, e il Santuario meta di continui pellegrinaggi, e a San Tòdaro o Teodoro di Amaseasul Ponto martirizzato sotto Massimiano.

Nel 1100 insieme al Corpo di San Nicola trafugato a Myradalla flotta Veneziana del Doge, giunse a Venezia il Corpo di Santo Stefano trafugato da Costantinopoli dieci anni dopo. Sant'Isidoroarrivò con la quarta Crociata quando i Veneziani ebbero fino al 1260 il Patriarcato di Costantinopoli e parte dei territori dell'Impero Bizantino ... Nel 1204 arrivò a Venezia il Corpo di Santa Lucia, due anni dopo giunse quello di San Simeone Profeta a cui era già stata innalzata una chiesa in anticipo ... Nel 1211 giunse il Corpo di Sant'Elena, nel 1240 il Corpo di San Paolo Eremita, sei anni dopo: quello di Sant'Eutichio (San Stae), tre anni dopo ancora: il Corpo di San Giovanni Elemosinario Patriarca di Alessandria in cui onore già da due secoli esisteva una chiesa a Rialto ... Nel 1258 fu il turno di San Barnaba, e nel 1267 del Corpo del Vescovo Paolo portato a Venezia da Marco Dauro ... E fu così Venezia insieme ai frutti di tutti quei saccheggi e Traslatio di Santi e Sante, iniziò a riempirsi di Leggende Auree e Memorie di Mirabilia, Acta Sanctorum e Diari di Viaggio di esploratori, pellegrini e missionari visionari come Giovanni da Pian del Carpine, Nicola Ascellino, Simone da San Quintino (1245-47), Guglielmo di Rubruck (1253), Giovanni da Montecorvino(1289), Odorico da Pordenone e Giordano da Séverac (1320), Pasquale di Victoria(1338), e Giovanni dei Marignolli (1342), che vennero letti e riletti e assimilati avidamente dalla Cultura-Tradizione locale Veneziana divenuta “TuttaCristiana”.

In seguito, quando passò la moda della politica filoBizzantina, a Venezia si aprirono nuovi orizzonti politici e d’autonomia. Giunse così la nuova moda-Culto degli Apostoli, dei Santi Zonali con relative Reliquie, e della Madonna in tutte le sue numerose espressioni, con Reliquie anche di lei, talvolta inverosimili. Nella Basilica di San Marco si conserva ancora la Reliquia del Latte della Madonna, e se si mettessero insieme le Reliquie del Velo della Madonna, e quelle dei Capelli della Madonna la Vergine Santissimadovrebbe aver avuto un guardaroba grande come un bazar, e una criniera folta due volte Branduardi … Sorsero così le numerose chiese Veneziane dedicate alla Vergine: le così dette Sante Marie delle Lagune: Torcello, Grado, Caorle, Murano, Jesolo-Equilio, Santa Maria Assunta di Malamocco,e Santa Maria di Eraclea spazzata via dai contadini nottetempo nel dopoguerra per timore di venire espropriati dei terreni dallo Stato… e poi ci furono le Sante Marie del tutto Veneziane: Santa Maria Formosa, Santa Maria Materdomini, Santa Maria MaggioreLo sapete vero ? … La Madonna Madre di Dio: la MaterDei, MaterDomini andava intesa come la Nuova Eva assimilabile alla donna dell’Apocalisse che calpestava sotto i piedi il Dragone Antico Eterno… Vedete ! … Siamo sempre là con i discorsi: Miti, Storie e Leggende: tornavano e ritornavano ...e nacque anche sulla scia di tutto questo la dedica della Leggendaria fondazione di Venezia del 25 marzo Festa dell’Annunciazione a Maria: l’"Origo et Salus" di tutti i Veneziani.

A Castello-Olivolo il titolo di San Pietrodi connotazione Franco-Carolingia-Papale Romana prese il posto agli ormai superati Santi Sergio e BaccoBizzantini, e ci fu una nuova ondata di Leggende-Profezie e Visioni con i vari San Magno di Oderzo e Prete Mauro di Altino che sognavano a raffica di costruire nuove chiese in Laguna … Comparvero allora le varie dediche-titolarità a San Giovanni Battista,  Sant’Antonio Abate o del Porsèo: asceta nel Deserto della Tebaide Egiziana, Padre dei Monaci al tempo di Diocleziano, autore col grande Padre Atanasio della grande lotta contro i Draghi Ariani; a Gesù Salvatore cioè San Salvador, e Sant’Erasmo Protettore delle genti di Mare e dei Naviganti ... Spuntò la chiesa dedita ai Dodici Santi Apostoli: dove secondo la Nuova Leggenda s’erano fermate dodici Gru …  Anche gli Apostoli… fatalità … erano uccisori di Draghi Maligni: San Giovanni Evangelista e Apostolo figlio di Zebedeo, fratello di Giacomo Apostolo testimone all’atto della Trasfigurazione e Passione di Cristo ai piedi della Croce: venne avvelenato, ma ne uscì incolume, e veniva rappresentato col Drago nel calice… L’avvelenamento quindi era paragonabile a un Drago … Anche San Filippo di Betsaida Apostolo insieme a Giacomo figlio di Alfeo detto il Giusto era combattente di Draghi… Sorse poi la chiesa dedicata agli Angeli Raffaele e Michele protettori della Porta della Cittàdi Venezia e di chi entrava ed usciva dalla Via Acquea di Terrafermache portava al Sestiere di Dossoduro … Michele vincitore del Drago-Diavolo-Luciferocontinuatore forse dell’antica Saga di Giobbe riempì del suo culto l’intera Europa soprattutto ad opera deiLongobardi prima e dei Normanni poi, che ne fecero il loro Santo Nazionale.

Poi quasi una marea, la cultura di tutti quei Santi-Cavaliere Sauroctoni duellanti col malvagio Drago-Pippistrello orripilante, a più teste, squamoso, invulnerabile, coduto, con artigli e fuoco si espansero insieme all’immagine del Grifo Alato a popolare l’intera Italia e l’Europa ponendo Draghi e Mostri Marini dappertutto.

La Penisola Italica si riempì soprattutto di San Giorgio e dell’Arcangelo Michele che si contesero il primato e la prevalenza dal Gargano Pugliese alle Alpi lungo la Via dell’Angelo, la Via degli Abatie dei Santi e la Via Francigena… C’erano, e ci sono ancora, migliaia di luoghi a loro dedicati capaci di calamitare per secoli folle di Pellegrini da tutta Europa  … Ma non c’erano solo loro due, a cavallo fra Leggenda, Tradizione e Storia, c’erano presenti e attivi in Italia un’intera Litania di Santi Ammazzadrago

Ve li dico tutti ? … Meglio di no ... Vero ?

Vi ho salvato … erano e sono più di una quarantina.

Vi cito solo a titolo d’esempio: San Bernardino da Tolentino Vescovo di Lodi che uccise il Drago Tarantasio del Lago Gerundo il cui scheletro venne conservato fino al 1700 nella chiesa di San Cristoforo di Lodi, mentre una costola si conservava ancora nel Santuario della Natività della Vergine di Sombreno … Altri pezzi di Balena o Dinosauro riciclati giustificando Mito e Leggenda ? …

Voglio però sprecare qualche parola per il “fenomeno Puglia” che è sempre traboccata di Santi, Reliquie e Draghi, soprattutto nelle città marinaresche e commerciali che hanno avuto parecchio a che fare con Venezia finendo spesso in concorrenza con lei … Intorno all’anno Mille, quand’era frequente il pericolo dei Saraceni… riecco spuntare il Turo tanto temuto dai Veneziani … era conosciutissimo l’episodio di Basilio o Adeodato: il ragazzo rapito dai Saraceni divenuto prima Coppiere dell’Emiro di Creta, e poi liberato miracolosamente da San Nicola.

Leggenda Pugliese raccontava che nell’VIII sec l’Imperatore Bizzantino Costante IIsbarcò a Tarantodistruggendo Sipontoe assediando Beneventodominata dai Longobardi del Duca Romualdo... Il Santo Vescovo Barbatoesperto convertitori di Longobardi al Cristianesimo, chiamato da Theodorada sposa dell’Imperatore, scoprì che costoro benchè battezzati continuavano ad adorare segretamente la Vipera d’Oro Anfisbena e gli Alberi Sacri... Il Santo promise allora di salvare Beneventoin cambio della rinuncia all’Idolatria da parte dell’intera città … Apparve quindi la Madonna, e il Longobardo Romualdo consegnò il Serpente d’Oro simbolo della Dea Terra, Tellus, Igea, Egeria e Atena che venne immediatamente fuso e trasformato in Calice da Messa ... Già che si era in ballo si  fece anche tagliare il secolare famoso Noce Sacro di Benevento: l’Albero Serpenteusato dalle Sacerdotesse della Dea Diana Caria, e si fece costruire al suo posto la chiesa di Santa Maria in Volto… e Benevento fu così salvata, e vissero tutti felici e contenti.

Il Culto del Noce Sacro di non di riempire per secoli tutte le saghe e storie di Streghe e Magia Eretica perseguite dall’Inquisizione, e sopravvisse lo stesso nelle campagne e nella mentalità popolare almeno fino al 1500 e ben oltre.

Anche l’Otranto SalentinaPuglieseè stata storicamente: Terra di Draghi e di Miti di SerpentiBarbuti come Caproni. A Otranto la Leggenda raccontava che il Satanico Bifido Rettile possedeva palchi da Cervone, assomigliava a un Basilisco cornuto, ed era una bestia anfibia di dieci-quindici metri di lunghezza con zampette laterali da Coccodrillo Sul mosaico pavimentale del 1100 della Basilica di Santa Maria Annunziata di Otranto si possono vedere diverse rappresentazioni di animali mostruosi: grandi Serpenti squamosi, coloratissimi dai denti bianchissimi e con gli occhi diabolici accesi, Draghicornuti e “uròburi” cioè che si mangiano la coda, (richiamano l’idea dell’eterna ciclicità ripetitiva della Storia e del Tempo: l’Inverno-Autunno delle foglie caduche è simile al Serpente capace di donare Morte velenosa. Il Serpente si rifugia in tane ipogee penetrando l’utero della Terra Madre quasi fosse un fallo che la feconda predisponendola alla Rinascita e al Rinnovamento Primaverile … Il Serpente muta la pelle.) I Draghi divoravano: Capre, Lepri e Chimere(anche la Chimera era partecipe delle corrispondenze Astrologiche, Mitiche e Zodiacali, e rappresenta lo scorrere del Tempo e delle Stagioni dell’anno), ma venivano a loro volta attaccati e morsi da Leoni: l’Animale Solare dalla criniera fiammeggiante che riscaldava e faceva maturare le messi al Tempo del Solleone … Potenza del Bestiario rappresentativo e simbolico del Medioevo: bellissimi  !


Secondo un’ulteriore Leggenda di Otranto, usciva dalle acque del Canale Otrantino o Idruntino dove s’incontrano Mare Adriatico e Ionio,un gigantesco Serpente-Khetos-Mostro notturno che, mentre le sentinelle dormivano, risaliva la scogliera e scalava il Faro del Serpe, antica torre d’avvistamento, per bersi l’olio della lampada lasciando al buio i naviganti. Per questo in molti erano naufragati e annegati, anche se allo stesso tempo il Serpente-Drago lasciando tutti al buio proteggeva Otranto dalle scorrerie dei Draghi-Pirati che divoravano le genti in mare ... Il Drago di Otranto era bivalente quindi: autore di maleficio e beneficio insieme.

Altri Draghi erano presenti nell’isola greca di Fanò prossima ad Otranto. Era l'isola omerica di Ogigia dove la Ninfa Calipsotrattenne per sette anni l’eroico Ulisse, e c’erano Draghi tremendi anche a Corcira Terra dei Feaci ossia Corfù. Lo testimoniano gli scritti di Esichio di Mileto storico bizantino che racconta di Elefenore Re degli Abanti di Eubea:erroneo uccisore del nonno Abantee, perciò costretto all'esilio nell’isola disabitata dove trovò un Drago che lo respinse.

Ancora oggi certi Carrettieri e vecchi Contadini Salentiniraccontano di Antiche Vie dei Serpenti, e giurano e spergiurano d’aver incontrato nei campi, in zone boscose o paludose fra canneti e stagni l’antico gigantesco, mostruoso “Serpente Pastura-vacche” che si nutre del latte delle mucche …Solino nel III secolo d. C. nella “Collectanea Rerum Memorabilium” raccontava: In Salento è assai diffuso il serpente detto Chersydros, e vi nascono buoi che permettono a quel serpente di crescere fino a raggiungere dimensioni enormi. Per prima cosa intercetta una mandria di buoi, e attaccatosi alle mammelle della mucca che sia più ricca di latte si ingrassa succhiando senza posa; col passar del tempo, a causa delle copiose suzioni, da ultimo si gonfia tanto che nessuna forza può contrastare la sua mole, sì che finisce, facendo strage di animali, per rendere deserte le regioni cui si sia stabilito.”

Quanti Draghi in Puglia vero ? … A quelli vanno sommati i Draghi legati alle numerosissime presenze del Culto di Santa Marina-Santa Margherita, pure loro Sante col Drago la cui Devozione era diffusissima in cripte e chiese del Salento: San Vito ad Ortelle di Lecce, Parabita, Miggiano, Ruggiano, Bisceglie, Laterza, Taviano, Muro Leccese solo per citarne alcune. 

 

Faccio un salto nel Nord’Italia … per non scontentare nessuno, poi ritorno di nuovo a Venezia.

Altra Leggenda racconta ancora, che nella seconda metà del IV secolo, stavolta dalla parte opposta dell’Italia, i fratelli Giulio e Giuliano Monaci girovaghi provenienti dall’Isola di Egina col mandato Imperiale di divulgare il Cristianesimo sostituendolo al vecchio Paganesimo… solita storia che ormai ben conoscete … raggiunsero Gozzano sulle rive del Novarese Lago d’Orta… I due candidati alla Santità, fra l’altro, s’erano proposti di costruire almeno cento chiese, e fra contrasti e insuccessi ne avevano innalzate già novantanove quando giunsero a osservare lo scoglio roccioso e inospitale che fuoriusciva dalle acque del centrolago. Lì volevano costruire di sicuro la loro centesima chiesa ... Ma proprio lì ? … Perché ? … Nessun barcaiolo osava accompagnarli, e i contadini del posto li mettevano in guardia informandoli che quella era l’Isola Maledetta del Drago: un posto dimenticato da Dio, dove c’era una tana che ospitava una creatura che si saziava attaccando bestiame, distruggendo case e raccolti, e talvolta divorando anche qualche persona.

Riecco quindi comparire di nuovo il Drago che coincideva col Paganesimo … I due fratelli erano giunti lì appositamente per quello … Giulio San Giulioovviamente sapeva benissimo che il Lago d’Orta oltre ad essere sede di diversi avvistamenti di code e draghi da parte dei pescatori che lavoravano dentro le fredde nebbie invernali, era anche sede di un Antico Culto Pagano del Lago, che ovviamente doveva andare eliminato nella nuova ottica Cristiano-Imperiale … La Leggenda continuava: San Giuliosi commosse per tutte quelle vittime innocenti del Drago, e decise di risolvere la situazione a suo modo ... Stese allora il mantello sull’acqua utilizzandolo come zattera e raggiunse l’isola, brandì la spada, e affrontò, sconfisse e cacciò il Drago ... L’isola mutò quindi nome assumendo quello del Santo Liberatore dai Draghi che fece costruire una chiesa e Convento, e alla fine venne pure sepolto proprio nella stessa isola ... Tutt’oggi al centro della Sacrestia del Convento si custodisce ancora una possente vertebra di quel Drago che pendula inquietante sospesa al soffitto ... L’ha persa per strada il Drago mentre se ne andava ? … O è un comune osso di Balena ?

Chicca curiosa sull’Isola di Orta San Giulio ? … Nello stessa Sacrestia si custodisce il “Drago di ferro dalle ali di Farfalla”, cioè un Draghetto smontabile rosso sangue coperto di squame verdi, con denti aguzzi e fauci minacciose, e appunto due leggiadrissime ali da Farfalla ... Fino al 1840 veniva portato in Processione per tre giorni lungo le sponde del Lago insieme a un Crocefisso: il Dragostava in testa al corteo, e la Croce in fondo ... Durante la Processione, la coda veniva srotolata e alzata e, dopo la scena rituale della Resurrezionedel Cristo, il Drago passava in fondo alla Processione abbassando ali e coda e chiudendo le fauci ... Poi veniva smontato e riportato nella Sacrestia dove veniva ricomposto in attesa dell’anno seguente.

In Europa, invece, le Leggende misero Draghi dentro a tutti i fiumi del Tirolo, nel fiume Rodanodella ProvenzaCarolingia, nei Monasteri di Cluny, Fulda, Reichenau, San Gallo, Montecassino, San Vincenzo al Volturno e in molti altri insigni Scriptorium Monasticipresenti fra le Alpi e le Piramidi … Anche in questo caso credo non v’interessi di conoscere nel dettaglio tutti i posti e i nomi dei Santi e Sante Domatori di Draghi dell’Europa: sono ben più di trenta … Vi risparmio pure questa.

Anche stavolta vi cito solo un caso: l’ultimo della lista, che è stato San Gottardo di Hidesheim che oltre ad essere Combattente contro il Drago, fu anche abile a vincere la febbre, la pellagra, l’idropisia, le malattie dei bambini, le doglie del parto, e i danni della grandine … Era un bel Santo polivalente tuttofare, insomma: un Santo davvero molto utile da avere come Amico e Protettore.

L’Europa come l’Italia erano quindi proprio infestate da Draghi o Gargouille essendocene praticamente uno  ovunque, e ce n’erano molti altri in giro per il Mondo: giù giù per l’Africa Copta-Etiope, nell’OltreOceano delle NuoveTerre scoperte di fresco dove spuntarono fra tutto il resto le strane vicende-leggendarie del Serpente Piumato del Messico scappato dal Cielo lungo la Via Lattea, o quelle del Dragone del Cieloche spuntava ogni anno quando si apriva la Porta del Cielo Estivo a cavallo fra Presente, Eternità e misterioso Infinito delle Costellazioni Sudamericane e Andine … Beh ? ... Della Cina lo sapete: c’era il Dragone figura eminente e polisimbolica ben prima della nascita delle Leggende del Drago Mediterranee, e le Lettere del Prete Gianni provenienti dall’Asia indicarono chiaramente l’esistenza di Draghi Asiatici portati a spasso da Principi e Maharajà Indiani durante feste nuziali e banchetti, o cavalcati da Guardiani che li imponevano di morso e sella.

E rieccomi a Venezia come promesso … Se navigherete il Canale dell’Isola di Mazzorboancora oggi passerete davanti alla Madonnetta che calpesta il Drago-Serpente: l’Antico Male Antico rappresentato dalle Leggende anche là in fondo alla Laguna … Così come troverete rappresentato ancora il Leviatano nel grande Mosaico del Giudizio Universale di Torcello. L’avete visto ? … Avete poi notato il Drago divoratore ai piedi dei Tetrarchi a Palazzo Ducale accanto alla Porta della Carta ?

 

Come ben sapete dopo il 1508 la Repubblica diede incarico al pittore Zorzòn da Conegiàn, cioè Giorgione insieme al suo sconosciuto giovane allievo Tiziano di dipingere, anzi affrescare le facciate esterne della nuova Casa-Fondaco della Nazione Todesca a Venezia. Al Maestro toccò di decorare la prestigiosa facciata che guardava il Canal Grande e il Mercato dell’Emporio Realtino, mentre all’allievo toccò di dipingere la facciata secondaria affacciata sulla strada delle Mercerie di San Bartolomio e San Giovanni Crisostomo.

Sapete che dipinse “il garzòn da bottega Tiziano” sulla facciata di sua spettanza ?

Le Memorie Veneziane sono esplicite, l’appena diciottenne Tiziano dipinse: “ … Dragoni, Putti, Mostri e Giganti …”, che purtroppo andarono tutti irrimediabilmente perduti.

Ci sono poi altri esempi di Draghi cittadini Veneziani: il Drago di Santa Marina ad esempio, cioè di Santa Margherita d'Antiochia di Pisidia: un tempo una delle città più fiorenti dell'Asia Minore. Quello di Santa Marina-Margheritaè un altro di quei Culti antichi Iconici di stampo Eremitico-Monastico e d’importazione Orientale-Bizzantina. Santa Marina, la: “donna del mare”, era una Santa Marinara come San Nicola, cioè ancora una volta una Santa affacciata sul Mistero arcano e antico del Mare-Drago-Male.

Avete capito giusto: ho detto Santa Marina e Santa Margherita insieme, perché sono state la stessa figura-persona … I Veneziani anche in questo caso e nella foga d’importare in Laguna tutti i Santi e le Sante del Paradiso e del Calendario, hanno fatto un bel casino importando Leggenda e Reliquie che finirono col clonarsi-sdoppiarsi e sovrapporsi, così che la Santa Marina originale divenne due Sante distinte indipendenti: Santa Marina e Santa Margherita.

Sapete bene: Venezia non faceva torto a nessuno, figurarsi a Santi e Madonne del Cielo ! … Per cui si edificò in città una chiesa distinta per entrambe le Sante, e si lasciò spazio alla devozione di ciascuna: Santa Marina nel Sestiere di Castello da una parte della città, e Santa Margherita nell’omonimo Campo Popolare del Sestiere di Dorsoduro oltre il Canal Grandedall’altra parte della città ... I Veneziani  non ci fecero caso, e non si posero tante domande: tutto ciò che “pioveva dal Cielo” in fondo poteva essere buono e giovare a Venezia Serenissima … Poco importava se erano esistite una o due Sante: che venissero entrambe a proteggere Venezia e i Veneziani.

Ve la dico tutta ? … La Santa Marina originale non solo venne clonata, ma venne quadruplicata perché oltre a trasformarsi in Santa Margherita divenne anche San Marino, San Pelagio e Santa Pelagia: tutti Santi corrispondenti e derivanti dalla stessa Santa Marina iniziale ... Un Santo in Quattro, i cui Culto-Devozione di ciascuno furono diffusissimi e sparsi ovunque.

Che c’è di strano ? ... Sono cose che capitano lungo la Storia.

La Leggenda originale di Santa Marina importata a Venezia raccontava che era orfana di madre e figlia di Edesimo Prete pagano… Riecco subito quindi la traccia della lotta AntiPaganesimo… Affidata durante l’infanzia a una nutrice di campagna, acquisì da lei i concetti principali del Cristianesimo, per cui quando rientrò nella casa paterna di città il padre la disconobbe cacciandola di casa ...  Altro indizio storico: il Cristianesimo era inizialmente diffuso nelle campagne, era una Religione di campagna, per gente semplice, che viveva vite qualsiasi di periferia … Il Prefetto-Governatore della Provincia Olibrioin seguito notò Marina mentre conduceva le pecore al pascolo … Altra nota … e volle non solo sposarla e averla, ma anche distoglierla dal Cristianesimo con le sue regole ... Non si trattava quindi solo di concubinaggio e sesso, ma anche di sposare una causa, una forma mentale e culturale diversa: Marinadoveva smettere di vivere all’Orientale, extraEcclesia e non da Cristiana … Ed ecco il solito inghippo: l’avvenente solo quindicenne rifiutò. Coraggiosissima e molto consapevole la ragazza per la sua età … Il Cristianesimo era una Religione neonata, giovanissima in quel tempo … Marina precisò di preferire quella forma di vita alternativa: scelse la Verginità quasi Monastica della causa Cristiana, cioè il contrario del coinvolgimento intimo-sessuale-totale che il Governatore e l’antica Religione le proponevano. Fu inutile minacciarla, flagellarla, torturarla e carcerarla provando a persuaderla ad abiurare Fede e Principi ... In prigione apparve a Marina il Demonio sotto forma di orripilante Drago gigantecircondato da Serpenti di ogni tipo che la inghiottì ... Chi rappresentava quel Drago ? … Probabilmente corrispondeva alla Cultura, Tradizione e al Dictat etico-morale dell’antica Costumanza Orientale considerata diabolica, superata e maligna dai Nuovi Cristiani ... Quel vecchio modo di essere e credere per i Cristiani non rendeva davvero liberi e realizzati: ti fagocitava del tutto come faceva un Drago in un coinvolgimento totale intimo come quello sessuale … Ma non dava abbastanza in cambio in quanto a senso esistenziale.

Secondo il racconto della “Passio Greca” raccontata dallo pseudo Teotimo, presunto testimone oculare di tutta la vicenda, Marinaarmata di una Croce: cioè del simbolo principale di quel modo alternativo di vivere, riuscì a liberarsi squarciando il ventre del Drago dal di dentro: letteralmente facendolo esplodere e vincendo nell’intimo la sua lotta esistenziale, culturale ed interiore ... come aveva fatto il Cristo in Croce che aveva fatto esplodere la Morte risorgendo.

Poi come in una moderna fiction o Series odierna, alla sfortunata Marina capitò anche un “sequel”: il Demonio stavolta ritornò a insidiarla trasformato in un villoso e sgraziato Etiope che prese a provocarla fisicamente … Il richiamo amoroso-fisico-sessuale è potente, non facilmente accantonabile e rinunciabile. Le persone faticavano a cambiare del tutto rinunciando alle loro certezze e abitudini … Marina resistette, e tolta allora dalla prigione subì regolare processo venendo giudicata come Eretica... Ecco qua un altro elemento: la scelta Cristiana era considerata alla fine un’eresia, una scempiaggine impossibile, un colpo di matto a cui era bene non dar seguito … Marina fu però ancora irremovibile e determinata: durante un nuovo interrogatorio, racconta sempre la Leggenda, continuò a dichiararsi Cristiana .. Avvenne allora come dentro a uno dei nostri Game fantasiosi un grande effetto-sorpresa capace di generare emozione: avvenne una scossa di terremoto a riprova della potenza sconquassante della scelta Cristiana, e scese una Colomba dal cielo: Simbolo della Novità  Creativa, che le depositò in testa una corona … ovviamente: Simbolo di “scelta vincente” ... Poi la scena finale, abbastanza ovvia e scontata: Marina subì una nuova serie di vicissitudine e torture, venne bollita dentro a una caldaia d’acqua calda guarendo immediatamente da ogni ustione … Infine, visto che cucinarla non funzionava, venne decapitata nell’anno 290 al tempo dell’Imperatore  Diocleziano … e quella fu Storia vera al di là di quanto narrato dalla Leggenda.

Ecco perché Santa Marina divenne Patrona delle Partorienti durante le doglie … per via della sua abilità a fare “esplodere e liberare la situazione”… Che c’è di più esplosivo di una donna che sta partorendo ? … La donna che partorisce è forse simile a quel calderone con cui Marina in ebollizione era quasi pronta alla cottura ? … Immagine azzeccatissima ? … Santa Margherita-Marina inoltre è Patrona dei moribondi, delle balie, degli insegnanti, degli agricoltori e contadini, dei soldati, e viene consigliato di rivolgersi a lei per guarire dalle febbri malariche e dall’infertilità.

La vicenda di Marina ossia Margherita e il Drago oltre ad accennare all’ennesimo episodio di femminino sacro legato al Culto del Serpente, richiama anche il conflitto con gli antichi culti ricchissimi di simboli e immagini della Madre Terra. Secondo le antiche usanze: una Vergineprescelta scendeva nelle stanze ipogee della Terra portando offerte agli Dèi Inferi ... Spesso portava se stessa, la sua corporeità e disponibilità totale … Accadeva quindi un annientamento, un’offerta totale di se nella Morte all’Aldilà: qualcosa di simile a quanto accaduto sulla Croce del Cristo. Una catabasi dell’Umanità divorata dalle oscurità del Serpente-Dragodentro al ventre della Sacra Madre Terra Signora dei Serpenti. Si trattava di un simbolico incontro di fertilità propiziatoria, che induceva a ben sperare per il futuro rinnovamento fruttuoso di ogni cosa della vita: i campi, l’orto, la stalla, i figli, i sentimenti, la malattia, la senilità e la famiglia.

Il nuovo Culto Cristiano malmenava quel vecchio Diavolo-Drago antico e lo schiacciava sotto ai piedi secondo il gesto dell’iconografia Mariana d’ispirazione Biblico-Apocalittica ... Calpestava e faceva scoppiare tutta quella roba vecchia aprendo a una forma mentale di vita personale e associativa diversa, alternativa ... La Cristiana Santa Margherita sovvertiva i vecchi equilibri-sistemi-aspettative del Serpente diventato Drago: come sempre sinonimo del Male-Bene riassunto nella figura della Madre Rigenerante della Caverna incognita come le profondità Marine… La protezione di Santa Margherita quindi significò ben di più che la tutela di una Partoriente quando le Levatrici Cristiane usavano leggere ad alta voce stralci della Leggenda della Santa appoggiando sul ventre della partoriente il libro aperto propiziatorio quasi miracoloso … C’era in tutta quella Storia-Leggenda della Santa quasi una provocazione, una proposta di mentalità e la convinzione diversa da assumere circa la sfera sessuale, il travaglio, la nascita, la fertilità femminile, ma anche circa tutto il senso della Vita … Le Donne Cristiane insomma partorivano un modo diverso di Vivere, alternativo a quello Pagano.

L’immagine di Santa Marina-Margherita proposto dalla Leggenda quindi, corrispondeva a una ver a e propria rivoluzione mentale che voleva andare a toccare e innovare i temi più intimi e importanti dell’esistenza … Anche quello delicatissimo della monogamia, ad esempio. La Verginità di Marina sottolineava anche la donazione-devozione unica all’unico Partner Cristiano… Ci si contrapponeva quindi alla libertinità del vivere pagano in cui era lecita ogni eterosessualità aperta fino alla prostituzione sacra, la poligamia e il facile scambio sessuale.

Con Margherita, Santa Marta, San Giorgio & C si volevano rivoluzionare gli schemi mentali culturali impiantati nella mente delle persone da millenni … Era come proporre di assumere un DNA, un’identità diversa … Provate oggi a chiedere a un uomo o una donna se è meglio avere uno o più partner nella vita ? … Il Cristianesimo si offriva di dare risposte, principi, regole e consapevolezze nuove, diverse e soprattutto certe mostrando esempi di scelte eroiche di vita.

Già Papa Gelasio I, comunque, nel 492- 496, forse consapevole dell’implicazione e delle conseguenze interiori e sociali che comportava il nuovo regime-culto Cristiano, mise in discussione e all’indice giudicandoli infondati e apocrifi (inventati) gli Atti del Martirio di Santa Marina. Il Pontefice fece capire chiaramente che la fantasiosa lotta col Drago-Demonio, le apparizioni di candide Colombe miracolose, e tutte le Grazie speciali regalate dal Cielo tramite Santa Marina, e molto altro ancora: erano solo una grande Fake News dell’epoca ... Una rincorsa forse al cambiamento impossibile … Non si sarebbe riusciti a cambiare la testa, gli usi e la mentalità delle persone … Inutile essere fanatici, intransigenti, quasi prepotenti nel proporsi … Ma ormai era troppo tardi: il Culto e la Leggenda di Santa Marina erano già decollati e partiti prendendo la strada della diffusione ovunque in tutta Europa e nel Bacino Mediterraneo… Ovunque si trovò diniego, ma anche grande consenso, ulteriori narrazioni, integrazioni e riadattamenti che a loro volta crearono moltissimo spazio, credito e credibilità alla Santa e a tutto l’ambiente Cristiano che si allargò e diffuse ulteriormente per secoli ... Anche a Venezia … Giovanna d'Arco dichiarò che una delle “voci celesti” che udiva era proprio quella di Santa Margherita che le appariva insieme all'Arcangelo Michele e Santa Caterina d'Alessandria.

Quante donne Veneziane partorivano ? … Infinite ! … Beh: per tutte c’era a disposizione Santa Marina con i suoi rimedi, la sua Storia-Leggenda e le sue Dottrine.

 

E Santa Margherita ?

Beh … quella prese un’altra strada, e divenne a sua volta una delle Dodici Sante Ausiliatrici più diffuse e conosciute durante tutto il Medioevo Europeo … Nel 908 un Monaco Agostino da Pavia, già Abate in Oriente, fuggì da Costantinopoli riparandosi in Italia durante il feroce assalto vandalico di Andronico. Dall’Oriente portò con sé il Corpo di Santa Marina-Margherita prelevandolo dalla chiesa della Madonna del Mare di Costantinopoli, e lo lasciò prima in deposito a Brindisi, poi lo portò a Roma, e infine nel Monastero Benedettino di San Pietro della Valle sulle rive del Lago di Bolsena dove il Monaco finì col morire colpito da grave malattia. Da lì in seguito il Corpo Santo di Marina-Margherita venne trasportato nel 1145 nella vicina cittadina di Montefiascone di Viterbo, dove i cittadini edificarono una chiesa che Papa Urbano IV consacrò nel 1262, e Gregorio XI nominò Cattedrale nel 1376 … Ed ecco entrare in scena i Veneziani.

Nel 1213 il Doge Pietro Ziani ottenne una parte delle Reliquie di Santa Marina-Margherita per la Repubblica di Venezia ... Recita il Martirologio Calendariale Romano al 17 luglio nella Memoria Commemorativa di Santa Margherita: “Venetiis Translatio Sanctae Marinae Virginis”… Ecco qua lo sbaglio-equivoco ! … Santa Margherita venne scambiata con Santa Marina e viceversa.

Poi come il solito avvenne il vero e proprio bum del Culto di Santa Margherita che si ramificò e diffuse ovunque raffigurando in mille modi la Leggenda di Santa Margherita-Marina… Andate a guardare Santa Marina di Massafra, Santa Margherita di Bisceglie costruita dai Nobili Falconi, o la Cripta di Sant’Angelo e Santa Margherita-Marinadove venne rappresentata con San Silvestro Papa: noto per aver convertito il Drago-Imperatore Costantino, e con gli Arcangeli MataSauri Michele e Gabriele, con San Giorgio, Santo Stefano Protomartire, San Martino, San Vito e Paolo di Costantinopoli, San Basilio, Sant’Agostino: tutti Santi Orientali Campioni della Fede e dell’Ortodossia ... Osservate in alternativa la chiesa ipogea-rupestre di Mottola di Taranto in Puglianon lontano dalla Masseria di Casalrotto. Nella chiesetta scavata sulla parete a strapiombo su un burrone avvolto nella vegetazione selvaggia della gravina, Santa Margherita viene raffigurata come una dignitaria della dinastia Imperiale-Bizantina dei Comneni del 1100-1200. La MegaloMartire Santa Margherita è una Matrona, una Nobile Dama vestita di fregi e perle, cioè di“margaritae”, con una corona di gemme, un ricco mantello, il Libro con le parole miracolose della Leggenda, e la “Croce-esplodiDrago”… Accanto a lei si sono associati i grandi Santi Apotropaici dell’Asia e del Deserto: Sant’Antonio Abate, San zNicola di Myra, l’Arcangelo Michele, il Santo Guerriero Giorgio con Drago, e udite udire: San Marco Evangelista. Tutti vengono rappresentati in costume imperiale, e c’è pure San Demetrioprimo Vescovo di Tessalonica (odierna Salonicco) che lottò contro l’Eresia, e viene dipinto a cavallo mentre trafigge con la lancia un insolito Drago: cioè il Re dei Bulgari Kalojan salvando così la città greca bizantina ... Ecco che ritorna il significato polivalente e la personificazione diversa del Drago.

Durante il 1200 furono soprattutto i Monaci e le Monache Benedettini ad avviare e veicolare il Culto di Santa Marina-Margherita. Rabano Mauro e Alfano da Salerno promotori e diffusori della Leggenda Major di Santa Marina-Margherita erano Benedettini, e a Porta Santa Brigida di Piacenza, a Firenze, Bologna, Cassia, nell’Isola di Procida, a Santa Margherita di Porta San Salvatore a Sciacca in Sicilia, e a San Nicolao di Piona in Valsassina c’erano Abbazie Benedettine ... I Padri Domenicani Predicatori riuniti nel Capitolo Generale di Bolognadel 1285 stabilirono che recitando e cantando le Litanie dei Santi si doveva dopo l’invocazione di Santa Caterina proferire: “Sancta Margareta ora pro nobis”Santa Margherita d'Antiochia divenne Protettrice-Patrona di almeno una settantina di località Italiane, e le sue Sante Reliquie o presunte tali, o generate “per contatto” con quelle “originali” si sono diffuse ovunque in giro per Francia, Spagna e Germania arrivando fino a Baardegem, a Tournai in Belgio.

E a Venezia ?


Come si usava da tempo nella città Lagunare, si cercò di non trascurare nessun Santo e Santa, e si tirò su una discreta chiesupola di media grandezza e bellezza avviando il Culto della Santa ... Sapete come sono le chiese Veneziane: sono tutte dei bijoux, dei cofani unici saturi di concentrazione di Bellezza, Arte e Storia … Come potete vedere ancora oggi al margine del Campo più sbevazzone ed evasivo di Venezia, si sono posti sui muri esterni della chiesa le statue del Drago attorcigliato della Leggenda di Santa Margherita-Marina, e si fornì l’interno di adeguata preziosissima, e “autentica” (?) Santissima Reliquia della Mascella di Santa Margherita.

Ancora una volta: ormai che c’erano entrambe le Sante a Venezia: che vi rimanessero ! … E rimasero, infatti, entrambe le Devozioni alle due distinte Sante Marina e Margherita fino alla comparsa del solito azzeratore-dissacratore napoleone ... peste lo colga.

Esisteva quindi a Venezia una specie di gara per la primazia, una sorta di continua e tacita contrapposizione e implementazione di Santi e Reliquie per poter incamerare e godere il più possibile di assistenza, benefici ed effetti positivi dal Cielo dei Cieli zeppo di Santi, Madonne, Cristi e Sante ... Chi più Corpi e Reliquie aveva: meglio stava … Più Protettori Celesti annoverava una città dalla sua parte, più prestigiosa, CittàSantaBenedettadalCieloera insieme ai suoi abitanti … il Popolo dei Mercanti-Navigatori-Veneziani giunse a contare nella sua Storia ben venti Santi Protettori facendo letteralmente incetta di migliaia di Sante Reliquie Miracolose e Prodigiose raccattate e predate da tutto l’intero Bacino Mediterraneo e dal Medio Oriente Asiatico. Non era un caso se i Pellegrini consideravano Venezia come la “Porta spalancata sul Limitare del Cielo, da dove si può deliziare l’Animo godendo della vista delle sue Delizie”.

A Venezia: si, visto quel gran numero di Storie, Reliquie e Leggende,che si sapeva lottare contro ogni forma di Male con le “armi giuste più potenti” … Ossia le “Preziosissime Vestigia Sante”che nessuno aveva come lei. Solo gli Uomini di San Marco erano riusciti arditamente e furbescamente ad ottenerne tanto possesso ... Per questo da tutta Europa si pellegrinava obbligatoriamente attraverso Venezia: “Fortunatissima Città bagnata Benedetta dai Dio e da ogni Santo del Cielo … Tappa Obbligata Irrinunciabile sulla Via della Terrasanta, Loreto, Assisi, Roma e il Gargano dell’Angelo Michele.” Venezia con tutti i suoi Santi e Reliquie Leggendari divenne una

 specie di Nuova Gerusalemme che ospitava “il meglio” di quanto era utile e serviva per ascendere al Cielo e alla Salvezza.

Il Culto di Santa Margherita-Marina venne ben presto associato e integrato con quello di San Nicolò di Myra, per cui divennero entrambi “Santi di Mare”: misteriosi e potenti Protettori che proteggevano i Naviganti Marineri delle Galee delle Mude Veneziane da ogni pericolo, e dalle insidie di ogni Mostro Marino del Destino.

E veniamo a Santa Marta… altra Donna-Santa con Dragoal seguito pure lei.

 

Esisteva nel Sestiere di Dorsoduro, proprio “sul limite della Spiaggia di Santa Marta dei Nicolotti Pescatori”, cioè proprio qui “a casa mia”, il Monastero delle Monache Benedettine di Santa Marta… Si trattava di un altro quei luoghi Veneziani ricco di Storia e aneddoti che oggi non esistono quasi più: quanto ne resta è stato inglobato nell’area del Porto di Venezia… Rimane il nome imposto al nostro Quartiere, e lo scheletro della chiesa quasi sempre chiusa e ridotta a saltuaria sala d’esposizione ... Dopo il passaggio annichilente di napoleone, è stato trasposto ed è ancora visibile nella chiesa di San Nicolò dei Mendicoli l’altare principale della chiesa di Santa Marta dove la si vede raffigurata appunto con un mostriciattolo tondotto al guinzaglio. Sembra quasi un porcellino all’ingrasso, un Drago “malciapà” se messo a confronto con gli altri Draghi più pimpanti e pomposi visibili in giro … Ma tanto vale: la Leggenda di Santa Marta rimaneva la stessa, e i Veneziani d’un tempo di sicuro l’avevano ben presente e la consideravano con molta attenzione rispetto a noi di oggi.

Famosissima fu per secoli a Venezia la Sacrosantissima Reliquia della Mano di Santa Marta pervenuta al Monastero dall’Oriente forse nel 1473. Venne collocata in un preziosissimo reliquiario: un capolavoro d’oreficeria alto ben 71 cm commissionato “alla maniera d’Allemagna”dalla Badessa Orsa Zorzi a un gioielliere-argentiere Tedesco: Giovanni Leon cioè Hans Löwe da Colonia attivo a Venezia.

L’originalissimo Reliquiario-custodia venne salvato con la Reliquia di Santa Marta dalla devastazione dei Francesi dalla Badessa Marina Falier: ultima Badessa di Santa Marta che se lo portò nell’Oratorio di Famiglia di Palazzo Falier nella Contrada dei Santi Apostoli a Cannaregio. In seguito gli eredi del Monsignor-Canonico Francesco Falierdiscendente diretto di quella stessa Badessa, vendettero “per un prezzo favoloso” alla Baronessa De Rothschild il prezioso Reliquiario di Santa Marta che ora si trova al Museo del Louvreinsieme alle preziosissime Collezioni Rothschild, mentre la Reliquia sembra trovarsi nel Tesoro della Basilica Marciana ... forse ?

La chiesa-monastero di Santa Marta sorse fin dal 1018 con orti, canali e rive alla fine (o all’inizio se volete) di Venezia sulla Punta e Ponte dei Lòvi di Santa Martadi fronte alla palude e al Canneto di San Giorgio in Alga. L’edificazione avvenne a cura delle Nobili famiglie Sanudo e Salomon al cui “primo uomo” (l’anziano del Casato) ogni anno la Badessa offriva una rosa di seta ... Nel 1242 il Monastero di Santa Marta, che in realtà doveva sorgere non come Monastero ma come Ospizio per i poveri della zona(soliti tramacci degli Ecclesiastici), era già diventato ricco e prospero: possedeva campi nel distretto di Mestre, e le cinquanta Monache Benedettine prima, e le ottanta Monache Agostiniane poi tenevano diverse “Putte a spese”(educande). Durante i secoli il Monastero, anzi le Monache, furono piuttosto turbolente tanto da dover esser più volte riprese e riformate dai vari Papi, Vescovi e Dogi di turno per via del loro “gran disturbo, scandalo, danno e corruzione nella gestione delle doti”… ma questa è un’altra storia.

 

Secondo la Leggenda di Santa Marta, lei era una donna di Betaniadel primo secolo, figlia di Siro ed Eucaria ...Il suo nome in Aramaico significava: "Padrona del proprio Destino", e Marta fu quella sorella iperattiva e affaccendata diversa dalla contemplativa sorella Maria citata nei Vangeli di Luca e Giovanni. Marta, secondo il racconto dei Vangeli, fu amicissima di Gesù, tanto che gli risvegliò da morte il fratello Lazzaro ... Secondo la“Traditio Leggendaria” risalente circa al 48 d. C., Marta con la sorella Maria, il fratello Lazzaro, Massimino e le Marie di Cleofa e Salomè: sorella di San Giuseppe, e madri dei due Apostoli Giacomo e Giovanni, insieme alle serve Sara e Marcella si spinsero ad evangelizzare come Discepole del Cristo il sud della Francia... La Serva Marcella biografa di Santa Marta scrisse: “Dopo l’ascensione del Signore, quando avvenne la divisione dei Discepoli, Marta, insieme al fratello Lazzaro, alla sorella Maddalena e al beato Massimino […] fu gettata dagli infedeli su di una nave senza vela, senza remi, senza nocchiero né provviste che andò alla deriva [...] Ma il Signore condusse i suoi Santi a Marsiglia” dove vennero accolti dai Dignitari della città … Fu Marta quindi a trovarsi più a nord della Francia fra paludi e foreste alle prese col Drago Tirascurus metà bestia a sei zampe coperta di squame e con la testa di Leone(!!!) e metà Pesce che devastava le pianure della Valle del Rodano Francese impedendo alla comunità del villaggio di Nerlucdi vivere serena e tranquilla ... Secondo un’altra variante dell’antica Leggenda di Santa Marta la Tarasca era frutto dell’unione del mitico Onachus “bruciatore” della Galazia col Leviatano Marino ... L’orrenda Tarasca, che già il pagano Ercole aveva combattuto in precedenza senza riuscire a vincerla, secondo quanto raccontava Hygin Bibliotecario di Augusto, abitava giusto su un guado del Rodano ... Stupenda l’immagine allusiva e simbolica del guado ! … Rappresenta di sicuro quello stato di precarietà e incertezza tipico della condizione umana, quel bisogno d’attraversamento delle situazioni e delle cose che apre all’Oltre inatteso … Lasciamo stare queste precisazioni però.

Sempre secondo la Leggenda di Santa Marta narrata tardivamente da Jacopo da Varazze nel 1200, la Santa inseguì la Bestia-Tarasca fin nel più profondo dei boschi e la domò a colpi di Segni di Croceaspergendola con Acqua Benedetta… Un po’ “alla Santa Margherita-Marina” ... La stessa Leggenda precisava che Santa Marta pregava mentre ammansiva il Drago, e che ad ogni ulteriore orazione che recitava il Drago diventava sempre più piccolo e innocuo. Infine la Santa prese la Bestia Antica, se la legò al guinzaglio alla cintura per la coda alla rovescia in segno di umiliazione, e la portò vincitrice in città dove gli abitanti la lapidarono e la fecero a pezzi con aste e balestre, così da vendicarsi di tutti i soprusi e le barbarie che avevano subito … Da quel momento la città cambiò nome: cioè voltò pagina, e iniziò una nuova fase della sua Storica: quella Cristiana ... Marta la Santa morì nell’84 d.C. … Si era circa nel 1000 quando si avviò in Europa il culto di Santa Marta … e siamo sempre là con i discorsi: come “da copione” secondo il classico triplice schema di molte Leggende, alcune decine di anni dopo accadde “l’Inventio”delle Sante Reliquie-Corpo di Santa Marta, e fu per questo che circa alla fine del 1100 si iniziò a costruire: Cappella-Chiesa-Santuario e Schola-Confraternita di Santa Marta di Tarascona meta di numerosissimi e “fortunati” pellegrinaggi: “Qui [a Tarascona] rimase la Beata Marta col permesso di Massimino e della sorella, trascorrendo i propri giorni fra digiuni e preghiere: alfine fondò un Convento di Religiose e innalzò in onore della Beata Vergine una grande Basilica ... In questo Convento visse in penitenza”… e la Leggenda di Santa Marta continuò a fiorire e allargarsi: “Una volta, mentre Marta stava predicando ad Avignone, vicino al Rodano, un giovane che si trovava dall’altra parte del fiume, desiderava udire le parole della santa: non avendo una imbarcazione si provò ad attraversare il fiume a nuoto, ma subito, sopraffatto dalla corrente, affogò. Dopo due giorni il corpo del giovane fu ritrovato e deposto ai piedi di Marta perché lo risuscitasse. La santa si distese a terra con le braccia aperte a forma di croce e così pregò: “Signore Gesù Cristo, ospite caro, che hai risuscitato il fratello mio Lazzaro da te tanto amato, risuscita questo giovane per la fede di coloro che mi circondano!” ... Subito il fanciullo risorse e fu battezzato”.

In realtà già nel 900 il Culto di Santa Marta era presente a Costantinopoli, e dal Diario di Viaggio in Terrasanta di una Monaca del 400 si apprende che a Betaniasopra a una presunta Tomba di Lazzaro sorgeva una Basilica in cui c’era un’iscrizione greca che faceva riferimento a Marta e Maria. Fu di sicuroil movimento Crociato che veicolò il Culto della Santa in tutta Europa, e fino da noi a Venezia.

“Santa Marta per divina rivelazione conobbe la data della propria morte a un anno di distanza. Prima di spirare […] si fece trasportare fuori dal Convento per potere vedere il Cielo, ordinò poi la deponessero in terra fra la cenere […]. Dopodiché chiese che venisse letta la Passione di Cristo secondo il Vangelo di Luca; nel momento in cui il lettore pronunziò le parole: “Padre nelle tue mani affido il mio spirito”, la Beata Marta spirò. Il giorno dopo, era domenica, mentre i fedeli innalzavano lodi attorno al suo Corpo Santo, all’incirca verso l’ora terza, al Beato Frontone che, mentre celebrava la Messa a Perigueux, si era addormentato subito dopo l’epistola, apparve il signore e gli disse: “Mio diletto Frontone, se vuoi mantenere la promessa fatta alla mia Ospite, alzati e seguimi in fretta!”. Frontone eseguì subito il comando e, guidato da Cristo, giunse a Tarascona in tempo per cantare l’ufficio intorno alle spoglie Sante e per collocarle nel sepolcro con le proprie mani. Molti miracoli avvennero sulla tomba di Santa Marta” … Il vescovo Frontone e Gesù Cristo deposero il Corpo della Santa defunta in una tomba ipogea, e attorno a loro gli ammalati e gli storpi si affollano per chiedere la guarigione.”

Altra storia e altro Drago Veneziano: quello di San Donato Protettore di Murano… Anche in questo caso ci fu un doppione, cioè c’era un altro San Donato col Drago da cui distinguersi. Si trattava di San Donato di Arezzo Vescovo e Martire del 362 che uccise pure lui un Drago lontano dalla Laguna Veneziana. Il San Donato di Murano, invece, era nativo e Vescovo di Evorea o Euria o Evria, o forse di Cusia entrambe in Epiro, e fu “Matadòr di Draghi” pure lui lanciando semplici Segni di Croce stando in groppa a un umile asinello come il Cristo che entrò vincitore in Gerusalemme ... Leggenda racconta che l’orribile Corpo del Drago era talmente grande e ingombrante che per trasportarlo servirono otto paia di possenti buoi ... Nel VI secolo durante le invasioni Avaro-Slavele Reliquie del Corpo Santo di San Donato finirono nell’isola di Corfù, e da lì nei primi decenni del 1100 nella vicina Cefalonia da dove Domenico Michiel Doge dei Veneziani si premurò di prenderle per donarle nel 1125 alla chiesa di Santa Maria dell’Isola di Murano… Fu quasi gioco-forza che comparissero in seguito nella stessa Basilica di Santa Maria e Donatoalcune costole e un dente di Drago … cioè altre tre vertebre di Balena uccisa da non si sa chi ? … Sono poste ancora oggi dietro all’Altare Maggiore della splendida Basilica dove riposa il Corpo del Santo Donato AmmazzaDraghi... Andate a dare un’occhiata.

E San Silvestro ? … Drago anche per lui, e l’immancabilechiesa Veneziana a lui dedicata che si trova nel Sestiere di San Polo a pochi passi dall’Emporio Realtino, giusto sopra quella che era stata l’Antica Palude Poncianica dove si ipotizza esistesse, non a caso, uno dei più arcani e antichi Templi Pagani delle LaguneSan Silvestrofu un Papa, e già prima di esserlo era abituato a cacciare Draghi-Demoni del Paganesimo e dell’Eresia in giro … Ad Arezzo, ad esempio, “infestata dai Diavoli del Paganesimo, dove combattè e vinse i Mostri Maligni su ordine diretto di San Francesco... Secondo gli"Acta Silvestri" del IV secolo, in un laghetto stagnante presso il Colle Palatino di Roma viveva in una caverna sulle rive del Tevere un terribile Dragoche ammorbava l’aria col suo alito pestilenziale, e sbranava tutti quelli che gli venivano a tiro. Papa Silvestro I, che per tenersi in allenamento aveva appena sconfitto un altro Drago a Poggio Catino, intervenne personalmente recandosi presso la tana del mostro armato solo di un Crocifisso. Si raccontò ancora che alla vista del Papa che invocava la Vergine, il Drago si fece mansueto, per cui il Papa Silvestrolo legò a guinzaglio con un filo della veste, e lo portò al cospetto dei paesani che lo uccisero trascinandolo fino al Foro Romano e al Tempio di Castore e Polluce dove lo seppellirono ... Ovviamente i Pagani esterrefatti, Sacerdoti compresi, si convertirono immediatamente al Cristianesimo … Era l’epoca della Conversione dell’imperatore Costantino, e Papa Silvestro ordinò di costruire “sul luogo del Drago”la chiesa di Santa Maria Liberatrice detta “Santa Maria libera nos a poenis inferni”.

 

Che c’era di autentico oltre la Leggenda ? … Papa Silvestro fu presente al Concilio di Nicea al tempo il cui Costantino costruì le grandi Basiliche e sistematizzò il Cristianesimo mutandolo in Religione Obbligatoria di Stato segnando così il destino della Storia dell’Europa e del Mondo di allora, e cancellando ogni traccia del così detto Paganesimo (che era stato in precedenza Religio di Stato pure lui)… Di autentico poi esiste anche una chiesetta detta di Santa Maria Antiqua dedicata alla Vergine edificata intorno alla metà del VI secolo sulle pendici del Palatino, e abbandonata circa per tre secoli a causa dei danneggiamenti di un terremoto che la ridusse a rudere interrato. Alla fine del 1800 sono tornati alla luce i resti di quel santuario tappezzato da ben 250 metriquadri di affreschi Bizantini: bellissimo ! … La stessa Leggenda di San Silvestro e del Drago venne rappresentata nell’Oratorio di San Silvestro ai Santi Quattro Coronati, e poi in San Silvestro di Tivoli, in San Silvestro ad Alatri… e poi su su per l’Italia fino a Venezia nel Sestiere di San Polo.

Sempre nella nostra Città Lagunareè facile riconoscere in giro ancora oggi diverse formelle infisse in muro col Drago e San Michele o col San Giorgioche calpesta e trafigge il Drago. Molto spesso quelle immagini erano emblema e segno distintivo delle proprietà del Monastero Benedettino di San Giorgio Maggiore, oppure di quello Ortodosso di San Giorgio dei Greci nel Sestiere di Castello ... Bellissimo ancora fra tutti, se lo volete andare a considerare, è il Sant’ArcangeloMichele che schiaccia il Drago collocato sul Portale del Chiostro del Monastero di San Michele in Isola (l’attuale Cimitero di San Micièl) … Di certo esistevano raffigurazioni simili anche nella chiesa di Sant’Anzoloche sorgeva accanto a quella di Santo Stefano degli Agostinianinon lontane da San Marco nell’omonimo Sestiere, e forse anche a Sant’Anzolo della Giudecca e a Sant’Anzolo di Concordia e delle Polveri in Isola  … All’Anzolo Raffael, invece, l’Angelo lotta non col Drago ma con la cecità ...  Siamo sempre là, gira e volta, la cecità raffigura e richiama quella dell’Umanità e del Vivere: c’è sempre un Male Cieco e Invisibile che non vediamo e capiamo da combattere nella Storia.

A Venezia ancora il Leviatano Marino, cioè il Serpente del Destino era correlato con San Giobbe, San Stae, Santa Giustina, San Silvestro, San Filippo e Giacomo, Santa Marta, Santa Margherita, San Giorgio e Trifone, San Giorgio in Alga, San Teodoro, San Donato di Murano … e Santa Margherita di CaorleVi basta ?

In questo contesto di Draghi combattuti e Santi Patroni totipotenticapaci di tutto, non posso fare a meno di accennare alla figura fortemente connessa con loro di San Nicola: altro Santo Marinaro originario della città di Patàracapitale della Licia ad ovest di Myra, solo più tardi rinominato come San Nicola di Bari. Il Culto Nicolaianodivenne fortissimo, esteso e molto diffuso nell’intero Bacino del Mediterraneo ponendosi a cavallo dei conflitti e delle politiche economiche Arabo–Bizantine promosse e favorite di sicuro da Mercanti e Navigatori sia Pugliesi che Veneziani.Per questo San Nicola divenne via via Patrono di Bari, Cassino in Valle Sorana, Taranto, Monopoli, Venezia, Merano, Ancona, Sassari, Cava dei Tirreni, della Puglia e Sicilia, e di Russia e Grecia… ed è pure il Sanctus Nicolaus nordico, cioè il Santa Claus della Notte di Natale.

Secondo la Leggenda Nicolaita risalente all’Alto Medioevo: Nicolanacque intorno al 270 da ricchi genitori devoti da cui ereditò moltissimo impiegandolo in carità e con stile di pietà ... Salvò dal disonore, ad esempio, tre giovani figlie di un uomo caduto in miseria destinate alla prostituzione utile per creare loro una dote-capitale per sposarle ... Nicola avvolse tre palle d’oro in un panno, e lo gettò di nascosto attraverso una finestra nella casa delle tre sventurate … Poi resuscitò tre Chierici assassinati da un Oste che voleva impossessarsi del loro danaro … Rese anche la vita e la libertà a tre Ufficiali Bizzantinicondannati a morte dall’Imperatore Costantino nel 313: l’anno spartiacque in cui la Storia passò sotto la guida del Cristianesimo … Tutto: tre, come la Fede Trinitaria che serviva ribadire in quell’epoca in contrapposizione alle Eresie Pagane che propugnavano idee di Dio diverse … Lo stesso Santo Nycola intervenne poi a favore dei Myresiin tempo di carestia ed estrema necessità diventando Soccorritore dei Bisognosi e Protettore dei Commerci delle Navi Granarie ... Raccontò Simeone Metafraste di un certo Commerciante di Grani di Bari: “Un tempo quando su tutta la Licia regnava la carestia, la città di Mira, esaurì la scorta di cibo e soffriva per questa sventura. Allora il Grande Nicola, apparve di notte ad un Marinaio che commerciava in grano e, dopo avergli dato in pegno tre misure d’oro, gli ordinò di raggiungere la città di Mira e di vendere il grano ai cittadini del posto. Il mercante, stupito di vedersi tra le mani l’oro, meditò sulla visione, meravigliandosi di quanto era successo; andò a Mira e vi vendette il grano. Gli abitanti della città attribuirono la liberazione dalla carestia a Dio e al Grande Nicola” ... Per tutto questo Nycolavenne eletto Vescovo di Myra, compito nel quale si distinse, secondo la Leggenda, per zelo pastorale e bontà operando diversi miracoli già da vivo: salvò da naufragio Marinai imbarcati su una nave diretta a Myra calmando una furiosa tempesta (curiosa l’analogia col Mito Marciano), e riuscì soprattutto a strappare ai Vecchi Dei Artemide e Poseidone-Nettuno il Patronato sulle Coste e sul Mare. 

Morto tra 345 e 352, NicolaSanto venne sepolto a Myra, e i suoi resti rimasero là fino al trafugamento del 1087 da parte dei sessantadue Marinai Baresi Mercanti di Grano. Santo Nicolaus divenne quindi manifesto-bandieradella nuova borghesia Normanna antibizantina e filo Gregorianaresidente in città, protagonista dei Commerci Granari ... Giovanni Diacono scriveva: “Dopo che il Beato Nicola lasciò questo mondo per raggiungere il Signore, la tomba in cui la sua venerabile salma venne rinchiusa, non cessò di stillare un liquido oleoso: la Manna di San Nicola ... E lì, si recavano folle di malati, ciechi, sordi, muti e quanti erano oppressi di spiriti immondi, che unti col Santo Liquido, tornavano al loro originario stato di salute”.

 

Nacque quindi un’aspra rivalità tra Bari e Benevento impoverito delle folle dei Pellegrini Garganici del Nord dirottati a Bari presso San Nicola ... e qui ci misero lo zampino i Veneziani … Già nel 1044 il Doge Domenico Contarini aveva edificato la chiesa di San Nicolò del Lido a protezione di una delle principali Bocche di Porto di Venezia, e dieci anni dopo aveva regalato insieme al Patriarca di Grado Domenico e a Domenico Vescovo di Castello-Olivolodella terra all’Abate Sergio di San Giorgio Maggiore per costruirvi e aggiungervi un Monastero BenedettinoSan Nicola o Nicolò era visto e considerato a Venezia quasi come una necessaria "controfigura" complementare di San Marco… Circa dieci anni dopo ancora, il Vescovo di Padova Olderico infeudò al Monastero tre pezze di terra di proprietà dell’Episcopato Patavino site in Corte, Centa e Lanzago, ed altre in Villa di Corte Contrada di San Nicolò in Località Centa in Pieve di Linzago ... Un altro pugno d’anni dopo lo stesso Monastero di San Nicolò ebbe in dono anche tre antichi cenobi dell’Istria: dal Vescovo Adalgero ebbe Sant’Apollinare in Gasello poco distante da Capodistria, dal Vescovo di Parenzo Bertoldo: la chiesa e l’Isola di Sant’Anastasio posta dinanzi alla città, e il Cenobio di San Pietro in Carso presso Buie di Cittanova d’Istria … Insomma San Nicolò del Lido era molto considerato a Venezia: gli mancava solo il Santo Corpo di San Nicola ... Infatti negli ultimi anni del secolo avvenne la “Traslatio di San Nicola” insieme a quella del Corpo di San Teodoro che giunsero insieme in Laguna ad opera proprio di un Monaco di San Nicolò del Lido ... Nella stesura del testo della Traslatio di San Nicolò si evidenza in primo piano il Papa seguito dall’ImperatoreGreco e dal Doge Veneziano: cioè in quel momento storico Venezia ribadiva il primato-dipendenza dal Papa di Roma e dall’imperatore, ma voleva a tutti i costi il Corpo di San Nicola in Laguna per accrescere ulteriormente il suo prestigio e la sua indipendenza da tutti … e così avvenne.

Dallo stesso San Nicolò del Lido partì nel 1099 la flotta Veneziana guidata dal figlio del Doge Michele Michiel accompagnato dalVescovo di Castello Enrico Contarini. Avevano come compito ufficiale di supportare i Crociati che si recavano ad Antiochia, ma soprattutto avevano l’incarico poco dissimulato di sopravalere Genovesi, Pisani, Provenzali e Normanni nel controllo e nei traffici commerciali del Mediterraneo ... Svernato a Rodi fino alla metà di luglio 1100, la squadra navale veneziana deviò la rotta verso le coste della Licia approdando a Myra ... La motivazione leggendaria fu la Translatio Sancti Nicolai, cioè il recupero della Reliquia del Corpo Santo di Nicola CoPatrono di Venezia.

I Baresi, in realtà, si vantavano di aver già preso quel Santo Corpo di Nicola e di averlo portato nella loro città fra 1071 e 1087 custodendolo in una sontuosa arca ... Quelli di Myra, infatti, dopo debita tortura, dovettero ammettere di possedere solo il corpo di un altro San Nicola: lo zio di quello che cercavano i Veneziani ... Racconta la Leggenda: che mentre i Veneti se ne stavano già andando delusi, vennero trattenuti a Myra dalla comparsa di uno straordinario profumo proveniente da un angolo riposto della chiesa di San Nicola… I Miresi stavano beffando i Venezianidopo dei Baresi, ma i Veneti più furbi e accorti, scoperto l’inganno recuperarono l’autentico Corpo-Reliquia del Santo dei Navigatori distruggendo per scovarlo chiesa e altare che l’aveva ospitato per 700 anni. Quindi spedirono subito a Venezia come prezioso bottino di guerra la Preziosa Reliquia del Corpo di San Nicolò insieme a quello dell’omonimo zio Santo: “Melius est abbundare quam deficere”: in Laguna un Santo in più ancora una volta non guastava.

Al Leone Santo di San Marco rapito ad Alessandria, si aggiunse quindi il Nocchiero Greco San Nicolò ritratto ovunque nella Basilica Marciana come Protettore di Venezia dalle tempeste dei Marie dei commerci della politica economia espansiva Veneziana.

Fu così che verso la fine del secolo alcuni Veneziani, forti del fatto di ospitare finalmente nella propria città anche il Patrono dei Navigatori Mercantidalla cui chiesa si partiva per lo Sposalizio del Mare il giorno della Fiera Mercantile e della Festa della Sènsa, si recano a Roma da Papa Innocenzo III per provare a fargli ritirare le scomuniche inferte a chi trafficava “merci proibite” nel Mediterraneo con Saraceni, Egiziani e Babilonesi  ... Il Papa non si commosse, né cambiò idea: sapeva benissimo che i Veneziani non avevano mai smesso di organizzare viaggi in gruppo, Mude di Galee da guerra, traffici fluviali, e mille commerci e scambi monetari intrattenendo buoni rapporti con Arabi e Slavi, e vendendo e comprando quanto più potevano ... I Veneziani non si potevano cambiare: erano incorreggibili !

 A Palazzo Ducale nel 1204 si costruì una Cappella dedicata a San Nicolò dove ogni anno il Doge ascoltava Messa nella Festa del Santo … La chiesa fondata dalla famiglia Zancarola anticamente dedicata ai Santi Lorenzo e Niceta sulla misera Isola dei Pescatori della Mendigolaalla periferia della città venne riadattata e ridedicata al Santo Navigatore Vescovo da Myra rappresentato secondo la Leggenda “con le tre palle d’oro in mano”: andatelo a vedere a San Nicolò dei Mendicoli ! …  e San Nicolòdivenne inoltre Patrono della Fraterna dei MarineriVeneziani, e di diverse altre Schole d'Arti e Mestieri di Venezia: Spadèri, Cortelèri, Segadòri, Cimadòri di panni, Magazzinieri, Pescivendoli, Barcaroli, e della stessa Nazione Greca.

Storia a parte, invece, quella di Sant’Isidoro originario d’Alessandria d’Egitto (uno dei maggiori porti strategico-commerciali sulle Vie dell’Africa e dell’Asia, cioè delle Spezie, Incenso, Seta e Perle ed altro ancora frequentatissime dai Veneziani).  Marinaio e militare Romano, divenne Martire nel III secolo al tempo dell'Imperatore Decio che stabilì che ogni soldato dell’Impero doveva adorare esclusivamente gli Dei Pagani di Statosotto pena di tortura e morte. Denunciato mentre si trovava nell'Isola di Chios, venne appunto torturato, processato e decapitato, e il suo corpo gettato in un pozzo. Gli amici Ammone e Mirope entrambi poi Martiri come lui, si dice abbiano recuperato e seppellito il corpo. Mirope gli venne sepolta accanto, e sulla loro tomba cominciarono a fiorire guarigioni miracolose, e ovviamente copiose Leggende … Si costruì sul posto prima una semplice Cappella, poi San Marciano edificò una chiesa nel secolo seguente, e il Culto di Sant'Isidoro si diffuse in tutto il Mediterraneo Venerato da Cattolici, Copti e Ortodossi … Giunse anche a Nardò di Lecce e a Cagliari in Italia, e infine non poteva mancare anche nella Basilica di San Marco a Venezia dove divenne letteralmente un vero e proprio “cult”: cioè un altro dei Protettore di Marinai, Pellegrini, Viaggiatori e Mercanti della Serenissima … Esiste un sigillo bronzeo del VI secolo che conferma tutto questo, usato dai Pellegrini diretti al pozzo miracoloso di Chios dove Sant’Isidoro era Protettore sia dei Marinai che del Viaggio dei Pellegrini.

Secondo la “Translatio mirifici martyris Isidori a Chio insula in civitatem Venetam” redatta dallo stesso Prete Cerbano dedicandola al Vescovo di Castello Bonifacio Falier, fu il Doge Domenico Michiel a portare avventurosamente il Santo Corpo di Sant’Isidoroa Venezia nel 1125 su iniziativa del Chierico Veneziano Cerbano Cerbani ... Costui era un Nobile di Jesolo-Equiliocome Pietro Cerbano, e come Domenico Cerbano Patriarca di Grado dal 1073 al 1084 ... Il Prete Cerbano per una serie di circostante politico-religioso-commerciali favorenti risiedeva alla Corte del Bizzantino Alessio I Comneno, ma la sua fortunata posizione svanì insieme a quella di tutti gli altri Mercanti Veneziani quando avvenne l'insediamento di Giovanni II Comneno che si rifiutò di confermare i privilegi commerciali accordati dal predecessore. Cerbanoallora fu costretto a fuggire via col pretesto di recarsi in Pellegrinaggio in Terrasanta ... Venne però bloccato dal Catapano di Creta a Nicaria, che lo rimandò a Costantinopoli dove venne condannato al carcere. Anche da lì il Cerbano riuscì a fuggire, e sotto falsa identità salpò da Crisopoli naufragando però nel Mare Egeo ... Salvata a stento la vita approdando nell’Isola di Chios, il Prete Cerbano si ripromise solennemente di ritrovare le spoglie del Patrono dell'Isola Sant'Isidoro famoso per averla salvata dalla Peste, e decise quindi di traslarle a Venezia ... tanto per cambiare.

 

Come fare per trovarle ? … Si recò allora a Rodi dove svernava la flotta Veneziana del Doge Domenico Michiel di ritorno dalla spedizione vittoriosa sugli Infedeli Musulmani ad Ascalona e Tiro. A Rodi quindi il Prete Cerbano convinse alcuni Veneziani a trascorrere con lui l'inverno per aiutarlo a cercare le spoglie scomparse del Martire Isidoro di Chios… Ecco che come da classico Copione Leggendarioavvenne l’”Inventio”. Nel dicembre 1124 nella cripta della chiesa di Sant'Irene di Chios vennero ritrovati oltre al Corpo di Sant’Isidoro anche i resti dei Martiri Afra, Ilaria, Mirope e del figlio di quest'ultima. Il Doge tenuto all’oscuro di tutto, e desideroso soprattutto di non inimicarsi quelli dell’Isola di Chios, litigò non poco col Prete Cerbano che voleva portare tutto e tutti in Laguna ... Si giunse a un compromesso fra Doge e Prete, e dopo Pasqua si partì con la flotta per Venezia col solo Corpo Santo di Sant’Isidoro, che approdò in Laguna a giugno 1125 ... Non è veritiero quindi il racconto della Translatio di Sant’Isidoro che dice che le sue Sante Reliquie giunsero in Laguna nell’aprile 1125 ... Ma poco importa: era normale nelle Leggende una certa confusione e sovrapposizione di date distorcendo un po’ i fatti degli eventi storici adattandoli a spiegare e confermare la Leggenda … Ciò che importava a Venezia era sempre la stessa cosa: cioè che le situazioni economico-politiche dei Veneziani venissero “benedette e protette dal Cielo in qualche modo”.

Isidoro di Chios divenne quindi un altro dei rari Santi venerati e ritratti nei cicli mosaicali della Basilica Marciana fin dal Medioevo… a Venezia venne eletto anche a Patrono dell’Arte dei Segadori dell’Arsenale, finchè poi il suo Culto-Devozione finì nel dimenticatoio e in secondo piano forse per l’esubero-inflazione di Santi e Sante che erano stati importati a Venezia … Come accudirli degnamente tutti ?

Finchè poi avvenne la classica Inventio, cioè il recupero-riscoperta delle Sante Reliquie dello stesso Sant’Isidoroaccaduta probabilmente al tempo del Doge Andrea Dandolo fra 1343 e 1354 quando erano Procuratori di San Marco i Nobili Marco Loredan e Giovanni Dolfin come recita un’iscrizione sul manufatto della Santa Reliquia ... Fatalità in quel momento a Venezia stava imperversando la Peste Nera, e chi più di Sant’Isidoro Santo noto Santo Protettore Liberatore dell’Isola di Chios dalla Pestilenziale Epidemia poteva risolvere il problema dei Veneziani ?

Sant’Isidoro quindi ricomparve e tornò in auge il suo Culto di potente Santo Apotropaicoe Beneaugurante. La sua figura propiziatoria ricomparve nella Manualistica Liturgica della Basilica Dogale-Marciana, e nel Rituale Proprio di Venezia. Gli venne allestita un’apposita solennissima Processione, e comparve anche la Passio Sant’Isidoro che divenne parte integrante prima del Leggendario di Pietro Calò, e poi del Catalogus Sanctorum di Pietro De Natali ... In quegli stessi anni venne edificato nella stessa Basilica di San Marco il costoso Oratorio-Cappella di Sant’Isidoro visitato solennemente ogni anno da Doge, Senato e Clero Veneziano nel giorno della Memoria dell’Inventio per commemorare il Santo Patrono Isidoro, ma anche fallimento del colpo di mano del congiurato Doge Marin Falier avvenuto nello stesso giorno calendariale.

Nel 1627 anche la testa mancante di Sant'Isidororimasta nell’Isola di Chios venne portata a Venezia da Pantaleo Risicario, che si meritò per questo per sé e per i suoi eredi: una casa e una pensione annuale di Stato … Qualche decennio dopo l’Orafo Piero Bortoletto realizzò per la Basilica Marciana un Reliquiario in metallo e vetro per contenere quel Santo Cranio, che è ancora conservato nel Tesoro di San Marco.

 

Ed eccoci finalmente a San Marco, il SantoPlus, il cui Culto-Leggenda-Passio proVenezia giunsero in Laguna portate e patrocinate da Aquileia-Grado, ma anche dal circondario commerciale di Altino, Concordiae Oderzo: tutti “Luoghi Primi” a loro volta traboccanti di Reliquie totipotenti e Martiri Zonali e ProtoVescovi Santi come San Taziano e San Magno.

Quando nel 828 avvenne la Traslatio del CorpoSanto dell’Evangelista Marcoin Laguna, l’iter dell’apposita "Passio-Leggenda" era già più che pronto e compiuto: il SantoPatrono di Venezia era servito!

Già dal tempo dello Scisma dei Tre Capitoli del VI-VII secolo, quando un nutrito gruppo di Vescovi quasi tutti Occidentali si dissociò dal Papa e dal resto della Ecclesia non accettando i contenuti del Concilio Costantinopolitano II del 553, si andava cercando un nome prestigioso a cui attribuire la fondazione della neonata Chiesa Veneziana ... Doveva per forza essere un Santo che godeva di grande autorità per giustificare la ricerca d’autonomia che Venezia, come Aquileia, andavano trovando da Roma & C.

Si finì col scegliere San Marco Vescovo-Martire di Alessandria, e soprattutto: "Discipulus et Interpres" di San Pietro, cioè del“numero uno Ecclesiastico” in assoluto, quello fondante ... La Leggenda Marciana traballò e mutò più volte lungo i secoli seguendo di volta in volta gli umori storici ascendenti o discendenti della politica filoImperiale, filoBizzantina o filoPapale di Venezia, che alla fine puntò tutto su se stessa.

Inizialmente la Neonata Venezia fece occhiolino e diede di gomito ad Aquileia Bizzantina, poi si buttò dalla parte di Grado diventata NuovaAquileia e Sede Metropolitana di riferimento di tutta la Venezia et Istriaquando Aquileia divenne Longobarda e scismatica… In quel frangente storico Grado ricevette in dono dall’Imperatore Eraclio la presunta preziosissima Cattedra di San Marco.

Col Sinodo di Mantova del 827 poi, cambiò di nuovo il vento della Storia, e anche la NeonataVenezia mostrò segni e volontà d’indipendenza da Bisanzio quando Aquileia vantò supremazia su Grado, l'Italia Settentrionale e addirittura su alcuni territori ultralAlpini ... Il legame col Papa di Roma non sembrò essere più così necessario, e anche la nuova versione della Leggenda di San Marco si adeguò a questa situazione storica ribadendo che il Santo Marco valeva “in se” senza alcun bisogno di consenso e approvazione del Primate Pietro di Roma… Era nata Venezia ! … e lo sapete meglio di me che da quel momento fu tutto un botta e risposta e un gran tira e molla della Serenissima con lo Stato Pontificio.

Leggendo la Storia si evince che ai Veneziani non importò mai più di tanto delle dispute teologiche, perché avevano una concezione e visione di se stessi molto realistica e pratica: economica piuttosto che spirituale. Per questo alla fine Venezia preferì avere “in casa a disposizione” la solida garanzia del concretissimo quanto tangibile Corpo Venerabile del Patrono Marcodestinato ad essere tutto dalla sua parte.

Fu così che l’anno seguente alla Sinodo di Mantova, nel 828, si collocò il trafugamento-Traslatio del Corpo di San Marco da Alessandriad'Egitto portandolo in salvo a Venezia. Da chi lo si era salvato ? … Un po’ da tutti: in primis dalle possibili ingiurie degli Arabi Musulmani, ma in seconda battuta anche dalle pretese di primato e sudditanza sia di Roma Papale, ma anche dell’Imperatore, di Aquileia e di qualsiasi altro si fosse affacciato sul palcoscenico della Storia ... Ci fu subito un gran festone in Laguna quando i sei Vescovi Lagunari: Caorle, Cittanova-Eraclea, Equilo-Jesolo, Malamocco, Torcello e Olivolo-Castello con i loro Frati e Preti, il Doge Giustiniano Partecipazio e il Patriarca di Gradoaccolsero il Santo Corpo portato dai due Marinai-Commerciantitutti Veneziani: Buono da Malamocco (primitiva sede del governo Veneziano), e Rustico da Torcello (la prima Venezia commerciale erede di Altino) ... Subito dopo s’iniziò a costruire il sontuosissimo chiesone per il Nuovo SantoPatrono: la Basilica di San Marco… Per l’occasione la Leggenda Marciana venne ancora una volta ritoccata e amplificata in senso Veneziano: prima San Marco aveva fretta di correre a Roma e a evangelizzare Alessandria, Aquileia e il NordItalia, adesso, invece, a San Marco interessava solo trovare definitivo “riposo in Vinea” e fra le acque non più burrascose della Laguna: "ubi Rivoaltina Civitas constructa dignoscitur"… Era a Venezia il posto di San Marco: "Pax tibi Marce ... Hic requiescat corpus tuum", si leggeva sul Libro spalancato tenuto fra le zampe del Leone Marciano, e da allora iniziò l'ascesa di Venezia Serenissima, che non fu più né Aquileiese né Gradense né Romana, nè di nessuno, ma solo di se stessa e dei Veneziani “Figli di San Marco”.

Nel famoso anno 1000, nella Basilica Ducale si rappresentò San Marco accanto, cioè“alla pari” con San Pietro, e in "pendant" con la Vergine Maria la Donna delle Donne. San Marco cioè era Diretto Potente Intercessorepresso Cristo come gli altri due ... e Pietro Orseolo in partenza per la conquista della Dalmazia ricevette dal Vescovo di Olivolo un "vexillum triumphale" col ruggente Leone Marciano: Patrono Difensore di Venezia, ma anche Offensore dell’intero Mondo di allora … Allo stesso tempo San Marcocomparve sulle monete Veneziane barattate e movimentate a Rialto ... Venezia non si smentiva: era sempre Venezia.

In seguito, sempre seguendo lo schema della classica trilogia del copione leggendario Medioevale, dopo la “Passio” e la "Translatio"del Santo ci doveva essere “l’Inventio” del Corpo Santo che avrebbe dato il via allo spettacolare Culto Rilancio: alla Devozione irrinunciabile...  Non si sa bene se si o se no, ma sembra che il Corpo di San Marco sia bruciato insieme alla primitiva chiesa nell'incendio del 976.

Che accadde in quegli anni in realtà ? … Perché quell’oscuramento-crisi dell’ormai divenuto pomposo Culto Marciano ?

Ci fu una crisi d’identità politica di Venezia che portò a una rivolta dei Veneziani contro il Doge Pietro Candiano IV reo di aver avviato un’infelice politica filo-Ottoniana-Imperiale. I Mercanti Veneziani prima gli bruciarono Fondaci, Palazzo e Basilica, poi lo uccisero insieme al figlio ... I Candiano avevano stipulato patti con Ottone I e II, e regalato all'Abbazia di Reichenau sul lago di Costanza una grossa Reliquia di San Marco (tuttora li conservata) come segno di intensa e profonda alleanza. S’era perfino sposata Waldrada con Pietro Candiano IV, e si stava di sicuro inclinando il successo commerciale di Venezia sia in Terraferma che per Mare ... il piatto piangeva insomma ... Serviva un nuovo reset, un riavvio e una rimotivazione di Venezia … Ed ecco accadere quindi nel 1094: la leggendaria “Inventio”, quando lo scomparso Corpo Santo di San Marco venne sostituito con un comune cadavere per far cessare le angosce e le incertezze dei Veneziani che avevano perduto l’identità … Il ritrovamento del Corpo di San Marco segnò non solo il riavvio del Culto Patronale che s’era assopito, ma anche il recupero della vocazione commerciale della Venezia Lagunare ... l'Inventioindicò quindi un ritorno alle origini e un punto di ripartenza, e si provvide quindi a ricostruire la Basilica con i mosaici ancora visibile attualmente ... Secondo la Leggenda, il Doge Vitale Falier dopo vane ricerche indisse una pubblica tregiorni di digiuni e preghiere, e alla fine il “Miracolo di Stato” si compì: da una colonna "caloprecia"(composta da vari pezzi), quella del pilastro sinistro della Cappella di San Clemente, spuntò un’arca marmorea col Corpo di San Marco mentre un profumo meraviglioso riempì la Basilica come nella migliore delle Leggende … Un'indemoniata subito guarì toccando l'Arca col Corpo Marciano, e alcuni Marinai Veneziani scamparono immediatamente a un certo naufragio ... A Venezia si riprese a pregare: "… pro Duce nostro et pro bono statu Venetiarum"… Viva San Marco quindi, e Venezia Serenissima ripartì secondo la Leggenda, e riprese ad andare a gonfie vele col suo Leone in testa.

 

Ho finito … Finalmente direte !

Sapete che sono un inguaribile nostalgico … Ricordo la Basilica Privata del Doge e di San Marco in certi anni andati che sono stati anche miei: quando la frequentavo da giovanotto e da Chierico-Seminarista. Lì dentro ho trovavo e vissuto atmosfere spesso incredibili, surreali, indicibili e speciali che mi hanno messo più volte i brividi. La Basilica mosaicata Doratami appariva ogni volta in tutto il suo secolare splendore, quasi una bellissima e fascinosa donna capace di affabularmi con la sua scintillante Bellezza … Oltre ad aver partecipato lì dentro a innumerevoli Feste, Scadenze Liturgie e Cerimonie, sempre lì dentro ho incontrato e conosciuto Uomini Illustrissimi e indimenticabili come i Patriarchi Albino Luciani e Marco Ce’: persone davvero uniche e squisite che hanno segnato indelebilmente la mia esistenza per sempre. Ancora lì in San Marco ho ascoltato rapito mille volte la Cappella Marciana cantare accompagnata dal suono suadente dei quattro organi della Basilica ... Non pensate che sto esagerando, ma in certi momenti i cantori letteralmente urlavano potenti motti e cantate al Cielo e ai Secoli facendo tremare le navate: “Quasi Leo fortissimus !” gridavano cantando e facendo vibrare tutto … e il suono dell’organo pareva un’onda travolgente che si spandeva ovunque serpeggiando sul pavimento, sulle volte mosaicate, e fin sulle pareti curve e concave dorate dell’immensa chiesa … Pareva un redivivo  Drago moderno ? … Sembrava che il Tempo a Venezia si fosse fermato e spalancato sull’Eterno Impossibile e Luminoso, che come un Dragone Antico Buono e Cattivo insieme aleggiava tutto attorno a noi.

“Quasi Leo fortissimus !”ripetevano ancora gli abilissimi cantori a pagamento, gli stessi del Teatro lirico della Fenice, e facevano rimbombare di nuovo il chiesone magnetico … Altra onda sonora, altro brivido lungo la schiena … Era peggio e di più che trovarsi dentro a uno stadio invaso dal tifo insanabile e prorompente: nella Basilica si percepiva un’esultanza alta, forte e intensissima che la riempiva e saturava coinvolgendo anche noi, gente qualsiasi presente lì dentro ... Era la forza del Mito e della Storia di San Marco e di Venezia che si celebravano e rinnovavano ancora una volta in maniera palpabile e vivissima.

“Quasi Leo Fortissimus nullum pavens occursum, idola subvertit et gloriam Domini.”

“Fortissimo come un Leone, senza temere alcuna avversità … Rovescia gli idoli, e annuncia a tutte le genti la Gloria del Signore. Alleluia!”

Mi commuovevo allora, pur senza mostrarlo, e non ero più uno sbarbatello ingenuo ed entusiasta … Mi commovevo nel sentirmi Veneziano: allora come oggi ... Percepivo che quella sensazione singolare, quella specie di sofisticato e raffinato piacere provato in San Marco, quasi traboccava di fuori fra calli, rive, Contrade e campielli inventandosi la città ... come era già accaduto per secoli, quando Venezia si è spandeva ovunque in tutto il Mediterraneo, e più in là fino al confine degli Oceani, dei Deserti, oltre i Monti, i Fiumi e le Pianure in moltissime Città del Mondo Orientale e Occidentale.

E’ un gusto speciale sentirsi Veneziani, figli ed eredi di cotanta Storia, Bellezza, Fierezza e Singolarità… Ognuno di noi possiede una Patria e una Storia, ma diciamolo: a non tutti è dato di sentirsi orgogliosi di essa come noi Veneziani.

In questo tempo il Covid19, come moderno Leviatano, ha maltrattato di brutto anche Venezia: sembra quasi un invisibile DragoneCosmico Malefico che l’ha flessa e piegata e nuovamente frustata e percossa con la sua coda e l’alito pestilenziale infuocato ... Solo ora, piano piano la nostra città accenna a riprendersi provando a leccarsi le ferite … Il Leone Marcianoè spelacchiato, e zoppica forse per una fastidiosa spina infilata dolorosamente su una zampa … Le banchine del Porto sono da mesi desolatamente deserte e disertate: pochi turisti sgarruffati s’aggirano e perdono nei meandri della città, e anche i Veneziani sembrano smarriti e scomparsi, bisognosi di un sussulto … Che fine ha fatto San Marco ? … Dorme “In Vinea” come secoli fa ?

Non lo so.

Da sempre, fin da quando esiste l’Umanità, la Storia insegna che il Cielo-Eternità-Potenza inconoscibile, superiore, indicibile e caotica si è sempre contrapposto e alternato alla Terra fragile: Regno del Tempo abitato da effimeri quanto cagionevoli Uomini e Donne… Luce contro Oscurità, Male-Caos-Energia-Fuoco primordiali, distruttivi e incontenibili contro Bene-Ordine-Controllo Pacifico …

Sembra non possa esserci Sentimento che valga, che tenga, e che possa bastare.

La Storia è fatta di opposti, di categorie e suddivisioni mentali a volte contradittorie e mai esaurite che si rinnovano di continuo ... Siamo noi a trascorrere e passare intanto, mentre la Storia resta riassumendo tutto e tutti ... A ciascuno di noi dentro a questo immane vagabondare cosmico che ci smarrisce e porta rimanendo oscuro alla nostra comprensione per nove decimi, resta di raccontare e ascoltare, quasi a consolazione, mille Storie, Miti e Leggende di Draghi, Leoni, Santi, Persone e Serpenti che non smetteranno mai d’incuriosirci dandoci uno strattone o una spinta nella nostra personale e quotidiana Lotta Cosmica per esserci e determinarci.

 

E’ un discorso troppo grande ? … Più grande di noi ? … Forse.

Beh: intanto ascoltiamolo, pensiamoci … e lasciamoci andare, esistiamo, lavoriamo … viviamo senza prendercela più di tanto fra Leoni, Draghi e Serpenti Veneziani, che forse ora ci saranno un pochino meno sconosciuti ... un poco solo.

 

NOTERELLA SIMPLEX: i Draghi di Santi e Sante Veneziani hanno ali di Pipistrello ...

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#unacuriositàvenezianapervolta – n° 202.

NOTERELLA SIMPLEX: i Draghi di Santi e Sante Veneziani hanno ali di Pipistrello ...

Non era affatto difficile catturare i piccoli Pipistrelli scuri che uscivano di notte dai meandri interni della Cupola della Madonna della Salute a Venezia svolazzando nel sottostante giardino del Seminario Patriarcaledove vivevo. Qualche volta riuscivano anche ad infilarsi negli ambienti interni attraverso qualche finestra lasciata aperta ... e allora comparivano striduli nel chiostro, nei corridoi, nella Biblioteca Granda, e perfino davanti alle nostre stanze.

Era semplicissimo catturarli … Li lasciavamo volare ciondolando in aria tenendo una coperta pronta in mano. All’ultimo istante, proprio quando il malcapitato Pipistrello sfrecciava sopra alle nostre teste, la lanciavamo aperta in aria ... Era troppo tardi per il sofisticato sonar invisibile del Pipistrello, quindi non riusciva ad individuare in anticipo l’ostacolo che un secondo prima non c’era in aria. Il Pipistrello di turno finiva dieci volte su dieci col sbattere inesorabilmente e violentemente addosso alla nostra coperta … ed era quindi nostro.

Nostro ? … Si, perché in quel momento iniziava per noi la seconda parte “dell’operazione Pipistrello”: utilizzavamo quei soffici animaletti scuri, che da quel momento diventavano perfettamente immobili, per realizzare l’ennesima nostra goliardata e trovata … Un Pipistrello poteva finire nottetempo sotto alle lenzuola in fondo al letto di un nostro ignaro collega Seminarista: obiettivo più che frequente dei nostri scherzi ... Va beh: lo ammetto … E’ stata una cosa insolita, ma di certo molto divertente … sentire urlare quel nostro povero compagno nel cuore della notte mentre usciva tutto imbrattato di sangue dalla sua stanza spaventatissimo … Che c’era di così grave e importante da urlare in quella maniera ? … Aveva semplicemente calpestato e spremuto nel sonno il Pipistrello che avevamo collocato ai suoi piedi … Quante storie per un semplice Pipistrello! … e quanto ci sbellicavamo per le risate alle spalle del povero malcapitato.

In un’altra occasione il peloso animaletto catturato, ancora mezzovispo, ci tornò utile per essere collocato in una graziosa scatoletta di metallo colorata. La collocammo in cima alla cattedra della nostra giovanissima Professoressa Supplente di Matematica… Alla genialità di quella donna non corrispondeva, come spesso accade, altrettanta furbizia, scaltrezza e malizia ...quindi divenne pure lei obiettivo più che adatto per le nostre ludiche performance da liceali-collegiali. Vista la scatolina lucente, non sospettando affatto del possibile scherzo, e spinta in maniera incontrollabile dalla curiosità che è sicuramente “donna” … come ci aspettavamo la “prof” aprì la scatoletta portandosela accanto al volto vicino agli occhi vistosamente miopi.

Non riuscirò mai a descrivervi la sorpresa-spavento-terrore che provò quella donna e si vide espressa nel suo volto quando vide il Pipistrello librarsi in aria davanti al suo naso. Nella mia mente la sento ancora urlare come quel giorno, e la rivedo ancora fuggire via spaventatissima lungo il corridoio della scuola, poi giù per le scale e fino all’aperto in cortile in preda a un incontenibile panico che la spingeva a cercare un qualche improvvisato riparo … In classe rimanemmo noi a scompisciarci dalle risate fino alle lacrime, insieme al Pipistrello che volteggiava ignaro in tondo accanto al soffitto.

Che tempi ! … Aprimmo poi la finestra lasciando di nuovo libero quell’animaletto. Se lo meritava di sicuro, in quanto aveva svolto più che egregiamente il suo compito, e anche con successo ... Non ricordo bene poi, se prendemmo tutti: due o tre di voto nell’interrogazione in Algebra e Geometria che seguì immediatamente al volo del Pipistrello … Il Pipistrello, fortuna sua, se l’era svignata … al contrario di noi che dovemmo subire lo smacco-vendetta della “Prof”, che c’indusse a un vorticoso quanto difficile impegno di recupero della bassa valutazione entro l’imminente fine del quadrimestre … Che fregatura ! … Ma volete mettere il divertimento !!!


Ve ne racconto ancora una: l’ultima … su Pipistrelli e Seminario … Non potevano non essere nostro ludico obiettivo le Suore che gestivano la cucina del nostro Seminario … Gestivano cucinando ? … Beh: pressappoco … Per “santa obbedienza alla Madre Provinciale” una di loro aveva accettato d’improvvisarsi cuoca dei Seminaristi pur senza avere la minima nozione di culinaria e dintorni … Mai toccato un mestolo in vita sua prima di quell’incarico … Perciò noi diventammo sue cavie involontarie, e lei: imperdonabile rea insieme alle sue consorelle di affamare la nostra giovinezza mai sazia rifilandoci certe brodaglie indefinibili, e certe monodiete settimanali incredibili che divennero fonte e ispirazione delle nostre “disperate” cantate goliardiche: “Zucca ! … Sùcca … Sùcca Barùcca ! … e dàghea: ancora … Eh: sùcca … barùcca …”cantavamo divertiti salendo sopra a una sedia del Refettorio e dirigendo un’invisibile orchestra con una posata.

Ve lo garantisco: la fame era fame … e non avevamo età per rimanere lì fermi immobili a quietare gli appetiti e i sommovimenti del languore: eravamo chi più e chi meno vulcani semoventi che sprizzavano iniziativa e vitalità. Figuratevi se ci bastava dopo una lunga mattinata sui banchi di scuola, o dopo un pomeriggio di studio o d’intense pallonate spaccagambe nel“campàsso” ritrovarsi di fronte: una Zucca lessa, un risotto di Zucca, la Zucca fritta o come contorno, la Zucca come dolce, la Zucca a merenda … Zucca, ancora zucca, e sempre e ancora: Zucca ! ... Ce la sognavamo anche di notte.

Che non meritassero le Suore almeno un Pipistrello in cambio ? … Ovvio che: si.

E così fu … ma non una sola volta, ma più di una … tante erano le settimane a base di zucca che eravamo costretti a subire.

Ancora Zucca in Refettorio ? … Ancora Pipistrello dentro al libro da Messa delle Suore.

Ancora Zucca a merenda ? … Ancora Pipistrello dentro alla loro chiesetta, dentro al casetto dei mestoli in cucina, o nell’armadio della dispensa … e ogni volta comparivano puntuali le Suore intirizzite spaurite … e li ritrovavi fuori nel chiostro in pieno inverno ad attendere che qualche“buonanima” le liberasse da quell’essere diabolico pauroso quanto importuno ... In quei frangenti ovviamente: sparivamo, e salivamo su a sbirciare divertiti le Suore dalle finestre alte del chiostro, e gongolavamo non poco nel vederle là in apprensione e attesa con i loro guantini di lana tagliati sulle dita, e l’immancabile scialletto sulle spalle mentre l’animaletto volteggiava ignaro dentro alla loro tiepida cappellina che avevano dovuto disertare e abbandonare allarmate in fretta e furia … Un bel quadretto indubbiamente … e un paio d’orette al fresco a rinfrescarsi le idee … Se lo meritavano secondo noi, ed era un compenso adeguato per quelle diete insopportabili che ci propinavano indefesse giorno dopo giorno … Perché non c’era Pipistrello che contasse: dopo le Zucche arrivavano le Patate, e dopo quelle: le Arringhe o i Cavoli, i Porri, le Carrube e le Cipolle o le Sarde scure e dure come ciabatte … ed era tempo di dolci strani maivisti a pluristrati alterni spugnosi traboccanti di crema acidula, crostoso pseudopandispagna, spine, lische e Acciughe,  o di altre “prelibatezze impossbili e fantasiose” che vi risparmio di descrivervi … Fu quindi d’obbligo per noi piazzare un bel Pipistrello nella stanza da letto della “Suora Cuciniera e Pompiera”(vi dirò un’altra volta il perché e il per come di quel vezzoso nome), e un altro finito nell’armadio della Suora Superiora finito da lei inavvertitamente spalmato sui suoi candidi vestiti con relativo urlo  … Il latte rancido a colazione era imperdonabile … Non era giusto propinarcelo lo stesso per non buttarlo via e risparmiare sulle economie della cucina.

Mi piacerebbe continuare a raccontarvi altro ancora … ma devo dirvi d’altro.

Secondo l’antico Mito Cosmogonico Andino del Pipistrello: l'Umanitàvolava cieca zigzagando incerta nel buio notturno del nostro MicroCosmo e Mondo: non vedevamo, non capivamo, non percepivamo quasi niente, non sapevamo dove andare … Sembrava che tutto girasse in tondo a vuoto … Però all’Umanitàriusciva in qualche modo d’intravedere come attraverso un’oscura fessura dentro a quel caos primordiale compatto e denso che riempiva l'Universo degli Universi e dei Mondi prima della Creazione del Mondo, dei Cieli, della Terra del Mare e dell’Umanità ... Non esisteva nulla all’inizio, perchè tutto era tenuto compresso insieme come in un’unica roccia … C’era solo il niente cosmico, come tutt’oggi sembra ci sia la stessa cosa a riempire quell’Universo temuto che deliberatamente ogni giorno ignoriamo ... e temiamo.

I Pipistrelli non li vedi, quasi non li sai: viaggiano nella notte, creature misteriose notturne, sembrano non esserci ed esseri inutili, mentre in realtà vanno ad impollinare diverse piante e fiori che si aprono e fiorisco solo di notte. E’ il gioco di scambi dolcissimi del nettare col misterioso input della fecondazione e della fertilità che si rivelano e sovrappongono diventando fruttuosi quando rispunta il Giorno qualsiasi dei Viventi. Ogni volta è come una Nuova Rinascita ... Ogni uomo e donna è partecipe di quella Danza Cosmica Ciclica e Primordiale che è inesauribile … Uomini e Donne continuano da millenni “a volare” come orbi Pipistrelli nel nulla che ci circonda ... ma che Nulla non è.

Provate ad osservare con attenzione certi Draghi Veneziani: sono “a Pipistrello”, cioè possiedono raffigurazioni e sembianze artistiche che richiamano e rimandano a quel piccolo animaletto pauroso, scuro e misterioso … Ci sono diversi esempi sparsi in giro per Venezia … Fra tutti vi segnalo il capolavoro di Vittore CarpaccioScarpatius… realizzato sui teleri della Schola dei Santi Giorgio e Trifone in Contrada di Sant’Antonin nel Sestiere di Castello… Andate a rivederlo guardandolo con occhi diversi, oppure andata a vedere in Campo Santa Margherita il Pipistrello parte delle numerosissime decorazioni immesse sulle facciate dell’omonima chiesa … E’ emblematica l’immagine, e richiama tutta una serie di contenuti che noi di oggi ignoriamo e rischiamo di perdere quasi del tutto … anche se in Campo Santa Margherita di Pipistrelli tramite il fumo di alcol, Spritz, Prosecco e addizioni stupefacenti varie probabilmente se ne vedranno molti all’opera, e credo anche di molte specie ... E’ così.

 

Nelle Leggende Medioevali: piccoli Pipistrelli uscivano dalla bocca dei moribondi peccatori o s’abbrancano al piatto della Pesata delleAnime Defunte effettuata dall’Arcangelo Michele ... Stormi di piccoli mammiferi volanti neri immagine di Satana venivano cacciati da San Francesco ad Arezzo mirabilmente raffigurati da Giotto ... Leonardo nel suo Bestiario qualificava negativamente i Pipistrelli considerandoli incarnazione visibile del Vizio, e collegandoli alla Lussuria, alla Promiscuità e all’Omosessualità. Scriveva: “Il Palpistrello, per la sua isfrenata Lussuria non osserva alcun universale modo di lussuria, anzi maschio con maschio, femmina con femmina, si come a caso si trovino insieme usano il lor coito.” e ancora: “Palpistrello. Questo, dov’è più luce, più si fa orbo e come più guarda il sole, più si acceca. Pel vizio che non po’ stare dov’è la virtù …”

Dopo l’immaginario animalesco medievale, ci furono le elaborazioni pittoriche soprattutto dei visionari bizzarri e raccapriccianti NordEuropeicome: Martin Schongauer, Dürer, Bosch, Teniers, Bruegel, Cranach eGrünewald… Una leggiadra Farfalla che di solito rappresentava Psiche e l’Anima presta in un dipinto le sue sembianze al Diavolo Principe del Male mutandolo in lieve, fluttuante e stridulo e cornuto Pipistrello dalle stravaganti ali variopinte ricoperte di polvere magica … Perfino il giovane Giambattista Tiepolo esordendo a lavorare fuori dalla Laguna Veneziana dipinse nel 1726-1729 su commissione del Patriarca Dionisio Delfino o Dolfin il soffitto dello Scalone d’Onore delPalazzo Patriarcale di Udine con la Battaglia del Cielo e la “Caduta degli Angeli ribelli”. L’Angelo Caduto ha ali di Pipistrello, coda di rettile, capigliatura nera, e forma goffa e disarmonica.


E la Madonna della Misericordia realizzata dal Moretto ? … Pure lei con nere ali spalancate da Pipistrello ... Un dipinto poco apprezzato da quelli dell’epoca, che non amavano vedere la Madonnasotto quell’aspetto scuro e misterioso: un po’ noir e quasi demoniaco.

Di rappresentazioni di Pipistrelli in giro per il Mondo in luoghi transoceanici più disparati, separati e distanti fra loro ce ne furono tantissime. Il Pipistrello lungo i millenni è sempre stato considerato animale icona-totemicadal significato spesso contradditorio e complementare. Di volte in volta, e in situazioni diverse, ha simboleggiato le forze delle Tenebre, la Morteed il Caos ... I Greci chiamavano il Pipistrello: “Nycteris”, mentre i Latino-Romani tradussero quel termine in: “Vespertilio” considerando il Pipistrello animale di buon auspicio, protettore dei Sonnambuli … Nella consapevolezza popolare e comune di noi Europei Occidentali l’immagine del Pipistrello divenne poi Simbolo temutissimo e maligno perché associato dalla cultura Ebraico-Cristiana e dai Bestiari Medioevali di stampo soprattutto Monastico agli Esseri dell’Impurità: il Pipistrello aveva sembianza di Satana l’Angelo Caduto, l’Amante delle Tenebre che aveva ali di Pipistrello. Da quest’immagine a rapportarsi con Streghe, Riti Magici, Leggende, Vampiri ed Entità negative il percorso è stato brevissimo, e l’immagine del Pipistrello è diventata sinonimo anche dell’occulta Invidia che ama mascherarsi e nascondersi nell’intimo delle persone senza venire alla luce.

Viceversa, gli Sciamani Americani Andini, Aztechi e Maya Mesoamericani dell’oltreoceano del Messico, Honduras e Nicaragua possedevano del Pipistrello una visione diversa. Durante le Visioni Oniriche dei Riti d’Iniziazione e delle Trans allucinogene evocavano la presenza dell’animale dentro al tramonto della notte incipiente, o durante la Luna Nuova o Piena quando i Pipistrelli uscivano a migliaia in cerca di cibo dalle loro caverne o librandosi in volo dagli alberi ... Mirando al Pipistrello se ne evocava la forza primordiale dello Spirito la cui energia dava l’Intuizione, la Veggenzae la Conoscenza, e si credeva fosse l’incarnazione e il riassunto volante e plastico di un ordine notturno delle cose “rovesciato e incomprensibile”, l’espressione di un regno sotterraneo e cavernoso in cui la psiche umana poteva solo perdersi ... e non vedere come dentro a una notte del tutto buia.

Gli Antichi sparsi ovunque nel Mondo si sono sempre dimostrati colpiti e interessati ai Miti. Fra questi anche al Mito della Caverna:luogo ancestrale emotivo e profondo paragonabile all’intimità umana da cui poteva accendersi e riemergere ogni sera al crepuscolo la Vita misteriosa trasportata fuori da quei segni volanti di Rinascita che erano i Pipistrelli … Lo svolazzare del Pipistrello apparentemente irregolare e incerto nell’oscurità, era associabile e riconducibile all’incostanza e al contradditorio “lunatico umano”, nonché alle ostiche sensazioni oscure e perverse che talvolta pervadono la nostra mente ... Il Pipistrello in ogni caso ha sempre rappresentato anche una visione non convenzionale dell’essere, cioè quella parte oscura di noi che sfugge, l’imprevisto, l’agire inconscio istintivo, il sesto senso inaspettato … Nel 550-950 circa per i Guatemaltechi: Zotz o Camatzoz era il Mastro del Fuoco e l’accecante Demone Pipistrello del Regno degli Spiriti e dei Morti dei Maya. Veniva rappresentato con coltello e la vittima fra le mani ... Il Dio Pipistrello divorava volando la luce del giorno mentre strappava le teste divorando anche la Vita dei Viventi ... Secondo il Sacro Libro del  Popol Vuh: la “Casa del Pipistrello e degli Spiriti” era una delle regioni sotterranee da attraversare per raggiungere il misterioso Regno dei Morti nell’OltreAldilà degli Inferi dove le Anime dei Defunti svolazzavano e squittivano come Pipistrelli … I denti dei Pipistrelli succhiavano il sangue che conteneva la Vita come il gesto del coltello Sacrificale-Rituale che la rubava alle persone sull’altare per riaprirla rinnovata in un Altro Evo e Ciclo temporale in una dimensione diversa che stava in un Cielo Non Cielo sconosciuto dove tutto era Perfetto ed Eterno … Per i Tupinambas del Brasile la fine dell’Evo del Mondo sarebbe stata preceduta dalla scomparsa del Sole divorato da un enorme quanto misterioso nero Pipistrello.

In Cina, viceversa, il Pipistrello, essere mezzo Spirito dell’Aria e mezzo Divinità, era Simbolo di lunga vita, Immortalità, Benedizione-Prosperità e Liberazione personale ottenuta nella sofferenza progressiva della catabasi interiore. Un antichissimo ricamo su una veste imperiale cinese raffigurava dei Pipistrelli che sfrecciavano spiraleggianti in Cielo planando sulle onde scure e gonfie dell’oceano primordiale misterioso ... Cinque Pipistrelli disposti a Stella raffiguravano le Cinque Felicità: Ricchezza, Longevità, Tranquillità, Culto della Virtù e della BuonaMorte ... I Cinesi pensavano che la Forza Positiva emanata soprattutto dai Pipistrelli Rossi fosse in grado di intimorire e contrapporsi alle misteriose Forze Negative Demoniache dell’Aria.



Ancora nella stessa Asia, a differenza di noi Occidentaliche riteniamo il Pipistrello: bestia orribile, sordida e schifosa, lo pensavano, invece, di aspetto e sensibilità materna: immagine della Grande Dea Madre: in una grotta con milioni di esemplari ogni Madre Pipistrello riconosce in maniera univoca lo squittio acuto del proprio piccolo e viceversa … i Pipistrelli condividono preda e sangue rigurgitandolo ai piccoli e ai compagni affamati, e adottano gli esemplari rimasti orfani … Il Pipistrello era quindi Immagodell’attenzione Amorosa indefessa della Madre Naturale dei Viventiverso l’Umanità.

 

In Africa il Pipistrello era sinonimosia d’Intelligenza rapida e acuta per la rapidità con cui sa evitare gli ostacoli, che di Perspicacia in quanto sa vedere nell’oscurità e captare tutto, e di Stravaganza in quanto il Pipistrello è nemico della luce e del giorno, e fa tutto al rovescio appendendosi a testa in giù. Nella tradizione dell’ambiente Tedesco-Slavo-Balcanico il Pipistrello era il Vampiro che usciva dalla tomba per succhiare il sangue insieme all’Anima dei vivi … La Leggenda precisava che chi veniva morso dai Vampiri lo diventava a sua volta … In alcune zone campestri anche Italianes’inchiodavano i Pipistrelli sulla porta di casa come gesto apotropaico di protezione contro gli Spiriti Malefici ... Ritenuti sempre propensi ad impigliarsi nei capelli, come a intrigarsi nelle vicende oscure di uomini e donne,i Pipistrelli venivano usati come amuleti da cintura e da collo, oppure smembrati e utilizzati in pezzi per creare incantesimi, o se ne utilizzava il sangue per realizzare pozioni utili per curare malattie della pelle, morsi di Serpenti e disturbi intestinali, ma anche per tenere lontani Formiche, Bruchi e Cavallette ... Si ponevano anche alcune gocce di sangue di Pipistrello sotto le lenzuola di una donna per indurla ad essere feconda ed avere figli.

 

I Chirotteri, cioè i Pipistrelli “mano alata” o “volpi volanti” contano al Mondo almeno 1200 specie diverse. I “megaChirotteri” Africani, Asiatici ed Australiani possono raggiungere aperture alari fino a due metri, e si nutrono di frutta e nettare, mentre i “Microchirotteri” diffusi in tutti i continenti, hanno dimensioni più piccole e dieta più varia nutrendosi d’insetti, frutta, nettare e succhiando sangue (ematofagi) di altri animali compreso l’uomo come fanno anche gli Insetti,etrasmettendo infezioni come la Rabbia, la mortale Tripanosomiasi, e probabilmente anche altro ... I Pipistrelli sono Mammiferi volanti con un corpo senza piume da roditore e dita molto allungate e affusolate, unghiate e uncinate, che sottendono una membrana cutanea gommosa, muscolosa, nervosa e vascolarizzata: il Patagio, che li avvolge come un mantello lubrificato da apposite ghiandole poste tra naso e gli occhi tondi e neri apparentemente spenti, che scende dal collo fino alla coda e gli arti inferiori ... Per dormire, riposare, partorire e allattare i piccoli si appendono a testa in giù ancorandosi con le dita ... Hanno circuiti cerebrali simili a primati superiori, e volano lanciandosi nel vuoto come le Rondini perché non hanno zampe capaci di spinta per spiccare e balzare in volo. Si librano nell’aria volando velocemente e sbattendo le ali, e volteggiano a bocca spalancata e denti scoperti per nutrirsi.

I Pipistrelli non volano a casaccio e in maniera disordinata come sembrerebbe, ma si orientano nello spazio con estrema precisione utilizzano un sofisticato sistema di ecolocalizzazione a ultrasuoni emessi da bocca e narici: una specie di radar-sonar naturale a forma di foglia che hanno fra naso e bocca. Hanno inoltre padiglioni auricolari molto sensibili ...Alcune specie di Pipistrell sanno compiere lunghi spostamenti raggiungendo luoghi di rifugio lontani e migrando per centinaia di chilometri, altre specie, invece, adottano l’ibernazione-letargo invernale come altri tipi d’animali ... Nelle foreste pluviali oltre ad essere animali predatori indispensabili per mantenere l’equilibrio dell’ecosistema, sono prolifiche impollinatrici di diversi Fiori notturni scambiando nettare con l’efficacia misteriosa della impollinazione fertile capace d’innescare il fenomeno di nuova vita.

Oggi in tempo di pandemiaè più che mai di grande attualità il Pipistrello: esserino pesante a volte pochi grammi che vive quarant’anni librandosi e orientandosi alla perfezione nel buio più totale. Da molti il Pipistrello viene considerato temibilissimo “serbatoio-nicchia biologica” capace di generare pericolosissime patologie, da dove i Viruspossono effettuare il famoso Spillover o “Salto di specie” ... Oltre due terzi dei Virus che coinvolgono l’Uomo sono Virus Zoonotici cioè che passano attraverso gli animali per arrivare a noi.

Così è dei micidiali FiloVirus delle febbri emorragiche come Ebola (EBOV) e Marburg (MARV), ma anche di Nipah ed Hendra, dell’HIV che ha provocato la pandemia dell’AIDS saltando dagli Scimpanzé all’Uomo. Stessa cosa si dica dei CoronaVirus come MERS: la Sindrome Respiratoria Mediorientale, e la SARS con la variabile COVID-19, che ci hanno raggiunti e inquietati non poco adattandosi all’Uomo, e provocando la “tempesta storica” in cui stiamo attualmente immersi ... Altri Virus sconosciuti, dormienti forse per secoli o addirittura millenni, sono passati attraverso Maiali, Zibetti, Gorilla e Scimpanzè, Pesci, Marsupiali, Zanzare, Procioni, Dromedari, Pangolini, Cavalli, Roditori, Uccelli vari ... e Pipistrelli, anche se a tutt’oggi non è stata ancora confermata la loro capacità d’infettare la nostra specie umana.  E’ noto e certo che Pipistrelli convivono asintomatici con Alfa e Beta Coronavirus in qualche zona cavernosa remota soprattutto della foresta pluviale del Congo Africanoo della Malesia Asiatica senza sviluppare alcuna malattia conclamata probabilmente a causa del loro sistema immunitario altamente sofisticato ed evoluto.


Diversi FiloVirus sono stati identificati nel sangue e nelle cellule dei Chirotteri-Pipistrelli: ilBombaliVirus (BOMV), il LloviuVirus (LLOV), il MenglaVirus (MLAV) e il MarburgVirus (MARV) ... L’HantaVirus Mouyassué (MOUV)è stato isolato nei Pipistrelli Nanidei banani di un villaggio di Mouyassué in Costa d'Avorio, mentre il MagboiVirus è stato isolato in Nitteridi Ispidi, cioè Pipistrelli diffusi nell'Africa Subsahariana vicino all’omonimo fiume in Sierra Leone ... Ancora in Australia, nel 1994, e in Malesia, nel 1998, è comparso l'HenipaVirus della malattia Nipah e ilVirus di Hendrache hanno causato malattia neurologica nei Cavalli e respiratoria nei Suini. Quegli stessi Virus sono stati riconosciuti nelleVolpi Volanti o Pipistrelli Pteropidi  della frutta, e si sa che da loro si possono amplificare  saltando mortalmente nell’uomo, anche se sia in Indiache nel Bangladeshgli stessi Virus passano direttamente a noi senza tanti “salti di specie”attraverso il succo di palma contaminato da urine di Pipistrello.

“Il Virus siamo noi … Persone e Gorilla, Cavalli, Cefalofi e Maiali, Scimmie e Scimpanzé, Pipistrelli e Virus. siamo tutti sulla stessa barca perché ogni specie animale,è legata in modo indissolubile alle altre, fin dalle origini, dell’Evoluzione, in salute e in malattiaha detto David Quammen autore del bellissimo e interessantissimo saggio-profezia: Spillover pubblicato con successo nel 2012 anticipando l’arrivo del detestabile Covid19.

 

Vedete ?  … Anche oggi ci sono ancora e sempre di mezzo i Pipistrelli… Storia, Leggenda e Simbologia quindi continuano ad accavallarsi, sovrapporsi, confondersi e ripetersi lungo i millenni in una specie di gioco micidiale senza fine. Non c’è fantasioso Batman Uomo Pipistrello, o Gargoyle, o Vampiro d’Amore o “che ride” che tengano … C’è dell’Essenziale-Esistenziale legato e nascosto nella figura simbolica del Pipistrello … Quando ne vedrete uno presente o rappresentato in qualche modo in giro per Venezia … Pensateci … e meravigliatevi e stupite un poco !


“A VENEZIA: SI … NELLA SACRESTIA DI SAN MARCO ... E ALTRO ANCORA.”

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#unacuriositàvenezianapervolta 203

 “A VENEZIA: SI … NELLA SACRESTIA DI SAN MARCO ... E ALTRO ANCORA.”

 

Vi è mai capitato di recarvi dietro casa e di provare la sensazione di non essere mai stati in quel luogo ? … Eppure abitate lì da sempre … A Venezia può accadere anche questo, la nostra città sa ogni volta accendere senza fine la meraviglia e lo stupore se qualcuno sa essere curioso e ha occhi per riuscire a vedere … A volte finisci per scoprire e riscoprire cose, luoghi e situazioni, una specie di retrogusto pregno di bellezza, storia e contenuti che mai avresti immaginato di scoprire … Venezia è Venezia.

E’ un peccato però che alcune cose Veneziane belle si finisca quasi per fantasticarle in quanto sono nascoste dentro a luoghi inaccessibili, e visibili solo in qualche lussuosa edizione patinata riservata a pochi ... Certi posti e certe cose finiscono quasi per diventare leggenda.

Viceversa è una fortuna che ogni tanto la Biennale, o qualche “generosa e munifica” organizzazione o Banca ci permettano di accedere “a buttàr un òcio” e godere per un attimo di certi luoghi, palazzi e vecchie chiese dimenticate “che non si sa” ... Dov’era, che era e che fine ha fatto il Gallo di Rialto, ad esempio ? … e la Cripta di San Giovanni Elemosinario ? … C’è o no c’è ? … E se c’è: com’è, che conserva, che storia ha ? … Boh ? … Chi lo sa ? … E chi si ricorda, andando un po’ a caso, di aver visto ultimamente l’interno di San Giovanni Novo ? … o quello di Sant’Aponal, o di Spirito Santo alle Zattere ? … Da quant’è che non mettete piede dentro a Santa Maria Materdomini ? … E chi ha mai visto certe altre “cose piccole”, che piccole e da poco affatto non sono, ma sono parte integrante dell’immane patrimonio che esiste qui a Venezia ? … Sono nascoste … tabù, neanche sappiamo che ci sono a volte … Ma sono là in realtà, e soprattutto sarebbero incredibilmente nostre … di tutti ... Patrimonio comune.

Eh ! Eh ? … Direbbe subito qualcuno … Cose proprio“di tutti”: no … Sono beni dello Stato e della Chiesa semmai … Non di tutti.

E, invece, insisto: no  … Sarebbero cose nostre, di tutti … Anche se è vero che questa storia assomiglia molto al giochetto che fanno le banche con i nostri soldi: sono nostri, è vero, ma li gestiscono loro, e finiscono per essere praticamente loro, tanto è vero che ne fanno ciò che vogliono, e sembra quasi che li importuniamo se ci presentiamo a chiedere di usufruire di quanto è tecnicamente nostro.

Tanti luoghi e cose belle e preziose di Venezia sono in realtà beni preziosissimi spesso donati, prestati o lasciati alla Chiesa in favore dei poveri, per la “casa di tutti” e il bene comune di tutti i Veneziani … Non sono beni dati a proprio comodo, o inventati e messi in piedi dal nulla, e per la singolare estrosità e sensibilità di qualche Abate, Badessa o Piovano che ha ricevuto soldi, oggetti, disposizioni, legati e immobili in nome della “Devotio” e in cambio di garanzie diPerdono e Salvezza Eterna… Folle di Veneziani per secoli si sono privati a volte del poco che avevano per contribuire e darlo alla Chiesa e ai poveri, e per rendere certi posti più ricchi e belli in quanto “casa di tutti”: luogo in cui si riconoscevano fino a metterci del proprio ... Chiesa, Conventi, Schole, Luoghi Pii e Monasteri hanno ricevuto dai Veneziani nel tempo una miniera di denaro, lasciti e donazioni: sono di tutti quindi …No ? … o è stato tutto uno scherzetto, una burla, promesse vacue ?

Dopo lo so com’è la realtà … Stato e Chiesa a braccetto ridono di questo mio discorso, e dicono all’unisono: è tutto mio … Non se ne parla. E quindi a noi comuni morali non rimane che aspettare che “bontà loro”ci concedano, magari a pagamento, e se non li disturba troppo, di metter naso e piede dentro a ciò che sarebbe nostro.

Però adesso basta con questi discorsi inutili, e facciamo un bel esempio pratico … Uno preso a caso fra la miriade delle bellezze nascoste Veneziane che ci attorniano spesso a nostra insaputa.

Le tarsie lignee degli armadi della Sacrestia della ex Basilica Dogale e ora Basilica Patriarcale di San Marco.

Che roba è ? … Osservate un po’ le foto che allego, e di sicuro capirete.

La Basilica di San Marco ! … Quanti ricordi che emergono nella mia mente ! … tanti … troppi forse …

Chi non ha vissuto come me per anni nel Seminario dei Preti di Venezia, non sa e non potrà mai capire del tutto ciò che intendo dirvi … Oggi in molte occasioni si ha una visione parecchio sofferta e sospettosa dell’ambiente Preti & Frati & Monache in generale … a ragione veduta s’intende … anche se altrettanto spesso si può finire facilmente nel pregiudizio eccessivo e gratuito. A volte sento descrivere quello stessoMicrocosmo come: cupo, bigotto, aulico, desueto, chiuso e spesso pieno di paranoie: “Gli Ecclesiastici fanno le loro cose … più o meno pulite o viziose. Sono sinceri o ipocriti, Santi e Peccatori insieme … sono come tutti: poco credibili.”

Siamo sempre là con i discorsi: sono sempre gli stessi, triti e ritriti, ormai vecchi di secoli.

Io però ho vissuto una bella esperienza in mezzo a loro, e per anni sono cresciuto con loro in tutti i sensi trovando nel Clero magagne e sporcizie, ma anche buona gente “candida”, Anime belle non solo a causa di titoli, e Uomini e Donne di Dio davvero brave persone, sensibili, intelligenti e acculturate con le quali sono stato bene.

E mi sono anche divertito non poco in quell’ambiente particolare provando emozioni a volte davvero straordinarie … Ripercorrerei, con qualche severa modifica ovviamente, quell’esperienza di vita che ho fatto … Non siamo quindi banali e troppo severi nei giudizi, e non buttiamo via, come si dice di solito: “il bambino con l’acqua sporca che lo contiene.”

Conservo piacevolissimi ricordi, che spesso e volentieri coincidono con occasioni in cui ho vissuto momenti davvero speciali saturi di autentica e vispissima goliardica allegria … Che risate ! … Certi collegiali hanno vissuto niente se messi a confronto con quanto ci è capitato di vivere a noi Seminaristi Venezianidegli anni settanta-ottanta del 1900.

Che c’entra tutto questo discorso con le tarsie degli armadi della Sacrestia di San Marco?

Seguitemi ancora un poco, e lo capirete.

Noi Seminaristi e Chiericici recavamo di frequente nella Basilica Marciana per “far servizio” durante le cerimonie col Patriarcanelle principali ricorrenze Calendariali. Il Rettore del Seminario allestiva ogni volta un vero e proprio turno di servizio con nomi e cognomi che esponeva su un’apposita bacheca … Si doveva andare: punto … E quindi si andava su e giù a piedi dal Seminario della Salutefino a San Marco compiendo il lungo giro attraverso il Ponte dell’Accademia… Sarebbe bastato prendere il traghetto: era un attimo … Ma vuoi mettere la bellezza di respirare aria libera attraversando ogni volta un bel pezzo di Venezia ! … Per noi giovani “reclusi” del Seminario era ogni volta una boccata di vita, e strada facendo ogni volta succedeva di tutto e di più … Anche l’impensabile, l’inverosimile e l’assurdo a volte per dei Chierici-Seminaristi.

C’era, ad esempio, uno dei Chierici più anziani, cioè uno dei più prossimi a diventare Prete, che si portava dietro fino a San Marco nella Notte di Pasqua delle borse piene di bottiglie di vetro, che poi regolarmente fracassava sui muri dei Palazzi Veneziani al ritorno, uscito dalle cerimonie nella Basilica di San Marco: “In segno di festa e allegria … perché era Pasqua.”ci spiegava, e: sbadabòm ! … e sbadabàm ! … fracassava tutto rumorosamente in giro spargendo cocci dappertutto e frantumando anche la quiete della silenziosa notte dei Veneziani … Non l’ho mai capito questo modo di festeggiare Pasqua.

Altra stranezza …

Sempre durante le stesse trasferte Salute-San Marco, un altro Chiericoin regolare abito da Prete entrava in certe chiesuole Veneziane, e si metteva a pestare e spegnere a mano aperta tutte le candele accese collocate sulle “rosticcerie” che si trovava davanti. Il tutto sotto gli occhi allibiti di alcune vecchiette che sostavano lì dentro a sproloquiare e passarsela … Considerava quel gesto una“rivalsa iconoclastica” e una “spedizione punitiva” contro quel mondo piccino delle donnette pseudodevote che s’assemblavano nelle chiese dopo la spesa solo per spettegolare su tutto e tutti … Un gioco stupido e dissacrante anche quello del Chierico in realtà, anche più stolto di quello delle vecchiette: ma vaglielo a spiegare ! … Era incontenibile, pareva quasi in trance in quei momenti … e le vecchiette vedendolo all’opera andavano letteralmente fuori di testa, quasi facevano l’infarto sulla panca nell’osservare quel giovane Pretino che si comportava così … Non capivano ovviamente quei suoi gesti … e a ragione … Per loro sembrava un matto mentecatto.

Provavano allora timidamente a replicare e reagire, ma si sentivano blaterare addosso, quasi assalire dal Chierico che gridava loro: “Maledette vecchiacce ! … Megere ! ... Finirete tutte all’inferno insieme alle vostre chiacchiere, le giaculatorie sgualcite, e le vostre inutili candelette !”

“Sacrilego ! … Ipocrita ! … Vergognoso !”rispondevamo le poverette sconcertate:“Andremo noi dal Patriarca a raccontargli tutto.”

Uscivamo noi, dissociandoci così da quel modo così assurdo e per niente divertente, eccessivamente goliardico … E’ andava così: storie anche queste da raccontare.

“Maledette ! … Streghe ! … Luride pùcie !”sentivamo ancora gridare il nostro“compagno Chierico” più che spiritato, o meglio: forse disinibito e spavaldamente divertito … Poi scompariva uscendo da una porta laterale della chiesola, e ce lo ritrovavamo più tardi nello stesso nostro Refettorio del Seminario: tranquillo, composto e indifferente ... Non era accaduto niente. Non se ne doveva parlare.

Fattacci ! … Visti con i miei occhi, e sentiti con i miei orecchi … Ormai tanti anni fa ... Che dirvi ? … Niente … Oggi quel exChierico è un rinomato Parroco Veneziano … Che gli prendeva quella volta ? … Boh ? ... Chissà ?

E dei poveri Gatti presi a calci dallo stesso Chierico scatenato lungo lo stesso itinerario fra la Salute e San Marco ?

E chi se lo dimentica !

Quando uscivamo da “chiuso” del Seminario spesso sembrava che si aprissero le gabbie, e che trovassero sfogo in alcuni di noi certi istinti repressi e trattenuti a stento dalle regole Seminariali … Alcuni diventavano incontrollabili … Irriconoscibili … Temibili ?

Mi chiedevo in quei frangenti: “Ma chi siamo ?”

Solo per il gusto di far dispetto agli animali miagolosi e cacciarosi che a volte disturbavano le nostri notti: sbadabàm ! … Pedatone ! … e il povero Gatto accovacciato tranquillo sul punte volava letteralmente via ! … Finchè un bel giorno al posto del classico e tipico gatto randagio Veneziano c’era, invece, accovacciato sul ponte un gatto “di casada”, di casa, con tanto di collarino … e soprattutto di padrona seduta in panchina a leggere proprio dietro l’angolo. Vi lascio immaginare la ovvia reazione della donna che si è vista volare via il Gatto colpito da quel perfido giovanotto vestito da Prete: “Maledetto gatto !”gridò lui a due passi da lei.

“Maledetto sarà lei ! Bastardo ! … Altro che San Francesco !” gli inveì contro la donna … e vi tralascio il resto che aggiunse, insieme alla minaccia di denuncia che non so se alla fine portò a compimento.

Poi si arrivava, infine, a Piazza San Marco dopo aver attraversato per l’ennesima volta in successione i bei Campi Veneziani di San Gregorio, San Vio, San Vidal, Santo Stefano, San Maurizio, Santa Maria del Giglio e San Moisè, e dopo esserci immersi nella folla eterogenea dei Veneziani e dei turisti ... In San Marco cambiava “la musica” perchè entravamo in un altro microcosmo particolarissimo e dalle atmosfere suggestive forti che era praticamente solo nostro … Lì dentro oltre all’avvicendarsi macchinoso e misterico delle grandi Liturgie Patriarcali, vivevano a tu per tu con diverse figure sacerdotali, soprattutto con quelle pittoresche dei Canonici di San Marcocon i quali dovevamo per forza consociarci per realizzare le Cerimonie in Basilica.

Fu inevitabile che diventassero gli obiettivi dei nostri lazzi, scherzi, e canzonature goliardiche … e fonte inesauribile di infinite risate: di quelle da farti venire mal di pancia alla mandibola e le lacrime agli occhi a suon di ridere ... Che volete ? … Si: c’erano le Liturgie, la Spiritualità, i Fedeli e tutto il resto … Ma c’eravamo anche noi: giovanissimi e acerbi, parecchio inconsapevoli, e con una grande voglia di vivere e divertirci semmai alle spalle di chi capitava.

“Procedamus … Si svegli Monsignore.”gli diceva tirandogli delicatamente la manica, quasi pigolando sottovoce uno fra i più servizievoli Custodi della Basilica:“E’ l’ora di andare in scena con la Messa.”L’altro attempatissimo e tutto bardato già da tempo con i paramenti“da Messa” si riscuoteva uscendo incerto dal suo mondo tutto onirico ... Dove si trovava ? … Chi era quello che lo stava scuotendo ? … Poi dopo qualche istante si riaveva e si ricomponeva ritrovando se stesso e la sua consueta verve. Quindi di rimando rispondeva.

Ogni giorno era uguale, capitava sempre così: il Canonico s’appisolava appoggiato sopra ai Banconi intarsiati della Sacrestia… quelli di cui vi vorrei parlarvi …e rimaneva lì assopito finchè il provvido Sacrestanosi avvicina gentilmente a riscuoterlo:“Vogliamo andare Monsignore ?” continuava a dirgli dolcemente il Custode stavolta prendendo il Monsignore a braccetto per il braccio tutto ricoperto da bei merletti di Burano: “ i suoi fedeli la stanno attendendo con ansia sull’Altare Monsignore … Procedamus ?”… e finalmente il Canonico si metteva in moto, e s’avviavano nel Presbiterio della Basilica mentre l’orologio della Sacrestia scandiva ore senza Tempo.

“Oh ? … Ah Si ! … Eccoci … Procediamo caro … Si … Si … Procedamus.”

Ogni giorno: stessa storia, stessa scena, e l’anziano Canonico tutto bardato ripeteva “al non so chi”di turno le stesse parole di scusa:“E’ la sacra pisolàda che mi ha preso di nuovo … Così come mi prende spesso dentro al Confessionale della Basilica … Se non passa qualche raro turista penitente a confessarsi: sono dolori … Non c’è testo di Teologia avvincente, Santo Rosario da recitare, o meditazione che riescano a tenermi sveglio …  Se non passate voi a svegliarmi rimango lì a dormire per tutta la notte anche quando avranno chiuso la Basilica … E’ capitato una volta ... Erano tutti in giro a cercarmi preoccupati, ed io ero là intento a pisolare.”

“Brutta cosa la Dormia … Monsignore.”

“Brutta cosa si … Brutta ròba: deventàr vèci caro … Non diventarlo !”

“Certo Monsignore … Certo … Procedamus Monsignore … che si è fatto tardi … Dopo parleremo ancora.”

“Certo caro … Procedamus in pace.”

“Amen … Monsignore … Amen e così sia … Dica la sua Messetta adesso … in pace.”

Erano davvero gentili certi Custodi nell’accompagnare quei vecchi Preti un po’ spiaggiati.

Intuite allora perché quegli stessi Canonici, sempre loro, divennero gli obiettivi della nostra scanzonata fantasia goliardica ... Erano come dei fragili nonnetti per noi … Quella Sacrestia e Basilica di San Marcola interpretavamo a tratti come un’insolita casa di riposo per Preti attempati … Anziani Preti con cui provare a divertirci … Fu il mio amico Paoloper primo a partorire l’innocente idea del “Trenino dei Canonici”vedendo quella schiera lenta di vecchi pomposi e bardati sfilarci davanti durante la solennissima Processione delle Sante Reliquie di non ricordo più quale Venerdì SantoQuella prima volta scoppiammo tutti a soffocate risate a quella sua battuta:“Questi Monsignoroni che sfilano sembrano proprio un trenino curioso e divertente di capodanno.”… Quell’immagine indovinatissima divenne una specie di mantra, un tormentone che tornò e ritornò fra noi per anni e anni facendoci divertire senza fine.

Ciascuno Canonicoda quellafatidica Processione divenne una macchietta, e si beccò di volta in volta una personalissima razione di canzonatura quasi comica senza fine … Divenne divertente per noi recarci a San Marco… Un povero Canonico affetto da Morbo di Parkinson, ad esempio, lo paragonammo a un composto autista di Roll Royce. Lo vedevamo impettito e con le mani strette a guidare la sua auto d’epoca … Era il morbo a tenergli le mani così parallele e ferme davanti al petto, e a fargli fare quel gesto di contar monete con le mani … Niente da fare: per noi era diventato:“Monsignor Autista”.

Passandogli accanto gli dicevamo sottovoce: “Taxi ?”… e lui ignaro: bassotto, minuto e piccolino, ci osservava senza capire, e continuava “a guidare”secondo noi se stesso e soprattutto la Comitiva del Trenino dei Canonici… e noi scoppiavamo tutti a ridere a crepapelle:“Gli manca solo il fischietto e la paletta” diceva Paolo: “Sarebbe un capotreno perfetto”... e giù a sghignazzare mentre si dipanava la noiosa quanto eterna ennesima Cerimonia Marciana: “Ehi ! ... Voi imberbi Chierici !” ci richiamava all’ordine uno dei Canonici dall’altare: “Smettetela di trasformare questa Sacra Ara in luogo ludico dei vostri sollazzi … Contegno signori ! … Contegno ! … Non si è pagliacci nella Casa di Dio !“ e le nostre teste si abbassavano immediatamente, e ci toccava morderci le labbra.

Ridevo anch’io divertito con gli altri di “Monsignor Autista col suo insolito taxi”, anche se ero a conoscenza di altro che riguardava quell’uomo anziano obiettivo dei nostri scherni seminnocenti … Quell’uomo-Prete era stato il migliore amico, l’amico per la pelle, del mio vecchio Piovan Don Marco Polo di Burano: un punto in più di stima a suo favore quindi ... Di lui inoltre avevo letto alcune parole scritte di suo pugno su un suo Diarioquand’era ViceParroco della Parrocchia-Contrada dell’Anzolo Raffael a Dorsoduro... Vi confesso che mi sono commosso leggendole e immaginandomi quell’uomo. Erano in tempo di guerra: “Stanotte sono solo in chiesa … non c’è nessuno … Stanno bombardando Venezia, e tutto è vuoto e deserto: non c’è nessuno … La gente è corsa nei rifugi antiaerei … e io sono qua: solo davanti a Dio in questa chiesa vuota … vuota come il nostro Animo di uomini impavidi ma anche assurdi che giocano alla guerra con la vita di tante persone ignare e di tanta nostra gioventù ... Che Dio, se ci ascolta ancora: abbia pietà di noi tutti.”

Bellissimo !

Mentre sghignazzavamo di fronte a quel vecchio Prete “simile a pupazzo a molla che guidava il taxi dei Canonici”, non riuscivo ad allontanare dalla mia mente il fatto che lui era stato anche capace di scrivere quelle parole vivendo quei singolari momenti ... Mi passava la voglia di ridere … e ammiravo quell’uomo ormai fin troppo anziano.

“Ordine ! … Ordine ! … Ordine in questa Processione e in questa Basilica” non smetteva di ripetere, e gridava di continuo un altro di quei Canonici consumati … Era un nostalgico, uno che a suo tempo era stato noto per la sua attività da fascistone incallito …Pur essendo stato un Prete a tutti gli effetti, era sempre stato dedito“anima e cuore” come e più di tanti altri Preti alla causa e all’ideologia del Fascio e di Mussolini, ed essendo per di più di abbiente famiglia Veneziana, aveva anche doti economiche che profondeva per quello stesso ideale:“Insomma: tutti a posto qui dentro ! … O vi faremo vedere noi come si fa ! … Vi metteremo a posto noi ! … Ordine ! Disciplina ci vuole.”

E noi divertiti gli scattavamo davanti in attenti quando ci passava accanto, e più di qualche volta gli alzavamo il braccio nel tipico “saluto fascista”, al quale lui non mancava di rispondere sornione quasi leone spelacchiato alzando il suo dicendoci: “Riposo soldati … Riposo … Sempre duri bùrbe ! … che l’Impero ha bisogno di noi ... Qui fra poco ci sarà da fare un subbuglio !”… e noi giù di nuovo a ridere di quel ennesimo “vagone strampalato” del“Trenino dei Canonici che non smetteva di transitarci ogni volta davanti: “Padova ! … Si cambia … Avanti il prossimo vagone.”mormorava Paolo sottovoce al passaggio del vetusto Monsignore che quasi transitava col “passo dell’oca”.

E infatti poco dopo ci passava davanti un altro“vagoncino dei Preti Canonici”: un altro Piovan Quiescente piazzato stavolta “per meriti”nella Canonica di San Marco… Al vederlo sembrava un personaggio scappato da un fantasioso fumetto ... Pareva uno gnomo, un mezzo folletto salterino e spiritato, col baschetto storto sempre calcato in testa …Portava sempre una tonaca fin troppo corta, sdrucita, lisa, consunta e sbiadita, dalla quale spuntavano di sotto due gambette smunte coperte da calzini giallastri un tempo candidi … come i suoi denti … Sfoderava di continuo un gridolino sorridente un po’ da Faina: hi h hi … hi hi hi … e salutava di continuo tutti con la manina:“ciài ciài … ciài ciài.” diceva, confondendoci e scambiandoci puntualmente, dieci volte su dieci, con qualcun altro che aveva in mente: “Ciao Rocco ...come va ?”

“Non sono Rocco Monsignore.”

“Ah ? … Non sei Rocco … Sei Danilo allora … Come stai Danilo ?”

“Neanche Danilo Monsignore … Ma non importa: sto bene lo stesso.”

Sorrideva con i suoi dentini aguzzi giallastri, sembrava sempre pronto a compiere qualcosa, guizzare via all’improvviso per eseguire chissà quale altra trovata e furbata  … forse  … In realtà era stato un buon uomo: una persona schietta, umile e schiva da ogni solennità e vanteria … Di lui sapevo una cosa bellissima: per anni e anni, soprattutto durante le due guerre mondiali che aveva vissuto entrambe da Prete-Piovano, s’era prodigato di notte per i Veneziani poveri della sua zona-parrocchia-contrada portando loro personalmente in spalla: materassi, biancheria, e cibo … e soprattutto conforto, e qualche spicciolo per vivere.Era stato conosciutissimo, stimato e amato nella sua Contrada perché girava di notte con un gran pentolone di pasta e fagioli o minestrone che andava personalmente a mestolare sul piatto di chi ce l’aveva vuoto ... Poi si sa com’è la memoria delle persone: è breve … Passato il bisogno … passato tutto, e quindi certi gesti finivano come retaggio di un passato che di anno in anno diventava sempre più lontano e sbiadito.

Ridevamo di quella macchietta d’uomo così: un po’ fantasy … ma l’ammiravamo per quel che aveva fatto in gioventù. Ci sarebbe piaciuto assomigliargli almeno un poco ... Ma chissà che cosa la vita avrebbe riservato a noi, oltre che a lui ?

C’era poi un altro “vagoncino”di quel fatidico ideale “Trenino dei Canonici”. Stavolta si trattava di un uomo dal portamento sempre fiero, cerimoniale, liturgico-solenne anche se ormai era pensionato nella mentalità oltre che per gli anni. Perennemente brillantinato in testa a tenere gli ultimi ciuffi di capelli rimasti incollati di traverso, era stato ed era un uomo di cultura: ironicissimo, sagace, flemmatico di carattere, un po’ “all’Inglese”come stile … Parlando latineggiava di continuo, e non mancava mai di canzonare un po’ tutti, colleghi Canonici compresi, per qualsiasi cosa non gli fosse andata a genio:“Pullus ! Recta crux ! … e che siamo ? … In aperta campagna ?” gridò un giorno da una parte all’altra della Basilica gremita di fedeli durante una solenne cerimonia. Un mio compagno “aveva peccato” di portare la Croce Processionale storta e troppo piegata in avanti.Era una Croce pesante e ingombrante da portare, e il mio compagno faticava a trasportarla ingombrato dalle“gonne liturgiche”… faceva di cognome: Gallina, per cui fu breve il passo del Canonico fino al corrispettivo latino di Pullus… e ci sbellicammo live dalle risate ovviamente … Altro che austera e composta Processione nella basilica Marciana ! … Terminato il Solenne Rito, il nostro compagno non mancò di reagire infastidito e impermalosito rispondendo ironico al Canonico. Quello di rimando rincarò ulteriormente la dose a sua volta:“Pullus ! … Non alzare la cresta con me ! … Meriteresti un baculus in testa per l’irriverenza che mi dimostri.”

Non sarebbe più finita … Meglio lasciar perdere … E questa è stata un’altra.

Altri “vagoncini semoventi”del nostro fantasioso“Trenino dei Canonici”era uno dei Cappellani Corali … Si trattava spesso di Preti senza storia finiti là per “contentino”, o per motivi di salute, o alla fine a volte precoce di carriere sacerdotali non troppo brillanti … Insomma venivano piazzati là un po’ “in conserva”… Un po’ perché non si sapeva dove collocarli, e un po’ perché non si sapeva più come utilizzarli: ufficiali o impiegati di Curia forse ?  … o anche no.

Più di qualche volta costoro venivano addirittura vilipesi e umiliati dagli aitanti e pomposi Canonici Titolari dall’alto della loro posizione superiore … Quei umili Preti Coralifu giocoforza che diventassero i nostri preferiti. Ci rivolgevano loro provando a sollecitarli e solidarizzando con la loro depressa situazione:“Sei inutile !“ disse un giorno un Monsignorone a uno di loro: “Non vali niente: né come Uomo, né come Prete … Ti xè un bauco … Descantite !” … Pesantino … e quelli subivano in silenzio, senza replicare mai. Sembravano un muro del pianto senza lacrime ... Opprimente vivere ogni giorno così, anche se sembravano sereni e dignitosi dentro alla loro situazione.

“Spostite tònto ! … Lasciami il pàsso sempliciotto !” sbottò ancora un altro giorno ancora lo stesso Canonico verso uno dei Cappellani Corali reo di non essersi scostato per tempo lasciandogli spazio al suo passaggio.

“Meglio sempliciotto che rincoglionito come lei.”sbottò fuori una voce da dietro l’assiepamento deiSeminaristi in Sacrestia... Non vi dirò di chi fu … E il Canonico venne subissato dalle risate di tutti perdendo in un attimo dieci gradini di sontuosità e prestigio, e forse anche dieci anni di vita per lo smacco. Il Cappellano Coralenon rise ma scosse la testa, e mormorò: “Questa me la farà pagare e pesare a lungo … Mi serviranno anni adesso per sopportarlo.”

Anche questo è accaduto nella Basilica di San Marco.

E ancora il“Trenino dei Canonici”: insieme di“Grandiuomini”in disarmo con oneri e onori, portava“altri passeggeri”“Zompa de qua … Zompa de là … Sembra un pendolo, un cucù che porta a spasso  Sante Reliquie” diceva ancora il solito Paolo … e noi giù a ridere di nuovo vedendo sfilare davanti a noi quell’uomo che zoppicava vistosamente a destra e sinistra per via delle sue anche malandate e sbilenche.“Zompa de qua … Zompa di là ... Il treno va !”canticchiava Paolo, e il Canonico ci passava davanti esausto per la fatica di portare legata al collo una Reliquia ingombrante e pesantissima. Il piviale troppo grande che indossava strascicava su pavimento una volta a destra e una volta a sinistra, e c’era un altro solerte Custode che inseguiva il Monsignore che pendeva più della Torre di Pisa, e minacciava rovinose cadute ad ogni istante … e spesso, infatti, accadeva che cadesse rovinosamente a terra:“La Reliquia mi raccomando Monsignore … La Santa Reliquia … Non la fracassi.”

“Anche quello è stato un numero, un grand’uomo … Pluridecorato … La Vita poi non fa sconti a nessuno: passa per tutti.”

C’era sempre da riflettere oltre che a ridere frequentando gli ambienti Marciani.

“Che botta ragazzi !” ci raccontò un’altra volta un altro “Canonico del Trenino”: “Ho colto la famosa pietra d’inciampo … Anzi: il tappeto d’inciampo dell’altare.” Aveva il volto vistosamente mascherato, medicato e fasciato, e l’occhio del tutto contornato da un segno di tonalità scure e sfumate: “Non ho visto il cordone del tappeto, sono inciampato … e patapàm ! .. Che botta ragazzi ! … ho visto tutti i Santi e le Madonne del Cielo ... Da oggi sarà costretto ad usare il bastone per accompagnarmi.”

“Un altro vagone è deragliato.”commentò puntualmente Paolo … e giù tutti ancora una volta a ridere per l’ennesima volta, mentre il Canonico inconsapevole del perché del nostro ridere ci minacciava bonario col bastone a pomello argentato agitandolo in aria: “Vi picchio discoli ? … vi state forse beando di me ?”

“Ma scherza Monsignore ? … Ci mancherebbe altro ! … Non ci permetteremmo mai.”

Un altro “Reverendissimo Vagoncino” venne un giorno progressivamente a perdere la testa. Ripeteva di continuo, infatti: “La testa … La testa … La mia Povera testa !  … mia figlia … cioè me nèssa, no: mia nuora … La testa … La testa.”e c’era ovviamente uno dei custodi che lo accompagnava a braccetto di continuo amorevolmente … Se lo meritava: era stato anche lui a suo tempo un buon Prete.

A un altro “vagoncinoCanonico”ancora: appioppammo il nomignolo di“Gufo triste ... Fu mia l’idea: lo ammetto … Lo facemmo un po’ per la sua fisionomia a cavallo fra Stanlio e Olio e Totò, e un po’ per il fatto che aveva due occhioni acquosi che spalancava e chiudevano di continuo … Pareva una di quelle bambole di una volta, che quando le muovevi alzavano e abbassavano le palpebre contornate da pesanti ciglia scura sopra degli occhi immobili vitrei … Da sopra il suo possente pancione da incallito e risaputo buongustaio non sorrideva mai … Con gli anni era diventato inespressivo … Sempre presentissimo ad ogni cerimonia: immancabile, inossidabile, preciso se ne stava sempre puntualissimo al suo posto a far numero e presenza, ma era come se non ci fosse:  pareva muto, incapace quasi di proferire neanche una parola. Paolo era categorico nel “dipingergo”: “Questo per farlo parlare bisogna togliergli le parole di bocca con una tenaglia: “Buongiorno Monsignore !”

“Buongiorno.”rispondeva l’altro laconico … e tutto il suo dire terminava là … e rimaneva fermo immobile a osservarci in attesa di chissà quale nuova indicazione da seguire: “Vedi: questo è il classico vagone che si aggrega” mi precisava Paolo: “Se tutti vanno di qua: lui va di qua … Se spingi tutti ad andare di là: lui va di là docile come una pecorella ... E’ il top per la locomotiva del Trenino dei Canonici.”

Il giorno in cui lo vedemmo attendere qualcuno immobile senza sapere proprio dove andare, Paolo precisò si nuovo:“Vagone vuoto … sganciato … senza passeggeri, in sosta o in completo disarmo.” Ovviamente ci fu da ridere ancora.

Ci sarebbe stati poi “Il mangialingua”: un Prete ancora sveglio, abbastanza arzillo e arguto, che per un guasto neurologico si masticava di continuo la lingua quasi comico a vedersi ... Povero: non doveva esser un bel vivere per lui vedersi così … Ma per noi era “Monsignor gomma”, perché pareva avesse sempre in bocca un chewing gum mai finito di masticare … Dovevamo stare sempre molto attenti con lui, non amava molto scherzare … e poi era sveglio e furbo. Se si accorgeva che lo canzonavamo quello sarebbe stato capace ci farci la festa con i nostri Superiori … Era stato lui a far costruire l’ultima chiesa edificata a Venezia: la Chiesa del Cristo Re nel Sestiere di Castello, ed aveva fama d’essere un economo oculato, oltre che un fervido carattere spirituale ... Non so.

Basta … mi fermo col“Trenino dei Canonici” ... anche se di “vagoni”ce ne sarebbero stati ancpra altri da descrivere … Vi sto portando troppo altrove e fuori tema, perciò torniamo di nuovo alle nostre curiose tarsie di San Marco.

E’ stato proprio uno di quegli anziani Monsignori consumati dagli anni di pastoralità ormai esaurita, un altro del “Trenino dei Canonici”ad attirare una volta in maniera insolita la mia attenzione. In un cupo e freddo giorno invernale qualsiasi, sono entrato nella Sacrestia di San Marco per consegnare un plico datomi dal Rettore del Seminario, e lì ho visto un Canonico solo soletto piegato in un angolo, mezzo scollacciato, e con un vecchio lanternino in mano intento a osservare, quasi “rasopavimento”i dettagli di qualcosa che pareva interessarlo particolarmente. 

“Ma che fa ? … Che sta guardando ?”mi sono chiesto … L’ho avvicinato allora, e vedendo e ascoltandolo mi si è schiuso un piccolo mondo di Bellezza, e ho visto per davvero quanto avevo intravisto tante altre volte, ma senza capirlo e apprezzarlo sul serio … Quel manufatto splendido era come se non fosse mai esistito per me … Ed ora, invece: era là davanti ai miei occhi … Bellezza allo stato puro: un capolavoro splendido da non dimenticare mai più ... Dovreste vederlo come me quel giorno per comprendere quanto vi sto dicendo.

E’ spesso così nella vita: il Bello più di qualche volta è nascosto, ed è nascosto anche più che bene tanto che proprio non lo vedi pur avendolo davanti agli occhi … Anche con le persone a volte è così. … Fin troppo spesso abbiamo gli occhi foderati di prosciutto: siamo ciechi ... Poi per fortuna qualche volta ci riesce d’aprirli, e allora“vediamo” e viviamo effimere briciole di genuina e rara felicità …. Pensate che dentro a quel chiesone di San Marco  ho vissuto per anni appiccicato a due personaggi come Albino Luciani e Marco Ce dai quali ho assorbito come una spugna … Grandi uomini! … Grandi esperienze ed indimenticabili emozioni.


Alla fine degli anni ottanta del 1400 quando prima Pietro Casola e Felice Fabbri, e poi il Nobile Milanese Girolamo Castiglione, il Cavaliere Tedesco Konrand Grueemberg e il Pellegrino Francese Georges de Lengherand autore del “Libro di viaggio in Terra Santa”(alloggiò presso il Canonico di San Marco Joannes Evrard) s’imbarcarono a Venezia per la Terrasanta, si avviarono ulteriori lavori d’ampliamento della Basilica Marciana ... Nei dintorni della Basilica che aveva subito l’ennesimo incendio bruciando la parte anteriore del tetto nel 1419, risiedevano stabilmente ad abitare più di 700 Veneziani ... Su espressa richiesta del Doge, a più riprese intervennero ad abbellire la Basilica i Mastri Toscani Nicolò e Pietro Lambertiinsieme forse a Jacopo della Quercia e Paolo Uccellodocumentato presente a Venezia sicuramente nel 1425 … A metà del 1400 si ricoprì di mosaici anche la Cappella dei Mascoli: e la Basilica d’Oro Marciana alla fine è stata ricoperta da più di un chilometro quadrato di mosaici in foglia d’oro… Nel 1486 il Proto Giorgio Spavento fece, inoltre, costruire la Sacrestia a fianco dell’abside della Basilica Dogale riattando e incorporando anche la vicina chiesetta di San Teodoro usata dall’Inquisizione Veneziana. Per abbellire e arredare la Sacrestia si prodigarono in successione artisti illustri … anzi: i più celebri del panorama artistico di quel secolo. I mosaici di tipo ormai pittorico-narrativo che ricoprirono la volta e le lunette del soffitto vennero realizzati fra 1524 e 1530, forse su cartoni e progetti di Tiziano, da Alberto Zio, Marco Luciano Rizzo e Francesco Zuccato i Mastri Mosaicisti da tempo all’opera nella Basilica dei Dogi Veneziani.

Infine nel 1489 Fra Urbano da Venezia collocò sopra nelle cantorie lo stupendo Organo di Sinistra, cioè il “primo organo”, con sette ordini di canne e sette mantici con cassa intagliata da Alvise Bianco: opera subito emulatissima in tutta Venezia ... L’anno seguente il Cremonese Francesco Tacconi dipinse le portelle che ricoprivano lo stesso organo con una “Natività del Signore” e un’”Adorazione dei Magi”all’esterno, e con una “Ressurrezione” e un’ “Ascensione”conservati in Basilica ancora oggi. In quegli stessi anni: Bartolomeo de Batista de Vilmnis e Francesco Dana erano rispettivamente il primo e il secondo organista di San Marco, e Pietro de Fossis era Maestro della Cappella Marciana … Dovete sapere che in cima agli aerei Matronei Marciani sono collocati ben quattro organi musicali... Nel 1501 Girolamo Barbarigo divenne Primicerio di San Marco: una specie di Vescovo Privato del Doge, succedendo a Pietro Dandolo che aveva fatto carriera diventando Vescovo di Vicenza…e la storia della Basilica continuò per secoli insieme a quella di Venezia Serenissima.

Fu proprio in quella stagione di riordino e ampliamento della Sacrestia di San Marcodel 1486, che si decise anche di associare allo splendore dei Mosaici quello altrettanto coinvolgente e spettacolare degli arredi lignei decorati a tarsie intagliate “di legno bollito”.

A chi commissionò il Doge il compito di decorare gli armadi della Sacrestia ?

Scelsero: Antonio e Paolo della Mola, fratelli e Mastri Lignari di notevole fama provenienti da Mantova dove da almeno tre generazioni lavoravano e intarsiavano il legno e scolpivano pietra. Come referenza avevano lavorato a Carpi, e nella splendida Certosa di Paviadove erano finiti col litigare con Monaci, Avvocati e Notai per via di pagamenti di notevoli cifre che avevano richiesto a saldo. Gli Intarsiatori arrivarono quindi in Laguna tra 1496 e 1500, andando a decorare prima gli arredi lignei nel Convento dei Frati Domenicani Predicatori e Inquisitori dei Santi Giovanni e Paolo: San Zanipolo… Quindi approdarono non oltre il 1502, con le loro suggestive vedute lignee urbane nella Basilica Dogale di San Marco… e completarono l’opera andando a scolpire qualche scultura in marmo per il Doge dentro a Palazzo Ducale.

Infine i due Della Mola se ne tornarono a Mantova a lavorare con lo stesso stile e abilità per lo Studiolo di Isabella D’Este nel Castello Ducale di Mantovae poi alla Corte Vecchia insieme ad artisti del calibro di Andrea Mantegna, Lorenzo Costa, Antonio Allegri cioè il Correggio e Andrea Perugino ... L'arte della tarsia era praticata soprattutto dai Tedeschi quasi in continuità con la vecchia idea decorativa del Mosaico musivo e pavimentale, e dei lavori realizzati ad incastro in Pietradura. A Venezia quella particolare specialità artistica in stile un po’ goticheggiante era ben conosciuta ed apprezzata. Ne furono abili interpreti: Lorenzo Canozi o Canozio Genesini o Zanesini da Lendinara e suo fratello Cristoforoche lavorarono in continuo contatto e interscambio artisticocon Piero della Francesca. Per intenderci: oltre a lavorare molto a Ferrara, Este, Reggio Emilia, Parma e al Santo di Padova, i Canozi realizzarono i dossali lignei della Sacrestia dei Frari a Venezia.

Che scolpirono e intarsiarono o Della Mola nelle 21 tarsie degli armadi della Sacrestia di San Marco aiutati dal Frate Olivetano Vincenzo da Verona e da Fra Piero dei Gesuati da Padova ?

Ovvio: intarsiarono ben nove tarsie dedicate alle Storie di San Marco e del Mito di Venezia, non poteva essere che quello il tema di riferimento dentro alla Basilica Marciana dei Dogi.

IlMito e la Storia di San Marcoa Venezia: bell’argomento … In quanti lo conosciamo a sufficienza ? … Mah ? … Non so … Forse farebbe bene a certi nostalgici Patrioti Veneziani e Veneti oltre a sbandierare gonfaloni colorati al vento, conoscere anche un po’ di Storia Veneziana che non sia solo ed esclusivamente guerrafondaia e di grandi atti eroici o presunti tali … L’identità di Venezia è stata ben di più ... e di questo forse non siamo molto consapevoli e forse sufficientemente informati.

Tornando alle tarsie degli armadi della Sacrestia, si può ammirare la scena lignea di: “Sant’Aniano tradizionale amico-compagno di San Marco e Patrono dei Caleghèri Veneziani”“La Leggenda-Mito della guarigione di Aniano Calzolaio ad Alessandria con la sua conversione-Battesimo”… E poi il Ciclo di San Marco con la classica fase Leggendaria della Traslatio del Corpo furtato ad Alessandria d’Egitto, e poi “L’arrivo a Venezia dove si edificò la Costruzione della prima Basilica Dogale Marciana” dove “Un Muratore genuflesso si presentava con la cazzuola in mano e un Proto aveva il progetto della Basilica”… Poi accadde: “La successiva “Inventio” del Corpo del Santo Protettore” con la sua successiva “Apparizione” seguita dal fiume dei miracoli secondo la più genuina e classica delle tradizioni Santeresche: “San Marco che libera dal Carcere Mantovano un Pugliese”“San Marco che ridà vita a un Marangòn-Carpentier caduto giù dal Campanile della Basilica Marciana”“Un Marinaio Indemoniato guarisce alla vista del Santo Corpo di Marco”… e “Un Cavaliere Lombardo s’impegna a servire San Marco”.

Bellissimo l’insieme delle tarsie perché colloca le Storie Marciane in una Venezia davvero Venezia: uno scenario ligneo gentilissimo tutto composto da palazzi, calli, ponti, campanili e callette ... Una location davvero indovinata dagli artisti, che poi si sono sbizzarriti nel realizzare tutto l’arredo liturgico nelle parti basse del mobilio della Sacrestia.

Chi mastica un po’ di Liturgia e di “cose da Preti” potrà ben notare che non manca nulla del corredo liturgico di cui doveva essere ben fornita ogni chiesa o monastero di riguardo. La lista sarebbe lunga: Turiboli e navicella per l’incenso, Calici, Pissidi, Patène e Ampolline in vetro da Messa, e poi ancora: candele e Cantorali, Messali, Libri d’Ore, Breviari e Antifonari … e ancora: fiori, brocche e secchielli, clessidre e orologi, campane, sistri e campanelle, Reliquiari, Crocifissi, candelabri, e un organetto, e viole, violini e violoni, e frutta… e chi più ne ha più ne metta … Un capolavoro comunque da ammirare e godere sul quale meriteremmo di poter posare gli occhi un po’ di più da buoni Veneziani … Sarà mai possibile prima o poi ?

Giorni fa ho scostato per entrare in una chiesa Veneziana la vecchia tenda incartapecorita che sapeva di salsedine e umidità che copriva la porta. Dal dentro del suo gabbiotto mi ha osservato un po’ bieca la “guardiana”scrutando attentamente il documento che le ho mostrato: “Residente eh ? … Allora gratuito.” ha aggiunto regalandomi una smorfia quasi disgustata: “Se tutti facessero come lei di poter entrare gratis dappertutto: dovremmo chiudere bottega.”

“Già … bottega …” ho mormorato sorpreso e senza replicare, e sono entrato dentro avviandomi per il mio giretto di visita.

“Alt ! … Fermo ! … Non si può !”mi sono sentito urlare subito dopo.

“Che c’è ? … Che è ? … Che ho fatto ?”

Mi sono guardato attorno cercando di capire se per caso avevo calpestato qualcosa di prezioso, o superato un limite inavvertitamente.

“Non si può assolutamente fotografare qui dentro … Questo c’è.”

Perentoria e irremovibile la solerte dipendente-volontaria è scattata fuori ciabattando dal gabbiotto quasi inciampando sulla sua ombra. Traballando mi ha bloccato correndomi incontro e frapponendo la mano al mio cellulare.

“Ma neanche una foto ricordo ?”

“Assolutamente no ! … Proibitissimo ... Neanche una.”

“Non capisco … Ormai si entra ovunque, a volte anche gratuitamente … Oppure si paga, si vede, si fotografa, si compra il gadget o il materiale … C’è la spiegazione, l’audioguida o la visita guidata … Tutto tranquillamente, basta non disturbare e rovinare … senza tante ossessioni di guadagno … Qui da noi: non c’è nulla, e non si può far niente ... Bisogna solo pagare ... Oppure è tutto chiuso e sigillato in saecula saeculorum amen.”

“Sono disposizioni superiori … E poi? … Se tutti fotografassero liberamente come lei, chi comprerebbe le guide e le cartoline ?” ha provato a spiegarmi ancora “la solerte”.

“Ma dove sono queste guide-cartoline  ? … Pur volendo comprarle non le avete neanche a disposizione ... Non c’è un video, né dei cartelli esplicativi … nulla.”

“Non ci sono, ma potrebbero esserci in futuro … Se tutti non entrassero qui dentro come fa lei non pagando nulla e pretendendo tutto gratis … Chissà ? … Magari si potrebbe anche diventare un piccolo museo ben fatto ... Come si dovrebbe, e come lei vorrebbe.”

“Sono d’accordo … Ma voi che offrite a chi vi paga ? … Per illuminare un quadro pallidamente per uno scarno minuto bisogna pagare ulteriormente a parte … Se serve un wc: le chiese non hanno wc … Non si può far pipì, non deve scappare mai quando si è in una chiesa … Chi ne pagherebbe poi la pulizia ? … Non c’è un defibrillatore se sto male … Se mi serve un bicchiere d’acqua ? … Non c’è … Non si può: in chiesa c’è solo Acqua Santa, e ultimamente neanche quella … E poi ci sarebbero da pagare almeno “simbolicamente” pure i custodi ?”

“No … Siamo volontari … non dipendenti: non serve pagarci.”

“Già … me l’aspettavo come risposta … Volontari del tutto ? … Pagati in nero forse ? … Assicurati almeno ?”

“Sono cose private … La chiesa non è mica sua.”

“E’ infatti questo il punto … Quante fisime per niente ! … Tutte queste cose belle, questa chiesa intera in fondo sarebbe nostra: dei Veneziani, realizzata quasi del tutto con le offerte dei Veneziani di ieri … Perché precluderla a quelli di oggi ?”

Fatalità in quel momento è passato l’indaffaratissimo “Don” della chiesa: come va, come non va ? … poi: “Scusa Don ? … Ma quante storie per visitare un poco liberamente … Tutto proibito ? … Perché tutto così in lockdown più che col virus ? … Perché non si apre un po’ di più a turisti e Veneziani senza tante complicazioni inutili ?”

“Liberamente ? … E chi pagherà ? … Se qualcuno mi coprirà le spese per la riparazione del tetto e la rimessa in sicurezza, forse si potrebbe fare ? … E poi ci sono altre spese infinite: l’assicurazione, la guardiania, l’illuminazione, il riscaldamento, le pulizie, l’acqua alta, la manutenzione e tutto il resto ... Servirebbe un capitale senza fine … Non ce lo possiamo permettere.”

“Capisco: storicamente poveri … E far pagare un biglietto più congruo a tutti ? ... magari dando in cambio qualcosa ? … Qualche servizio, ad esempio.”

“Un biglietto più grosso ? … e quante tasse mi toccherebbe pagare allo Stato per ogni biglietto ? … Che ci guadagnerò alla fine dopo tanto impegno ? … Perché dovrà pur esserci un qualche ritorno se c’investo del mio … No ?”

“Già … Un “ritorno se ci investe del suo”… Tutto suo, non di tutti … E’ accaduto qui a Venezia che per anni qualcuno ha riciclato all’infinito lo steso costoso biglietto d’entrata ritirandolo all’ignaro turista con la scusa di controllarlo, e rifilandolo al turista seguente … Dieci, venti, cento turisti con un unico biglietto dichiarato … E la differenza che fine faceva ? … Manutenzione e servizi ? … E’ la lotta storica fra povertà e Avarizia che attanaglia da sempre Clero e dintorni … Non era un Peccato una volta ?  Uno dei Vizi Capitali, se non ricordo male ? … O non lo è più ?”

“Beh … Sono cose grosse … più grandi di noi e delle nostre strette finanze … Poi non è così semplice decidere su certe cose, dovresti saperlo … C’è la burocrazia, e i Superiori, e le competenze … Adesso però devo proprio andare … Ogni bene ! … Buona visita.”

Sorrido perplesso riprendendo a godermi la visita della bella chiesa Veneziana: un bijoux di Bellezza … e mi riemerge nel pensiero un vecchio ricordo di un accorato Monsignor-Rettore Veneziano di ormai tanti anni fa: “Le chiese e le Basiliche sono Casa di Dio … Non sono luoghi d’Arte e Musica per turisti … Preferisco che mi crolli mille volte la cupola in testa piuttosto che darla in pasto a sponsor e visitatori profani … Neppure la Philips metterà mai una lapide col suo nome sulla Basilica della Salute di noi Veneziani … Neanche se mi donassero tutti i dollari d’America capiterà questo … Questo è un Luogo Sacro e basta ! … e tale dovrà rimanere del tutto nei secoli ... Si dovrebbero dare finanziamenti per favorire il culto e la giusta Devozione … non per altro … Meglio chiudere tutto e lasciare andare in rovina se non si rispetta lo scopo per cui sono state realizzate queste monumentali opere ... La chiesa non è un lunapark ! … Questi vengono a saccheggiare e vandalizzare i nostri Luoghi Sacri considerandoli musei e luoghi da relax, pennichella e pic nic ... Qui si deve venire, invece, solo per pregare, e per cercare come molti secoli fa il “miracolo del corpo e dell’Animo” insieme !”

Che stana assonanza con le chiese-museo di Istambul ritornate proprio in questi ultimi giorni ad essere quasi del tutto solo Mosche Islamiche … Corsi e ricorsi storici, gira e volta le Religioni con le loro manie ed esagerazioni sono tutte uguali … Quel Monsignore-Rettore è ormai defunto da molti anni, ma non sono molto cambiate le cose qui a Venezia … E’ rimasto come uno strascico di tale attitudine e mentalità in diverse persone, e perdura in qualche modo quell’antico vizietto del voler guadagnarci sopra ad ogni costo, di trarre un qualche “utile” da ciò che “è Santo” e da cose sopra le quali non ci dovrebbe essere nulla da guadagnare … Si continua a tenere tutto chiuso e tenere nascosti tesori preziosi, unici, se non rari … se non si trova un margine per ricavarne un qualche preziosissimo utile ... e questo perché queste cose belle non sono più nostre come dovrebbero.

Va beh dai … non esagero … Per fortuna non è sempre e ovunque così in tutta Venezia … QuQalche volta si riesce ad entrare liberamente o pagando qualcosa dentro a luoghi squisiti, e si può quindi godere tranquillamente ancora una volta dello spettacolo della tanta Bellezza che ci hanno lasciato i nostri padri … Bellezza nostra … checchè ne dicano Stato & Chiesa: convinti, esclusivi, e a volte anche un po’ ostici proprietari.

Lasciamo perdere … Sono brontolone, e sto diventando vecchio … Provate però ad andare a vedere quelle belle tarsie degli armadi della Sacrestia di San Marco… e ditemi se per caso tutto compreso non ho anche ragione nel mio sproloquiare.

Ah ! … Dimenticavo: vedete anche se passa ancora oggi il “Trenino dei Canonici”.

 



Varotèri Veneziani

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#unacuriositàvenezianapervolta 204

Varotèri Veneziani

“Più facoltosi e sopra a tutti gli Homeni abbienti del Curame e delle Pellizzerie stanno i Varoteri che sono la parte eminente di tale genere manufatturiero Veneziano capace di dare di che vivere a molti.”

Questi erano  i Varoteri o Vajai o Pellicciai: una categoria Veneziana agiata, la parte più nobile ed emergente, la più ricca e rispettabile, l’elite della Filiera delle Pelli e del Curameche a sua volta serviva e riforniva una classe ancora più agiata e preminente: cioè quella dominante della società Veneziana: le Magistrature, iNobiliHomeni e le NobilDonne, i Mercanti e i Dogi… Sembra che la dizione “Varoteri” derivi probabilmente da “Vaio o Varòta” nome forse di origine siberiana che indicava genericamente una pelliccia, o uno Scoiattolo o una Martora in genere … I Varoteri o Vajai o Pellizzeri erano Artigiani che confezionavano e vendevano pellicce di Vaio, Martora, Ermellino e Lattizio, Volpe, Gatto, Agnello, Coniglio, Arcoline (Capra), Schilati (Scoiattoli),Montone: le cui pelli erano dette “Moltoline”, e di Capretto: le così dette “Beccùne”.

Le Varoterie insieme alle Parrucche, Guanti, Scarpe, gioielli, Abiti Togati di rappresentanza o cerimonia, e i finimenti di lusso finivano per essere una delle espressioni più d’effetto della grandezza potente di Venezia Serenissima.

Già alla fine del lontano ottobre 1271 si elaborarono a Venezia i primi Statuti dei Varoteri che vennero poi rinnovati e integrati a più riprese nel 1312 e 1334-35 ... A Rialtoc’era la Varottaria cioè la Ruga della Pellizzaria, ma fin dal 1197 esistevano sparse un po’ per tutta Venezia diverse botteghe-laboratorio con tre-quattro Varitai o Varotai ciascuna dove i Varoteri sceglievano, pulivano, tingevano, sbiancavano e spazzolavano i prodotti forniti già conciati dai Scorzeri e Conzacurami rifilati a lavorare e vivere isolati alla Giudecca.

Il fenomeno della Garberia: cioè della lavorazione, concia e commercio ed esportazione delle pelli è esistita per secoli in parallelo alla grande lavorazione e commercializzazione della Lana, dei Panni e delle Telerie in genere ... E’ curiosissimo notare come storicamente agli appuntamenti soliti delle solennissime scadenze di Rito e delle Processioni Cittadine sia Civiche che Religiose, oltre che nelle circostanze di eventi eccezionali, intervenivano ogni anno fra trombe e cembali, gonfaloni e ghirlande i pomposissimi Dignitari della Serenissima accompagnati da tutti i rappresentanti delle Arti CittadineVeneziane schierate in ordine d’importanza. Per secoli sfilarono i Piazza “per secondi” dopo i Fabbri appunto i Varoteri-Pellicciai riccamente “addobbati di Armellino e Vaio, altri di drappi di Sciamito e Zendalo e soppannati di pelli”, e a seguire loro c’erano gli altri: i Sarti, pure loro a indossare “mantelli foderati di pelli”, e i Pizzicagnoli con “scarlatte pellicciate di Vaio”; e persino i Pescivendoli:“soppannati di Vaio” ... e non parliamo poi dei Nobili, della Signoria e del Doge com’erano agghindati, impellicciati e pomposati.

La categoria dell’Arte dei Varotèri era necessariamente connessa e dipendente dall’attività della categoria degli iscritti alle molteplici Schole, Fraglie, Consorterie e Confraternite degli Scorsèri-Consacurame o Curamèri le cui sedi sorgevano in città sotto l’egida Patronale di Sant’Andrea a Sant’Eufemia, e dei Santi Biagio e Catòldo della Giudecca. Sempre nella stessa isola esisteva il “Monte dei Corni” nella futura zona dove sarebbe sorto il Tempio del Redentore, e sempre là si lavoravano “Corde de Buèo”, e s’imbiancavano pelli e corame lavorando giorno e notte, mesi, anni e secoli come Consacurame patrocinati da una lunga litania di Santi e Madonne del Cielo: San Lazzaro, San Giovanni Decollato, San Michele Arcangelo, San Martino, San Vito, San Liberio, le Quattro Sante Martiri: Eufemia, Tecla, Erasma e Dorotea Santa Helisabetha dei Varoteri: “Ogni Compatrono, Santo e Madonna buoni sono, e un Protettore in più non guasterà mai ... Per questo ogni domenica e festa di Santo Protettore ogni Scorzere terrà bottega chiusa, e non ci sarà mercato.”(1417)

Nel 1530 il Senato stabilì che tutti i Mastri che “segnavano suole” dovevano consociarsi nell’Arte-Mestiere dei Calegheri ... Era tardi in realtà: s’era scoperta “l’acqua calda”, perché i Socholari (Zoccoleri), i Patitari, Calegheri-Solari e Zavateri erano un’Arte Vechia col “Capitolare Caligariorum” che risaliva al 1260.

Le Cronache Venezianeraccontano che le Schole dei Cuoiai-Curameri della Giudeccaancora nel 1699 avevano anche una “sede-dependance commerciale”nel cuore di Venezia: nel Sestiere di San Polo, precisamente in Contrada di Sant’Agostin poco distante dal Fontego del Cuoio o Curame di Rialto istituito nella Contrada di San Silvestro per ordine del Senato per favorire gli interessi della categoria. Nel Fontego i Partitanti dei Manzi, gli Scorzeri e i Beccheririponevano le pelli da acconciare o già acconciate che venivano ricomprate soprattutto da Calegheri e Zavateri ... e perché no … anche dai Varoteri.

Varoteri e Conciatori Veneziani dipendevano del tutto dalle forniture dell’Arte dei Beccheri e dei Mercanti da Cordoani che fin dalla metà del 1276 pagavano un Dazio d’Entrata agli Ufficiali o Signori alle Beccarie di San Marco e di Rialto per importare carni e pelli di qualsiasi tipo in città. L’esazione avveniva alle Palade di Torre Nuova, e agli Uffici di San Zulian, Mazzorbo, Morenzano e Cornio.

Quello delle Beccarie con la macellazione, vendita e consumo delle carni era di suo un “mondo complementare a parte”, che si congregava, riuniva e organizzava per conto proprio in apposita Schola di San Michele nella chiesetta di San Mattio di Rialto malfamata quanto i Beccài... e non a torto.

Il mercato delle pelli cittadine era controllato dai Beccheri che fornivano parte della materia prima di base ai Conciatori che lavoravano nei laboratori della Giudecca.  I Beccai Veneziani, era risaputo da tutti: “erano gente riottosa e ingrata, dal contegno improbabile nonostante i prestiti con cui li sovveniva il Governo”… A un certo punto la Serenissima indispettita divenne severa di fronte ai soprusi, le angherie e gli imbrogli ripetuti dei Beccai: se un Beccaiodava sei once di carne in meno su un totale di dieci libbre, veniva multato di 10 piccoli e di un punto per ogni omissione perdendo la fornitura delle carni ... Se recidivo finiva per un mese incarcerato “nei pozzi”, e non poteva più esercitare l’Arte per tre anni …  Multa di 25 Lire per bove, invece, carni buttate in acqua, e un mese di carcere a chi introduceva in Laguna: “carnes morticinas, infirma vel gramignosas”… Per tutto questo ogni anno al principio della Quaresimai Beccai Veneziani erano costretti ad essere “balottati” e superare una “Proba” in Quarantia per poter esercitare la professione, e Tre del Consiglio si recavano quindici giorni prima di Carnevale nelle banche e botteghe di Rialto per verificare il contegno di ciascun Beccaio.

Alla Categoria vispa e furbetta dei Beccai appartenevano anche i “Partitanti dei Manzi” cioè i Mercanti di Bestiame che s’impegnavano l Governo per rifornire ogni mese Venezia di pelli e carni a prezzo calmierato portandole in Laguna da stati esteri come Turchia, Ungheria e Stiria… Nell’agosto 1314: Giovannino Beccaio Veneziano vendette al Comune di Treviso 200 capi di bestiame che teneva a Marghera in un luogo detto Cà di Mezzo, pretendendo dal Governo Veneziano il risarcimento del denaro denunciando di aver subito un furto … Venne arrestato e condannato ovviamente … Nell’agosto 1339 i Provveditori alle Beccarie di Venezia furono costretti a multare un Beccaio di Rialto(facendolo pagare a rate) per aver condotto da Mestre molti animali e agnelli senza pagare il dovuto Dazio agli Ufficiali. Nell’occasione si stabilì che il Cancelliere di Mestre doveva redigere e consegnare un apposito Permesso-Bolla d’accompagnamento ai Beccai mandandone una copia per l’Ufficio delle Beccarie di Rialto ... Lo Scrivano di San Giuliano de la Palada, inoltre, sarebbe stato privato del suo lavoro se lasciava passare animali di contrabbando ... Infine: le aree prative della stessa area di San Zulian e Tombello sarebbero state affittate ai Beccai di Mestre e Venezia per far pascolare Bovini, Asini ed altri animali in attesa d’essere trasferiti a Venezia.

Capirete quindi perché l’intenso e redditizio traffico del Fondaco del Curame venne soggetto fin dal 1460 alla sovrintendenza e vigilanza di Quattro Officiali alle Beccarie di Rialto eletti dal Maggior Consiglio per sedici mesi; da Due SovraProvveditori alle Beccarie di San Marco eletti dal Senatoper dodici mesi, e da un Aggiunto al Fontego eletto dal Senato per ventiquattro mesi. In seguito si giunse alla formulazione di un Collegio alle Beccarie formato da Dodici Beccai, dai Savi alle Beccarie o alla Mercanzia e dai Provveditori eletti dal Senato ... Per ogni singolo Manzo i Beccheri ricavavano solitamente lire 1.420 circa: a 1.120 lire corrispondeva il valore della carne, lire 160 quello della pelle, lire 84 il sangue, e lire 56 si guadagnava dai “menuzzami e sugne”, cioè dalle estremità, grassi, interiora e viscere degli animali che poi venivano venduti cotti per strada dall’Arte dei Luganegheri, o adoperati per ungere i mozzi delle ruote.

Nel 1402-1484 i Beccheri di Rialto gestivano 59-61 banche vigilate da un apposito Massaro, che venivano affittate una volta all’anno all’incanto. Era proibitissimo vendere carne di notte dopo la terza campana della sera.... Dal 1675 lo Stato esercitò lo Jus Privativo sulla vendita del cuoio da suola a Venezia concedendolo in appalto a Privati Partitanti per un periodo di 10 anni con un’offerta fra i 4000 e 6000 ducati per ottenere la Concessione … Le pelli degli animali pesate e bollate alle Beccarie di Rialto dov’erano sorvegliate da appositi Fanti della Repubblica, costituivano il 10% del valore intero di ogni animale, e per poterle ammettere alla Concia gli Scorzeri della Giudecca si doveva pagare un ulteriore apposito Dazio.

Due parole … due … sui Sjori Scorzeri Consacurame delle Scortegarie della Giudecca ...  Erano Sjori intanto, cioè benestanti rispetto al resto del popolino“misero” che popolava l’isola.

I Conciapelle della Giudeccaavevano la propria Schola di Sant’Andrea a Sant’Eufemia fin dal 1271: Schola antichissima il cui Capitulare Pellium vel Curaminum” con le sue 92 regole era uno fra i più antichi della Laguna: redatto addirittura prima di quello dei Vetrai di Murano. Proprio lì accanto: nella chiesa e Monastero delle Monache Benedettine dei Santi Biagio e Catoldo della Giudecca trovava sede, sotto l’Alta Protezione Celeste dello stesso Santo Andrea, anche la Schola dei Blancarii che aveva antichi Statuti e Capitolare risalenti anch’essa all’ultimo decennio del 1200 ... Ogni iscritto Scorzèrera tenuto a pagare: soldi 40 di Tassa di Benintrada, e ciascun MastroScorzèr doveva dare: due grossi d’Honorantia al Gastaldodella Schola a Natale … Nel luglio 1314 gli Scorzeri scrissero nella loro Mariegola: “… che sia detto quivi la domenica la Messa della Schola … per l’Anema de tutti li nostri fratelli di questo seculo che è passato e che devono passar…”

Nel 1519 il Capitolo degli Scorzeri approvò la costituzione di un fondo per aiutare i "fratelli nostri consumati tutta la vita nell'Arte" offrendo denaro per l’assistenza e per l'acquisto di medicine. Ogni Compagno era tenuto a versare un soldo per ogni pelle di cuoio comprata, venduta o trattata, e se avanzavano soldi nel bilancio della Schola si provvedeva a donare “Grazie da dieci ducatialle figlie povere di quelli de la Schola da maridàr o munegàr”... Nel 1690, invece, lo stesso Capitolo degli Scorzeri bloccò la proposta di assegnare un ducato alla settimana ai CapiMastri e mezzo ducato ai Lavoranti ammalati: si sarebbero dati solo mezzo ducato ai primi, e 1 lira e 11 soldi agli altri: i tempi erano magri.

Gli Imbiancadori o Sbiancadori di Tele, Pelli e Corami agivano con Biacca o Cremor di Tartaro, cioè con Latte di Calce o Cinabro artificiale: ossia con Solfuro Rosso di Mercurio. Il Cremor di Tartaro veniva lavorato a Venezia da un insieme d’imprese che operavano con 40 caldaie producendo ogni anno 300-320.000 libbre di merce del valore di 85 ducati al migliaio. Il prodotto veniva in buona parte consumato a Venezia o nel Dominio Veneto, ma veniva anche esportato in Olanda e Belgio per tingere panni fini ... In più di un’occasione i lavoranti di quella speciale categoria lamentarono con la Serenissima che le “grigole” dovevano pagare 8 lire di Dazio d’Ingresso per ogni peso grosso, più soldi 4 per ogni collo, e che in “uscita” il prodotto finito fosse gravato dalla tassa di lire 2 per ogni 1.000 libbre: era un eccesso !

Ancora nel 1763 confluiva in Laguna quasi tutto il Cremor di Tartaro prodotto a San Vito al Tagliamento da un certo Luzzato che continuava ancora a chiedere esenzione dal Dazio di Condotta d’Entrada facendo notare che pagava per ben 3 volte l’imposta: 24 soldi per la fede rilasciata alla Cancelleria di San Vito, 3 soldi al barile al Fondaco di Portogruaro, e 1 ducato d’argento per ogni migliaio che introduceva a Venezia: “Xe màssa … Non ghe l’è de che viver e laoràr”.

Per porre parzialmente rimedio a quella situazione, esattamente dieci anni dopo, la Serenissima concesse ai 250 Blancariiattivi nelle 31 botteghe e 3 fabbriche cittadine di poter godevano degli stessi privilegi delle Cererie della Dominate. Venne cioè concessa l’esenzione dal Dazio d’Entrada su piombo e aceto oltre le misure di 650.000 libbre e 500 mastelli, e l’Esenzione dal Dazio d’Insidasulla Biacca, il Minio, il Piombo di latte, i Bastoni e la Piombella.

Fin dall’approvazione del primo Statuto degli Scorzeri, la Serenissima vietò di scaricare sostanze inquinanti nelle acque pubbliche: "niun ardisca tegnir tina alcuna in la qual sia acqua, dentro la pelle, sora canal, né scarnar né rader né lavar pele greze, né alcuna cosa de lume sora el detto canal ecc." ... Nel Capitolare del 1366 si precisava ulteriormente: “de non scolàr sora el canal davanti, né dar ogio over far pelle o cuori negri né tina alcuna tegnir sopra el ditto canal."

Oculata, previdente ed ecologica la Serenissima fin da allora: non male !

Non si lavorava e conciava cuoio e pelli solo alla Giudecca e a Venezia … Vi dice niente il nome di Scorzè? … La scorza oltre ad indicare la corteccia o il residuo dell’albero, indicava anche la pelle grezza non lavorata ... Esisteva nella città Lagunare un’attività simile a quella della Giudecca fin dal lontano 1271 anche nella Contrada di San Geremia nel Sestiere di Cannaregio, precisamente nella zona periferica di Sant’Agiopo o Job o Giobbe, dall’altra parte della città, accanto alla Schola dei Barcaroli(nell’area ENEL dove sorgeva l'Orto Botanico) dove ancora nel 1734 era presente l’attività-presenza di quelli della “Schola di Sant’Antonio e San Francesco d'Assisi dei Scortegadòri de manzi”:  “Nel 1696 li Scorticatori de Bovi un tempo semplici operarij disuniti, ebbero la maliziosa industria di farsi erriggere in Arte (Schola di Sant’Antonio Martire dei Scorticadori a San Giobbe)per obbligar li Partitanti (appaltatori della carne) a valersi dell’opera di essi soli, e non di altri Mercenarij.”… La Schola faceva celebrare nella chiesa di San Geremia un gran messone cantato frequentatissimo la prima domenica di ottobre dopo la festa di San Francesco, e accompagnava con quattro asteprocessionali e un gran penèlo (gonfalone-stendardo) i Compagni Scorzèri Morti durante il loro funerale ... Nel 1733-34 il Senato decise di sopprimere e sciogliere tutto mettendo fine ad ogni devozione e aggregazione.

Nel 1520 il Consiglio dei Dieci permise anche la fondazione in Contrada di San Simeon Piccolo nel Sestiere di Santa Croce di un’altra Schola di Conzapelli dediti a pelli di vario tipo comprese pelli selvatiche, ma su richiesta proprio dei Varoterinel febbraio seguente precisò che la Schola doveva essere solo di Devozionee non di Arte-Mestiere… La Schola dedicata all’Arcangelo Gabrielerimase quindi attiva per qualche anno ma con scarsissima fortuna … Si conzavano pelli e carni anche a Murano che possedeva un suo Macello locale espressamente autorizzato dalla Serenissima.

Come avete inteso, quella della Concia era “l’Arte” per eccellenza che contraddistingueva la Zuecadove in una certa epoca storica si giunse a contare più di trenta Scorsarie-Scortegarìe: ambienti puzzosi, inquinanti e malsani collocati spesso sul margine più periferico e ancora paludoso e in attesa di bonifica di Venezia ... Si usavano anche i residui, e le “montagne di corna e zoccoli d’animale”delle Concerie per imbonire le “sacche e secchi” di Venezia. L’attività della Concia era complessa e di solito durava mesi, anche fino a ventiquattro a volte, e avveniva seguendo uno schema-procedimento “antico quanto il mondo” che constava in definitiva di tre momenti diversi.

Già Sumeri, Egiziani, Fenici e Romani erano stati ampiamente attivi nel settore della Concia, e ne avevano diffuso l’uso in tutto l’Impero Mediterraneo e Europeo caratterizzando di quell’opera anche la seguente epoca Medioevale.

Fin dal periodo Carolingio, infatti, sorsero un po’ ovunque Gilde di Conciatori: a Bruges, Gand e Rouen fin dal 938, a Strasburgo(982),Pont-Audemer (1093), Namur (1104), Magdeburgo(1150), in Carinzia (1220), Worms (1233), Mulhouse (1297), Berna(prima del 1332), Basilea(1384) dove era proibito conciare animali malati e pelli di Cavallo, Lupo e Cane … e finalmente: Parigi dove l'Arte dei Guantai vantava Statuti del 1190, aveva botteghe in Rue de la Ganterie, e lavoravano pelli di Lepre, Camoscio, Cervo,  Vitello, Montone, Gatto e Capretto per farne guanti con pelo esterno e interno per Nobili o Guanti da caccia. Sempre a Parigi Filippo VI di Valois approvò nel 1345 gli Statuti presentati da Tanneurs, Corroyeurs et Sueurs relegando i Conciatori e i Mercanti di Pelle e Cuoio in località Chameaux le Halles aux Cuirs … e ancora sorsero Arti della Concia e delle Pelletterie a Offenbach(1388), Colonia (1356), e Vienna dove già nel 1330 esisteva una Lederstrasse: la Via del Cuoio... In Inghilterra l'Arte Conciaria esisteva fin da prima dei Normanni: Oxford, Londra, Colchester… i famosi Guantai Scozzesi di Perthgodevano di particolari privilegi fin dal 1165 … Riccardo II nel 1395 approvò gli Statuti della Skinner's Company che aveva l’obbligo di lavorare in vicinanza delle foreste regolando gli scarichi reflui delle acque ... In Spagna, infine, importando tecniche Africane e Arabe si conciava utilizzando anche Miele fermentato, Fichi secchi, sale e altri ingredienti segreti. Si produceva il “Marocchino”, il “Gademesino”e il “Saffiano”  a Cordova capitale del Califfato dal 711 si produceva il “Cordovano”apprezzatissimo anche dai Mercanti di Cordovani di Venezia.

In Italia l’Arte della Concia iniziò proprio da Venezia, che durante i secoli del Medio Evo fu probabilmente l’Emporio commerciale più importante, e uno dei centri d’interscambio politico-economico e religioso più significativi dell’intero Bacino Mediterraneo. La Cronaca Altinate racconta che nella Città Lagunare sorgevano molte associazioni d’Arte-Mestiere che subito dopo vennero congregate in Fraglie e Schole di Fratres et Sorores. Fra queste c’era il gruppo dei Sellatores(Sellai o Selèri) che lavoravano selle, finimenti e oggetti di cuoio, e i lavoratori della manifattura per la Marineria che producevano: vele, alberi e remi.

Lo Statuto-Mariegola dei Conciatori Veneziani indicava di usare per la concia: “Concamentum”di foglie di Sommacco e di corteccia di Rovereproibendo l'uso di “folia cocta” cioè di Sommacco bollito. Per la concia minerale, invece, si prescriveva di usare l'Allume di Rocca, escludendo però l’Allume poco puro proveniente, ad esempio, dall'isola di Vulcano.

Come sapete, la prima fase della Conciaprevedeva le così dette “operazioni umide di riviera” dette spesso anche: la “Ginestrella, il Rinverdimento, la Salatura o Scarnatura" eseguite di solito sulla sponda dei corsi d’acqua. Si trattava di bloccare il processo di decomposizione e putrefazione delle pelli grezze togliendo lo sporco, i connettivi superficiali, e i residui biologici di sangue e sterco dalla carcassa dell'animale. Alcuni usavano il fumo, altri il fuoco, altri ancora la salatura e lo sfregamento con grassi animali o vegetali per mantenere morbide le pelli che venivano perciò depilate e raschiate dal pelo, sgrassate, lavate e pulite mettendole poi nell’ambiente alcalino del Calcinaio dove rimanevano ad ammorbidire per uno o due giorni. Alcuni in questa fase curavano anche la Spaccaturadelle Pelli, soprattutto quelle Bovine, dividendole in più strati, in “fiore e crosta”, e immergendole in più sofisticati bagni di sterco di Cane o Uccelli.

Seconda fase: dopo opportuna scolatura, si rimettevano le pelli un’altra volta a macerare nel Calcinaio per un’altra settimana e più a seconda della stagione. Trascorsi quei giorni, le pelli venivano distese su un cavalletto o “galàro” e spellate ulteriormente in maniera accurata, quindi si mettevano in acqua corrente per quattro o cinque ore prima di sgocciolarle, cospargere di Vallonea sfarinata, e a volte cucirle a forma di otre per contenere l'estratto conciante vegetale: la così detta: “Rusca”, la Conciavera e propria che conteneva i Tannini della Vallonea, o del Castagno, Rovere, Sommacco, Quebracho, Mimosa, o le “galle” di Quercia di Piemonte, o la “passera” di Pino, o le cortecce del Sughero, Mirto o miscele di altre foglie e bacche. In alternativa si utilizzava, invece, il conciante minerale vulcanico dell’Allume di Rocca(alluminio) frammisto ad olii di pesce e resine. Le pelli quindi rimanevano per tre mesi e più a stagionare immerse o contenendo la Concia, venendo deposte in qualche ambiente o soffitta asciutta. Le pelli assumevano allora quel tipico colore da cuoio marroncino, oppure diventavano cuoio bianco più fragile, deperibile e non resistente all'acqua se sottoposte all’Allume.

Terza e ultima fase: le pelli venivano sottoposte alla Rifinitura prima della commercializzazione e il passaggio alla Varoteria mettendole “a vento”, ossia asciugandole inchiodate all’aria. Poi si spremevano e pressavano, si smerigliavano dal “lato carne o fiore”distendendole sul telaio, ed eventualmente si tagliavano su misura. Talvolta le pelli venivano anche tinte, ingrassate e lubrificate con oli e grassi d’animale, vegetale o minerale per ridurre ed eliminare la sensazione di ruvidezza al tatto.

La Concia era spesso un mestiere invernale perché durante l'estate ci si dedicava ai lavori agricoli ... Dai ritagli e dagli altri cascami delle pelli della Concia si ricavava anche la colla, ma, come ben sapete, col cuoio si realizzavano soprattutto: copricapo, selle, scudi, finimenti per cavalli e mezzi di trasporto, e si rivestivano mobili e libri, e molto altro ancora.

A Venezia si rifornivano di cuoio le Arti dei Caleghèri e Zavatèri, quella dei Bolzèri(valigeri), Vaginèri(foderi per spade e pugnali), e dei Cuoridoro(cuoi dorati per tappezzerie) che fin dai tempi remoti esercitavano l'arte di dorare le pelli e i cuoi per ricoprire pareti pigiandoli e folandoli con i piedi in acqua dolce. I cuoi e le pellicce Veneziani, venivano soprattutto esportati, e i Cuori d’Oro Veneziani, le scarpe, gli stivali, i guanti e le pellicce di Venezia erano considerati molto pregiati, ed era richiestissimi sia in Levante che in Ponente, nell’Europa del Nord, e fin nell’Asia più Orientale.

Curiosità nella curiosità:

Dopo l’antica moda pudica Bizantinache consigliava scarpe coprenti “a sandalo chiuso” decorate con fermagli, preoccupate di nascondere le “procaci caviglie” delle donne, si passò all’innovativa quanto bizzarra moda Francesedelle “pouaines o polognes” dette in Italia "scarpe alla polena". La Polena era il “tagliamare” della prua delle navi di cui le scarpe imitavano l'aspetto … Tragedia !

Si arrivò a realizzare scarpe a punta lunghe più di mezzo metro, per cui era necessario sostenerle con delle catenelle allacciate sotto le ginocchia per non inciampare ad ogni passo ... Boccacciosi scatenò nel descriverle: "… quelle punte lunghissime non altrimenti che se con quelle uncinar dovessono le donne e trarle ne' lor piaceri", mentre San Pier Damiani si scagliò contro quella moda dicendo: “certi calcei appuntiti come rostri d'aquila".

La moda comunque imperversò fin verso la metà del 1400 … cioè fin quando proprio i Calegheri Veneziani, che producevano da sempre: “calcarios et stivallos”, ed erano famosi ovunque per le scarpe "de somacho valentiano in cuoio finissimo”, non vollero essere da meno dei Francesi, e ispirandosi probabilmente al Levante s’inventarono una speciale novità. S’inventarono una comoda pantofola montata su zoccolo di legno decorato: i “zoppieggi e sopè” o “scarpe sotto piè”: un modello singolarissimo che andò a sostituire la vecchia moda delle “piannelle, zibrette e cancagnini” bassi, una pensata alternativa che andò immediatamente a ruba non solo fra le Cortigiane, Dame, Damigelle e NobilDonne Veneziane, ma sull’intero mercanto Europeo e Mediterraneo dove venne ovunque copiato e riprodotto.

Alcuni modelli di “chopinès Veneziani” arrivarono ad avere tacchi alti ben quaranta centimetri: buoni per l’acqua alta, o per camminare in zone fangose mi direte … ma anche per certe donne Veneziane basse che volevano farsi vedere “belle alte”.

Come per ogni moda storica ne derivò una vera e propria gara fra donne, ma anche fra uomini, fra chi “l’avesse avuta più consistente, alta e bella (la calzatura), tanto che alla fine dovette intervenire il Maggior Consiglioordinando che si smettesse d’usare quelle "scarpe infami"superiori “alla mezza quarta” (20cm) ... Il richiamo ovviamente venne disatteso, visto che quel tipo di scarpe imperversò diffusissimo ancora quasi per cento anni. I satirici dell’epoca dicevano che serviva una scala per baciare una donna ... ma intanto il mercato Veneziano andò a gonfie vele, e Scorzeri e VaroteriVeneziani, al pari di Guanteri, Bolzeri, Zogiellieri e Orefici, Lanieri e tutto il resto facevano affari d’oro … e la Serenissima prosperava.

Man mano che la Serenissima si espanse nella Terraferma buona parte del lavoro sulle pelli si spostò dalla Giudecca nei foli e nelle concerie della Dominante, anche se continuarono a convergere a lavorare a Venezia Scortegadorifin dall’Istria e dal Trentino. A Venezia rimase il “lavoro di fino, le rifiniture, e le attività più tipiche dell’Arte chi sapeva offrir al mondo il manufatto di gran pregio più raffinato”.

L’attività conciaria favorita dall’allevamento degli animali, dalla presenza dei boschi, e dalla notevole disponibilità d’acque e sorgenti adatte all’impianto di mulini, macine da Vallonia, foli, lavatoi e opifici, era già molto diffusa da prima del 1300 nei centri Veneti, cioè da prima dell’arrivo della Serenissima. L’Arte della Concia e dei Varòti fioriva a Verona, Bassano, Cittadella, Marostica, Godego, Chiampo, Arzignano, nell’Altopiano dei Sette Comuni che dal 1404 si affidò alla protezione della Serenissima, e a Vicenza, dove nel 1409 si costituì una Fratalia Teutonicorum dedita fra l’altro proprio alla Concia.

Venezia riforniva i paesi di materia prima importando pelli grezze da conciare da Barcellona, Valenza, Maiorca, Napoli, Pisa, Genova e dal Levante, mentre quelli di Terraferma le vendevano in cambio: legname e chiaro cuoio compatto colore nocciola dal buon odore di resina, oppure Camozzine e pelli Scamosciate (lavorate da Capra e Capriolo, non da pelli di Camoscio), o pelli di Daino, Bue, Vitello, Vacca e Vacchetta, Pecore, Montone e Agnellino utili per l’Arte della Selleria e Guanteria Veneziana, nonché per le vendite “minime”dei Varotieri che trattavano preferibilmente pelli di pregio.

L'Arte Conciaria si esercitò anche altrove in Italia: a Milano, Mantova, Bologna, Ferrara, Genova, Napoli, Parma dove nacquero Corporazioni che emanarono appositi Statuti, e in Piemonte dove c'erano concerie nell’Astigiano che fabbricavano i “marocchini” copiando quelli importati da Adrianopoli, Cipro e Persia, e colorandoli con estratti di bucce di Melograno, Curcuma, Kermes e Indaco … mentre in Val d’Aosta c’era l’Università dei Corciatores posta sotto la protezione di Sant'Orso e regolata dal “Codice delle catene” incatenato a uno scanno della Casa Comunale.

A Lucca secondo lo Statuto dell'Arte della Pelleriadel 1200 i Macellai potevano portare le pelli ai Conciatori di Borgo San Tomèo solo nelle ore notturne ... A Firenze, invece, l’Arte del Cuoio e delle Pellerie lavorava pelli, mantelli e cappelli essendo una delle Dodici Arti Maggiori ospitate presso la Loggia dell'Orcagna. Coinvolgeva nel commercio del cuoio e delle pelli famiglie prestigiose di Mercanti come erano i Peruzzi, i Bardi, e gli stessi Medici che si prodigavano a far “riflessare le pelli alla Fiorentina”, cioè le accostavano cucendole insieme di colori simili o diversi prima di darla a vendere ai Pellicciai-Varoteri… Curiosamente a Firenze le code di Vaio venivano impiegate anche per produrre pennelli da Pittori … e si conciava “a morticcio” o “a crudo” a seconda che le pelli di piccola taglia giunte asciutte venissero lavate e pettinate e messe a bagno in acqua, sale e farina per 15-30 giorni per diventare di pelo lucidissimo, o si trattasse di “pelli fresche” provenienti dal Macello Fiorentino che venivano: “scarnitate”, lavate con liscia, sapone e sale, unte con olio o burro, e messe dentro a un barile pieno di semola e battute con i piedi affinchè la segatura assorbisse l'unto del pelo che così restava morbido ed elastico.

Tornando a Venezia …. La Scorzeria e la Varoteria Veneziana davano origine a un ampio indotto, a un’intera filiera di Arti satelliti che derivavano e dipendevano dal cuoio e dalle pelli. La pelle come vi dicevo, guarnivano e foderavano un po’ tutto: borse, cinture, scatole, astucci, scudi, elmi e faretre, ricopriva, foderava e conteneva carte e libri: le Commissioni Dogali, le Mariegole delle Schole, i Libri d’Ore dei Nobili, le Bibbie, i Messali, i Cantorali e Antifonari delle chiese e Monasteri che venivano rilegati in “marocchino nero, marrone o rossiccio” … In questo settore i Veneziani erano considerati i migliori nell’esprimere eleganza e gusto. Fino alla fine del 1500 e ben oltre si foderava e decorava in cuoio lavorato imprimendolo a secco e con doratura in foglia d’oro a caldo. 

C’erano poi i Guantai, e le altre Arti dedite a produrre il così detto “prodotto frivolo” per le esigenze di molti e delle molteplici classi sociali. Le “ciroteche o mofele”, cioè i Guanti dei Dignitari, Nobili ed Ecclesiastici non erano solo di stoffa ... Per un certo tempo esistette in Europa il tradizionale gesto simbolico con cui chi alienava un bene donava i propri guanti all’acquirente al momento della transizione di vendita dell’immobile o del terreno come simbolica garanzia della validità e bontà del contratto intrapreso ... Il Doge di Venezia ogni anno riceveva in omaggio dai Guantai Venezianiquindici paia, soprattutto di candidi “Blancari” bianchi che piacevano tanto anche alle Signore dalla pelle pallida o candida, e si usavano anche in abbinamento, già da allora, con borse e cinture dello stesso colore. La moda giunse a offrire sul mercato guanti di pelle, ricamati, o ornati in oro e argento che venivano impregnati o cuciti insieme a profumi, ambra, acqua di rose, belzoino ed altre essenze odorose.

A Venezia, come altrove, esercitavano l’attività anche gli Artieri della Schola dei Selleri, Bolzeri, Tapezieri, Vagineri e Chincaglieriche pellegrinò di sede in sede fra le Contrade di San Felice dove trovò accordo col Capitolo dei Preti per “ridursi in chiesa o Sacrestia a Capitolo”, e per utilizzare di volta in volta l'Altare della Beata Vergine, o quello di San Giovanni Battista, di San Pietro o San Gaetano ... Dopo disaccordi con i Preti i Confratelli si trasferirono a San Gallo in Contrada San Ziminian presso Piazza San Marco pagando lire 49 e soldi 12 d'affitto, finchè dopo cinquant’anni la stessa Schola si trasferì ancora una volta a Santa Maria Formosa, e poi ancora: a San Fantin. Autorizzati tardivamente a staccarsi dall'Arte dei Marzerinel 1730, i Selleri-Bolzeri-Tapezieri-Vagineri-Chincaglieri Veneziani fabbricavano e vendevano: selle, valige e bauli realizzando anche tappezzerie per poltrone e divani … Pietro Longhi dipinse per loro per 6 zecchini un "Penelo da Morti"(insegna per Funerali) dipinto "da le due bande": davanti e dietro … Ancora nel 1773, i Seleri contavano: 6 CapiMastri, 12 Lavoranti e 3 Garzoni, mentre i Bolzeri annoveravano 28 CapiMastri, 8 Lavoranti e 16 Garzoni; i Tappezzieri: 6 CapiMastri, 6 Lavoranti e 2 Garzoni … finchè poi nel 1802 venne tutto soppresso, e ogni cosa di rilievo e valore di quelle Arti venne incamerata dal Demanio o venduta e dispersa.

Tornando all’Arte dei Varoteri, il suo simbolo era una croce a cinque raggi. Aveva sede presso i Crociferi o Crosichieri di Cannaregio dove sorgeva la Schola di Santa Maria de la Visitasiòn dei Varotereri al cui pianterreno c’erano collocate le tombe, cioè le Arche, per la tumulazione dei Confratelli Morti della Schola.

I Varoteri Veneziani si distingueva fra Varoteri d’Ovra Verao Varoteri de Ovra Vechia che vendevano pelli nuove o usate, e Pelizeri de Pelli de Ghiro che a Venezia furono sempre una specialità a parte ... Le pellicce erano molto usate a Venezia come altrove nelle grandi città e Signorie Europe e Asiatiche: non dovevano assolutamente mancare nei guardaroba dei Nobili e dei funzionari del Governo che spesso li lasciavano in eredità ai propri congiunti e amici. Il commercio internazionale delle pellicce era quindi fiorentissimo, e non poteva mancare a Venezia dove giungeva bestiame vivo da macello ma soprattutto una grande quantità di pellame dal Baltico, dalla Russia, dai Balcani e Ungheria, da Creta, dall’Egitto, da diversi Porti del Mediterraneo, e perfino da Santo Domingo e dalle Nuove Americhedove c’erano immense praterie per l’allevamento intensivo e la produzione di pellami adatti per gli insaziabili consumatori Europei. Da Venezia poi le pelli ripartivano confezionate per tutta l’Italia e per l’Orientedando vita a un settore commerciale aguerritissimo capace di movimentare ogni anno migliaia di ducati ... Nel 1430 il famoso Mercante Nobile Andrea Barbarigo prese accordi con venti Pellicciai Venezianidiversi: da alcuni comprò abiti per se stesso, mentre con gli altri rifornì di continuo di pellicce lavorate il Mercato di Venezia e della Tanatramite l’attività del suo agente Nicoletto Gatta Varoter Veneziano.

L’Arte dei Varoteriera un Mestiere riservato ai soli Veneziani originari: per diventare Mastro Varotaio bisognava oltre ad essere Veneziano d.o.c., anche aver lavorato almeno sei anni da Garzone e due da Lavorante con Prova specifica dell’Arte ... Nel 1690 si contavano a Venezia: 109 Varotari attivi in 22 botteghe: 42 erano Mastri, 28 Lavoranti e 37 apprendisti-garzoni.

Secondo la Promissione Dogale del Doge Giovanni Soranzo del 1312 i Pellicciai dovevano garantire l’opera di un loro Mastro per tener in ordine le pelli di Palazzo Ducalee del Doge … L’Arte offriva ogni anno al Doge: lire 6 di piccoli, e ancora nel 1803 secondo le note della Visita del Patriarca Flangini, continuava a finanziare la celebrazione in Santa Margherita di 13 Messe: “secondo le intenzioni e gli scopi dei CoFrati Varoteri della Schola”.

Una volta alla settimana i Giudici della Corporazione dei Varoteri, che in realtà Giudici veri non erano, appianavano piccole dispute tra gli iscritti all’Arte circa questioni inerenti fino a meno di 5 lire di valore, e imponevano multe agli iscritti-Confratelli fino a 40 soldi. Gli stessi Giudici eletti dalla Banca della Scholaavevano anche il compito di assegnare e ispezionavano le bancarelle di Rialto in Ruga San Giovanni e di San Marco in zona Basilicaogni sabato e durante la Fiera della Sensa alla quale partecipavano anche i Pelliparii-Conciatori della Giudecca che avevano Ruga a San Bartolomio di Rialto, e i Cerdones-Calzolai che avevano bancarelle in Piazza San Marco dalla parte di San Gimignano ... Nel 1337 Bertuccio Stevano Giudice dei Varoteri venne espulso dal suo incarico per aver consigliato il Gastaldo dei Varoteri di gettar via gli Statutidella Corporazione-Schola. Tre anni prima i Pellicciai si erano accorti che cinque di loro si erano accordati illegalmente stabilendo prezzi che ignoravano i dettami corporativi della Schola. Il Governo della Serenissima si premurò di multarli per aver realizzato accordi: “… in danno e in precudixio de li homeni de la predicta Arte et de tutta la Comunansa de la Cittade.”

Gli uomini dell’Arte dei Varoteri erano persone molto pratiche e concrete, spesso: scaltre, sospettose, attente, e molto coese fra loro. Un “Tiziano Pellicciaio grande e grosso” possedeva una proprietà in Contrada di Santa Croce, aveva seguito e poi era subentrato al padre nella professione sposando la figlia di un altro Varotaio. Aveva inoltre nominato Pietro De Bonaventura della stessa Contrada e Pellicciaio come lui, suo Esecutore Testamentario chiamando a testimone un Luciano Pellicciaioquando decise di lasciare una notevole somma di denaro al Clero di Santa Margherita per darlo “in caritade ai poveri” ... Sempre lo stesso Pellicciaio, lasciò come dote 300 ducati ad ognuna delle sue figlie, e scrisse anche che voleva essere sepolto nella chiesa dei Croxichieri, e che se non fosse stato possibile si sarebbe fatto tumulare nelle Arche della Schola Grande di Santa Maria della Carità di cui era Confratello.

Bartolomeo Trevisan era Varotèr pure lui, e venne scelto da Caterucia moglie del Pellicciaio Guglielmo da Pavia come Esecutore Testamentario. Possedeva uno schiavo, e prendeva accordi con i Macellai-Beccheri di Rialto che gli procuravano le pelli da vendere. Nel 1384 avendo ottenuto la Cittadinanza Veneziana dal Senato era emigrato da Treviso a Venezia ... In seguito era diventato Gastaldo della Schola di San Giacomo: massima carica della Schola e incarico fra i più considerati nell’intero Sestiere di Santa Croce di Venezia. Aveva come Padri Spirituali-Padrini altri due Varoteri: Tiziano Moreto Donato di San Giacomo e Trevisan Natale a cui si rivolgeva per consulenze e affari.

Bertuccio Merlo, invece, il cui fratello era Prete a San Simeon Piccolodivenne per due volte Guardian Grando della famosa e ricca Schola Granda di San Giovanni Evangelista: una delle sette più famose e potenti di Venezia, come capitò a un altro Varoter Vendrame in seguito.

Giovanni Bovo Pellicciaio di San Giacomo era Gastaldo della Schola di Santa Caterina d’Alessandria di San Stae.

Nicoleto Bianco Varoter era Gastaldo a Sant’Angelo, e venne ucciso mentre beveva a casa di un suo amico: Andrea Rastellofunzionario Governativo, da un suo Lavorante: Francesco da Modenacol quale aveva avuto un diverbio accusandolo di non lavorare … Il Pellicciaio Giovanni Saimben fungeva da Procuratore della Parrocchia, mentre Luciano Datale, Varoter pure lui, era Priore dell’Ospedale di San Giovanni di Murano Il Pellicciaio Marco Rosso di Santa Croce lasciò 50 ducati in beni e denaro come dote al suo schiavo.

Secondo l’Estimo del 1379: Augustin de Pellegrin della Contrada di Sant’Aponal era il Varoter in assoluto più ricco dichiarando 4.500 lire di grossi di capitale, seguito da Marco Rosso della Contrada di Santa Croce che dichiarò 4.000 lire ...  Sette Varoteri benestanti avevano reddito tra 500 e 1.500 lire: Nicolò Panciera della Contrada di Santa Marina a Castello possedeva 1.300 lire, Bartolamio de Ugolin di San Pantalon: 1.000 lire, Nicolò de Francesco Pelizer pure lui di San Pantalon come Zuan da Vanezo avevano rispettivamente 1.000 e 500 lire, mentre Luca Da Canal Varoter a San Boldopossedeva pure lui 500 lire. Zanin Saiben di San Simeon Grando Profetaera padrone di un capitale di 1.000 lire ... Altri quattro Varoteri avevano reddito di 300 lire: Donato Varoter a Santa Maria Formosa, Francesco Rizo Varoter a Santa Sofia di Cannaregio, Lorenzo Rosso Pelizer a Sant’Aponal e Palamide Pelizer a Santa Croxe.

Qualche anno dopo, era Mastro Pellizer Bartolomeo Brocha con 1.000 lire di Estimo ad essere uno dei sedici uomini più ricchi della Contrada-Parrocchia di San Giacomo dell’Orio. Possedeva una stacione-laboratorio in Ruga a Rialto, e nel 1364 affittò una volta-magazzino nelle vicinanze. Suo figlio Bernardo fece lo stesso mestiere, mentre sua figlia Margarita sposò un altro Varoter che viveva in Contrada di Sant’Agnese che allora era una delle zone più appetibili e strategiche del movimento commerciale Veneziano ... Due Varoteri fecero da testimoni il 29 maggio 1355 alla stesura del Testamento di sua moglie Fantina, mentre nel 1371 un Terrazziere Marco lo nominò Procuratore dei suoi affari, e il Calafato Antonio Rossolo designò a Testimone insieme a due Preti di San Giacomo della dote di sua figlia ... Una volta venne multato per aver tenuto luce accesa nel suo negozio di notte provando ad avvantaggiarsi slealmente sui suoi concorrenti in affari, ma per tre volte “la fece franca” tramite giuste conoscenze con Patroni altolocati ottenendo Grazia per crimini commessi da lui e da suo figlio. Non a caso era iscritto anche alla Schola Grande di San Giovanni Evangelista: associazione in cui confluivano Nobili e Nomi prestigiosi, ricchi e potenti come i Nobili Badoer ch’erano intrufolati e introdotti dappertutto … Accadeva ieri ciò che accade ancora oggi … Nel 1372 andò a risiedere in Contrada di San Simeon Grando.

Più di qualche volta, secondo le indicazioni della Mariegola della Schola, i Varoteri mettevano in piedi delle vere e proprie indagini private con adeguati compensi per scoprire eventuali mercanti ladri o imbroglioni, oppure la provenienza di pellicce rubate o di merce ricettata e contraffatta … La Serenissima fingeva d’ignorare e lasciava fare, anche se aveva “occhi e orecchi dappertutto … anche fra i Varoteri della Schola”… e intanto il commercio proliferava e continuava.

Secondo l’usanza delle Schole d’Arte-Mestiere-Devozione Veneziane, anche i Varoteri si radunavano “in Capitolo a Levàr Tolella”(la piccola stringa nominale in legno con inciso ciascun nome dei Confratelli che veniva infilata “come presenza” su un’apposita rastrelliera collocata in muro della Schola), così come partecipavano stabilmente ai “Corpi”: cioè alle Agonie e Funerali dei Confratelli e Consorelle Morti ... I Varoteriinoltre praticavano fra loro diverse forme di sovvenzione, carità ed assistenza ai propri iscritti fornendo Doti e Grazie per monacarsi o maritarsi alle figlie dei Varoteri … e organizzavano Questue a favore: in primis dei Poveri della Schola diventati tali per le disgrazie del mestiere, e poi s’interessavano eventualmente anche dei“miseri comuni della Contrada” dove vivevano e lavoravano.

In definitiva: la Schola dei Varoteri, pur essendo classificata come una delle Schole Piccole di Venezia, era benestante come i suoi iscritti. Fin dall’inizio del 1500, infatti, concedeva in uso gratuito alcune case-alloggio di sua proprietà agli iscritti poveri dell’Arte … Nel 1562 il Capitolo dei Varoteri decise che i Confratelli Poveri che avevano ottenuto l'assegnazione "gratis et amori Dei"di una casa della Schola dovevano essere sempre presenti alle Funzioni Religiose di Chiesa a nome della Schola. Se non fosse stato così, dopo la terza assenza sarebbero stati privati del Beneficio loro concesso ... Ancora nel 1661 la Schola dei Varoteri possedeva una rendita annuale di 488 ducati da beni immobili dati in affitto a Venezia, che nel 1712 si ridusse a 280 ducati, e a soli 24 nel 1740: quando si percepiva già che i tempi e i modi a Venezia stavano cambiando andando verso qualcosa di nuovo e diverso.

Accadde però nel 1657 il “fatto epocale” dei Varotieri: i subentrati Padri Gesuiti riammessi a Venezia acquistarono dalla Repubblica l'intero complesso che era stato per secoli dei Frati Crociferi di Cannaregio decidendo di ricostruire e ampliare l'antica chiesa-convento abbattendo tutta la serie degli edifici circostanti tramite i quali si accedeva per un arco anche alle Fondamente Nuove. I Varoteri della Schola de la Visitasiòn, come i Devoti della Schola de la Conceziòn, e le Schole di San Cristoforo, dell’Arte dei Passamaneri e dell’Arte dei Samiteri furono quindi indotte a trasferirsi altrove. I Gesuiti spostarono in fretta e furia in Sacrestia la pala del “Martirio di San Giovanni Battista tra i Santi Lanfranco e Liberio”consegnata nel 1610 da Palma il Giovane per la Cappella a destra del Presbiterio dove stava l'Altare della Scholadei Varotieri, e rasero al suolo ogni cosa riedificando tutto da capo.

Ai Varoteri quindi non rimase che trasferirsi altrove, e lo fecero andando a collocarsi definitivamente in Campo Santa Margherita nel Sestiere di Dorsoduro dall’altra parte della città, dove c’era sempre un mercato fiorentissimo, e c’erano frequenti possibilità di scambi commerciali. Nel 1725 portandosi dietro fra le altre cose anche la Madonna dei Pellicciai del 1501 tratta dalla vecchia sede, edificarono la Schola Nova collocando sopra alla porta della facciata sud un’apposita iscrizione che recita: “D.O.M. - AEDES ARTIS VAROTARUM - AB ANNO MDI - IVXTA TEMPLUM S MARIAE - CRVCIFERORUM DENVO LATITVU - EXTRUCTUM SITA - HICLOCI EX SENATVS CONSVLTO - AERE TVM P P SOCIETATIS IEVS - EX PACTO POST DIREMPTAS CONTROVERSIAS - TVM EIVSDEM ARTIS - AMOTO VICINAE OBICE - VENVSTIVS RESTITVTVR - ANNO M D C C X X V.”).

La Nova Schola dei Varoteri sorse quindi autorizzata dal Senatoisolata dal resto delle case per distinguersi, e venne costruita sfruttando il rimborso di quasi 2000 ducati che i Gesuiti delle Fondamente Nove avevano dato ai Varoteri come “bonauscita”. L’edificio tozzo, a pianta rettangolare e “in stile antico” ancora oggi visibilissimo venne realizzato giusto sulla comoda riva dell’antico Rio Businiaco detto solo in seguito Rio della Scoazzera prima d’essere interrato durante il 1800. Da li si poteva facilmente approdare e partire immettendosi con le barche nel vicino Rio di San Barnaba e poi direttamente nel magnifico Canal Grande ... Il 02 gennaio 1725: “il Tagjapiera Pietro Torresini, che ha laboratorio di pietre vive, robba nova e vecchia lavorata alle Zattere, rilasciò ai Confratelli Varoteri: una polizza per i lavori eseguiti nella costruzione della Schola Nova dei Varottieri in Campo Santa Margherita lungo il canale dove aveva messo in opera pietre da lui condotte, e pagato a sue spese peata et homeni.”

Infine nel 1738 si iniziò ad applicare a Venezia la “Regola del Turno”secondo la quale l’Appaltador doveva ripartire a rotazione le pelli ricevute dalle Beccarie di Rialto tra tutte le 32 Scorzarie della Giudecca. Nei decenni seguenti inoltre, avendo introdotto a Venezia “l’uso nuovo del cuoio all’Inglese”, cioè molto grezzo e poco conciato, molti ScorzeriVeneziani finirono con l’essere esclusi dall’Appalto della Concia per cui: “alcuni vivevano nell’opulenza ed l’atri andavano a mendicar impiego”Nell’ultimo terzo del secolo nei dodici laboratori-botteghe-Scortegarie rimaste alla Giudecca lavoravano circa 150 Scorzeri fra Garzoni, Lavoranti e Capimastri che non potevano conciare né pelli di Cavallo né di Somaro ... Non ebbe risultato la richiesta degli iscritti all’Arte di aumentare il prezzo del loro lavoro ammettendo che “per star nelle spese” ultimamente lasciavano parte del grasso e del “carnuzzo” attaccato alle pelli, e riducevano di tre mesi il tempo d’immersione delle pelli nel galàrocon conseguente calo della qualità e della durata del cuoio prodotto ... Poi la situazione degli Scorzeri andò precipitando: calò ulteriormente il numero delle Concerie, e i Conzacurame divennero tutti salariati “a soldi 9 per libbra di cuoio conciato netti di fattura” dei Partitantidi Rialto ... L’ultima Mariegola dei Conzacurame venne acquistata nel 1853 per 50 lire austriache da Emmanuele Cicognadal  Negoziante di Pellidella Giudecca Giuseppe Frollo.

Se per i Scorzeri-Conzacurame le cose non andavano molto bene, non è che per i Varoteri siano andate molto meglio: in parallelo a quegli eventi lavorativi ed economici incresciosi, per i Varoteri fu la fine, e il loro tempo finì ... Alla caduta della Repubblica l’Arte contava ancora 69 iscritti presenti in città, ma la moda della “modernità francese” proponeva fogge e costumi diversi, e anche buona parte dei Nobili e delle Magistrature che costituivano l’asse portante del lavoro e dei guadagni dell’Arte dei Varoteri venne “mangiata e cancellata” dagli eventi Storici … a Venezia, ma anche in tutto il resto del mondo si respirava ormai un’aria diversa, e la foggia delle pellicce e dei Varoteri “andò un po’ in cavalleria” ... Nel 1810, al momento della soppressione della Schola dei Varoteri, si trovò al suo interno una Pala d'Altare con altri tredici quadri di cui due "di gran pregio” portati a suo tempo dall’antica sede dei Crociferi: una Risurrezione di Lazzaro con Marta e Maddalena” dipinta da Carletto Caliari figlio del Veronese, e un“Gesù guarisce il paralitico” realizzata da Pietro Liberi Il 25 gennaio 1815: “… il Locale dell’Arte dei Varotteri in Campo Santa Margherita a Venezia affittato a Assagioli Angelo per 85:00” faceva parte della “Lista delle vigne, orti, beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezianei giorni d’asta 12 e 16 febbraio seguenti.”

Fu così che la ex Schola dei Varotieri divenne via via: deposito di carbone, forse Cinematografo dal 1910 al 1915, di sicuro: Scuola di Mistica e Propaganda Fascista, poi: Sede della Democrazia Cristiana, quindi Sede del Consiglio di Quartiere, e infine dopo l’ultimo risanamento strutturale: Ufficio Comunale a tutt’oggi.

Venezia e la Terraferma iniziarono quindi a vivere una nuova epoca con dinamiche economiche, sociali, religiose e lavorative diverse … Dopo il 1850 nacque la tecnica industriale del “bottale”: macchina rotante che accellerò di molto il processo dell’antica Concia. Gli Artigiani-Pellaiiniziarono a lavorare le pelli in poche ore, invece che in giorni e mesi come facevano un tempo ... Il nome di Varoteri andò in disuso fin quasi a scomparire … Nel 1910 si brevettò la Concia Chimica che ancora oggi usa Sali di Cromo trivalente, e siamo ai giorni d’oggi, quando nei Distretti Conciari del Comprensorio del cuoio Italiano s’impegnano più di 1300 aziende e imprese sparse fra Veneto, Toscana, Campania, Lombardia, Piemonte, Marche, Campania e Puglia ... Nel 2010 l'Italia ha prodotto in maniera industriale 128 milioni di metri quadrati di pellami e 10.000 tonnellate di cuoio-suola importando materie grezze da più di 122 Paesi ed esportando prodotto conciato finito in altrettante Nazioni.

E le pellicce … le Varòte ? … Sono diventate in buona parte sintetiche pure quelle sulla scia della sensibilità ecologista che un tempo era sentita e vissuta anche a Venezia diversamente.

Dei Varoteri oggi rimane solo quell’angolo singolare di Venezia che langue muto in fondo a Campo Santa Margherita nella sua quasi insignificanza dentro all’agitato mondo notturno degli Spritz, dell’evasione e delle Birre ... e di tutto il resto. Solo ogni tanto qualcuno alzo lo sguardo interrogativo verso quel casone tozzo e isolato rimasto in fondo al Campo.

Giorno fa a una famigliola di turisti curiosi di passaggio un Veneziano ha spiegato senza aggiungere altro: “Ah quella ? … A gèra a Casa del boia.”

Ma anche no … Gli antichi Varoteri si sono ribaltati nella loro polverosa tomba.

 


Muneghe Veneziane e Galline

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#unacuriositàvenezianapervolta 205

Muneghe Veneziane e Galline

Non ho saputo resistere dal scriverlo … Sapete come siamo fatti: il nostro cervello a volte procede “per associazioni” … L’altro pomeriggio una paziente in ospedale mi ha parlato del suo “singolare affetto”per le sue Galline che le mancavano tantissimo, e mentre uscivo sorridendo fra me e me dalla sua stanza, mi si sono accesi nella mente ricordi e associazioni “Venezianissimi”circa le stesse Galline.

Non ho potuto fare a meno di ripensare che nella Venezia di ieri, quella del 1400-1700 per intenderci, quando le Monache Veneziane erano costrette a vivere loro malgrado nei Monasteri dell’Arcipelago Veneziano combinandone di tutti i colori, e di tutto e di più ... c’entravano nei dettagli anche le Galline.

Le Galline ? … Si ... proprio loro: i pennuti animaletti razzolanti che ben conosciamo ... e apprezziamo al gusto.

Le Cronache e gli Atti Giudiziari e Pubblici della Venezia di un tempo sono prolisse e generose di dettagli e particolari nel raccontare quando succedeva nei Conventi Veneziani e Insulari: c’erano i Monachiniscapestrati all’opera, che li visitavano giorno e notte, scalavano pareti, scavalcavano muretti di cinta, li raggiungevano nottetempo con barche fino agli angoli più estremi della Laguna. Le Monache non erano da meno: si lasciavano rapire in gondola a termine di spudorate serenate e insistenti quanto sconsiderati corteggiamenti, e corrispondevano generosamente alle avance più estreme dando vita a un intero mondo di storie amorose e storiacce di ogni sorta.

Non lo racconto solo io, ma lo ricordavano quelli di allora sbracciandosi e ostentandosi dai pulpiti delle chiese e nei consessi civici dello Stato Serenissimo: “I Monasteri Veneziani sono dei veri e propri postriboli … dei puttanai.” sono arrivati a dire … Beh: qualche motivo doveva pur esserci no ?

Durante i restauri di certi Monasteri si sono trovati perfino murati dentro alle pareti i segni e i resti di certi parti clandestini accaduti dentro alle sacre mura claustrali … Ma non c’era solo quello, che era l’estremo: in certi Monasteri si viveva “alla grande”, né più né meno di come accadeva in tanti Palazzi Veneziani. Le Monache altro non erano che Dame Patrizie segregate in trasferta, che si permettevano lì dov’erano tutti i lussi e le libertà tipiche del loro ceto … Non c’era di che meravigliarsi: era un fenomeno che dilagava ovunque in giro per l’Italia e l’Europa intera.

A Venezia si provò di tutto per arginare quel fenomeno eccessivo: ci provarono con diverse forme di reprimenda sia l’Autorità Religiosa del Patriarca in connubio con l’Autorità Romano-Papale(da che pulpito venivano i richiami ! … di certo non erano il miglior buon esempio … ma lasciamo stare); sia l’Autorità Civica della Serenissima del Doge i cui elementi Nobili erano in realtà proprio coloro che avevano creato quella situazione.

Niente da fare ! … Il casino delle Monache durò a più riprese per secoli con alti e bassi. A Venezia ci furono sempre Monache scatenate e Monache ordinate e a posto ... Per secoli si distinse fra Monache Conventualicapaci di scandali di ogni sorta come le pompose Monache Urbaniste di Santa Chiara della Zirada o quelle di Sant’Anna di Castello, e Monache Osservanti indicando le Monache che in qualche modo “stavano alla Regola” vivendo con un minimo di coerenza la loro identità.

E ce n’erano … Non voglio essere di parte e sottolineare solo il marcio e il malcostume.

A Venezia c’erano Monache integerrime ed esemplari ... Cito un Monastero a caso, almeno in un certo periodo: quello dei Miracoli di Cannaregio dove le Monache Francescane poverissime e fedelissime alla Regola vivevano in ristrettezze totali dormendo su pagliericci pulciosi, tremando dal freddo d’inverno, e pizzicate dalla fame.

Le Cronache raccontano, infatti, di Dogiimpietositi che regalavano barche con carichi di legna o acqua, o sacchi di farina per poter fare un po’ di pane, o davano elargizioni in denaro a Pasqua e Natale per poter letteralmente tirare a campare … Ci fu perfino una volta in cui la Serenissima donò alle Monache un’intera Galea dell’Arsenalein disarmo perchè ne potessero fare legna da ardere.

Insomma a Venezia e in Laguna: c’erano Monache e Monache … C’erano quelle viziose del Monastero di San Vito di Burano, ad esempio, che di notte tiravano dalla finestra la corda della campanella appesa con un nastro rosso al membro di un fantoccio di paglia che certi Nobili vogliosi portavano sotto alle loro finestre cantando volgarità di ogni sorta … Poi passavano Badessa in primis “ai fatti” più spinti, e lascio a voi immaginare i seguiti … O c’erano, invece, Monache che vivevano di stenti in totale penitenza e miseria, orando e vegliando giorno e notte, e andando a questuare di porta in porta col sacco in spalla, senza neanche i soldi per pagarsi le medicine se erano ammalate.

Nella Venezia di ieri è accaduto sempre di tutto e di più: tutto e il contrario di tutto.

Ma torniamo alle Galline di cui volevo parlarvi.

In una e più Visite Pastorali e ispettive ai Monasteri con cui erano spesso costretti ad intervenire Vicari e i Patriarchi Veneziani spesso furibondi con le Monache, fra le tante “cose fuoriposto”che trovavano nei Claustri, c’era proprio la presenza delle Galline.

In certi Monasteri ce n’erano dappertutto: oltre che negli orti e nei giardini, ce n’erano a razzolare e raspare: in Chiesa, nei Refettori, nei Parlatori, nei corridoi, nei Chiostri, nelle Cappelle dei Santi e nella Cripta dei Morti, in Biblioteca … ovunque: fin dentro alle celle delle Monache oltre che nelle soffitte e nelle cantine.

C’erano Monache che proprio le allevavano in gran stile, e ce n’erano alcune che delle Galline facevano “mercato” a Rialto e in giro per le Contrade Veneziane dove si compravano “i vòvi e le gajne de le Muneghe” considerati di qualità.

“E’ inaccettabile ! … Non c’è decoro con quelle Galline a schitàr ovunque !” disse il Patriarca a una irrisoria e impassibile Badessa: “Ci sono Galline fin sui letti dentro alle celle delle Muneghe.”

Nei verbali delle Visite si riportò che la Badessa rispose sorniona al Patriarca: “E che preferiste Eminenza Reverendissima ? … Che ci fosse qualcun altro sul letto delle Muneghe al posto delle Galline ?”

Il Patriarca con i suoi Vicari se ne andò via sconsolato scuotendo la testa … Fu poi esemplare negli interventi che ordinò in seguito nei confronti delle stesse Monache Veneziane. Fece istallare inferriate a porte e finestre dei Monasteri ponendovi anche delle strombature verso l’alto in modo che non si potesse vedere più da fuori né dal di dentro verso l’esterno … Ordinò ancora di mettere catenacci e serrature sui portoni e sulle porticine di certi orti, Caneve, Lavanderie e Cavane che adducevano a canali dove giorno e notte si faceva baldoria entrando e uscendo dalle Stalle, dai Parlatori dei Monasteri dove succedeva di tutto: un bordello … feste e festini, banchetti, balli, musica, recite e mascherate che duravano anche tutta la notte.

Il Doge da parte sua mise in acqua qualche barca con alcun Fanti della Serenissima che facevano la ronda nei canali, e pattugliavano vogando intorno, e pizzicando ogni tanto … anzi: più che spesso, l’ennesimo gruppetto di Nobilastri, ma anche di popolani qualsiasi a caccia di facili avventure con le giovani e spesso aitanti Monache … E’ lunghissima la lista di quanto è accaduto, e di quanti sono finiti a Processo e poi puniti piuttosto severamente. I Nobili e Cittadini, ricconi e potenti, venivano mandati al confinio e al bando fuori da Venezia e dal Dominio spesso mettendo fine alle loro luminose carriere, mentre si ficcavano in qualche gattabuia buttando via la chiave o spiccandogli la testa dal collo a quelli che appartenevano, viceversa, a classi infime o qualsiasi.

Oltre a questo il Patriarca fece costruire muri divisori dentro ai Monasteri, abbattè celle di lusso obbligando alla condivisione nei Refettori e Dormitori comuni, trasferì Monache da un Monastero all’altro, proibì il proibibile, scomunicò, e fece rinchiudere “a pane e acqua”dentro alle prigioni monasteriali che spesso erano collocate dentro ai campanili dei Conventi.

Ci sono stati casi di Monache segregate “a vita”per espiare le loro bravate ed eccessi giovanili ... Povere donne: ree spesso d’essere vive e non aver potuto vivere liberamente come avrebbero voluto: “Basta con gli Animali nei Conventi e Monasteri ! … Macellate tutti quei benedetti Polli che ruspano dappertutto” tuonò il Patriarca verso le Monache Benedettine del Monastero di Ognissanti a Dorsoduro, ad esempio: “Basta riempire celle e chiostri con Cani, Gatti, Galline, Canarini e  Pappagalli, Pavoni, Pesci, Animali esotici, Scimmiette, Cavalli ... e perfino Rane e Rospi per diletto ... la Casa di Dio non è un Pollaio.”

Per la cronaca: c’erano Monache che giravano con uccelletti in spalla, o perfino con “animaletti carini” che emergevano o s’affacciavano fuori “contenti” dalla scollatura del petto delle Claustrali … mentre sotto ai Portici del Mercato di Rialto c’era perfino un banchetto di Galline e Ova gestito dalle Converse di un Monastero di Castelloche faceva concorrenza e invidia, e vendeva tantissimo tanto da suscitare le ire e le proteste degli Artieri Gallinari e Buttiranti di Rialto... Certe Monache avevano fatto letteralmente fortuna allevando in serie Polli e Galline nei Monasteri Veneziani facendosele rifornire di continuo da ogni parte delle campagne della Terraferma con Regalie e compensi dovuti nelle varie scadenze annuali di Pasqua, Natale, San Martino, la Candelora, e alla Festa della Madonna dell’Estate.

“Chicchirichì !” si sentiva fare al Gallo all’alba da dentro al circolo chiuso delle Monache dei Conventi Veneziani prima ancora che la Suora Campanara assonnata andasse a tirare la corda della prima campana “dell’Ave del Mattino”che segnava l’inizio della nuova giornata.

“Coccodè !” faceva entusiasta del suo nuovo uovo in un angolo del Coro-Barco delle Monache una Gallina seduta sulla paglia accanto ai piedi scalzi di un’altra Monaca intenta a cantare impettita sul suo lussuosissimo stallo intarsiato le Lodi o la fine del Notturno di Veglia.

Venezia era Venezia ... e forse il “BuonDiodelPianodiSopra”se la rideva divertito guardando quel singolare spettacolo che accadeva di sotto fra le acque spesso miti della Laguna Veneziana.



“Castellani e Nicolotti: non solo botte da orbi, ma ben di più.”

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#unacuriositàvenezianapervolta 206

“Castellani e Nicolotti: non solo botte da orbi, ma ben di più.”

 

Le mie “Una curiosità Veneziana per volta”sono senza pretese, sono solo semplici esternazioni di un Veneziano qualsiasi che ama ricordare come tanti la propria Città con le sue Storie e Tradizioni ... Dico questo perché so bene che su Nicolotti e Castellani si è già detto bene tutto, ma lo stesso ho voglia di ricordare ancora una volta il motivo di fondo da cui nacque probabilmente quella antica contrapposizione campanilistica, Contraddaiola e cittadina Lagunare.

Solo tardivamente la Serenissima fu abile a pilotare quella rivalità urbana trasformandola in tradizione sestierale e soprattutto in attitudine e “abilità alla guerra”: quasi un allenamento, una manifestazione popolare di forza dei Veneziani in vista di un eventuale nuovo conflitto.

A cavallo fra Leggenda e Storia, invece, la contrapposizione fra le due fazioni urbane Veneziane ebbe un preciso nesso e riferimento storico, cioè nacque da un singolare episodio reale che “sclerotizzò”da una parte di Venezia: quelli dal “berretto rosso” del Sestiere di Castello associati a quelli di San Marco e ai solitamente neutrali Giudecchini, mentre dall’altra si contrapposero quelli dal “berretto nero”, cioè quelli delle Contrade e Sestieri di Dorsoduroe i Cannaruoli di Cannaregio a cui s’aggregarono perfino i “Gnatti Muranesi”.

Tutto sembrò accadere nel lontano 1300, quando ormai la tradizione educativa e i principi sociali Religiosi e Civici dei Veneziani … e non solo di loro … erano più che assodati, praticamente ovvi e scontati: radicati per sempre nella mente delle persone.

Mi spiego.

Intendo dire che erano ormai secoli su secoli che Chiesa & Stato avevano imposto e trasmesso, impresso e imposto a tutta Europacerti contenuti diventati quasi un DNA obbligatorio, un “dictat esistenziale” per ogni persona.

Sull’intero Mondo Europeo, e quindi anche a Venezia, ancora un poco oggi, anche se in modo annacquato e ormai languido, vige nelle menti e nella sensibilità comune il costrutto Dottrinale Ecclesiasticoche indica come vivere o non vivere in vista del tragitto esistenziale finale fra Vita e Morte … L’assioma immutabile di fondo è sempre quello: tutto è nato e diretto a Dio… Tutto è creato e sgorga da Lui, e ritornava là da dove è scaturito … Di conseguenza: Chiesa & Civico erano i mediatori unici di quell’immane accadimento radicato in ogni cervello fin dalla nascita e nell’intera Societas Umana in maniera irreversibile e indelebile ... C’è poco da scegliere: è così e basta … Punto.

Di conseguenza qualsiasi cosa che succedeva ogni giorno doveva essere per forza “benedetta e voluta da Dio e diretta a Lui”… Era questione di Salvezza Eterna o Dannazione, che tradotto significava: “scelta fra Inferno e Paradiso”.

Ogni gesto e tempo del vivere era quindi declinato e scandito pro o contro quel destino e destinazione, e non poteva essere se non così ... salvo l’aggiunta tardiva della “stazione intermedia del Purgatorio”dove si sarebbe rimasti ibridi in attesa “a penare nella fiamma delle Anime Inquiete e Purganti” aspettando“la Misericordiosa Salvezza in pienezza” foraggiati dai suffragi e dalle spinte caritatevoli e oranti dei più ancora viventi ... Poveri Morti !

Per tutti il vivere era lo svolgersi e l’applicazione pedissequa di quella “disciplina e di quei valori normati da Bibbia e Vangeli, e soprattutto dalle indicazioni della Chiesa” al di là dei quali esisteva solo il Peccato, il Demonio e l’Eresia… In altre parole: “Chi non è con me è contro di me”, e si finiva bruciati al rogo se non si era d’accordo con buona pace di tutti ... oppure si diventava: “nemici del giusto vivere”, i “diversi” adatti ad essere obiettivi di Crociata.

Ma non c’era solo questo nel vivere di certi secoli Europei, c’era un’ulteriore radicale quanto magistrale ideologia … Una delle tante che ha prepotentemente segnato per secoli la Storia … C’era un “pesante di più”.

Ogni gesto dell’esistenza dal parto al cimitero era visitato, plasmato, scandito e quasi consacrato come “buono e valevole” da un preciso Rito e conferma Ecclesiastici… Chi nasceva poteva considerarsi vivo solo se Battezzato, così chi moriva poteva essere tale solo attraversando il Rito del Funerale Cristianofinendo inumato o sepolti e non disperso nel nulla … In mezzo c’era tutto il resto che conoscete benissimo: cioè la “campana dell’Ave Maria”scandiva inizio e fine di ogni giornata, e ancora “la campana della Chiesa e di Dio” determinava l’inizio e la fine del lavoro, sanciva l’Amore e il Matrimonio, e ancora il Prete entrava a visitare non solo la Malattia e la Vecchia distinguendoli dall’essere Indemoniati o Reietti per colpa dei Peccati …  e ancora su ancora: ogni gesto e stagione che si succedeva doveva essere etichettata di Preghiera, Litanie, Rogazioni e Giaculatorie perché tutto non fosse “opera del Maligno” ma bensì della Chiesa e della Divina Provvidenza.

Dimenticavo … anche le Coscienze e l’Intimo personale, soprattutto quelli erano prerogativa quasi ossessiva di Frati, Papi, Vescovi e Preti… L’intera vita era un discernere e scegliere da “che parte stare” e come destreggiarsi fra colpe e peccati di ogni sorta … Ogni fatto del vivere era sospeso fra Bene e Male e fra Peccato e Virtù ben declarati, illustrati, e puntualizzati fin nei minimi dettagli dall’intramontabile connubio Chiesa & Stato.

Chiesa e Stato, sempre a braccetto lungo i secoli furono sempre ben disposti a riconoscersi e consacrarsi a vicenda, hanno spartito quasi equamente questo immane potere, e sono stati sempre astuti per non dire furbi nell’elencare e declinare liste su liste di “mali” da confessare e su cui emendarsi in varia maniera.

E veniamo al dunque …

Tutto questo ambaradan, questo immane “castello di principi e concezioni” era poi traducibile in un prezzo da pagare … Perché gira e volta si arriva sempre là: tutta quella Salvezza o “mancata Dannazione” era un tributo da pagare ai Due Potenti, e piano piano corrispose a una serie di specifiche tariffe ben elencate.

Esempio su tutti ? … Compivi un omicidio o una grossa ruberia … Beh: potevi cavartela lo stesso, e trovar“perdono”Pellegrinando fino alla Terrasanta, Roma, Assisi, Loreto, Santiago di Campostela, San Michele del Gargano… Facevi testamento prima di partire, perché spesso non tornavi, e lasciavi tutto in custodia alla Chiesa per darlo eventualmente ai poveri, cioè a se stessa … Poi andavi espiando, cioè offrendo elemosine, pagando penitenze, finanziando ovunque il “sistema”, e magari al ritorno, se eri ancora vivo, anche lo Stato si sarebbe dimostrato clemente accorciando la pena che ti aveva imposto ... magari ti dava una bella multa supplementare, o ti riduceva gli anni di carcere o da trascorrere incatenato a vogare un remo.

Per avere plateale conferma ed esempio di tutto questo andate a vedere le “Penitenze Tariffate” della Chiesa di certi secoli, dove vedrete come la Chiesa è giunta proprio a quantificare in denaro l’errore che ciascuno poteva aver commesso precludendosi la Salvezza Eterna. Serviva pagare insomma, e tanto, e sempre, e senza fine per non finire dalla parte sbagliata della Bilancia di San Michele Re e Interprete a nome di Dio della Giustizia e Valutazione Finale che sarebbe scattata alla fine di ogni esistenza: l’apocalittico e terribileGiudizio Finale.

Tutto questo generò paura, una paura atavica, impiantata nel profondo di ogni esistente, una paura simile a quella dei Galliche temevano che cadesse loro il Cielo in testa ... Una paura “da mille o non più mille” in cui si temeva la fine di tutto, soprattutto di se stessi.

Perdonate la precisazione di questo pistolotto, ma era per sottolineare come nessuno si sentiva escluso da quella logica sociale, e dal vivere secondo quel “Codice di Vita”. Tutti secondo le proprie tasche si adeguavano a “cercar Salvezza” sborsando per tutta l’esistenza alla Chiesa connivente con lo Stato.

La cosa divenne in moltissimi casi, quasi nella totalità delle persone, una vera e propria ossessione … Andate a vedere quante Mansionerie di Messe Perpetue i Nobili Veneziani pagavano per testamento “per la Salvezza della loro Anima”: un’infinità !

Chi poteva permetterselo pagava la celebrazione di migliaia di Messe per guadagnarsi la Salvezza. Per chi era meno abbiente c’era la possibilità di “scalare” nei versamenti, nelle elemosine e nelle elargizioni: “per la Salute di me e delle Anime dei miei cari”pagando meno, o a rate, o in maniera estremamente differenziata … Esistevano Messe per ogni tasca: lisce o basse e lette da pochi soldi, poi in terzo con tre Preti, e cantate e solenni … e poi Esequi, Anniversari e via dicendo: il catalogo della Salvezza era ricchissimo ... Insomma: bastava pagare.

Ogni gesto del vivere, ogni cosa aveva una corrispondente Tassa da pagare… Si pagava per nascere e morire, si pagava per il raccolto e le Feste, per gli sbagli e i successi della Vita, per quanto si faceva e quanto si sarebbe potuto fare ... Un immenso circone e soprattutto un gran giro di soldi.

Ma torniamo ai Nicolotti e ai Castellani Veneziani di cui volevo parlarvi.

Nella Venezia del 1300 Bartolomeo Querini ex Piovano della Contrada e Parrocchia di San Pantalon diventò Vescovo di Castello cioè di Venezia, e come liberalità e affetto per la zona in cui aveva operato la esentò dal pagare la “Tassa sui Morti”.

Fu di certo una benedizione per quella parte dei Veneziani che andò a coinvolgere anche le limitrofe Contrade di Santa Margherita appena al di là del Ponte e del Rio di San Pantalon, ma anche quelle misere dei Pescatori dell’Anzolo e di San Nicolò della Mendigola, e perfino quelle vicine di San Barnaba, San Basilio e San Trovaso ... Una bella roba insomma, un sollievo per tutti.

Accadde poi nel 1311, che Ramberto PoloVescovo di Castello-Olivolo successore del Querini, storicamente non ancora titolato come Patriarca, non gradisse quell’esenzione concessa dal predecessore, per cui determinò che si riprendesse a riscuotere da parte di tutti i Veneziani la solita Tassa Funeraria ... erano soldi: e non pochissimi.

Apriti cielo ! … i Veneziani interessati non ne vollero sapere: quello doveva essere un privilegio-esenzione perpetua.

Tira e molla: il Vescovo con i suoi da una parte, i Contradaioli Veneziani dall’altra … Si venne prima alle baruffe e poi alle mani, finchè quando il Vescovo si presentò per l’ennesima volta a Dorsoduro con tono severo e pretenzioso dal Piovano della Contrada di San Pantalon: Prè Bartolomeo Dandolo, i Veneziani in un gran tumulto e insorgere di popolo semplicemente lo fecero fuori.

Si si … Proprio uccisero il Vescovo di Venezia presso il luogo chiamato da allora: “il Malcantòn”(zona vicina ai Carmini e Piazzale Roma), e tutto accaddeper via di quella Tassa Mortuaria che nessuno voleva pagare … e a ragione.

Ed eccoci al dunque: mezza Venezia venne immediatamente scomunicata, giudicata rea e meritevole della Dannazione Eterna, mentre l’altra metà di Venezia, quella “buona e obbediente”, si contrappose a quella “cattiva”… Ed ecco qua quindi: Castellani e Nicolotti.

La Leggenda Veneziana poi infiocchettò e abbellì di dettagli quella contrapposizione storica con la Lotta dei Pugni in cima ai Ponti, con le Regate in Barca, e con le dimostrazioni e contrapposizioni “di forza” in Piazza e davanti al Doge delle due fazioni … Si disse che al termine di una storica contrapposizione si sarebbe deciso“a suon di botte” quale delle due Fazioni fosse stata la prevalente, cioè la migliore … I Rossi di Castello Arsenalotti chiamati spregiativamente “Gamberi Rossi”, o i Neri Pescatori e Barcaroli di Dorsoduro detti “Ombre da Morto”?

Vinsero quelli di Castello dichiarando gli altri in modo spregiativo come Nicolotti cioè: poveracci, morti di fame, mentre se avessero perso loro sarebbero stati nominati: “Bragolotti”, cioè “fangosi”, riottosi e bassi come un porco nello stagolo … “Merdosi” insomma ... Erano espliciti i Veneziani di un tempo.

Mi fermo qua: il resto lo sapete già meglio di me ... Tutto in seguito divenne tradizione Veneziana e celebrazione ludica annuale “tipo regata”, una sorta di gara agonistica, “una guerra a canne e bastoni, pugni e calci, botte e coltelli e sciòmpe in acqua”, che finì con l’allietare i Veneziani d’altri tempi.

Una mattina qualsiasi di febbraio 1848 si rinvenne sui gradini dell’altare della Madonna della Salute due sciarpe rosse e nere: Castellana e Nicolotta, annodate insieme ... Venezia stava lottando unita contro gli Austriaci “Peste di turno” calata a ghermire Venezia.

Io sono orgoglioso adesso di abitare a Santa Marta: terra dei Nicolotti di San Nicolò dei Mendicoli dove nell’aria aleggiano ancora spumeggianti quanto invisibili queste belle memorie storiche Veneziane.



 

 

 

 

Santa Margherita abita a Venezia

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#unacuriositàvenezianapervolta 207 … Attenzione: prodotto ostico, pesante e noioso, non adatto a chi ha fretta e non ha tempo e voglia.

Santa Margherita abita a Venezia

Campo Santa Margheritaè luogo oggi da sballo, ma anche da nostalgia e memoria … Io ho vissuto lì per diversi anni: so dov’è, cos’è, com’è … e so anche come si è trasformato e che cosa è diventato oggi. Da campo iperattivo delle cose di tutti i giorni e del vivere spicciolo popolare di Contrada, campo politico e del lavoro, cassa di risonanza dei bisogni sociali … a parco dell’evasione traslucida alterata dell’affidamento al sapore dell’alcol e della droga, e del “qua qua qua & bla bla bla”fine a se stesso.

In mezzo al Campo qualche decennio fa c’era la sala giochi, ma succedeva anche la vita e il lavoro di ieri con “la pescaria”, i banchetti, i fiori, la panna con gli storti, la Merceria allo Stendardo, “el Capòn” e le Osterie, la macelleria “dei tòsi”all’angolo, le panche delle chiacchiere fra gli alberi e i pozzi, l’edicola e i concerti sul palco della musica e delle manifestazioni del Carnevale … Prima ancora c’erano i panni stesi ad asciugare allineati sulle corde delle “forcàe”a flottare al vento e nel sole.


Esiste un libro bellissimo che riassume in parte tutto quel mondo scomparso di ieri: “Santa Margherita: una Repubblica.” di Giovanni Sbordone… Me lo sono “bevuto e sciroppato” più volte, a leggerlo ti sembra d’essere ancora là a vivere quel tempo andato ... Sappiamo bene però che tutto quel mondo andato, passato e ormai consumato: non esiste né tornerà più.

Tuttavia voglio parlarne … Giorni fa una che mi legge saltuariamente vedendo una foto che ho pubblicato su Draghi e Leoni Veneziani mi la lasciato basito: “Sono foto che certificano la presenza di figure aliene in Laguna … Le abbiamo sempre avute sotto agli occhi, ma è come se non li vedessimo…”

“Mamma mia !” mi sono detto … e sono ancora qui a pensarci: “Incredibile !” ho aggiunto fra me e me: “Quelle sono semplicemente le statue che rappresentano il vecchio Mito-Leggenda delle Storie di Santa Marina e del Drago … Altro che alieni in vacanza a Venezia!”

Mi sono detto ancora: “E’ meglio se scrivo un po’ circa quei manufatti curiosi che ci trovano ancora oggi all’angolo di Campo Santa Margherita … Sono là sotto agli occhi di tutti, ma rischiamo di perdere il loro autentico significato.”

Sono consapevole che non esiste peggior sordo di chi non vuol sentire”, e che se uno si è messo in testa che quelle statue sono certificati e carte d’identità di alieni sarà difficile smuoverlo da quella sua certezza … Che fare ? … Ci provo lo stesso a dire come sono andate un po’ le cose in quella parte di Venezia.

Inizio col dire: c’è stato davvero un Ospedale in Campo Santa Margherita ? … Si: c’è stato … Sorgeva proprio accanto alla Corte dell’Aseo come riferisce una nota storica … Ed era un Ospizio-Ospedaèttoincorporato alla chiesa di cui era prolungamento e complemento avendo l’unica facciata sul Campo prima che la chiesa venisse “voltata” verso la Calle. L’Ospedale possedeva una sua vistosa insegna pubblica ben visibile ancora oggi: è quella grande statua di Santa Margheritainfissa in parete in alto all’edificio che chiude la quinta scenografica delCampo Santa Margherita. Altre sparute note storiche raccontano che dall’Ospedaletto si riusciva a passare direttamente in chiesa, e ci si affacciava al suo interno come se la chiesa fosse unica cosa e prolungamento dell’Ospizio-Pizzoccheraioe viceversa.

Probabilmente l’Ospedaletto ha seguito le vicende della chiesa e della Schola di Santa Margherita e viceversa ... La chiesa a un certo punto: nel 1687 precisamente, subito dopo la grande Pestilenza-Moria che affossò e martoriò Venezia, venne voltata e rifatta … Ci furono lasciti e finanziamenti, perciò i Preti del Capitolo di Santa Margherita provvidero a ingrandimenti e miglioramenti radicali dell’edificio della chiesa … Ne beneficiarono anche le “conviventi” attività assistenziali ? … Si: di certo, perché come dicevo poco fa: Chiesa-Schola-Ospizio erano un tutt’uno inscindibile … Santa Margherita era insomma un altro di quei “pacchetti sanitari urbano” tipici di Venezia: un’altra piccola cittadella assistenziale come quelle di San Giobbe o Sant’Anna di Castello, e diverse altre in città molto utili alla popolazione e a servizio efficace del territorio.

Sanità d’altri tempi a Venezia … In Laguna per secoli la Salute del Corpoè andata perfettamente a braccetto con la Salute dello Spirito in maniera inscindibile: era arduo distinguere il labile confine che c’era fra l’uno e l’altro. Di conseguenza in diverse Contrade Veneziane, e quindi anche in Campo Santa Margherita si confondevano e sovrapponevano Rimedi e Semplici con Litanie e Suppliche ai Santi e alle Madonne, e dove finiva la chiesa iniziava l’Ospizio-Ospedaletto, mentre dove terminava la Schola si andava ad affacciarsi nelle due attigue Spezierie del Campo, e dove finivano i Pretiincominciava e si prolungava l’opera della Serenissima.

Il complesso dell’Ospedalettodi Santa Margheritaavvolgeva e comprendeva quindi la chiesa estendendosi fino al Rio di San Pantalon o di Cà Foscari, e includeva la Spezieria dell’Ospedaletto che esiste tuttora trasformata in Farmacia ai piedi del Ponte dove un tempo sorgeva l’entrata principale dell’Ospedaletto:una specie di reception-caxetta ricoperta da ScacciaDiavoli… Il motto dell’Ospedaletto poteva essere: “Via ogni Male con la Patrona Santa Margherita !”… e di male, malattie e miseria ce n’era moltissimo sia in Contrada che in tutte quelle limitrofe.

Se andate a vedere nei Catasti Napoleonico e Austriaco vedrete che tutta la zona era ancora evidenziata come unico complesso inscindibile che includeva la chiesa ... Purtroppo rimangono scarsissime tracce di tutta la vicenda inerente la Schola-Ospizio-Ospedaletto.

L’Ospedal de Santa Margherita poi non va confuso con un altro Ospedalettoche sorgeva poco distante: l’Ospizio Contarini. Si trattava di 8 semplici caxette-cameracucina che s’affacciavano su una corte interna da un ballatoio ligneo visibile tuttora … Il piccolo complesso assistenziale fu voluto da un Nobile Contarini che lo fondò per ospitare meretrici pentite fin dal 1407: “… si qua peccatrix publica vel occulta vellet se reducere ad benefaciendum et dimittere peccata, dicta domus sit disposita ad recipiedus tales peccatrices et eas retinendum.” ... Una pàtera un tempo murata sulla facciata dell’Ospizietto è stata spostata nella vicina Calle del Magazen.  Raffigurava la Leggendaria Santa Maria Egiziaca: la famosa Peccatrixrifugiata fra le sabbie del Deserto insieme a San Zosimo(che non è Pope Zosimus: il Santo Ebreo, bensì il Santo Greco-Ortodosso Monaco e Anacoreta che assistette e alla fine seppellì Maria Egiziaca). L’Ospizio Contarini esiste ed è abitato ancora oggi come parte dell’Opera Pia Zuane Contarini gestita dall’I.R.E. di Venezia, ed è visibile in Calle Ramo Secondo Cappello al civico 3373/a ... E’ suggestivo riconoscerlo … Alla sua gestione un tempo la Serenissima delegò ben Sette Commissari.

Poco distante, sempre in Campo Santa Margherita, esistevano altri due Ospizi confinanti fra loro: lo Scrovegni e il Boccoentrambi prospicenti sul Rio della Scoazzera, cioè la discarica pubblica a cielo aperto sulla Secchera del Rio, oggi interrato, che nel 1700 lambiva la famosa Schola dei Varoteri…. Gli Ospizi sorgevano nella parte brutta e puzzolosa della Contrada: nella zona meno appetibile e adatta all’insediamento delle attività dei Mercantie per le residenze sontuose dei Nobili Veneziani.

L’Ospizio Scrovegni fu voluto col testamento del 1421 da Maddalena Scrovegni figlia di Ugolino(quello che commissionò la celebre Cappella Scrovegni di Padova). Donna ricca ed erudita, la Matrona Padovanaaveva casa e abitò a lungo in Contrada di Santa Margherita da noi a Venezia, e fu per l’affetto verso la gente della Contrada che destinò un cospicuo lascito-capitale per dare alloggio a donne povere del posto. Il suo lascito venne posto affidato alla tutela e giurisdizione dei Proveditori de San Marco de Citra.

Il contiguo Ospizio Bocco, invece, venne eretto “per testamento 18 novembre 1403” di Meneghina Relicta (Vedova)di Zane Bocco della Contrada di San Salvador. In quella Contrada limitrofa a San Marco i due coniugi avevano voluto fondare dodici caxette, cioè dodici posti letto (spesso monolocali con semplice angolo cottura e senza servizi) per altrettante povere donne: “bòne femmine” che avevano obbligo di residenza stabile e di non subaffittare il locale, né di ospitare altre persone. L’Ospizio di Campo Santa Margherita fu l’evoluzione e la sintesi di quell’iniziativa forse troppo costosa da mantenere, perciò si unificò tutto compattandolo in un unico edificio suddiviso in più piani destinato allo stesso scopo: fu l’Albergo Margherita detto poi Ospizio Bocco.

La stessa Madonna Bocco, inoltre, nominò Esecutori Testamentari i Proveditori de San Marco de Citrae le sue figlie con i generi. Legò argutamente per il mantenimento dell'Ospissio anche la rendita di una casa di sua proprietà sita in Campo San Salvador data in affitto. In morte la Bocco volle beneficiare lasciando ulteriori lasciti anche la Fraterna de le Preson e la Schola de la Concesiòn dei Orbi di Contrada San Moisè.

Lungo i secoli fu esemplare la gestione di quegli Ostelli-Ospizi, finchè finirono con l’essere trasformati come tanti altri in abitazioni private dopo vari passaggi di proprietà iniziati con l’arrivo a Venezia di napoleone. Ripudiando e non rispettando la vocazione primitiva di quei luoghi lasciati con un ben preciso motivo assistenziale-caritatevole, sia Chiesa che Civico, che Congregazione di Carità e I.R.E. si dedicarono a guadagnarci ampiamente sopra in barba ai principi che tanto acclamano e ostentano. Hanno venduto quasi tutto, affittando a conoscenti non bisognosi, trasformando, e riavviando come alberghi a scopo di lucro turistico … E’ la Storia di Venezia … Cosa che conosciamo bene ormai.

Torniamo però ora a Santa Margherita con la sua Chiesa e Campo dicendo due parole sul senso della Leggenda di Santa Margherita che i Veneziani di diversi secoli avevano ben chiare e presente in mente ... La faccio breve.

Come ho avuto modo di ricordare recentemente, Santa Margherita intanto non è mai esistita: era Santa Marina il cui nome e storia vennero sdoppiati tanto da farne due Sante distinte, parallele e dalle storie-leggende simili … Niente di strano ! … Cosa normalissima soprattutto a Venezia, dove con le Storie e Tradizioni Santeresche e Mariane si è fatto ben di più: da un Santo ne sono fatti venire fuori quattro e più, e circa la Madonna non si riuscirà mai a riassumere di quanti tipi era, e ancor meno sapere quale immenso guardaroba di singolarissime e santissime Reliquie possedeva … Se mettiamo insieme tutte le Reliquie dei Capelli della Madonna doveva avere una capigliatura cinque volte quella di Branduardi, mentre se contiamo le Reliquie degli Abiti della Madonna doveva possedere un emporio di abiti da far invidia a Ermani o Benetton … Lasciamo stare però questo dettaglio “per non stuzzicare il can che dorme”.

Santa Margherita insomma, al pari di molti altri Santi e Santi faceva parte della Categoria dei Santi Sauroctoni… cioè di quelli che hanno avuto a che fare col Dragoche rappresenta il Male del Mondo ... La lista è lunghissima anche a Venezia: in primis San Giorgio seguito a ruota da San Teodoro, Santa Giustina, San Silvestro e poi tutti gli altri … Il significato del Drago lo si conosce: era la Bestia Maligna e Demoniaca in cui si riassumeva e personificava ogni forma di Male Antico contro cui l’Umanità di sempre aveva dovuto scontrarsi, confrontarsi e combattere … I tanti Covid accaduti lungo i secoli per intenderci … Per Venezia poi: il Mareera anche il luogo dove abitava il Male perché insieme ai guadagni delle avventure mercantili della Serenissima, dava anche occasione di Morte, naufragi, perdite, disastri, piraterie e sconfitte ... Ne ho già parlato qualche giorno fa: non è stato un caso se in Piazza San Marco si è inalberato sulle colonne il Leone Draghiforme accanto e a un altro Drago posto sotto ai piedi del San Todaro: Venezialungo i secoli è sempre stata disposta a combattere contro ogni forma di Nemico e Male che in qualche modo si presentassero a limitare i suoi ideali e desideri soprattutto economici.

Santa Margherita aveva una sua curiosa Storia-Leggenda antica, che non vi racconto per non annoiarvi … Andatevela a vedere: fu l’ennesimo esempio di figura di SantaPatrona che erompeva dal cielo sopra Venezia per scendere a dare una mano al vivere di quelli della Contrada Veneziana con tutti i suoi problemi spiccioli quotidiani.

Andando alla Storia e alla Tradizione Veneziana, la chiesa di Santa Margherita risulterebbe fondata ed edificata, anno più anno meno, intorno al 837: al tempo del Doge Pietro Tradonico. Venne finanziata e fatta costruire da Geniano Busignacco padre di Mauro o Maurizio-Vincenzo, che come quinto Vescovo di Olivolo-Castello consacrò il nuovo edificio di Culto nel 853(morì dieci anni dopo quel gesto) dopo esserne stato uno dei primi Piovani. L’edificio originale di cui rimane la statua di Santa Margherita inclusa in alto nella facciata prospiciente il Campodopo la rifabbrica della chiesa nel 1034, era rinomato come racconta il Sabellico,perché aveva una cappella centrale cupolata, dorata e decorata da mosaici bizantini sostenuta da quattro grandi e grosse colonne di marmo orientale: “… aveva inizialmente abside tutta d’oro adorna di mosaici d’una meravigliosa antichità e da una grande cupola sostenuta da quattro splendide colonne di marmo orientale …”

Non a caso il Rio che attraversava il Campo prese quindi il nome di Rio Businiaco, come attestano documenti del 982 dove si accenna che lì sorgevano: “… aliis duobus aquimolis positis in Rivo Businaco” di proprietà di Tribuno Memmo ... C’erano cioè due mulini ad acqua funzionanti in Contrada … Provate un po’ a immaginarveli insieme alla Venezia e alla Contrada di allora  Nel 1013 si segnalava addirittura la presenza di un Lago e  Rio Businiaco: “… lacu de aquimolum desertum que est posito in Dorsoduro iuxta Rivo Businiaco...” passato in proprietà dai Memmo ai Monaci Benedettini del Monastero della Santa Trinità e San Michele di Brondolo di Chioggia allora molto potenti e ricchi.

Più di cento anni dopo, nel 1130, i documenti parlano di:“… pantano in capite Rivo Businiaco …” nella Contrada-Confinio di Santa Margherita, dove  abitava Pietro Malaza che andò ad attestare insieme a Pietro Venier e Vitale suo figlio dal Confinio di San Cassian presso Johannes Presbiter et Notarius a Rialto circa l’avvenuta esecuzione dell’obbligazione con cui Serzi dal Confinio di San Giovanni Confessore (Crisostomo) sposò sua figlia Englerada con Matteo Manolessodal Confinio di San Gervasio (San Trovaso) promettendo alla figlia lire 200 come “repromissa”, e lire 100 allo sposo “pro honoricentia” ... Che confusione di dati vero ? … Ma andò così.

 

Nel 1168 un violentissimo incendio storico avvolse quasi tutta Venezia facendo diventare un cumulo di cenere e macerie le chiese e Contrade dell’Anzolo, San Basilio e San Barnaba, e nell’OltreCanalequelle di San Samuel, San Luca e San Beneto. Si salvarono rimanendo quasi miracolosamente intatte le Contrade di San Vidal, Sant’Anzolo, San Maurizio, San Bartolomeo di Rialto, San Zulian e San Fantine nell’OltreCanale: Santa Margherita e San Trovaso.

Nel novembre 1195 Giovanni Barastro del Confinio di Santa Margheritaera Procuratore dei redditi e dei terreni in Costantinopolidel Comune di Venezia ... mentre nella seconda metà del 1200 Johannes Flabanico Chierico di Santa Margherita era uno dei Notai più famosi, ambiti e ricercati di tutta Venezia.

 


Correndo il Tempo … Nel 1314 si decretò l’interramento della zona paludosa, la così detta Piscina di Santa Margherita, determinando l’esistenza dell’attuale Campo e bonificando aree che divennero utili per successive edificazioni. In precedenza nella stessa zona s’erano create alcune Chiovere utilizzate dai Tintori di Panni, soprattutto da un certo Zanino de Lismano, che ottenuto il permesso d’estendersi e allargarsi di circa 26 passi e 3 piedi, creò un suo laboratorio sulla troppo molle Palude Businiaca che si crepò facendo crollare l’edificio.

 

Nel 1325 Marino Civran era Plebanus di Santa Margherita, e cinque anni dopo una certa Pizzocchera Bisina o Risina Vendramin iniziò a versare ai Preti di Santa Margherita un canone d’affitto annuo di otto grossi fabbricandosi nel campanile della chiesa una piccola celletta dove viveva solitaria da eremita. Ogni giorno la donnina attraversando un piccolo passaggio interno ricavato fra case e chiesa, s’arrampicava fino ad affacciarsi sulla sommità della cupola della chiesa, e da lì in alto assisteva agli Uffizi Divini, alle Funzioni e alle numerosissime Messe lette, cantate e celebrate dai Preti del Capitolo. Come unica libertà si riservava solo di recarsi ogni anno nella notte prima della Festa della Sensa fino alla Basilica di San Marcoper acquisire e lucrare le “favolose Indulgenze” che lì venivano concesse ai Fedeli Veneziani e ai Pellegrini di passaggio in partenza per le Vie di Terrasanta, Roma, Assisi, Loreto e San Michele del Gargano.        

 


Subito dopo, al tempo del Doge Andrea Contarini, accadde la Guerra contro i Genovesi che presero Chioggia. In quell’occasione quelli della Contrada di Santa Margherita non si tirarono affatto indietro, e concessero numerosi “imprestiti” allo Stato Veneziano quasi diventato Serenissimo. La Contrada mise insieme la bella cifra di 76.500 lire, e si distinsero nell’offrire i 19 NobilHomeniresidenti, soprattutto tre, e sopra tutti: Sier Nicolò Foscoloche sborsò 6.000 lire. Ci furono anche altre donazioni significative da parte di 18 contribuenti abbienti: il Fante Bortolamio De Bone Donado Campàzo diedero 800 lire ciascuno; gli eredi di Sier Maffio Dalla Stoppa offrirono 3.000 lire; MaDonna Seconda Da Pozzo: 500 lire come l’Orese Pier Fontana; Marco Zonazi e Mario Sapa sborsarono 300 lire ciascuno; Nicolò Dal Soldo: la bella cifra di 2.500 lire. Il migliore fra tutti fu un certo Zorzi Epa, che meravigliando l’intera Contrada di Santa Margherita offrì l’eclatante cifra di 20.000 lire ... Perché poi quella generosa beneficienza allo Stato non si trasformò in benemerenza facendolo diventare Nobile come molti altri: non si sa … Scomparve nel nulla.

 

Nel marzo 1377 il Maggior Consiglio autorizzò la neonata Schola de San Vettor e Santa Margarita acostruire la propria sede presso il campanile della chiesa di Santa Margherita occupando lo spazio rimasto libero a ridosso della navata destra ... Il primo di aprile seguente: la Schola stipulò il suo Atto di Fondazione iniziando a redigere la sua Mariegola.

 

Negli ultimissimi anni del 1300: Bellello Civran di Giacomo residente nel Confinio di Santa Margherita era Procuratoredi Andrea Civran Abate di San Cipriano di Murano. Come tale rilasciò a Rialto davanti a Victor de Mapheis Domini Ludovici Notarius Publicus Imperialis et Veneta Auctoritate: una quietanza a Lorenzo Dolfin di Martino del Confinio di San Salvador& Consorti.  La ricevuta riguardava il pagamento di un Livello dovuto al Monastero Muranese di lire 10 e grossi 23 d'oro annuali per la concessione dello sfruttamento delle acque della Valle Lagunare del Cornio, e dei Fondamenti Valier, Mare e Molino dove appunto sorgevano diversi molendini ad acqua.

Nell’ultimo anno del secolo: il 1399, a Justinopoli, cioè a Capodistria in Slovenia: Leazario Porcello da Venezia Vicedomino di Capodistria e SubProcuratore di Bellello Civran di Giacomo del Confinio di Santa Margherita di Venezia, Procuratore del Monastero di San Cipriano di Murano concesse in affitto per 29 anni a Mastro Andreolo dalla Fornace di Serravalle residente in Capodistria, un casale sito a Capodistria in Porta San Martinoper annuo canone in denaro ... Nello stesso tempo, e sempre là: Bernardo Foscarini Podestà e Capitano di Capodistria pronunciò, dopo debita perizia e ispezione, una sentenza con cui dichiarava Michel Sivez da Porta San Tommaso decaduto dalla concessione di una vigna “ad pastinandum”, avuta dallo stesso Leazar Ponzelo a cui accennavo poco fa, in quanto non l’aveva lavorata debitamente rovinandola e riducendola a “barèto”.

Giri d’affari dei Veneziani di Santa Margherita del lontanissimo 1300 ... curiosi secondo me.




All’inizio degli anni ’30 del 1400, Andrea Davanzago già Piovano di Santa Margherita e Procuratore della chiesa di Santa Maria Materdomininel Sestiere di Santa Croxe, venne nominato Sindacoin una sentenza arbitrale voluta dal Vescovo futuro Primo Patriarca Lorenzo Giustiniani ... Quattro anni dopo, Nicolò Corner quondam Marco, sempre di Santa Margherita, lasciò la sua proprietà di Tombelloin prima battuta ai Frati della Certosa di Sant’Andrea del Lido, e qualora fosse stata soppressa la Certosa: “ai povari e miseri della Parocia et Contrada de Sancta Margheritadel Sestier de Dossoduro in Venèsia”.

 

Nella terza parte del 1400 la rivendita di pane in Campo Santa Margherita era gestita da Andrea de Zano, e un Marin Garzoninotificò di abitare sopra la Savoneria di Calle dei Saonèri in Contrà de San Barnaba un tempo soggetta alla Parrocchia di Santa Margarita.

 

Nel 1408 il Consejo dei Diese autorizzò la Schola di Santa Margherita a inglobare nella sua sede anche l’ultima porzione di terreno rimasta disponibile in Campo "fin al cantòn del campaniel … per essere stimato meglio evitare l'inutile callesela cieca, nella quale finirebbe per accumularsi solo immondizia.”Quarant’anni dopo si stava ancora lavorando, e la Banca della Schola chiese ai Preti del Capitolo di Santa Margherita di allargare e innalzare ulteriormente la sede della Schola: “… avendo cura di non togliere luce alla chiesa retrostante” ... Al centro della nuova facciata si sarebbe posta in nicchia la statua di Santa Margarita, e si sarebbe abbellito il tutto con fregi alle finestre … Trent’anni dopo ancora la Giustizia Vecchiaobbligò i riottosi, spavaldi e cacciarosi Gondolieri-Barcaroli della Schola del Tragheto de Dentro de Santa Margarita (oggi non esiste più) a iscriversi obbligatoriamente, pena la “revoca del permesso di lavorare e traghettare”, alla Schola de Santa Margherita e Vetòr che stava alquanto prosperando, tanto che fece costruire un’Arca per seppellire i propri Cofrati e Cosorore nel portico della chiesa di Santa Margherita.

Ne derivò un contrasto e una lunga diatriba fra Schole e Gastaldi che durò decenni: i Gondolieri del Traghetto erano tenuti a pagare entro quindici giorni dalla Festa di San Vittore la Tassa di Luminaria della Schola che conferiva loro come ricevuta: “pan et candela”, altrimenti non sarebbero stati accompagnati dal Pennello (gonfalone) della Schola e dai Confratelli durante i loro Funerali ... Singolarissima quella Fraglia di Gondolieri Veneziani: avevano “Stàzio da barche” in Campo San Pantalon appena al di là del Ponte di Santa Margherita da dove traghettavano per ogni luogo di Venezia. La loro sede, invece, sorgeva in Campiello del Tragheto subito dopo la Calle de la Cièsa che costituiva il minuscolo sagrato di Santa Margarita, e possedevano un altro “Stàzio da Barche” anche in Campo San Barnaba dove offrivano barche a nolo verso qualunque punto della città intasando quasi sempre il Rio e bloccando il traffico verso Campo Santa Margherita ... Nello stesso anno, infatti, venne notificato loro: “de no sostare al cantòn de la Riva de Santa Margarita mentre attendevano il proprio turno di servizio, e de tenir in San Barnaba una sola barca ligàda a riva.”

 

A metà novembre 1529, un decreto dei Pregadi diede ordine di costruire due pozzi in Campo Santa Margarita (visibili tutt’oggi) che sarebbero stati pagati con le rendite dei Traghetti del Canal Grande ... In quegli anni in chiesa il Capitolo dei Preti di Santa Margheritapagava 10 ducati annui all’organista per rivedere e suonare l’organo, e ne spendeva altri 5 “per pagar Cantori e Sonadòri per la Festa della Titolare Sancta Margarita” che durava quattro giorni continuati. Lo stesso Capitolo dei Preti pagava ancora: “… quattro Cantori per la Settimana Santa che cantava li Passii alla Domenica dell’Olivo, le Lamentatiòn al Mercore Santo, il Zuoba et il Venere Santo, et cantava il Passio, l’Adoration del a Croxe, e par far la Procession il Venare Sancto attorno la Contrà: in tutto ducati cinque ...”

 


L’8 giugno 1581 passò in Contrada la Visita Apostolica di Roma che voleva conoscere e sapere tutto di tutti: sia della Parrocchia, che della Collegiata dei Preti, delle Schole, che della Contrada. Nei verbali di resoconto di quell’insolita Visita si può ancora leggere: “La Contrada conta 2.089 abitanti con solo metà che fanno la Comunione … Il Capitolo dei Preti conta il Parroco-Piovano e altri due Preti, e un Diacono che percepiscono annualmente 111 ducati, l’uso della casa, e gli incerti di stola ... Ci sono inoltre un Suddiacono e tre Chierici che costano un ducato l’anno, mentre la Fabbriceria della chiesa movimenta 30 ducati ... La stessa chiesa possiede sette Mansionerie di Messe del valore di 142 ducati che vengono celebrate sui sei Altari di chiesa: Santa Margherita, San Leonardo, Santa Trinità, l’Altare di NostraDonna, San Vittore e il Santissimo di cui c’è anche la relativa Schola ...”

 

Verso la fine del 1500, il laico quarantenne da Udine Valentinus Odoritius con moglie e figli teneva Scuola da cinque anni a Venezia insegnando “Lezo de humanità” a venti alunni di Santa Margherita ...  Insegnava anche un Zago Maggiordella chiesa di Santa Margherita facendo “ripetitòr a de puti pizoli” fra cui un certo Battista. Tale Zago dichiarava: “… Lezo secondo el Concilio la Dottrina Cristiana del Prete Canisio Jesuita … e po di Vergilio, Oratio, Ciceron la Rethorica ad Rhenium. A quei più piccoli La Bucolica de Virgilio et la grammatica del Guerin ... Sei o sette fanno epistole, li altri latinano per tutte le regule.”Sandrus Lanza Chierico ventiduenne, invece, insegnava Grammatica da un anno a tre alunni in casa di Giovanni Garzoni a Santa Margheritaspiegando:“… Al più grando ghe lezo el Vives solamente, alli altri ghe fazo far Latin per neutri.”Negli stessi anni l’Abate Stefano di San Tommaso dei Borgognoni di Torcello intendeva trasferire i suoi Frati in un nuovo Monastero impiantato nella più salubre Venezia: possibilmente in Contrada di Santa Margherita… Il progetto non si concretizzò.

Negli ultimissimi anni del secolo scoppiarono dei litigi fra i Sodales(gli iscritti) della Schola di Santa Margherita e il Capitolo dei Preti della stessa chiesa … Motivo del contenzioso ? …. Sempre i soldi da ricevere, riscuotere e spartirsi … Quelli della Schola minacciarono di trasferirsi dai Frati Agostiniani di Santo Stefano pronti ad accoglierli … Alla fine intervennero i Provveditori da Comun della Serenissima che costrinsero tutti a trovare un accordo … La Schola rimase quindi in Santa Margherita rinnovando la propria MariegolaLe spese per la Festa del Titolare sarebbero state a carico della Banca della Schola nei cui Capitoli Generali avrebbero votato solo quelli della BancaI Preti del Capitolo di Santa Margheritaascritti gratuitamente alla Schola avrebbero celebrato in chiesa il giorno della Festa della Patrona-Titolare appositamente per quelli della Schola, e avrebbero partecipato alla Solenne Processione per il Campo ... I nuovi iscritti con candela accesa in mano sarebbero stati accettati in ginocchio davanti all’Altare della Schola nella chiesa di Santa Margherita, dove doveva ardere “un cesendello perpetuo giorno e notte senza interruzione”... I Barcaroli-Gondolieri del Traghetto… sempre loro … dovevano versare una Tassa di Benintrada di 3 lire a testa …



I Gondolieri del Traghettostanchi di quel trattamento si dissociarono dalla Schola aprendosene una per conto proprio.

Qualche anno dopo gli anni funesti della Peste della Madonna della Salute, cioè nell’aprile 1633, il Pistor Mattio Rizzo di Santa Margheritavenne decapitato per ordine del Consiglio dei Dieci A fine 1670 nella Pistoria de Santa Margarita si consumavano 4.461 staia di farina, mentre in Contrada si contavano 46 botteghe … Cinquant’anni dopo se ne contavano: 59 con due Forni… e trent’anni dopo ancora: le botteghe erano diventate 70 ... la Contrada prosperava.


Nel marzo 1659 il Capitolo de la Scholade San Vetòr e Margharita alzò la voce ancora una volta contro i cocciuti, ticchignosi ed esosi Preti di Santa Margherita:“… non sarà impedito al Piovano Pre Domenico Rapacino di fare per sua devozione il nuovo Altare a San Domenico sull’area della Schola … Viceversa: non s’impedirà che siano rimessi a muro i quadri della Schola con i “Miracoli de San Vetòr apena restaurài” ... Il nuovo Altare non dovrà mai essere concesso ad altri privati e Schole senza l’espressa autorizzazione della Schola stessa di Santa Margherita.”

 

Quelli che vediamo attualmente in Campo sono i resti della ricostruzione della chiesa di Santa Margherita del 1687 realizzata dall’architetto e pittore Giambattista Lambranzi su commissione del Piovano Prè Maria Moro“col generoso concorso dei parrocchiani”, che voltò la chiesa spostando l’ingresso principale dal Campo sulla Calle: “… il Campanile viene rivestito di bugnato nella parte inferiore, l’arco della porta incorniciato da un mostro ... si fa corrispondere un esterno dimesso ad un interno sontuoso.” L’operato del Maestro, le misure dell’edificio e la qualità dei materiali della “cjesa de Santa Margharita in salizàda”vennero valutati nel 1694 dai Giudici del Piovego tramite i Periti Mattio Rendello e Alessandro Ventura ... Sul soffitto è visibile ancora oggi un affresco col “Martirio di Santa Margherita d’Antiochia” realizzato da Antonio Zanchi che probabilmente decorò buona parte dell’interno della chiesa. Di fuori si notava l'edificio della chiesa in buona parte inglobato con le abitazioni sorte attorno quasi ad amplificarne e integrarne l’opera-attività caritativa … Oggi è visibile il caratteristico campanile mozzo” realizzato nel 1305, la cui cella campanaria e cupola sommitale sono stati ribassati di 14 metri nel 1808 per problemi statici dopo un furioso incendio del 1800 ... In quell’occasione il campanile mozzo divenne abitazione ... e lo è tuttora.

In occasione di quella stessa ricostruzione di chiesa, la Schola di Santa Margherita e dell’Ospedalettosi trasformò in Sovegno assumendo un taglio più assistenziale, previdenziale e sociale: si stabilirono nuove Tasse di Benintrada e nuove “quote mensili”da pagare da parte dei Confratelli e delle Consorelle della Contrada ... Si stabilì “l’entità dell'obolo” che ogni Confratello era tenuto a versare durante le Messe Funebri in caso di morte di ogni Confratello-Consorella … “In sepoltura” si doveva celebrare un Esequialee tante “Messe lette” quanti erano gli iscritti dell’intera Schola ... “L'assistenza e il sussidio per malattia” sarebbero stati disponibili per i soli iscritti soltanto a sei mesi dall'atto dell’iscrizione e solo dopo i relativi versamenti ... Gli iscritti che s’ammalavano “fuori dalla Dominante” potevano percepire il sussidio soltanto al ritorno in Patria ... Non era previsto sussidio in caso di ferite apportate, “Morbo Gallico”(Sifilide) e mali incurabili ... Per le“spese di sepoltura” si riconosceva il contributo di un ducato agli eredi se la tumulazione avveniva nell'Arca della Schola davanti alla chiesa, o di due ducati se venivano seppelliti da un’altra parte. 

Nel 1691 il Capitolo dei Preti comunicò al Capitolo della Scholache avevano bisogno di spazio per realizzare una nuova Sacrestia... Se la Schola cedeva l'area di loro pertinenza a pianoterra col locale sovrastante l'Altare dell'Annunziata, avrebbero ricevuto in cambio l'uso in chiesa del prestigioso Altare del Cristo collocato giusto a fianco dell'Altar Maggiore ... La Schola in stagione di difficoltà economiche ci pensò … poi accettò provando a rimpolpare il suo prestigio:“trovarse in cjesia più vicini a Dio xè mègio” ... Nella stessa occasione restituì ai Preti il "Solèr de San Vettor" (grande simulacro processionale in legno decorato da portare a spalla) che non sapeva più dove collocare, e si rassegnò a tenere le sue consuete riunioni sulle panche della chiesa.

Nel marzo dello stesso anno, cioè un pugno d’anni dopo la fatidica Peste che falcidiò Venezia ancora una volta, iniziò in Chiesa e Contrada una nuova Devozione, cioè si fondò la Schola-Sovegno della Beata Vergine del Santissimo Rosario… Il meccanismo era sempre lo stesso: Registri di Cassa, Libri di Messe da pagare e celebrare, Registri d’Iscritti, Versamenti e Multe dei 60 “Associati”, Registri con i verbali delle Riunioni Capitolari, e liste infinite dei gesti di elemosina e Carità rigorosamente denunciati per esteso fin nei minimi particolari ... Sette anni dopo, nel 1698, alla Visita del Patriarca Giovanni Alberto Badoer risultava esserci in chiesa il simulacro di una preziosissima Madonna del Rosario Vestita fornitissima di abiti e ori. Secondo gli Inventari dell’epoca “la MaDonna” possedeva un ricchissimo guardaroba consistente in biancherie, 29 abiti, 13 veli, 2 stellari di rose e 48 gioielli con cui veniva di continuo “cambiata”seguendo le scadenze del Calendario Liturgico ... Due anni dopo ancora, come indice della “buona stagione Devozionale” che stavano vivendo la Contrada e Chiesa di Santa Margherita, si stipulò un contratto con Antonio e Alberto Bettamelli che realizzarono “entro la Pasqua dell’anno successivo” un nuovo Altare in chiesa “ricco di figure sulla cima” in tutto simile a quello Maggiore dedicato a Santa Margherita ... In realtà l’Altare divenne “agibile” solo dopo l’estate: per la Festa del Rosario di ottobre quando si teneva una grande Processione per il Campo e tutta la Contrada, e venne del tutto completato e rifinito nei dettagli per Natale quando si designarono dei Giudici-Arbitri per valutare il lavoro fatto, e stimare i marmi del vecchio altare dismesso dalla cui vendita si ricavarono 90 ducati.

A Venezia e in Contrada in quell’epoca si viveva anche di quelle cose.

E’ curioso notare come la Chiesa-Parrocchia-Contrada di Santa Margherita fu gestita per secoli da un’insolita piccolissima Collegiatae Capitolo ridottissimo di soli due Preti titolati, che però furono quasi sempre capacissimi nel “far alto e basso della popolarissima zona Veneziana” ... La Parrocchia-Contrada era affiliata “per necessità di cose” alla chiesaMatrice di San Silvestrodi Rialto dove risiedeva l’ex Patriarca di Grado era discretamente fornita di“Buone Reliquie”capaci d’accattivarsi Veneziani e Pellegrini di passaggio. Sopra a tutte c’era: la Santa Mascella di Santa Margherita, poi c’era: il Santo Grasso di San Lorenzobruciatoe martirizzato sulla graticola, le Venerabili Ossa dei Santi Severino e Fortunato Martiri, e molto altro ancoraCuriosissimi in se, e “sempre capaci d’attrar l’atensiòn de Venesiani e Forèsti” furono le opere in pietra poste a cintura della chiesa fin verso il ponte di San Pantalon, cioè i rilievi marmorei e in Pietra d’Istria incassati in parete dei Scacciadiavoli, e del Drago-Tarasca della Leggenda di Santa Margherita: “ … anche Venezia aveva i suoi mali, che come Serpe Malefica grampàva in ogni epoca anche i Veneziani di Campo Santa Margherita ... La Santa però stava lì apposta a vigilare in compagnia de San Vetòr, e insieme provvedevano al benessere de Corpi et Anime.”

Quelle opere di pietra stavano insomma a ricordare a chiunque quell’ineludibile lotta incipiente quotidiana fra Bene e Male che coinvolge l’esistenza di ciascuno “grande e piccolo, ricco o povero” in ogni epoca ... Le donne Veneziane portavano i figli e i bimbi a vederle, ed erano occasione per inscenare chissà quali discorsi.

Nella sempre più vispa e attiva Contrada di Santa Margherita non mancarono di andare ad abitare anche i Nobili: Foscarini, Dolfin, Gabrieli, Marcorà, Scudo, Surian, Vendramin, Angaràn poi trasferitisi a San Lorenzo di Castello, Foscolo-Corner, i Berlendis dettisi appunto di Santa Margherita: Nobili di seconda classe, e iMinio, Piovene, Renier e Giustinian: una bella concentrazione insomma di uomini e famiglie prestigiose.

Nel Campo sempre pieno di lavori, scambi, mercati e interazioni quotidiane si teneva ogni anno la spettacolare Caccia ai Tori come avveniva anche in Campo San Geremia, nel Campo della Bragora, in quello di Santa Maria Formosa a Castello, a San Giacomo dell'Orio, San Polo e Santo Stefano, e perfino in Piazza San Marco. Esiste una curiosissima descrizione dell’evento fatta daEdmondo Lundy che soggiornò a Venezia appunto in Contrada di Santa Margheritanel 1854. Lundy paragonò la Corsa dei Tori Veneziana a cui assistette a quella famosissima di Pamplona in Spagna: “In Venezia vi sono varii locali destinati per dette caccie. Il migliore giudicasi il Campo di Santa Margherita, e ciò per essere questo il più lungo tratto che possano i buoi correre in questa città, cioè dal Ponte di San Pantalon fino al Ponte Lungo alle Zattere. Sono stato sempre contrarissimo a questo spettacolo; ma un giorno non potei esentarmi dall’intervenire ad uno. Il Patrizio Zenobio, che circa a mezzo l’indicata via sulla Fondamenta del Carmine tiene un vasto palagio, mi fece invito, atteso una grandiosa colà stabilita Caccia dei Tori. Era un dopo pranzo di estate ed io andai a quel palagio in gondola. Volendovi oltre un’ora al principio della festa, mi posi, in unione a taluno della Patrizia Famiglia Zenobio e ad altri invitati al paro di me, a girare per quelle strade. Il popolo che vi moveva era numerosissimo, e vi rimarcai che molti più erano le donne e i ragazzi pedestri che gli uomini. Tutto questi, però di bassa classe, vestivano all’uso loro proprio, ma pure con qualche ricercatezza. Le femmine, pressochè coperte il collo di smaniglie, portavano enormi orecchini, e nelle dita grandi e molte anella. Nel Campo di Santa Margherita si ergeva una specie di anfiteatro di legno per quelli che mirar vogliono comodamente il cruento spettacolo. Le finestre ed i poggiuoli delle abitazioni erano pieni di gente in gran parte di Classe Nobile e Cittadina e quindi vestita bellamente e con tutta moda. Non descrivo questa Caccia, perché quasi ogni paese Europeo ne fa spesso di simili, dove anco talvolta riescono meglio per ampi e più adatti locali. Ordinariamente queste feste sono divise in due parti. La prima è di buoi legati e la seconda di buoi sciolti. I buoi legati lo sono per mezzo di grossa corda attaccata alle corna e lunga alcune braccia. Un uomo, detto perciò tiratore, la tiene nella estremità; e mentre l’animale corre, deve pur esso correre. Ma però sta nella sua forza e destrezza il frenare all’uopo il corso della spaventata ed infierita bestia ed anche fermar questa tutto ad un tratto allorchè muove con l’impeto maggiore. Ma non dee credersi che detto sollazzo di tiratore sia tutto proprio o dei Beccati o della gente bassa. Vi sono fra Cittadini e fra Patrizi medesimi degli appassionatissimi per tale esercizio, che però soddisfanno in privati recinti. Tornai a palazzo prima che la Caccia cominciasse. Appoggiato al grande poggiuolo di quello vidi prima passare non pochi buoi legati col tiratore. Ma qui sta forse il particolare di Venezia, vale a dire, che in quelle violenti corse che fanno i buoi per togliersi a cani che furenti li perseguono, tu vedi donne e fanciulli che corrono dietro alla fuggente bestia; e bene spesso, con sommo coraggio, chi di quelli si attacca alle orecchie, chi alle corna e chi alla coda, per cui l’animale malgrado a suoi furiosi dibattimenti oppresso dalla forza di tanti è costretto a fermarsi e spesso cadere a terra. Allora il grido di gioia, le sghignazzate e le urla sono assordanti ed infinite.  Successe poi la Corsa de’ Buoi Sciolti, seguiti da veloci e forti mastini. Qui i cacciati animali non era interposti da spettatori; pure si vedeva qualche ardito che se ne stava indifferente al passaggio rasente della furiosa bestia e schivar di questa le cornate con ammirabile destrezza.  Ma vidi però alcuni atterriti gettarsi dalla fondamenta o rivo o balzare in qualche barca. Ma il terribile fu, che qualcuno di que’ buoi, veggendosi assalito da’ cani e d’innanzi e di dietro, si lanciò all’improvviso nel canale. Quale scompiglio ! … Qual confusione ! … Quel rivo era pieno di barchette con entrovi a spettatori uomini, donne e fanciulli. Qualche barchetta si rovesciò e caddero non poche persone in acqua. Grida, ululati orrendi. Parte dei barcaiuoli soccorre i naufragati e parte percuote il nuotante bue co’ remi; altri lo pigliano pelle corna e cercano annodarvi una corda. I cani inviperiti ed aizzati si gettano in acqua e cercano prendere l’orecchia del bue fuggente. Ciò non ostante due o tre di que’ buoi approdano alla fondamenta opposta; e qui nuovi spaventi e disordine grande nel popolo spettatore e tale inattesa comparsa. Ma ciò che pare incredibile, niuna disgrazia accadde; e dopo frenati gli animali scappati, e il riso ed il bordello si fece maggiore. Terminata sulla sera la festa, ringraziata la cortesissima nobile famiglia ne uscii e pensai recarmi alle Zattere per godervi un poco di fresco. Le strade erano piene di gente allegrissima, che discorreva dei casi parziali della festa, cioè della fuga dei buoi, della destrezza del tal tiratore, della bravura di que’ tali cani, e della uccisione di non poche di queste bestie fatta dai Tori più forti …”

Interessantissimo quadretto di un secolo e mezzo fa !

L’interno della chiesa di Santa Margherita era quello un po’ tipico delle chiese Veneziane: tutte paragonabili a ricchi scrigni pieni di preziosi bijoux. C’erano: otto altari collocati attorno riccamente decorati e abbelliti conuna: “Santa Maria del Rosario col Bambino, San Domenico e due Angeli”realizzata da Pietro Negri. C’erano poi: tre Tintoretto: un “Cristo che lava i piedi”, un’”Ultima Cena con gli Apostoli” e un “Cristo nell’Orto del Getzemani”commissionati dalla Schola del Santissimo e piazzati ai lati dell’Altar Maggiore dominato dalla “Trinità con Santa Margherita e Angeli”realizzato dal Petrelli, autore anche dei Dodici Apostoli collocati in tutti gli angoli interni alla chiesa.

E non era tutto … C’era ancora una “Crocefissione”diAntonio Zanchi, una “Vergine con Santo armato” e un “Crocifisso e Santi” dipinto forse da Domenico Pasquale collocati sparsi e appesi alle pareti della chiesa.Appeso solitario in un angolo stava un Ciclo di Figure appartenenti alla Schola del Varoteri, e si poteva infine ammirare: la “Cattura di Gesù” e “Gesù inchiodato in croce” di Giuseppe Enzo, e la “Moltiplicazione dei pani e dei pesci” e “Mosè che fa scaturire le acque”dipinti daAndrea Vicentino.

Santa Margherita, insomma, era una specie di piccola e fornitissima Pinacoteca di preziosissime Opere d’Arte Sacra.

Sempre perché Contrada molto attiva e in posizione strategica rispetto a “dove si arrivava e partiva da Venezia”(cioè dalla vicina Contrada dell’Anzolo Raffael), la Contrada finì con l’ospitare oltre ai Nobili anche molte famiglie di Artieri e Lavoratori, che si valevano ampiamente del supporto dei numerosi Pescatori e Fadiganti-Bracciantiche vivevano e prolificavano ampiamente in zona.

In Calle e Corte dell'Asèo (Aceto) prospicente su Campo Santa Margherita e affacciata sul Rio di Cà Foscari e San Pantalon ancora nel 1740 abitava Antonio Aseo in una casa presa in affitto fin dal 1715 dalle Monache della Celestia che ne erano proprietarie. Nelle anagrafi dei Provveditori alla Sanità del 1761 si ricorda un Isepo Aseo Bollador, mentre nel Libro dei Morti di Santa Margherita si dichiara che morì in Contrada il 7 luglio 1775: la settantenne Caterina del quondam Zuane Aseo.

In una lateraleCorte de le Carozze di Campo Santa Margheritanel 1661 esisteva una casa locata dal NobilHomo Pietro Badoer fu Sebastian a Misier Visiu Carrozzer. I Carrozzeri erano inaspettatamente diffusi nell’insulare Venezia … Uniti in Arte con i Selleri, erano “Colonnello”, cioè subordinati, all’Arte dei Tappezzieri e Bolzeri cioè i Valigiai. Una legge dell’8 ottobre 1562 decretava: “Li cocchi, cocchiesse, et carrette non si possino usar con oro, ovver argento in alcuna parte, salvo che netti pomoli, restando del tutto prohibiti li stramazzi, coperte da carretta, collari, coperte da cavalli di seda, o di seda fodrate, ovver ricamate, et medesimamente li pennacchi, et li cocchieri sieno atta medesima condition del suo vestir che sono li famegli de barca … sotto pena a quelli che contrafaranno in questo proposito de cocchi, cocchiesse, et carrette de ducati vinti per cadauna cosa … et cadauna volta che contrafaranno.”… Nota curiosa di una Venezia che non ci si aspetta.

Ancora nel Sottoportico e Corte del Fontego a Santa Margherita esisteva nel 1713 la bottega serve per fontego di farina affidata alli Fontegheri” gestita da ina certa Laura relicta (vedova) di Antonio Badoer. Oltre ai due principali Fonteghi da Farinadi San Marco e Rialto c’erano attivati in altre parti della città altri quattro piccoli Fonteghi che provvedevano i Veneziani di farina a prezzo calmierato. InPregadi si decise il 07 giugno 1704: “Siano aperti quattro Fontici sparsi per la città a comodo del popolo, cioè: Zuecca, Castello, Santa Margherita e Rio Terrà” ... Fin dal 1731 si aggiunse anche un ulteriore Fonteghetto da Farina al Ponte e Calle del Fontego in Contrada di Santa Giustina nel Sestiere di Castello, che venne dato in gestione nel 1740 a Padron Vincenzo da Rica.

Nel Sottoportico dell'Uvapresso la Contrada di Santa Margherita si coltivava una piccola vigna, mentre in un’altra piccola Corte dell’Orese con Sottoportico lavorava l'Orese del Malcanton. Nello stesso posto abitava nel 1582 Cattarina di Stefani q.m M. Francesco Orese“che possedeva colà varie case, una delle quali era “pro indiviso” colla Magnifica Maria Basadonna e colla Commissaria del quondam Mastro Bartolomeo Orese all'Ancora … Essa Catterina di Stefani dava pure in quell'anno una di tali case a pigione ad un altro Mastro Francesco Orese”.

In Calle Renier o del Pistor in Santa Margherita abitava ovviamente la Nobile Famiglia RenierNel 1726: Bernardino Renier di Federico era Senatoredella Serenissima e marito di Caterina Querini. In qualità di Provveditore da Comun fece costruire il pozzo al centro di Campo Santa Margherita facendo incidere il suo nome sulla vera da pozzo ... Fu anche proprietario del Teatro Sant’Angelo dove Carlo Goldoni gli dedicò il dramma in musica "Amore e caricatura"…  Nel 1740 abitava nello stesso posto in Contrada il NobilHomo Daniel Renier.

Nel settembre 1545 nacque proprio in Calle de Cà Renieruna speciale Devozione per la Madonna Assunta… Nel giro di un anno “la cosa” venne subito adocchiata e subodorata dai Preti di Santa Margherita, e si diffuse, ampliò ed organizzò al punto tale da trasferirsi in chiesa divenendo una nuova Schola-Sovegno dell’Assunta che s’aggregò al Suffragio dei Morti già attivo e presente in chiesa. All’atto della fondazione si iniziò a redigere un’apposita Matricola-Mariegola approvata dai Provveditori da Comun, per la quale 25 sottoscrittori spesero 230 lire e soldi 9 ... Dopo un inizio e una convivenza piuttosto travagliata con “quelli di chiesa”, i Preti del Capitolo garantirono a “quelli della Schola” in procinto d’andarsene che tutto sarebbe andato per il meglio. Assicurarono che la Schola non sarebbe stata mai più molestata circa l’uso dell’Altare da lei eretto a proprie spese, sul quale sarebbe stata celebrata puntualmente una Messa Settimanale, una Messa Ordinaria Mensile, una Messa Solennissima il giorno della Festività Patronale del 25 marzo. Si sarebbe poi predicato ogni lunedì sul suo Altare dove si sarebbe recitata anche “una corona del Rosario”, il Patriarca inoltre avrebbe permesso di esporvi il Santissimo nell’Ottava dei Morti, e la Schola avrebbe infine ottenuto anche una speciale Indulgenza Plenariadal Papa di Roma (cosa che avvenne però solo 100 anni dopo).

La Schola accettò la proposta, e gli Iscritti pagatori di una Tassa di Benintrada di soldi 8 e di altri 4 successivi ad ogni mese, salirono a cento incamerando anche le aderenti a una Compagnia di Buone Donne già presenti in chiesa. In cambio: alla morte di ogni Confratello o Consorella sarebbero state celebrate tante Messe di Suffragio quanto era il numero degli iscritti, per le quali ciascuno doveva versare 32 soldi supplementari, e recitare una “intera Corona dei quindici Misteri del Rosario” ... Gli stessi Preti di Santa Margherita avrebbero celebrato una Messa speciale sotto forma di Esequiale il terzo giorno successivo la Festa dell’Assunta, e un altro Esequiale Annuale nell’Ottava dei Morti.

Nonostante tutto questo, nel marzo 1614 la Scuola-Sovvegno dell’Assunta e dei Morti, il cui Guardiano in persona questuava per la Contrada almeno due volte al mese a favore della Schola e della Chiesa, si ritrovò in disaccordo col solito Capitolo dei Preti di Santa Margherita, e non si riuscì più a trovare un’intesa nonostante i Confratelli avessero offerto al Piovano 20 ducati per rifare una campana … Molla tira, e tira e molla: alla fine la Schola rimase ancora una volta in Parrocchia-Contrada, e a fine secolo dopo la ricostruzione della chiesa ottenne dal solito Capitolo dei Preti l’uso di una Cappella della chiesa dove gli iscritti finanziarono la costruzione di un nuovo altare bandendo un apposito concorso a cui parteciparono: Marco Torresini, Antonio Temanza, Alvise Rossi e Antonio Viviani di cui venne scelto e approvato il progetto: “Dovrà consegnare l’altare per la Pasqua successiva … e sui “remenati” ci saranno 5 Angeli di cirmolo fatti da buon scultore, e dipinti che sembrino di pietra…”

Nell’aprile 1708 la Schola, che per gestire la Cassa Contante si serviva dell’Avvocato Paolo Boniotto di Santi Apostoli: uno “abile e di prestigio” che aveva gestito per anni i denari delle grosse Comissarie dei Derelitti nel Sestiere di Castello, pagò lire 600 ad Antonio Zanchi perché dipingesse la pala per il nuovo Altare.

Nel novembre 1729 la Schola manifestò i primi segni di crisi finanziaria: il Capitolo degli Iscritti decise che il sussidio giornaliero di 30 soldi per i Confratelli e Consorelle Infermi sarebbe stato portato a 40 soldi a favore di chi si fosse arrangiato a procurarsi e acquistare le medicine per conto proprio ... La Schola non riusciva più a pagarle di tasca propria alleSpeziarie con cui era affiliata.

Nel settembre di trent’anni dopo: esattamente nel 1759, i Provveditori da Comun avviarono le pratiche per la soppressione della Schola dell’Assunta-Suffragio dei Mortidi Santa Margherita affidandone i beni, la Mariegola ricoperta d’argento, e le 510 once d’argento che possedeva alla Schola del Santissimo della stessa chiesa ... In barba ai decreti tuttavia, nel giugno 1780 esistevano ancora 62 iscritti alla stessa Schola-Sovegno dei Morti dell’Assunta: 34 erano residenti e vivevano in città, soprattutto in Contrada di Santa Margherita, mentre altri 28 abitavano e provenivano dalla Giudecca.

In Sottoportico e Corte San Lorenzo sempre della stessa Contrada di Santa Margarita, esistevano alcune case di proprietà del Monastero delle ricche e famose Monache Benedettine di San Lorenzo di Castello che possedevano altre case insieme a un terreno vacuo e una bottega da Barbier nella vicina Contrada dell’Anzolo Raffael verso San Nicolò dei Mendicoli. Si legge, infatti, in un Catastico del Monastero di San Lorenzo del 1685:Possede il Monasterio in questa Contrà di Sancta Margaritasopra la Calle va a San Barnaba, e riferisce nella Corte contigua, case n. 5, compresa una bottega sopra la Calle... Erano prima più caxette, quali essendo marze et cadenti, l'anno 1674, Abbadessa la NobilDonna Elena Foscari, furono rifabbricate, et redotte in grando nel n° delle 5 sudette, et nel muro sopra la strada vi fu posta una Pietra viva con l'infrascritta inscrittione: Ruentes Aediculas Ampliori Formae Restituit R.ma D. Elena Foscari Abbatissa. Anno 1674”.Le caxette erano state donate alle Monache con testamento 3 giugno 1248 del NobilHomo Pietro Premarin tramite gli atti di Prè Donato Pievano de San Stin e Veneto Notajo.

In Contrada, come vi dicevo, ferveva attività e vita notte e giorno un po’ come oggi, anche se attualmente si tratta soprattutto di evasiva movida Veneziana. Fra l’altro si suonava, ballava e cantava la “Furlana Veneziana”ricordata ancora nei giochi dei bambini di fine 1800 e fin dopo le Guerre Mondiali quando ancora si cantava: “… le pute de Santa Màlgarita le la ga che ghe spissa … Co' ze 'tempo del butiro tuti i fianchi ghe va in delirio.”... Piccolezzastorica.

Nell’aprile 1710 i Provveditori da Comun sollecitati dal Consiglio dei Dieci costrinsero ancora una volta a trovare accordo fra loro i 55Iscritti-Confratelli-Consorelle della Schola-Sovegno di Santa Marghiritae i Preti del Capitolo della stessa chiesa … Il Clero avrebbe celebrato una Messa Solenne all’Altare della Scholaogni terza domenica del mese e nel giorno della Festa dei Patroni Margherita & Vittor, ma le spese per le cere, le ostie, il vino e i Cantori delle Messe sarebbero state a carico della Schola E ancora: “… gli argenti della Schola non doveva andare dispersi e prestati ... In attesa di rifare l’Arca delle sepolture di quelli della Schola ormai piena, i Confratelli dovevano essere ospitati e sepolti nelle Arche private del Capitolo dentro in chiesa ... Il Cappellano della Schola doveva essere uno dei Preti Capitolari di Santa Margherita, che doveva celebrare un Esequie Annuale per tutti i Defunti e per ogni Confratello della Schola.”… Sarebbero state chieste ulteriori nuove Sacre Indulgenze a Roma, e dalla Curia Patriarcale sarebbe giunta l'approvazione e i giorni scelti per lucrarle in Santa Margherita come Indulgenza Plenaria: cioè nella Festa di San Vitòre nella domenica seguente, nel giorno dell’Invenzione della Croce, e nella Festa di Ognissanti ... In segno di nuova riappacificazione e intesa con i Preti, la Schola s’impegnò a realizzare un nuovo Altare per il quale Sindaco e Guardiano della stessa Schola donarono una “pala” pagata a proprie spese.

Nel giugno 1765 si pubblicò un libretto a stampa: “Benefici che ricevono li Confratelli descritti nel Sovegno di San Vittore.”

Testimonianza forte, invece, di quel modo d’essere e vivere popolare a volte difficile, fu un fattaccio che accadde nel 1740 in Calle Brochetta detta poi “del Sangue” proprio a metà del Campo Santa Margherita. La Calle si denominava in origine così per via dei fratelli Giulio e Domenico Contariniche nel 1740 erano proprietari in quella zona del Campo diuna bottega “da brochèta” cioè da venditore di chiodi data in conduzione a Veronica Artuzzi. Sempre gli stessi Contarini lasciarono in affitto per testamento le stesse case e botteghe: “le quali erano aSanta Margarita sopra il Campo”,a Giacomo Sangue da cui il posto prese il nome. La calle tuttavia già nel 1640 portava il nome “del Sangue”perché lì era accaduto un episodio che aveva spaventato l’intera Contrada. In una piccola Malvasia che sorgeva a metà della calle, giocavano a dadi quattro Pescatori di San Nicolò fra i quali c’era anche il violento e robusto Doro Rana. Durante le partite a dadi Rana aveva perso quasi mezzo ducato, per cui la tensione salita alle stelle fece scoppiare una lite dopo l’ennesimo colpo sbagliato. Dalle parole si passò ai fatti: Doro buttò tutto per aria, e iniziò a menàr pugni contro i compagni uscendo poi dal locale nella calle. Lì continuò la lotta, e spuntarono fuori i coltelli davanti alla solita folla dei curiosi che subito accorsero per guardare lo spettacolo: Doro era scatenato … Uno rimase subito morto sulla strada, e poco dopo altri tre restarono a terra agonizzanti. Ovviamente Rana venne subito arrestato, e il 28 giugno seguente la Quarantia al Criminal emise la sentenza per l’accusa di triplice assassinio. A Doro venne tagliata la mano destra proprio davanti alla piccola Malvasia dov’era accaduto il fattaccio, poi lo stesso Rana venne condotto in Campo Santa Margarita, e lì venne giustiziato in mezzo ai due pozzi a colpi di mazza, poi squartato per essere appeso alle solite forche a monito per tutti: Veneziani e Foresti ... Così funzionava la Giustizia di quei tempi a Venezia.   

Cinque anni dopo alla fine del gennaio 1745, il Consiglio dei Quaranta sentenziò il bando perpetuo per Marco Pellizèr reo d’aver ucciso con una coltellata alla gola Girolamo Mastella in Calle del Cristo a Santa Margheritadurante un’altra rissa. In seguito, siccome il Mastella era a sua volta “un poco di buono e un ricercato”, al Pellizervenne fatto lo sconto sulla pena riducendola a sette anni d’incatenamento al remo di una Galea con i ferri ai piedi ... Gli era andata bene tutto compreso.

Nel febbraio 1761, invece, secondo quanto raccontano i Notatori del Gradenigo: “Giuseppe Fadiga Tagjapiera a Santa Margherita, fu posto sotto i piombi delle Carceri Superiori per una certa molto disdicente corrispondenza con uno o due de suoi figlioli esistenti nelle città del Littorale Austriaco.” … Nel 1777 Nicolò Bortolatti Prete di Santa Margherita laureato Dottore a Padova, e 4 volte Vicario Generale di Venezia sotto diversi Patriarchi, divenne Arcidiacono del Capitolo di San Pietro di Castello ... una specie di“numero due e VicePatriarca” dell’intera Diocesi di Venezia.

E giungiamo a metà gennaio 1780, quando Veneranda Porta da Sacil di anni 43 e Stefano Fantini da Udine di anni 32 vennero entrambi decapitati per ordine del Consiglio dei Quaranta. L’uomo venne pubblicamente squartato per aver ucciso a colpi di maglio insieme alla donna nella notte del 12 giugno 1779 il marito di lei: Porto Francesco Centenari che se la dormiva tranquillo nel suo letto. Non contenti d’averlo ucciso, lo tagliarono a pezzi buttando i macabri resti nei pozzi del Campo di San Trovaso e in uno di quelli di Campo Santa Margherita. La testa dello sfortunato venne trovata a galleggiare insieme ad altre interiora nel Canale di Santa Chiara vicino alla Zattera del Tintor ... Una cosa crudele insomma, eccessiva, che non meritò alcuna pietà da parte della Serenissima.


Come ogni Parrocchia-Contrada Veneziana, anche la chiesa dei Santi Margarita & Vetòr non mancò d’essere riferimento ed ospitare le Schole e Sovegni d’Arte, Mestiere e Devozione della zona. Innanzitutto e sopra tutti fin dal lontanissimo 1377 trovò spazio e attività in Santa Margherita la Schola poi Sovegno dei Santi Vetòr (Vittore) & Margherita. C’era poi la Scholadei sempre “bellicosi” Gondolieri-Barcaroli del Traghetto di Santa Margherita e San Barnaba, che dal 1477 facevano riferimento alla chiesa del Campo, e c’era la pomposa Schola del Santissimo Sacramentodal 1530.

Accanto al campanile adesso "mozzo" di Santa Margarita, è ancora visibile su una di quelle che sono state le porte d'entrata della Schola di San Vettor e Santa Margarita un rilievo raffigurante un Calice Eucaristico. Si tratta di un simbolo tipico delle Schole del SantissimoSacramento ... Venezia ne è piena. Le Associazioni del Santissimo o del Venerabile, dette anche: Compagnie del Corpo del Signore o del Corpus Domini, nacquero praticamente tutte in epoca Boromaica e post Tridentina con lo scopo d’incrementare ulteriormente la partecipazione alla vita della Chiesa subordinati ai Misteri celebrati dal Clero … Alla “gente comune del popolino basso”, che comprendeva tutti ricchi e poveri eccetto gli Ecclesiastici, toccava sempre di pregare, fare elemosine, pagare per tenere la lampada accesa giorno e notte, rispettare i numerosi precetti che ti dicevano che fare e non fare fin dentro al letto con la moglie, e accompagnare il Prete in giro per la Contrada a portare la Comunione agli Infermi inforcando candelotti e suonando un campanaccio … Ovviamente doveva essere per forza così, anzi: per la maggior parte era ovvio che la Storia funzionasse anche a Venezia in quel modo … A ciascuno il suo: ai Preti, Frati e Monache toccava di pascere, guidare e governare … e intascare … e al Popolo di Dio di farsi carico obbediente di ogni necessità esistenziale e di ogni fragilità assistenziale di chi era più fragile … In cambio: piovevano dal Cielo specifiche Indulgenze ... a pagamento s’intende, e la promessa meritoria di Salvezza nell’OltreVita… che per tutti: poco non era.

Dal 1500 le Schole di Devozione del Santissimo divennero le protagoniste fra le Schole in ogni Parrocchia-Contrada, quindi anche le più ricche e solide finanziariamente, anche se non le più frequentate e seguite, pur essendo a differenza delle altre Schole: “residenziali” e non “ospitate o di passaggio” come buona parte di quelle delle Arti e Mestiere... Quelle del Santissimo erano Schole governate e indirizzate dottrinalmente quasi sempre dal Piovano di ogni singola Parrocchia-Contrada, ed erano una specie di “prolungamento e ampliamento locale” di forma laicale di quanto era la chiesa stessa … Praticamente esisteva una Schola del Santissimo in ogni chiesa di Venezia … In seguito, proprio per quel loro stile e taglio specifico, furono le uniche Schole ad essere risparmiate da napoleone.

Nel 1571 la pingue Schola del Santissimo di Santa Margherita fece restaurare i quadri che possedeva in chiesa, e commissionò a Jacopo Tintoretto tre grandi teleri scenografici ad effetto da porre ai lati dell’Altar Maggiore dedicato a Santa Margherita. Si trattava dell’"Ultima Cena” e dell’"Orazione nell'Orto", mentre il terzo telero con la “Lavanda dei piedi" venne collocato accanto all’Altare della Madonna(oggi le tre preziosissime quanto splendide opere possono essere ammirate nella Sacrestia della chiesa di Santo Stefano dove sono state trasposte in epoca napoleonica).

Trent’anni dopo gli stessi della Schola del Santissimo con 35 voti favorevoli e 7 contrari finanziarono e approvarono la riedificazione dell’intero Altar Maggiore di Santa Margheritarealizzando il progetto di Giulio Dal Moro al quale furono offerti 100 ducati … Si diedero anche altre 62 lire per “pietre vive e altri pagamenti” a Melchisedech Tagjapiera marmista di fiducia di Baldassarre Longhena ... Secoli dopo: nel settembre 1702, si fece notare che quell’Altare non era mai stato completato del tutto.

Fatto singolare e curiosissimo legato alle vicende di quella stessa Schola del Santissimo di Santa Margherita: esistono scritti e segnati in un Registro della Schola dove si teneva conto dei pagamenti della Tassa di Luminaria fatta dai Confratelli e Consorelle, anche i pagamenti effettuati da quelli che erano già Morti… Già Morti ? … Si … si. Non si trattava ovviamente di “fantasmi pagadòri”, ma erano i familiari e parenti dei Defunti che continuavano a pagare la Tassa “a nome loro” come estremo e ulteriore gesto di Suffragio e Memoria. Era come se certi Confratelli e Consorelle continuassero ancora a vivere e partecipare in qualche modo alle attività della Schola … Ingegnoso ! … Astuto anche: le pensavano tutte pur di racimolare soldi … Lo chiamavano: “Il Libro della Carittà che si ricava dai Morti”.

E non era tutto … Il Capitolo della Schola non mancò mai di finanziare e pagare al Capitolo dei Preti di Santa Margherita su espressa licenza del temibilissimo Consiglio dei Dieci: una Solenne Messa Cantata ogni seconda domenica del mese, e una Messa di Suffragio con preci ogni giovedì (una ventina di Messe annue per la precisione: a due lire ciascuna)... Inoltre: due questuanti della Scholagiravano ogni lunedì per tutte le strade della Contrada chiedendo soldi per realizzare un nuovo Tabernacolo in chiesa ... Quando il Patriarca Flangini si recò a visitare la chiesa nel 1803, costatò sui registri dell’Archiviodella Schola del Santissimo che si pagavano ancora ai Preti: 32 Messe annue e un Esequiale per tutti i Morti della Schola ...Piccola curiosità: il vecchio bancone degli arredi, degli argenti, e delle “robbe de la Schola del Santissimo di Santa Margherita” si conserva ancora oggi nella chiesa dei Carmini in fondo alla navata di destradove venne trasferito insieme all'Archivio, al “Segnàl” (specie di “logo” della Schola in legno intagliato e dorato infisso su un’asta), al“Penèlo”(gonfalone) e alle suppellettili della stessa Schola.

Ancora in Santa Margheritaesisteva fin dal 1546 la Schola divenuta poi Sovegno dell'Assunta, e dal 1650 una curiosissima e singolare Compagnia delle Nobildonne della Beata Vergine e Santa Margherita, che passò abusivamente qualche anno dopo nella vicina chiesa dei Carminicon progetti e ambizioni diversiIn chiesa c’erano poi presenti le tardive Schole di Sant’Antonio da Padova dell’Arte dei Fioreri dal 1716.

La Schola dei Fioreri di Santa Margherita riuniva nel 1773: 32 Capimastri Artigiani Fiorai e Giardinieri con 4 Garzoni tutti attivi in 17 botteghe e 10 "posti all’aperto” sparsi in giro per Venezia. Curiosa è pure, a mio dire, la storia dei Fioreri Veneziani. SI trattava di lavoratori e gente Veneziana semplice, che non riuscivano neanche ad onorare e assolvere al fatto d’essere associazione … Nel 1716 erano gravemente debitori di oltre 3.905 ducativerso la Serenissima abituata a tassare ogni tipo di Schola d’Arte, Mestiere e Devozione di Venezia e dintorni ... La Schola dei Fioreri di Santa Margherita fu poverissima: riuscì appena a mettere insieme i soldi per tenere due Capitoli nella chiesa di San Zuane dei Furlania Castello: furono gli unici due della sua storia. Non avevano neanche i soldi per mandare in giro un Nonzoloa recapitare agli iscritti gli inviti per partecipare alla convocazione … La Serenissima inflessibile, non vide altra soluzione che sopprimere la Schola dei Fioreri.

C’era poi referente sempre alla stessa chiesa di Santa Margherita fin dal 1723, la famosa quanto vispissima Schola di Santa Maria Elisabetta dell’Arte dei Varoteri, che dava indirettamente lavoro a molti (ne ho parlato di recente in una delle mie precedenti “curiosità”). C’era ancora il Sovegno della Beata Vergine del Rosario, il Sovegno non autorizzato dalla Serenissima dei Sacerdoti di Sant’Osvaldo, e l’altrettanto abusiva Devozione dei Morti sorta nel 1785 quando ormai la stessa Serenissima stava storicamente agonizzando a sua volta.

C’è da ricordare che in un angolo del Campo gravitando fin da subito e sempre sulla chiesa-Convento dei Carmini nacque e lievitò grandemente la Schola della Madonna dei Scapolari dei Carmini che divenne in seguito una della Sette Schole Grandi di Venezia coinvolgendo moltissimi Veneziani ... Altra storia che meriterebbe di dire molto a parte.

Nel 1783: ultimi squilli storici di Santa Margherita: chiesa restaurata, rifatte le campane per le quali si istituì un’apposita Cassa Spese per Campane, e si scelse “il meglio” per gestire le economie della Fabbrica-Chiesa, cioè il Capitolo dei Preti si rivolse al NobilHomo Francesco Lippomano che venne eletto Procuratoredi Santa Margherita dopo aver ricoperto in precedenza la stessa carica a San Basilio, alle Eremite di San Trovaso, dalle Monache di San Giacomo di Murano, e a San Barnaba.

Quasi contemporaneamente: nel marzo 1769, i soliti Proveditori de Comun iniziano ad istruire le pratiche necessarie alla soppressione della Schola-Sovegno di Santa Margherita e Vitòr ... I tempi erano magri e tristi … e i debiti incombevano.

Nel settembre 1781 si stese un ultimo inventario dei beni della Schola, che possedeva tra l’altro:“… un altar de piera co la so pala … e i locali della Schola sopra il Campo vicino al campaniel contornadi attorno di quadri con la vita di detto Santo …”

Il 31 agosto 1781 giunse l’abrogazione ufficiale della Sovegno di San Vitòr tramite un’apposita Terminazione, mentre il mese seguente fu il turno della soppressione della storica Schola di Santa Margherita con l’omonimo Ospedaletto. Tutti i beni rimanenti sarebbero passati in custodia alla Schola del Rosariopresente nella stessa chiesa di Santa Margherita.

E giungiamo finalmente al 23 ottobre 1810, quando la Collegiata dei Preti di Santa Margherita smise d’esistere e di registrare puntualmente quasi in modo maniacale tutto quanto accadeva di significativo nei meandri dell’omonima Contrada Veneziana.

Spendo le ultime parole di questo scritto per dire come tutto in Contrada era meticolosamente segnato giorno dopo giorno in appositi: "Liber Battezzatti Paròcia et Collegiatae Ecclesiae Sancte Margaritae”"Libri de Morti della Parochial et Collegiata chiesa di Sancta Margarita.” e in mille altre carte e registri dell’Archivio Parrocchiale ... Il Capitolo dei Preti sapeva tutto di tutti: chi nasceva, s’innamorava e maritava e magari poi “contrastava” fra loro, chi lavorava o stentava economicamente, e chi s’ammalava e moriva ... I Preti iniziarono a registrare tutto quanto riguardava “Anime e Sacramentalia” fin dal 1500: “1541 adì primo marzo. Al nome de la S.ma Trinità ed de tuta la corte celestial comenzo mi pre Hieronimo Zuchoniano piovan dela chiesia de madona S. Margarita, dar principio et notar sopra questo presente libro con bona ventura tuti li fioli mascoli che de tempo in tempo nascerà in questa nostra parochia, li quali sarano nobeli et che sun tenuto dar in notta alla Vogaria iuxta il comandamento et le leze dela terra”.

Il Capitolodei Preti considerava i gesti esistenziali di ciascuna persona che abitava in Contrada insieme a quelli esercitati in chiesa come unitari segni-gesti di Salvezza “in fieri”, cioè in divenire:“Tutto associato a una buona dose di orazioni ed elemosine può diventare fautore di un “Buon Destino nell’Aldilà”… Batti e ribatti, quelle divennero le convinzioni di tutti, e la Religione continuò ad essere anche un pingue e grande affare da saper gestire con acutezza ... e i Preti erano “acuti” nel saper gestire quel genere di cose.

C’è poco poi da giustificare, nicchiare, sminuire, compatire, spiegare e girarci attorno: quello delle Messe, Mansionerie, Esequi, Anniversari e affini fu un tema, anzi “un commercio” singolarissimo che ha accompagnato per secoli l’intera storia della Chiesa e Capitolo dei Preti di Santa Margherita (al pari di tutte le altre realtà religiose Veneziane) ma anche di tutta la gente Veneziana e non che ha abitato la Contrada.

Siamo sempre là con i discorsi: le Messe corrispondevano a un considerevole patrimonio che produceva a sua volta ulteriori cespiti, Legati, entrate e soldi, che il Capitolo dei Preti di Santa Margherita per obbligo di Diritto Ecclesialegestiva e registrava accuratamente in appositi Giornali delle Messe”, "Liber Missarum Ecclesie Sancte Margarite”, "Libro delle messe delli Devoti e Devote” e altro ancora.

Non ve lo nascondo … Io stesso ancora nel 1982-1987 ho continuato a registrare su “Liber”simili le stesse cose, sebbene i tempi fossero cambiati, e le “entrate dal giro delle Messe” fosse diventato minimo e ridottissimo … Non paragonabile a quello avvenuto un tempo a Venezia ... e in Santa Margherita.

Sempre secondo me, sono interessantissimi e curiosi, sebbene noiosissimi da leggere, gli “Elenchi delle Mansionerie” e il “Libro dei Riceveri di dette Mansonerie” di Santa Margherita … Basti dire che ad ogni Mansioneria corrispondeva un pagamento immediato o esigibile a precise scadenze annuali ... Ovviamente: chi più aveva, più poteva permettersi, e quindi erano i soliti Nobili Veneziani a far da protagonisti ordinando un’infinità di Messe come “buon passaporto utile per garantirsi l’Eternità”. La Nobildonna Paola Lando Civranistituì una Mansioneria di Messe con testamento del 1403 che venne celebrata e pagata puntualmente ai Preti di Santa Margheritadalla Famiglia fino al 1503, cioè per cento anni ! … La Nobilissima Cristina Lando non volle essere da meno, e pagò dal 1510 fino al 1795 !!! … Che si sia salvata in Cielo a quel prezzo ?

E poi ancora la lunghissima lista dei “Nobili pagadòri di Messe”: Andrianna Tron; Michiel Bon; Andrianna Renier; Marietta Lando; Pietro e Marietta  Corner; Andrea Bosello e Catterina Giacomazzivedova Bosello che raddoppiò le sue richieste di Messe rinnovando il testamento; Nicolò Corner dal 1435 fino al 1554; Giacomo, Francesco, Girolamo Consado e Giovan Francesco Venier; Prè Ambrogio Baffo Pievano di San Polo; Isabella Valier; Perla vedova Alvise Barovier: dal 1555 con seguiti fino al 1725 … Altra botta di soldi per il Capitolo dei Preti !

Alcuni, come Giovanni Sandri nel 1586, si potevano permettere ieri come oggi “il meglio del meglio”, cioè una specie di “fuoriserie per l’Eternità” costituita dalla celebrazione di Messe Trisettimanali, o di sei Messe la settimana, o addirittura: una Mansioneria di Messe Perpetue ... “ab Aeternum”: come la Salvezza.

Poi c’erano i Cittadini Veneziani, sottocategoria dei Nobili, e quella dei non sempre benestanti che ugualmente furono capaci di sborsare cifre consistenti per anni e anni. I Preti gestivano un vero e proprio capitale, un investimento continuo, una specie di “mutuo per il Paradiso”: Stefano di Cortesi Tagliapietra; Vesca consorte di Marco Pietro Cortelèr che pagò dal 1472 al 1476; Marco Scudelin; Costantino dal Brolo; Antonio Tintor che fece celebrare Messe “pro Anema sàa”dal 1485 al 1689: duecento anni ! … Lo stesso Reverendo Prè Nicolò Saggia Bianca Piovano di Santa Margherita nel 1389 istituì per se stesso due Mansionerie Perpetue di Messe in sua Memoria che vennero celebrate ininterrottamente fino al 1692: trecento anni di preghiere e soldi … Saranno valsi la Salvezza di quel Reverendo ?

Storia analoga accadde durante tutto il 1600 e durante tutto il 1700, anche se venne definito “secolo illuminato” cioè disincantato e capace di maggiore lungimiranza. I Nobili: Andrianna Condulmer; Giustina e Lucietta Dolce che fece un “ordine di Messe” celebrato dal 1691 al 1720; Cecilia Riva; Teddea Revere Molin… Non veli dico tutti: ne ho contati a decine su decine … Bartolo Coi: pagamenti 1659-1729 … Pietro Busetti quondam Giacomo Nonzolo della Madonna del Carmine con donazione del 1695 e seguiti fino al 1742; Giacomo Tassan dal 1696 con seguiti di pagamenti fino al 1753 … Veronica Diotiguardi Mistrandal 1721 al 1789; Mansioneria-Legato Perpetuo nel giorno del Santissimo Natale e Anniversario Perpetuo istituiti da Lorenzo Bortoletti quondam Zuanne con testamento del 4 febbraro 1754 ... e avanti così.

C’era poi chi usava formule alternativa di lascito ai Preti sempre “a favore della propria Salvezza Eterna”, esisteva cioè la formula dei Legati: Legato di una casa a San Trovaso data al Capitolo dei Preti di Santa Margherita in cambio della celebrazione di Messe disposto da Don Andrea Sonador con testamento del 12 marzo 1642 ... Legato Perpetuo di ducati 50 annui da dispensarsi ai poveri disposto da Morosina Bollani con testamento del 17 novembre 1614 ... E poi: Lattanzio Zucconi nel lontanissimo 1308; Francesco Lando nel 1450; Don Giovanni Pietro di Fara nel 1502; Lorenzo Morosini nel 1590; Girolamo Grimani quondam Antonio nel 1626 pagatore puntualissimo fino al 1727 … e tanti altri: affitti e introiti trasformati in Messe da celebrare.

Anche in questo caso ci furono “le fuoriserie”, ossia i PluriLegati Perpetui disposti, ad esempio, da Cristoforo Filacanevodal luglio 1348 al 1470 … da Nicolò Giovanni nel 1425; da Francesco Sonador quondam Stefano nel 1464; dall’Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Giulio Ruggeri Parroco di Santa Maria di Vedor con testamento nuncupativo del 27 febbraro 1644 … e fu di certo un Legato SuperPlus quello del Legato Anniversario Perpetuo disposto da Mario de Simon con testamento 12 agosto 1273 che venne celebrato e riscosso ancora una volta per diversi secoli in Santa Margherita.

Tramite Punti di testamenti risalenti addirittura al 1300, si distingueva fra Legati Precari, Legati Perpetui e Legati ad Anniversari Annuali a cui venivano fatte corrispondere le celebrazioni di una o più Messe pagate dagli eredi, dalle famiglie, dai Procuratori di San Marco che fungevano da affidatari, o da apposite Comissarie costituite appositamente per concretizzare le specifiche volontà testamentarie.

Si giunse addirittura ad acquistare appositamente qualche casa affittandola, come fece il Nobile Costantin Renier fu Girolamo, che ne acquistò una in Contrada di San Stàe nell’aprile 1721, e la lasciò come rendita alla chiesa di Santa Margherita in cambio di Messe da celebrare: “l’Eternità non ha prezzo” disse il Nobile Renier: “per conseguirla bisogna essere disposti a tutto.”… Oppure con i soldi di un Lascitosi acquistò e restaurò una casa rovinosa come fece il Piovano di Santa Margherita il 6 febbraro 1612. Poi la diede in affitto, e ne utilizzò l’utile traducendo in Messe… Tutto un lungo giro che faceva in ogni caso alla fine convergere i soldi nel “partidòr” dei Capitolo dei Preti di Santa Margherita.

La Parrocchia insomma era una “ben oliata macchina da guerra”, cioè un “Beneficio”capace di autofinanziarsi e mantenersi “alla grande”… Cerco di essere obiettivo dai ! … Qualche volta qualche briciola finì anche a favore della Carità e dei Poveridella Contrada… Solo qualche volta però: siatene certi … Andate e vedere gli atti e i documenti se volete: i Preti furono sempre abilissimi a tradurre tutto “quel ben di Dio di Messe offerto da Devoti e Morenti” in: “Bòne Intrade”, “Giri di deposito e Partite di Capital nella Zecca di San Marco”, oppure in acquisizioni di immobili e terreni: a Noal e Lietoledi Terraferma, ad esempio, o a Piove di Sacco nella Saccisica Padovana, che poi davano in affitto “a livello” ai contadini del luogo per poi spartirsene le Rendite insieme alle Regaliee gli Omaggi scanditi e previsti dalle scadenze del Calendario: Natale, Pasqua, l’Assunta, San MartinLa Chiesa-Capitolo-Fabbrica di Santa Margheritafu per secoli un vero e proprio ente-azienda efficentissimo dotato di un’infinità di appositi Registri di cassa”, "Cassa Fabbrica”, "Conti e spese", "Libri della Fabbrica di Santa Margherita” (1615-1726), “Conto in dar et haver de Capitolari, Fabrica e Chierici al Rev.do Clero di Sancta Margherita" con "Polizze di spese colli per conto Fabrica e Chiesa", "Cassa Fabbrica donzelle e paramenti”, "Libro delle Gratie delle Donzelle"(1680-1770), "Mensuale delle Rendite, Spese et Obblighi Capitolari, delle Casse della Fabrica vecchia, Messe, Partidòri, Arche, Dongielle et paramenti della chiesa di S. Margherita, così anco registro di cose spettanti alla chiesa suddetta maneggiate dal Reverendo Procurator del Capitolo.”, "Cassa Economica, Riceveri d’Economia"… “Libro che dimostra l’Entrata ed Uscita del soldo esistente nello Scrigno della chiesa di Santa Margherita"… "Libro dell’affitanze di case di ragion del Capitolo di Santa Margherita"… "Scossi per l’Altar del Christo"… "Bilanzi dello scosso e speso per il ristauro della Parochiale e Collegiata chiesa di Santa Margarita …” e "Fondamenti per mezzo dei quali si anno ritratto delle ellemosine, impiegate nel ristauro della chiesa di Santa Margarita” … "Ellezione de’ Presidenti e Cassieri sopra la Fabrica della chiesa di Santa Margarita e rinunzie”  … "Quaderni di Conti, Spese,  Riscossioni d’affitto, Scosso e Dato, Inventari e Affrancazioni".

Che ve ne pare ? … Puà bastare ?

Interessantissimo e curioso ancora una volta il "Libro dei Partidòri del Venerando Capitolo di Santa Margherita." che copre l’epoca dall’inizio 1724 fino alla fine di settembre 1837 ! … Perché curioso ? … Perché incredibilmente i Preti di Santa Margherita continuarono ad annotare e a spartirsi entrate e soldi anche dopo che la chiesa-Parrocchia non esisteva più perché soppressa, e tutti i beni … o quasi tutti … erano stati avocati e Indemaniati dallo Stato

Così com’è altrettanto curioso notare che mentre i Francesi stavano incamerando ogni cosa a Venezia e nell’intero Dominio della Serenissima, i Preti di Santa Margherita in fretta e furia, e riducendo il prezzo di vendita al massimo, riuscirono a vendere i campi con casa colonica a Cerva di Noaledi loro proprietà a Don GiovanBattista Rossi Piovano di Santo Stefano di Treviso con l’intento palese “di salvare il salvabile”, e di provare almeno un’ultima volta a racimolare “qualcosa” dal loro patrimonio: “che gli invasori, maledetti da Dio, stavano impunemente alienando”.

A tal proposito, come tutte le chiese, Conventi e Monasteri Veneziani, anche la storia dei Preti del Capitolo di Santa Margheritaè costellata da un’infinità di Processi, Contrasti, Questioni e Sentenze“per diritti parrocchiali, spettanze, eredità e similari”… I soldi erano soldi … e se si trattava poi di pingui rendite, terreni e immobili:“non ce n’era per nessuno”. I Preti sapevano diventare feroci come belve, s’accaparravano i migliori Avvocati e Notai, e diventavano capaci di mettere in piedi cause che durarono diversi secoli: “I Preti-Frati e Mùneghe son coriacei: non mollano mai facilmente l’osso, anzi: lo spolpano accuratamente fino all’ultimo e alle midolla, e se possono continuano a rosicarlo finchè ne avranno … Non si stancano nel farlo.” recitava un’arguta vignetta che girava per Venezia che i Preti si affrettarono a dichiarare: “immorale, indecente e impudente”.

Nell’abbondantissima serie degli “Scartafazzi, Carte, Ricevute, Sommari, Stampe, Lettere e Conti” dell’Archivio di Santa Margarita & Vetòr esiste perfino un processo intentato dal Piovano della stessa chiesa contro gli stessi suoi confratelli Preti del Capitolo di Santa Margherita che si trascinò per 73 anni (1600-1673).

La lista dei casi è lunghissima ed esemplare, ne cito solo alcuni: "Piovano di Santa Margarita contro P. Antonio Santi, Girolamo Barbieri, et Francesco Colli"(1534- 1666); “Capitolo di Santa Margherita contro il Capitolo dell’Anzolo Raffael per diritti parrocchiali sul confinante Palazzo Vendramin” (1700); "Chiesa di Santa Margerita contro Garzoni sive Scudelino"(1472-1626); “Contro la Parrocchia di San Martino di Venezia e il Capitolo di San Gervasio e Protasio, e Don Lazaro Zorzi Sagrestano della chiesa dei soppressi Canonici Lateranensi di Santa Maria della Carità.”(1600-1800); “Contro i Padri Domenicani”; "Capitolo de Preti di Santa Margarita contro Don Valentin de Boma."; “Pendenza istituita dal Capitolo di chiesa contro Pisani per Legato istituito da Paolina Pisani consorte Bragadin"

Interessantissima la baruffa durata un secolo e mezzo: 1602 al 1757, fra il Capitolo dei Preti e i Poveri di Santa Margarita e il Convento delle Monache del Santo Sepolcro in Riva degli Schiavoni unite ad Antonia e Margarita Boneri per l’Eredità Ongaro… Esiste un curioso Repertorio di scritture e mazzi di carte che vanno dal 1206 al 1742 relative “alli processi et cause contro i Reverendi Padri Carmelitani del Monastero del Taglio al Laudo.”… Ma chi erano, dove si trovavano quei Padri ???

Alle porte del 1800, cioè poco prima della soppressione di Santa Margherita: “… Se porta avanti ancora in chiesa la Tradizion Religiosa d’esporre solennemente il Santissimo Venerabile ogni Venerdì Grasso: in reparaziòn de li eccessi e de peccadi fati nel Carneval, mentre i tori impàzan nei Campi de Venetia ... V’intervengono più di 200 Confratelli del Crocefisso, mentre in tutti gli altri Venerdì di Quaresima si compie in chiesa il Pio Esercizio di Preparazione alla Buona Morte … La Prima Domenica di ottobre si esce in Processione per tutto il Campo, le Fondamente, le Corti e le Calli della Contrada portando fuori in giro “tutto” quanto sta in chiesa in occasion de la Festa della Madonna del Rosario.”

Curiosissima l’immagine della Contrada dettata il 16 settembre 1803 dall’altrettanto curiosissimo personaggio che fu il Patriarca Ludovico Flangini: fu l’ultima Visita storica di un Patriarca alla chiesa-Parrocchia di Santa Margherita che poi non esistette più.

Noterella doverosa … Ludovico Flangini oltre ad essere stato CardinalPatriarca di Venezia fu soprattutto un ossessionato Filologo e Grecistadi grande valore. Era quello il suo principale interesse più che la Cura Pastorale delle Anime ... Patrizio d’origine, della Nobiltà importata Cipriota, venne educato ovviamente secondo i crismi classici dell’Aristocrazia Veneziano-Veneta, e finì col sposarsi nel 1759 con la Nobile Maria Laura Donà da cui ebbe una figlia: Cecilia. Morta la moglie si ritirò ad Asolo dove ricoprì più volte per la Serenissima prima la carica d’Avogador da Comun e poi quella di Correttore delle Leggi ... Austerissimo nei costumi e nelle convinzioni, praticamente bigotto fino alle midolla: propose e ottenne di chiudere il Ridotto di San Moisèa Venezia diventato di fatto un postribolo pubblico. Sull’ala di quel successo e con un buon patrimonio in tasca, provò nel 1776 a diventare senza successo Procuratore di San Marco. Non riuscendovi si buttò allora nella carriera Ecclesiastica: l’altra faccia della medaglia del potere, e fu così che scalò “la causa”divenendo Auditore della Sacra Rota di Roma tre anni dopo, poi Cardinale Diacono prima dei Santi Cosma e Damiano e poi di Sant’Agata dei Goti (che valeva di più in quanto a introiti) ... Divenne poi membro delle onnipotenti Sacre Congregazioni Romane per il Concilio, per i Riti, per l'Esame dei Vescovi, per l'Immunità Ecclesiastica e per i Disciplini e i Regolari. Nell’ultimo anno del 1770 proprio a Venezia divenne Preteentrando nel Conclave dell’Isola di San Giorgio Maggiore di fronte a Piazza San Marco dove concorse ad eleggere Pio VII, cioè il chiacchieratissimo e timido Barnaba Niccolò Maria Luigi Chiaramonti, che divenne Papa di Roma privato però della sua naturale sede invasa e occupata dai Francesi.  

Esiste un interessantissimo Diario del Flangini che descrive “minuto per minuto e dall’interno” quel singolarissimo evento storico del Conclave e del Papa eletto a San Giorgio di Venezia.

“Passata la Festa”, Flangini assunse l’ancor più remunerativo Titolo Cardinalizio Presbiterale di San Marco, e con quello si recò alla Corte di Vienna mettendosi a disposizione della Corona Imperiale Austriaca che lo considerò a tal punto da nominarlo Conte e Consigliere Privato dell’Imperatore ... il che gli garantì la bella pensione annuale di 10.000 ducati.

Fu proprio l'Imperatore Francesco II a sceglierlo come Patriarca di Venezia e Primate del Veneto nominandolo come tale ... Nell’occasione divenne per forza Vescovo, e fu rimanendo a Vienna che iniziò a governare la Diocesi di Venezia “a distanza”.

A suo dire raggiunse la Laguna a malincuore solo un anno dopo, preoccupato dell’ignoranza del “grigio e molle Clero Veneziano”, e soprattutto per “… l’ignoranza Civico-Dottrinale dell’intero Popolo Veneziano obnubilato da false massime di pseudoFilosofi".

Per favorire un qualche recupero della Devotio dei Veneziani ridusse il prezzo delle Messe, provò con scarso successo a far sorgere nuove Confraternite e Schole, s’inventò la Devozione Eucaristica delle Quarantoreimponendola in tutte le chiese Veneziane, ma soprattutto rifinanziò i Pretie aprì nuovi Seminari provando a rimotivarli a suo modo ... Su suggerimento dello stesso Imperatore Austriaco provò anche a riavviare, ma senza successo, l’antico Tribunale del Sant'Uffizio-Inquisizione per combattere soprattutto le Società Segrete e Massoniche, così come provò ugualmente senza successo a riformare i coriacei e riluttanti Frati e Monache, e a ricostituire la mitica Compagnia dei Gesuiti sinonimo della massima Ortodossia, Obbedienza e Dedizione alla causa Cristiano-Imperiale.

Subito dopo essere stato decorato con la Gran Croce dell'Ordine Reale di Santo Stefano d'Ungheria che non si toglieva mai dal collo, iniziò finalmente la Visita Pastorale della Diocesi di Venezia, che venne però ben preso interrotta a causa della sua morte.

Quella di Santa Margheritafu una delle poche Chiese-Parrocchie-Contrade Veneziane che gli riuscì di visitare.

Secondo la “Relatio”della Visita alla Contrada di Santa Margherita e all’Oratorio privato di Casa Arnaldi, si osservò in Parrocchia-Contrada la presenza di 2.200 abitanti-Anime adiuvati da una Levatrice di Contrada“esiste in Contrada anche una Spezieria da Medicine: “Santa Margherita” […] Le rendite della Fabbrica di Santa Margherita non sono molto consistenti: ogni settimana gira per la Contrada una cassella della Fabbrica, che possiede come entrate: 1.196 lire dall’affitto di due case e una bottega, e i cespiti di Legati e Lasciti vari ... Come uscite la Fabbrica di Santa Margherita spende: 480 lire annue, di cui 37,4 per l’organista, 130 lire per le cere della Festa della Purificazione, e 30 lire per quelle utilizzate nella Festa della Dedicazione ... Il Piovano come rendite ed entrate possiede: 735,15 ducati annui dall’affitto di quattro case, una bottega e di 39 campi in Terraferma dai quali riceve anche le regalie da parte dei coltivatori. Il Piovano spende in uscita: 641,2 ducati di cui 90 nelle sue funzioni di Titolare (??? … sono scomparse alcune carte dell’Archivio), 20 ducati per le spese della Festa della Dedicazione della chiesa, 60 ducati per l’affitto della sua casa di residenza che non è la Casa Canonica ma una più agiata, 32 ducati per il “Vin da Messa”, e 117 Ducati per finanziare una Mansioneria di Messe da celebrare secondo le sue intenzioni ... Gli altri Titolati di Santa Margherita possiedono la Casa Canonica di Residenza e la rendita di 48 ducati annui dall’affitto di due case ... […] … I Sacerdoti che frequentano la Parrocchia-Chiesa di Santa Margherita sono 24 nell’insieme, di cui uno è infermo, ed alcuni vanno celebrando altrove cercando elemosine più consistenti spingendosi fino alle chiese di Santa Croce, San Sebastiano, San Barnaba, San Nicolò, le Eremite di San Trovaso, San Silvestro o la Casa Araldi.”

Testualmente si legge il commento: “Quei Preti sono dei Pagliacci ! ... Ci sono inoltre altri due Chierici che andrebbero obbligati alla recita quotidiana dell’Ufficio della Madonna e allo studio assiduo nelle Scuole loro assegnate dal Vicario Capitolare ... Il Piovano Don Savoldello Bartolomio veste in abiti corti e di colori vari col cappello di campagna ... gioca e beve nei Magazzini della Contrada, e il vino lo rende cattivo … frequenta una certa femmina vedova di poca buona fama detta da tutti: “la puttana del nipote del Piovano”… la porta anche in Canonica fornendo occasione di dicerie … Assistendo un moribondo anziché confortare i familiari sarebbe uscito nella frase: i Preti hanno il privilegio sopra i Secolari di far Becchi senza poter esser fatti …Verrà sottoposto a processo … Don Bagnadega Francesco va a giocare con Don Savoldello nei Magazzini, ed è ubriaco tutte le sere. Talvolta deve essere trasportato quando viene chiamato dai moribondi in quello stato … il Sensale Fanzago afferma di tutte e due: posso dire cose che se fossimo in altri tempi avrei fatto ricorso … […] … Oltre a questo in Santa Margherita si celebrano 5.297 Messe Perpetue, e ne rimangono da celebrare altre 1.751. Ne sono state celebrate senza elemosina: 1.075; 37 fra Esequie e Anniversari Funebri, e 527 altre Messe Avventizie ... ... Si celebrano due Esequie per i Benefattori Defunti; Messe ed Esequie in Suffragio dei Defunti con offerte dei fedeli che si celebrano oltre il 2 novembre anche nell’Ottavario, nella Festa dei Santi, a Capodanno e a Pasqua … Esiste in chiesa un Legato per la Messa Solenne di Natale “in aurora”; un altro Legato per la Messa Cantata nella Festa della Madonna Addolorata; un Legato pagato per la Messa Cantata della festa di San Camillo; una Funzione Speciale in onore di San Luigi  per la quale si è istituita un’apposita cassella per le elemosine dalla quale si raccolgono 25 ducati spendendone per la Festa: 18,5 per il Cassador, Fiorista, cere, Esposizione, Predicatore, immaginette, offerte e regalie ai Capitolari, ai Chierici e al Nonzolo …[…] … Sempre nella stessa chiesa si alimentano Devozioni particolari a San Pietro Apostolo, a San Paolo, San Giuseppe, San Giovanni Evangelista, San Camillo de Lellis, San Filippo Neri e San Benigno … Esiste la Predicazione annuale con spiegazione del Vangelo nelle Feste, si predica nel Mese del Rosario, e si tiene la Dottrina per le Putte benissimo diretta, ma poco seguita dai Preti che se ne vanno a San Polo, San Nicolò e San Barnaba ...”

Poi“a Venezia cascò il mondo”, e non solo a Venezia ma anche un po’ ovunque in giro per l’Italia: capitò il fatidico passaggio azzerante dei Francesi di napoleone ... Nel maggio 1796 si ospitò per qualche tempo proprio in Contrada di Santa Margherita Ercole III Duca di Modena in fuga da napoleone con un misero seguito. Venne sistemato alla buona in attesa di tempi migliori in una casetta già occupata in precedenza da Mario Savorgnan con la facciata che dava sul Rio di Cà Foscari quasi dirimpetto a Palazzo Paruta. Li con grande fatica i Bastazi (Facchini)Venezianiriuscirono a trasportare spostandoli a stento 5 grossi cassoni ricoperti di ferro che si diceva contenessero tutte le ricchezze accumulate dal Duca a Modena. Le Cronache Veneziane ricordano: “… lo si vedeva girare sgangherato per Venezia, parlando con chiunque con la grassa seconda moglie, e con poco seguito: due Ciambellani e un gondoliere, ma tutti in male arnese.”

L’anno seguente il Piovano di Santa Margherita venne segregato fra gli ostaggi-complici nella prigione “Forte” di San Giorgio Maggiore per la presunta congiura contro i Francesi … Nel 1806 quando Don Carlo Savoldellofu ultimo Piovano di Santa Margherita, la popolazione della Contrada contava 3.500 Anime, e i proprietari degli stabili della zona erano ancora i Juspatroni della chiesa, cioè continuavano a godere dell’antica prerogativa di potersi scegliere ed eleggere come loro Prete-Parrocochi volevano e gradivano maggiormente.

In quegli anni a Venezia avvenne il tracollo un po’ di tutto: nel 1810 la Parrocchia-Chiesa di Santa Margherita venne sconsacrata: l’organo Callido trasferito a San Pietro di Murano, e la popolazione dei fedeli ridotta a 1800 Anime annessa alla neonata Parrocchia dei Carmini che inglobò anche i 2000 fedeli della soppressa Contrada di San Barnaba diventata Succursale … L’ex Piovano di San Barnaba venne dirottato a Santa Maria del Giglio nell’OltreCanalGrande verso San Marco, mentre Don Savoldello espropriato e sfrattato da Santa Margherita, divenne primo Parroco dei Carmini andando ad abitare in una piccola porzione esterna dell’ex Convento dei Carmelitani sfrattati pure loro per trasformare il Convento in caserma ... Per l’uso di quella casupola affacciata sul Campo dei Carmini, Don Savoldello dovette pagare un affitto annuo di 190 lire: “... Morì poco dopo ... poveretto … forse di crepacuore: troppe novità destabilizzanti in un colpo solo per un tranquillo Piovano Veneziano.”

Nel dicembre 1813 venne rimosso e venduto il pavimento in marmo di Santa Margherita, che venne comprato da Giacomo Florian e Pietro Rigaglia insieme ai pavimenti di Santa Marta e San Severo per pavimentare la chiesa di Montereale ... Le tre tele di Jacopo Tintoretto passarono nella chiesa di Santo Stefano oltre il Canal Grande, e tutto l’arredo della chiesa scomparve andando predato e disperso: una statua di Santa Margherita del 1400 appartenente alla stessa chiesa Veneziana è spuntata fuori qualche anno fa a Parigi … Chissà perché ?

 

Due anni dopo ancora, il locale della chiesa con tutti gli annessi venne inserito nella “Lista delle vigne, orti, beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezianei giorni d’asta del 12 e 16 febbraio seguenti” ... L’aula della chiesa venne quindi concessa in uso alla Manifattura dei Tabacchi fino al 1839 quando cambiò utilizzo diventando uno dei depositi di marmi e opere d’Arte provenienti da altre chiese soppressedestinati a prendere la via di Padova, Milano e Francia… oppure sparire predati da qualche ignoto ladrone.

Nel 1861 l’ex Santa Margherita divenne Studio dello scultore Luigi Borro fino al 1882 quando venne adattata per breve tempo a Tempio Evangelico: c’è ancora leggibile sull’architrave del posto la titolazione-insegna di allora … E siamo all’inizio del 1900: quando la ex Santa Margherita divenne prima sede della Camera Del Lavoro, e poi dal 1921 fino al 1977: Cinema Santa Margherita conosciuto come “Cinema vècio”(me lo ricordo ancora benissimo in attività: con le locandine degli spettacoli appesi fuori).

L’aula della ex chiesa per l’occasione venne ridotta di un quinto in lunghezza, si crearono tre ordini di logge, e palchi, barcacce-gallerie dalle sei cappelle laterali della chiesa preesistente decorandoli con imitazione pseudoseicentesche: Si trasformò il Presbiterio in palcoscenico ridimensionandolo in altezza ed eliminandone la volta, si tinteggiarono gli elementi originari in pietra d’Istria, si oscurò l’affresco di Zanchi sul soffitto con un telo, e la navata centrale venne ridotta creando un piccolo foyer-ingresso per la biglietteria.

Infine nel 1987: tutto l’ambiente venne acquistato dall’Università di Cà Foscariche ne fece Aula Magna restaurando l’edificio in stato di avanzato degrado ... Venne rifatto il selciato del pavimento, consolidato e messo in sicurezza l’intero edificio rivedendo le travature del tetto, si crearono uscite d’emergenza, si riportarono alla luce la strutture esterne seicentesche ripristinando le componenti oscurate, gli elementi in pietra d’Istria tinteggiati, e liberando e restaurando l’affresco di Zanchidel soffitto ... Il foyer-biglietteria è diventato ingresso dell’Auditorium, i vani sono stati adattati alla funzione di sala, e gli spazi che ospitavano le macchine da proiezione sono stati trasformati in sale per la traduzione simultanea.

Santa Margheritaè rinata … anzi: direi proprio di no.



 


IN CONTRADA DE SAN BARNABA … IERI

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#unacuriositàvenezianapervolta 208

IN CONTRADA DE SAN BARNABA … IERI

Ho soprattutto due ricordi della chiesa e zona di San Barnaba a Venezia, che è stata per anni in maniera specialissima anche un po’ “mia”… Il primo è un ricordo bello, anzi: bellissimo, legato all’esperienza “da Prete” che condividevo con le ragazze e i ragazzi dei Carmini. Erano gli anni del “Credo” quando ci trovavamo proprio dentro a San Barnaba per rinnovare “fra amici”la propria scelta-impegno di provare ad essere Cristiani sul serio e non solo per etichetta e a parole … Prolungavamo insomma il gesto-scadenza della Cresima che per molti coincideva, invece, col momento del “rompete le righe” e della fuga-distanza definitiva dal mondo dei Preti, della Chiesa, Dio, Catechismo e dintorni …  A dirla tutta, la nostra era una “formula” un po’ impropria e insolita, inventata da noi “in casa” e non tanto in linea con l’apparato comunitario e il solito clichè Cattolico-Ecclesiastico-Preteresco ... Ma per noi funzionava in quanto era un momento d’importante aggregazione, e rendeva evidente quel “sentimento” che ci teneva insieme uniti e legati all’idea “della Chiesa e di Dio”… Non quella di mattoni intendevamo, o la solita Ecclesiacon le sue incoerenze e andature bigotte un po’ asfittiche, ma una Chiesa più “spicciola”, vissuta, terra terra … anzi: faccia a faccia, che vedeva protagonisti “noi dei Carmini” insieme a “Quello del piano di sopra”… di sicuro connivente più che mai con noi … ne ero certissimo.

Che ricordi ! … Mi piaceva un sacco quella ricorrenza annuale, che è stata qualcosa che è lievitato anno dopo anno dal nulla riuscendo a mettere insieme e in armonia, quasi unificando “forze”di età e attitudini diverse presenti nella nostra Parrocchia.

Ah ! … Sto facendo il nostalgico facendomi prendere dai ricordi “da Prete” di ieri …  Chissà che cosa sarà rimasto dentro all’Animo di quelli di quei tempi ?

Comunque era bello poi sciamare fuori da San Barnabadov’eravamo entrati qualcuna/o perfino col “vestito della festa”e i capelli ben sistemati … Maledetti ragazze e ragazzi: a volte mi facevano commuovere quando accendevano tutta la loro sensibilità sfoggiando il meglio di se stessi … Le ragazze e le donne poi più che spesso sapevano tirar fuori una marcia in più … Uscivamo dicevo, e ci recavamo poi a festeggiare quel “gesto”in compagnia dentro al grande Patronato di Calle Lunga … Il nostro Patronato … E allora: giù ! … Pizza insieme, canti, balli e cotillon, e quel mare di serena e spontanea allegria che ci rendeva “più”… Tutto infine si spegneva sul tardi dentro alla notte e davanti al fuoco che il nostro vero pompiere di fiducia accendeva e sapeva gestire ad arte in sicurezza ... Lì si spegneva ogni volta l’ultima espressione condivisa di quella giornata, ma mai la voglia del prossimo appuntamento a cui non volevamo mai mancare.

Che abbiamo fatto ! … Che ho fatto con loro … Rifarei tutto … Il Tempo però è passato, rimane vivo l’eco intenso e sincero di quelle singolari emozioni.

Il secondo ricordo circa San Barnaba che ho stipato e inciso nella mente è, invece, un po’ inquietante. Negli stessi anni in cui vivevo “da Prete” ai Carmini, San Barnaba ne era la Vicaria, e faceva parte dell’entourage della Parrocchia con tutto ciò che significava e conteneva.

A dirla tutta: un tempo accadeva il contrario, cioè San Barnaba e Santa Margherita erano le due chiese di Contrada: quelle a cui facevano riferimento i Venezianidel posto, mentre i Carmini era un chiesone monasteriale tutto dei Frati Carmelitani, che però ha sempre avuto una sua capacità calamitante per via della Madonna degli Scapolari e della Schola Grande dei Carmini.

E’ stato come sempre quel solito balordo di napoleone di cupa memoria a ribaltare e distruggere tutto … ed è rimasto ciò che è rimasto: cioè pochissimo … quasi niente.

Vi dicevo di San Barnaba come memoria inquietante, perché in tutto il tempo che ho vissuto là il Sacrestanodel posto con cui familiarizzavamo non poco, non smetteva mai di ricordarmi il grave disordine in cui versava quel chiesone quasi sempre lasciato in balia di se stesso ... Dico inquietante perché continuava a ripetermi che la mastodontica facciata del chiesone continuava a “camminare”pericolosamente verso l’omonimo Campo di San Barnaba staccandosi ormai della larghezza di un braccio dal resto dell’edificio della chiesa.

Stupito, e quasi impaurito da quel fatto, non ho smesso di chiedere nel tempo perché mai qualcuno non si attivasse per prevenire quella progressione così pericolosa per la pubblica incolumità … La risposta era sempre vacua e la stessa da parte di tutti: e chi pagherà ? … Tutti tacevano e fingevano di non sapere, e soprattutto nessuno si sforzava di andare un passo più in là oltre le solite denunce e le mere segnalazioni a chi di dovere ... Tutti sapevano, ma nessuno muoveva un dito o faceva qualcosa.

Tutt’ora quando passo saltuariamente attraverso Campo San Barnaba mi chiedo se quella fessura lassù in alto fra chiesone e facciata esista ancora … e ancora m’interrogo senza saper darmi risposta se ancora oggi ci passerà ancora un braccio se non di più fra i marmi della facciata e il resto della chiesa … Chissà se qualcuno sarà riuscito a sistemare tutto ?

Spero d’essere io l’unico a non essere aggiornato al riguardo.

Quella chiesa di San Barnaba a cui in qualche modo ero come Prete correlato mi procurava sempre tristezza … Tristezza per via delle infiltrazioni della pioggia che scivolavano dentro dalla facciata che il Sacrestano non dimenticava mai di mostrarmi … Tristezza perché ancora lo stesso mi indicava come sempre più spesso la chiesa lasciata aperta e incustodita rimaneva in balia di se stessa diventando retaggio della solita Zingara che se non chiedeva l’elemosina con insistenza a tutti quelli che passavano, provava a farsi pagare dai turisti per entrare in chiesa … Tristezza per via di certe refurtive degli stesi Zingari che trovavamo nascoste dentro ai confessionali o nei meandri della stessa chiesa semiabbandonata  … Tristezza perché perfino il giorno della Festa del titolare, cioè il giorno di San Barnaba nonostante un robusto scampanare e chiamare: in chiesa non si radunava praticamente nessuno: “Non trovo più il coraggio di tirare le corde delle campane del campanilotto di San Barnaba”mi diceva ancora il Sacrestano sconfortato: “Una volta o l’altra rischio che mi cada l’intero campanile in testa … Sarebbe da chiudere questa chiesa … L’altro inverno ho trovato dentro un gruppetto che s’era accomodato accendendo un fuocherello per scaldarsi sulle “rosticcerie” delle candele … Nessuno se n’è accorto, nessuno ha detto nè fatto niente … Figurati se Don Angelo scende giù a controllare in chiesa col male alle gambe che ha ? … Quando sono passato per chiudere li ho trovati là che bivaccavano tranquilli da chissà quanto … A xè una disperasiòn sta cièsa.”

Sulle panche insieme a noi raccogliticci Preti sull’altare, c’erano “quattro gatti” in tutto il giorno della Festa Patronale: erano gli “affecionados” del mitico Don Angelo Altanil simpatico “Archimandrita stanziale di San Barnaba” col quale ho avuto la fortuna di spartire cinque anni di vita, compagnia, buona tavola e perché no … aneddotica curiosa, e considerazione ironica su Chiesa, Preti, Fede, Diritto Ecclesiastico e tutto il resto … Davvero una bella figura quell’uomo: conservo un bellissimo ricordo di lui ... anche se più di qualche volta davanti alla tavola imbandita con gli altri Preti del circondario non ha mancato di dirmi davanti a tutti che avrei meritato d’essere pubblicamente “condannato e messo al rogo” per il mio modo d’intendere e interpretare “il Prete, la Chiesa e la Religione”.

“Senti chi parla !” gli contestavo: “Quello che consiglia con insistenza ai fedeli di fare delle buone Novene al Santo Destrigaletti ! … e possibilmente con buona elemosina al Piovano o al Rettore della chiesa ... Che schifo ! … Che visione misera di Chiesa.”

“Eh … Va beh …” si scherniva lo stesso Don Altan: “Ciascuno ha le sue debolezze … La Chiesa ne ha tante … Perché non posso averne qualcuna anch’io ? … Tu non ne hai ?”

“Certo che si … Ma dire a chi ha un malato cronico in casa, o a chi gestisce un handicappato che sarebbe meglio per lui o lei fare una bella Novena per chiedere di liberarsi da quel peso … Mi sembra eccessivo, se non stupido … Ti sembra che Dio, Santi e Madonna vogliano e permettano una cosa del genere ? … Non è forse abbindolare la gente ?”

“Abbindolare ? … Parolone … Diciamo: indirizzare …”

“Già … Spingere verso la Salvezza …cioè a rimpinguare le tasche dei Preti e della Chiesa.”

“Eccolo qua !” si alzava allora in piedi pulendosi la barba col tovagliolo, e col dito puntato addosso a me come una pistola: “Lo vedi che meriteresti d’essere bruciato ? … Sei un eretico blasfemo …Dissacratore ! … Sacrilego !”

Ricordo ancora il mormorio che si sollevava sopra le tavole dei Preti riuniti “in congrega di Vicariato”… Col tovagliolo annodato attorno al collo, e con la bocca e il bicchiere pieno, c’era chi si schierava apertamente dalla parte di Don Angelo indicando in qualche modo la bontà (assurda) di quella pratica che lui suggeriva, e chi, invece: dava ragione a me contestandone la pochezza, anzi: l’insidiosa quanto ingannevole proposta offerta a ingenui quanto sprovveduti e ignoranti fedeli ... nel senso che davvero ignoravano e non erano a conoscenza delle vere “dinamiche del Cielo”.

Su una cosa però tutti erano d’accordo: ero un Pretino troppo spavaldo, linguacciuto ed esuberante per i loro “soliti parametri ecclesiali” … e su questo tutti concordavano con Don Altan:“darmi alle fiamme” o almeno una bonaria fiammata mi avrebbe fatto bene ...Ero troppo irrispettoso verso “Madre Chiesa” e le sue Sapienti Dottrine.

“San Barnaba” mi spiegava in altri momenti lo stesso Don Altàn,che era Rettore-Vicario della chiesa di San Barnaba dopo essere stato in auge fra i Preti della Diocesi al tempo del Concilio Vaticano II e dei primi passi dell’Ecumenismo. Poi era stato messo frettolosamente in disparte “perché Prete scomodo e sui generis”, e perché poi c’era “la Greca”che viveva con lui … Malelingue o mezze verità ?

“San Barnaba era un Santo di serie B” mi diceva Don Angelo: “una specie di Santo di Riserva dopo i Dodici Apostoli titolari, un  Santo sfigato che non ha mai fatto grande carriera dentro alla Chiesa, e che è sempre stato quasi omesso dalla Storia e dalla Cristianità, o perlomeno poco conosciuto e apprezzato se non da pochissimi … E’ stato però simpatico a noi Veneziani: guarda qua che bel chiesone che gli hanno tirato su e costruito ! … E io sono onoratissimo d’essere il suo Vicario … Se poi lo festeggeremo in compagnia facendo un po’ di sana bisboccia ? … Viva San Barnaba ! … Sarà ancora meglio … Anche se detto fra me e te: sai che i documenti dicono che i Veneziani avevano già deciso di dedicare questa chiesa a San Lorenzo ? … Povero San Barnaba: messo da parte da tutti … un po’ come me.”

“Lei è un po’ un Prete gaudente Don Angelo ?”

“Macchè gaudente ! … Buongustaio finchè vuoi … Ma so fare anche astinenza e penitenza se serve … Ci dormo sopra !”

Al di là di tutto mi piaceva un sacco quel Prete e mi divertivo tantissimo ad intrattenermi con lui: quante ce ne siamo dette ! … e quanto ho imparato da quell’uomo, che ormai da un bel pezzo ha terminato la sua avventura esistenziale … Chissà se mi sente ?

San Barnaba … in Contrada di San Barnaba a Venezia? … Mmm … Quante cose sono capitate !

Sentite qua: nel 1263 Simeone Moro divenne prima Piovano della Contrada di San Trovaso nel Sestiere di Dorsoduro … Quattro anni dopo però prese al volo l’opportunità di diventare Piovano di San Barnaba, poi divenne quasi subito Vicario del Capitolo della chiesa, poi passò a San Pantalòn che era ben più dotata economicamente come Parrocchia … Rinunciò nello stesso tempo di diventare Vescovo di Chioggia dopo essere già stato eletto ... Divenne quindi Primicerio di San Marco: la Basilica Dogale ... e nel 1291 accettò finalmente di diventare Vescovo di Castello cioè di Venezia (non esisteva ancora il Patriarcato) succedendo al Nobile Vescovo Querini.

Nel 1366, invece, il Maggior Consiglio decretò l’interramento della Piscina della zona San Barnaba… Poco tempo dopo i Veneziani della stessa Contrada di San Barnaba offrirono 46.100 Lire per finanziare le operazioni belliche in occasione della guerra di Venezia contro i Genovesi al tempo del Doge Andrea Contarini ... In quell’epoca in Contrada risiedevano ben diciottoNobilHomeni Venezianifra cui: Sier Nicolò Dolfin che contribuì dando 7.000 Lire, e Sier Andrea Trivisan che offrì la considerevole cifra di 6.000 Lire … Fra i quatordici contribuenti abbienti di San Barnaba c’erano inoltre: Climento Mòzo da nave che come Nicolò Spicier versò Lire 500; Francesco Sonadòr che diede la considerevole cifra di Lire 4.500; Piero Torta e Vido Trabuco diedero Lire 300, e Zoanne di Maistri: ben Lire 1.000.

 

Nel 1417 un gruppo di tre Varoteri, un Venditore di formaggi e un Barbiere si recarono dentro alla chiesa di San Barnaba col proposito di disturbare la festa di Matrimonio di un Orefice“che stava loro sulle corna”… Il Piovano Nicolò Dal Corso li buttò fuori in maniera sbrigativa, e in seguito pure lui divenne Primicerio della Basilica Dogale di San Marco.

Domenica 29 gennaio 1441:“Solenne e pomposo spettacolo presentò il Campo di San Barnaba allorché vi giunse da San Samuele sopra un ponte di barche la famosa cavalcata disposta per festeggiare le nozze poc'anzi avvenute fra Jacopo Foscari, figlio del Doge Francesco e Lucrezia Contarini, comparendovi pure il Principe ad accogliere la Nuora che erasi recata alla chiesa per ascoltar Messa ... In quella occasione nel mezzo del Campo fu recitato un bellissimo sermone con tanti Zentiluomini e Puopolo che no se podeva andar in alcun luogo ... Il dopo pranzo del medesimo giorno approdò a San Barnaba il Bucintoro montato da 150 Dame, ed accompagnato da molti palischermi, e da tutte le barche della Contrada per condurre la sposa al Palazzo Ducale, ove s'imbandì lauta cena, dopo cui fo fatto festa fin a hore nove di notte.” … Quattro anni dopo il giovane Enrico Dolfin venne condannato per aver fornicato sotto l’organo della chiesa di San Barnaba con una povera e piccola prostituta chiamata Margarita.

Nel 1532 il Cristianissimo Gentiluomo Veneziano Giovan Francesco Giustinian della Contrada di San Barnaba, “stato in India et a Lisbona”, costruì nell’Arsenale di Istambul ricevendo grandi ricompense dal Solimano il Magnifico, e con l’assenso di Pietro Zen Ambasciatore della Serenissima,diversi Galeonidestinati ad essere impiegati insieme alle Galee di Ragusa sul Mar Rosso e nell’Oceano Atlantico al di là dello stretto di Gibilterra per tagliare e contrastare al Portogallo le vie marittime delle Spezie a vantaggio dei Fondaci Turchisituati allo sbocco delle antiche carovaniere, e negli interessi degli stessi operatori e Mercanti Veneziani ... Si dice che nel 1550 uno di quei Galeoni Veneziani sia approdato carico di merci a Manilanelle Filippine.

Circa cinquant’anni dopo, sempre in Contrada di San Barnaba in Corte Salomon esisteva la Scuola Sestierale di Dorsoduro dove insegnava il Maestro-Letòr Girolamo BardiFiorentinostipendiato dalla Repubblica Serenissima assieme a Prete Domenego Trevisan che fungeva da Grammatico ... Non sapevano con esattezza il numero dei loro scolari perché ora ne avevano troppi, ed ora troppo pochi a secondo delle occasioni ... Si leggeva agli scolari: Virgilio, Cicerone, Cesare, Sallustio e altri umanisti ... Lo stesso Maestro Bardi stava scrivendo un libro sulla vita dei Papi scrivendo le buone novità e tacendo le cattive ... Sempre con loro doceva pure Johannes Petrus Gottardi quondam Andree, laico di 22 anni, che da 2 anni insegnava “a lèzer, scriver, abbaco et quaderno” a 40 alunni della stessa Scuola di San Barnaba usando il“Salterio, Donado e Marco Aurelio.”

Nel settembre 1705 venne definitivamente bandita la Festa Popolare dei Pugni sul Ponte e Rio di San Barnaba perché diventata troppo violenta … Sopra al Ponte si scontravano Castellani con berretto e sciarpa rossi e Nicolotti con berretto e sciarpa neri … Di tali secolari lotte sopra al ponte rimane la memoria ai quattro angoli con l’orma impronta dei piedi.

Nel 1740 un Prè Francesco Groppi, quondam Zuane, quondam Lorenzo domiciliato in Contrada di San Barnaba notificò di possedere varie case in Contrà di San Marzilian in Calle de Cà Groppi a Cannaregio, nonché altre case nella medesima Contrada, e altre possessioni ad Oriago di Mira “con riserva d'aggiungere altri beni sopra quali al presente pende litigio di ragione del quondam Reverendo Don Domenico Groppi, fu Piovan di San Barnaba, Vicario del Patriarca di Venezia Maffeo Contarini, e Pubblico Notajo nominato in parecchi rogiti dal 1453 al 1507, quando il 20 aprile fece il proprio testamento negli atti di Cristofolo Rizzo Pievano di San Moisè lasciando vari legati pii, e disponendo che fosse provveduta de' suoi beni la famiglia di Giacomo suo fratello” ... Morto nel 1507, ebbe sepoltura nella chiesa di San Barnaba, e un’epigrafe riportata dalle Cronache Cittadinesche dice che la Famiglia Groppi anticamente attendeva al commercio della seta, discese da Bergamo a Venezia, e qui produsse diversi Dottori, Secretari e Mercanti.

Da una nota del 1745 risulta che il celebre compositore e Maestro di Musica Tommaso Albinoni abitava pagando 28 ducati annui in Calle Longa San Barnaba insieme ai suoi quattro figli di cui uno era Religioso, uno Prete Secolare, mentre una figlia era nubile … Quattro anni dopo, come raccontano gli Annali di Pietro Gradenigo,essendo i muri cadenti, avvenne l’ultima rifabbrica di San Barnabasu disegno dell’Architetto Lorenzo Boschetti seguace di Giorgio Massari: “Durante i lavori cadde un Murèr e si accopò” ...Tre anni dopo ancora, raccontano gli stessi Notatori del Gradenigo: “… alquanti Muratori che nelle prime ore del giorno modellarono un’erta della finestra nella più alta parte del ristaurato sontuoso Palazzo Bon a San Barnaba comprato dal NobilHomo Rezzonico, non potendo sostenere marmorea pietra che precipitando spezzò l’armatura, caderono dall’alto al basso in numero di 5 de quali chi subbito, chi dopo alquante ore morirono, fra i quali il Capomastro Iseppo Pedolo di anni 41, sepolto magnificamente ai Santi Apostoli perché assai compianto e meritevole di quella chiesa e fabbrica …”

Nel luglio 1760: Ventura Morali gestiva una Malvasia in Contrada di San Barnaba, ed era Guardian della Schola dei Malvasiotti o Mercanti da Vindella Contrada di San Silvestro … Pagava mensilmente: 20 soldi al Fiscàl, 20 soldi al Nodàroe 10 soldi al Fante come rata della tariffa annuale da pagare ai Sette Savi sopra la Mercanzia della Giustizia Nuova di Venezia ... Nello stesso anno, secondo la Gazzetta Veneta di Gasparo Gozzi: “… un venditore di frutte che sta a San Barnaba, dopo una lunga e gagliarda malattia, ricuperò la sanità in parte, ma in parte rimase malaticcio, senza forza, di malumore e svogliato lungo tempo, come si fa dopo una lunga infermità … Chiedeva a tutti i suoi conoscenti e amici qualche rimedio per rinvigorire ... Chi gli dicea questa cosa, e chi quella, ed egli ogni cosa sperimentava, tanto che il corpo suo era fatto bottega di Speziale che di giorno in giorno peggiorava ... Trovandosi dunque un giorno di profonda malinconia ripieno e udendo per caso alcuni i quali diceano che l’oro fa allegrezza e intendeano per poterlo spendere … Egli che non avea altro in capo che ricette, intese ad inghiottirlo, e presa una certa quantità di zecchini e fattone pallottole, le inghiotti tutte aspettando in pace l’effetto ... Gli zecchini, fattogli nodo e peso agli interiori l’hanno si aiutato, ch’egli a letto con gravissimo male e con dubbio di lasciarvi la vita ... Quasi si potrebbe trarne una sentenza morale, che l’oro da la vita a chi lo sa usare e ammazza chi fa il contrario …”

Nel 1791 il NobilHomo Francesco Lippomanovenne finalmente eletto nell’ambito incarico di Procuratoredel Capitolo della Parrocchia di San Barnaba dopo essere stato esemplare professionista in quel compito, e uomo di estrema garanzia e buon esito in quella stessa carica: prima a Santa Margherita nel 1784, poi alle Eremite di San Trovaso nel 1788, dalle Monache di San Giacomo di Murano nel 1789, e presso il Capitolo di San Basilio nel1784 …. La Contrada di San Barnaba contava a vivere 2.333 persone, misurava 4.318 passi ed aveva 654 abili al lavoro fra 14 e 60 anni con 75 padroni in 86 botteghe: “La Pieve era miserabile e col Piovano infermo costretto a chiedere in prestito qualche ducato, ma vi ruotavano attorno ben ventuno Sacerdoti che celebravano 3.197 Messe Perpetue ma andavano anche a celebrare altrove per cercare altre elemosine più pingui: dalle Terziarie, ai Tolentini, a Cà Rezzonico e al Convento della Santa Croce ... Non c’erano Levatrici in Contrada, ma c’erano quattro Spezierie da Medicine: “Li due Angeli” e “Le tre Frezze” ai Carmini, “San Lorenzo Giustinian” al Ponte di Ca’ Foscari, e “L’Aquila d’oro” al Ponte dei Pugni.”

Il 13 marzo 1796, infine, il Pistore di Cannaregio Giovanni Alberti, per niente Nobile, si fece benedire le nozze in gran segreto con Luigia Bonlini Patrizia Veneta… Tutti s’erano dichiarati contrarissimi a quell’unione impropria, e il loro nome correva di bocca in bocca ovunque in giro per Venezia … Ognuno diceva la sua sui due innamorati: chi sperava che iniziassero a convivere pubblicamente, altri dicevano che dovevano andare a buttarsi in ginocchio ai piedi del Patriarca inducendolo a risolvere la loro situazione … e c’era chi pensava che era meglio se incontravano matrimonio clandestino come avevano fatto altri … L’amore era Amore … Andò a finire che i due una sera si piazzarono quasi in agguato davanti al Piovano di San Barnaba con un paio di testimoni ... Avevano in tasca i certificati di “libera fede” di entrambi che attestavano che non erano sposati, poi avevano quello d’identità, di nascita, della Parrocchia e Contrada d’appartenenza … Attesero il momento propizio, et voilà: si piantarono davanti al Piovano sorpreso sui gradini dell’altare, (Probabilmente il Piovano era connivente in cambio di una buona elemosina … Ma non lo si seppe mai chiaramente, perché al processo il Prete tentò sempre di discolparsi dicendo che aveva subdorato l’inganno dei due … E’ giunto perfino a dire che in quell’occasione era corso via dall’altare abbandonando i paramenti sacri sulle panche della chiesa, aveva preso cappello e tabarro, ed era fuggito via in strada), ed espressero pubblicamente il loro reciproco consenso. Il “gioco”fu fatto: e i due si ritrovarono benedetti e sposati validamente ... La faccenda però non finì là, ma si trasferì dentro a un interminabile processo e contenzioso civile ed ecclesiastico che parve non finire mai ... I due però sposi rimasero per sempre lo stesso: punto e basta … Si sa: i ceti e le caste a Venezia non si potevano né dovevano confondere e sovrapporre: era una delle regole immutabili vigenti in Laguna … Ma quella volta non venne affatto rispettata.

Va beh … Basta così su San Barnaba per questa volta … E oggi com’è la chiesa di San Barnaba ?

Bah ? … E’ diventata un altro di quei museetti asfittici, una mostra mi pare di macchine e opere Leonardesche o qualcosa del genere … Di certo non conserva più nulla della vita vissuta “da chiesa” che conservava e ospitava un tempo ... San Barnaba non c’è più: ne è rimasto il cartoccio traballante, come lo scheletro … un fantasma di pietra nudo e muto.



 

“Santa Marta ancùo ... e ièri.”

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#unacuriositàvenezianapervolta 209

“Santa Marta ancùo ... e ièri.”

Oggi si tratta probabilmente … e senza probabilmente, di una di quelle cose Veneziane che non si vedono, di quelle di ieri a cui non diamo più alcuna importanza tanto da non degnarle neanche di una semplice occhiata … Noi Veneziani poi, con gli occhi foderati e pieni di mille cose belle come Piazza San Marco, certe cose piccole e modeste, scalcinate … proprio non le vediamo ... le ignoriamo per abitudine.

A chi, infatti, verrebbe voglia di chiedersi dov’era, cos’era e com’era la chiesa e il Monastero di Santa Martadi Venezia quando passando oggi col vaporetto vediamo distrattamente solo quella chiesa spoglia a capanna collocata di solito dietro al lussuosissimo yacht blu ormeggiato alla banchina sulla “Giràda della Scomenzera”, e al mare d’automobili del parcheggio che non ha proprio niente di bello da mostrarti ... Per chi non sa, quello sembra proprio un capannone del Porto abbandonato là, e anche la Caserma dei Pompieri che le sorge accanto non significa nulla nel vederla … ma altro non è se non quanto rimane dell’antico Monastero di Santa Marta di Dorsoduro.

Beh ? … Vedete quanto la nostra vista non vede ? … e quanto spesso non sappiamo e ricordiamo della nostra Venezia.

Non voglio star qui a dirvi noiosamente per filo e per segno la storia di quel posto dove un tempo i Veneziani … non esagero … correvano in flotta quasi tutti i giorni per vedere “i Miracoli della Màn de Santa Marta”.

Una màn ? … Si: una mano … Proprio così: “a màn Santa” che i Veneziani consideravano prodigiosa, un po’ come “el bràsso de Sant’Alban” dei miei compaesani Buranelli.

Molti di voi diranno: “Cose passate d’altri tempi ! … Ròbe vècie !”… Si: lo so … Ma secondo me: sempre belle da riscoprire e rispolverare almeno ogni tanto … Tanto per saperle e non dimenticarle del tutto.

Effettivamente esisteva nel Sestiere di Dorsoduro, proprio “sul limite della Spiaggia di Santa Marta dei Nicolotti Pescatori”, proprio dietro alle caxette dei miseri-disgraziati delle Contrade dell’Anzolo e di San Nicolò dei Mendicoli, il Monastero delle Monache Benedettine di Santa Marta. C’era proprio qua dietro, a due passi da “casa mia”… Un luogo ricco di Storia e di aneddoti che oggi non esiste quasi più perché inglobato, assorbito, quasi fagocitato dall’area del Porto di Venezia… Ne rimane solo il nome imposto al nostro Quartiere, e lo scheletro di quella che è stata la chiesa di Santa Marta: oggi quasi sempre chiusa, e ridotta a poco più di rudere restaurato saltuariamente usato come sala d’esposizione.

E’ ancora visibile, perché è stato trasposto nella chiesa di San Nicolò dei Mendicoli, quello che è stato l’altare principale della chiesa di Santa Marta. Lo si vede entrando in chiesa a destra, e si noterà raffigurata appunto una Santa Monacacon un mostriciattolo tondotto tenuto al guinzaglio … Sembra quasi un cagnolino, o meglio: un porcellino all’ingrasso … Ma tanto vale: la Leggenda di Santa Marta rimane sempre quella: i Veneziani d’un tempo di sicuro l’avevano ben presente e la consideravano importante e coinvolgente a differenza di noi di oggi che c’intriga poco o niente.

 

La chiesa-monastero di Santa Martaesisteva fin dal 1018 con orti, canali e rive alla fine (o all’inizio) di Venezia sulla Punta e Ponte dei Lòvi di Santa Marta giusto di fronte alla palude e al canneto di San Giorgio in Alga. Lì sulla quella punta estrema e periferica di Venezia la vollero edificata le Nobili famiglie Sanudo e Salomon al cui “primo uomo”(l’anziano del Casato) ogni anno la Badessa di Santa Marta offriva una rosa di seta ... Nel 1242 il Monastero, che in realtà doveva sorgere come “Ospizio per i poveri delle miserabonde Contradedell’Anzolo e di San Nicolò”(soliti tramacci degli Ecclesiastici), era già diventato ricco e prospero possedendo numerosi campi nel Distretto di Mestre… Nel Santa Marta vissero prima le cinquanta Monache Benedettine, e poi le ottanta Monache Agostiniane che tenevano diverse “Putte a spese”(educande). Durante i secoli le Monache Veneziane furono piuttosto turbolente e indisciplinate tanto da dover esser più volte riprese e riformate dai vari Papi e Vescovi di turno “per via del loro gran disturbo, scandalo, danno e corruzione nella gestione delle doti” ... Patriarca e Dogeerano “una tantum” concordi nel dire: “Le Mùneghe de Santa Marta ne far deventàr tutti matti  co i so strambessi … Quel Monastero xe un gran bordello …”

 

Santa Marta era famosissima a Venezia, oltre che per la Spiaggia dei Lùni di Santa Martaquando si andava a far bisboccia e sagra sull’arenile di Dorsoduro, anche per una sua Sacrosantissima Reliquia: “a màn de Santa Marta”pervenuta al Monastero dall’Oriente nel 1466 … Fu il Patrizio Ambrogio Contarini “grande viaggiatore” a regalarla alle Monache … Contarini si trovava a Costantinopoli quando scoppiò l’ennesima Guerra Turco-Veneta, e venne a sapere dal Vescovo della città di Metelino, cioè Lesbo, che nel bottino dei Turchi c’era anche quella stupenda Reliquia tanto unica quanto preziosa … L’unico posto adatto per ospitarla, secondo lui, doveva essere esclusivamente il Monastero delle Monache di Santa Marta di Venezia… Per cui, dettofatto, rientrato in Laguna, la regalò alle Monache del Monastero di Dorsoduro.

 

Qualche anno dopo, precisamente il 14 ottobre 1473, la “Reliquia della Màn de Madonna Sancta Marta” venne collocata in un altrettanto preziosissimo reliquiario: un capolavoro d’oreficeria commissionato “alla maniera d’Allemagna” dalla Badessa Orsa Zorzia un gioielliere-argentiere Tedesco: Giovanni Leon cioè Hans Löwe da Colonia… Era considerato il migliore Artigiano Argentiere: il più eccentrico, abile e raffinato fra tutti quelli attivi a Venezia in quell’epoca. Leonrealizzò il manufatto devozionale a partire da un disegno iniziale di Prete Bortolo Piovan de Sant’Eufemia de la Zuecha… Il Reliquiario doveva risultare: undici marche e mezzo di peso, e misurare 70 cm d’altezza: un bel oggetto sontuoso e pomposo insomma.

Furono garanti e testimoni del contratto di lavoro: Mistro Nicolò Todescho Intajador che abitava in Contrada di San Silvestronelle case di Cà Albosani, e Mistro Corado Sartòr “che stàva a San Thomado” ... Tutto poi venne regolarmente pagato dalle Monache in cinque rate distinte versate tra il novembre 1472 e luglio 1474.

Ne riuscì un capolavoro d’argento elegante, tutto traforato e pieno di fregi, cristalli, teste umane dorate e piccoli Draghi, medaglioni smaltati di azzurro su cui sono applicati i Simboli lavorati di Evangelisti e Martiri, e nicchie e pinnacoletti pieni di Angeli Musicanti, Santi e Sante fra cui Santa Marta e Sant’Elena ... La parte del Reliquiario che conteneva la “Màn de Santa Marta in Tabernaculu” era tutto decorata a sbalzo con foglie, pietre preziose incastonate e perle. In alto poi, come in una scena a calice che conteneva la preziosa Reliquia, c’era scolpita un’intera scena che comprendeva la Pietà con la Vergine e il Figlio deposto in braccio, e attorno San Giovanni e le Sante Marie su uno sfondo pieno di croci ... A chiudere e completare la sommità dell’oggetto, c’era in alto: un PadreEterno col Mondo in mano… Un bijoux insomma: una cosa raffinata, davvero originale, singolare e preziosissima che lasciava a bocca aperta i Veneziani devoti che accorrevano pazienti in fila a venerare e baciare quella preziosità miracolosa“scappata dal Cielo dei Santi” che solo Venezia possedeva.

Le fonti ricordano che nella stessa chiesa di Santa Marta di Venezia venivano custodite e venerate anche altre Reliquie Plus, cioè degne di notevole interesse e venerazione non solo da parte dei Veneziani, ma anche dai Pellegrini Europei, e un po’ da tutti,

Insomma: la chiesa di Santa Marta era come una potente calamita che attraeva di continuo: curiosi, devoti e bisognosi di ogni sorta ... Veneziani, Foresti e non …

A Santa Marta si conservava, ad esempio, tutta una serie di Sante Teste e Reliquieprovenienti dai Cimiteri Romani Catacombali: quella di San Celso e Santa Trienia, poi un “Santo Osso del Martire San Damiano”, e un altro “Santo Osso dei fanciulli Martiri di Betlemme” cioè dei leggendari Santi Innocenti uccisi da Re Erode; una “Santa Mascella di Santa Sabina Martire”.  C’era inoltre l’intero Corpo di Sant’Agapito o Agapio Martire … Non ho la minima idea di quale Sant’Agapio fosse visto che esistono almeno dodici Sant’Agapio diversi raccontati da almeno tre Passio-Racconti, dai Sacramentali e Acta Sanctorum della vita del Santo diverse, e ci sono corpi, ossa, frammenti e reliquie sparse un po’ ovunque ... Il nome poi significa: Amabile, che è già tutto dire ... Quale sarà stato il Sant’Agapio Veneziano ? … ma poco importa.

Al Monastero-chiesa di Santa Marta i Veneziani lasciarono un intero corredo e concentrato di donazioni e Reliquie … quasi tutte racchiuse poi in preziosi Reliquiari: singolari opere d’Arte e Oreficeria ... Nel 1492 Perenzina quondam Bartolomeo Bernardo lasciò, infatti, per testamento al Monastero di Santa Marta un’immagine di Santa Maria Maddalenaricoperta di perle, argento e altri preziosi ornamenti da esporre nei giorni di festa solenne … Il 24 novembre 1624 Raffaele Inviziati Vescovo di Zacinto e Cefalonia considerato da tutti Prete Illustre lasciò e donò alla nipote Cristina Monaca a Santa Marta di Venezia, numerosissime quanto preziose argenterie, e calici d’argento dorato, e un“anello Episcopale grando d’oro e d’argento”, e una Croce Pastorale pettorale piena di Reliquie, e la Reliquia in puro cristallo del Piede d’oro di San Saba(l’intero Corpo o quasi era venerato a Venezia nella chiesa di Sant’Antonin di Castello) per abbellire la Sacrestia del Monastero della stessa Santa Marta ... L’erudito Veneziano Emmanuele Antonio Cicogna ricorda poi che anche Giammaria Pitteri nel 1633 (circa negli anni in cui a Venezia infuriavano le ondate di Peste) lasciò “un gran bel Cristo d’oro” alla Abbatissa Pro Tempore del Monastier de Santa Marta con l’obbligo di farlo comparire almeno quattro volte l’anno nel Capitolo delle Monache perché potessero vedere e dire in comune quanto bello fosse.

Il preziosissimo Reliquiario-custodiacon la Reliquia di Santa Marta venne poi salvato dalla devastazione saccheggiatrice dei Francesi d’inizio 1800 dalla Badessa Marina Falier: ultima Badessa di Santa Marta che se lo portò via nell’Oratorio di Famiglia nel Palazzo Falier in Contrada di Santi Apostoli. Me la immagino la Monaca scappare via di notte dal Monastero provando a salvare il salvabile … Pareva avesse infagottata di stracci fra le braccia una comune padella da cucina … S’infilò dentro e sotto al felz di una nera gongola da casada ormeggiava sulla riva … Si trattava, invece, non di una padella ma del prezioso Reliquiario con la Màn de Santa Marta ... Gli ex Nobili Falier tennero lì a lungo la Reliquia protetta, e Monsignore-Canonico Francesco Falier loro discendente decise di lasciare la preziosa Reliquia al Tesoro della Basilica di San Marco. I suoi nipoti eredi però furono più furbi, interessati e scaltri: diedero alla Basilica la nuda Reliquia di Santa Marta, e vendettero“per un prezzo favoloso” il favoloso Reliquiario dorato alla Baronessa De Rothschild. Ora il prezioso Reliquiario vuoto si trova al Museo del Louvredi Parigi come parte delle preziosissime Collezioni Rothschild, mentre la Reliquia sembra trovarsi ancora nel Tesoro della Basilica Marciana ... forse ?


Ma tanto … che interessa a noi Veneziani di oggi ?

 

 

 

LA CONTRADA DE SANT’ANGELO

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#unacuriositàvenezianapervolta 210

                            

LA CONTRADA DE SANT’ANGELO

“Perché fra le tante proprio la Contrada di Sant’Angelo ?” vi chiederete … Semplice.

Ricordate quando eravamo bambini “qualche secolo” fa ? Spinti dalle simpatie di sempre ci si dava appuntamento in strada, in Corte e nei Campi e Campielli di Venezia o delle isole, e dopo esserci rappacificati e ragguagliati sul nostro microcosmo, ci si metteva a giocare facendo la conta:“An … Ghin … Gò … Tre galline sul comò … che facevano all’amore con la figlia del dottore ... Il Dottore s’ammalò ? … Ambarabà ci – ci – co – co ! … Tocca a te !”… e si partiva per “mondi ludici lontanissimi” fatti di niente che ci coinvolgevano e prendevano fino al tramonto quando le mamme s’affacciavano a chiamarci sgolandosi inutilmente dalle finestre, o scendevano forzatamente in strada per riportarci finalmente a casa nonostante le nostre proteste … Non era mai troppo tardi, ed era sempre un peccato rientrare.

Ebbene ho fatto la stessa cosa ancora una volta:“Ambarabà ci-ci-co-co”… ed è toccato a caso alla Contrada di Sant’Angelo di Venezia. Tutto qua.

Inizialmente la primitiva Contrada di Sant’Angelo collocata equidistante sia dalla centralissima PiazzaSan Marco che dal fibrillante e mai stanco Emporio di Rialto, era ben diversa da come la potete vedere oggi. Come sempre servirà uno sforzo di memoria e immaginazione per provare ad intuire quel che è stata un tempo. Facciamolo !

Non esisteva all’inizio “la collana” dei palazzi sontuosi che circondano oggi il Campo centrale della Contrada di Sant’Angelo: niente ristorantini, bancarelle e bar tenuti dai Cinesi attuali. Tutto intorno al Campo sorgevano basse caxette (spesso di legno), una miriade di piccole e basse botteghe e numerosi magazzini prospicenti il luogo comune. Lì dall’alba al tramonto ferveva l’attività delle Artiche lavoravano anche sulla strada sotto a grezze tende, e si ripeteva ogni giorno un formicolante andirivieni di merci, persone e “forèsti (stranieri) di ogni genere che salivano e scendevano dalle barche e barchette che approdavano nei dintorni. La proverbiale iperattività commerciale dei Veneziani era già iniziata, anche se ogni tanto prendeva fuoco tutto inducendo ciascuno a ripartire un po’ da capo … Ma non era un gran problema: si faceva e basta.

I primi Nobili pomposi e “dalla borsa gonfia” s’affacciavano sul luogo comune carico d’affanni, attese e guadagni, insieme al nugolo immancabile dei Frati, Preti e Monache … che tanto per cambiare, erano arrivati sul posto quasi prima di tutti. A Venezia: Stato e Chiesa stavano insieme, giustapposti fin dall’inizio, sempre a braccetto … seppure non sempre volentieri, spesso polemizzando e litigando fra loro … ma sempre in maniera inscindibile e imprescindibile l’uno per l’altro.

Tutto accadeva fin da prima dell’anno 1000 d.C. sopra vie di terra battuta che diventavano fangose quando pioveva e putride e odorose più che spesso … Per fortuna, a differenza che altrove nella Terraferma, c’erano i rii, i rielli e i canali che fungevano da scolo per ogni liquido e residuo presente. Alcuni canalicoli erano davvero piccoli e angusti, spesso fangosi, intasati, e transitabili con difficoltà, mentre le rive erano scoscese e dirute, non contenute e segnate, solcate da pali, passarelle e approdi spesso improvvisati e approssimativi.

In mezzo a tutta quell’ingegnosa quanto assidua attivazione sorgeva un rustico chiesone di legno dedicato a San Mauro, che era punto di riferimento per tutti spiccando rozzo col suo portichetto davanti (forse) e in mezzo di un cimiterietto dove tutti andavano a collocarsi terminata la loro esistenza talvolta fugace e intensa.

Si dice che la primitiva chiesetta sia stata voluta, finanziata e costruita dalle prime Nobili Famiglie insediatesi sul neonato posto Veneziano: i Morosini, i Lupanies o Lupanizzi. Altri dicevano, invece, ch’erano stati fautori alcuni Monaci, oppure i Barbonici e Grandolini, o i Scevoli, o nel 1033 lo stesso Doge Domenico Contarini. Poco importa … si sa che ben presto la chiesetta venne ricostruita facendole assumere il titolo di San Michele Arcangelo e considerandola Piovaniae Collegiata di un Capitolo di Preti. L’assunzione del titolo di San Michele Arcangelo è la riprova che anche a Venezia si era sensibilissimi ai Culti e agli Itinerari Michaelici che segnavano e percorrevano l’intera Europa e tutta l’Italia. Anche Venezia è stata per secoli con Sant’Anzolo, l’isola di San Michele, e con San Michele al Tagliamento, e con lo stesso cognome nobile Michiel(ad esempio) parte integrante della più che famosa “Via dell’Angelo” che collegava fra loro come in lunga scia interconnessa: luoghi come Mont Saint Michael in Francia, San Michele di Pavia(solo per citarne alcuni) e giù giù fino al Gargano al Monte dell’Angelo di Puglia che è sempre San Michele” oltre che “testa di ponte” per la Terrasanta… ma qui stiamo divagando dentro a un’altra storia.


La Collegiata dell’Anzolo dipendeva ed era affiliata fin dall’inizio alla “chiesa Matrice” diSanta Maria del Giglio ... che era considerata una vera e propria “potenza religiosa” aggregante e di riferimento. Pensate che Santa Maria Zobenigo ossia “Il Giglio” aveva giurisdizione oltre che sullo stesso Sant’Angelo anche su altre 12 “Parrocchie-Contrade Filiali”, cioè: Sant’Agnese, San Barnaba, San Beneto, San Fantin, San Trovaso, San Gregorio, San Maurizio, San Moisè, Anzolo Raffael, San Samuel, San Vidal e San Vio… ossia una buona fetta delle Parrocchie-Contrade di Venezia.

Non che l’Anzolo in se scherzasse quanto a numeri … perché si sa per certo che fin da subito le ruotavano attorno, la frequentavano assiduamente, e vi facevano capo di continuo ben 35 fra Sacerdoti e Chierici.

Sant’Angelo era una specie di centro nevralgico in mano ai Preti, una sorta di centro di controllo a cui facevano riferimento un po’ tutto e tutti nella zona. La Parrocchia col suo Collegio dei Preti era come un acutissimo osservatorio su tutto quanto accadeva fra le persone e nei dintorni … per non dire ovunque, perché esisteva un vero e proprio esercito, una piccola folla composita di Pizzocchere, devoti, uomini e donne iscritti alle Schole, e fàmuli e perpetue che aggiornavano puntualmente e di continuo la Congrega dei Preti guidata dal Piovano. Costoro, dati storici alla mano, erano spesso convinti di tenere in pugno la situazione del posto, ma era una sensazione illusoria perché in realtà era la nascente Serenissima con le sue temibili Magistrature, i Nobili, i Savi e i suoi spioni a fare realmente “alto e basso” e “chiaro e scuro” su Venezia e il suo lievitante Dominio. Non si “muoveva foglia” che Doge e Signoria non volessero … ed era così: punto e basta, con ognuno al proprio posto a recitare debitamente la propria parte.

Come spesso capitava a Venezia in gran parte costruita in legno, nel 1105 chiesona e grossa parte della Contrada vennero quasi distrutte da un grande incendio con danni ingentissimi. Venezia era simile a un gran pagliaio dove ardevano giorno e notte fiamme e fiammelle, cere, lanterne e cesendelli perpetui … Bastava un attimo di distrazione, un soffio di vento importuno e tutto ardeva.

Nel gennaio 1204 Tommaso Viaro del Confinio o Contrada di San Maurizio stipulò a Rialto con Matteo Marzulo del Confinio di Sant’Angelo una “colleganza”con la metà dell’utile per l’importo di lire 200 di denaro veneto sino alla “muda di Pasqua” per commerciare fino a Durazzo nella galea del Comito Giacomo Zaccaria. Sempre sotto ai portici di Rialto nell’agosto di due anni dopo, lo stesso Matteo Marzulo fece quietanza allo stesso Tommaso Viaro dei soldi investiti e dell’utile guadagnato avendo commerciato fino ad Alessandriae Creta.

Lo stesso Henricus de Lo Priolo Prete e Plebanus di Sant’Angelo fungeva da testimone negli accordi commerciali che si stipulavano a Rialto lavorando insieme a Dominicus Georgius Arciprete della Congregazione di San Silvestro e Piovan di San Zan Degolà che fungeva da Pubblico Notaio.

Qualche anno dopo, nel marzo 1224, Albertinus de Portu del Confinio di Sant’Angelo commerciava fichi diretti a Verona e trattava somme di denaro con Baxanus de Vicenza e con Paulo de Stefano da Verona.

Anche nell’agosto 1253 a Rialto c’era attivo come Notaio un Leonardus Prete di Sant’Angelo, e ancora nel maggio 1263, sempre a Rialto, il Notaio Paulus Blundo Prete e Piovano di Sant’Angelo provvide a redigere l’atto di vendita di una terra murata del valore di lire 50 di denari veneti sita a Torcello in prossimità di un canale e del Monastero, che passò così di proprietà da Marino Marin del Confinio di San Samuel a Pietro Istrico Procuratore di Santa Margherita di Torcello.

Già dalla metà del 1200 giù dal ponte privato che lo legava alla Contrada c’era il Conventone di Santo Stefano dei Frati Agostiniani: l’unico della zona, a differenza del resto della neonata città che si stava rivestendo di chiese, Piovanie, campanili e Monasteri ad ogni passo e oltre ogni canale. Il Convento degli Agostiniani col suo Studiume i suoi uomini prestigiosi era destinato a divenire uno dei più importanti e rinomati di tutta Venezia.

Circa negli stessi anni il Doge Pietro Ziani lasciò una “ruga di case” di sua proprietà in Confinio di San Giminiàn alle sette Congregazioni del Clero di Rialto (diverranno nove): San Luca, Santa Maria Formosa, Santa Maria Materdomini, San Silvestro, San Polo, San Marcuola e appunto Sant’Angelo… Forse per non essere da meno, o per le stesse convinzioni, nel 1283 davanti al Notaio Petrus Donusdeo Prete di San Polo, anche Pietro Viaro del Confinio di San Maurizio con la moglie Ziburgalasciarono oltre al resto attraverso i Procuratori di San Marco e i figli Nicola, Matteo e Giovanni: “ … lire 25 alla Congregazione di Sant’Angelo …e un lascito in denaro ad Albertino Frate di Sant’Angelo …”

La Congregazione del Clero di San Michele Arcangelo in Sant'Angelo di Venezia esiste ancora oggi ed è attiva come le altre Nove Congregazioni del Clero di Venezia. Secondo la tradizione sarebbe stata fondata prima fra tutte le altre fra 1105 e 1117. Di certo influenzata dalla vicina sensibilità dei Frati Agostiniani, la Congrega di soli Preti si preoccupava dell’assistenza dei Preti malati o poveri, e del suffragio di quelli morti. Come spesso accadeva in Venezia, la Congrega composta da trentasei Preti Confratelli(multiplo del numero dei dodici Apostoli) come prevedeva la Mariegola, si trovò ben presto al centro di un cospicuo numero di estimatori, con relativi lasciti e generose donazioni, per cui riuscì a costituire lungo i secoli un ingente patrimonio immobiliare ed economico che sopravvive ancora oggi quasi indenne. Gran parte dell’attività della Congregazione ruotava intono alla partecipazione a processioni e a solenni funzioni che seguivano un particolare calendario cittadino e liturgico.

Al suo interno, la Congregazione di San Michele governata dall’Arciprete con incarico a vita, si distingueva curiosamente in tre categorie di Preti in base all'anzianità d’appartenenza al Sodalizio e alla valenza dei titoli acquisiti al suo interno ai quali era connessa l'assegnazione-spartizione dei proventi economici annuali del“partidòr”.Oltre all’Arciprete che percepiva il doppio dei venti Fratelli Preti a "parte intera", c’erano altri otto Preti a "mezza parte", e altri otto definiti d’"orazione", ossia che pregavano e basta senza percepire niente e rimanendo in attesa di un posto da “titolari pieni” per il quale potevano servire anche sei anni d’attesa. Inoltre esisteva anche un numero variabile di Chierici “in bona spe" al servizio della chiesa, cioè aspiranti anch’essi all'ammissione alla fortunata quanto ambita Congrega.

Uno dei Preti detto "Massaro"insieme a due “Decani” e un “Nunzio” si occupavano dell'amministrazione della Congrega antichissima, e appartenere al essa era considerato così altamente onorifico che alla Visita Apostolica del 1581 gli stessi “Controllori Papali” chiesero di poterne entrare a far parte.

Nei primi decenni del 1300 quando nella Contrada di Sant’Angelo risiedevano diversi Pellicciai, giunsero ad abitarvi anche i già Nobili Ferro che con Enrico Ferro comprarono da Uberto de Baldaria Consigliere del Marchese Azzo VIII di Ferrara (ascritto con i figli alla Nobiltà Veneziana) un feudo “in concessione marchionale personale”con 3 mansi di terra e una casa in località Ruina Copparo divenendo così con gli eredi: Vassalli del Marchese Azzo.

 

Giunto il tempo del Doge Andrea Contarini e delle Guerre contro i Genovesi che presero e misero a ferro e fuoco Chioggia, anche la Contrada di Sant’Angelo si dimostrò generosa nel contribuire e finanziare le imprese dello Stato ormai divenuto Serenissimo. La Contrada di Sant’Anzolo nel suo insieme offrì lire 183.700, e fra i suoi offerenti c’erano 38 fra Nobilhomeni e Nobildonne generosi e abbienti fra cui primeggiò Zuanne Trevisan che offrì 50.000 lire. Bertuzzi Pettenèr però non volle nel suo piccolo essere da meno, perciò offrì lire 500; Francesco dalle Masene diede 4.000 lire, Pasqualin dalla Mesetaria lire 2.000, e Piero e Marco sonador offrirono lire 300 come Zuanne murer ... Perfino dalle case del Piovan dell’Anzolosi raggranellarono lire 700.

Nel 1347 accadde anche a Venezia (corsi e ricorsi storici) lo sconquasso del terremoto che fra le altre cose fece cadere diversi campanili dopo che le campane s’erano messe a suonare da sole. Fra gli altri crollò proprio anche il campanile di Sant’Angelo ... ma poi la vita dei Veneziani riprese il suo normale corso … Nel novembre 1353 Nicoletto Trevisan Fustagnaio della Contrada di Sant’Angelo comprò da Stefano di Libiana: “… 27 dozzine di soàtti a grossi 24 la dozzina, 1 pelliccia di volpe per 3 ducati, e 2 guarnacche glirorum de squillatis per 10 lire di piccoli ”... erano gli anni in cui i fratelli Veneziani Nicolò e Antonio Zennavigatori e Mercanti attraversavano intrepidi l’intero oceano Atlantico giungevano a commerciare in America. (piaccia o no, è assodato ormai che Sior Cristoforo Colombo vi è giunto ben dopo).

La Piccola Contrada di Sant’Angelo occupa sostanzialmente tutt’ora circa una cinquina delle piccole isole che formano il numerosissimo arcipelago di Venezia. Sant’Angelo confina con le limitrofe Contrade di San Beneto, San Samuel, Santa Maria Zobenigo del Giglio e San Maurizio, e il Rio di Sant’Angelo provenendo dal Rio di San Maurizio attraversa tutta la Contrada uscendo poi nel Canal Grande tramite il Rio di Ca’ Garzoni dopo il Ponte del Pestrin e la Piscina di San Samuel. A metà del suo corso il Rio di Sant’Angelo si sdoppia nel Rio della Verona che porta nell’attuale zona del Rio della Fenice (che non esisteva). Dalla parte opposta, invece, lo stesso Rio di sant’Angelo subito dopo il Ponte dei Frati va e andava a passare sotto alla Chiesa di Santo Stefano rinominandosi come Rio del Santissimo e infine torna a buttarsi nel Canal Grande che è la “Strada delle Strade” di Venezia, la “Via d’acqua” più importante che di fatto circonda la Contrada. Anche per questa sua centralità strategica e per questa sua agibilità, la Contrada di Sant’Angelo è sempre stata considerata una delle Contrade più prestigiose di Venezia.

Prima della metà del 1400 approfittando di un pingue lascito del Piovano Michele Davanzo si provvide a rifabbricare ancora una volta la chiesa, anche se a metà secolo il campanile pendeva vistosamente minacciando di crollare, tanto che si chiamò l’“esperto in campanili” Bartolomeo FioravantiBolognese che provò a raddrizzarlo togliendovi la terra da una parte.

Risultato ?

Dopo un giorno e una notte “dall’operazione di ripristino e sostegno”, il campanile cadde finendo rovinosamente sopra al tetto del vicino Convento di Santo Stefano degli Agostiniani, sfondando un dormitorio e accoppando due poveri Frati ignari, e distruggendo e atterrando parte della stessa chiesa di Sant’Angelo. Qualche anno dopo, nel 1456, il campanile venne nuovamente innalzato da Marco de Furi… stavolta si raccomandò: “con maggiore cura e precisione possibile”.

Esattamente venti anni dopo, accadde in Contrada un fattaccio che fece spettegolare ma anche “gridare vendetta” a tutta Venezia: Giacomo Tintore condusse Bernardino degli Orsi sotto l'antico portico della chiesa di Sant’Angelo e lo brutalizzò violentemente scappando poi via da Venezia … Venne bandito in contumacia: se solo avesse osato rimettere piede a Venezia e nel suo territorio sarebbe stato fatto immediatamente in quattro pezzi ponendone a monito uno per ciascuno confine della Serenissima ... ed erano trascorsi altri dieci anni quando il campanile venne colpito e sconquassato altrettanto brutalmente da un fulmine tanto da doverlo quasi rifare del tutto. Chissà perché, il destino s’accaniva di continuo col campanile di Sant’Angelo … (qualche pseudoteologo attuale probabilmente spiegherebbe il fatto affermando che i Nobili e i popolani Veneziani che abitavano la Contrada di Sant’Angelo dovevano essere degli efferati quanto inveterati peccatori).

Ma chi erano i Nobili che vivevano nella Contrada di Sant’Angelo?

Si trattava soprattutto di abili e ricchi Mercanti, Senatori e Avvocatidi Casati prestigiosissimi che con i loro palazzi e case sempre più belle e grandi contornarono il Campo Sant’Anzolo da una parte e resero fastosa la parte della Contrada affacciata sul Canal Grande dall’altra.

Fra i tanti nomi di Nobili e Casati illustri, in Contrada di Sant’Angelo c’erano i Martinengo, i Marcelloe i Moroartefici della realizzazione delle Procuratie Moro: un particolare esempio d’Istituzione benefica ed edilizia esistente in Venezia. Le Procuratie, che si trovavano anche a San Geremia, Anzolo Raffael, Madonna del Giglio e altrove, non erano Ospizi, ma nuclei compatti “d’edificazione popolare” concessi in usufrutto “gratis et amore dei” o con modici affitti a chi ne fosse stato degno. Ce n’erano di metrature diverse, di solito raccolte intorno e prospicenti su di una corte comune con “vera da pozzo” al centro. Nel caso del Nobilomo Luca Moro residente in Sant’Angelo, costui dispose con testamento del 1410 d’affittare una delle case di sua proprietà in Contrada di Santa Maria Zobenigo, in modo che il ricavato fosse utilizzato per mantenere “in conzo e colmo” gli edifici che aveva fatto costruire e assegnare a poveri di Venezia. L'amministrazione delle Procuratie Moro venne affidata alla Magistratura dei Procuratori de San Marco de Supra”, che ancora nel 1796 vendette sette caxette investendo in Zecca il capitale ricavato e distribuendo ai poveri i “prò” (gli interessi maturati annualmente) secondo la volontà dell’antico testante Luca Moro. Ovviamente l’avido quanto ottuso napoleon incamerò tutti i beni delle varie Procuratie nel famoso vorace Demanio che vendette ogni cosa a privati.

Oltre ai Moro, nella stessa Contrada vivevano i Nobili Paruta in palazzetto archiacuto con quadrifora del 1500, i Nobili di V classe Barbaro di Sant’Angelotrasferitesi in seguito in Contrada di San Gregorio, i Benzon, i Cappello di Sant’Anzolo, i Malatin (forse non Nobili), i Loredan anche loro di classe V, e i Curti poi Valmarana che occupavano un altro palazzo del 1600-1700 affacciato sul Canal Grande.

Sull’omonimo Rio di Ca’ Pesaro risiedeva un Ramo dei Nobilissimi Pesaro: in uno dei Registro degli “Affari di chiesa” si registrò la controversia fra il Capitolo di Sant'Angelo e il vicino Capitolo di San Beneto circa la divisione dei proventi ricavati dall'amministrazione dei Sacramenti nel “Palazzo dei Nobilhuomini Pesaro posto in campo di San Beneto con tutte le case et mezadi posti nel suo recinto” che per antica consuetudine veniva diviso equamente tra i due Capitoli.

Soldi erano soldi… e anche i Preti di Sant’Angelo dimostrarono sempre di non disdegnarli, né di temerne gli effetti.

E veniamo ai singolari quanto interessanti Nobili Garzoni o De Garzoni. Costoro abitarono nel palazzone in stile tardogotico costruito verso la metà del 1400 con gran portale d’acqua sul piccolo Rio omonimo di Ca’ Garzoni detto anche del Traghetto. Un Zuane Garzoni giunse a Venezia da Bologna al tempo della guerra di Ferrara durante la quale pagò di sua tasca 24 soldati che combatterono a favore della Repubblica. I Garzoni entrarono quindi a far parte del Maggior Consiglio di Venezia fin dal 1289, e ottennero la Nobiltà Veneziana nel 1381 perchè Baldovino Garzoni si distinse particolarmente per il suo apporto e contributo durante la Guerra di Chioggia contro i Genovesi. Paradossalmente il Nobile morì proprio il giorno prima della sua approvazione nobiliare, che perciò venne ratificata e perpetuata nei figli Giovanni e Nicolò.

I Garzoni furono importantissimi Banchieriveneziani come i Soranzo e i Balbi, infatti a metà del 1400 furono i fondatori con Nicolò quondam Bernardo di uno dei dieci “Banchi di scritta” più efficienti e ricchi della Venezia di quell’epoca. Alla fine del secolo, le principali quattro banche in attività a Venezia: Lippomano, Garzoni, Agostini e Arimondo gestivano un capitale superiore a un 1 milione di ducati.

All’inizio del 1500, invece, a causa di una grave congiuntura politico-economica sfavorevole la Banca di Adrea Garzoni fallì con un’esposizione economica ufficiale di 85.000 ducati verso 518 creditori, ma con un debito reale complessivo di 250.000 ducati, mentre “i colleghi”Lippomanos’erano procurati un debito di “soli”: 119.000 ducati. Per farsi un’idea del “grave danno” economico in cui incapparono i Garzoni che prestavano soldi, acquistavano e vendevano argento, oro e gioielli avendo fra i propri clienti anche il Duca di Mantova, la normale paga di un operaio pubblico che faceva riparazioni per il Doge a Palazzo Ducale era negli stessi anni di 100 ducati annui.

Dopo Natale 1499, i Garzonidichiararono di aver già pagato: 128.000 ducati, ma non fu sufficiente per rimetterli in gioco economico. Dovettero svendere all’incanto tutte le loro proprietà immobiliari … che erano parecchie: ad Albaria, presso San Pietro in Valle, nel basso veronese, non lontano dal Tartaroe dal Po, e un esteso bosco di 182 ettari a Boschi Sant’Anna e di San Marco a sud di Legnago presso il Porto.

Come se niente fosse accaduto, nel 1507 il clan dei Garzoni composto da 10 individui si confrontò e si propose per l’elezione in Maggior Consiglioschierandosi contro i potentissimi Nobili Contarini il cui clan presentava ben 172 individui. Bisogna dire che ai Garzoni non mancava di certo l’intraprendenza e il coraggio ... non si arrendevano mai.

Infatti nel 1560, la Nobildonna Lucrezia Garzoni acquistò da Giulio Segato: “… una roda da molìn con sua mola et casa sopra el Sil loco Cao de Vigo nel Quintino di Treviso … per 250 ducati.” … e Frate Gabriele de’ Garzoniappartenente all’Ordine Gerosolimitano fece un notevole lascito nel 1571 a favore del Monastero di San Francesco della Croce in Venezia ... due anni dopo Costantino Garzoni esercitò a proprie spese da Ambasciatore di Venezia a Costantinopoli ... e Sandrus Lanza, Chierico di 22 anni, insegnava Grammatica a 3 alunni di Ca’ Garzoni: “… Al più grando ghe lèzo el Vives solamente, alli altri ghe fàzo far latino per neutri …”

Inizialmente i Garzoni abitavano nella più defilata Contrada di San Polo, fu infatti solo nel 1600 che acquistarono il palazzo sul Canal Grande in zona di Sant’Angelo... Significava che economicamente non se la passavano poi così male ... Pietro Garzoni possedeva una ricchissima biblioteca “laudatissima” e fu Storiografo Ufficiale della Repubblica… nel 1618 si realizzarono in Laguna i controversi “Tagli Garzoni” ideati dall’Esecutor alle Acque Zuanne Garzoni, per governare l’andamento dei fondali dell’estuario lagunare e favorire i flussi della marea … Il Senatore Girolamo Garzoni morì eroicamente nel 1688 continuando a combattere contro i Turchi nella difesa di Negroponte pur avendogli sparato una palla di moschetto in seno. Gli venne costruito un monumento sopra al portale principale del chiesone deiFrari in Venezia godibile tutt’ora ... All’inizio del 1700 si realizzò sul Brenta la “Roggia Mocenigo-Garzoni” diramazione della “Roggia Vica” voluta da Pietro Garzoni a partire da Rossanoper irrigare le terre dei Garzoni a Godego presso Castelfranco ... nell’aprile 1725 il Piovano di San Giovanni Elemosinario di Rialto era Claudio Garzoni che entrò in una lite giuridica senza fine contro il vicino Piovano di San Giacomo Angelo Bonolli che cercava di usurpargli le facoltà (e le rendite) parrocchiali … Infine, ancora nell’ottobre 1775, Elena Querini raccontava nelle sue lettere che Agostino Garzoni  nei giorni passati al Casino del Ponte dell’Angelo, perdette più volte e con più persone somme non indifferenti in Carlini giocando al Rocombor ... L’equivoca dama diventatagli forse intima concludeva: “In ogni caso riuscì ugualmente a cavarsela … nè si sa il santolo che glieli diede … Voleva poi portarsi a dimorare in campagna … ma poi gli è svanita anche quella intenzione.”

I Nobili erano Nobili, e a Venezia lo erano più che mai e altrove … C’era poco da fare ...“Giravano” così.

E non è ancora tutto circa i Nobili di Sant’Angelo, perché in Contrada c’erano anche i Gritti-Morosini in un Palazzo del 1400. Nel 1310 il Nobile Cardinale Morosini di Casa Vecchiafu Plebanus della Collegiata di Sant’Angelo che veniva definita: “cièsa granda e ricca”. In seguito lo stesso Morosini intraprese una “felice carriera ecclesiastica” perché passò prima a Piovano dell’importante chiesa matrice di San Donato nell’isola di Murano, e poi venne perfino nominato da Giovanni XXII: Patriarca di Costantinopoli gestendo il ricco titolo e beneficio per cinquant’anni fino alla morte.

Poco distante in Campo Sant’Angelo abitavano anche i Nobili Duodo in palazzo archiacuto del 1400 fabbricato probabilmente da Giacomello Duodo figlio di Nicolòsul posto di un antico palazzo appartenete ai Nobili Zen. In seguito palazzo Duodo venne trasformato in albergo “All'insegna delle Tre Stelle”, dove morì il celebre protagonista della vita musicale e teatrale del settecento veneziano Domenico Cimarosa. In tempi ancora più recenti, lo stesso palazzo passò ai Nobili Balbi-Valier per via del matrimonio nel 1808 fra Marco Bertucci Balbi-Valier ed Elisabetta Maria Duodo quondam Marcantonio, e alla fine venne comprato dai Missana divenendo birreria al piano inferiore.

I Nobili di 2 classe Michiel di Sant’Anzolo vivevano, invece, in una serie di vicini palazzi del 1500 prospicenti un Rio privato ed esclusivo collegato direttamente col Canal Grande e non comunicante con nessun altro corso d’acqua pubblico … I Nobili Pisani di Sant’Anzolo di III classe, viceversa, risiedevano in un palazzo di quattro piani della seconda metà del 1600 dalla doppia facciata prospicente sul Campo e sul Rio di Sant’Angelo. Era un edificio molto ricco e ben arredato costruito inizialmente per i Nobili Trevisan, e nel 1740 Alvise quondam Benedetto Pisani,proprietario di una casa in Contrada dei Santi Apostoli, la affittava per 140 ducati annui per potersi pagare l’affitto di 130 ducati annui del palazzo in Contrada di Sant’Angelo in cui viveva.

In Campiello del Teatroavevano palazzo i Nobili Sandi di Sant’Anzolo(traslato in ultimo passaggio di proprietà ai Conti Porto di Vicenza e ai Cipollato). Anche i Sandinon erano affatto Nobili da poco: il loro palazzo era considerato fra le 15 case più riccamente arredate e decorate dell’intera Venezia. Infatti l’interno aveva affreschi di Tiepolo che dipinse mirabili vicende mitiche di Orfeo, Apollo e Marsia, Ulisse e Achille ed Ercole e Anteo. I Sandi erano Avvocati e Notai originari di Milano ma trasferitisi a Feltre per commercio. Vennero aggregati “tardi e per soldo” alla Nobiltà Veneziana nel maggio 1685 per aver contribuito alle spese di Stato per la Guerra di Morea. A Venezia erano conosciuti come più ricchi di quanto si potesse pensare: “… a loro interessava poco non essere conosciuti dalla Nobiltà per nobili … Forse per non essere troppo cogniti … venivano lasciati tranquilli negli Scrutini …”Insomma i Nobili più grandi e potenti cercavano di tenerli bassi, in disparte, e fuori dal gioco delle cariche di Stato che contavano per davvero.

Nel 1677 Vettor Sandi era il Guardian della Schola del Santissimo di Sant’Angelo, la Schola più prestigiosa della Contrada, dove a sue spese pagò: “l’adornamento di noghera attorno ai muri da una parte e dall’altra della porta maggiore della chiesa e sotto all’organo…”

Il palazzo dei Sandi venne costruito dall’architetto Domenico Rossi con preziosa biblioteca solo verso il 1721. Tuttavia i Sandi possedevano nei primi decenni del 1700 alcuni complessi di Ville prestigiose a Crocetta del Montello, e soprattutto a Moldoi di Sospirolo in Valbelluna sulla destra del Piave vicino a Maràs di Feltre dove trascorrevano favolose “Stagioni di Villa”.

“Il fatto che, con l'avvento degli Austriaci in Veneto, nessuna famiglia dal nome Sandi sia stata riportata tra gli appartenenti al Patriziato di Venezia a cui confermare il titolo, fa supporre che i Nobili Sandi si fossero già estinti.”

Quel che è certo, invece, è che ancora nel 1818 il Podestà di Venezia Bartolomeo Girolamo Gradenigo ospitò proprio a Palazzo Sandi il Vicerè Eugenio di Beauharnais ospite a Venezia offrendogli una festa memorabile. Così come è altrettanto certo che qualche anno dopo arredi e opere d’arte del palazzo vennero acquistati dalla Corte di Russia e andò dispersa allo stesso tempo tutta la preziosa biblioteca.

Ancora poco distante, e sempre nella stessa Contrada sorgeva il prestigioso palazzo rinascimentale dei Nobili Corner affacciato sul Canal Grande nel Campiello del Teatro. Venne costruito nel 1480 presso la Corte dell’Alboro e comprato dal Doge Pietro Lando già Arcivescovo di Candia. Zuane Corner lo abitava fin dal gennaio 1542 quando si spostò da San Polo dove s’era incendiato il suo palazzo. Lo stesso Corner lo fece arredare il palazzo da dipinti di GiorgioVasariche racconta nel suo “Libro delle Ricordanze” di aver eseguito ben 9 quadri ad olio per il “sofittato della magnifica camera”di Giovanni Corner tutta di legnami intagliati ricamati d’oro prima di andarsene da Venezia dove “avea poca voglia di stare” perché “… a Venezia non si tenèa conto né del disegno né dei pittori”. Il soffitto “favoloso” venne ben presto smembrato e venduto, e il palazzo venne affittato per 460 ducati annui e 12 libbre di zucchero agli Spinelli Mercanti di Seta e Nobili aggregati di III classe provenienti da Castelfranco e già residenti nella Contrada più periferica di San Felice.

In seguito il palazzo passò ancora di proprietà andando ai Carnoldi nel 1810, e finendo nel 1850 alla danzatrice Maria Taglioni che aggiunse le balaustre laterali prelevandole dalla Ca’ d’Oro che le apparteneva come Ca’ Barzizza(infine il palazzo giunse ai Salom). I NobiliSpinelli erano una famiglia di Mercanti d’oro e abili Notai, e un casato Nobile emergente in quanto con Paolo e Girolamo avevano comprato il titolo nobiliare pagandolo allo Stato 100.000 ducati nel 1718 al tempo della Guerra di Morea. Nel 1764 ebbero a che fare con gli Inquisitori di Stato per via di Paolo Spinelli che era in procinto di trasferirsi “alla reggenza di Bergamo a nome della Serenissima”. Paolo s’era innamorato di Barbara Labia a causa delle “seduzioni e le male arti” di Fernandino e Stefano Nardi, perciò gli Inquisitori di Stato convocarono la donna e “gli amici” richiamandoli e ammonendoli di non andare a disturbare il Nobile fino a Bergamo, e imponendo loro perfino di consegnare la posta che Spinelli avrebbe eventualmente loro inviato. Tre anni dopo, infatti, Spinelli finì col sposare la Nobile Cecilia Berlendis ... il capriccio transitorio con la Labiaera passato ... almeno ufficialmente. Ancora nel 1838: Dionisio Moretti disegnò la facciata di Palazzo Spinelli a Sant’Angelo sul Canal Grande: “… facendola a bugne di pietra rozza...”

I Nobili Pasqualigo abitavano in Calle della Madonna: nel maggio 1777 il Nobile Marcantonio Pasqualigo si oppose ufficialmente consegnando “un impedimento formale alla Curia del Patriarca” circa il matrimonio di suo figlio Zuanne con una vedova Marina Garbi da Spilimbergo con cui conviveva già nella vicina Contrada di San Samuel. Un matrimonio del genere sarebbe stato un disonore e uno scandalo per il casato … perciò alla fine venne loro concesso di celebrare il matrimonio in casa in gran segreto per salvare la pubblica immagine del blasone nobiliare.

Infine, un Ramo dei Caotorta Cittadini Originari abitava in Contrada di Sant’Angelo dentro a una Calle che portava il loro stesso nome. La casa l’avevano comprata Alvise Caotorta quondam Alessandro dai Nobili Cappello nel 1759, e gli stessi Caotorta avevano tombe di famiglia in chiesa di Sant’Angelo. A differenza di tanti altri illustri Nobili Veneziani tanto famosi quanto finiti in disgrazia e decaduti, i Caotorta vennero aggregati ancora nel 1802 al Consiglio dei Nobili di Treviso, e addirittura il Governo Austriaco confermò il loro “status nobiliare” nel 1819 quando il valore dei titoli Nobiliari Veneti era divenuto lo zimbello comico di tutta Europa per il loro inutile significato.

E questo è quanto circa i Nobili della Contrada di Sant’Angelo, anche se non è affatto tutto in quanto ci sarebbe da perdersi nel raccontare (ma perderei anche voi come coraggiosi lettori). Lericche Famiglie Nobili di Sant’Angelo erano fornite come tutte le altre del loro stesso lignaggio di ogni tipo di agi e servizi: barcaroli, domestici, maggiordomi e massere … e provvedevano ad allestirsi vicino a casa anche i luoghi del divertimento e dell’evasione, come, ad esempio: la Caccia all’Orso in Campo Sant’Angelo, e il Teatro Sant’Angelo ... senza contare i numerosi Ridotti e Casini da Gioco che si trovavano a due passi, e le altrettanto numerose prostitute che stavano nelle limitrofe Contrade di San Samuele e San Beneto ... e molto altro ancora.

Il Teatro di Sant’Angeloaffacciato sul Canal Grande è stato attivo dal 1677 al 1894 seppure subendo diverse trasformazioni e molti cambi di gestione. Non era un gran teatro, anzi, era formato solo da una serie di 136 bassi palchetti, ma sorgendo in una collocazione ottimale sul Canal Grande era raggiungibilissimo da chiunque possedesse barca o gondola ... il che non guastava per tanti motivi, compresi quelli di privacy e discrezione ... Perciò ebbe una sorte fortunata.

Inizialmente la proprietà apparteneva a una società fra Nobili Capello e Marcello, e il Teatro venne attivato dall'architetto, scenografo e impresario Francesco Santurini, passando in seguito di mano in mano fino ai Nobili Renier. Uno che dominò a lungo le scene di Teatro Sant’Angelo fin quasi dall’inizio del 1700 fu Antonio Vivaldi coinvolto non solo musicalmente nella gestione del teatro dove si davano sempre “prime opere in Musica” accaparrandosi il pubblico Veneziano e “non” che accorreva sempre numerosissimo. Il primo spettacolo ad andare in scena fu la “Helena rapita da Paride” con testi dell’Aureli e musiche del Freschi. I drammi in musica di solito organizzati in tre atti e con 6-7 cantanti ballerini continuarono fino al 1759 quando per opera soprattutto di Gasparo Gozzi(che abitava nel 1779 in Calle della Madonna a Sant’Angelo in casa dello stampatore Modesto Fenzo)il teatro prese la via della prosa ospitando i comici del Teatro San Samuel andato a fuoco, e soprattutto molte commedie di un certo Carlo Goldoni !  … Nel 1780 perfino Giacomo Casanova fece venire al Sant’Angelo una compagnia di comici Francesi.

Scriveva nell’ottobre 1760 il Gradenigonei suoi “Notatori”: “… al Teatro Sant’Angelo, del presente autunno e seguente Carnevale si rappresentano 3 opere buffe. Li drammi sono di nuova composizione del celebre dottore Carlo Goldoni …  il senario nuovo venne dipinto da Francesco Costa architetto e pittore Veneto compreso tra i soci della rinomata Accademia Parmense …”

Il Nuovo Teatro “La Fenice” nel maggio 1792 prenderà il posto del vecchio Teatro Sant’Angelo occupando terreni acquistati in Contrada di San Fantin dai Presidenti del Teatro Sant’Angelo che presentarono nel 1789 una supplica al riguardo al Senato della Serenissima chiedendo di aprire un nuovo canale apposito per collegare direttamente il nuovo teatro col Canal Grande. I Provveditori da Comun, competenti in materia, comunicarono al Senato che il nuovo canale: “… avrà buoni effetti, e tornerà utile per minorare le cattive esalazioni dell’aria, e impedire la maggior copia di sedimenti aggravanti il Pubblico per li frequenti escavi, e di accordare una più breve e comoda via per acqua verso ogni situazione della città … oltre che un più facile accesso e per acqua e per terra al nuovo Teatro permesso dall’eccelso Consiglio dei Dieci.”

Nel 1800 sul Canal Grande sulla stessa fondamenta dove sorgeva il Teatro Sant’Angelo si costruì Casa Barocci, e per ultimo nel recente 1954 si realizzò sull’angolo del Rio di Sant’Angelo all’incrocio col Canal Grande, sull’area di una caxetta anonima, il Palazzo Tito di quattro piani a cui si accede attraverso la Corte Lucatello con antica vera da pozzo.

Ma in Contrada non c’erano solo i Nobili, come dicevo era sempre tutto un brulicante formicolio di Veneziani iperattivi e vispi ... Lungo la direttiva stradale di Calle dello Spizier e Calle della Mandola si apriva tutta una serie di botteghe utili per la vita quotidiana: Spezier, Fruttarol, Forner, Ligador de Libri, Cafettier, oltre alle Osteriee le Locande... e c’erano anche i gondolieri barcaroli del Traghetto di Sant’Angelo in Calle del Traghetto che prestavano servizio sul Canal Grande collegando la Riva opposta della Contrada di San Tomà nel Sestiere di San Polo ... Sui muri della Contrada, nelle Calli più buie e sui ponti strategici dove erano accaduti delitti efferati, i Veneziani avevano posto dei Capitelli con delle Anconeteche rimanevano illuminate durante tutta la notte. Un esempio significativo a tal riguardo è il bel Capitello a nicchia in pietra posto in Calle della Madonna accanto al Ponte dei Sassini(oggi Rio Terrà dei Sassini) il cui nome già di per se è tutto un programma. La Madonnina con le mani incrociate sul petto sembra proprio in atteggiamento d’ascolto delle preoccupazioni di chi sta passando per quel posto ... e in un angolo del Campo Sant’Anzolo sorse anche un Oratorietto detto del Crocefisso(veneratissimo fin dal 1500).

Dovete immaginare il Campo Sant’Anzolo impegnato in un sovente processionare per mille motivi e ricorrenze … Ogni occasione era buona per i Veneziani per uscire fuori e mettersi per strada e girare in tondo a cantare, suonare, orare, sfilare e mettere in mostra le loro convinzioni e le loro aggregazioni … I Gastaldi delle Schole con i Nonsoli andavano in giro portando di casa in casa “pan e candela” ai Confratelli che non avevano partecipato alle funzioni in chiesa, e riscuotevano tasse e multe, questuando per ogni angolo della Contrada “a fin di bene”.

A Venezia non mancava ovviamente la Spadaria con infisso sul suo muro d'ingresso: “uno stemma e scudo col leone di San Marco e sotto tre spade scolpite”.

Fin dal 1297 le Arti degli Spadai, dei Corteleri o Coltellinai e dei Vagineri o Vaginai (che non erano affatto dei maniaci perversi ma semplicemente i fabbricanti delle guaine e delle custodie per le spade) s’aggregarono insieme in un’unica Schola sotto la protezione di San Nicolò di Bari. In precedenza s’erano già fatti ospitare senza soddisfazione a San Francesco della Vigna e a San Gimignan, ma in Sant’Angelonel 1515 finirono col mettere definitivamente le radici perché utilizzando l'altare di Sant’Orsola posero la loro pala col San Nicola dipinto, promisero d’abbellirne ulteriormente la Cappella, e organizzarono ogni anno la festa patronale con una solenne processione tutto intorno alla Contrada (un’altra !).

Le cronache antiche di Venezia raccontano che nel 1574 gli Spadai della Serenissima vestiti di roso e verde accompagnarono con una barca addobbata a “cuori d'oro”Enrico III di Francia e Polonia da Murano fino a Venezia sfoggiando tutte le loro armi antiche, i trofei e i loro gonfaloni ... Fu uno spettacolo indimenticabile !

Ancora nel 1773 l’Arte degli Spadai era viva e vegeta in Venezia lavorando in 19 botteghe e contando: 26 Mastri Spadai coadiuvati da 14 lavoranti e 6 garzoni.

All’inizio del 1500 nella Contrada di Sant’Angelo cessò di vivere morendo per “morbo gallico”Marcantonio Sabellico, lettore pubblico, letterato e autore di varie opere stimatissime dai Veneziani e non solo … e qualche anno dopo vi morì anche Raffaello Reggio, altro pubblico lettore, lasciando la propria “libraria”ai Frati di San Giorgio Maggiore ... Quelli dello Studium di Santo Stefanonon la presero bene ... Secondo le cronache e le statistiche dell’epoca in Contrada di Sant’Angelo risiedevano e lavoravano abitualmente: 1.787 persone … in chiesa: Prete Gregorio Dolfin già Canonico prebendato di San Pietro di Castello e Prete titolato della Collegiata di Sant’Angelovenne eletto Piovan chiedendo però di usufruire anche del titolo e delle rendite di Suddiacono titolare di Sant’Angelo… Ma quante cariche e soldi voleva possedere costui ? … però: “Gli venne concesso … senza che alcuno protestasse qualcosa ...”

La minuscola Parrocchia della Contrada di Sant’Angelo pur vivendo un po’ all’ombra del maiuscolo Convento degli Agostiniani possedeva tutte le doti caratteristiche delle tipiche Plebanie Collegiate di Venezia.

L’Istituzione parrocchiale di Sant’Angelo se la passava bene economicamente, tanto che fra un restauro e l’altro della chiesa (la cui facciata si fece sormontare da timpano “all’antica”), si provvide a far costruire anche un organo nuovo per una spesa di 220 ducati pagati in 4 rate, si spesero 12 ducati per la Festa Patronale dell’Arcangelopagando cantori e strumentisti, altri 4 ducati dei soldi della Fabbriceria per pagare un Maestro di Cantoper Chierici e Zaghi di Sant’Anzolo, e 22 ducati annui per un organista ... Il Piovano era consueto dividere in “decima” per il Collegiata le rendite del “beneficio della chiesa e della Contrada”comprese le elemosine del giorno della Festa di San Michele Arcangelo, assegnando al Sacrestano le offerte raccolte in chiesa nel “giorno della Sagra di San Michiel” eccettuate le elemosine donate dai fedeli Veneziani durante le Messe.

Dentro alle mura della chiesa oltre agli Spadai si ospitava una quindicina di Schole Piccole Veneziane, fra le quali alcune per davvero significative, rinomate, e per noi molto interessanti.

Fin dal 1436 era sorta la Schola di San Sebastiano dell’Arte dei Verieri ossia degli “Stazionieri che vende vèro”. Era una delle Schole più antiche di Venezia, e vendevano vetri, bicchieri e bottiglie prodotti a Murano in una quindicina di casotti o “stazi” di legno posti sulle rive o nei Campi, o andando in giro come ambulanti per Calli, Fondamente e Campielli di Venezia. Il Sodalizio dei Verièri era reduce da una grossa lite col Capitolo della chiesa di San Polodove avevano le “arche” sepolcrali dell’Arte. Il Capitolo dei Preti di San Poloaveva concesso l’altare di proprietà dei Verieri a un’altra Schola ... “… perciò fu baruffa sècca coi Preti de San Polo … e i Verieri se n’andarno via sbattendo la porta e portando seco a Sant’Angelo tutti i loro beni: la Mariegola, il Penèlo da mèter in Campo, l'àlboro (l'asta) dove appenderlo, e perfino l’altar de legno dedito a San Sebastian coi banchi de legno che lo contornavano …”.

Gli iscritti all’Arte e Schola dei Verieri erano pochissimi (solo 18 di media) ma molto agguerriti e decisi, tanto che avevano una discreta capacità economica lavorando in collaborazione con molte altre Arti cittadine come Muschieri, Marzerie Fruttaroli a cui vendevano o da cui compravano vuoti a perdere.

Nel 1592, avendo il Patriarca con apposito decreto proibito l’uso in Venezia di ogni altare di legno, la Schola approvò la spesa di 150 ducati per costruirne uno nuovo in marmo. Il Piovano di Sant’Angelo nell’occasione donò alla Schola due colonne di marmo … e allora, già che c’erano, i Verieri chiesero al Capitolo di Sant’Angelo anche la possibilità di avere delle nuove tombe in chiesa, e di collocare sull’altare una pala dipinta col loro Santo Patrono: San Bastiàn. Per un certo numero di anni i Verieri organizzarono la Festa del Patrono in Campo e Chiesa de Sant’Anzolo, partecipando a tutte le funzioni in chiesa, e organizzando anche una solenne processione tutto intorno alla Contrada dell’Anzolo (un’altra !). Tuttavia nonostante tutta quella partecipazione e quell’entusiasmo, nel 1666 l’Altare dei Verieri non era ancora terminato, e anzi: ancora incompleto la Schola lo vendette alla Schola di Sant’Antonio da Padova in cambio di 225 ducati. L’Arte dei Verieri stava piano piano involvendosi e spegnendosi finchè venne soppressa quando si riorganizzò l’intera Arte Vetraria Veneziana dopo il 1713.

Oltre alle Schole dei Verieri e degli Spadai nel 1513 ai aggiunse in chiesa anche la Schola del Santissimo Sacramento… e nel 1531: la Fraterna dei Sacerdoti dell'Assunta che aveva cento iscritti. La Schola de Preti era approdata a Sant’Angelo dopo aver pellegrinato a lungo per le chiese di San Basso e Santa Maria del Giglio, e utilizzava un proprio calice d’argento del peso di 12 once, possedendo un capitale di 4.657 ducati investiti in Zecca con l’interesse di 117 ducati annui. Ogni anno la Fraterna dava 24 ducati al Capitolo di Sant’Anzolo e 2 ducati e 1 grosso al Capitolo di San Mauriziospartendosi il resto degli interessi fra i componenti della Fraterna secondo la presenza più o meno assidua agli appuntamenti e alle scadenze della Schola stessa.

Accanto a queste, ci fu un’altra Fraterna singolare e diversa dalle altre (secondo me curiosissima) che venne ospitata a lungo nella Contrada e chiesa e Oratorietto di Sant’Angelo(ancora esistente nel Campo): era la Schola e Confraternita dell’Annunziata dei Zoti e Zonfi Mendicanti ossia degli Zoppi e Monchi Desposenti della Madonna.

Inizialmente la Serenissima non aveva voluto saperne di permettere la costituzione di una Schola del genere riservata a soli zoppi e monchi. Infatti, nel 1368 il Consiglio dei Dieci bocciò “scocciato” l’autorizzazione senza alcun ripensamento e con un certo sdegno. Fu però considerando le conseguenze delle numerose guerre e osservando in giro per Venezia: “paupercoli senes et impotentes”benemeriti per aver servito la Patria, che la Serenissima ritornò sulle sue decisioni permettendo la costituzione della Schola in Contrada di Sant’Angelo.

Iniziò così il 1 novembre 1392 la Mariegola della Schola dei Poveri Zoti Despossenti Reduci e Mendicantiche vivevano elemosinando in giro per Venezia. Indicativo del loro “stato patriotico” fu che i Zoti stabilirono di tenere la loro Festa il giorno dell’Annunciazione: ossia lo stesso giorno in cui Venezia festeggiava la sua nascita.

La Schola s’impegnava ad assistere i fratelli bisognosi, non gli “zompi per natura”, rimborsando fino a 6 grossi per le spese mediche, e dando a chi era infermo in casa fino a 4 soldi al giorno … Viceversa la Mariegola dei Zoti decretava:“…chi farà ingiuria verso questo nostro Comun, o verrà trovato a giocare d’azzardo e non per sollievo verrà radiato dalla Schola … come chi osasse mancare de man, o de crochola, o de bastòn, o trar arma contro il Gastaldo … e oltre ad essere radiato pagherà anche un ducato.”… e continuava a comandare: “Il Guardian della Schola dovrà essere sufficientemente sòto, over shanchàdo, mendicante o meno, e nè de alcun’altra conditione: né sonfo, né orbo, né di altra infermità … Passerà per le case a distribuir il pan benedeto ai confratelli e consorelle iscritti … Per ogni Confratello Defunto si dovrà recitar: 25Pater-Ave et Requiem e s’accompagnerà il Morto al funerale fin dentro alla ciesa.”

Sfogliando ancora la stessa Mariegola dei Zoti tutta decorata a vegetali con tulipani di colore verde, arancione e rosso e da belle miniature con una Crocefissione” e una “Madonna su leggìo con Angelo annunziante davanti”, si può ancora leggere l’annotazione tratta dal Capitolo XV scritta tra dicembre 1392 e agosto 1464: “… podranno essere eletti ala carica de Gastaldo e Banca della Schola solo Zoppi e Schancadi …” e un’altra annotazione recita: “… la Festa sia celebrada il di dell’Annunciazione … in marzo … et in quello dì se debia sentar al canchello della Schola e dèbiase dar el pan e la chandella. E cussi’ ordenemo che similmente in el dì dell’Anzolo Gabriel la qual Solennità et Festa viene il 6 luglio … volemo se debia far pan e candhela per suplir e contentar quelle persone che per la Festa della Madonna de marzo non l’abbiano avuto e per quelle che per devozione e riverenza lo desiderino due volte l’anno … El gastaldo, pena 20 soldi per volta,  debbia tor per le 2 feste trombe e piffari … i qual debbia venir a sonar la Vigilia al Vespro e la mattina alle Messe infina fata la Procession e levado il Corpo de Crhisto a la Messa granda. E poi farghe el debito suo secondo usanza …”

Nel 1492 si è scritto: “… tutti gli iscritti devono partecipare obbligatoriamente “per magnificenza et trionfo” ai Vespri e alle Processione della Schola pena multa di 10 soldi … anche chi bestemmia verrà soggetto alla stessa penalità ...” e nel dicembre 1596: “le figlie degli Zompi dopo due anni d’iscrizione dei loro padri alla Schola avranno in grazia 5 ducati per maritarsi …”

Ancora nel 1527 i fratelli Francesco e Leonardo Morosiniconfermarono alla Schola la donazione dell’Oratorietto effettuata dai loro antenati, a patto che i Zotti li riconoscessero come loro unici e perpetui protettori. In quell’occasione si ricostruì l’edificio come ricorda l'iscrizione posta sopra la porta d'ingresso:

“IN TEMPO DE GREGORIO DE LUBIANA e COMPAGNI MDXXVIII 

Col trascorrere degli anni, la Schola dei Povari Zotti entrò in possesso di otto caxette in Salizada di San Samuel dove costruì un suo Ospissio per ospitare "gratis et amori dei"i Zotti malati o in povertà. Ancora oggi in parete del civico 3154 si può notare fra secondo e terzo piano l’altorilievo del 1683 che raffigura “L’Annunciazione dei Zotti”con la soggiacente scritta:

“CASE DELLA SCOLA DE SAN[cta] ANV[nciata] DE POVERI ZOTTI A S ANGIELO RESTAV[rate] L’ANO MDCLXXXIII DEI BENI DI SCOLA”.

Edmondo Lundy Mercante Svizzero di Berna innamorato di Venezia descriveva sorpresissimo la Schola dei Zotti nel suo “Soggiorno a Venezia” del 1854: “… era il giorno 25 marzo, ed a caso di mattina passando per il Campo di Sant’Angelo onde recarmi a Santo Stefano dal Segretario Gratarol, vidi cosa che a prima giunta mi recò grande sorpresa. In quel campo stavano adunati più centinaia di zoppi, dei quali andavano molti girando su E giù per il campo, e molti sedevano sul terren o su seggiole. Il loro numero e le strane loro varietà non poterono fare a meno di eccitare il mio riso. Rimasi come incantato per qualche istante, non sapendo il perché di tale singolare adunanza. Ne cercai informazione e mi fu risposto che i Zoppi tutti fanno una Confraternita, e che in quel giorno 25 marzo questa si raccoglie in una piccola chiesetta intitolata all’Annunciazione posta in detto Campo ed in cui si fa solenne funzione. Ma siccome detto locale è troppo ristretto alla loro quantità, così i più sono forzati di rimanere sulla via. Mi fu poi aggiunto che in un dì del venturo mese, ciè in aprile, tutti i zoppi miserabili sono invitati a pranzo in Casa Contarini alla Carità, dove a tavola sono serviti dai Nobili Patrizi di quella famiglia …”

I Veneziani chiamavano confidenzialmente la Schola: “la ‘Nonsiàda dei Sòti” oppure “la Schola de’ Zoppètti”

E venne un’altra stagione terribile di Peste che interessò tutta Venezia e l’intera Laguna. Era quella che portò alla costruzione del Tempio del Redentore alla Giudecca, si era nel 1576. Nel Libro dei Morti della Contrada di Sant’Angelo si leggeva: “… Prima morte sospetta il 21 agosto e morti frequenti il 24-25-26 … l’Eccelenza Misser Hieronimo Summaripa, amalato de febre ed un tumor sotto la cerchia zanca et petecchie ... In notte, 27 ditto ... il die 29: … Andrea, fiol di Madonna Marietta santona, d’anni 26 in circa, amalato de febbe. In notta hieri … Virginia de Missier Piero de Grandi, d’anni 28 in circa, amalata da febre et un tumore sopra la cossa … Il die 30 dello stesso mese: … Perotto bastaso, amalato da febre et carboni (bubboni), de anni 40 in circa, et tumori… Sospetti: Isabetta Paliceria vedoa, d’anni 50 in circa, amalata de febre et petecchie negre …”

I numeri calarono nei mesi seguenti, ma ripresero a salire nei primi mesi dell’anno successivo quando a febbraio si andava a morire al Lazzaretto. Solo dall’aprile 1577 non si annotarono più altri casi di morte per Peste.

Alla Visita Apostolica del maggio 1581, la Contrada s’era ripresa bene: c’erano 2.397 abitanti. In chiesa c’erano: “… il Piovano, un Primo Prete e un Diacono titolati che percepivano 300 ducati annui più l’uso di una casa. Gravitavano inoltre intorno alla chiesa anche un Suddiacono e altri 19 Chierici che celebravano 17 Mansionerie percependo 287 ducati, e rimanendone altre 2 vacanti del valore di 30 ducati in attesa d’essere celebrate ... Nella stessa chiesa con 6 altari è ospitata e attiva la Schola di San Nicolò degli Spadari che esercita il mestiere nella vicina Spadaria ... Nell’Oratorio ci sono i Zotti Mendicanti dell’Annunziata e un’altra Compagnia di San Giuseppe deputata ad accompagnar giustiziati al patibolo ...” Il Visitatore Apostolico trovò da ridire perché quelli della Collegiata di Sant’Angelo tenevano in chiesa Reliquiepresunte “Sante” ma d’origine improbabile e non troppo documentata e sicura.

L’elenco ufficiale delle 11 Preziose Reliquie di Sant’Angelo recitava: “Pezzo della Colonna su cui fu torturato il Salvatore”, “Legno della Vera Croce”, “Parte delle funi che strinsero i Santi Martiri”, “Corpo di San Clemente Martire”, “Santo Osso di Sant’Andrea Apostolo, di San Verecondo e San Vittorio Martiri”, “Catena della prigionia dell’Apostolo”, “Teste di San Fedele, San Gordiano e San Restituto Martiri”… Anche Sant’Angelo era inserita nel “Circuito” che procurava ai Pellegrini di passaggio per Venezia di che occuparsi e celebrare circa la “Passio Cristi”… se fosse stato il caso anche senza doversi recare per forza fino a Roma, o giù a San Michele nel Gargano di Puglia, o oltremare fino in Terrasanta. A Venezia c’era di tutto circa Reliquie e Indulgenze… volendo ci si poteva fermare anche lì ottemperando al “Voto del Viaggio Santo” per poi tornarsene a casa propria “in Santa Pace”.

Nel 1587, il laico trentaduenne da Treviso: Johannse Brochinus quondam Hieronimi insegnava a “Lezer, scriver et abbaco” a 50 alunni tenendo da 2 anni Scuola Pubblica in Contrada di Sant’Angelo: “… insegno el “Salterio”, el “Donado”, “Fior de Virtù”, la “Dottrina Cristiana”, il “Marco Aurelio”, le “Epistole” et “Evangelii vulgari” ... Per contentar i humori dei padri ghe ne sono anche che portano a schuola libri de batagia, el Furioso et simil libri: io ghe insegno a satisfation dei padri …”.

Anche Francescus De Rubeis, Chierico di 43 anni, insegnava ormai da 20 anni a 4 alunni per volta: “… El “Donado”, la “Vita Cristiana” e “Fior de Virtù” et le “Epistole” et “Vangelii Vulgarii” …” nella sua consueta Scuola di Grammatica di Sant’Angelo.

Intanto dentro alla chiesa la Collegiata dei Preti teneva e aggiornava ininterrottamente dal 1564 fino al 1810 i Registri dei Battesimi, dei Matrimoni con i relativi Libri delle Stridee delle Contraddizioni, e i Libri dei Morti. Inoltre si compilavano, producevano, conservavano e riordinavano accuratamente documenti, pergamene, memorie, carte, mappe, atti, stampe, Catastici, inventari di Reliquie, rendite, mobili, opere d’Arte, cose e suppellettili di proprietà della chiesa e delle Schole, atti processuali e sentenze, cause per liti e controversie, e si conteggiava le “Intrade e le inside de la Fabrica della gesia de Sant'Anzolo” e gli “affari di chiesa”. Dal 1677 al 1797 su alcune carte e pergamene si segnavano le “Partite di Cecca” in cui la Collegiata aveva investito il proprio patrimonio, così come si elencavano gli affitti ricavati dagli “Stabili”, livelli, concessioni, permute, divisioni, affrancamenti, affittanze e le “Litti per stabili contro affittuali”,contratti, compravendite di case, terreni e botteghe effettuate dalla chiesa di Sant'Angelo, come ad esempio le carte relative alla vendita fatta per lire 3.600 al Comune di due botteghe presso il campanile in Campo Sant'Angelo ancora nel 1832-1838.

La Collegiata dei Preti inoltre registrava un’infinità di Scritture attinenti “alli testamenti di Zuanne Ferrante, e di Angela Ferrante Cortese” del 1587-1663, “della famiglia Dolfin, e cioè Pangrazio, Gerolamo, Giacomo e reverendissimo don Zorzi” del 1523-1895, oppure “Punti di testamenti”, Comissariecome quella di Pietro Beltrame drapier del 1603-1665, di  Paola da Lezze del 1604-1778, o del Reverendissimo Don Andrea Nicolini del 1679-1777 e del Reverendo Don Nicolò Pizzonidel1600, “Scritture relative all'eredità di Giacomo Santo” del 1423-1781, di Bortolo Bon, di Smeralda Pellizzer da Udine del 1583, “de Ser Alvise Dandolo”, o “de Ser Domenico Duodo”, delle “Nobildonne Laura Memo Marcellini” del sec. XVII, e della “Nobildonna Elisabetta Tiepolo Duodo” del 1678, “de Ser Piero Morosini” del 1453-1627, della “Nobildonna Morosina Zustinian” del 1452-1604, e di “Elisabetta Pellegrini Filippi” ancora nel 1873.

In altre parole la chiesa di Sant’Angelo possedeva la cartina tornasole di gran parte della vita e degli affari delle persone della Contrada e di molti Veneziani ... I Preti tenevano perfino il “Cathalogus Mansionariarum perpetuarum, seu obligationum Missarum in ecclesia Parochiali et Collegiata Sancti Angeli venetiarum, quarum habetur memoria ex cathasticis ecclesiae ...”

Dal 1604 al 1689 si litigò non poco a parole ma soprattutto con i fatti e in tribunale fra le Monache del Monastero di San Girolamo e i fratelli Luca, GioBatta e Antonio De Gasperi per la proprietà di “un forno con caxette site in Contrada di Sant’Angelo” proveniente dai beni del Monastero di Sant’Andrea dell’isola di Ammiana dietro Torcello (già scomparso e soppresso fin da metà 1400) le cui rendite furono concesse al San Girolamo che aveva subito i danni di un violento incendio.

Arrivò poi l’anno 1629 che fu memorabile in senso negativo, per non dire schifoso. In Contrada vivevano 2.099 persone, e a causa delle campagne militari rovinose della Serenissima lo Stato continuava ad imporre sempre nuove tasse, proclama dopo proclama: i Veneziani erano asfissiati e oppressi da sempre ulteriori balzelli e tributi.

In febbraio s’iniziò a chiedere: “1 soldo per lira a tutti Dazi esclusa la Gabella del Sale e a tutte le gravezze a vantaggio dell’Erario da pagarsi a cura di tutti gli abitanti del Dominio compreso quello da Mar” ... a marzo si ribadì di nuovo l’urgenza di aumentare le tasse: “per bisogni importantissimi, gravissimi e urgentissimi della Serenissima Repubblica”. Il Senato impose altre “2 decime” su tutta Venezia e il Dogado da pagarsi: “… una da patroni sopra livelli perpetui, stati, inviamenti de pistorie, magazeni, forni, poste da vin, banche di beccaria, traghetti, poste, palade, passi, molini, foli, sieghe, instrumenti da ferro, battirame. Moggi da carta ed altri, dadie, varchi che si affittano e si pesano, decime di biave, vini ed altre robbe, fornari, hosterie et ogn’altra entrata simile niuna eccentuata.” La seconda “tansa-decima” fu posta: “… sopra tutti i “livelli francabili” fondati su case, campi o altri beni in qual si voglia luoco, fati con chi si sia”.

Chi pagava entro aprile riceveva un abbuono del 10%, chi pagava più tardi un uguale aggravio.

E non fu tutto, perché 8 giorni dopo si aggiunse un ulteriore “prestito obbligatorio alla Repubblica” sotto forma di altre 2 decime e 2 tanse: “… da pagarsi in buona valuta o moneta corrente con il quinto de più, senza sconti né esenzioni, in agosto e febbraio da tutti coloro che a Venezia erano soggetti a gravezze.” (ossia: praticamente tutti).

Fu un’annata terribile, davvero tremenda, perché a fine giugno sempre lo stesso Senatofissò un termine perentorio di 15 giorni per denunciare ai 10 Savi alle Decime tutti i “livelli perpetui e francabili” ed ogni altra fonte di reddito e commetteva a Commissari Straordinari di reperire entro un mese in ogni modo denaro ricavandolo in tutto lo Stato apponendo decime alle campagne, testatico o simili seguendo la via più facile e veloce e proporzionata alle persone che dovevano pagare … Si stava, insomma, cercando di grattare il “fondo del barile di Venezia” già grattato, e di “mungere la vacca” ormai diventata magrissima da tempo. Venezia e i Veneziani: erano allo stremo.

In agosto lo Stato decise per l’esenzione dei poveri dall’imposta straordinaria e per chi a Venezia e nel Dogado pagava un affitto di casa fino a 20 ducati o affitto fra casa e bottega fino a 30 ducati in quanto il contributo sarebbe stato trascurabile per l’erario ma troppo gravoso per il debitore … In ottobre si prorogò fino al 10 novembre il termine per il pagamento delle decime, pena la consegna il 1 dicembre dei Libri Fiscali al Collegio che avrebbe provveduto ad imporre d’ufficio la tassa obbligatoria.

Non c’era scampo per nessuno … Tutta la gente di ogni ceto sociale della Contrada di Sant’Angelo, come l’intera schiera dei Veneziani non tiravano più il fiato, e non sapeva più a quale Santo rivolgersi e votarsi. Ovunque fremeva l’insoddisfazione, e premeva quell’onerosa e mai terminata pressione fiscale insostenibile. Venezia Serenissima esigeva … anzi: esigeva fortemente, senza risparmiare nessuno … neanche i soliti raccomandati che anche in Laguna non mancavano mai.

A poco valse che in Contrada per stemperare e rallegrare gli animi la Schola del Santissimo in maggio regalasse delle “Grazie”alle donzelle per maritarsi. Sapete come andò a finire, e quale fu la “risposta” a tutte queste scadenze oberanti, che azzerò ogni preoccupazione e dirottò ogni urgenza ? …  L’anno seguente giunse l’immane Peste che decimò l’intera popolazione di Venezia portandola al Voto del Tempio della Madonna della Salute.

Durante la Pestilenza la Serenissima decretò che ogni Piovano dovesse avere “il privilegio” di poter assistere gli appestati in mancanza di medici ... Figuratevi che contenti dovevano essere stati i Piovani !  

Era accaduto che alla fine di ottobre, proprio in Contrada dell’Anzolo, era apparsa la prima notizia della peste nella diagnosi del Medico Alberto Cerchiari: “Ho visitato io Alberto Cerchiari nel giorno di heri Madonna Anna, moglie di Misser Rodolfo detto Pestrinèr, inferma di febre acutissima, con lingua arida et alienationi di mente, onde ho giudicato che sia del numero delle pestilenti, se ben non ho veduto apparer alcuna cosa nell’estrinseco et, essendo morta questa notte, tanto più mi confermo in questo parere. Ho veduto anco nella stessa casa Simon figlio del detto Missier Rodolfo, con un tumor in una spalla, che li riferiva ancor sotto il brazzo, et un brusco nel petto, grame come un grossetto, ma di cattivo colore. L’ho stimato male contaggioso et così giudico che sia con mio giuramento.”

Nei giorni seguenti si fecero più frequenti le diagnosi per Morte dovuta a petecchie, così che nei Libri dei Morti s’iniziò da novembre e fino al marzo 1631 seguente, a segnare anche i “sospetti”, e i “sequestrati in contumacia casa”.

Sulla scia di quanto avvenne a livello pubblico e cittadino, l’anno stesso il nuovo Piovano Francesco Lazzaroni, dotto teologo e giurista, fece scolpire e apporre nella chiesa di Sant’Angelo un simulacro della Madonna della Salute dedicando la chiesa alla Vergine Lauretana della Salute oltre che al solito San Michele Arcangelo di sempre.

Ma compiuto questo “devoto e meritevole gesto” il Prete finì forse col “montarsi la testa” perché nel settembre 1640 la Signoria Serenissima dovette intervenire in quanto l’ex Piovano di Sant’Angelo divenuto Vicario Patriarcale pretendeva dopo aver impetrato e ottenuto dal Papa di Roma un apposito “Breve d’Indulgenza” di far cantare a tutti ogni sabato le Litanie davanti al nuovo altare della Vergine fatto edificare da lui stesso ... E quel che era peggio, aveva escluso dal “Lucràr Indulgenza” tutti i Preti che non la pensavano come lui, e lo ostacolavano in quella sua “nuova devozione imposta” giungendo fino a sospenderne qualcuno compreso un Chierico di San Marco, Basilica privata del Doge Serenissimo.

Nello stesso mese perfino gli altri Preti del Capitolo di Sant’Angelo e i Procuratori della Fabbrica di Sant’Angelo si dissociarono da quell’insano proposito, e presentarono una denuncia alla Signoria contro l’ex Piovano. Aveva introdotto quell’altare in chiesa con quelle devozioni e altre alterazioni contro la loro volontà e senza consultarli adeguatamente. E come sempre, dietro ogni forma di culto e devozione … c’erano anche dei significativi guadagni di mezzo.

Il Prete Lazzaroni ex Piovano di Sant’Angelo diventato nel frattempo Autorità Ecclesiastica, minimizzò la cosa e volle continuare per la sua “fortunata strada” imponendo ulteriormente le sue decisioni: “Sono solo indisciplinati disobbedienti …” spiegò, “invidiosi del successo di questa innovazione di cui dovranno farsene una ragione.” replicò ancora provocante.

La Signoria della Serenissimatuonò ! … “Il Patriarca con i suoi Canonici non devono permettersi di sospendere i Chierici della Basilica Ducale di San Marco appartenente al Doge !”… Non si doveva dimenticare chi comandava per davvero a Venezia … Venne perciò sospeso il decreto contro il Chierico di San Marco, e come effetto secondario avvenne anche che il Prete ex Piovano di sant’Angelo dovette caricare in barca il suo Simulacro della Vergine della Salute e trasportarlo con l’annessa Devozione e tutte le Indulgenze nella discosta isola di San Clemente dietro il Bacino di San Marco, e oltre l’Isola di San Giorgio Maggiore ... ossia ben fuori dal centro nevralgico di Venezia.

Per la devozione verso la Madonna della Salute Liberatrice di ogni Peste di Venezia c’era il nuovo Tempio del Voto appena voluto dalla Serenissima … Quello doveva più che bastare … Fosse chiaro per tutti !

 


Nel 1661 in Contrada di Sant’Angelo c’erano 16 botteghe (che crebbero progressivamente di numero fino a 28 nel 1712 e divenendo 77 nel 1740), fra cui la Pistoria di Sant’Anzolo che consumava: stara 5.030 di farina. (nel 1740 Zambattista Chiodettiera ancora Pistor a Sant’Angelo gestendo una casa-bottega con forno per la quale pagava 530 ducati annui d’affitto).

Nella stessa Contrada erano inoltre attive due Spezierie da Medicine molto rinomate: “La Montagna” in Campo Sant’Angelo, e la “San Vidal” in Calle Sant’Angelo ... In una laterale di Calle del Spezier esiste ancora oggi il Ramo e Corte dei Santi dove sembra ci sia stata un’antica fabbrica di immagini di Santi. Infatti nel 1514 abitava nella Contrada di Sant’Angelo: “Margarita relicta Cosmo de Modena la qual stampa sancti”, e il 10 dicembre 1621 morì nella stessa Parrocchia e Contrada un “Luca vendi Santi”.

Giunto il 1685 … e dagli con i lumini, i cesendelli, le lampade perpetue e le candele accesi giorno e notte in ogni angolo e sopra a mille tombe ! … La chiesa di Sant’Angelo prese fuoco ancora una volta nottetempo, e si dovette perciò restaurarla del tutto.

Arrivato il 1700 sempre nella chiesa di Sant’Angelo s’inaugurò il Sovvegno della Santissima Croce che coinvolgeva 100 uomini e 50 donne dando loro dopo 6 mesi di contribuzione: assistenza medica e medicine in caso di malattia con 6 lire settimanali per l’assistenza ... Era l’INPS della Contrada di allora … Si pagava una Benintrada d’iscrizione di lire 16 e 4 soldi versando in seguito una quota mensile di 1 lira, e altri 20 soldi ad “ogni Corpo” ossia alla Morte di ogni Confratello che si meritava tante Messe quante erano gli iscritti in quel momento. Non si riceveva assistenza in caso di “Morbo Gallico”(Sifilide) e di malattia senza febbre che doveva essere almeno “quartana”(ricorrente ogni quattro giorni) e riconosciuta dai Medici del Sovvegno con apposito certificato … Volendo si poteva ottenere a parte pagandola 2 ducati ai Frati di San Francesco della Vigna una speciale Indulgenza Plenaria di Assisiapplicabile anche a favore dei Morti ... (e ti pareva che dovesse mancare un supplemento del genere ? … ma i tempi funzionavano così).


In Calle della Madonnavicino al Ponte del Carmine a Sant’Angelo nel gennaio 1712 alle 4 ore di notte, venne ferito a morte Bartolomeo Dotti, mentre tornava a casa nella vicina Contrada di San Vidal da Ca' Fontana dove s’era recato a trascorrere la serata. Dotti era un Bresciano della Valcamonica famoso perché aveva continuato a satireggiare contro i Giudici nel Castello di Tortona mentre gli bruciavano le poesie ingiuriose e offensive. Condannato al carcere, trovò la maniera di fuggire attraversando a nuoto un torrente, e andò a rifugiarsi a Venezia dove militò sulle galee della Repubblica divenendo Cavaliere e ottenendo anche l’incarico di Nunzio o Console di Brescia a Venezia. Senonché, trascorsi altri vent’anni, i suoi stessi exploit satirici lo portarono di nuovo a cadere sotto i colpi dei suoi avversari ... e stavolta definitivamente e senza rimedio.

Il 7 giugno 1716 si ritrovò il cadavere di Regina Maggiotto vedova di Girolamo Carrara infilato dentro a uno dei due pozzi che c’erano in Campo Sant’Angelo. Era stata uccisa e poi gettata lì dentro dal Fiorentino Angelo Fiacchi che l’aveva derubata scappandosene poi via da Venezia e dintorni. Venne ovviamente condannato in contumacia al bando perpetuo da Venezia e da tutti suoi territori … Esattamente nel maggio di dieci anni dopo, il Nobile e Abate Scipione Varanoavendo redarguito dentro alla chiesa di Santo Stefano i fratelli Nobili Marcantonio e Alvise Badoer figli di Ser Marino perché scherzavano indecentemente in chiesa con una prostituta, venne assalito il giorno seguente dagli stessi individui nel vicino Campo Sant’Angelo ferendolo alla testa con armi e pietre. Va bene che erano Nobili e degni di rispetto … ma anche quello era pure lui Nobile, e per di più anche Abate. Era Nobile più Nobile degli altri … Perciò la Serenissima intervenne, e mise in carcere entrambi i fratelli Badoertenendoli dentro “in fresca e a sbollir idee e propositi” fino al 1729.

Cinque anni dopo, Agata Morelli cantante Romana e il Conte di Ferrara Carlo Bottazzi con uno stratagemma si “dichiararono sposi” contro la volontà del padre del Conte che a Ferrara negava di stilare la necessaria “Fede di libertà” indispensabile per maritarsi. I due attirarono il Piovano di Sant’Angelo una prima volta in casa della donna chiedendogli di andare a visitare un’inferma, ma prospettandogli quando comparve la loro volontà di sposarsi. Al rifiuto del Piovano, i due lo convocarono di nuovo con urgenza dichiarando che la donna incinta stava molto male e rischiava d’abortire e morire. Il Piovano allora accorse di nuovo, i due espressero il loro consenso davanti a validi testimoni presenti, e si ritrovarono perciò validamente maritati … Piovano consenziente.

Forse memori dell’ormai antico successo della coppia, di nuovo nel settembre 1758, Pietro Chiavellati figlio del Causidico Antonio e Cecilia Lazari di Michiel entrambi della Parrocchia di Sant’Angelo andarono non poco a inquietare il Piovano della Contrada perché si presentarono improvvisamente davanti a lui dichiarandosi “marito e moglie” in aperta opposizione al volere del padre della donna. Fu un gran casino … ma i due espressero una volontà giuridicamente valida che ebbe il suo peso.

Ancora nel 1754 si poteva leggere nei documenti della Fraterna dei Poveri di Sant’Angelo: “… i pro e le rendite dipendenti dai Legati Montano e Piolotti, lasciati alla Fraterna dei Poveri in Sant’Angelo, siano riscossi dal Piovano, consegnati ai Cassieri pro tempore, e dispensati dai Presidenti della stessa.”… Sempre nella stessa chiesa e Contrada, nel 1760 la Compagnia di Sant'Adriano dei Morti presente in Sant’Angelo aveva i suoi 33 iscritti regolari (come gli anni di Cristo) ... Venne soppressa nel 1785 insieme a tutte le altre omonime sparse in giro per Venezia.

Nell’aprile 1761, secondo lo “Specchio d'ordine delle Magistrature di Venezia”, in Calle degli Avvocatinella Contrada di Sant’Angelo risiedevano ben 5 Avvocati del Foro Veneto e Veneziano, e altri 20 abitavano ed esercitavano stabilmente nella stessa Contrada.  Nella stessa Calle degli Avvocati rimase attiva fino al 1821 (seppure trasposta a Padova nelle attività) la sede dell'Accademia dei Sibillonisti, istituita dal Notaio Ruggero Mondini, e composta da Accademici di varia natura che produceva sonetti “Sibilloni”, ossia ingegnosi e contestatari durante “giulive adunanze” in occasione dell’assedio di Venezia.

Quattro anni dopo, la Fraterna dei Sacerdoti di San Pietro residente in chiesa di Sant’Angelo, formata all’inizio da una trentina di Preti quasi tutti della cerchia della stessa Parrocchia, andò sempre più allargandosi raggiungendo più di 100 Preti iscritti. Ciascun Sacerdote versava 6 lire l’anno accettando di “curare” la festa dell’Apostolo loro Patrono ... Solo che alla fine pur raggranellando 200 lire l’anno, le spese delle uscite della Fraterna furono di 5.240 lire e 14 soldi superando quelle delle entrate di 4.401 lire e 17 soldi … perciò si chiuse bottega: “C’erano state troppe spese pagate ai Preti per Messe Solenni e Vespri in Musica senza tener debito conto dei bilanci ...”

Più modesta, meno interessata, e chissà ? … forse più sincera, era nel 1782 la Compagnia di San Luigi che era una Scholetta ad offerta libera ospitata in chiesa di Sant’Angelo con un bilancio annuale di sole 100 lire ... Stavolta con attento occhio ai bilanci, due anni dopo i Provveditori da Comun ordinarono ai Preti di Sant’Angelo d’unificare le Schole della Purificazione della Beata Vergine Maria detta "delle Candele"(fondata nel 1627) donandone gli argenti pesanti 55 marche alla Schola del Santissimo, con la Schola della Beata Vergine del Santo Rosario(fondata nel 1792) che possedeva una Mariegola di 26 pagine rilegata in velluto verde con decorazioni d’argento, e anche con la Schola di Sant’Antonioda Padova … tutte presenti e attive nella chiesa di Sant’Angelo … ma con pochi iscritti, debiti e scadenti bilanci.

L’origine della Schola di Sant’Antonio da Padova in Sant’Anzolo era stata curiosissima nel lontano aprile 1657.

Nell’agosto 1645 era accaduto proprio nella Contrada dell’Anzolo che un bambino cadesse in acqua annegandovi due ore prima del tramonto senza che nessuno se ne accorgesse. L’Avvocato Zaccaria Pontin saputa da una donna la notizia e senza conoscerne l’esito aveva promesso un dono a chi avesse riportato il bimbo sano e salvo a terra. Non immaginava minimamente che quel bimbo fosse suo figlio. Essendo rimasto in acqua da più di due ore, il fanciullo era ormai gonfio e privo di vita, perciò fu in quella circostanza che si supplicò Sant’Antonio da Padova perché riportasse in vita il bambino … cosa che avvenne poco dopo. L’Avvocato allora donò alla chiesa di Sant’Angelo un dipinto ex voto con Sant’Antonio che salvava miracolosamente suo figlio … e da lì nacque la devozione al Santo la cui organizzazione in Schola venne inizialmente respinta nel 1655 dal Consiglio dei Dieci perchè c’erano in Venezia già fin troppe Schole dedicate a quel Santo ... In realtà c’era stata l’opposizione esplicita della ben più famosa Schola di Sant’Antonio da Padova presente, attiva e ben avviata da molto tempo nella chiesa dei Frari.

Due anni dopo però, un Barbiere, unLibrer e due Marzeri della Contrada di Sant’Anzolo tornarono alla carica per lo stesso motivo con la Serenissima, e stavolta il Consiglio dei Dieci cedette autorizzando la nuova Schola che prese accordi tramite il Notaio Gregorio Bianconi col Capitolo di Sant’Anzolo ... La nuova Schola di Sant’Antonio da Padova perciò partì con le solite devozioni, la Mariegola, le Messe, le Esequie per i Morti, un nuovo altare, e l’immancabile Festa Patronale con la processione annuale il 13 giugno tutto intorno al Campo di Sant’Anzolo (un’altra ?). Il Nonzolo insieme a uno della “Banca”della stessa Schola passava instancabile a setaccio ogni martedì, bello o brutto tempo che fosse, tutta la Contrada chiedendo elemosine per la “Schola de San Toni” … anche perché il 25% di tutto quanto raccoglieva, come da Mariegola, gli spettava per diritto. Alla fine, nel 1783, la Schola possedeva un capitale di 1.200 ducati e parecchi argenti del peso complessivo di oltre 106 marche … (e il Nonzolo era diventato ricco ?) … Non era stato un caso se il Consiglio dei Dieci da un po’ di tempo aveva proibito esplicitamente che la Schola esercitasse in Contrada quelle sue questue così puntuali, insistenti e troppo invadenti.

E siamo verso la fine … Allo “scader della Repubblica”, in Contrada di Sant’Angelo vivevano 2.338 persone, e si contavano 937 persone abili al lavoro fra 14 e 60 anni, esclusi i Nobili che rappresentavano il 40% dei residenti in Contrada.

Nel novembre 1795, il Piovano Don Bortolo Fiorese andò a rivelare ai Magistrati che si era presentato nella casa-canonica uno strano “Abate forèsto” a raccontargli il caso dello sfratto di una giovane ballerina incinta amata da un Nobile Patrizio forse Pizzamano che voleva sposarla. L’Abate gli aveva proposto “pagandolo” di farli sposare segretamente contro la volontà paterna. Gli Inquisitori dopo essersi doverosamente informati … soprassedettero al caso: semplicemente tacendo senza pronunciarsi ... Ormai non era più affar loro perché i tempi, e non solo quelli, stavano cambiando del tutto … c’erano i Francesi “alle porte della Laguna”.

Infatti, giunto napoleòn a Venezia, anche il Piovan di Sant’Angelo venne associato agli “ostaggi-complici contrari al nuovo Regime” che vennero segregati nel Forte-Isola di San Giorgio Maggiore con l’accusa di congiura contro i Francesi.

Scorrendo i verbali della Visita del Patriarca Flangini alla chiesa Parrocchiale di Sant’Angelo e all’Oratorio privato in Casa Gabrieli del settembre 1803 si può ancora leggere: “In Contrada risultano vivere 4.000 abitanti aiutati da 3 levatrici. Risiedono lì anche diverse “pubbliche peccatrici” per le quali però non è necessaria l’assistenza del braccio secolare (?) ... La Fabbrica della chiesa possiede rendite in entrata per 1,214 ducati da affitto di 10 case e 10 botteghe, e in uscita per 9.093,12 lire di cui 217 pagate all’Organista,186 al Sacrestano, 200 spese per acquistare carbone, olio per le lampade, ostie e vino da Messa ... La stessa Fabbrica produce un debito di 2.479,13 lire che paga a rate a causa della morosità degli affittuari delle case che sono debitori di affitti per 8.000 lire … Il Piovano Don Luigi Angeli, possiede rendite per 746,5 ducati provenienti da affitti di 13 case, 1 bottega, e 1 magazzino. Spende per garantire il Culto, e per pagare la celebrazione di 3 Esequiali annui ed alcune Messe.

I 5 Preti titolati della Collegiata percepiscono: il 1 Prete: 165,5 ducati annui; il 2 Prete: 171,4 ducati annui; il 3 Prete 140,4 ducati annui; il Diacono: 123 ducati e il Suddiacono: 66,3 ducati annui.

In chiesa si celebrano: 4.374 Messe perpetue, 100 Esequiali, e 500 Messe Avventizie restando 2.370 Messe ordinate e pagate ma ancora da celebrare. Esistono inoltre 13 Mansionerie di Messe da celebrare con relative rendite, e ci sono 17 Sacerdoti ascritti alla Parrocchia fra cui alcuni Mansionari. Inoltre ci sono alcuni Chierici: “Boni putelli … seppur vivi, ma disciplinati” ... Nella stessa chiesa di Sant’Angelo si celebra Messa cantata ogni giorno e si predica a tutte le feste; si attua l’Esposizione del Santissimo con i Vespri solenni a tutte le domeniche e feste; durante la Settimana Santa ci celebrano le “Quarantore”; si praticano molte novene; l’illuminazione dell’altare di San Sebastiano nelle domeniche e nelle feste; si accendono ceri durante l’agonia dei parrocchiani; si passa per le elemosine con una “Cassella dei Morti” durante le Esequie e le Messe; si coltiva la Devozione alla Madonna e a San Luigi Gonzaga, e la Dottrina Cristiana per tutte le putte della Contrada …”

Quel verbale indirettamente segnava la fine di un’epoca … Nel dicembre 1807 la Parrocchia e Contrada di San Michele Arcangelo venne unificata con quella vicina di San Benetto… Alla fine del 1810 la chiesa di Sant’Angelo venne chiusa al culto e trasformata in magazzino ... Nell’ottobre 1816 si costituì la nuova Parrocchiale di Santo Stefano Protomartire affidata a Don Luigi Angeli(ex Piovano di Sant’Angelo) che annoverava e riuniva oltre alle sue 4.800 Anime, anche le 1.000 della Contrada e chiesa di San Vidal qualificata come: Succursale, le 750 e 1.900 delle Contrade e chiese di San Maurizio e San Samuel dichiarate: Oratori Sacramentali, e le 2.700 di San Michiel Arcangelo che stava per non esistere più.


L’anziano ex Piovano di Sant’Angelo si portò dietro “il salvabile”: ossia il vecchio Altare del Santissimo della chiesa di Sant’Angelo con le statue di Giulio Del Moro che andò a collocare sull’altare di Sant’Agostino in chiesa di Santo Stefano. Salvò anche dalla distruzione il prezioso Battistero anch’esso con una statua di Giulio Del Moro che pose nella Cappella Contarini sempre in Santo Stefano portato via per sempre ai Frati Agostiniani che erano stati cacciati.

 

L’antica Contrada di Sant’Anzolo di Venezia aveva cessato d’esistere: la chiesa venne demolita nel 1837 lasciando sul posto in cui sorgeva solo una lapide a memoria sul Campo spazioso coperto dai masègni oggi calpestati dai pochi Veneziani rimasti e dalla folla sempre straripante dei turisti spesso ignari e col naso all’insù ... In mezzo al Campo, pallido riflesso di quel che era stato un tempo, venne posto per un certo periodo il monumento all’Ingegnere Idraulico Pietro Paleocapa(Ministro della Repubblica nel 1848-1849) scolpito da Ferrari, ora collocato nei giardinetti Papadopoli accanto a Piazzale Roma.

Come in un ultimo squillo storico, nel 1870 si trasferirono in Corte dell’Alboro nella Contrada di Sant’Angelo le Orsoline(dal Doge Orseolo) che stavano in Campo San Gallo nei pressi di Piazza San Marco. Si attivarono 5 caxette per ospitare 6 vecchie poverepiù una sesta caxetta riservata al Priore.

Alla fine della fine … e stavolta termino per davvero … la vita dei Veneziani nella Contrada di Sant’Angelo continuò ugualmente e nella più normale delle quotidianità. In fondo, oltre ogni vicenda, persona e accadimento storico tutto continua ad accadere e procedere e “girare” ... Gira la “giostra del vivere” anche in quelle che sono state le antiche Contrade di Venezia, compresa quella di Sant’Angelo.

 


“Il Confinio di Santa Sofia e l’epopea dei Nobili Priuli.”

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#unacuriositàvenezianapervolta 211

“Il Confinio di Santa Sofia e l’epopea dei Nobili Priuli.”

Santa Sofia … “So fìa de chi ?” verrebbe subito da chiedersi in scherzoso dialetto Veneziano.

E’, invece, una domanda destinata a rimanere senza risposta perché la “Sophia”è un termine antico greco che più che un Santo o una Santa, sta ad indicare la “Saggezza, ossia la Sapienza”. Ecco quindi l’ennesima conferma che Venezia l’ha sempre “saputa lunga”, e che dietro a certe apparenze ha sempre posto attenzione e fatto spazio a contenuti importanti ... e anche alternativi.

Altri tempi di certo rispetto ad oggi ! … Adesso probabilmente non ci interesserebbe affatto un contenuto del genere. Ma allora è andata così, e anche a Venezia si parlò di Sophia, tanto da dedicarle non solo una chiesa, ma un’intera Contrada.

“Aghia Sophia” era la Divina Sapienza le cui figlie erano secondo la tradizione: Fede(Pìstis), Speranza(Elpìs) e Carità (Agàpe). La “Sophia”è quindi sempre stata per secoli, anzi millenni, l’anelito di tutto un mondo Orientale e Asiatico: la sintesi di ogni Filosofia e Letteratura, la domanda delle domande, un atteggiamento interiore, mentale e dello Spirito che ha sempre fatto dannare e cercare gli uomini e le donne di ogni tempo anche oltre il Bacino del Mediterraneo.

Sophia quindi indicò e spalancò tutto un mondo di significati e contenuti verso i quali i Veneziani hanno a lungo appetito portandoseli dietro e ospitandoli stabilmente nella nostra Laguna. Non era affatto un caso se nel cuore dell’Impero politico-commerciale di Costantinopoli o Istambul esisteva (c’è ancora oggi) quel mirabile tempio di “Aghia Sophia” espressione di tutto quel congegnare interiore … e se provate a frugare curiosamente un poco nel “microcosmo del pianeta Greco-Balcanico-Anatolico-Russo-Ortodosso” vedrete che di “Aghie Sophie” ne troverete tante … quasi a bizzeffe.

Venezia e i Veneziani non ci pensarono su due volte: si portarono a casa tutto.

La Sophia incarnata in figura di Santa e Titolo è quindi migrata e sbarcata a Venezia dall’area Bizzantina-Orientale a braccetto di altri nomi significativi e originali di Profeti e Santi che hanno dato il nome e tappezzato chiese, Monasteri e Contrade di Venezia: San Paterniàn, San Procolo o Provolo, San Teodoro, San Zaccaria, San Moisè, San Samuel, San Geremia, San Giobbe ... solo per citarne alcuni.

Al di là di queste considerazioni introduttive, possiamo già dire che Santa Sofia di Venezia corrisponde ancora oggi a una chiesetta e a una Contrada abbastanza nascosta e modesta rispetto a tante altre molto più grandi e significative. La chiesa “che quasi non c’è” sembra come un souvenir incastrato fra le case. Il Confinio di Santa Sofiaè posto nel cuore del Sestiere di Cannaregio, ed è la Contrada in cui sorgono la splendida e ricamata Ca’ d’Oro, il Palazzo dei Nobili Sagredo: (i Nobili conservatori di Segreti), ma anche il pratico Traghetto di Santa Sofia che quasi da sempre congiunge assiduamente le due sponde del Canal Grande fra Cannaregio e il Mercato-Emporio di Rialto. Quel tragitto è sempre stato come un’arteria vitale, un fluire obbligato avanti e indietro, un “de qua e de là dell’acqua”, di cui Venezia non ha mai saputo fare a meno.

Quella di Santa Sofia è stata una delle prime Contrade a sorgere certamente prima dell’anno 1000 come estensione funzionale del grande Emporio Realtino da una parte, e probabilmente come espansione oltre il Canal Grande in zona San Marcuola di un primo nucleo proveniente da San Giacomo dell’Orio o del Lupriodall’altra, che andò ad occupare una zona ancora fangosa e ricca di “Piscine”e grandi spazi liberi tutti da occupare, interrare, bonificare e quindi abitare.

Il Chronicon Altinate, Galliccioli, Corner e le Cronache Antiche “un po’ industriose” di Daniele Barbaro e Andrea Navagero(che in realtà antichissime non erano perché risalenti in gran parte al 1400-1500) riportano come già esistente la chiesetta di Santa Sofia intorno al 866, edificata forse da un certo Giorgio Trilimpolo, che in altri documenti successivi del 1020 è diventato: Giorgio Tribuno commissionato dalla Nobile famiglia dei Gussoni ... Poco cambia: a Venezia si usava sempre conferire alle chiese, Monasteri e Contrade un inizio prestigioso e Nobile. La verità era, invece, che non si sapeva bene com’erano andate le cose all’inizio ... perciò quel che non si conosceva un po’ lo si inventava attribuendosi così origini alquanto pompose.

Il primo documento certo che cita esplicitamente il Confinio di Santa Sofia di Veneziaè del 1111 quando a Costantinopoli i rappresentanti degli affari delle Monache di San Zaccaria di Venezia rogarono un atto notarile commerciale in cui comparivano due fratelli Giovanni e Federico Aurio “del Confinio di Santi Sophie di Venezia”… mentre nel successivo novembre 1140 in un “Atto de Securtà” redatto da Ugerio Abate di Sant’Ilario di Fusina e Vitale Cauco si nominò esplicitamente: “Antonius Presbiter Plebanus et Notarius ecclesiae Sancta Sophie” di Venezia.

In quell’epoca quindi esisteva già la Contrada con la sua prima chiesetta ad unica navata (forse ancora fatta in legname),con portico davanti e con all’interno due soli altari dedicati a Santa Sofia e alla Mia Donna (Madonna).

A conferma di quanto quella Santa Sofia Veneziana fosse già significativa in Laguna, nel 1199 il Vescovo di Castello o Olivolo a cui appartenevano due piccole isole di 16 ettari divise da un canale davanti al Porto del Lido, affidò quelle emergenze a Domenico Franco Prete della chiesa di Santa Sofia di Venezia, perché vi erigesse un Tempio e un Monastero Agostiniano in onore di Sant’Andrea Apostolo(ebbe così inizio la Storia dell’isola che in seguito si chiamerà Sant’Andrea della Certosa).

Nel secolo seguente i riferimenti circa il Confinio di Sancta Sophia di Veneziae i suoi Preti si fecero sempre più numerosi per non dire pressanti (almeno una trentina) soprattutto ad opera di Jacobus Lampardo Piovano e Notaio di Santa Sofia che ad esempio nel 1161 rogò l’atto con cui Enrico Dandolo Patriarca di Gradoe Ildebrando Cardinale aggiudicarono alcune case alla Parrocchia di San Salvador di Venezia.

Nel successivo novembre 1203, lo stesso Pre Jacobus Lambardus venne ancora citato come Plebanus, Presbiter e Notaio dei Preti di Santa Sofia: perciò si evince che lì doveva esserci già attiva da un bel pezzo una piccola Congrega-Collegiata di Pretiche fungeva da punto di riferimento religioso e commerciale per tutta la Contrada. Un paio di anni dopo, infatti, fu il Plebanus Petrus di Santa Sofiaa concedere ad Antonio Cartura un pezzo di terreno vicino alla chiesa di Santa Sofia per un canone annuo pagabile “nella terza feria dopo Pasqua”, ossia proprio nel giorno della festa di Santa Sophia.

In quella stessa epoca la Parrocchia di Santa Sofia era affiliata e dipendeva giuridicamente da tempo dalla chiesa Matrice della Purificazione di Maria, ossia Santa Maria Formosanel Sestiere di Castello o del Vescovo. Erano suffraganee alla stessa maniera le vicine chiese e Contrade dei Santi Apostoli, San Felice Prete e Martire, San Zuane  Crisostomo, San Zuane in Oleo o Novo, San Leone IX Papa (ossia San Lio), Santa Maria Assunta o Nova, Santa Marina Vergine e San Procolo o Provolo Vescovo.  In quegli anni la chiesetta di Santa Sofiadal punto di vista architettonico doveva essere un “classico” delle chiese Veneziane medio-piccole: era suddivisa da sei colonne in tre navate, e presentava arcate a tutto sesto nella navata centrale e nel Presbiterio con finestre semicircolari centinate ai lati, e una volta a crociera con cupoletta. Un altro piccolo bijoux veneziano insomma.

Nell’anno in cui Santa Sofia venne rifatta, ossia nel 1225, Rainerius Genodel Confinio di Santa Sophia di Venezia, presentava fidejussione per Ysembardus Radarolus da Verona per acquistare 4 miliaria di fichi diretti a Verona … e una ventina d’anni dopo il Vescovo Filippo di Ferrara investì “sine fidelitate” di metà del feudo di Villanova e Vigonza e delle rispettive decime Giovanni Michiel della Contrada di Santa Sofia di Venezia, che era Podestà di Torcello… mentre il Plebanus Stefanus di Santa Sofia nel 1245 fece da garante presso Pino Vescovo di Olivolo-Castello per il Confratello Giovanni Prete della Contrada di Santa Ternita per il pagamento di certe decime sulle rendite provenienti dalla chiesa di San Marco di Baruto che gestiva a Costantinopoli.

Pensate ! … Un Prete Veneziano del 1200 che gestiva a Venezia rendite e chiese di sua proprietà in Turchia.

I Preti di Santa Sofiaerano quindi dei gran “traffeghini” molto interessati e tanto impegnati e coinvolti negli affari e nei commerci dei Veneziani che si sancivano spesso a Rialto … Nell’aprile 1268, davanti ad Antonius Prete-Piovano-Notaio di Santa Sofia, Pietro Viaro del Confinio di San Maurizio vendette per 1.000 lire di Denari Veneti ad Agnese di Caristovedova di Ansuino del Confinio di San Geremia 3 mansi siti a Casièrdi Treviso … Fu ancora a Torcello dopo una lunga lite e vertenza, che Cristiano Abate di San Tommaso di Torcello e Frate Michele Soranzo Priore di Sant’Andrea di Ammiana locarono ad Agnese Badessa di Santa Margherita per annui lire 11 di Denari Veneti, un orto confinante con la via ed il Rio Comune ed il Monastero di Torcello appartenuto a Palma vedova di Marco Cappello abitante prima nel Confinio di Santa Maria Materdomini di Venezia, e poi nel Confinio di Sant’Andrea di Torcello. Sapete chi fu il Notaio di quella complessa transazione economica ? Il Notaio Matteo de Crescencio Piovano di Santa Sofiadi Venezia ovviamente, che in fatto d’affari era un intenditore e una garanzia.

Esattamente nel giugno di dieci anni dopo, e sempre a Rialto davanti al Notaio Stefano Mauro che era Piovano della Contrada di Santa Maria Materdomini: Giacomina moglie di Giacomo della Stoppadal Confinio di San Beneto nominò suoi esecutori testamentari il marito Giacomo e il nipote Mattia Prete a Santa Maria Formosa. Lasciò diversi legati in denaro e abiti di valore a diverse persone appartenenti alle Congregazioni di San Polo e di Rialto, ai Frati Francescani di Treviso, al Monastero di San Maffio di Costanziaco nei pressi di Torcello (a Benedetta Monaca di San Maffio lasciò l’usufrutto di una proprietà sita nel Confinio di San Maurizio), e ai Frati Minori di Venezia. Al nipote Leonardolasciò un terreno sito nel Confinio di Santa Sofia con obbligo di offrire ogni anno una libbra di olio per le lampade della chiesa della stessa Contrada … Ancora negli stessi anni, Antonius Plebanus et Notarius di Santa Sophia provvide alla sottoscrizione notarile di una permuta di proprietà fra il Monastero di Sant’Ilario di Fusina e l’Ospedale di San Giovanni Evangelista di Torcello… così come Gratianus Clericus Sancte Sophiae funse da testimone alla donazione di Giovanni Bianco a Bartolotta Giustiniana del vicino Monastero di Santa Caterina; e Crescenzi Plebanus et Notarius di Santa Sofia provvide a stilare l’atto con cui Natalina del fu Marco Vitali abitante nel Confinio di Santa Sofia donò in morte una casa divisa in tre parti offrendone una ai Chierici di Santa Sofia, una seconda ai Frati del Convento di Sant’Anna di Castello, e una terza a quelli di Santa Maria del Carmelo nel Sestiere di Dorsoduro.

Ancora nel 1300 i Preti Egidio e Avanzo di Santa Sofia erano considerati fra i Notai più valenti e di fiducia di Venezia. Proprio da Prè Egidius nel 1303 Ramperto Polo Vescovo di Castello-Olivolo pretese dai Preti di Santa Sofia il versamento annuale di tre lire come “tassa di Cattedrattico”, e impose inoltre ogni tre anni un invito a pranzo per se e tutta la sua corte e famiglia nel giorno della festa di Santa Sofia … o in alternativa un altro più comodo versamento di 3 lire di piccoli … Nel 1310, invece, Nicolaus Plebanus Sancte Sophiae che era anche Procuratore del Monastero di San Maffio di Mazzorbo, venne eletto Arciprete della Congregazione dei Preti di San Canciano(una delle più importanti, antiche e ricche di Venezia).

Nella Venezia in grande espansione e affermazione del 1342, quando Lucia della Contrada di Santa Sofiafaceva la “vendrìgola” ossia la “Rivendugliola di stràzzarie”, si costruì in Santa Sofia un terzo altare dedicato al BattistaJacobo SpadaPlebanus di Santa Sophia pagò in fiorini d’oro alla Camera Apostolica la tassa sui redditi del suo primo anno di Plebanato … Nello stesso anno Prè Marchesin Piovàn de Santa Sofia lasciò al Capitolodi detta chiesa diversi campi a Mars(c)òn e Gàs(i)o che poi vennero venduti. In Contrada accadde anche un fatto singolare: si tassarono tutti i Veneziani residenti nel Sestiere di Cannaregio fra l’area dov’era sito il Monastero delle Monache Agostiniane di Santa Lucia (l’attuale Stazione Ferroviaria) e la Contrada di San Giovanni Crisostomo parte limitrofa ma integrante l’Emporio Realtino.

Tale pagamento era motivato “dall’ampliamento della pubblica strada” fra la Contrada di San Bartolomeo di Rialtocol Fondaco dei Tedeschi e San Giovanni Crisostomo con abbattimento di alcune case e anche di un campanile. Tutti avrebbero beneficiato di quell’opportunità per spostarsi e commerciare meglio con Rialto, perciò la neonata Serenissima istituì dei “Commissari ad hoc” per ripartire le spese fra tutti tenendo conto di quanto ciascuno guadagnava: chi era più ricco pagava di più. Ogni residente della Contrade di San Giovanni Crisostomo e Santa Sofia che erano le più vicine a Rialto avrebbe pagato: 2 soldi e 6 denari per ogni valore di 1000 lire delle loro proprietà; chi abitava, invece, nelle Contrade di San Felice e San Marcuola avrebbe pagato solo 1 soldo e 6 denari; mentre chi risiedeva nelle più lontane Contrade di San Leonardo o Lunardo e Santa Lucia avrebbe versato solo 1 soldo. Solo quelli che abitavano la Contrada di San Bartolomeo accanto a Rialto: erano esentasse.

Nel 1370 Giovanni Priuli Capitano del Golfo residente in Contrada di Santa Sofia venne processato per aver rifiutato di consegnare ai Signori di Notte un tale Lombardinoche faceva parte dell’equipaggio della sua Galea commerciale. Dopo averne usufruito dei suoi servigi, aveva picchiato a morte una prostituta, e connivente il Priuli era fuggito via. Al Nobile Priuli venne imposta una multa di 300 lire di piccoli ... Nove anni dopo, al tempo del Doge Andrea Contarini e degli “Imprestidi allo Stato per la Guerra di Chioggia contro i Genovesi”, la Contrada di Santa Sofia nel suo insieme si distinse egregiamente fra le altre contribuendo efficacemente all’impresa Veneziana offrendo ben 72.000 lire. (la sua fu l’ottava migliore offerta di tutto il Sestiere di Cannaregio con le sue 12 Contrade, di cui la più ricca e generosa si dimostrò essere quella dei Santi Apostoli che offrì: 176.000 lire e 700).

Fra i contribuenti più significativi del Confinio di Santa Sofia ci furono 5 Nobilomeni e 2 Nobildonne sui quali primeggiò: Sèr Nicolò Grimani che offrì da solo 30.000 lire. Ci furono inoltre ben 16 contribuenti abbienti fra cui: Barbon Battioro che diede 500 lire, Francesco Rizzo di professione Varotèr che diede 300 lire, e Pantalòn che faceva il Partidòr che offrì altre 300 lire. Le famiglie Nobili un po’ tirchiotte ma predominanti all’epoca nella Contrada di Santa Sofia erano quelle dei Michiel di Santa Sofia Nobili di III° Classe, i Dolfin di Santa Sofia, i Basegio, gli Zen e i Renier. Sempre nella stessa Contrada abitarono i Nobili Giustiniani-Pesaro, i Salamon, i Finetti, gli Albrizzi, i Zanardi, i Grassi, i Perducci, i Trevisan di Santa Sofia Nobili di IV° Classe, i Benedetti, i Giusti-Miani-Coletti-Duodo, i Da Mosto, i Sagredo che avevano un palazzo appartenuto ai Morosini con una scala pomposa che scendeva fin in mezzo al Campo Santa Sofia, e i Foscari  “al Prà” che in seguito ospitarono nel loro palazzo sul Canal Grande Ambasciatori e Duchi fra cui il Marchese di Mantova(1520) e il Duca di Ferrara(1523) che quando entrò in Territorio Veneziano a Chioggia viaggiando in incognito venne oltraggiato dai Provveditori alla Sanità in quanto non s’era palesato. Insomma in Contrada di Santa Sofia risiedeva una bella rappresentanza, una buona fetta della Creme e dell’elite della Nobiltà Veneziana più prestigiosa.

E siamo così arrivati a parlare dell’Epopea dei Nobili Priuli con quella che fu quasi una vera e propria saga Veneziana. Non penso sia errato definire la Contrada di Santa Sofia come la Contrada dei Priuli perchè praticamente gran parte del Confinio finì progressivamente con l’appartenere a loro, e fu soggetto per secoli alle vicende e alle influenze della loro famiglia. I Nobili Priuli delle Erbe o di Santa Sofia erano presenti in Contrada fin dal 1297 col capostipite Beneto Priuli la cui famiglia veniva considerata da qualcuno discendente diretta di Attila. Era una gran balla, e i Veneziani lo sapevano bene, ma stava ad indicare l’intraprendenza di quella famiglia che fin dal 1310 venne ammessa al Maggior Consiglio oltre che per la ricchezza economica e l’intraprendenza commerciale, anche per essersi distinta a favore della Serenissima durante la famosa Congiura dei Baiamonte e Tiepolo.

I Nobili Priuli divennero un po’ i boss della Contrada di Santa Sofia, o meglio: i Nobili più prestigiosi e significativi. Sembra che: “Tutto a buon fin pensate !” sia stato il loro motto ... e che con i loro Rami familiari sparsi e accasati un po’ ovunque per tutta Venezia, facessero parte dei “Curti” ossia dei clan Nobiliari detti di “Casa Nuova o Ducali”.

Esistevano i Priuli degli Scarponi del Ramo di San Felice, i Priuli “Stazio” di Santa Sofia, c’erano poi i Priuli di Cannaregio che si distinguevano dai Priuli di San Polo detti “Grassi”, e dai Priuli “Gran Can”, dai Priuli “Bruolonghi de San Stae", dai Priuli de San Samuel, de San Giovanni Nòvo, de San Pantalon e de San Barnaba che abitavano in un palazzo chiamato anch’esso “Cà d‘Oro” per il suo splendore.

Fu un po’ strana l’epopea dei Priuli, un po’ double face, perché da una parte erano considerati una Famiglia superdevota e filoPapale, mentre dall’altra erano abituati ad attorniarsi di tutte le immagini, le simbologie, le figure e le vestigia di un mondo alternativo Pagano e Antico che esprimeva“tutt’altra Religio”. L’essere “de Cièsa”, ieri come oggi, si riduceva a un’opportunità utile al successo e alla carriera, un’identità spesso puramente di facciata. I Priuli, quindi, come molti altri Nobili non furono affatto stinchi di Santi né devoti bigotti, ma piuttosto dei grandi opportunisti. A tal riguardo basti notare e considerare le decorazioni dei loro palazzi e giardini dove amavano far inscenare dagli artisti quel che era il meglio del meglio della grande epoca culturale antica, mitica, e preCristiana piuttosto delle scene evangeliche che tappezzavano già a sufficienza chiese e Monasteri.

Comunque i Priuli, che sapevano mettere insieme doti favolose da 200.000-300.000 ducati per sposare qualche loro putta di famiglia, erano considerati dai Veneziani: “devotissimi e Cristianissimi”: sette figlie su otto nate da un unico matrimonio Priuli divennero “Monache di Famiglia”. Fra i Nobili i Priuli di Casa Nova erano considerati ed avevano fama d’essere: conservatori, filoRomani, filoCuriali ossia Papalisti … anche se le cronache veneziane raccontarono di un Michele Priuli che rapì una Monaca da uno dei Conventi di Murano, e si disse anche che i Priuli avversarono non poco Fra Paolo Sarpi non tanto per le sue concezioni Teologico-Politiche, ma perché affermava cose poco utili ai fini economici e sulla gestione dei benefici ecclesiastici di famiglia. 

I Priuli di San Felice di Cannaregio che possedevano un’azienda di legnami con capitale di 4.000 ducati, e una tenuta nel Polesine, comprarono per 24.000 Ducati dal Cardinale Pietro Aldobrandini il Palazzo dei Duchi di Ferrarache divenne dal 1621 il Fondaco dei Turchi ... I Priuli di San Stae, invece, abitavano in Campo San Polo ed erano proprietari d’immobili, botteghe, magazzini, appartamenti affittati, e di campi a Mira, Arquà sugli Euganei, e in Polesine che procuravano loro una rendita ufficiosa dichiarata al fisco di soli miseri 433 ducati annuali.  

Falsi come Pinocchio ! (che non era stato ancora inventato)… Era risaputo in tutta Venezia che i Priuli possedevano molto, tantissimo di più ... L’ho detto: godevano fama d’essere avidi e tirchiotti.

In ogni caso i Priulifurono una famiglia di Nobili Veneziani prestigiosissimi. Nel loro albero genealogico annoverarono una folla di Cavalieri, Procuratori di San Marco, Senatori, Abati, Vescovi, Cardinali, e ben tre Dogi: Lorenzo nel 1556, Girolamonel 1559, e Antonio nel 1618.

In Contrada di Santa Sofia si costruirono un Palazzo su un terreno che apparteneva prima ai Nobili Michiel fin dal 1360, ed era passato poi ai Nobili Muazzo nel 1537, che lo affittarono a Girolamo Priuli per 65 ducati annui. Alla fine gli convenne comprarselo ... e quello fu l’inizio dell’espansione dei Priuli in Contrada, perché nel 1592 Michele e Piero Priuli comprarono altre case e terreni della Contrada per poi affittarli, e continuarono così per secoli giungendo nel 1700 a possedere quasi tutta la Contrada di Santa Sofia arrivando a comprare fino in quella vicina dei Santi Apostoli.

Oltre a questo i Priuli investirono acquistando interi feudi nel Padovano e nel VeroneseZuan Francesco Priuli possedeva un’agenzia commerciale a Istanbul... la famiglia possedeva un carato della Galera Foscara che commerciava con l’Inghilterrae le Fiandredove i Priuli, che non esercitavano direttamente la Mercatura sul posto, facevano vendere: cera, spezie, cotone e panni, acquistando stagno e cuoio che venivano smerciati a Tunisie Messina, e in parte poi trasportati a Venezia… Dai Priuli venne edificato il Ponte della Priula a Susegana di Treviso sulla riva sinistra del Piave dove s’incontravano la Via Claudia Augusta Altinate diretta a Feltre e la Via Iulia Augusta proveniente da Mestre e diretta a Udine … Così come furono sempre i Priuli ad occuparsi a nome della Serenissima delle frodi che da tempo si riscontravano nell’Arte della Seta di Venezia.

Nel 1334 Giacomo Priuli ottenne l’appalto di una delle Galèe di Mercato per Cipro divenendo Comandante di Galèa anche nei due anni successivi. Esordi in politica due anni dopo venendo eletto fra i Tre Savi deputati a esaminare i contrasti insorti tra gli abitanti delle isole di Arbe e Veglia sul Quarnaro. Nel 1337 come Savio agli Ordini propose alla Serenissima senza essere ascoltato misure di tutela della “Muda di Cipro” che partì ugualmente. Era nato a Venezia all’inizio del 1300 da Nicolò della Contrada di Santa Ternita nel Sestiere di Castello, e ben presto entrò dentro ai grandi giri e manovre della politica Veneziana che contava. Nel 1339 venne inviato in missione a Ferrara per rivedere i patti fra le due città, e due anni dopo partì per la Dalmazia per dirimere contrasti e violenze sorte a Zara e Capodistria, e nelle isole di Pago e Arbe ... e poi ancora: Ambasciatore presso Mastino della Scala; Capo della Quarantia(1349 e 1366);Rettore a Candia(1351-1352);Console dei Mercanti(1354);Consiglio dei Dieci(1355). Nel 1362 rifiutò la Podestaria di Torcello per assumere due giorni dopo l’incarico di Ufficiale al Cattaver; partecipò alla Commissione per regolare i rapporti col Clero Veneziano (1363), fu Provveditore da Comun(1364 e 1370)deliberando l’armo di quattro Galee per Cipro; rifiutò la Podestaria di Asolo per fare il Savio agli Ordini (1365-1366); e fu anche Consigliere Ducale nel 1367.

Questo per farvi intendere quanto valeva e di quanto era capace un Priuli ... e non vi ho detto ancora tutto: nel 1371 ottenne dal Senato il permesso di riportare a Venezia, esenti da dazio, certe sue merci rimaste invendute a Maiorca e a Cipro; frequentò Commissioni e Zonte per traffici connessi col Levante (1370-1376), curò i rapporti col Sultano d’Egitto e questioni concernenti la Siria e i dazi di Creta e Cipro(1371); gestì i viaggi del convoglio delle Galèe per Alessandria(1371); delle Galèe per Beyrut(1374), e di quelle per Costantinopoli e Trebisonda (1376).

Dal 1372 fu chiamato a interessarsi anche di questioni concernenti la Terraferma e i confini col Padovanoe laPatria del  Friuli; fu Ambasciatore in Ungheria con Zaccaria Contarini per trattare la pace (1373); Podestà a Treviso (1374), Podestà a Chioggia (1376); Ambasciatore presso Ludovico Re d’Ungheria per contrasti sul Feltrino (1377 e 1379), e col nipote Carlo di Durazzo e Francesco il Vecchio da Carrara a Sacile per staccarli senza esito dalla Lega Antivenezianadurante la Guerra di Chioggia. Morì nel 1379 dopo questo lungo e intenso tour de force di carriere precisando nel testamento che era andato ad abitare nel Confinio di San Giovanni Crisostomo per essere più vicino a Rialto, e che era assai ricco (venne allibrato nell’Estimo del 1379 per ducati 12.000). Fra i molti lasciti ed elemosine che previde nel suo testamento, ordinò anche la costruzione di un altare in onore di San Giacomo nella chiesa di San Felice destinandovi molte rendite di un’apposita Commissaria.

Questo era un Priuli !

Quanto valeva un uomo così per Venezia e i Veneziani ? … e quale opportunità era per quelli della Contrada di Santa Sofia vivere accanto a un Priuli, o aver a che fare con qualcuno di loro ?

Marco Priuli attivissimo con i Priuli di Santa Sofia, invece, era nato a Venezia da Nicolò di Marco nella Contrada di Santa Ternita da dove si trasferì in quella di San Zan Degolà alla fine del 1200. Consigliere Ducale fin dal 1338, nel febbraio 1345 gli fu concesso il permesso di rientrare a Venezia dal Rettorato di Serravalle per occuparsi di suo padre ammalato. Negli anni seguenti occupò numerosissime commissioni e cariche di Stato della Serenissima: almeno una trentina. Rimase sempre attivo in campo mercantile e commerciale: una sua nave subì gravi danni e perdite a Cipronel mese di novembre nel 1366, ma l’anno seguente inviò ugualmente mercanzie in Fiandra come niente fosse accaduto; due anni dopo risultò coinvolto in un sequestro patito da Mercanti veneziani; e nel 1371 poco prima di morire a Venezia ordinò di vendere certi prodotti che gli erano giunti da Alessandria d’Egitto… Si occupò a nome della Serenissima dei feudi e dei Fondaci a Cretae in Siria; offrì consigli all’Arsenale su come armare le navi dei convogli mercantili rafforzandole con un numero adeguato di Balestrieri, e su come organizzare efficacemente il commercio con le Fiandre e il Levante; dispose provvedimenti in favore dei luoghi in Dalmazia, Istria e Trevigiano che avevano subito danni più gravi a causa della guerra contro Ludovico re d’Ungheria; si occupò delle vertenze fra il Vescovo di Ceneda e il Vescovo di Olivolo-Castello di Venezia per le Decime sui Morti; propose non ascoltato di costruire un Forte a Mestre per difendere la Laguna da Francesco da Carrara; si occupò dei “facti sancti Ilarii”(di Fusina) nel territorio conteso a sud di Oriago; dei confini di Chioggia e Valmareno; di Creta e dell’Istria, e della cessione dell’Isola di Tenedo; e dei rapporti col Sultano d’Egitto e del rafforzamento delle difese di Motta di Piave.

In altre parole: anche questo Nobile Priuli fu un altro “grosso calibro” utilissimo per le sorti dell’intera Serenissima.

Non esistevano però soltanto i Nobili e i Priuli in Contrada di Santa Sofia: il volto del Confinio veniva espresso in Calle del Cristo col suo originale Capitello in legno, nel Sottoportego del Tagiapiera e in quello dei Preti, nella Calle dell’Oca e in Calle Corrente… così come nelle calli e luoghi che rivelavano le attività artigianali che interessavano quel piccolo microcosmo quasi autosufficiente della Contrada.

Calle del Pestrin, Calle del Frutarol, Calle delle Vele, Corte dello Squero Vecio, Calle de la Pègola, Calle dei Pali o dei Testori sono toponimi rivelatori di presenze intense vissute … e poi c’erano le Corti e le aree tipiche dove s’assiepavano a vivere quelli della Contrada: Ruga Do Pozzi, Rio dell’Acqua Dolce, Calle dei Zotti e Calle e Rio de la Racchetta.

Nel 1397 Lorenzo Maccaruffo legò in perpetuo al Capitolo dei Preti di Santa Sofia le rendite di 2 mansi con bosco a Zero  chiedendo in cambio una Messa quotidiana e un Esequie annuale per se e per sua madre … e nel 1406 la Nobile Famiglia Sandei pagò di tasca propria la costruzione di un quarto altare in Santa Sofia dedicato a Sant’Osvaldo collocandolo accanto all’Altare Maggiore ... il celebre pittore Gentile da Fabriano che abitava proprio in Contrada di Santa Sofia a Venezia ed era amico di Jacopo Bellini(che per questo forse diede nome Gentile a uno dei suoi figli) dipinse per la chiesa di Santa Sofia una pala per un altro nuovo altare dedicato a Sant’Antonio Abate ... pagato ancora una volta dai Nobili Sandei.

Nel 1414 Giovanni Priuli s’imbarcò nella Squadra Navale Veneziana che operò nell’Adriatico contro Sigismondo Re d’Ungheria, e l’anno seguente comandò la Galea Veneziana che condusse a Napoli Giacomo di Borbone-La Marche per sposarsi con la Regina Giovanna II. Come gli uomini illustri del Casato Priuli fin dal 1420 occupò e rifiutò almeno una ventina di cariche importantissime dello Stato dedicandosi alla guerra, alla condanna a morte di Francesco Bussone detto il Carmagnola, al processo contro Alvise Correr e Pietro Morosini per un’Assicurazione Marittima, e giudicò Jacopo Foscari figlio del Doge esiliandolo prima nel Peloponneso, e commutandogli poi l’esilio riportandolo nel Trevigiano.

Era nato nel 1384 in Contrada di San Felice a Venezia da Costantino di Lorenzo e da una figlia di Giacomo Loredan di Bartolomeo, e aveva trascorso l’intera giovinezza esercitando la Mercatura nei Fondaci Siriaci curando gli affari di famiglia. Nel 1414 sposò Maria Donà di Nicolò, cugina di Andrea Donà futuro cognato del Doge Foscari, e si trasferì in Contrada di San Severo poco distante da San Marco e dal Palazzo Ducale dove suo padre aveva appena acquistato una grande casa che divenne la residenza dei Priuli del Ramo di San Severo. Morì a Venezia nel dicembre 1456 lasciando quattro figli maschi e una femmina, fra cui Francesco Priuli che sarebbe divenuto Capitano Generale da Mar ... Venne sepolto nel chiostro di Sant’Andrea della Certosa di Venezia (che oggi non esiste più):“Lodato ed esaltato per l’onestà e la purezza dei costumi”. Fu insomma un’altra carriera politica senza respiro, sempre ai vertici più alti del governo della Serenissima dalla quale ottenne molto ma alla quale offrì tantissimo. 

Intanto nel febbraio 1416 sempre in Parrocchia e Contrada di Santa Sofia dov’era stato confinato da 6 mesi con parte dei suoi libri, era morto Giacomo Vescovo di Treviso. Era un uomo di Chiesa che s’era indebitato fino al collo per aver partecipato per 9 mesi al Concilio di Costanza, e per aver poi soggiornato a lungo a Venezia … senza mai pagare.

Un mese prima di morire, trovandosi in disaccordo col suo Clero e Capitolo di Treviso che non lo voleva più “foraggiare di denari”,chiese dei prestiti a Venezia impegnando alcuni beni della stessa Mensa Vescovile di Treviso (ossia della Chiesa e Diocesi di Treviso). Dopo la sua morte i suoi libri vennero venduti all’incanto, e con i 100 ducati ricavati si pagarono dei nuovi paramenti per la Sacrestia di Treviso rimborsandone almeno intenzionalmente il Capitoloche era stato a lungo “spremuto e privato delle sue rendite”. Poi si presentarono gli Ufficiali alle Cazzude della Serenissimache tentarono a lungo di saldare i crediti lasciati in sospeso dal Vescovo defunto. Fra i creditori che esigevano rimborso c’erano: Giovanni De Palena che chiedeva 207 ducati (era stato per 6 anni Vicario Generale dello stesso Vescovo senza percepire neanche un soldo); il suo segretario: Prè Bonaventura da Ceneda che pretendeva almeno 92 ducati; e donna Antonia che chiedeva 7 ducati in quando il suo defunto marito Bertonis De Cumis da Treviso era stato per anni coppiere e domestico dello stesso Vescovo ... ma senza incassare niente.

In quei tempi non so quanto in verità importasse ancora ai Preti della Collegiata e Capitolo di Santa Sofia del Sapere, della Verità e della Conoscenza, ossia della Sofia-Sapienzache aveva dato inizialmente nome e titolo alla Contrada e alla loro chiesa. Forse ben poco o niente, perché si lamentavano che quello di Santa Sofia (che pur possedeva un buon numero di rendite e di Mansionerie di Messe) era un piccolo beneficio economico ecclesiastico troppo piccolo, forse uno fra i più poveri, meno ambiti e poco redditizi dell’intera Venezia. I Preti Veneziani “di spessore” non amavano molto divenire Preti della Collegiata di Santa Sofia. Infatti, intorno agli anni venti del 1400, venne a vivere in Contrada e chiesa di Santa Sofia il Prete-Piovano Pietro Negro: “un numero d’uomo … matto come un cavallo” ... Nei documenti dell'Avogaria da Comun si legge che venne esonerato nel 1436 dall’incarico di Pubblico Notaio perché rogò e pubblicò un testamento in cui una certa Cristina de Sana lasciava a Francesco Rizzotto Piovano di Santa Maria Nuova tutte le sue facoltà: era un falso !  … a redigere il quale la povera vecchia era stata indotta.

Come non bastasse, lo stesso Piovano Negro era famoso in giro per tutta Venezia perchè faceva pagare i funerali dei suoi parrocchiani a 3 ducati invece dei soliti 3 soldi per pagarsi così i numerosi debiti di gioco di cui era fanatico.

E non è ancora tutto: un suo figlio naturale: Antonio, avuto da una relazione con una donna della Contrada, faceva il “Cultrarius”, ed era, come si diceva spesso anche a Venezia: “talis pater talis filius”in quanto aveva messo incinta Catterina Bedotolo Badessa del Convento dell’isola di San Giacomo di Paludo poco distante da Murano. La Serenissima lo condannò a due anni carcere dal quale però fuggì l’anno seguente finendo bandito da Venezia e da tutti i Territori del Dominio Veneto ... pena la morte se fosse stato catturato.

Nel 1441 Francesco Priuli si trovava ancora “in partibus Syriae” rimanendo a lungo lontano da Venezia dove tornò solo a trentun anni dopo l’elezione del padre come Procuratore di San Marco de Citra. Era nato a Venezia nel 1423 da Giovanni di Costantino e da Maria Donà di Nicolò, e ancora nel 1479 si occupava di merci sequestrate ai suoi agenti di Damasco. Sposata Contarina Contarini figlia del Procuratore Federico di Bertucci, da cui ebbe cinque maschi e altrettante femmine, entrò tra i Pregadi, poi venne eletto all’Ufficio dei Cinque Savi alla Pace, fu Avogador da Comun(1475 e 1480); Provveditore al Sale(1476); e Savio di Terraferma(1479 - 1482 e 1483) al tempo della difficile e dispendiosa Guerra del Polesine che diede a Venezia il territorio di Rovigo, ma non il controllo sul Po.

Negli stessi anni per non farsi mancare niente fu anche Savio del Consiglio e Consigliere Dogale per il Sestiere di Castello, Capitano Generale da Mar quando Bayezid Sultano Ottomano allestì una squadra navale per muovere contro l’Egitto chiedendo a Venezia la concessione di un porto di Cipro Protettorato della Repubblicadove regnava Caterina Cornaro. Il Senato Veneziano temeva allo stesso modo sia le mire espansionistiche degli Ottomani, che quelle di Ferdinando Re di Napoli che intendeva impadronirsi dell’isola.

Lo storico Marin Sanudodei Diari scriveva in quei giorni: “…perché se intendeva el Turcho feva armada, et etiam re Fernando, per dubito di l’isola di Cypri fu terminato etiam nui far grossa armada, et preso far Capetanio General di Mar. Et cussì … fo electo Francesco di Prioli, Savio dil Conseio … El qual aceptò e andò”.

Nell’aprile 1487, infatti, Franceco Priuli sbarcò a Cipro con 500 Stradioti (mercenari Dalmati, Greci e Albanesi ortodossi che formavano unità militari di cavalleria della Repubblica di Venezia e del Regno di Napoli) per rafforzare le difese di Cerines e Famagosta; mentre il Consiglio dei Dieci inviò a Costantinopoli Giovanni Dario per dissuadere i Turchi dall’impossessarsi dell’isola. Priuli in seguito lasciò Cipro svernando a Corfù, e incrociava con le sue navi nel Mare Egeo presso Adana e Tarso quando nel maggio seguente la squadra di 84 navi Turche venne sconfitta dai Mamelucchi d’Egitto. Il Senatoallora gli ordinò di recarsi a Cipro con tredici Galèe, e vi giunse giusto in tempo per bloccare il tentativo di far sposare la Regina Cornaro con Alfonso d’Aragona figlio di Re Ferdinandodi Napoli. Francesco Priuli arrestò Rizzo de Marino e Tristano Giblet organizzatori del complotto inviandoli a Venezia, e a metà marzo 1489 Caterina Corner abdicò a favore di Venezia lasciando Francesco Priuli come Bailo di Cipro: “… né vi è memoria che ritornasse più a Venezia, essendo mancato in quelle parti …”

In seguito però a Venezia si scrisse: “… fu preso che Sier Francesco di Priuli Capetanio Zeneral da Mar vengi a disarmar, et cussì vene”. Morì infatti a Venezia nel 1491 venendo seppellito a Sant’Andrea della Certosa.

Nella stessa epoca un altro Priuli: Pietro,fece una “gran chiassata” nel 1442 con altri giovani Patrizi Veneziani che vennero esclusi da Palazzo Ducale per sei mesi. “Fatto giudizio”, sposò Elisabetta Vendramin figlia di Luca, fratello del futuro Doge AndreaVendramincon la quale “si diede molto da fare”mettendo al mondo ben dodici figli. Poi riprese l’attività della Mercatura in Levante che aveva già praticato a lungo in giovinezza apparendo ad Alessandria d’Egitto come testimone di procure, malleverie e numerosi contratti mercantili.

Era nato a Venezia nel 1420 da Lorenzo di Costantino e da Chiara Tron di Luca, e tornato a Venezia nel 1450 inanellò e intraprese o rifiutò come di solito facevano i Priuli una lunga serie di prestigiosi incarichi di Stato continuando a dedicarsi ai commerci. Solo nell’agosto 1482 venne eletto Procuratore de Supra, incarico secondario solo al titolo Dogale, e spostò così la sua residenza dalla Contrada di Santa Foscaalle Procuratie di Piazza San Marco. Più tardi divenne Provveditore sul Campocombattendo gli Estensi insieme a Marcantonio Morosini, edificò un fortino a Lagoscuro per proteggere il transito sul Po, e giunse ad assediare Ferrara. Fu quello un capitolo tristo delle guerre della Serenissima perché i soldati Veneziani si trovarono a combattere in ambienti malsani e paludosi che causarono molte malattie e morti, inducendo lo stesso Pietro a rientrare a Venezia come racconta il solito Marin Sanudo: “… amalato di dolor colici, havé licentia di vegnir a repatriar, et poi che fu venuto, referì al Senato di quelle cosse dil campo, et introe Savio del Consiglio, dove era stà electo”.

Negli anni seguenti, mentre nel 1469 “Daniele Priuli pacificò i Triestini coi Giustinopolitani, e assalse Rodi, e di non poco danaro sussidiò lo stato nella guerra di Negroponte …”, Pietro Priuli si occupò di frodi daziarie come Savio della Serenissima; reperì risorse finanziarie e fiscali per la guerra; attuò restrizioni dell’abbigliamento femminile delle Veneziane; obbligò Artigiani, Rettori e Magistrati a decurtarsi lo stipendio; e si dedicò alla correzione della Promissione Ducale per i Dogi Marco e Agostino Barbarigo con i quali era imparentato. Morì nel dicembre 1492 venendo sepolto a San Michele di Murano dove aveva speso e investito tantissimo realizzando la Cappella della Croce ideata da Mauro Codussi.

Nel 1461, intanto, era stato il turno di un altro Prete di Santa Sofia a salire all’onore delle cronache Veneziane: si trattava di Prè Vito Pugliese che venne condannato al carcere a vita per aver violentato e avuto una storiaccia infame insieme a Lucia moglie di un Agostino Lanaiolo da Feltre. Fu la stessa donna a denunciarlo e smascherarlo … ma solo perché non le aveva dato i soldi che avevano pattuito. Un anno dopo su intercessione del Principe di Taranto la pena comminata al Prete venne commutata in Bando Perpetuo.

Nel 1470 Antonio Priuli venne inviato come Ambasciatore a Firenze: “… è stà manda a Fiorenza, per haver qualche aiuto da quella Comunità contra ’l Turco”; e come Savio di Terraferma nell’agosto di due anni dopo partecipò a una vertenza con alcuni Mercanti Catalani che reclamavano per dei danni subiti da una loro nave ad opera di una Galea veneziana. Era nato a Venezia nel 1418, primogenito di Lorenzo di Costantino del Ramo dei Priuli “dal Capuzzo” di Cannaregio e di Chiara Tron di Luca, e in gioventù aveva esercitato a lungo la Mercatura partecipando alla Muda di Barbaria(1441); beneficiando di una procura in Alessandria d’Egitto per riscuotere a Rialto un credito per conto di Giovanni Dolfin(1448); e fu Capitano delle Galèe della Muda per Aigues-Mortes.

Tornato a Venezia sposò prima Elena Contarini, e poi Maria Foscari ricoprendo a sua volta numerosissime cariche di Stato come era uso di famiglia: Quarantia(1448-1451); Visdomino al Fondaco dei Tedeschi; tra i Cinque Tesorieri Nuovi al Fisco(1452); Savio agli Ordini(1453-54); Savio di Terraferma(1457, 1464, 1469 e 1471-75); Ambasciatore presso il Duca Stefano di San Saba per provare a sottrarre la Bosnia dall’asservimento ai Turchi (1463); e Camera degli Imprestidi nel 1464. Due anni dopo come d’abitudine di famiglia rifiutò l’incarico d’Ambasciatore in Ungheria per cui venne spedito come Podestà a Chioggia(1467); riacquistata la stima della Serenissima, venne inviato come Ambasciatore presso l’Imperatore Federico III; poi rifiutò di nuovo l’incarico d’Ambasciatore Ordinario a Romae anche quello a Napoli (1469) dove fu costretto ad andare lo stesso con Zaccaria Barbaro per cercare aiuti contro i Turchi (1471).

Tornato ancora una volta a Venezia, entrò nella Zonta del Consiglio dei Dieci(1473), rifiutò ancora un’Ambasceria a Firenze (1474), fu Savio sopra i Dazi e Avogador da Comun(1475); come Savio del Consigliopropose la costruzione di una fortezza antiottomana a Gradisca sull’Isonzo(1478); e morì attorno al 1480 lasciando la sua inconsolabile vedova che tre anni dopo si risposò felicemente con Pietro Corner.

La Contrada di Santa Sofia, intanto, continuava a vivere la sua storia. Non erano tutti mascalzoni e inetti i Preti di Santa Sofia: fra loro nel 1464 c’era anche Prè Pietro Bianco di origine tedesca, che era abile organaro e costruttore di diversi strumenti istallati soprattutto nelle chiese della Terra del Friuli (San Daniele, Gemona, Udine, Tolmezzo)...

Nel 1471 Tommaso De Thomeis, Sancte Sophiae Plebanus, Notarius, Vicario della chiesa Dogale di San Marco e Cancelliere Ducale rogò il testamento del Doge Cristoforo Moro… in seguito Prè Giovanni Del Lago fu Letterato e Giurista, come lo fu Prè Francesco Speranza… Nel 1488: Luca Tron Provveditore da Comun propose al Maggior Consiglio di costruire due ponti sul Canal Grande: uno che congiungesse Santa Sofia col Mercato di Rialtoe uno San Vidal con la Carità: gli risero tutti dietro spiegandogli che esisteva già dal 1342 e funzionava egregiamente l’efficientissimo Traghetto di San Giovanni Battista a Santa Sofia della Ca' d'Oro(uno dei più antichi di Venezia). Era più che sufficiente quello gli risposero.

Nel 1483, Marin Sanudo scrisse e raccontò nel suo “Itinerario per la Terraferma Veneziana”circa le residenze dei Nobili Muazzo a Bassano, e di quelle dei Cappello dal Banco. Riferì inoltre che i Veneziani erano nomi importanti presenti fra quelli dell’Arte Molinatoria e del Commercio dei Legnami, e che alcuni Patrizi come i Pizzamano, i Morosini, i Cappello, i Belegno e i Priuli erano concessionari di porzioni della “Campanea del Comune” irrigata dalla Roggia Rosà che usciva dal Brenta, derivata dai beni appartenuti un tempo ai Carraresi e ai Visconti ... Dal 1492 al 1498 Girolamo Priuli fu presente a Londra come commerciante rimanendone ammaliato. Tornato a Venezia iniziò a scrivere un suo Diario Segreto nel quale esternò aspre critiche al Governo della Serenissima, ai Nobili e alle Istituzioni Veneziane, precisando che i Conventi di Venezia troppo libertini dovevano essere tutti bruciati con le Monache dentro.

All’inizio del 1500 il Capitolo dei Preti di Santa Sofia possedeva diverse case in Venezia: “… quatuor domos in Judaica (Giudecca)… domini obligatam domini Francisci Foscari positam apud nostrum traiectum … domum obligatam positam apud porticum ipsius ecclesiae in qua habitat pomarius sive venditor fructum …” e anche alcuni campi in Terraferma presso Zero e Martellago: “… duas possesiones in villa Zerri … in villa Martelagi duos campos …” che erano stati lasciati al Capitolo di Santa Sofia nel 1485 dal Plebanus Giacomo Rizzo insieme a una rendita di 200 ducati versata alla Camera degli Imprestidi in cambio di una Mansioneria di Messe da celebrare ogni giorno in suo suffragio nella chiesa di Santa Sofia.

In quegli stessi anni in Contrada accaddero un paio di episodi inquietanti oltre che curiosi: nel 1506 ci fu quello della Meretrice de Miràn. Un Fabbro benestante abitante in Campo Santa Sofia in una casa del Cittadino Longhin, aveva una tresca amorosa con una vedova di Mirano che faceva la prostituta. Una sera la donna si recò a trovarlo a Venezia, e atteso che il Fabbro si fosse addormentato, scese di sotto in cucina a scaldare dell’olio. Salita poi di sopra, prima diede all’uomo una coltellata nel petto, poi gli versò addosso l’olio bollente, e infine lo ammazzò pestandogli un candelabro sulla testa. Già che c’era rubò all’uomo tutto il denaro che aveva addosso insieme ad altri due sacchetti di monete che trovò nella casa, e dopo aver provato inutilmente a forzare la “cassa forte” del Fabbro, se ne fuggì via dando fuoco a tutto. Quando tempo dopo la donna venne arrestata dopo un altro furto commesso a Venezia, emerse anche la vicenda precedente. Nel gennaio 1505 venne condannata ad essere trasportata su una chiatta lungo tutto il Canal Grande fino al Monastero del Corpus Domini(attuale luogo dell’accesso al Ponte Calatrava dalla parte della Stazione Ferroviaria), e poi ad essere accompagnata a piedi attraverso il Sestiere di Cannaregio fino alla Contrada di Santa Sofiadove le sarebbe stata tagliata la mano destra. In seguito si sarebbe prolungata la sua ultima camminata fino alle Due Colonne di Piazza San Marco dove le sarebbe stata tagliata la testa, e infine il suo corpo sarebbe stato bruciato, e la sua testa appesa sulla riva dell'Isola di San Giorgio Maggiorea monito di tutti … Per niente impressionate da questi fatti, nella notte del 22 luglio 1512 alcune “donne di mestiere e malaffare” con un gruppo di “Zentiluomini” uccisero Ser Battista Gradenigo… sempre e ancora in Contrada di Santa Sofia.

Già che siamo in argomento, in quello stesso secolo diverse “Signore” abitavano in Contrada di Santa Sofia dove prestavano stabilmente la loro opera più che ricercata da molti, e piuttosto ben tollerata dalla stessa Serenissima. Ad essere precisi, era piuttosto la limitrofa Contrada di Santa Caterina ad essere fornitissima di “donne di malaffare” spesso gestite dai Barcaroli del vicino Traghettoe ospitate spesso da argute “Massère” o parenti stretti: se ne contavano ben una trentina. Le liste che giravano per le Osterie, le Locande, i Mercati, i Traghetti e le Contrade menzionavano comunque anche Cornelia Murlaquetta di Santa Sofia che abitava in casa di Betta fia de Maria a Santo Apostoloin Ca’Michiele si faceva pagare 4 Scudi … C’era poi a disposizione: Catarina Tagiapietra che stava ed esercitava in Ruga Do Pozzi in casa di suo fratello Zorzi … ed Elena Driza che “lavorava” in Contrada de Santa Sofia in casa de la so Massèra … Nella stessa zona esercitavano anche: Viena e Giulia Barcaruola donna maridada che “prestavano le loro cure” in Calle delle Erbe “in cào alla Ruga”in casa di Chate Schiavona al prezzo di 1 o 2 Scudi per volta … Lucietta Trevisana, invece, costava 2 Scudi, e si concedeva in casa di sua madre nella stessa Contrada di Santa Sofia … Lugretia di Colti abitava lì nei pressi nella stessa Contrada “presso il Bataòr” prestando i suoi favori per 2 Scudi … e “drio la gièsia de Santa Sofia stava Donna Verginia Armano” che venne multata di 50 ducati et spese il 02 Zenèr 1598 come si può leggere “a squarzafoglio 49” nei documenti di coloro che controllavano ogni cosa che accadeva nelle Contrade di Venezia.

All’inizio del 1500: i Nobili Priuli vendettero “… a pezzi e bocconi …” a proprietari locali, la Gastaldia di Fiumicello che possedevano nella Terra del Friuli… Nel 1504 Girolamo Priuli lamentava nei suoi Diari Segreti che in quell’anno non partivano più Spezie da Venezia per il Ponente perché andavano direttamente dall’India al Portogallo eludendo la storica Via Classica del Mediterraneo. I Priuli allora non trovando più Spezie acquistarono dal Patron Federigo Morosini “una quota” della Compagnia di Galea che trasportava 200 botti di Vino Cretese e Malvasia da portare in Inghilterra. Di solito il vino veniva trasportato dalle grosse navi tonde dalle fiancate alte, mentre le Galee erano riservate al trasporto “più leggero ma più prezioso” delle Spezie. Al ritorno verso Venezia il Capitano comperò anche un carico di piombo per zavorrare la Galea pagandolo “in maòna” ossia “in società”con i diversi Mercanti Veneziani …  L’anno seguente Nicolò Priuli già Capitano a Famagosta e Luogotenente a Cipro venne riconosciuto colpevole d’essersi impossessato di denaro appartenente al Comune e a Mercanti privati. Il Consiglio dei Dieci gli ordinò di rifondere subito la somma, poi lo bandì per 2 anni da Venezia e dal suo Dominio escludendolo da ogni Ufficio e Consiglio e incarico di Stato, inibendolo inoltre per sempre dal ricoprire cariche commerciali inerenti Cipro.

Secondo il Libro dei Conti di Lorenzo Priuli, grande detentore di importantissime cariche di Stato della Serenissima e proprietario di diversi immobili in Venezia e di notevoli tenute in campagna, il periodo fra il 1505 e il 1535 fu quello di maggiore floridezza e fortuna per le sorti della Famiglia Priuli. Girolamo Priuli, Diarista e Banchiere, con Vincenzo Priuli Ufficiale di Marina e Comandante per qualche tempo delle Galèe per Beirut, che sposò una figlia del grande Banchiere di Stato Alvise Pisani di cui continuò l’attività bancaria, importavano lana dall’Inghilterra insieme con un figlio Francesco vendendola ai Drappieri Veneziani ai quali concedevano abitualmente credito di pagamento per due-tre anni.

Fin dal 1506, quando ormai i viaggi di quasi tutte le Mude delle Galèe erano entrate in crisi, il Viaggio di Barberia era considerato ancora l’unico ad essere sicuro e redditizio, e i Priuli usarono i fondi di famiglia per commerciare e investire in spezie, argento, stoffe, obbligazioni governative e soprattutto lana ... Un Corsaro Napoletano che catturò “un Barzotto” di proprietà di Matteo Priuli trovò che trasportava 200 botti dirette a Costantinopoli insieme a stagni, panni di seta e lana per un valore complessivo di circa 30-40.000 ducati … L’anno seguente Girolamo Priuli, il Diarista-Banchiere, figlio di Lorenzo Priuli(che aveva ricoperto tutte le cariche di Stato eccetto quella di Doge), inaugurò una piccola Banca: uno dei dieci “Banchi di scritta” presenti a Venezia in quell’epoca, ma fu costretto a chiuderla e liquidare dopo pochi anni, nel 1513, a causa dello scoppiare di una nuova guerra infelice che portò la Serenissima ad Agnadello. Già fin dal 1509 la Banca Priuli entrò in crisi vittima d’aver fatto credito al Governo procurandosi una perdita personale di 10.000 ducati dovuta alla soppressione dei pagamenti del Monte Nuovo: molti dei creditori vennero pagati con crediti del Governo che valevano poco o niente.

Nel maggio 1509, Alvise Priuli quondam Giovanni era uno dei sei Savi di Terraferma, mentre Lorenzo Priuli era il Cassiere del Consiglio dei Dieci. Più in alto di così dentro alla Serenissima ?

Lorenzo Priuli & Figlipossedevano 8 carati cioè un terzo della Compagnia di Galeadella Muda di Fiandra guidata dal Patron Federico Morosini e composta da 3 navi. Partirono da Venezia nel settembre 1504 dirette in Inghilterrae rientrarono a pieno carico a Venezia nell’ottobre 1505. Nel 1507 il Patron Morosini riferì a Lorenzo Priuli che il costo totale della Galea per il viaggio in Ponente, esclusi i noli pagati in Inghilterra e a Venezia, era stato di 7.503 ducati e 7 grossi: “Per Galia de Fiandre, Patrono Federico Morosini e Capitanio Marco Antonio Contarini. A Ser Federico Morosini come Patrono per tanti ne assegna per suo conto montar dita Galia 7.503 grossi 7, che tocha a noi per caratti 8: ducati 2.501 grossi 2, computano i danari ave de Vincenzo a sterlina 54 ducato, val lire 250…”

Fra 1514 e 1566 la Serenissima registrò a Catasto 6 case di cui “una roinàda” a San Domenego de Castello in Calle del Sarasin. Erano state donate da Maffio Priuli alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista per essere date gratis o a minimo canone d’affitto ai Marangoni ed Operai dell’Arsenale o a “poveri fratelli della Schola” ... Nel giugno 1515, Orsato Priuli Provveditor alle Bocche d’Anglò venne decapitato per ordine del Consiglio dei Dieci per averle cedute ai Tedeschi ... Nello stesso anno e in quello seguente, i Nobili Trevisan e Priuli acquistarono dallo Stato Veneziano le terre a Lissaro nel Padovano e ad Arlesega verso Vicenza confiscate ai “ribelli”dopo il 1509.  Altre terre comperarono gli Arimondo, i Pisani dal Banco, i Cappello i Lando e i Dolfin in un’operazione finanziaria fra Nobili e Stato che metteva in vendita 2.200 ettari di terra su 3.800 confiscati in Terraferma con un esborso complessivo da parte dei Patrizi Veneziani di 85.000 ducati … Nel 1518 risultava già appartenente ad Alvise Priuli fu Nicolò(candidato al Dogado nel 1520), la Villa signorile in Contrà Santa Giustina a Piove di Sacco lungo la strada che andava ad Arzerello. Si trattava di uno sfarzosissimo complesso edilizio disposto su tre piani, con grandi stanze e saloni, scalone monumentale a tenaglia, mascheroni, arcate, grandi fabbriche adiacenti, e giardino con viali ombrosi ed esedra con molte statue ... Nello stesso anno i Priuli possedevano 12 carati di una Galea della Muda di Fiandra che salpò all’inizio dell’anno. Gli furono addebitati 4.220 ducati: valore pari a quella della Muda di Barberia che partiva nello stesso anno … e il Registro Catastale del Padovano per Nobili e Cittadini comprendeva in tutto: 1.523 proprietari. Fra questi erano segnati: il Monastero di San Giovanni di Torcello che possedeva 465 campi, Alvise Pisani che ne possedeva 10.000, Gasparo Contarini: 445 campi, il Cittadino Alvise Saraxin: 10 campi, e Alvise di Pietro Priuli, zio del Diarista Girolamo, che aveva 250 campi.

Nel 1514 prese fuoco la Contrada di Santa Sofia, ma l’incendio venne presto circoscritto e domato rimettendo ogni cosa al proprio posto … Si provvide anche a seppellire in chiesa di Santa Sofia un paio di personaggi illustri: Nicolò Dolce Vescovo di Limisso, e Ser Armorò Pisani di 46 anni potentissimo Capo del Consiglio dei Dieci… Tre anni dopo il Marchese di Ferrara alloggiò con la moglie in Contrada di Santa Sofia assieme a un seguito di sette donne Mantovane accompagnate dai rispettivi mariti.

Girolamo Priuli, invece, era l’altro aspetto della “medaglia Priuli”, avverso alla politica e alle cariche ed intrighi di Stato ed Ecclesiastici, ma non meno afferrato nell’economia e nei commerci redditizi. Scriveva sul suo Diario Segreto: “…costatato come io appartenga ad una famiglia insigne e di sangue nobilissimo, mio padre, mio zio e tutti i miei parenti, compresi quelli acquisiti, godono di un grande onore nella Repubblica. Ed essendo io ricco, secondo il mio rango e la mia posizione, non mi mancherebbero gli onori e la dignità che spettano a tutti gli altri nobili veneziani. Tuttavia il mio spirito è sempre stato alieno e distaccato da tali onorificenze e sono dieci anni che non frequento il Maggior Consiglio o altre assemblee cittadine…”

Fra 1514 e 1518 Girolamo Priuli che era nato a Venezia nel 1486 da Alvise di Nicolò del Ramo di Santa Sofia, e da Chiara Lion di Giacomo, si trovava in Siria, poi ad Alessandria d’Egitto e al Cairo dove risolveva controversie fra Mercanti Arabi e una nave Veneziana. Aveva trascorso gran parte della sua vita esercitando la Mercatura soprattutto delle Spezie, e s’era arricchito moltissimo raddoppiando più volte il proprio capitale. Il sempre solito Diarista Marin Sanudo scriveva di lui nel settembre 1514: “… il morbo a Damasco era miorato, adeo sier Hironimo di Prioli era partito di l’isola [Cipro] e navegato a Baruto”.

Nel 1517 Girolamo Priuli venne incarcerato per bancarotta e debiti ma la causa del suo scoperto fu la Tesoreria dello Stato Serenissimo.

Tornato a Venezia nel 1520, si comprò l’ingresso in Senato per 500 ducati prima di sposare cinque anni dopo Elena Diedo di Antonio da cui ebbe un unico figlio: Ludovico ossia Alvise. Solo nel 1531 accettò di diventare Provveditore alle Pompe per calmierare le spese pubbliche e gli eccessi dei privati Veneziani; quindi fu nella Zonta del Senato(1532), Provveditore alle Biave (1535), Ufficiale sopra gli Atti del Sopragastaldo(1539), Savio alla Mercanzia(1540-42-48 e 50), nel Consiglio dei Dieci nel 1543-45-47-49-51-52-54, uno dei 25 Savi incaricati di rivedere l’Estimo cittadino(1548); Consigliere Ducale per il Sestiere di Dorsoduro(1551); Savio sopra le Lagune(1552); Governatore delle Entrate e Provveditore all’Arsenale; Provveditore all’Armamento (1553-54); e Conservatore delle Leggi e Provveditore sopra i Beni Inculti(1556).

Passata la bufera, nel 1522, fu Antonio Priuli(con Matteo Bernardo figurava fra i 4 maggiori mercanti di Alessandria dove commerciava in diamanti per migliaia di ducati) ad aprire insieme ad Alvise (assolto quell’anno dalla condanna all’esilio per l’omicidio di Giorgio Loredan figlio di Marco Antonio Capo del Consiglio dei Dieci in cambio di 1.000 ducati e di un sussidio in favore delle truppe dislocate a Padova) un nuovo “Banco di scritta” dei Priuli ancora in stretta alleanza con la Banca Pisani. Il Banco Priuli fu uno dei più notevoli del gruppo Bancario Veneziano anche se i Priuli erano impopolari e avevano sempre fama d’essere avari e grossi taccagni.

La Serenissima si servì astutamente non poco delle Banche dei Nobili, e “giocò” parecchio e a piacimento con i patrimoni e i capitali dei Mercanti e dei ricchi Nobili della finanza Veneziana. Lo Stato Serenissimo doveva ai Priuli più di 14.000 ducati, e li ripagava parzialmente di solito con obbligazioni di Stato e applicando loro nuove imposte.

Il Banco Priuli, infatti, nel 1551 finì ancora una volta col fallire e chiudere travolto dalla crisi economica generale che coinvolse tutta la Serenissima. Esisteva però un altro motivo che distraeva i Priuli dall’economia: prediligevano la frequentazione dei circoli letterari dove presenziavano: Francesco Maria Molza, Francesco Berni, Benedetto Ramberti, Pietro Bembo, Trifone Gabriele, Benedetto Lampridio, eVittore Soranzo con Lazzaro Bonamico che furono compagni di studi dei Priuli a Padova dove studiavano Filosofia, Greco e Latino e anche Aramaico. I Priuli amavano frequentare l’Abbazia dei Monaci Benedettini di San Giorgio Maggiore dove convenivano per studiare e discutere personaggi del calibro di: Gasparo Contarini, Marcantonio Flaminio, Antonio Brucioli, Giovanni Battista Ramusio e Donato Rullo, che erano in rapporti con Antonio Priuli anche “per occasione di traffichi et mercandia che facevano insieme”.

I Priuli frequentando quei Circoli esclusivi associando quindi “l’utile col dilettevole, la politica con la Mercandia, lo Stato con la Religione, la Scienza Prima col vile Commercio.”

 

Alvise Priulinacque a Venezia intorno al 1500 nella Contrada di San Severo da Marco Rettore di Rettimo e Zante, figlio del Capitano da Mar che nel 1489 aveva riportato a Venezia la regina di Cipro Caterina Corner. Alvise fu membro insieme a Gaspare Contarini e Marcantonio Flaminio dell'Oratorio del Divino Amore, e conobbe a Padova Reginald Pole futuro Cardinale Inglese d’ispirazione Erasmiana di cui divenne grandissimo estimatore, amico fedelissimo nonchè assistente. Nel 1540, lo stesso Marcantonio Flaminio convinse Alvise Priuli tramite uno scambio di lettere della bontà delle dottrine sulla Giustificazione di Juan de Valdès(condannate severamente dal Concilio di Trento nel 1545-1563), e l'anno seguente lo stesso Priuli seguì a Viterbo il Cardinale Pole che era anche Legato Pontificio, entrando così a far parte di circoli d’altissimo livello. Alvise Priuli con la sua “conventicola”insomma erano diventati e considerati mezzi eretici dalla Corte Papale.

Nel 1545 dopo aver soggiornato a lungo a Bologna e Roma si recò in Inghilterra con lo stesso Cardinal Pole col quale condivideva “ogni suo pensiero … ed era conformissimo di vita, dottrina e di volontà”. Quando però salì al trono d'Inghilterra l’anti-protestante Maria Tudor “la Sanguinaria”(che fece bruciare al rogo circa 280 Protestanti), Alvise Priuli partì precipitosamente da Londra passando per la Francia, partecipò al Concilio di Trento rifiutando la nomina a Segretario come aveva fatto anche il Flaminio, e si portò a Padova col progetto di pubblicare a Venezia molti scritti che l’Inquisizione di Venezia giudicò “pericolosissimi”. 

Nel 1549 il Cardinale Pole mancò per un solo voto l'elezione a Papa lasciando il posto prima al gaudente Giulio III, e poi al fanatico e violento Papa Paolo IV che avversava e temeva moltissimo: “quella scola maledetta … la casa apostata del Cardinal d’Inghilterra … nella quale parlando di heresia, non vi è persona più del Priuli”. Giunse perfino a intentare un Processo dell’Inquisizione contro lo stesso Alvise Priuli, e il Cardinale Pedro Pacheco giunse ad affermare che il Papa Paolo IV nonostante le insistenze dell’Ambasciatore Veneziano Bernardo Navagero sancì l’abolizione degli accessi ai benefici ecclesiastici proprio per invalidare un privilegio riservato ad Alvise Priuli di subentrare nel governo e godimento del beneficio della Diocesi di Brescia alla morte del titolare in carica.

Alvise Priuli, infatti, mentre “… si teneva per certo che harrebbe havuto il Vescovato di Verona rimasto vacante”, morì proprio a Padova nel 1556 debilitato da febbri quartane, e venne portato e sepolto nella chiesa di San Severo nel Sestiere di San Marco a Venezia ... Papa Paolo IV aveva ottenuto ciò che aveva desiderato.

Daniele Priuli, invece, fornito di una buona cultura letteraria (compose sonetti, rime e versi), iniziò nel 1539 a soli diciotto anni la sua carriera pubblica entrando in punta di piedi nel Maggior Consiglio della Serenissima alla quale donò una cospicua somma dopo la battaglia persa della Prevesa. Inizialmente poco vistoso e poco intraprendente come personaggio, ottenne solo dieci anni dopo il modesto incarico della Podesteria di Pirano in Istria, e continuò per quasi vent’anni a passare di carica in carica minore senza grandi successi.

Solo più tardi, grazie all’eredità della madre ottenne con i Nobili Martinengo Bresciani e i Nobili Lion Padovani il diritto di subentrare ai Venier nel consorzio che amministrava la Contea di Sanguinetto nel Veronese ricca di amplissimi benefici totalmente esenti dal fisco cittadino Veronese. Nel 1552 i Priuli stipularono un accordo col Comune di Verona sulle prerogative annonarie, fiscali e giudiziarie della stessa loro Contea, e nel 1559 concessero a livello per 1300 ducati annui “tutti i luoghi et la giurisditione di Sanguinetto” a Pietro Avogadro Conte Bresciano che però fu padre del bandito Ottavio.

Nel 1561 lo stesso Daniele Priuli, nato nel 1521 a Venezia, primogenito dei tre figli di Angelo Marino Priuli delle Guglie Patrizio Veneziano, Giudice della Quarantia, e di Andriana di Pellegrino del Ramo dei Venier, sposò Marianna Cocco di Bernardino nipote di Giacomo Cocco Arcivescovo di Corfù dalla quale ebbe tre figli. Da lì in poi andò tutto in discesa per il Priuli, che ricoprì cariche di Stato sempre più importanti: Provveditore alle Pompe(1561),Avvocato Fiscale(1562), Senatore (1568) fino ad ottenere la Luogotenenza del Friuli ai confini con gli Asburgo dal 1571 al 1573 dove fu un critico implacabile delle pretese dei vecchi Feudatari e Nobili Castellani Friulani che non volevano rinnovarsi; deplorò gli arbitri in seconda istanza di molti Giurisdicenti; e stigmatizzò la sfacciata svogliatezza con cui i Nobili Friulani avevano mobilitato per la Guerra di Cipro solo una cavalleria pesante di 80 cavalli invece dei 300 richiesti dalla Serenissima. S’interessò inoltre dei problemi della Contadinanza sopraffatta dai debiti e dai sequestri di cui sospese tutte le imposizioni fino al raccolto seguente, pretese però le Ordinanze o Cernide di 2500 uomini da utilizzare contro gli Ottomani. A Udine potenziò la “Scuola dei Bombardieri” lottando contro le resistenze dei popolani che temevano d’essere arruolati e imbarcati come galeotti sulle Galee della Serenissima: “… numerosi erano li fuggiti con tutte le famiglie loro per tema d’andar in galìa”.

Fu poi Censore, Consigliere dei Dieci e della Signoria; Capitano di Padova (1579-1581); Capitano di Brescia dove rafforzò il castello e contrastò il bandito Alfonso Piccolomini pagando regolarmente i soldati, ma contestandone lo scarso addestramento e la disorganizzazione delle Cernide Rurali (1584-85); Soprintendente alla costruzione delle nuove prigioni (1593); e candidato a Doge nel 1595 quando gli fu preferito Marino Grimani. Daniele Priuli allora pensò bene che non gli rimaneva altro che morire, e lo fece a Venezia nel 1596 venendo sepolto nella chiesa di San Geremia.

Nel gennaio 1525 Marco Antonio Priulidi Andreaera Podestà di Rovigo, e relazionò in Senato che a Lendinara esistevano 8 Ville, mentre Rovigo ne contava 41 … Alla successiva Redecima del 1537 a dimostrazione che aveva “studiato bene” quel territorio che governava, risultò possedere 150 campi nello stesso Polesine ... Nell’estate 1527 il solito Marin Sanudo ricordava che: “… almeno 150 Patrizi occupano cariche di Governo nella Terraferma ed altrettanti nei Domini da Mar ... Alle riunioni solite del Senato partecipano 180 su 300 membri ed il quorum era di 70 individui … Su un totale di 2700 Patrizi eleggibili con quorum di 600 persone, in Maggior Consiglio erano presenti in media 1.000-1.500 Consiglieri che salivano di qualche centinaio in occasioni particolari … Numerosi patrizi si trovavano fuori città per motivi ed affari pubblici o privati … Alcuni nobili pur essendo residenti in città non avevano mai messo piede in Palazzo Ducale, altri, almeno 46: non vi si recavano da almeno 20 anni ... I membri della Signoria o Consiglio ducale e quelli del Consiglio dei Dieci indossavano sopravesti scarlatte ed abitavano nelle Procuratie Nuove accanto a Piazza San Marco, i Senatori erano vestiti di porpora, in Maggior Consiglio si entrava con la toga nera, i membri del Collegio vestivano violetto o blu a seconda del grado gerarchico ... Chi occupava le 28 posizioni in seno ai consigli esecutivi centrali dei Dieci, del Collegio e della Signoria facevano parte della Cerchia del Governo ossia della classe al potere di 100-200 individui: il gruppo di governo detti: Padri, Grandi, Homeni de conto, Primi della terra. Costoro erano i Vendramin, i Foscari, gli Zen, i Barbo, i Dandolo, i Pesaro, i Tron e i Grimani … L’unico che vestiva d’oro era il Doge eletto e scelto fra 9 Procuratori … I Patrizi appartenevano a 134 clan diversi, e solo 9 gruppi familiari non avevano maschi in età per entrare nel Maggior Consiglio … Alcune famiglie di piccole o medie dimensioni godevano di posizione di prestigio acquisendo benefici importanti: 19 erano le “Case Grandi” con più di 40 individui, ossia il 45% dell’intero Patriziato: fra queste c’erano i Nobili Priuli con 56 membri stabilmente presenti nel Maggior Consiglio ...”

Nel febbraio 1543 i Procuratori di San Marco Antonio Priuli e Venturin di Cornovi Dalla Vecchia(forse il principale Mercante da Seta di Venezia) si presentarono davanti ai Provveditori dell’Officio della Corte della Seda: Zuanne Pinardo, Francesco Traversini e Zaccaria Botta spiegando di aver ricevuto dalla Spagna: “… tre sorte Cremisi le quali disseno che nasceno nelle Indie della Cesarea maiestà dell’Imperatore … Una sorta chiamasi: Uchimillia, la segonda sorte chiamasi: Cochimeia, la terza sorte chiamarsi: Panucho …”

Si trattava cioè di nuovi coloranti provenienti dall’America: vari tipi di Cocciniglia che avevano una capacità colorante dieci volte superiore al tradizionale Kermes di Ragusa. Con quel “nuovo metodo Indiano” di tingere si sarebbe potuto abbattere i costi della produzione dei Panni di Seta Rossi, e forse prospettarsi e aprirsi a un nuovo mercato diverso e più moderno.

I due Mercanti perciò chiesero all’Officio della Seda di: “…sazarlo per vedere la sua bontà se l’è cremese o veramente non…” 

Il Provveditore Pinardo bocciò subito l’idea timoroso di quella novità inattesa, mentre Traversini e Botta più possibilisti convocarono alcuni Tintori Saxatori Ordenari dell’Officio della Seda, cioè: Mistro Batista de Jacomo sta a San Cassan e Mistro Michiel de Andrea sta al Ponte dei Meloni, insieme ad altri quattro Tintori da Seda di fiducia, ossia: Mistro Carlo de Jacomo ai Santi Apostoli, Mistro Zuà Maria de Zuane di Santi Apostoli sul Ponte, Mistro Paulo di Ventura di San Zulian e Mistro Vincenzo di Benedetto alla Maddalena.

I Provveditori consegnarono a Zuà Maria tre sacchi di Seta cruda ordinandogli di cuocerli e luminarli con i nuovi Cremese entro il lunedì seguente, e questo tornò all’Officio della Seda col lavoro svolto. Nell’occasione si aggiunsero anche altri Tintori: Adamo de Antonio sta a Santa Maria Materdomini, Bortolo de Nicolò sta a San Poloe Domenego de Michiel sta a San Lunardo che provarono tutti a tingere la seta con le sostanze nuove. Intanto il Provveditore Francesco Traversini mandò a prendere un “Zocchello de Seda” tinto col tradizionale “Cremisi Raguseo, marchiàn e grosso” e s’iniziò il confronto. I risultati vennero “saggiati”sotto giuramento, e Mistro Batista de Jacomo fu il primo a confermare la bontà dei nuovi prodotti coloranti Americani seguito da tutti gli altri all’unanimità. Fu così che cambiò la Tintoria Europea, e iniziò il declino progressivo del Classico Tessile Veneziano.

Nel 1549 secondo il Podestà Veneziano Bernardo Navagero, i Veneziani su 400.000 campi arativi del Padovanone detenevano 66.000 ... Tra 1573 e 1587 gli acquisti nel Vicentino dei Nobili Veneziani: Badoer, Bernardo, Bon, Contarini, Diedo, Dolfin, Foscarini, Priuli, Sagredo e Sanudo ammontavano a 500.000 ducati, e tutti si dedicarono ad ampia opera di bonifica dei loro territori.

Verso la metà del 1500 quando già la chiesa di Santa Sofia era anticipata da una casa con portico, tutte le offerte raccolte il Venerdì Santo, così come quelle della Festa della Titolaredella chiesa dovevano essere destinate interamente al Piovano che aveva l’obbligo di celebrare gli appositi Riti ... Si pagavano anche con 8 ducati annui a un Organista, e si utilizzavano altre “due paghe par conzàr l’organo”... Nello stesso portico davanti alla stessa chiesa di Santa Sofia, dal 1534 lavorava e vendeva nella sua bottega un“Naranzèr o Fruttariòl”.

Nel gennaio 1527, quando i Priuli erano “Zentilhomeni de conto” e commensali dell’Illustrissimo e potentissimo Cardinal Marino Grimani che abitava in Contrada di Santa Maria Formosa, Lorenzo Priuli e Gasparo Contarini furono scelti dal Consiglio dei Dieci per valutare il “Libro della origine delli volgari proverbi”appena stampato da Alvise Cinzio de’ Fabrizi e dedicato forse ironicamente a Clemente VII. Il testo era stato denunciato dai Frati Francescani Osservanti di San Francesco della Vigna che si erano offesi perché nelle pagine venivano definiti: “dalle gran tasche rigonfie d’oro di contro al precetto del loro Santo”… I due prescelti dal Consiglio dopo attenta analisi conclusero che il libro “non era particolarmente empio”, perciò ai Frati non rimase che comprarsi tutte le copie disponibili sul mercato che poterono … per bruciarle ovviamente.

Nel settembre 1552, invece, Andrea Priuli era stato Rettore dell’isola di Zante dove era stato costretto a prendere provvedimenti contro l’eccessiva proliferazione di nuovi impianti di Uva Passa che andavano fortemente a discapito della produzione di Grano dell’isola … e delle entrate fiscali della Serenissima. Le tasse provenienti dalla Decima del Frumento, infatti, erano scese da 3.000 a 1.400 ducati a causa di quella coltivazione impropria di vigne che lui aveva cercato di bloccare denunciando, confiscando e multando. In parallelo, invece, stava accadendo un aumento della popolazione dell’isola … che aveva sempre fame ed esigeva da mangiare. Secondo la relazione presentata a Venezia dallo stesso Priuli: l’isola di Zante in passato produceva 40.000-50.000 stara annuali di Frumento, mentre ora arrivava a produrne solo 20.000 con grave danno sia per la Signoria che per la popolazione dell’isola che sperava grandi utili, seppure non immediati, dalla produzione dell’Uva Passa. Il Priuli col suo fiuto da Mercante chiese alla Repubblica:“Non sarà forse giusto e più utile approvare quella riconversione agraria dell’isola a discapito del Frumento ?”

In quegli stessi anni i Priulipossedevano un appezzamento di 70 campi a Piacenza, dove esistevano ben 2.250 campi padovani (855 ettari) appartenenti a pochi intestatari Nobili Veneziani come appunto erano i Priuli, i Boldù, gli Zen, i Querini e soprattutto i Morosini.

 

Nel 1560 Luigi Anguillara illustre Botanico di Padova inviò il suo “Trattato Quarto dei Semplici” a Lorenzo Priuli che era: Perito, Giudice, Senatore e Nobile colto e raffinato, nonchè profondo conoscitore di Piante e Botanica. Costui possedeva a Padova in zona Porta Saracinesca un bellissimo “Hortus Botanicus” con Piante rare come il “Leucojo Bulboso Minore Trifillo”,il “Giacinto Orientale”, ed il “Satirone Eritronio o Bifolio” con fiore radiato bianco conosciuto e ricercatissimo da naturalisti stranieri come Conrad Gesner, Tournefort e Giovanni Bahuino… Nel 1567 lo stesso Botanico Gesner scrisse una lettera al Medico Teodoro Zuingero perché gli procurasse la “Vera Chamoehapne e il Cirsio” coltivati proprio nell’Hortus Padovano del Priuli dove erano fioriti per la prima volta anche la  Scamorrea, l’Amomo, il Ritroe l’Antillideportati da Aleppo di Siria.

Lo stesso Lorenzo Priuli divenne Doge, (era nato a Venezia nel 1490 circa, secondogenito di sei figli maschi di Alvise di Niccolò Priuli del Ramo di San Stae e di Chiara di Giacomo Lion). Di lui si scrisse: “Gentiluomo molto honorato et di buone lettere et costumi”.Aveva studiato Latino, Greco, Teologia e Filosofia poi si era dedicato alla Politica divenendo: Senatore, Consigliere dei Dieci, Savio all’Esazione, Governatore alle Entrate, Consigliere Ducale e Savio di Terraferma: un successone insomma.

Nel novembre 1522 venne eletto Oratore al Re di Inghilterra al posto di Gian Antonio Venier, e poi Ambasciatore presso l’Imperatore Carlo V insieme ad Andrea Navagero al tempo in cui in Europa infuriavano pestilenza e guerra. L’Imperatore lo fece Cavaliere offrendogli 200 scudi, e ritornato a Venezia Lorenzo ricoprì un’altra “raffica” di cariche importantissime della Serenissima fino a diventare Doge. Suo fratello Girolamo venne nominato prima Procuratore di San Marco de Ultra(1557); poi Provveditore all’Arsenale e Conservatore delle Leggi(1557-1558), e quando nel 1559 il Doge Lorenzo morì si pose “per continuità” un altro Priuli al Dogado … seppure dopo ben 35 scrutini.

Il Residente Fiorentino a Venezialo descriveva come: “un uomo grosso che non può quasi parlare per haver impedimento ne la lingua”. In realtà Gerolamo Priuli era un uomo maestoso, generoso e devotissimo, e favorevolissimo alla presenza dei Gesuiti del Papa a Venezia. Quando in tempo di carestia venne eletto Doge fece distribuire a proprie spese denaro e viveri al popolo, e sollecitò la creazione delle Fraterne dei Poveri nelle Contrade Veneziane. Governò tranquillamente da Doge solo per otto anni subito dopo la Pace di Cateau-Cambrésis e la conclusione del Concilio di Trento(fenomeno che avrebbe segnato e influenzato per secoli la Storia dell’intera Europa). Morì a 81 anni a Venezia venendo seppellito nella tomba di famiglia a San Domenico di Castello che era appena stata restaurata insieme all’intero Convento dal fratello Doge Lorenzo.

Anche Giovanni Priuli, figlio del Doge Lorenzo, venne sepolto sempre lì a San Domenico di Castello, ma senza epigrafe, perché: “… ha commesso opere da mariuolo pubblicamente”.

Intanto la chiesa della Parrocchia e Contrada di Santa Sofia veniva governata dai Preti del Capitolo secondo le Costituzioni e consuetudini del “Liber Iurium”: In nomine Sancte et Individuae Trinitatis foeliciter amen. Hoc in volumine sunt descripta et registrata omnia instrumenta, documenta et iura spectantia et pertinentia ad ecclesiam et fabricam Sanctae Sophiae Venetiarum, necnon omnia testamentorum legata tam ecclesiae quam Capitulo eiusdem ecclesiae relicta, quod conditum fuit sub 1527 mensis iunii tempore Reverendi Domini Presbiteri Vincentii Plebani dictae Ecclesiae et hoc ad perpetuam memoriam iurium dictae Ecclesiae et ut medio scripturarum praedictarum iura praedicta conserventur et augeantur ad laudem et gloriam beatissimae Sophiae”.

I Preti del Capitolo di Santa Sofiacontinuavano a “leggere e segnare” nel loro Archivio e sui Registri Canonici l’intera vita e le vicende di tutta la Contrada di Santa Sofia (avevano iniziato dal lontanissimo 1191, e a Venezia in quei secoli non esisteva alcun tipo di anagrafe). Dal 1571 si diede inizio alla compilazione e tenuta dei Libri dei Battesimi, alle Filze e Squarzi, Pubblicazioni e Contraddizioni raccolti nei Libri dei Matrimoni; due anni dopo s’inizio a redigere anche il “Libro dei Morti”; e in un altro Libro dei Poveri apposito si elencarono in ordine alfabetico dal 1595 tutti i Miseri della Contrada”: “… 1595 adì terzo agosto ... Li clarissimi signori Alvise Malipiero e Andrea Bragadin ... i quali hanno eletto li infrascritti nella Contrà de Santa Sofia per far elletion delli poveri de ditta Contrà meritevoli di haver le casole ... iuxta li ordeni infrascripti dati al Reverendo Piovan de ditta Contrà...”

Nei Libri dell’Archivio di Santa Sofia i Piovani registrarono perfino dei pettegolezzi: il Piovano Tommaso Bianco, eletto Canonico di San Marco dal Doge Gritti, annotò a margine nel 1550 di un “paio di zoccoli comprati per la sua cognata”… così come segnò la donazione di “uno schudo del valore di lire 6.918 offertogli da Bianca Michiel e Alvise Loredan che aveva unito in Matrimonio”… di “un paio di campi venduti a Martellago per pagare alcuni lavori fatti in chiesa”… e del denaro offerto, e dei regali fatti a “Cecilia mia massèra”(domestica) che finalmente era riuscita a sposarsi liberandolo della sua presenza assillante: “Cecilia se maridò et tolse per marido Francesco Marangon, fiol de Missier Zuanmaria Marangon Visentin sta in Padova … e li ho dato doi braza de panno de Fiandra per ducati 87, e un letto con due canapàl e còlxara e cussìni e lenzuòl …”

Negli stessi anni in chiesa di Santa Sofia erano attive almeno tre Schole Piccole di Devozione: quella del Santissimo Sacramento(dal 1507), quella di San Luca dell’Arte dei Depentori(1536), e dal 1589 anche la Schola dell’Assunta… e sempre in chiesa c’erano due Madonne Vestite a cui quelli della Contrada erano molto devoti e affezionatissimi: “… una Madonnetta piccola alla greca con 10 abiti in seta neri e altre di diversi colori che verso fine secolo divennero 36 … e una Madonna Granda con 20 abiti di valore” ... In Contrada Prè Gerolamo Lonigo venne processato e condannato “per gravi irregolarità economiche dovute al vizio del gioco, e pesanti fatti di carnalità”.

Ancora lo stesso Capitolo dei Preti di Santa Sofia s’impegnò in numerose liti, processi, sentenze e controversie senza fine (alcune si protrassero per secoli) per la difesa dei propri confini, dei terreni, degli immobili e delle numerose proprietà che gestivano sia in Laguna che nella Terraferma Veneta.

Contrastò non poco con i vicini Preti della Collegiata di Santi Apostoli; con le limitrofe Monache Agostiniane del Monastero di Santa Caterina; con Laura et Alvise Finettiper dei beni della quondam Marina Barelli che aveva donato un stabile alla chiesa di Santa Sofia nel lontano giugno 1390; per una “Mansionaria lassata dal quondam don Antonio Longino sopra le case al Traghetto hora posesse da nobil huomini Foscari che pagano tal legato e mansionaria"(1400-1793); col fu Nobil Homo Ser Sebastiano Capello: “… sopra Monti per la Mansioneria della quondam Nobil Donna Biriola Michiel” (1411-1685); "Pro ecclesia Sancta Sophia contra Scolam Pictorum" e "Santa Sofia contro Depentori"(1531-1698); “circa il livello che riscuote la chiesa di Santa Sofia dalla casa in Calle dal Forno per le rappresentanze di Tomaso Sandei”; e “per il Diritto Capitolare sopra la Cappella di Sant'Osvaldo”(1387-1727); “per le case poste in Sant'Eufemia della Zuecca”, e “per la Mansioneria et Anniversario della quondam Sandei et esecuzione Speranza"(1465-1687); “per la chiesa di Santa Sofia contro don Cariteo de Caritei per la casa della Pieve” (1599-1619); “per la Mansioneria del fu Nobil Homo Ser Orsato Giustinian all'Eccellentissima Procuratia de Supra"(1462-1679); "per la chiesa di Santa Sofia contro il Nobil Homo Ser Lorenzo Morosini fu de Ser Barbon sopra il romper un muro della proprietà della medesima sotto il portego d'essa" (1221-1578); “… contro l'Eccellentissima Procuratia de Supra per la Mansioneria del quondam Prè Giovanni Mando Titolato di Santa Sofia”(1495-1541); “per la Mansioneria della quondam Elisabetta Bellionori con litigio col quondam Zuanne Battistello et partita all'uscita de ducati 400: il capitale sudeto per publica affrancazione dell'anno 1777 verrà ridotto a ducati 228 …”(1597-1678); “per la Mansioneria della quondam Cecilia Colombo con un litigio contro Vicenzo Colombo Commissario et obligazione di due case a Portogruaro et altra Mansioneria per la quondam Caterina Colombo"(1610-1701); “per la Mansioneria del quondam Francesco Donati quondam Liseo con un'informativa e giro schossi in Cecca de ducati 200: il capital sudetto per pubblica affrancazione nell'1778 fu ridotto a ducati 76, e passò investito nel Novissimo diposito in Cecca …”(1668-1778); “per la Mansioneria Zorzi Viviani Spiera"(1606-1694); “per alcuni livelli affrancati a Sabbina Brighenti, a Prè Filippo Lava, a Prè Antonio Venerio, a Pietro Baldigiani, al Nobil Homo Rezzonico et al Bonfiglii"(1645-1721); “per la Mansioneria del quondam Bernardo Sandei quondam Vicenzo et litigio col Nobil Huomo Ser Zorzi Contarini fu de Ser Zuanne Battista et con ditto Lorenzo Contarini da Padova"(1605-1680)… e poi ancora, senza fine, contro i Governatori alle Entrade e quelli alle Cazude; applicando o provando a discostarsi dalle condizioni e terminazioni imposte dai Dieci Savii; davanti ai Provveditori Sopra ai Monasteri, ai Provveditori sopra alla Sanità, ai Provveditori del Proprio, ai Provveditori da Comun e delle Acque ... e ancora baruffe, liti e ricorsi dal 1529 e fino al 1568 anche per le "Gratie a dongelle della Contrada di Santa Sofia solite dispensarsi dalla Comissaria di Monsignor Domenico Benedetto Vescovo di Città Nuova".

Che ve ne pare ?

Insomma i Preti di Santa Sofia erano dei gran baruffanti e dei bei intriganti soprattutto quando c’era di mezzo qualche  bel gruzzoletto di soldi … I soldi ieri come oggi sono sempre appetibili, e quindi anche i Preti Titolati della Collegiata di Santa Sofia non seppero esimersi dall’impegnarli nel farli crescere e fruttare più che poterono ... ovviamente s’intende: “per il bene dei poveri e dei devoti della Contrada di Santa Sofia”… Sempre ! ... e che avevate forse qualche dubbio al riguardo ?

Palazzo Manfrin Venier sul Rio de Cannaregio era l'antica “Ca' Priuli ai piedi del Ponte di Cannaregio” fatta edificare nel 1520 da Angelo Maria Priuli quondam Pietro Savio del Sestiere di Cannaregio e dalla moglie Andriana Venier che aveva sposato nel 1517. Costei portò in eredità ai Priuli il Castello di Sanguinetto nel Veronese. Due secoli dopo, Elena Priuli figlia di Angelo Maria e sposa di Federico Venier lasciò ai figli Giovanni e Pietro lo stesso palazzo dove nel 1745 si ospitò l'Ambasciatore straordinario d'Inghilterra Roberto Conte di Holderness con tutta la famiglia.

Nel maggio 1577 Paolo Priuli di Gerolamo che possedeva 377 campi a Marcon, e le cui rendite erano subordinate alla produzione manifatturiera impiantata a Bassano, scriveva nel suo testamento: “… laudo et prego miei fioli dolcissimi che alli suoi tempi volgino lavorar de lana come ha fatto molti anni li quondam miei fratelli e me medesimo.”… Dieci anni dopo, Johannes Maria SquàquaraChierico di Vicenza di 27 anni inviato dal Vescovo di Vicenza Michele, insegnava Grammatica a due-tre putte di casa di Ser Francesco Priuli a Venezia … Luchas Guadagnoli Chierico da Arezzo di 44 anni, insegnava Grammatica a nove alunni abitando da nove anni in casa di Zaccaria Priuli del quale ammaestrava i figli spiegando loro: “…Virgilio, Cicerone, Terentio et li do epistole et Latini.”… e Quintilianus Angeletus Chierico di Roma di 42 anni, che stava a Venezia ormai da sette anni abitando in casa di Lucrezia Priuli in Contrada di San Trovaso, insegnava Grammatica a un alunno di 23 anni spiegandogli: “…qualche libro volgare, alcuni Fioretti de Virtù … per esercitarsi più nel legger che per altro…”

A dire il vero è noiosissimo leggerne l’elenco, ma è sempre interessante e quasi incredibile sfogliare e scorrere la lista delle Cause Giudiziarieintentate e messe in atto e mantenute in essere per tantissimo tempo dal Capitolo deiPreti di Santa Sofia un po’ contro tutto e tutti. Pareva che non avessero altro da fare, e che pensassero solo a quel genere di cose redditizie … e forse era proprio così.

"Per il Capitolo di Santa Soffia contro don Pietro Fontana erede del quondam domino Andrea Fontana quondam Jovita per occasione della Mansionaria instituita da ditto Fontana con altro legato di cere et oglio in ditta chiesa cioè ducati 12 all'anno.” (1640-1661); “Circa la Mansioneria et Anniversario in Santa Sofia per il quondam Reverendissimo Pre' Lorenzo Crappi d'investita de ducati 3333 soldi 8, per la quondam Margherita Brugnolli e suo figlio d'investita ducati 1000, per il quondam pre Francesco Nascivera. (1667-1778); “Contro alli Governatori dell'Intrade per le Mansionerie della chiesa di Santa Sofia per li quondam Adriana Balbi Muschieti et Claudio Paulini con investita de ducati 680 et per li quondam Maddalena e Marco Franco con investita de ducati 100." (1651-1778); “Contro alli Revisori Regolatori per la Mansioneria della quondam Francesca Simeoni per il quondam Lorenzo Bartoli con un litigio contro Bortolo Basso et una investita de ducati 280 et altra de ducati 200 di legato del quondam Girolamo Negroni alli Chierici di Sancta Sofia.(1652-1778); “Per il Reverendo Capitolo di Santa Sofia contro il Reverendo Capitolo de' Santi Apostoli per la casa di Ca' Contarini."(1429-1721), e "Per il Reverendo Capitolo de Santa Sofia contro il Reverendo Capitolo de Santi Apostoli con una composizione avanti l'Eminentissimo Cardinale Vendramini Patriarca per la stessa casa Contarini.”(1616-1790); “Per una Mansioneria di Messe 12 et un'esecuzione ogni simestre per il quondam Prè Marian Lucadello e suoi Morti con un'investita de ducati 126 a San Marco."(1670-1715); “Per la Mansionaria del quondam Francesco Bianchi et per la quondam Anzola Mazorini mogier con instrumento d'investita de ducati 450 alla Misericordia per ducati 18 all'anno ... e Mansionaria del quondam Giuseppe Costantini." (1675-1765); “Per la Mansioneria per il quondam Reverendissimo Prè Francesco Speranza Piovano di nostra chiesa e de suoi Morti." (1677-1717); "Per il Reverendo Capitolo di Santa Sofia contro il Nobil Homo Ser Sebastian Capello per le botteghete sotto il portico sopra il sagrà della chiesa con terminazione delle Rason." (1534-1701); "Pro Capitulo Ecclesiae Sanctae Sophiae contra Capitulum Sancti Ioannis Chriisostomi causa Funeralis quondam Mattei Bontempo. (1701-1711); "Pro Admodum Reverendo Capitulo Ecclesie Sancte Sophie circa Mansioneriam Viri Nobilis Ser Sebastiani Capello fundatam supra livellum ducati 500 assicuratam supra domos in Iudaica pro affrancatione livelli Pasini Cavazza."(1563-1713); "Pro ecclesia Sanctae Sophiae contra Virum Nobilem Misser Gerardum Sagredo Procuratorem Sancti Marci et supradictae Ecclesiae causa clamoris Reverendi Capituli.(1555-1731); “Circa la Mansioneria della quondam Margarita Enrich rifiutata col legato lasciato a Santa Sofia."(1729-1731); "Reverendo don Pietro Colauto per messe n. 6 per la quondam Lucia sua madre et Anniversario per il quondam Signor Bortolo Palatino. Il capital Colauto de ducati 200 per pubblica affrancazione fu ridotto nell'1778 a ducati 114. (1757-1779); “Circa laMansioneria per il quondam Francesco Donati con investita in Cecca al 3%; e circa la Mansioneria della quondam Faustina Paulini, il qual capital di lire 775 ch'esisteva investito nella Scola grande di San Rocco passò nell'1764 nel publico deposito.”(1746-1781); "Pro Donna Dorotea Buggier quondam Santo di Santa Sofia contro le Reverende Madri di Santa Chiara di Loretto di Bellun con il testamento della quondam Teresa Venier.”(1620-1785); “Circa il Funerale del quondam don Iseppo Peloso morto per accidente in nostra Contrada."(1761-1763); “Contro la pretesa del Molto Reverendo Capitolo di San Luca sopra il Funeral della quondam Maria Capoccio Barbieri nostra parrocchiana morta nel 1775 e prima abitante in Parrocchia di San Luca.” (1775); "Fra il Molto Reverendo Capitolo di Santa Sofia e il Molto Reverendo Capitolo di San Giminiano circa la sepoltura del fu Nobil Huomo Ser Gregorio Michiel morto in Parochia di San Giminiano.”(1766)

 Questa è soltanto una parte di un intenso e consistente mondo di cause, processi, carteggi e risoluzioni che hanno di certo impegnato a fondo quell’entità di Preti che probabilmente hanno fatto un lavoro dell’occuparsi di quelle questioni economiche.

Un altro Priuli, Giovanni, figlio di Baldassarenacque a Venezia intorno al 1575 quando alla Dichiarazione di Redecima del 1582 la famiglia Priuli dichiarava ai fini fiscali solo poche case e terreni con un’entrata annuale di circa 1.259 ducati.

Poveri nobili ! … In realtà tutti sapevano bene che possedevano molto di più e cercavano ogni maniera per aggirare tasse e balzelli e contribuzioni verso la Serenissima.

A differenze della maggior parte dei Priuli, Giovanni fu compositore di madrigali e abile liutista, tanto che a Venezia nel 1613 lo chiamavano: “il Magnifico”. Visse a stretto contatto col famoso Giovanni Gabrieli col quale suonò nel maggio del 1595 per la “Festa della Sensa” nella Basilica di San Marco divenendo terzo organista marciano e suo sostituto nel 1607, ma non riuscì mai a diventare il suo successore. Non soddisfatto d’essere l’organizzatore dell’annuale, sontuosa e sentitissima e partecipata Festa della Scuola Grande di San Rocco, se ne andò da Venezia nel 1614 per diventare a Graz: Maestro della Cappelladell’Arciduca Ferdinando d’Austria con 60 musicisti. Nel 1619 quando Ferdinando divenne Imperatore si recò con lui a Vienna dove ebbe grande successo fino al 1626 quando morì mentre viaggiava per tornare a Venezia. Nel testamento, redatto il 18 luglio nel Castello di Klamm presso Schottwien nella Bassa Austria, Priuli si dichiarava scapolo e senza discendenti salvo il nipote Baldassare, figlio di suo fratello Francesco residente a Venezia nella Contrada di Santa Sofia.

Intanto nella stessa Contrada di Santa Sofia, la Ruga Do Pozzi apparteneva di fatto quasi per intero al Nobile Alvise Benedetti che aveva lì il suo palazzo di famiglia dove ospitava l’Ambasciatore di Mantova per 324 ducati annui. Più tardi il Palazzo Benedetti passò in proprietà a Zuan Antonio Zen, e venne diviso in molte parti che vennero concesse in affitto. Da una parte della Ruga Do Pozzi i Benedetti affittavano 3 caxete per 12 ducati, un’altra casa per 18 ducati annui, e 4 pianoterra per 5-9 ducati annui, mentre dalla parte opposta della Ruga affittavano 3 caxette per 16-18-20 ducati annui, e 3 pianoterra per 6 o 6 ½ ducati annui … Nel 1582 Piero Benedetti quondam Vincenzo affittò a Nano Bernardo (a 30 ducati annui), a Franzina Spagnola (a 16 ducati), a Vittoria quondam Francesco de Vegia(27 ducati), alla vedovaFaustina (12 ducati), a Mattio Veronese(12 ducati), a Zuan Battista Fiorentino(32 ducati), a Cecilia de Zuane(11 ducati), a Isabella Anzelini(40 ducati) e ad Alvise d’Orfici(14 ducati).

Cecilia Nani vedova di Vincenzo Benedetti affittò, invece, a Bettina Drezza(30 ducati), a Nadalin Lion(32 ducati), a Laura di Benedetti(36 ducati), e con Piero Benedetti a Catarin Testor(5 ducati), e a Marco Napolitano Sartòr in Rialto per 15 ducati annui.

Il tutto avvenne prima del 1658 quando Vincenzo quondam Pietro Benedetti venne ferito a morte da dei ladri nel suo stesso palazzo portando all’estinzione il suo Ramo familiare ... Ancora nel 1745 il Pittore Jacopo Amiconi abitava in Ruga Do Pozzi insieme a Francesco Nassi Prete Napoletano pagando insieme 95 ducati annui.

Nel Sottoportico e Ponte della Guerra di Campo dell'Erba o della Guerra o Priuli a Santa Sofia un tempo di tenevano certi combattimenti ... Nello stesso Campo dell’Erba nel 1661, ai tempi del Piovan Prè Lorenzo Crappi, in una stessa Ruga di case si contavano ben 68 alloggi tutti affittati e di varia capienza e valore che procuravano un guadagno annuale di 1.063 ducati.

59 case venivano affittate a Nobili percependo in totale 833 ducati: ai Basadonna (16 ducati), tre parti di palazzo ad Alvise, Bortolo e Lucrezia Cappello (593 ducati), 4 case a Francesco Gussoni (42 ducati), due case ad Orsetta e Zuanne Nani (20 e 26 ducati), un’altra casa a Zuanne Querini (14 ducati), due case ad Andrea Renier (65 ducati), e altre tre a Betta e Domenego Zane  per 58 ducati.

Altre 7 case venivano affittate per complessivi 110 ducati annui a persone non Nobili ma ugualmente benestanti e capaci di pagare come Pietro Cimiani (12 ducati), Zuanne Dal Mal (12 ducati), Pietro Facchinelli (8 ducati), Pietro Mattaccini (42 ducati), Simon Porta (12 ducati) e Giacomo Valvassor (24 ducati).

Due case, infine, venivano affittate anche alla Scuola Grande di San Rocco(uno degli enti religiosi più ricchi di Venezia e proprietario di un numero ingente d’immobili sparsi ovunque) che pagava 120 ducati annui.

A seguito del testamento della Nobile Isabella Zen, la Procuratoria di San Marco dispose fra 1551 e 1555 di dividere la sua proprietà in Calle, Corte e Ramo degli Albanesi in 13 alloggi popolari da concedere per 8 ducati annui a piccoli artigiani, vedove ed immigrati stranieri.

Gran parte di quegli edifici, rughe di case, e frazioni di palazzo esistono ancora oggi. 


C’era poi, e c’è ancora oggi più che mai in fondo alla Calle del Traghetto: la magica Cà d’Oro su cui esistono libri e volumi di ogni sorta, nonché resoconti, documenti, studi e analisi storiche di ogni tipo, forma e gusto.

Che altro si potrebbe dire meglio e di più su di lei ? … Nulla.

 

Quella gotica ed elegantissima “Casa da Stazio” era ed è un raffinato gioiello unico Veneziano che ha preso il nome dalle superbe decorazioni della facciata che un tempo erano molto più ricche e vistose di adesso. Sembra che la facciata fosse tutto un tripudio di smalti rossi e azzurri intarsiati in oro voluta dal suo committente il ricchissimo Mercante Marino dei Contarini di San Felice nato da Marchesina Giustinian e dal quondam Antonio “del dèo”(del dito) Procuratore di San Marco, Provveditore a Zara, Ambasciatore presso Alessandro V e al Concilio di Costanza, che aveva acquistato sullo stesso posto un vecchio edificio detto la “Cà Granda” di proprietà dei Nobili Zeno: famiglia di sua moglie: Soradamor Zeno di cui investì anche la dote per riuscire nell’acquisto.

MarinoContarini si emancipò presto dal padre e dalla famiglia con rogito Notarile presso Marco Raffanelli, e navigò tutto il Mediterraneo dedicandosi al cambio marittimo e al prestito a breve termine, e collocando fondaci e basi commerciali “di famiglia” attentamente gestiti da agenti di fiducia alle Baleari, a Valencia in Spagna e ad Alessandria d'Egitto.

Il Ramo principale dei Contarini era residente alla Madonna dell’Orto: erano una delle Famiglie Apostoliche “di Casa Vecchia” di Venezia, filoPapali e di supposte origini Romane, e fra le più antiche e  “fondatrici”della realtà Nobiliare della Serenissima. I Contarini erano anche fra le Casate Nobiliari più numerose in quanto durante il 1500 si contavano 1.523 nuclei familiari di Contarini sparsi per tutta la città.

Nella loro storia annoverarono ben otto Dogi: Domenico(1041-71); Jacopo (1275-80); Andrea (1367-92); Francesco(1623-24); Nicolò (1630-31); Carlo(1655-56); Domenico (1659-75) e Alvise(1676-84), e molti Contarini ricoprirono importanti cariche Ecclesiastiche, politiche, diplomatiche, economiche, militari, e letterarie. I Contarini della Madonna dell’Orto acquisirono attraverso matrimoni mirati vasti possessi fondiari nel Padovano; ilRamo dei Contarini dal Zaffo finì perfino con l’insediarsi a Giaffa in Siria dove divennero nel 1473 Conti di Giaffa con Giorgio Contarini, e per questo insigniti a Venezia del Cavalierato e della Stola d’Oro; c’erano poi i Contarini dal Bovolo(definiti così per la loro la bellissima scala del loro palazzo) residenti nella Contrada di San Paterniàn; i Contarini di San Silvestro; quelli di San Beneto; i “degli Scrigni o Corfù”; i “dalla Porta di Ferro”; i Contarini dei Santi Apostoli o "dalle scoàzze"; i Contarini dei Cavalli e altri ancora.

L’attuale capolavoro della Cà d’Oro è il frutto di un lungo lavorio perpetrato nel tempo e prolungato per anni dal 1421 a dopo il 1440, e realizzato da un gruppo di abili artigiani e Mastri fatti pervenire appositamente a Venezia: soprattutto Mastro Marco di Amedeo Muradòr, Mastro Zuanne Bon Taiapiera col figlio Bartolomeo e due garzoni che realizzarono il portico, la facciata a guglie e la vera da pozzo. Alla realizzazione della Ca’ d‘Oro parteciparono inoltre anche Mastro Matteo Reverti da Milano Lapicida che s’inventò la scala scoperta del cortile e il traforo della loggia del primo piano, e Mastro Niccolò Romanello che realizzò diverse raffinate decorazioni e capitelli. 

Nel 1431 Marino Contarini fece ricoprire con 23.000 fogli d’oro e con lapislazzuli dal pittore francese Jean Charlier detto Zuane de Franza Pentòr da Sant’Aponal la facciata in pietra d’Istria, le finestre, gli archi, alcuni capitelli e decorazioni.

Poi dopo un po’ di anni Marino Contarini si sposò di nuovo, stavolta con Lucia Corner dalla quale ebbe il figlio Pietro suo erede universale che a sua volta diede il palazzo in dote alla figlia che sposò Pietro Marcello che la spartì con i Loredancon i quali si sposò una nipote Elisabetta.

Sembra la cantilena di “Alla Fiera dell’Est” di Branduardi … perciò vi risparmio tutto in resto … E così, di mano in mano e di famiglia in famiglia, la Ca' d'Oro passò ai Molin, ai Zulian, ai  Donà delle Rose, ai Veniere agli Zen che frammentarono il palazzo lasciandolo andare in degrado tanto che, fra 1802 e 1808, l’uomo d’affari Giacomo Pezzi potè acquistarlo come “bene rovinoso”, prima che l’edificio finisse ai proprietari moderni ossia Moisè Conegliano, che a sua volta nel 1846 vendette la Cà d’Oro al Principe Russo Alessandro Trubetzkoyche ne fece dono alla sensuale ballerina Maria Taglioni che aveva trionfato al Teatro Gallo a San Beneto ammaliando spasimanti su spasimanti che le regalarono uno dopo l’altro: Palazzo Barzizza a San Polo, Palazzo Giustinian Businello a Sant’Aponal, Palazzo Giustinian Lolin a San Samuele, Palazzo Corner Spinelli a Sant’Angelo, e quindi la Ca' d'Oro che fece restaurare in maniera discutibile dall’architetto Giovanni Battista Medunanel 1865.

In seguito fu il turno del Marchese Tavoli di acquistare il palazzo nel 1890, e ne affittò gli appartamenti allo storico Pompeo Molmenti e alla famosa e celebratissima Contessa Annina Morosini amica dei grandi dell’epoca. Alla fine, nel 1894, si arrivò al “tristo” ma generoso Barone Giorgio Franchetti che nei primi decenni del Novecento spese denaro, idee ed energie per “salvare” quel che rimaneva della prestigiosa Ca’ d’Oro prima di spararsi un colpo in testa perché malato inguaribile. Oggi è seppellito sotto a una colonna a pianoterra del “suo palazzo” della Ca’ d’Oro.

Tornando ancora una volta a Santa Sofia e alla sua Contrada, la Schola del Santissimo o del Venerabile, o Confraternita del Corpus Dominidi Santa Sofia pagava anch’essa “un livello di lire 12”al Capitolo dei Preti di Santa Sofia per essere ospitata in chiesa e per celebrare una serie di Messe ed Esequie. La Schola era nata su espressa richiesta del Piovano e della gente della Contrada presentata al Consiglio dei Dieci e autorizzata nell’agosto 1507.

La “Banca della Schola del Santissimo”garantiva come da Mariegola e Statuto il pagamento della celebrazione di una “Messa in terzo” con Canto e Organo e una Processione intorno alla chiesa ogni ultima domenica del mese, e una "Messa Bassa ma cantata” ogni giovedì della settimana. Le offerte per pagare tali cerimonie e per sovvenire a domicilio i poveri e gli infermi della Contrada venivano raccolte in una cassetta posta in chiesa ma anche da delle questue che venivano effettuate in tutto il territorio della Contrada ogni quattro mesi: la Vigilia di Ognissanti, il primo sabato di Quaresima, il giorno dell'Assunta.

Praticamente insieme alla Comunione portata solennemente a domicilio al suono delle campane di Santa Sofia, gli assistiti della Schola percepivano anche un’utile bustarella che provvedeva a sostentarli almeno in parte. (Nel 1507 la Schola offriva a ogni malato: “un Marcello”al mese).


Una nuova convezione con i Preti del Capitolo di Santa Sofia venne redatta nel 1581 concedendo alla Confraternita l'uso di una stanza sopra alla Sacrestia e stabilendo di far diventare Altar Maggiore quello della Schola. La Confraternita in cambio s’impegnava a mantenere accesa in chiesa una lampada perenne, e a provvedere al restauro della Cappella del Santissimo inserendovi dentro anche due Arche per seppellire i propri Confratelli. 

Nell’agosto 1680 il pittore Ottavio Arnos dispose per testamento di provvedere ogni anno con alcuni beni lasciati alla Schola alla distribuzione di una quindicina di “grazie”di 10 ducati l'una “a donzelle di buoni costumi per sposarsi o monacarsi”. Nel 1720 erano giacenti inevase e non ritirate 285 “Mandati di Grazia” provenienti sempre dai finanziamenti della stessa Comissaria Arnos.

Nel 1700 il Guardiano, il Vicario e lo Scrivano della Schola del Santissimo commissionarono a Giuseppe Torretti un baldacchino intagliato per l'Esposizione del Santissimo spendendo 248 lire. Appartennero alla Schola del Santissimo di Santa Sofia sia l’Architetto Andrea Tirali, Proto e Magistrato alle Acque che ottenne nel 1706 dai Provveditori da Comun d’essere esentato (in cambio di 50 ducati d’offerta al Santissimo) dall'incarico di Vicario in quanto troppo oberato da impegni di lavoro; sia il celebre organaro Gaetano Callido che fu Guardiano della Schola del Santissimo nel 1790, e consegnò “una grazia” di 15 ducati a Elisabetta Zanardi dandole 25 anni di tempo per sposarsi o monacarsi.

Alla Visita del Patriarca Barbarigo nel 1710 quando in Santa Sofia c’erano ancora 15 Preti, e il Piovano Pietro Leoni con Prè Broggia e Prè Zio affermavano che: “tutto procedeva bene e a dovere, e tutti i Preti vivevano con giusta morigeratezza e senza scandali”, alcuni Preti del Capitolo di Santa Sofia: Prè Vincenzi Terzo Titolato, Prè Biasutti, Prè Cecchini, Prè Poloni e Prè Pasiniprecisarono, invece, che: “… il Piovano è sempre assente ai Sacramenti … che gli stessi non vengono amministrati a sufficienza dai Preti di chiesa … che non vengono ben distribuite le rendite dei beni di Zero … che non si suonano le campane quando si porta la Comunione nelle casa degli Infermi … che parte del Clero di Santa Sofia da scandalo ai fedeli con le sue dissenzioni … che non porta la tonsura, nè la veste talare … che si comunica poco … che la biancheria di chiesa non è pulita … che si alterca in Capitolo per la distribuzione dei proventi dei Funerali … che non ci sono Confessori sufficienti in chiesa … che qualcuno in Contrada muore perfino senza Sacramenti … e che i poveri della Contrada sono malamente aiutati.”

Pre’ Pisenti Sacristagiunse ad affermare in maniera severa: “… che molti Titolati disertano i Divini Uffici … discorrono in chiesa con cattivo esempio ai fedeli … celebrano in vesti smanicate, non attendono alle Confessioni … e che i Chierici Gambaro e Venier sono poco timorati di Dio, frequentano spesso l’Osteria della Malvasia, e si comportano in chiesa in modo scostumato facendo gli amoretti …”

Sempre la stessa Schola del Santissimo era abbastanza ricca e fornita di beni e capitali: nel 1772 spese 200 ducati per rifabbricare l’Albergo ossia la sede del Capitolo della Scholanel 1797 fu costretta a consegnare in Zecca:cinque lampade, due aste processionali, sei candelieri, un secchiello con aspersorio, e un ostensorio … il tutto in argento ... La preziosa Mariegola o Matricola della Schola del 1588 che era ricoperta di velluto rosso e di finimenti d’argento andati venduti è conservata oggi al Museo Correr di Venezia … Ancora nel 1803 alla Visita del Patriarca Flangini la Schola del Santissimo finanziava la celebrazione di 220 Messe annue che venivano celebrate in Santa Sofia.

Tornando alle liti e alle controversie del 1500 da cui eravamo partiti, nel 1568 il Piovano Pre Tommaso Bianco litigò a lungo con Barbon Morosini per la demolizione di un muro del portico … ma oltre le controversie si giunse anche a finanziare molti artisti che dipinsero, abbellirono e arredarono Santa Sofia: Leandro Bassano collocò in chiesa un’ “Adorazione dei Pastori”, una “Nascita di San Giovanni Battista”, e i “Simboli dei quattro Evangelisti”sul soffitto dell’andito prima d’entrare in chiesa dove c’era anche un Capitello con “Padre eterno e 2 angeli” di Baldissera d’Anna autore anche di una “Crocefissione”e di una “Risurrezione” collocati all’interno.

Jacopo Palma il Giovaneprovvide a realizzare una “Madonna Annunciata di Firenze” per la Cappellina fatta costruire dal Fiorentino Strozzi, e poi dipinse pure due portelle d’organo “figurando in essi un’“Adoration dei Magi” al di fuori, e nel di dentro un “San Giovanni e San Marco” Domenico Tintoretto dipinse un “Sposalizio di Maria” e una “Madonna col bambino”  Paolo Veronese(che abitava nella vicina Contrada di San Felice appena giù dal ponte) collocò sopra la porta maggiore di Santa Sofia un’ “Ultima cena”Joseph Heintz realizzò per l'Altare Maggiore un “Battesimo di Cristo”, e Francesco Bassano un “Gesù che predica al popolo”… Il Muranese Leonardo Corona dipinse l’“Assunta con gli Apostoli”,Alvise dal Friso detto Benfatto un’“Ascensione”, un “Gesù nell’orto” e un “Gesù al Calvario”Andrea Michieli detto il Vicentino dipinse una “Maria che presenta Gesù a Simeone”Giovanni Segalla una “Madonna e Santi con Venezia”… e infine Angelo Trevisani un “San Lorenzo Giustiniani”.

Fin dal 1570 e dopo aver studiato pochetto, Antonio Priuli entrò al servizio della Repubblica con la guerra di Cipro divenendo per due volte Governatore di Galea e “Venturiere” dell’armata, ossia alla testa di un gruppo armato autofinanziato che agiva a favore della Serenissima. Tre anni dopo ottenne il Provveditorato di Peschiera, e nel 1580 sposò Elena Barbarigo figlia dell’eroico ammiraglio Agostino della Battaglia di Lepanto del 1571 dalla quale ebbe sei maschi e otto figlie. Era nato nel 1548, secondogenito di Girolamo del Ramo degli Scarponi di San Felice e di Elisabetta di Michele dei Cappello del Ramo di San Polo. Aspirò al Dogado per ben tre volte: nel 1606, 1612 e 1615, superato prima da Marcantonio Memmo e poi da Giovanni Bembo. Si accontentò allora d’essere Provveditore Generale in Terraferma durante la prima guerra del Monferrato (1613-14); e Provveditore Generale delle armi in Terraferma et Istria durante la guerra di Gradisca contro gli Uscocchi di Segna al tempo della Pace di Madrid con l’Arciduca Ferdinando d’Asburgo ... e già che c’era prima di diventare Doge ricoprì ben 75 Cariche o “Dignità della Serenissima”, compresa quella per cinque volte di Riformatore dello Studio di Padova dove apprezzò Galileo Galilei per le sue scoperte, gli aumentò lo stipendio, e lo difese con la Signoria dall’Inquisizionefino alla sua partenza per Firenze nel 1610.

Mentre si trovava a Veglia insieme al Procuratore di San Marco Girolamo Giustinian nel maggio 1618, Antonio Priuli ricevette la notizia della sua elezione a Doge succedendo a Nicolò Donà che l’aveva preceduto ancora una volta. Durante la cerimonia d’insediamento distribuì al popolo oltre 3.000 ducati e si dice che nel tradizionale giro di Piazza in Pozzetto portato dagli Arsenalotti abbia distribuito pane, vino, barili di Moscato, prosciutti e dolci in abbondanza. In seguito guidò la Serenissima nella Guerra dei Trent’anni.

Nel 1622 disputò aspramente e senza successo tramite l’Ambasciatore Veneto Zeno col Papa Gregorio XV per ottenere il Vescovato di Brescia per suo figlio il Cardinale Matteo che era già Abate della Vangadizza. A Venezia si diceva che Antonio Priuli avesse speso 80.000 ducati per far diventare Cardinale suo figlio. Infine morì nell’agosto 1623 di ritorno da una gita sul Brenta, e venne sepolto nella chiesa di San Lorenzo secondo le sue dirette disposizioni.

Nel frattempo nell’ormai trascorso giugno 1581 era giunta in Contrada di Santa Sofia la Visita Apostolica compiuta da Lorenzo Campeggi Nunzio Papale a Veneziae da Agostino Valier Cardinale, Vescovo di Verona e Lettore di Filosofia Morale presso la celebre Scuola di Rialto. Si registrò che in Contrada abitavano in quell’anno: 3.000 Anime alle quali venivano somministrate 1.200 Sante Comunioni … In chiesa c’era Piovano Prè Luigi Della Torre con altri 3 Preti: Prè Francesco Dulcio assente perché contemporaneamente “curava Anime”a Orsagopresso Aquileia, Prè Pietro Tinco assente perché fungeva da Curato anche presso San Salvador, e Prè Girolamo Longo assente perché infermo. C’era inoltre: Prè Giovanni Battista da Acri col titolo di Diacono, e Prè Tommaso Mologno Suddiacono che avevano 205 ducati di rendita annuale, una casa per abitare, e gli “incerti di stola”, e altri 4 Chierici: Prè Sebastiano De Fracchinetti e Prè Paschalino da Motta“in minoribus”, e Prè Lorenzo Veneto e Prè Varisco che percepivano 20 ducati annui ciascuno, mentre la Fabbriceria di Santa Sofia assommava a un bilancio annuale di soli 5 ducati … Nella stessa chiesa si celebravano 5 Mansionerie di Messe quotidiane che fruttavano 123 ducati annui … c’era attivo anche un lascito particolare “per maritar donzelle”.

Nell’insieme l’esito e il giudizio della Visita Apostolica fu positivo, anche se: “… s’abbisogna d’indorare i calici per la Messa, cambiare i tappeti degli altari, imbiancare la Cappella Maggiore, rifare il pavimento, e dipingere il soffitto della chiesa, comprare un Messale e un Salterio nuovi ...”

Solo Prè Girolamo Longo“assente perché infermo” venne richiamato e condannato severamente perché “scandaloso”, cosa che gli capitò di nuovo in quanto recidivo alla Visita del Patriarca Priuli nel 1593. Marco Malardi laico di chiesa, infatti, andò a raccontare al Patriarca che Prè Gerolamo Longoinsieme a Prè Nadalin andavano sempre al Magazèn (osteria) in Calle delle Vele dopo Nona “a bere un gòtto de Malvasia e far scommesse e portandosi vino a casa.” … anche Ginetto Caenèlla Nònzolo della Schola della Madonna confermò i vizietti dei Preti che si ritrovavano spesso in casa di Prè Pasqualin… mentre Lorenzo Barbitonsore e Giovanni Nònzolo della Schola del Santissimo raccontarono che “tutto andava bene nella Contrada”.

Alvise PriuliPodestà di Bergamo fu colui che diede il nome alla Via Priula costruita tra 1592 e 1593 per collegare Bergamo a Morbegno. Sempre lo stesso Alvise Priuli riferì a Venezia che a Clusone in Val Serianavenivano commessi molti disordini nell’amministrazione della Giustizia Penale.

A fine secolo quando gli abitanti del Confinio di Santa Sofia erano scesi a poco più di 2.300, la Contrada pagava 4 ducati per la “Texa praeceptoris Sexteriis Canalis Regii”ossia per la Scuola Sestierale Pubblica che raccolse nell’intero Sestiere di Cannaregio un totale di 74 ducati. La Scuola Sestierale aveva sede proprio a Santa Sofia, e il Patriarca Lorenzo Priuli aveva concesso licenza a Bartolomeo Nardo della Diocesi Cenetese di aprirla e gestirla.

In quegli anni c’erano diversi Maestri privati e pubblici che lavoravano in zona: c’era il Maestro Baldo Antonio Penna Chierico di 47anni originario di Aquileia che era “Prete Seculàr et Dottor dell’una e dell’altra Legge et Publicus Humanorum litterarum Professor” ... Agli scolari leggeva: “le Epistole familiàr de Ciceron, un aletion de logicha et la instituta ... Oltre ad insegnar dovea anche riveder i libri che vanno in stampa che non siano contro la Fede Cattolica e contro li principi et contra i boni costumi ... Dicea di aver ammaestrato in diversi tempi 5.000 studenti, e insegna a 50 alunni …”

Insieme a costui insegnava anche Johannes D’Ogniben quondam Johannis Anthoni, che era un laico di 57 anni: “… è Magister abbachi di 20 alunni in Contrada di Santa Sofia ... Anche suo padre era Maestro, e insegna a lèzer, scriver et abbaco, e a tegnir conto de libri che chiameremo quaderno ... Lèzeno el Donado, el Fior de Virtù et Marco Aurelio ... Tutti i altri fa abbaco.”… C’era, infine, anche Aloysius Lioni quondam Petri, laico di 50 anni: “… insegna a lèzer et scriver et abbaco a 80 alunni a Santa Sofia, dove insegna da 30 anni: Vita Cristiana, Fior de Virtù et le cose moral, e Marco Aurelio Imperator…”

La chiesa e la Contrada di Santa Sofia ospitavano pure la Schola dell’Arte di San Luca dei Dipintori e Cuoridoro: la varietà dei Colonnelli” in cui era suddivisa al suo interno l'Arte della Schola, rende l'idea di quanto ampia fosse stata la varietà dei prodotti che venivano fabbricati e venduti e patrocinati dagli artigiani che erano iscritti e facevano parte a quella Schola specifica. Gli Artisti, ad esempio, che non risultavano iscritti all'Arte di San Luca non potevano vendere "Ancone"(dipinti e icone) in tutta Venezia sotto pena di 20 lire di piccoli per ogni vendita impropria”(eccetto i giorni della Fiera della Sensa in Piazza San Marco dove chiunque poteva vendere qualunque cosa). A questa limitazione erano soggetti e compresi gli Specieri, i Ricamadori, i Libreri da carta bianca e da conti, i Coffanèri o Cassellèri(decoratori di casse per corredi nunziali e forzieri), Cuoridoro(dipingevano tappezzerie in cuoio dorato o argentato), i Miniadori, gli Indoradori, i Targhèri, i Depentori, i Pittori, i Disegnatori, i Pignatèri, i Dipintori di travi e biancheria, i Maschereri, i Depentori da Elmi e Armature, i Depentori da Scudi o Scuderi, i Depentori da Selle, i Botegheri da quadri e colori e di tele imprimide con mestica, e i Coltreri da Tajo e da Ponto che non potevano mettere liberamente sul mercato: specchi, tessuti o oggetti decorati e dipinti.

Nel 1504 alcuni Giustizieri Vecchi condannarono dei Fruttaroli Veneziani perché scoperti a vendere abusivamente: "carte depente da zugàr"(carte da gioco e tarocchi dipinti) che erano spettanza e commercio solo della Schola dei Cartoleri (fabbricanti e venditori di carte da gioco)affiliati all’Arte dei Depentori.

Fin dal 1271 i Depentori di Venezia si consociarono in Arte di Mestiere, e  dal 1376 i Depentori si riunivano nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo vicino a Piazza San Marco prima di trasferirsi a San Luca e poi a Santa Sofia nel 1530, dove il pittore Vincenzo Catena permise per lascito testamentario di acquistare un terreno in Contrada “fra la chiesa di Santa Sofia e la Calle Sporca o Priuli” dove poter costruire: “su due solèri (piani), con quattro finestre per piano, e affacciata sulla strada” la nuova sede della Schola.

Ancora oggi si possono notare sui pilastri d'angolo di sinistro e destra dell’edificio i due bassorilievi ovali che raffigurano l’Evangelista San Luca con suo simbolo del Bue intento a dipingere. La Sala del Capitolo si trovava al secondo piano e conteneva dipinti di Jacopo Palma il Giovane, Pietro Liberi, Alessandro Varotari detto il Padovanino, Battista Del Moro e Domenico Mancini.

Fra gli altri era Confratello di quella Schola il pittore Gentile da Fabriano che abitava proprio in Contrada di Santa Sofia, e lavorò a Venezia dopo il 1425 su commissione del Senato nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale dove dipinse “Il conflitto navale fra il Doge Ziani e Ottone figlio di Federico Imperatore” ottenendo dalla Serenissima una pensione annuale e il privilegio di vestire “la toga al modo dei Nobili Patrizi Veneziani”.

L’Arte di San Luca nel suo insieme era considerata poverissima, anche se nel 1522 concedeva 6 Grazie di 10 ducati l’una a 6 donzelle di almeno 15 anni per maritarsi o monacarsi … il suo Gastaldo o Sindaco doveva però saper leggere e scrivere, e il suo Nonzolo aveva il compito di esporre “il penèlo della Schola (gonfalone) nelle feste di San Marco, Pasqua, Natale, Sensa, Pentecoste e soprattutto nel giorno di San Luca(18 ottobre)Patrono dei Depentori. Portando lo stesso “penèlo” il Nonzolo doveva aprire il corteo funebre e partecipare anche ai Funerali dei Confratelli Dipintori fino a “consegnarli” all’Arca della Schola.

Nel 1588 gli iscritti all’Arte de San Luca de Depentori pagavano ogni anno il giorno di San Luca i 30 soldi della Tassa “Luminaria” ricevendo in cambio “Pan e candela”. La Schola giunse anche a contrastare col Capitolo della Basilica di San Marco perché non offriva regolarmente “cere bòne” alla chiesa del Doge. Il Gastaldo dei Depentori si recò allora in Basilica con alcuni Compagni della Schola con stendardi ed insegne, e offrì al Doge 30 torzetti da 1 lira e 2 torzetti da 2 lire intonsi come segno di riparazione.

Nel 1626 quando era Piovano di Santa Sofia Prè Giovanni Turatto: Antonio De Aleardi Gastaldo dei Cuoridoro propose alla sua Arte di ritornare presso la chiesa di San Luca, e offrì per la Festa Patronale di quel Capitolo 2 ducati annui e altri 4 ducati per allestire addobbi e pagare Cantori e Sonadori ... Nel 1651 chi vendeva abusivamente Maschere in giro per Venezia doveva pagare alla Schola 2 ducati annui di multa. Ancora nel maggio 1782 i Maschereri e il Colonnello dei Dipintori presentarono all’Inquisitor alle Arti una supplica contro l’illecita concorrenza di estranei che producevano “Maschere” ricorrendo al “lavoro nero” e rivendendo poi il prodotto all’estero: “… Essendo però incombenza dell’Arte nostra il formare e vendere volti ad uso di Maschere, non solo per la Dominante, ma molto più per esteri Stati, costretti siamo rivolgliersi a certe donne la di cui incombenza si è di formare di scheletri quali poi da noi terminati con pittura e cera, servono questi a sostegno dell’Arte nostra e mantenimento delle povere nostre famiglie ... Insorti dunque in questi ultimi recenti tempi diversi contrafacenti, quali, non ascriti in Arte, si fanno leciti assumere in sé di nascosto commissioni per esteri Stati, trovando il modo di suplir alle medeme perché facile e comodo li riesce il provvedersi dalle suddette donne delli suaccennati scheletri piturati, poscia questi supliscono alle suddette commissioni che senza tali contrafacenti e comodo della comprenda de scheletri medemi, impossibile le si renderebbe il dar esecuzione a tali commissioni: oltrechè da tal libera vendita di dette donne ne nasce che persone anco di estero Stato, facendosene provista, portano con ciò l’Arte fuori del Stato. Motivo per cui l’Arte nostra a poco a poco verebbe a distrugersi … Suplicano perciò genuflessi che dall’innata Pietà e Giustitia dell’Eccellenza vostra venghi permesso e rilasciato un comandamento penale a dette donne, acciò, intercette in tal modo ad esse la libera disposizione e vendita a contrafacienti et estere persone, siano costrette il solo farne l’esito a CapiMastri; i quali con venerazione soccombono agli aggravi che dal Sovrano suo Principe li viene addossati, e perciò sperarne a simili contrafazione la venerata Giustizia e Protezione, per sollievo dell’Arte nostra e delle proprie famiglie …”

Nel 1682: il Senato rilevò che su 200 Pittori presenti in Venezia solamente 30 erano iscritti all’Arte dei Depentori: “Tutti sono tenuti ad iscriversi per il buon ordine dell’Arte. I Pittori foresti sono tenuti all’iscrizione dopo 6 mesi di permanenza a Venezia.”In seguito i Pittori ottennero di separarsi dagli altri rami dell’Arte divisa in più di 100 botteghe costituendo un “Collegio dei Pittori” con Banca propria di: Prior, Consiglieri, Conservadori, Tansadori e Scodidori che inizialmente si riunirono in casa del Pittore Cavalier Liberi ... Solo nel 1750, infatti, il Senato istituì la Pubblica Accademia di Pittura e Scultura,che al tempo del Prior Giacomo Marieschi prese sede sopra al Fontego della Farina sulla Riva di San Marco.

Secondo un Inventario del 1762 “de’ Depentori rimasti a Santa Sofia”,che il Gastaldo Pellegrin Arzentini passò in consegna al suo successore, si legge:“… nella Schola di conservano un Crocifisso di bronzo dorato per l’Altar … un soraporta in Sacrestia di cuoridoro con l’immagine de Gesù Cristo che porta la Croxe istoriato ... La Sacrestia è tutta fornita di cuoridoro con sottobalcon e soprabalcon … 10 brazzaletti di ferro dorati per l’Altar … 1 pezzo “de cuoro” in fondo la prima scalla, con adornato di fiori e frutti naturali e con l’immagine della Beata Vergine e San Luca … 1 quadro in Sacrestia con l’immagine di San Luca, di pittura buona antica, con soaza d’oro … 2 Reliquiari di legno dorati nelle sue custodie, uno per parte dell’Altar … 1 Reliquiario di legno dorato con “Ossi de’ Santi Nocenti” … 1 detto senza reliquia … 2 Anzoli, un per parte dell’Altar, di legno dipinti … Al secondo piano gli ambienti della Schola contengono sul soffitto del primo pianerottolo un dipinto di Angelo Mancini: “Madonna con bambino”, e una tavola dell’Altare del Polidoro. Di sopra ci sono diversi quadri di Giulio del Moro: “San Luca ed un altro Santo Vescovo”, “Ritratto di Giulio del Moro” e “Cristo che da la mano a San Pietro sulle acque”. Ci sono inoltre lavori di Pietro Liberi, un chiaroscuro di Bernardo Strozzi: “Gesù  tra Mosè ed Elia”, “San Luca che predica” e “La pittura”  di Jacopo Palma, un “Buon smaritano” di Alessandro Varottari, e un’ “Annunziata” di Angelo Mancini con ai lati un “Miracolo di Cristo” e le “Tentazioni di Cristo”.

Ancora nel 1773, i Dipintorierano attivi il 35 botteghe con 100 iscritti all’Arte, di cui 17 erano Garzoni, 34 Lavoranti e 49 Capimastri. I Disegnatori di Stoffe, invece, lavoravano in 3 botteghe, ed erano 11 di cui 5 Lavoranti e 6 Capimastri; i Cuoridoro erano 11 attivi in 4 botteghe; e gli Indoradori: 144 in 33 botteghe … Nel 1797 quando l’Arte Riunita de Depintori pagava al Capitolo di San Luca 12 lire e 8 soldi, e “impiantava stendardo” spendendo 88 lire 88, gli iscritti erano: 263 in totale ... Infine nel 1807 l'Arte dei Pittori venne soppressa. Il Demanio ne incamerò tutti i beni, e l’edificio della Schola venne venduto a privati che lo trasformarono in abitazione, panificio e bottega.

All’inizio del 1600 il Patrizio Sebastiano Cappello residente in Contrada di Santa Sofia, lasciando rendite ad entrambi i Monasteri, chiese e ottenne dalla Badessa del Monastero delle Benedettine dei Santi Cosma e Damiano della Giudecca dove sua figlia Contarina viveva come Monaca d’essere sepolto in una cripta della Cappella del Santissimo già concessa anche i Nobili Venier. In quel sepolcro di famiglia fece convergere anche i corpi della sua prima moglie Contarina e della figlia Morosina sepolti nel Monastero sempre di Benedettine di Santa Croce della Giudecca dove viveva come Monaca un’altra sua figlia Grazia… Cinque anni prima, vivevano a Venezia: 1.967 maschi Nobili sopra i 25 anni appartenenti a 139 Casati diversi. Fra costoro: i Contarini erano: 100, i Morosini: 68, i Querini: 54, e i Malipiero e i Priuli: 52 ciascuno … Zuan Francesco Priuli fu in quegli stessi anni l’artefice principale dell’ammortamento del Debito Pubblico … spedì a un suo agente a Pera panni di lana della sua bottega: “roba squisitissima e panni di seta comprati con molta diligenza” ... Viceversa: Antonio Priuli del Consiglio dei Dieci commerciava in diamanti per molte migliaia di ducati ... Fece partire da Venezia per Tripoli più di 2 milioni d’oro: la metà in contanti e il resto in “pannina, panni di seta e altre merci”.

Nel giugno 1603 Francesco Priulivenne nominato Savio di Terraferma dal Senato della Serenissima che in realtà voleva impegnarlo economicamente come Ambasciatore in Spagna dove fu costretto a recarsi l’anno seguente. Lì dovette interessarsi dei frequenti sequestri di navi Veneziane da parte dei corsari spagnoli, dell’aggressiva politica del Governatore del Ducato di Milano, e dell’Interdetto. Il Nunzio Pontificio Giovanni Garcia Millinicercò più volte di scomunicarlo per impedirgli di rimanere accanto al Re. Filippo III, invece, lo nominò Cavaliere, e quando tornò a Venezia relazionò in Senato sul punto di vista della Corte Spagnola circa l’Interdetto imposto dal Papa su Venezia. Pur essendosi ammalato, Francesco Priuli accettò ancora di diventare Ambasciatore alla Corte Cesarea di Praga nel 1609 da dove aggiornò di continuo il Collegio della Serenissima e Fra Paolo Sarpi circa le liti tra Rodolfo II e i suoi fratelli circa la successione ormai imminente … Infine morì, sempre a Praga nel maggio 1610. Era nato nel 1570 a Venezia nel palazzo di famiglia in Contrada di Santa Sofia, da Lucrezia Contarini e da Michele di Francesco, e pur essendo un “Nobile devotissimodi grande cultura e pregio e con copiosa libraria”, rifiutò una ricchissima Prelatura Ecclesiastica preferendo servire lo Stato per il quale divenne Diplomatico al seguito di Francesco Vendramin (futuro Patriarca di Venezia) e Ambasciatore in Spagna nel 1592. Nella penisola iberica imparò a parlare il Catalano, viaggiò moltissimo e tenne un diario sulla Spagna e i suoi usi e costumi, poi rientrato a Venezia divenne Savio agli Ordini, e Ambasciatore presso il Duca di Savoia nel 1600.

Nel 1606, ai tempi di Prè Domenego Querengo Piovano di Santa Sofia e Canonico della chiesa Ducale di San Marco, sulla scia di un decreto del Senato del 1529 si istituì in ciascuna delle 69 Parrocchie-Contrade Veneziane una Fraterna per i Poveri provando a risolvere la mendicità dilagante in città e in Laguna conseguente a guerre, epidemie e carestie. La Fraterna dei Poveri di Santa Sofia era presieduta dal Piovano e composta da 300 fra Mercanti, Nobili, Cittadini, Artieri e Bottegai che s’impegnarono da essere: “Custodi et deputadi delli poveri et infermi di essa Contrà esercitandosi quelli di sovvenir et consolar gli infermi et famiglie bisognose, provvedendo a loro di Medico, medicine et dinari delle cerche fatte in essa chiesa a questa istanza”. Si raccolsero fondi, elemosine e lasciti testamentari a favore dei poveri della Contrada incapaci d’essere avviati al lavoro e segnati in appositi Registri, mentre la maggior parte dei foresti", invece, vennero rimandati ai loro luoghi d'origine. L’iniziativa non ebbe molto successo, perché poco dopo s’istituì a Venezia il grande Ospedale Pubblico che si fece del tutto carico della precaria situazione cittadina.

Girolamo Priuli sposò nel 1618 Franceschina Dolfin con una dote di 200.000-300.000 Ducati: un’enormità per quell’epoca ... Lorenzo Priuli, invece, sposò nel 1526 Zilia Dandolo figlia del potente Patrizio Marco, mentre loro figlio Giovanni sposò Isabella Giustinian… Infine Adriana Priuli sposò Francesco Corner del Ramo di San Polo che nel 1656 divenne Doge della Serenissima.

Nel 1622 uno zuccherificio di proprietà de Priuli posto in Contrada di San Canciano passò in proprietà a Grazioso fratello di Bartolomeo Bontempelli legato ad un livello di 18.000 ducati da pagare ... Due anni dopo, quando il Nobile Antonio Grimani lasciò in eredità fra le altre cose: 12.000 ducati investiti in un saponificio con la raccomandazione ai familiari di continuare in quell’iniziativa, Zuanne Dolfin, Agostino Nani e Alessandria Paolo Paruta esercitavano la Mercatura con Costantinopoli, mentre Alvise Mocenigo e Zuan Francesco Priulilavoravano con la Siria commerciando panni di lana. Giacomo e Giovanni Battista Foscarini dei Carmini si dedicavano al commercio dei grani insieme a Nicolò Donà e a Zorzi Corner di Giovanni I che si occupava anche di bestiame, e Antonio Priuli mercanteggiava legname in tutto il territorio della Dominante.

Nel 1642 nella Confinio di Santa Sofia vivevano 2.100 persone … nel 1661, quando Carlo Manzoni faceva il Frutaròl in Contrada, c’erano attive 75 botteghe (83 nel 1712) fra cui un “inviamento da Forner con casa e bottega” affittato per 160 ducati annui … Negli stessi anni venne rinnovato il tetto e il pavimento della chiesa, fu rifatto l’Altare Maggiore, ampliata la Sacrestia ad opera del Piovano Tommaso Curini e dell’Architetto Antonio Gaspari(che voleva ricostruire Santa Sofia alla maniera di San Marziale e San Moisè: ossia ad unica aula-navata centrale). Santa Sofia venne quasi rifabbricata a 8 altari (Santa Sofia, Santissimo, Sant’Antonio, Crocefisso, San Giovanni Battista, San Mattia, San Vincenzo e della Madonna) divenendo una tipica chiesa-bijoux Veneziana tappezzata di pregevoli opere d’Arte.

Alle Visite Patriarcali Morosini, Badoer, Barbarigo e Corner si confermò di volta in volta “la proliferazione” nell’edificio di “Madonne Vestite” di ogni sorta. Alla Visita del Patriarca Badoer nel 1695 si segnalò la presenza della Schola dell’Assunzione della Beata Vergine con un simulacro Mariano che possedeva molte vesti preziose … C’era poi una Madonna Annunziataricoperta di abiti ed ori … una Madonna del Pianto con argenterie, 21 abiti e 6 veli … e un’altra Madonna del Rosario ugualmente fornita d’argenterie, e rivestita anch’essa con 6 abiti e altrettanti veli “di pregevole fattura”.

Nel 1650 nacque Alvise Priuli da Marcantonio del Ramo di San Barnaba e da Elena Basadonna. Costui fin da giovanissimo ebbe “una fissa”: voleva diventare Auditore della Sacra Rota di Roma, un incarico un po’ insolito ma di certo al vertice della gerarchia ecclesiastica e della Curia Romana-Papale ... nonché una carica dal notevole interesse economico. Alvise iniziò la sua “scalata” fin da giovanissimo ottenendo prima il Canonicato del Duomo di Treviso, poi accompagnò l’Ambasciatore Michele Morosinipresso la Santa Sede di Roma ottenendo nel 1674 d’entrare fra i candidati all’Auditorato. Venne scelto però Antonio Paolucci, e Alvise si consolò assumendo il ricco e prestigioso beneficio dell’Abbazia di San Zeno a Verona che conservò per tutta la vita. Morto Paolucci di nuovo l’Abate Priuli tornò alla carica provando ancora una volta a conseguire quel benedetto Auditorato di Rota: finì di nuovo fra i quattro nomi proposti al Papa.

Perfino l’Ambasciatore Veneziano Girolamo Lando caldeggiò a nome della Serenissima la nomina del Priuli presso il Papa Innocenzo XI, considerando il Priuli come: “…soggetto per nascita, virtù et costumi che non può essere più proportionato a così grand’ufficio”.

Ma probabilmente dalla Nunziatura di Venezia, giunsero, invece, al Papa di Roma altre scritture anonime che stigmatizzavano la vita scandalosa dello stesso Alvise Priuli che aveva ben tre amanti di estrazione sociale diversa: una Nobile, una Monaca e una Cortigiana.

La prestigiosa nomina perciò si fece attendere e gli sfuggì ancora una volta ... Priuli però non si scompose.

L’anno seguente seguendo un percorso didattico facilitato: “more nobilium”, cioè riservato ai Nobili, ottenne a Padova il dottorato “in Utroque Jure”, e nell’ottobre 1689 coronò finalmente il suo sogno divenendo Auditore della Rota con l’appoggio del futuro Papa Ottoboni che era amico dalla famiglia Priuli: ce l’aveva fatta !

“Chi la dura la vince” , come si dice di solito … e il Priuli rimase Auditore della Rota per 23 anni fino alla morte ... non senza aggiungervi strada facendo qualche altro beneficio economico di contorno per integrare il suo già imponente patrimonio. Priuli assunse il beneficio dell’Abbazia di Villanova di Camposampieroche gli rendeva 2000 ducati annui (1692), poi la Prefettura dell’Università della Sapienza di Roma(1694), e il Cardinalato di San Marcelloche il Papa gli fece bramare e attendere fino al 1712 quando la sua carriera corse in discesa vedendolo eletto in diverse potenti Congregazioni Romane: quella dell’Immunità, del Concilio, dei Vescovi e dei Regolari. Già che c’era, divenne anche Protettore dell’Ordine della Santissima Trinità per il riscatto degli Schiavi e Camerario del Sacro Collegiofino alla morte che lo colse a Roma nel marzo 1720.

Alla fine lasciò i suoi libri e le sue numerose argenterie alle sue Abbazie; e dispose un cospicuo legato per il mantenimento di giovani Patrizi Veneziani presso il Collegio Clementino dei Padri Somaschi di Roma. Venne tumulato nella chiesa di San Marco di Roma in un sepolcro sontuoso ornato di statue, con tanto dl busto in marmo e dovuta iscrizione a perenne gloria … nei secoli dei secoli: Amen !

In Veneto intanto, nel 1659, si scavò la “Roggia Moranda di Ca’ Priuli” sul fiume Brenta, e l’acqua presa dalla Moranda di Ca’ Corner in Contrà delle Motte scorreva fino a Treville chiamandosi: Seriòla o Ceriòla Priuli… In Contrada e chiesa di Santa Sofia continuavano a funzionare diverse Schole che coinvolgevano i Veneziani della Contrada: la Schola dell’Assunzione della Beata Vergine, la Compagnia-Schola-Sovvegno di San Lorenzo Giustiniani, dal 1690 la Schola-Sovegno di San Francesco di Paola, e soprattutto la Schola della Madonna o dell’Assunta che pagava lire 20 di Livello al Capitolo dei Preti di Santa Sofia per Messe ed Esequie … Celebrava una Messa Cantata con Processione intorno al campo ogni prima domenica del mese ed il giorno della festa ... e ogni sabato: una “Messa Bassa” ... (Nel 1803 alla visita del Patriarca Flangini: Schiavon Pietro stramazzèr era ancora: Guardiano della Schola della Madonna) ... Nel 1591 negli ambienti della chiesa di Santa Sofia si scriveva: “… Si spenda quanto occorre per le bolle del “Perdon d’Assisi” ottenute da Roma ... Quanto si ricaverà dalle offerte del Perdon d’Assisi serva per maritare donzelle della Contrada.”… Nel 1594 il Gastaldo ed il Vicario della Schola della Madonna le donarono: “un Penèl (gonfalone) de legno dorato co la Beata Vergine”... Nel 1610 si scrisse: “… si spenda quanto occorre per terminar il quadro della Natività della Madonna”.

Nel 1676 però la stessa Schola della Madonna era ormai in declino: si richiamò il Nonzolo perché ricordasse agli iscritti l’obbligo della partecipazione alla Messa della prima domenica del mese a cui non partecipava più quasi nessuno … Lo stesso Gastaldo della Schola tuonò: “Chi osasse prestare le aste d’argento della Schola pagherà 50 ducati di penalità, metà dei quali saranno devoluti all’Arsenale”, ma gli fu risposto: “Almeno altri usa quelle ròbe che vien solo trascuràe e desmentegàe da noialtri” ... Nel 1692 in un Inventario redatto dal Piovano di Santa Sofia circa la Schola della Madonna si elencava: “… un paramento bianco in terzo con piviale, molte vesti della Madonna, una corona d’argento, una corona di cartone, e una corona di ricamo.” di cui pochi s’interessavano.

Poi non se ne seppe più niente.

Nella Terraferma Veneziana di Marocco sul Terraglio in via Gatta esiste ancora oggi sulla facciata di una modesta Villa ora appartenente ai Nalesso, “un’arma gentilizia”, ossia lo stemma dei Nobili Priuli documentati lì presenti fin dal 1631 … Fra 1661 e 1664, ai tempi del Podestà e Capitano Alessandro Priuli s’imputò per la seconda volta a Margherita Boccato d’aver fatturato Andrea Cavazzin e altre persone. L’accusa oltre che dalla voce pubblica, venne confermata anche dai Cappuccini della Fontana di Bottrighe, che considerando le strigarie commesse dalla donna, avevano ispezionato ad Adria i letti della donna. Lì avevano rinvenuto e fatto bruciare: “… pezzi di tela, fave, grani di formentòn, e diversi ossetti da morti …”

Sembrava tutto fatto: quella donna era da bruciare senza esitazione.

Il Podestà Alessandro Priuliperò non era molto convinto di tutta quella faccenda. Decise perciò di vederci chiaro, e fece condurre una nuova indagine scrupolosa che fece emergere dietro alle accuse dei vecchi risentimenti per un fidanzamento rifiutato, delle ruffianerie, e delle invidie per l’attività manifatturiera esercitata dalla stessa Donna Margherita che sapeva abilmente “… esistàr canne e grisiòle…”

La donna “… davanti a un gran fòco di carboni acceso da suoi piedi snudati …” venne difesa anche da alcuni Medici. Il Podestà Priuli allora accolte riprove e testimonianze, eseguiti certi sopraluoghi, e andando controcorrente assolse Donna Margherita e incriminò i suoi accusatori condannandoli a pagare le spese del processo e a restituire “la so bona fama a la donna”.

E bravo Priuli !

Nello stesso anno in Calle Priuli detta dei Cavaleti agli Scalzi di Cannaregio a Venezia, laNobildonna Paolina Priuli relicta Ser Zamaria possedeva cinquantanove caxette … Donna Soffietta Priulli figlia di Ser Ferigo e consorte di Messer Almorò Tiepollo ne possedeva altre nel Sestiere di San Marco … Così come Dona Isabetta di Priuli relicta Ser Zamaria per conto de Ser Alvise e fratello Priuli suoi fiolli  … e Ser Sebastian di Priuli quondam Ser Piero habitante in Valpolesella sotto Verona … Il NobilHomo Ser Alvise di Priulli figlio di Francesco istituì una Comissaria nella Schola di San Giovanni Vancellista de Muran … Vincenzo Priulli quondam Andrea habitante a Fogiaschea sotto Vicenza pagava: lire 1, soldi 18, e denari 5 di tasse … Donna Lugretia Priulli relicta in terzo voto di Ser Cabriel Corner residente nel Sestiere di Castello ne pagava: lire 1, soldi 15, e denari 2 … Il Priorado di Ser Lodovico di Priulli sito nel Sestiere di Dorsoduro contribuiva con lire 16, soldi 3, e denari 8 … Ser Nicollò Dolfin quondam Piero e Ser Zaccaria Priulli del defunto Ser Anzollo moglie e nepoti quondam Ser Daniel del Sestier de Cannaregio pagavano: lire 1, soldi 7, e denari 10 … mentre Ser Zamaria di Priulli di Ser Anzolo Maria e nepoti quondam Ser Daniel residenti a Cannaregio contribuivano alla Serenissima: lire 22, soldi 7, e denari 8 … e via così per tanti Nobili Priuli che stavano in Venezia.

Nel 1668 Prè Francesco Speranzalaureato in Filosofia e Diritto, Canonico Ducale, Vicario Generale del Martinengo Vescovo di Torcello, ProVicario Generale del Patriarca Sagredo e Confessore delle ricche e potenti Monache Agostiniane del Monastero Dogale delle Vergini di Castello (presso le quali morì nel 1677) divenne Piovàn di Santa Sofia… Nella stessa estate il Nobile Ottavio Labia indispettito dal divieto d’uso della parrucca imposto dalla Serenissima, spinse altri Nobili a negare il proprio voto “circa quell’infausto decreto”.Venne subito ammonito dal Tribunato degli Inquisitori di Statoinsieme ai Patrizi Girolamo Priuli, Alvise Foscari III°, Gerolamo Giustinian e Lunardo Loredan, che trasgredendo gli ordini della Serenissima avevano portato alcuni capelli posticci in testa.

Nel 1681 ai tempi del Piovano Prè Francesco Bellotto si provvide a rialzare il pavimento di Santa Sofia perché troppo soggetto all’alta marea: “Si commissionò il lavoro all’artigiano Andrea Comminelli e al figlio Giobatta della Contrada di San Maurizio, e si realizzò la nuova pavimentazione utilizzando pietra rossa di Verona e pietra bianca di Rovigno … e già che s’era in opera, si provvide anche a rifare le colonne dell’Altare di Sant’Osvaldo ...”

In quegli stessi anni in chiesa erano attivissime ben 5 Schole di Devozione: la Schola del Santissimo, la Schola dell’Assunta, la Schola di San Francesco di Paola, quella di San Lorenzo Giustiniani, e la Schola-Sovegno dei Barcaroli di San Giovanni Battista. C’era poi la solita Schola dei Depentori in Calle Sporca, la Fraterna dei Poveri e la Schola della Dottrina Cristiana a cui prestavano aiuto 66 donne operaie popolane guidate dalla Priora Nobildonna Vincenza Fini… La Fabbriceria della chiesa di Santa Sofia era composta da 25 Procuratori di cui 12 erano Nobili della Contrada … e la Messa Solenne e Cantada nelle feste di precetto doveva essere obbligatoriamente partecipata da tutto il Clero del Capitolo de Santa Sofia ... Ogni sabato si cantava Compieta e Litanie della Madonnaall’altare dell’Assunta con la partecipazione di quelli della Contrada … I Padri Gesuiti preparavano i maschi della Contrada alla Prima Comunione tenendo lezioni nella vicina chiesa dei Santi Apostoli… e in Contrada vivevano anche Luterani, fra i quali c’erano alcuni Calegheri(Calzolai) e un Oste.

I Veneziani della Contrada testimoniavano di loro: “… sono tranquilli e non recano disturbo alcuno, e quando passa il Santissimo per la Contrada si genuflettono … Forse sono solo miscredenti …”

La Schola-Sovegno più importante e frequentata della Contrada e della Parrocchia era quella di San Giovanni Battista dei Barcaroli del Traghetto della Ca’ d’Oro posto fra Santa Sofia e la Pescheria di Rialto (esiste e funziona ancora oggi).

L’associazione-fraglia era nata nel 1342 (gli Statuti dell’Arte dei Traghettatori sono del 1344: i più antichi di Venezia e della categoria) scrivendo nella sua Mariegola (la Madre di ogni Regola): “Missier San Zuanne pregi continuamente Jesu Christo nostro Redemptore che mantenga la nostra citade de Venexia in bon stado, in paxe et in charità con tute le tere de li fedeli Christiani ... Amen”

La Fraglia d’Arte, Mestiere e Devozione si occupava oltre che d’offrire indicazioni operative per la categoria, anche di sussidi e previdenza sociale accogliendo fino a 100 iscritti: “tutti boni homini et bone donne” che potevano essere anche estranei al Traghetto, ma di età non superiore ai 35 anni. A costoro garantiva assistenza Medica, medicine di uno Speziale, sostegno agli infermi per 6 settimane e fino a 2 giorni dopo la completa guarigione. Non si concedeva assistenza e sovvenzione in caso di “Morbo Gallico”(Sifilide), né per cadute e ferite volontarie.

Si trattava di moltissimo per quell’epoca in cui a Venezia non esistevano sussidi e organizzazioni sanitarie e previdenziali come quelle di oggi.

I nuovi iscritti pagavano 1 ducato di “Benintrada”, e poi 18 soldi mensili insieme alla tassa delle “Luminaria” a Natale (per un “Vivo”costava 4 lire, e a nome di un “Morto”costava 1 lira e 4 soldi).

La Schola annoverava anche un ramo femminile che si eleggeva una propria Gastalda-Priora e 6 Degane che prestavano assistenza alle iscritte che non potevano recarsi in chiesa. La Mariegola recitava: “de non recever alcuna femena in la Schola per men de grossi VI de Benintrada”.

Nel 1516 sul Capitolo 53 della Mariegolasi precisarono i probabili confini dell’area del Traghetto sul Canal Grandosu cui verteva il lavoro dei Barcaroli: il Traghetto poteva arrivare fino “alle barche de la Lozeta e del bùrcio de le Becarie”… e si minacciarono penalità di 25 lire ed altre pene compreso il carcere, a “chi osasse far noli al Traghetto da la Pescaria che buta a Santa Sofia” ... Nel 1593 la Schola dispose che nel Traghetto funzionasse per 15 anni una barca o “Libertà soprannumeraria” per poter pagare “le spese dell’Altare Novo in cjesia” mettendo il ricavato in una cassa speciale chiusa con 2 chiavi: una consegnata al Piovano di Santa Sofia e un’altra al Gastaldo della Schola. Nel 1603 la raccolta di denaro venne prorogata per altri 10 anni per poter pagare la nuova Pala dipinta per lo stesso altare della Schola.

Dal 1533 al 1565 la Scuola si trasferì “sventatamente” sull’Altare dei Trevisani alla Madonna dell’Ortoforse a causa della ricostruzione della chiesa di Santa Sofia, ma nel 1582 ritornò a Santa Sofia firmando una concessione col Capitolo della chiesa per usufruire di un’Arca sepolcrale in chiesa, della Cappella di San Giovanni, e di una sede per riunirsi sopra alla Sacrestia offrendo 30 ducati annui ai Preti di Santa Sofia ...  Nel 1633: i Provveditori da Comun suggerirono che: “… ogni turno de Barcaroli debia tenèr acceso il feràl davanti a la Madonna del Traghetto” ... Nel 1652 tutte le 23 barche del Traghetto di Santa Sofia dovevano dare 2 lire alla Schola … Chi “operava contro la Repubblica”, chi viveva “in pubblico peccato”, chi seminava discordie e si dava al gioco, e chi diceva villanie contro il Gastaldo o i Compagni della Schola: veniva escluso dalla Schola annotandolo in uno speciale Quaderno de la Schola.

Secondo quanto ricordato dalla Visita del Patriarca Badoer del novembre 1690, il Sodalizio del Traghetto aveva sede e altare in chiesa di Santa Sofia al cui Capitolo dei Preti: “… i 121 iscritti della Schola di San Zuane pagano di livello al Capitolo di Santa Sofia per Messe ed Esequie lire 43,8 ... il Sovegno della medesima Schola lire 31.”… Dagli stessi verbali di quella Visita si evince che nella chiesa di Santa Sofia c’erano presenti 13 Preti dei quali 4 erano Confessori e altri 14 Chierici dei quali 9 erano consacrati “in sacris”. Nella stessa Contrada di Santa Sofia abitavano 25 Preti di cui solo 8 erano afferenti alla chiesa mentre gli altri servivano in altre chiese della città … Uno dei Preti non volle dichiarare le proprie generalità: era uno strano  Prete Francese che abitava in Ruga Do Pozzi a Santa Sofia, celebrava Messa nella chiesa dei Miracoli, e teneva in casa una donna Inglese che però non andava mai a Messa … Un personaggio insolito, un po’ particolare, sul quale la Serenissima fece i suoi bei ragionamenti senza mai perderlo d’occhio.

 

Il Piovano insieme al Primo Prete Paganelli raccontarono che in Contrada esistevano “ridotti non convenienti per lo stato religioso”, ma non si potè dire quali Preti li frequentavano essendoci anche movimento di altri “Preti foresti”. I due Preti di Santa Sofia si limitarono ad affermare e testimoniare davanti al Patriarca: “ … dei Preti di Santa Sofia uno si reca dal Trincadini, e un altro in Contrà di San Marziale da Gaio Barbier dove si tengono ridotti di Preti …”

 Prè Brassi, Terzo Prete del Capitolo di Santa Sofia precisò: “… nel Ridotto di Gaio Barbier vanno Preti Secolari che giocano e scommettono senza alcun riguardo alle persone e alla Religione …”

Il Secondo Prete Toffaninprecisò ancora: “… in Contrada c’è anche uno Scaletèr Luteràn (pasticcere) inconfesso che intende a tutti i costi obbligare suo figlio alla stessa professione di fede” ... Due laici interrogati riferirono che c’era una donna che veniva spesso in chiesa per provocare “a cose non punto belle”il  Prete Suddiacono di Santa SofiaNadalin Cecchini precisò che si trattava di Anna la domestica di Prè Carlo Vincenzi, una “donna di fama leggera” che abitava in Contrada di Santa Fosca ai piedi del Ponte de Noal. Si aggiunse poi che: “Prè Carlo insieme a Prè Zio sogliono vestire in curtis … e Prè Carlo insieme a Prè Barbini dopo la Messa in Nocte di Natale avrebbero infranto in maniera non da poco la legge del Celibato …”

 

Prè Carlo allora venne interrogato … Ammise tutto, e si scusò di tutto ... Si mise poi anche a verbale che il Piovano Prè Domenico Todescato praticava spesso la Spezieria “attendendo ai fatti suoi”, e possedeva rendite da botteghe e da case alla Giudecca, e dalla proprietà di Zero Branco in Terraferma dalla quale ricavava: 18 staia di frumento, 83 ettolitri di vino e 2 capponi, un paio di anitre, e 33 uova come onoranze. Infine il Patriarca esortò i Preti di Santa Sofia a non celebrare matrimoni di gente che ignorava di conoscere il Pater, l’Ave, il Credoe i Misteri principali della Santa Fede:“… Almeno si sappia che esistano certi argomenti …  Per sposarsi in chiesa lo si consideri: necessario”.

Nel 1621: i Provveditori da Comundiffidarono i Pescatori e i venditori di frutta e verdura di Rialto dall’occupare con le loro merci la Riva del Traghetto di Santa Sofia dal lato della Pescaria pena lire 25 multa e confisca di tutte le merci: bisognava non intralciare il lavoro dei Barcaroli del Traghetto di San Giovanni Battista di Santa Sofia.

Dal 1686 in poi, gli stessi Barcaroli si obbligarono a pagare 2 lire per ogni defunto della Schola-Sovegno del Traghetto di Santa Sofia al quale garantivano: “un Esequie solenne in canto”. I Barcaroli Morti dovevano essere adeguatamente “bagnati e preparati” per il Funerale ... Ad ogni Morto spettavano: 25 Pater-Ave… e doveva essere accompagnato alla sepoltura: “con la Crose et Penèlo (gonfalone) de la Schola”… e gli si dovevano celebrare tante Messe di Suffragio quanti erano gli iscritti della Schola: “Non sia mai che un uomo del Traghetto di Santa Sofia debia presentarsi al Dio Superno a man scorlàndo … e senza i suoi dovuti suffragi …”

La sepoltura per i Barcarolipoveri era gratuita, e gli iscritti che morivano fuori Venezia avevano diritto a: “… una Messa Esequiale con in mezo la glesia uno tapedo et un cusinello e de sora uno pallio con la Crose suso e da cavo li arda 2 candelotti che mete a li corpi con 5 candele e sia messo in meco de la glesia lo pennello segondo usanca, e la recita dell’Ufficio come se il cadavere fosse presente”.

In chiesa di Santa Sofia c’era una Cassetta che raccoglieva elemosine a favore della Schola del Traghetto che ogni anno celebrava con Vespri, Processione e Messa le due feste solenni del 24 giugno e del 29 agosto: San Giovanni Decollato “dando a tutti pan et candela”… così come a Natale “quando la Fraglia del Traghetto di Santa Sofia debia far e dar pan benedetto a tuti li fradeli e soròr di questa benedetta e Santa Schola”.

Ogni seconda domenica del mese ogni iscritto della Schola del Traghetto pagava 7 soldi di piccoli perché venisse celebrata una Messa Solenne-Alta-Cantada per tutti gli iscritti; e ogni lunedì, invece, si faceva celebrare per 1 soldo di piccoli per iscritti: una Messa Bassa-Letta a cui partecipavano tutti gli Ufficiali della Scholadei Barcarolide Sancta Sophia ... Inoltre la Schola faceva celebrare per 1 lira anche delle “Messe dello Spirito Santo” prima delle nuove elezioni alle cariche del Sodalizio ... Ogni anno quindi si celebravano ben 69 Messe a pagamento fra le quali: 12 Messe Alte mensili e 4 Messe Basse ogni lunedì.

Si pagava inoltre anche un “supplemento”di 20 soldi annui “per il sovegnimento dei poveri della Schola” ai quali andavano anche le multe e le pene pecuniarie ai Confratelli che erano di solito di 5 piccoli ciascuna … Chi si ammalava poteva mettere un altro a lavorare al proprio posto al Traghetto … e si affittavano 2 barche del Traghetto per aiutare i Confratelli in stato di necessità, donando 6 ducati “una tantum” alle vedove dei Barcaroli.

 

Sapessimo fare oggi cose del genere !

Ancora nel 1770 quando il Traghetto di Santa Sofia aveva ancora 48 Libertà(licenze concesse dalla Serenissima per traghettare) che si potevano ereditare, affittare, vendere e comprare; si esercitava servizio notturno sul Canal Grande con 14 barche precisando che i confini del Traghetto de Dentro de Santa Sofia(il raggio d’azione) andavano dalla Calle della Ca’ d’Oro al Campo di Santa Sofia e alla Calle Dragan, mentre dall’altra riva si estendevano: dalla Riva dell’Olio alla Lozzetta, alla Pescaria e a “Tre volti” delle Fabbriche Nove … Nel 1779 tuttavia, il Piovano di Santa Sofia Don Pierantonio Colauto attestava che ormai da 3 anni il Sovegno del Traghetto era estinto e disciolto, anche se la Congregazione Delegata richiamava il Gastaldo del Traghetto di Santa Sofia all’obbligo di tutti gli addetti del Traghetto di frequentare le lezioni di Catechismo settimanali nella chiesa loro assegnata che era quella di San Mattio di Rialto.

Ve li vedete e immaginate i Barcaroli del Traghetto recarsi ordinatamente a frequentare il Catechismo serale ?

Giunto il 1700 anche nel Confinio di Santa Sofia, Girolamo Negroni della stessa Contrada lasciò per testamento alla chiesa due quadri dipinti da Antonio Zanchi con “San Girolamo e Sant’Erasmo”, che però non giunsero mai in chiesa prendendo chissà quale altra strada … Il celebre “amateur”Giacomo Casanova, invece, “insidiò”Caterina Caretta che abitava in Contrada di Santa Sofia e finì col farla abortire presso le Monache di Santa Maria degli Angeli di Murano ... Nel giugno 1722 secondo quanto scritto nei documenti della Quarantia al Criminal, il cameriere Antonio Polinari uccise per motivi di gioco “… con una spada larga che aveva cinta al fianco” in Corte del Magazen alla Cà d’Oro il bottaio Giovanni Capulin ... Due anni dopo in Calle Priuli a Santa Sofia, sempre secondo le Raspe dell’Avogaria da Comun, Bernardo Bonlauti e il figlio Giovanni entrambi Barbieri litigarono aspramente con Giuseppe Seleri dopo una partita in Calle della Racchetta a Santa Catarina nei pressi di Santa Sofia. Dopo un primo approccio i tre s’azzuffarono di nuovo in Fondamenta Priuli, e il Seleri buttò in acqua Giovanni Barbiere minacciando i due di dura vendetta.

Il giorno dopo, infatti, “armato di spontòn, vitivo e zacco” andò a cercare i due barbieri che armatisi a loro volta lo aggredirono alle spalle. Il Seleri che non era uno sprovveduto reagì subito ferendo Bernardo Bonlauti al ventre e al braccio destro, ma venne a sua volta ferito più volte alla testa, scivolò e cadde a terra, “… e i Bonlauti lo ridussero a mal partito e alla morte che raggiunse dopo una dolorosa agonia che durò 16 giorni”.

Pietro Priuliintanto, si stava dando un gran da fare nel 1706 per diventare Commendatario dell’Abbazia di Santa Maria della Vangadizza in Polesine succedendo al Veneziano Daniele Dolfin. Era nato a Venezia nel 1669, figlio di Alvise di Giovanni. Suo zio Lorenzo era stato Vescovo di Lesina; e la madre Vittoria Ottoboni era nipote del Cardinale Pietro che divenne Papa Alessandro VIII nel 1689. Fu tutto facile quindi per Pietro Priuli che si fece Abate e divenne Referendario in Utriusque Signaturae trasferendosi a Roma dal nuovo Papa Innocenzo XII nel 1694. Lì assunse la carica di Gran Curiale e Presidente della Camera Apostolica, e a trentasette anni divenne Cardinale Diacono di Sant’Adrianofacendosi Prete (cosa che prima non era).

“Troppo potente quel Veneziano a Roma !” si disse di lui.

Perciò venne subito allontanato da Roma nel 1708 nominandolo Vescovo di Bergamo al posto del defunto Alvise Ruzzini, e dandogli una bella pensione di 1000 scudi annui. Contrariamente alle aspettative però, Priuli si affezionò a Bergamo e visitò in lungo e in largo il suo territorio per 8 anni visitando tutte le chiese Arcipretali della Val Seriana, poi quelle della pianura, quindi tutte quelle della Val di Scalve, Clusone, Lovere e Gandino.

Insomma: anche quel Priuli sorprese un po’ tutti.

Come Nobile Patrizio della Serenissima, Priuli non si dimenticò di Venezia, e le offrì migliaia di ducati per la guerra spogliando Bergamo letteralmente. Nel 1720 tornò a Roma come Cardinale di San Marco risiedendo a Palazzo Venezia sede degli Ambasciatori Veneziani. Già che c’era partecipò ai due Conclavi che elessero Innocenzo XIII e Benedetto XIII, poi ritornò di nuovo a Bergamo per il Sinodo Diocesano nel 1724, prima di ritirarsi a Venezia per motivi di salute presso il palazzo di famiglia per trascorrere una buona e serena vecchiaia … Per far questo si assicurò nel 1726 anche le rendite della Commenda del Monastero di Sant’Andrea di Busco di Treviso. In realtà si godette poco la vecchiaia, perché morì non ancora sessantenne due anni dopo, e venne trasferito “nella sua Bergamo” dove venne sepolto nella Cattedrale di Sant’Alessandro.

Sempre all’inizio del 1700 si prolungò la Roggia Priuli sul Brenta uscendo da Galliera, e la Roggia Cappella venne prolungata fino a Treville prendendo il nome dagli stessi Priuli... A Bassano proprio sotto il castello e poco prima del ponte una poderosa rosta alimentava fino a 10 ruote appartenenti ai Molini dei Priuli che fin dal 1400 sorgevano accanto a quello dei Padri di San Fortunato… Ancora fra 1705 e nel 1793 i Nobili Priuli vennero considerati dalla Serenissima alla stregua dei Nobili Poveri. Secondo un Catastico dell’Avogaria da Comun, infatti, i 9 nuclei familiari dei Priuli vennero sussidiati dalla Repubblica con ben 28 provvigioni-sussidi pubblici. Non erano affatto poveri in realtà … ma le sovvenzioni pubbliche ieri come oggi facevano gola a tutti … E chi più riusciva … più otteneva e prendeva.

Allo stesso tempo alcune Commissarie del quondam Reverendissimo Lorenzo Crappi, del quondam Gerolemo Galedin, e di Donati abitante in Contrada di Santa Sofia rimpinguarono ulteriormente, se ce ne fosse stato bisogno, le Casse del Capitolo di Santa Sofia alle quali si aggiunsero anche i proventi della Commissaria di Don Bartolomeo o Bortolo Zorzi Primo Prete Titolato di Santa Sofia che oltre al Legato dei beni immobili lasciato nel 1764 per testamento, lasciò anche dei libri accuratamente stimati e inventariati da Antonio Foglierini “libràro matricolato”.

Nel 1714 a Venezia si contavano 216 famiglie Nobili Patrizie suddivise in 667 casate, e con 2.851 Patrizi maschi attivi in Maggior Consiglio. Fra quelle si estinsero in breve tempo 233 nuclei familiari antichi presenti nel Maggior Consiglio già dal 1297. Cinque di quei nuclei andati estinti erano Priuli, mentre altri nuclei dello stesso Casato erano piuttosto decadenti … Quattro anni dopo, infatti, Marco Priulifiglio di Andrea chiese con insistenza alla Serenissima una provvigione di 5 ducati al mese per ciascuna delle sue figlie: Anna Maria e Laura: “… per la propria infelicissima conditione … continuo e incessante sagrifitio di rassegnazione, d’obbedienza, e di fede alla Patria adorabile eccelsa …”

Incredibilmente quelle provigioni vennero accordate dalla Serenissima per ben 50 anni consecutivi ! … e ancora nel 1761 le discendenti: Marta, Laura, AnnaMaria e AnnaMichela e Luca Priuli ricevevano contribuiti di Stato Serenissimo per 401 ducati annui.

I privilegi erano privilegi, e la Serenissima seppe mantenerli in piedi e garantirli per i propri Nobili fino alla fine della sua Storia.

Nel maggio 1733 gli Inquisitori di Stato fecero comparire davanti a loro Giovanni Girolamo Priuli di Ferigo relegato nel Castello di Chioggia. Fu riconsegnato al padre nel suo Reggimento di Crema, chiedendogli di modificare la sua condotta per la quale avrebbe meritato un castigo ben peggiore ... In quello stesso anno a Padova presso Pontemolino erano ancora attivi i tre Molini Priuli: due erano “terragni”e uno galleggiante: era l’unica macchina a sandoni non destinata a ridurre in farina i cereali come tutti gli altri della Terraferma, ma fungeva da: “… pestrina de macina da valonia per uso de pellattieri.”… I Priuli inoltre comprarono nel 1741 dai Nobili Bon:“… una Villa con Loggia, Scalinata, Arcate e Colonne, Oratorio e un gran bel Parco cinto da alto muro”a Malcontentaverso Oriago sulla via Padana … Di nuovo nel settembre 1741 gli Inquisitori di Stato ammonirono severamente ma con clemenza Alvise Priuli, altro figlio di Ferigo del Ramo III dei Priuli di San Polo accusato d’insidiare la NobilDonna Elisabetta dei Nobili Donà del Ramo di Sant’Agnese, introducendosi perfino “… con abiti mentiti nella sua stessa habitazione …”

Il Priuli ascoltò il richiamo degli Inquisitori di Stato e fece giudizio, e si sposò nel 1755 con la Nobildonna Marina Mocenigo.

Antonio Marino Priulidel Ramo degli Scarponi di San Felice, invece, divenne nel 1733 Arciprete del Capitolo di Padova dove si laureò in Utroque Iure, e poi ottenne la carica di Vescovo di Vicenza con rendita annuale di circa 5.000 ducati, dove si dimostrò ostile verso l’Abate Giovanni Checcozzi accusandolo di Giansenismo ed Eresia, inducendolo a processo davanti all’Inquisizione di Venezia, e portandolo fino all’abiura finale. Priuli era un uomo tradizionalista, erudito e di cultura, con una biblioteca ricchissima stimata come una delle più insigni di Venezia. Era fratello di altri cinque tutti con lo stesso nome, suo padre fu Podestà di Bergamo e Censore, sua madre era figlia del Doge Giovanni Corner… Il suo imponente palazzo di famiglia del 1300 con due facciate sull'acqua in Contrà di San Felice poco distante da Santa Sofia venne distrutto da un devastante incendio nel 1739.

Nelle “Memorie” del Benigna si legge: “A 8 marzo 1739, quarta Domenica di Quaresima, fu il fuoco nel palazzo di Ca' Priuli Scarpon a San Felice, havendo principiato nella cucina di sopra, et ha circondato tutto il grande palazzo con averlo consunto et incenerito.” ... E qualche anno dopo sempre nelle stesse Memorie si aggiunse ancora: “A 11 settembre 1741: è caduto e morto un huomo nel disfare il palazzo rovinoso di Ca' Priuli Scarpon a San Felice”.

Per niente turbato “da que’ banali danni e semplice incidente di percorso”,lo stesso Antonio Marino Priuli divenne Cardinale facendosi conferire la Commenda dell’Abbazia di San Gregorio di Venezia che gli rese 4.265 ducati annui, e quella dell’Abbazia di San Eufemia di Villanova di Camposanpiero di Treviso che gliene rese altri 3.634 … Divenuto “vecchio e malato”, fu messo da parte nel 1767 dallo stesso Papa Clemente XIII che lo mandò come Vescovo a Padova. Lì, invece che quietarsi, il Priuli si rianimò e iniziò un’altra vita visitando capillarmente tutta la Diocesi e contrastando tutti i Monasteri e i Canonici del Capitolo di Padova per niente disposti a rinunciare ai loro antichi diritti e privilegi. Riformò il Seminario Padovano trovato decadente, indisciplinato, in grave crisi economica e pieno di studenti privi di vocazione ecclesiastica riportandolo a un certo splendore e con 200 seminaristi; si schierò contro il Professore Angelo Antonio Fabbrointeressando Lorenzo Grimani Inquisitore di Stato che ottenne dal Senato di allontanarlo dallo Studio Padovano; e solo nel 1772 si arrese alla morte nella villa di famiglia di Treville venendo poi sepolto nella Cattedrale della stessa Padova … Altro che vecchietto il Priuli !

In chiesa di Santa Sofia al tempo di Prè Andrea Sturioni Procurator del Capitolo della chiesa, con i contributi dei fedeli, della Schola di San Francesco di Paola, e degli artisti Andrea Tiralli e Iseppo Torretti che offrirono: 15,10 e 6 ducati, si provvide a finanziare la costruzione di un nuovo organo “a sette registri, con ripieno, pifferi, voce umana, flauto, cornetta e duodecima …” commissionandolo al Prete organaro Pietro Nacchic (ossia Nacchini) ... Nel 1730 il Piovan di Santa Sofia litigò parecchio con la famiglia Sandei e con la Schola del Santissimo per l’uso di un locale attiguo alla chiesa usato come magazzino … Nove anni dopo Benedetto Marcello che era molto affezionato alla Contrada scrisse numerose composizioni liturgiche musicali per la sua chiesa e il suo Piovano Prè Antonio Capretta… Nel 1741 il solito Capitolo dei Preti di Santa Sofia dopo aver ampliato la Sacrestia a spese dei Nobili Morelli e della Schola de Depintori, deliberò di: “… supplire alle gravose spese nell'incontro dell’escavazione delle Arche riservate ai Preti Titolati sepolti in chiesa destinando a tale scopo una quota dei proventi derivati dai funerali celebrati in Santa Sofia … Per deposito dunque di tal Cassa il Capitolo commise al Reverendo Procuratore pro tempore che nell'incontro di tumulazione d'adulti in chiesa debba dall'offerto ducato per arca estraer la metà, cioé lire 3.2, e similmente dall'offerta degli “Anzoletti” sepolti in chiesa levar lire 2 e registrarle nel capitolar libro e debbasi dal reverendo procurator suddetto custodire tal annuo provento sino all'occorrenza della necessaria escavazione e supplir possi alle minute annue spese ch'insorgono per il governo e riparo delle suddette arche.”

A fine secolo Pietro Priuli possedeva una fabbrica a Selvana, e rendite a Porcia e a Rorai in Friuli… S’erano completati i lavori del Palazzo dei Priuli di San Geremia a cura di Andrea Tirali discostandosi dalla classica moda di copiare le antiche architetture Greche … I Priuli del Ramo di San Geremia erano stati un ramo povero del Casato ma di antica nobiltà, ma da quando acquisirono dai Pesarol’eredità di un palazzo nel Rio di Cannaregio s’impegnarono in tutta una serie d’imponenti acquisizioni immobiliari sparse in tutta Venezia assumendo grande prestigio fra tutti. Marc’Antonio Priuli divenne un grande Senatore della Serenissima Repubblica, e sposò la sorella del celebre Pietro Basadonna: “… il più scaltro e raffinato cortigiano che cammini il Palazzo, onde lo chiamano: “Fia mia”, che è molto più che puttana vecchia … il suo giudizio non è grande, ma politico e cortigianesco …”

L’ultimo giorno di febbraio 1760 la chiesa della Contrada di Santa Sofia di Venezia prese fuoco ma venne subito restaurata rifacendola con un nuovo organo (1773)… Nel luglio dello stesso anno Bortolo Scuri gestiva una Malvasia in Contrada di Santa Sofia per la quale pagava una rata mensile di 20 soldi al Fiscal, 20 soldi al Nodaro e 10 soldi al Fante come rata della tassa annuale che bisognava corrispondere ai Sette Savi alla Mercanzia della Giustizia Nuova ... Durante tutto il secolo la Collegiata di Santa Sofia versò e registrò in Zecca capitali obbligati legati a Mansionarie, Anniversari e Legati lasciati a Santa Sofia ottenendone “Pro” del 3 % regolarmente riscossi … La stessa Collegiata dei Preti di Santa Sofia vendette la carica d'Esatòr delle Tanse e dei Campatici della città di Verona investendone il capitale in Zezza nel Deposito Novissimo al 3 ½ % d’interesse; e investì altri 650 ducati provenienti dalla Mansionaria della quondam Perina Balduin nella Schola Granda di San Marco.

Contemporaneamente sempre lo stesso Capitolo dei Preti di Santa Sofia riscuoteva “Livelli da Schole e Suffragi”ospitati in chiesa; incassava soldi da numerosi “Livelli, Mansionarie, Legati, Anniversari ed Esposizione del Santissimo celebrati in cièsa”; possedeva e gestiva “n° 8 Case e caxette in Sant'Eufemia della Zuecca …; era proprietario di beni, 57 campi e chiusure dati a livello annuo di frumento e onoranze a coloni della Villa-Borgo di Zero nella Podesteria di Mestre. (Come già vi ho detto, questi ultimi beni erano stati ceduti per testamento ai Preti di Santa Sofia di Venezia da Lorenzo Macaruffo, e il Capitolo non si risparmiò di litigare per la loro gestione, per alcuni danni subiti, e per la vendita con le famiglie Celeghin e Gasparini, con Francesco Castrato, e col NobilHomo Ser Nicolò Pizza dal 1393 al 1784 ! … Per 4 secoli ! … Che ve ne pare ?)

Tutte le rendite del Capitolo dei Preti di Santa Sofia venivano accuratamente registrate nei “Libri Cassa” di Santa Sofia, e finivano in un unico “Partidòr” che veniva poi spartito fra i componenti del Capitolo secondo il grado della “Dignità Titolare” di cui ciascun Prete godeva il beneficio … Nel 1776 celebravano in Santa Sofia ben 45 Preti che per la maggior parte abitavano nei pressi della chiesa: molti provenivano ed erano originari da Como, alcuni da Piacenza, Scio, Avellino, Concordia, Giarre in Sicilia, Aleria in Corsica, Padova, Belluno, Brescia, Modena, Bergamo, Arbe, Bologna: 24 avevano più di quarant’anni, e undici avevano superato la sessantina: … “un piccolo esercito di celebranti che si occupava  in pianta stabile e come Api sul Miele di un succulento patrimonio e giro di Messe” ... Fin dal 1300 i Veneziani erano consueti a recarsi in pellegrinaggio fino al Santuario di Sant’Osvaldo a Sauris di Sotto in Friuli, e avevano costruito a Venezia in Santa Sofia un altare dedicato a quel Santo. Nel 1752 i Preti Luzzana e Trognon di Santa Sofiapensarono bene d’incrementare quell’antica devozione istituendo a Venezia una Schola o Compagnia di Sant’Osvaldo. L’idea piacque a quelli della Contrada ed ebbe successo venendo approvata anche dal Consiglio dei Dieci nell’anno seguente. Dieci anni dopo la Schola di Sant’Osvaldo contava ben 250 associati iscritti fra cui 43 Religiosi, 2 Monache, 100 uomini fra cui c’erano anche dei Nobili, e 200 donne fra le quali c’erano anche alcune Nobili Dame.

Nell’ultimo quarto del 1700 nel Confinio di Santa Sofia risiedevano 555 famiglie Veneziane con 904 uomini fra 14 e 60 anni: considerati abili al lavoro. In Contrada poi abitavano anche 11 famiglie Nobili che non lavoravano e vivevano solo di rendita rappresentando il 36% dell’intera popolazione della Contrada che contava 2.535 persone in tutto. 64 erano i Cittadini, 480 gli Artieri, 53 i Religiosie i Preti, 799 le Donne di cui 98 lavoravano come Servepresso i Nobili … I Putti fino ai 18 anni erano: 416, mentre le Putteerano: 393; gli Uomini sino ai 50 anni: 631, sopra i 50 anni: 181 … C’erano inoltre presenti: 50 Forestieri, 62 Servitori de Casàda, 20 Gondolecon altrettanti Barcaroli, e 2.090 “Aneme da Comuniòn”… Nel ministero di Piovano in Parrocchia e Contrada, a Prè Collauto seguì Prè Martino Ortolaniche era abile Predicatore Quaresimalista, autore del trattatello: “Il Libro del Cristiano ossia l’uso del Crocefisso”, e capace di radunare a casa sua un’Accademia Ecclesiastica che studiava la Scrittura a cui partecipava anche il Canonico Cicuto Capo Ispettore di tutte le Scuole Pubbliche di Venezia.

Nel dicembre 1787 accadde in Contrada di Santa Sofia un altro fatto insolito: Abram Geremia Calimani di 58 anni, figlio del Rabbino Simone Calimani, ricevette il Battesimo Cristiano-Cattolico alla Pia Casa dei Catecumeni nel Sestiere di Dorsoduro dopo aver percorso tutto l’itinerario catecumenale di rito Cattolico. Nell’occasione venne accompagnato dal Nobile Girolamo Ascanio Molin, da Francesco Ballarin, e dal suo Piovano di Santa Sofia: ossia Don Martino Ortolani di cui vi ho detto poco fa.

In quegli stessi anni i Priuli aggiunsero due Barchesse laterali e un Oratorio dedicato a Sant’Andrea e alle Sante Elisabetta ed Elena alla loro Villa Signorile di Piove di Sacconel Padovano. Ci misero dentro anche un bel altare barocco intarsiato con marmi policromi … ma vollero che gli spazi interni alla chiesetta fossero ben demarcati e distribuiti per riservare posti “adatti e alti” per i Padroni Nobili e altri “più bassi” per la semplice servitù. (La villa verrà utilizzata come ospedale militare durante la terza guerra d’indipendenza, mentre durante la prima guerra mondiale fu alloggio di sfollati, magazzino e sede del Comando Tedesco. Venne incendiata nel 1940, ma dal 1957 venne nuovamente adibita ad uffici e magazzino di tabacchi)… Nel 1772 le proprietà più consistenti di Nicolò Tron(uno degli ultimi boss dell’antica Serenissima) vennero intestate a Loredana Tron moglie di Antonio Priuli che possedeva 100 ettari a Gambararee 355 ettari a Cà Tron a Musestre… Cinque anni dopo Elena Querini nelle sue lettere ricordava che due dame veneziane furono costrette a ritirarsi in casa per comando pubblico. Avevano trasgredito al decreto che impediva di andare a teatro senza maschera ed abito confacente allo stato nobiliare. Secondo le voci che circolavano per Venezia, le due donne apparivano spesso a teatro: “… vestite con la massima indecenza ed ornate a capriccio …”

Le due Nobildonne erano una Priuli nata Labia ed una Toderini nata Bon… Nel 1781, invece, l’Accademia dei Nobili della Giudecca presentò una supplica alla Quarantia Civil Vecchia lamentando il mancato introito di 200 ducati annui dovuto per testamento del 1623, da parte della NobilDonna Anna Maria Priuli a cui erano pervenute le sostanze del NobilHomo Ottaviano Bon ... A fine 1700 nella Terra del Friuli esistevano le piccole proprietà di 100-200 ettari delle famiglie Friulane dei Sbruglio, Valentinis, Asquini, Girardis e Fabris che affidavano a fattori la gestione le loro tenute. La maggior parte delle terre Friulane appartenevano però a 3 Famiglie Nobili Veneziane: i Riva, i Priulie i Morosiniche da sole possedevano 2.345 ettari ossia il 34,6% dell’intera superficie catastatica del Friuli.

Nel 1789 nella chiesa di Santa Sofia venne fondata la Compagnia dei Morti per volontà dei Veneziani della Contrada e soprattutto grazie al generoso contributo di Antonio Sgualdini venditore di pentole. La Compagnia si preoccupava soprattutto di far celebrare ogni anno tutta una serie di Messe per i Morti di cui il Sacrestano di Santa Sofia rilasciava quietanza di pagamento al Cassièr della Compagnia dei Morti registrando tutto puntualmente in appositi registri ... Se si voleva celebrare Messe per i Morti nei giorni festivi bisognava pagare un apposito supplemento … Nel 1794 divenne Piovano di Santa Sofia Prè Giovanni Capretta, poeta Bernesco e autore del poema: “Il Mondo della Luna” scritto quando fu costretto a riposo a causa della “Podàgra”mentre era Parroco a San Nicolò di Barbuggio nel Polesine. In Santa Sofia di Venezia fondò l’Accademia dei Sofronomi che nel 1803 si fuse con la famosa Accademia Veneta e Letteraria di Santa Apollonia.

E siamo finalmente al 1800 … Era ora direte !

Nei primi anni del secolo Bartolomeo IV Priuli ereditò tutto l’ingente patrimonio dei Nobili Priuli “che avevano continuato a fare alto e basso nella Contrada di Santa Sofia alla maniera che sapevano fare i Nobili”… All’ultima Visita Pastorale del Patriarca Flangini prima della “tempesta napoleonica”, quando ancora il Fornaio Martino Gattiebbe il coraggio di far fabbricare in Calle del Forno in Contrada di Santa Sofia un Oratorio-Anconeta dedicato alla Natività di Maria e a San Roccocollocandovi dentro un vecchio Capitélo di legno molto venerato dai devoti della Contrada … Nelle congiunte Contrade di Santa Sofia e Santa Caterina si contavano 3.500 abitanti soprattutto Veneziani ... Nei pressi di Santa Sofia era attiva la Spezieria da Medicine “Ai due Persici”, e operava in pianta stabile una levatrice ... Fra i tanti fedeli e devoti che risiedevano in Contrada si annotava e segnalava un solo impenitente, e un solo concubinario: Gabriele Piazza che era: “oscuro Professore Alchimista e uomo di cattivo nome”.

Intorno alla chiesa di Santa Sofia ruotava ancora la vita e l’attività di 22 Preti fra i quali c’erano anche un Napoletanoe un Trevisano… Si teneva e insegnava la Dottrina Cristiana per le Putte nella chiesa di Santa Caterina che era “assai ben frequentata” … e il Piovano possedeva una rendita di 1.250 lire annuali provenienti per 202,14 ducati dall’affitto di 2 case e 7 botteghe a Venezia, e da alcuni livelli e da 1 quarto d’affitto di vari campi in Terraferma.

Gli altri titolati della Collegiata di Santa Sofia possedevano come entrate: il Primo Prete 109 ducati con spese di 34 ducati; il Secondo Prete 87 ducati con spese di 32 ducati; il Terzo Prete 85 ducati con spese di 30 ducati; il Diacono 123 lire nette; e il Suddiacono 98 lire nette ... Uno soltanto dei Preti: Don Bagolìn, era dedito al vino e in certe occasioni faceva chiasso in Sacrestia: “… Prete indiscreto, torpido e intrigante”dicevano di lui i suoi colleghi Preti, “Vuole soggiornare senza permesso e gratis a Zero nel villino rovinato dall’invasione dei Francesi e destinato alla famiglia del Procuratore del Capitolo di Santa Sofia e a spese di codesto …”

In chiesa dove si predicava tutto l’anno, si celebravano l’Ottavario dei Morti, e i Vespri tutte le domeniche eccetto che nella stagione invernale … Nel solo 1802 si celebrarono ben 810 Messe da Funerale, altre 5.000 vecchie Messe perpetue finanziate da antichi testamenti risalenti ancora al 1600 e 1700; 32 fra Esequiali e Anniversari, e altre 1.000 Messe avventizie “ordinate al momento”.

Giunti i Francesi a Venezia, nel 1810 tutte le pale d’altare di Santa Sofia compresa l’“Ultima Cena” di Paolo Veronese(trasportata alla Pinacoteca di Brera di Milano), e le portelle d’organo del Palma(finite prima in Seminario e poi all’Accademia) vennero prese e portate via insieme ai paramenti liturgici, le suppellettili di chiesa e ogni altro arredo di valore. La Municipalità Provvisoria requisì argenterie in Santa Sofia per un valore di 472,3 ducati, il Capitolo dei Preti e il territorio della Contrada vennero annessi a quelli di San Felice e Santi Apostoli, e la chiesa di Santa Sofia venne venduta dal Regio Governo a degli imprenditori Ebrei che ne fecero magazzino di sabbia chiudendo molte delle 16 finestre, e vendendo il pavimento alla vicina chiesa della Maddalena… Il 30 aprile 1812 il Governo comunicò al Patriarca di Venezia: “… essendo mancato ai vivi il Parroco di Sant’Ermagora e Fortunato (San Marcuola), ed essendo stato sostituito al medesimo il Parroco della riunita chiesa di Santa Sofia che porta con se la congrua di lire 276, ed essendovi la circostanza che la parrocchia di Sant’Ermagora non ha che la rendita fondiaria di lire 107,6, propongo d’investire definitivamente il Parroco di entrambe le rendite perché passino a suoi successori come congrua stabile di Sant’Ermagora e Fortunato…”

Furono le ultime schermaglie giuridico-economiche del nuovo Governo di Venezia circa la chiesa di Santa Sofia … Nel gennaio 1815 il Locale della chiesa di Santa Sofia in Venezia e annessi vennero inclusi nella “Lista delle vigne, orti, beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezia nei giorni d’asta 12 e 16 febbraio seguenti”Prè Giovanni Bellomo ex Prete di Santa Sofia, Letterato e Professore di Storia e Filosofia inneggiò  prima a favore “della nuova idea Francese”, poi fu prontissimo a cantare la vittoria dell’Austria su napoleone esaltando l’arrivo a Venezia del Patriarca Milesi e dell’Imperatore Francesco I°(come sempre la Chiesa si schierava dalla parte del più forte e di chi le conveniva di più)… Nel 1817 l’ex Capitolo soppresso di Santa Sofia possedeva ancora alcuni stabili dall’affitto non pagato, alcuni fondi posseduti da beneficiati defunti, qualche bene in terreni a Zero che le procurava una rendita annuale di 285,51 lire, e una Vigna a Malamocco di proprietà del defunto Parroco di San Giovanni Crisostomo che rendeva lire 70,01 annue … Alla Visita del Patriarca Pirker esistevano ancora in circolazione 20 abiti della Madonna di Santa Sofia, e 5 vesti e 3 faccioli per vestire “la Madonna in piedi”, e perfino “una statua di Sant’Osvaldo vestito” … mentre nel 1823 l’organo di Santa Sofia costruito dal Callido venne trasportato a Sant’Antonio di Pellestrina dove si trova tuttora ... Infine nel 1834-36: Giovanni Battista Rebellini impiegato del Lotto e nipote di un Padre Somasco ricomprò gli edifici di Santa Sofia per 3.500 lire Austriache contanti (secondo una voce maligna anonima: “… quei soldi erano stati frodati al Banco del Lotto”).

Santa Sofia venne perciò restaurata: si portarono via burci su burci di macerie, si raccolsero numerose offerte dai fedeli e da ex Sacerdoti della stessa chiesa come Prè Antivari e Prè Avon (6.152 lire Autriache in tutto). La famiglia Zoppetti pagò il restauro di un muro, altri ridussero per motivi statici e restaurarono il tozzo e ora sproporzionato campanile collocandovi una formella di Sant’Antonio Abate recuperata in chiesa … Si rifece il pavimento in cotto e un nuovo altare con i rimasugli di quegli vecchi andati distrutti, e si posero sopra due statue di “San Luca e Sant’Andrea”offerte dalla Famiglia Colombo che le aveva recuperate dall’incendiata e distrutta chiesa di Santa Maria dei Servi di Cannaregioche sorgeva non molto lontano da Santa Sofia.

Si regalarono nuove argenterie, Messali, candelieri d‘ottone, sete, banchi e quadri perchè tutto l’arredo originario era andato perduto … L’impresario Veneziano Varetton donò un paio di busti, un lavello in marmo per la Sacrestia, finanziò il restauro delle Cappelle laterali e la ridipintura della navata principale con aggiunta di affreschi e stucchi ... Un certo Barbison regalò un Crocifisso che venne collocato sull’Altare Maggiore … la Famiglia Dal Senno offrì due tele della Scuola di Leandro Bassano: “L’Adorazione dei Magi” e un “Cristo deriso”… il restauratore Antonio Florian diede un quadro con “San Carlo Borromeo”Maddalena Berardi da Venezia mise a disposizione una pala realizzata dal Vicentino Giambattista Maganza con: “La Vergine, Santa Veneranda e Sant’Antonio da Padova” che venne riadattata a un altare tagliandola in tre pezzi ... E dopo aver speso 6.288,87 lire si fece finalmente ribenedire la chiesa dal Patriarca Jacopo Monego riaprendola al culto.

Il Rebellini per completare l’opera destinò per il mantenimento della chiesa uno stabile di sua proprietà che avrebbe dovuto procurare una rendita annuale di 130 lire. Santa Sofia venne perciò restituita ai fedeli della Contrada che non esisteva più, come Oratorio di San Felice e con l’onere di mantenerla aperta pena il passaggio dell’edificio in libero uso agli eredi dello stesso Rebellini.

Nel maggio 1792 nacque a Venezia Marc’Antonio Secondo Nicolò Priuli. Educato nel Seminario di San Cipriano di Murano, socio dell’Ateneo Veneto, fra gli “Scienziati Italiani” nel 1847, fu sostanzialmente un uomo moderato e di mediazione. Come Assessore Municipale di Venezias’impegnò con Pietro Du Bois, Pietro Bigaglia e il Podestà Domenico Morosini fra 1828 e 1831 per ottenere dall’imperatore Francesco I il Porto Franco di Venezia, e con Daniele Manin, Leone Pincherle, Valentino Pasini, Gian Francesco Avesani, Agostino Sagredo e il Podestà Giovanni Correr fu protagonista del biennio del Risorgimento Veneziano nel 1848-49.

Insieme all’Abate Pietro Canal, suggerì ai Veneziani che era meglio arrendersi e non resistere all’Austria perché ne avrebbe subito le ritorsioni. Per questa sua posizione centinaia di Veneziani andarono a manifestare violentemente sotto Palazzo Priuli, ma quando Venezia capitolò all’Austria lo scelsero con Manin, il Patriarca Jacopo Monico, il Podestà Correr, il Principe Giuseppe Giovanelli, Giacomo Treves de’ Bonfili ed Edoardo Becker per trattare con gli Austriaci.

Priuli si recò in delegazione a Viennasottomettendosi all’Imperatore e provò a convincerlo a non essere punitivo con Venezia confermandole il privilegio del Porto Franco. L’Imperatore stizzito con Venezia per le spese di guerra inizialmente non accettò la proposta, ma si ricredette nel 1851 proprio per le insistenze dello stesso Marc’Antonio Priuli che nominò Cavaliere di terza classe dell’Ordine Austriaco della Corona Ferrea. Il Priuli però rifiutò la candidatura a Podestà di Venezia, e nel biennio rivoluzionario e fino agli ultimi momenti della sua vita, dedicò energie e sostegno economico alla diffusione degli Asili dell’Infanzia per le classi popolari sviluppati a Venezia dal 1830 sull’esempio di quelli realizzati a Cremona da Ferrante Aporti

Marc’Antonio Priuli morì a Venezia l’11 febbraio 1854, senza lasciare eredi chiudendo così l’ennesima pagina dell’antica saga dei Priuli che fra 1843 e 1874 possedevano ancora terre a Meolo, Dolo, Vigodarzeree nel Polesine, oltre che una tenuta di 850 ettari a Turriaco di Monfalcone.

Ancora nel 1853 nella chiesa di Santa Sofia “dove pioveva dentro”, si continuava a celebrare pratiche devozionali come la Via Crucis, e ogni Martedì Santo si andava ad esporre fino a mezzogiorno le Reliquie della Passione impartendo una solenne benedizione finale per i pochi fedeli dell’ex Contrada rimasti che continuavano a presenziare a quei riti. La chiesa aveva più che mai bisogno di restauri urgenti per i quali Don Epis Parroco di San Felice chiese aiuto al Governo in quanto l’edificio lasciato dal vecchio Rebellini(andato in fallimento) non era sufficiente al mantenimento della chiesa che sopravviveva grazie alle sole elemosine dei fedeli (lo stabile del Rebellini messo a disposizione di Santa Sofia era sito a San Sebastiano. In realtà era gravato da numerose ipoteche, e non venne mai donato veramente e giuridicamente alla chiesa).

Nel 1872 si provvide a realizzare e aprire “la Strada Nuova” che congiungeva Rialto con la Stazione Ferroviaria attraversando tutto il Sestiere di Cannaregio … Il Rettore di Santa Sofia: Don Missiaglia fece riattare la chiesa rifacendo l’atrio-ingresso e altercò non poco col vecchio Rebellini in quanto il Prete-Piovano aveva già ceduto al Comune parte del fondo dalla chiesa per ottenere dei finanziamenti per i restauri, e intendeva anche vendere qualche opera d’Arte e un paio di campane di Santa Sofia. Il vecchio che aveva salvato la chiesa dalla rovina e dalla demolizione non voleva saperne di quelle manovre.

“Sono io il padrone qua dèntro … e fuori della porta vedo lo stemma di sua Eminenza il Patriarca e non il suo …” gli ribadì storicamente Don Missiaglia furente. Non fu di certo riconoscente con quell’anziano donatore che di fatto salvò Santa Sofia.

Nella Visita Pastorale del Patriarca Cavallari del 1907, su Santa Sofia si scrisse: “Nulla di rilevante.”… Nel  1911 il Piovano di San Felice Monsignor Luigi D'Este realizzò il Patronato di Santa Sofia nei locali semiabbandonati della chiesa … Alla Visita Pastorale del 1919 col Patriarca La Fontaine si richiamò la necessità di rinnovare gli arredi, gli abiti liturgici, i Confessionali, d’indorare la porticina del Tabernacolo, rimuovere i fiori di cartapesta polverosi e smunti messi in giro per la chiesa, e rimediare alle tovaglie degli altari incartapecorite e pregne d’umidità ... I Patriarchi Piazza (1945) e Agostini(1951) di fatto non aggiunsero altro di significativo … e siamo ai giorni nostri: Santa Sofia non è più quella di un tempo ... così com’è cambiata quasi del tutto la vita di quelli della sua Contrada, di tutti i Veneziani, di Venezia e di tutto il resto.

E’ rimasta soltanto la Storiaa volte inseguita e frequentata da pochi curiosi ... come te che sei riuscito a leggere fino a qui le mie forse noiose parole.



“La Contrada de San Zàn Degolà … una cièsa inbusàda.”

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#unacuriositàvenezianapervolta 212

“La Contrada de San Zàn Degolà … una cièsa inbusàda.”

Sia che la raggiungi dalla parte della Salizada del Traghetto e del Fontego dei Turchi e per Calle dei Preti, che percorrendo il Ramo, Ponte, Sottoportego, Calle, Fondamenta del Megio dove sorgeva l’omonimo Fontego, e poi le curve e controcurve delle callette buie e strette di Calle del Capitello e Calle del Spezièr… Anche giungendo dall’altra parte ancora: ossia dal Ponte di Calle Bembo, il Campo di San Zàn Degolà, cuore dell’omonima Contrada, ti appare davanti all’ultimo momento quasi sorprendendoti. Sembra proprio un gioiellino, un bijoux nascosto, avvolto nel portagioie delle case e dei palazzi di quella minuscola e recondita parte di Venezia. San Zàn Degolà è stata una Contrada di Venezia davvero mignon.

Dentro a un pomeriggio tiepido e dalla luce soffusa, le ho riviste e rivisitate di recente sia l’ex Contrada che la chiesetta di San Zàn Degolà(ossia San Giovanni Decollato) nel Sestiere di Santa Croce. Le case intorno sembravano dipinte a pastello, ed era del tutto deserto il Campo di San Zàn Degolà. C’era solo una giovane donna biondissima dell’Est, che con un abito lungo fino a terra, e un fazzolettone variopinto alzato sopra alla testa, si è fermata compostissima giusto davanti all’entrata della chiesetta segnandosi la fronte “alla greca”, e chinando devotamente la testa prima d’entrare lentamente … L’atmosfera sembrava d’altri tempi.

Da quando è stata riaperta, infatti, la chiesa di San Giovanni Decollato è stata affidata per darle un po’ di vitalità alla Comunità degli Ortodossi Russi che vivono a Venezia e dintorni.

Entrando appunto all’interno, ho trovato un austero Pope Ortodosso grigiovestito e dal barbone rossiccio, elegantissimo nella sua uniforme nuova fiammante ... La nuova Iconostasi collocata sul Presbiterio, il Luogo invalicabile del Sacro distinto dall’aula dei Fedeli comuni mortali, non s’accorda affatto con le vecchie sembianze della chiesa: stona un poco, è troppo sfacciatamente colorata e dorata, le manca il sapore d’antico … Ma per gli Ortodossi deve essere così: di Dio si può vedere solo l’Icona, percepirne lo sguardo, avvertirne solo l’alito invisibile luminoso, dorato e misterioso. Niente di più.

Da quel che si legge in giro, gli Ortodossi Russi “Veneziani”vorrebbero molto di più della chiesupola stretta e asfittica di San Zàn Degolà, poco comoda e scarsamente pomposa. San Zuàn Degolà, infatti, è quasi del tutto spoglia e disadorna, quasi essenziale nelle sue antichissime linee architettoniche veneto-bizzantine-esarcali … non assomiglia affatto alle tipiche chiese veneziane ad unico stanzone tutto decorato e tappezzato d’opere d’Arte dal soffitto fino al pavimentoNon possiede ridondanza barocca, né induce alcun senso di ricchezza e potenza ... Sembra bassa, povera e spartana con le sue tre navatelle divise da esili colonne, le pareti nude, e il soffitto rustico a capriate scoperte come di nave rovesciata … Pare quasi un romitaggio, una chiesetta persa dentro a un bosco … un posto ombroso e tranquillo dove sostare a meditare e contemplare.Per intenderci fra Veneziani, assomiglia un poco a Santa Sofia o San Felice di Cannaregio, o a Sant’Agnesee San Nicolò dei Mendicoli a Dorsoduro, oppure a San Giacomo dell’Orio e Santa Maria Materdonimi che sorgono soltanto qualche calle e ponte più in là … Possiede“un certo che” di mistico e orientaleggiante San Zan Degolà.

Sostandovi dentro, pur non essendoci Battistero, Cripta, e neanche il Portico antistante spazzato via perchè forse luogo dei soliti improprio “bàgoli notturni Veneziani”, si percepisce tuttavia quell’atmosfera tipica Bizzantina e Battesimale di Torcello, con gli affreschi alle pareti (che non ci sono più) che raccontano “Storie”, e l’orientamento dell’edificio verso est: luogo della Luce, del Sole Oriens richiamo esplicito al Cristo Lux Vitae et Mundi.

“Le Suore che se ne sono andate via dopo decenni di gestione di San Zàn Degolà, si sono portate via anche la luce del Sole … Non hanno lasciato dentro nulla.”, mi ha raccontato di recente con un po’ d’ironia un Prete navigato Veneziano che vive e opera proprio lì, poco distante,“Se avessero potuto si sarebbero portate dietro perfino i moccoli consumati delle candele … Hanno asportato e portato con se qualsiasi cosa, comprese alcune che appartenevano da sempre all’antica Contrada Veneziana … Hanno fatto un bel repulisti in stile napoleonico … E’ rimasto solo il nome di San Zan Degolà, che suona rotondo quasi come uno scioglilingua … Lo senti ? … San Zàn Degolà … è proprio Veneziano puro.”

Pur affacciandosi sul Canal Grande di fronte alla vispissima Contrada di San Marcuola, e poco distante dal Fondaco dei Turchi (che meriterebbe lunga considerazione a parte), quella di San Zàn Degolà è stata sempre una fra le Contrade più discoste, piccole, amene, recondite e semisconosciute di Venezia ... E’ sempre sembrata un frammento poco significante di Venezia, non c’erano altisonanti Monasteri in zona, ma vi abitavano diversi Nobili illustri come i Donà di San Zan Degolà“Mercanti di carisèe in Siria” considerati “di casa grande o Ducali” ossia fra i 15 casati più ricchi di Venezia. Furono: Senatori, Ambasciatori, Patriarchi di Aquileia e Venezia, e proprietari di grandi feudi e possedimenti nella Terraferma Veneta e oltre.

Sempre nella stessa Contrada di San Zàn Degolà, abitavano anche altri Nobili illustri come i Foscarini-Giovannelli, e i Gidoni-Bembo-Valier di San Zan Degolà che erano un Casato di II Classe legatissimo ai potenti Nobili Labia, Priuli, Tiepolo, Loredan e Corner con i quali vantavano anche debiti personali. Se da una parte erano un gruppetto, un clan di Nobili religiosi e devoti al Papa e alla sua Santa Sede, dall’altra: Valier, Dolfin e Correr erano famosi a Venezia perchè pagavano le multe dovute al rifiuto della Cariche Pubbliche col denaro vinto al gioco d’azzardo di cui erano entusiasti interpreti. I Valier possedevano grandi terreni, campi, foli da lana e mulini a Malcontenta, Borbiago e Sant’Ilario di Fusina, come a Musestre e Meolo nella così detta: Zosagna di Sotto Trevigiana, e a Monastier dove fecero rompere i pubblici argini del fiume Meolo per far funzionare i propri mulini.

A San Zàn Degolà non mancarono d’abitare neppure i Marcello, che erano Nobili fin dal 1297 appartenenti alla fazione dei “Curti o di Casa Nuova o Ducali”, grandi latifondisti dediti alla Merchandia a Constanopoli e Trebisonda, amicissimi per matrimoni e consanguineità, e alleati in Maggior Consiglio con i Longo, Dandolo, Bemboe Bragadin. Le cronache cittadine raccontano che ciascuno di loro sapeva di poter contare incondizionatamente sull’appoggio degli altri in qualsiasi momento. I Marcello erano legati da vincoli sponsali con i Toderini aggregati alla nobiltà veneziana “per soldo” al tempo della Guerra di Morea. Erano una famiglia di Notai prestigiosi, con Villa a Codognè di Treviso… Una Toderini fu famosa perché: “… appariva spesso a teatro …vestita con la massima indecenza ed ornata a capriccio, senza maschera, né abito confacente …”  Fu costretta a ritirarsi in casa in applicazione di un pubblico decreto della Serenissima.

C’erano infine, i Nobili Venier, che possedevano un palazzo proprio a destra della chiesa di San Zàn Degolà. Lì abitò il Doge Antonio Venier: “uomo giusto e severo, incorruttibile e rigidissimo, chiamato Antoniazzo dai Veneziani”. Al tempo in cui fu Doge (1382-1400), suo figlio, lo scapestrato Alvise, amico di Marco Loredan, fu autore nel 1388 dell’affissione di alcune corna d’animale sulla casa del Patrizio Dalle Boccole in Contrada di Santa Ternita a Castello. Le aveva accompagnate con scritte volgari nei confronti della moglie del Nobile che aveva più volte spudoratamente violato, e già che c’era aveva offeso pure la suocera e la sorella con epiteti improponibili. Entrambi i giovani vennero condannati a due mesi di carcere duro nei Pozzi di Palazzo Ducale, le famose prigioni umide a livello d’acqua, dove Alvise si ammalò. Il Doge Venier fu irremovibile: non volle esprimere clemenza verso suo figlio nonostante le numerose suppliche di familiari, amici e conoscenti, e lo lasciò morire miseramente in prigione.  Si dice che lo stupendo affresco di San Michele: Arcangelo della Morte e della Giustizia raffigurato in San Zàn Degolà, sia stato voluto e commissionato proprio dallo stesso Doge Venier per ricordare quel suo grande evento-dolore familiare.

Andatelo a vedere ! … E’ singolare collegare l’aspetto così singolare di quell’Arcangelo della Morte col così tragico destino (forse storico) di quel padre che fatalità era anche Doge.

E’ interessantissimo notare leggendo fra le pieghe storico-artistiche e i segni rimasti, la presenza del Culto dell’Arcangelo Michele a Venezia e in San Zàn Degolà. Come sapete meglio di me, il Culto Michaelico dell’Arcangelo“Principe degli Spiriti Celesti … Contra insidias Diaboli, e contro gli Spiriti Maligni che vagano nel mondo per la rovina delle Anime” ha interessato l’Europa Medioevale intera lungo la “Via dell’Angelo” che va da Mont Saint Michel in Francia fino al Santuario dell’Angelo sul Gargano in Puglia. Anche i Veneziani furono partecipi di quella sensibilità Michaelica collegata inoltre al Suffragio e Culto dei Morti, e all’Apocalittico Giudizio Finale(pensata all’isola di San Michele, alla Contrada di Sant’Anzolo, a San Michele del Quarto ...o più semplicemente alla Pala d’Oro di San Marco dove non è mancato d’essere raffigurato l’Arcangelo Michele.)

Accanto all’Arcangelo, è altrettanto bella poi la serie degli affreschi del 1200 rinvenuti quasi casualmente durante i restauri del 1942-1945 restaurando la Cappella del Crocefisso. Soprattutto la splendida “Annunciazione” staccata nel 1974 per portarla alla celebre mostra “Venezia e Bisanzio”, ma anche gli “Evangelisti” della stupenda volta dipinta sul soffitto a crociera, e la “Sant’Elena e Santi”(Elena fu l’Imperatrice, la Scopritrice della Vera Croce, nonché la moglie di Costanzo Cloro e madre di Costantino il Grande, quello dell’editto, il regolatore del Cristianesimo).

I primi documenti di San Zan Degolà risalgono al 1007 … La Contrada, vista la vicinanza, è sempre dipesa come oggi, dalla massiccia vicina San Giacomo dell’Orio o del Luprio, che un po’ ha scandito i destini e dettato il tempo di tutta l’area veneziana rubando la scena alla piccola San Zàn Degolà.

Probabilmente “all’inizio”, diciamo circa nel VII-VIII secolo, nelle “piscine o pullarie” di quel che sarebbe diventato il Sestiere di Santa Croce, esisteva forse già un povero Oratorietto di legno dedicato a San ZanDegolà. Fu poi verso il 900-1000, che sorse la chiesa vera e propria ad architettura Veneto-Bizantina, con pianta basilicale a tre navate finanziata forse dai Nobili Venier quando la zona per lo sviluppo dell’asse commerciale Rialto-San Marco con relativo incremento abitativo e produttivo, divenne Contrada e Parrocchia-Collegiata con Capitolo di Preti Secolari affiliata alla Matrice di San Pietro di Castello.

San Zàn Degolàrimase indenne insieme con le vicine: San Stae, San Giovanni Evangelista, San Giacomo dell’Orio, San Tomà, San Polo e Sant’Aponal quando scoppiò il grande incendio nel gennaio 1106 che bruciò e distrusse, invece: Sant’Agostin, Santi Apostoli, San Cassian, Santa Maria Materdomini, Sant’Agata ossia San Boldo e San Stin (San Stefanin)… Nel 1118 assunse ufficialmente la titolazione e dedicazione a San Giovanni Battista Decollato… ma non scappò né si salvò nel 1149, quando furoreggiò un altro nuovo grave incendio che coinvolse ben 13 Contrade Veneziane distruggendo ancora: Santa Maria Materdomini, Sant’Agostin, San Stin, San Basegio, l’Anzolo Raffael, San Nicolò dei Mendicoli, San Boldo, San Stae, San Giacomo dell’Orio, Santa Croce, San Simeon Grande e San Simeon Piccolo. Si salvarono stavolta solo: San Cassiano, San Polo, San Silvestro, San Giovanni Evangelista e Sant’Aponal… Ma tutto venne prontamente riattato e restaurato, come si usava a Venezia in certi secoli, e nel 1171 circa si giunse al riordino urbano e cittadino con la nuova suddivisione di Venezia in Sestieri e Contrade.

Nel primi decenni del secolo seguente, quando al tempo del Piovano Prè Giacomo Viviano la chiesa di San Zàn Degolà pericolante venne a spese dei Nobili Pesaro in gran parte modificata e rifatta, Dominicus Georgius Arciprete della Congregazione dei Preti di San Silvestro e Piovano di San Zan Degolàossia Sancti Iohannis Decollati, fungeva da Notaio nel vicino Emporio di Rialto redigendo l’atto con cui Tommasina moglie di Giacomo Mudaciofece quietanza a Tommaso Viaro del Confinio di San Maurizio di un prestito di lire 125 di Denari Veneti fattogli dal defunto padre per commerciare fino a Cretae sino alla “Muda di Settembre”… Fu ancora lo stesso Prete di San Zàn Degolà nel marzo 1248, e sempre a Rialto, a presenziare come testimone insieme al Notaio Johannes Rolando Prete di San Giovanni di Rialto, al gesto con cui Tommasina vedova di Andrea Dolfin residente già in San Cassiano, e ora in Contrada di San Giovanni Decollato, vendeva per lire 26 di Denaro Veneto a Cecilia Badessa di Santa Margherita di Torcello la metà di un manso sito a Villorba, già di suo marito ... In quegli stessi anni. a ridosso di una Vera da Pozzo decorata a foglie e disegni da cui attingevano tutti quelli della Contrada, sorgeva il vecchio campanile in mezzo al Campo (ora e fin dal 1700, invece, c’è “una mezza canna campanaria” che spunta fuori incorporata e amalgamata sul retro della chiesetta).

Risale all’inizio del 1300, ai tempi forse del Piovano Bonamico, una serie di leggende che interessarono la Contrada di San Zàn Degolà. Una, quella più conosciuta e famosa, fu quella di Biasio o Biagio Luganegher della Contrada, che sembra possedesse un’osteria-taverna proprio in Campo San Zàn Degolà o sulla riva accanto. Doveva essere invidiatissimo dai suoi colleghi per uno speciale “sguazzetto” delizioso che sapeva preparare, fatto di frataglie di carne e verdure … uno spezzatino, insomma, che doveva rendergli parecchio.  Fu così che si mise in giro una voce-sospetto che quella “carne tenerella” fosse fin troppo simile a quella morbida dei bambini … E poi fu quasi conseguente, che un bel giorno Marangon Toni finisse col trovare nella sua zuppa qualcosa di molto simile a un dito … Il resto venne da se: denuncia di Biagio alla Quarantia Criminal, tortura, ammissione del reato, decapitazione e squartamento, e perfino casa-osteria rasa al suolo … Un tempo si portava i bambini Veneziani a vedere una sembianza consunta infissa in muro nei pressi del ponte e della chiesa di San zan Degolà. Si diceva: “E’ il volto di Biagio Luganeghèr !”… Un’immagine da brividi per i bimbetti … In realtà, la così detta immagine di Biagio Luganeghèr altro non era che un’antichissima “Testa di San Zan Battista Decollato”, che nel 1968-69 don Boccanegra Vicario di San Zàn Degolà si premurò di far rimuovere e spostare dal pilastro accanto al ponte collocandola su un muro accanto alla chiesa.

Sempre a proposito di dita … Un’altra leggenda tradizionale di stampo diverso risalente al tempo del Piovano Vittorio Cottario, racconta della vicenda di un Cavaliere Boemo Pellegrino verso la Terrasanta attraverso Venezia, che venne ricoverato in fin di vita nell’abitazione di un certo Antonio Colonna. Scriveva Flaminio Corner nel 1758 nel suo “Notizie storiche delle Chiese e Monasteri di Venezia e di Torcello”: “Gloriasi questa chiesa di possedere quel dito del suo Titolare col quale indicò ai Giudei il Redentore del Mondo. Ottenne quella preziosa Reliquia un Cavalier Boemo nel corsi dei divoti suoi viaggi per la Palestina, ed arrivato essendo nell’anno 1334 a Venezia colto da grave malattia, e ridotto agli estremi della sua vita, inculcò con premura ad Antonio Colonna, nella cui casa era alloggiato, che dovesse offrir la venerabile Reliquia a qualche chiesa dedicata al Santo Precursore. Era ascritto Antonio ad una Pia Confraternita sotto il titolo di San Giovanni Battista istituita in questa chiesa: perlochè le destinò il Sacro Dono, che con solenne processione dalla di lui casa situata sulla pubblica Piazza di San Marco ad essa fu trasportato …”

Fu così che nel successivo 1341 scappò fuori l’istituzione di una nuova Schola di San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, che in seguito divenne: Schola di San Giovanni Battista dei Forneri di San Zan Degolà… I Forneri erano sempre pronti a festeggiare con Messe, Processioni e candele accese le ricorrenze del 24 giugno, 29 agosto e 27 dicembre rispettivamente: Natività del Battista, Decollazionedello stesso, e Festa dell’Evangelista Giovanni... Come tutte le altre Schole di Venezia, la Mariegola dei Forneri di San Zàn Degolàè piena zeppa d’indicazioni sulle qualità necessarie per potersi iscrivere alla Fraglia, sulle Messe di Suffragio per i Confratelli e le Consorelle per i quali si recitava ogni volta “25 Pater-Ave”, sulla Terza Domenica del Mese “che era ordenàda”… e ricorda curiosamente anche tutta una serie di curiose liti con i troppo numerosi Sonadori della Schola(iscritti di prestigio e con più privilegi) che vennero radiati e ridotti a soli otto: “perchè non compivano il loro dovere”.

La Schola conservava nel suo “Albergo a pianoterra della casa del Piovano verso Cà Morosini” il famoso “Dito-Reliquia del Battista” lasciato dal misterioso Pellegrino Boemo ... Nel 1510 la stessa Schola, che nel frattempo s’era sdoppiata accogliendo anche l’Arte dei Gua Cortellini proveniente dalla Contrada e chiesa di San Geminianoo Ziminiàn (Piazza San Marco) da dove era stata sfrattata, volle ampliare e rinnovare la propria sede, perciò “il Santo Dito” incominciò ad andare a spasso ospite delle case di quelli della Contrada senza tornare più in chiesa … Tanto che nel 1601 i Provveditori da Comun si ritrovarono costretti ad ordinare che la “Reliquia del Battista Zàn Degolà” tornasse sull’altare della sua Schola collocandola in un apposito tabernacolo in marmo.

Anche nel 1677 gli iscritti della Scola dei Forneri e dei Gua Coltelli di San Zan Degolà fecero un certo casino: non volevano pagare una doppia “Tassa di Luminaria”. C’era qualcuno che s’era iscritto contemporaneamente per opportunità a due Schole: quella di San Giovanni Battista e quella dell’Annunziata…. Erano troppi i privilegi e i tornaconti sommati a cui miravano gli iscritti … Dovettero intervenire di nuovo i Provveditori da Comun, che imposero ai “Mistri de Forni o de mezzi forni” di pagare le tasse di entrambe le singole Schole ... pena la radiazione.

Nel settembre 1773, invece, quando la statistica delle Arti Cittadine numerava 98 Capimaestri Gua Coltellini, 6 Garzoni e 124 Lavoranti Gua Coltelli attivi in 29 botteghe, 9 posti e 38 inviamenti di Venezia, solo 58 Gua Coltellini erano regolarmente iscritti alla Schola e all’Arte. S’iniziò perciò la procedura di soppressione della Schola perché inadempiente ... Si fece l’Inventario dei beni ricordando ed elencando argenti per 2.334 lire e 15 soldi, alcune opere di scarso valore: ossia 5 piccoli quadretti valutati 6 lire, “una Mariegola schietta”, e un “pennello di pittura (gonfalone processionale decorato) finiti nelle mani del Nonzolo della chiesa. Il Piovano fu costretto ad imporsi ancora una volta perché la “Reliquia del Santo Dito” di nuovo in partenza rimanesse in chiesa, e perché tutti quegli oggetti non finissero venduti, ma consegnati alla Compagnia del Rosario che continuava le sue devozioni.

Nel 1797 l’Arte dei Gua Coltellinivenne sciolta e soppressa del tutto perché giudicata Arte manifattrice di consumo soggetta a schiavitù e da aprirsi … Quasi incredibilmente e curiosamente però, nel 1961 il Reliquiario del Dito di San Giovanni Battista girava ancora per la chiesa di San Zàn Degolà. Eccone la descrizione in un Inventario di quegli anni: “Reliquia in rame dorato e argento inciso con base esagonale, con tre piastrine con figure di Santi, e nodo a popone. Teca ed edicola esagonale con contrafforti e pinnacoli; cupolino alto cuspidato con croce a fiorami.” … Poi risultò scomparsa del tutto e forse per sempre … Dove andò a finire ?

Fra 1318 3 1320 Andrea Dotto(Padovano o Veneziano ?)era Notaio e Cancelliere Ducale nonchè Piovano di San Zan Degolà ... Poi fece carriera divenendo prima Piovano di San Martino di Castello, e poi venne Vescovo di Chioggia nominato nel 1322 da Giovanni XXII. “Non ancora sazio”, nel 1337 divenne per ben vent’anni Patriarca di Grado nominato da Benedetto XII, conservando ugualmente fino alla morte del 1350 … povero … i benefici e le rendite della Commenda della Parrocchia de San Martin di Venezia in cui non mise più piede neanche una volta.

Nel 1343 Prè Giovanni divenne Piovano di San Zàn Degolà succedendo a Prè Vittorio Danerio. A lui succederà sempre come Piovano tre anni dopo Prè Marco Bruno. Ci fu di certo un pastrocchio interpretativo, un equivoco e una sovrapposizione e confusione di nomi e cognomi circa Prete Giovanni Olim che alcuni classificarono come Olini.

Pasquale Cicogna ricorda: “… trovarsi esso nominato negli antichi documenti come Beato Zuane olim Piovan de San Zuàn Degolado”. Non si chiamava quindi Olim o Olini, perché “olim”in latino significa: “una volta” ... Perciò il Beato Zuane fu “una volta” Piovano di San Zàn Degolà, non si chiamava “Olim” ossia: “Giovanni Una volta”.

Ma queste sono minuzie … Di certo Prè Giovanni Olini dev’essere stato un buon uomo, perché divenne celebre per la sua vita santa, tanto da essere definito Beato. Esistono perfino alcuni racconti sull’ “Invenzione del corpo del Beato Giovanni Olini Pievano di San Giovanni Decollato”, e sui “Miracoli del Beato Giovanni fatti dopo la traslazione del suo corpo incorrotto venerati nella chiesa di San Sebastiano presso il Monastero di San Lorenzo di Castello.”

Nel 1358, avendo la Flotta Veneta vinto i Genovesi vicino all’isola di Negroponte nel giorno di San Giovanni Decollato, il Governo della Serenissima decretò di celebrarne ogni anno la ricorrenza. Quel giorno perciò divenne solenne per i Veneziani, ma siccome la Contrada era poco agevole da raggiungere con le barche, e la chiesetta di San Zàn Degolà troppo piccola per ospitare il pellegrinaggio-visita del Doge e di tutta la Signoria, si dispose che“… in quella ricorrenza il Doge colla Signoria visitassero a memoria piuttosto la Basilica di San Marco” ... Non si offesero per questo quelli della Contrada di San Zuàn, perché furono ugualmente generosi nel 1379, al tempo del Piovano Rosello e del Doge Andrea Contarini, nell’offrire lire 55.300 in prestito allo Stato per la guerra contro i Genovesi quando presero Chioggia. La Contrada di San Zàn Degolà in quegli anni annoverava 17 NobiHomeni e 3 NobilDonne, fra i quali c’erano Ser Lorenzo Priuli che contribuì per 5.500 lire, e i soliti 7 Nobili Venièr che contribuirono per 10,000 lire ... Fra gli offerenti meno facoltosi, c’erano pure 8 contribuenti abbienti, fra i quali: Lorenzo de Penello che diede lire 1.500, e Ventura de Bon Pesadòr, che offrì lire 300.

Nel maggio 1385, Giovanni Grizo o Grazo Piovan di San Zan Degolà venne citato a giudizio perchè inosservante della prassi d’invitare a pranzo nella Parrocchia in occasione della sua elezione a Piovano, tutti i Canonici di San Pietro di Castello pagando loro anche le tre barche per l’andata e ritorno ... Nel marzo 1393, i Giudici del Forestier gestirono una lite fra Marsilio Amici Barcaroloquondam Giovanni da Cefalonia abitante nel Confinio di San Zàn Degolà nelle case dei Davanzago, e Vespasiano Zufolo quondam Marco della stessa Contrada. Amici s’era impegnato a restituire 9 ducati d’oro avuti a prestito dal Zufolo insieme a una barca nuova a titolo gratuito. Come pena per la mancata restituzione, l’Amici dovette portare a spasso lo Zufolo la sera “fino alla seconda campana di notte”a suo piacimento per 18 mesi, inoltre venne condannato a pagare 16 ducati d’oro, e le spese di giudizio, o in alternativa subire il carcere in qualsiasi luogo si trovasse.

Negli anni seguenti si susseguirono ancora nella carica di Piovano di San Zàn Degolà: Prè Antonio Spinello, sostituito nel 1416 da Prè Antonio Federico, nel 1420 da Prè Antonio Rovella, e da Prè Marco Alberto nel 1426. San Zàn si confermò essere un buon trampolino di lancio per la carriera ecclesiastica, perché Prè Marco De Gusmieri, celeberrimo Giurisperito e Notaio, già Piovano a Santa Croce del Luprio, venne trasferito a San Zàn Degolà da dove passò poi a San Giacomo dell’Orio, divenendo poi Vescovo di Napoli di Romania in Morea. Morì a Venezia nel 1476 venendo sepolto a Sant’Andrea della Zirada per essere stato più volte Confessore di quelle Monache, ed aver assistito in qualità di Notaio più volte ai loro Capitoli, compresa l’elezione a Priora di Tommasina Giustiniani nel 1448.

Giusto nel novembre dell’anno seguente, alcune devote persone della contrada di San Giovanni Decollato decisero di erigere in chiesa un nuovo altare e una Schola “col levar Pennello et Insegna come fanno le altre Schole simili di Venezia” dedicandoli ai Santi Sebastiano e Flaviano: Santi difensori dalla Peste

Nel 1452 Prè Benedetto De Smeritivenne eletto Piovano di San Zàn Degolà sostituito nel 1464 da Prè Domenico Nigro nell’anno in cui Gregorio Correr si fece Monaco a San Giorgio in Alga prima di divenire poi Patriarca … Nel 1477 i Turchisi affacciarono in Friuli compiendo diverse incursioni e scorrerie … Tre anni dopo Prè Francesco Nigro divenne Piovano di San Zàn Degolà, proprio quando scoppiò la Guerra del Polesine fra Venezia e il Duca di Ferrara Ercole I° d’Este, detta “Guerra del Sale di Comacchio” che si trascinò fino al 1484 ... Tre anni dopo ancora, venne pubblicato il famoso “Malleus Maleficorum” che insieme alle bolle Papali di Innocenzo VIII diedero inizio alla caccia e persecuzione ai fantasmi delle Streghe e dei Maghi, Erbaroli e Magòni che tanto infierirono su povere donne e uomini rei di niente, se non di tentare di campare in qualche maniera ... Nel 1492 si scoprì e aprì la strada delle Americherivoluzionando e abbacchiando gli affari economici e marittimi della Serenissima … il Frate Domenicano Ser Tommaso Donà divenne Patriarca di Venezia, e Prè Giorgio de Spatari Piovano di San Zàn Degolà succeduto tre anni dopo da Prè Biagio de Leoni.

E siamo così giunti alla vicenda strampalata forse inscenata da un Prete pazzoide di San Zàn Degolà.

 

Scrive il solito Diarista Marin Sanudo nell’anno 1500: “… Adì 21 novembre. In questa mattina è da saper fo discoperto un strano caxo in la contrà de San Zuane di Golao ad uno Ser Beneto Morexini quondam Ser Jacomo, di anni 50, qual stava in caxa za 4 ani per mal franzoso e in leto; or havia un fiol bastardo di ani 9, et una saraxina; par siano sta trovati morti eri sera ditto Ser Beneto in letto, et il puto su le legna, et la saraxina quasi morta, et non parlava per do ferite su la testa havia, et le casse tutte era aperte, et la roba dentro; fo incolpado Pre Francesco oficiava in la chiesa, et ita fuit”.

Gli Inquisitori di Stato interrogarono e torturarono Prè Francesco ritenuto l’ultima persona ad uscire da Cà Morosini e a vedere vivo il “putto”.  La Saraxina compagna del Morosini riavutasi lo accusò direttamente, sulla veste da Prete si trovarono tracce di sangue, e il Prete stesso alla fine confessò il suo delitto.

Circa a metà del dicembresuccessivo, Marin Sanudo proseguì ancora nello scrivere le sue cronache e gli appunti Veneziani: “… In questo zorno (19 dicembre) fo exeguito la sententia del Prete amazò Ser Benedetto Morexini. Fo portato per Canal fino a Santa Croxe, et davanti la porta del morto taiatoli la man destra, e menato a coa di cavallo fino a San Marco, dove fo discopato, qual stentò assà a morir, et poi squartato in quatro parti”.

Qualche anno dopo, su istanza del Capitolo dei Preti di San Zàn Degolà, il Patriarca istituì due nuovi Titoli-Prebende per Preti “Accoliti” residenti in San Zàn Degolà traendone una rendita di 4 ducati dalla Carica del Prete-Diacono della chiesa. Allo stesso tempo, si confermò che qualsiasi offerta fatta al Sepolcro del Venerdì Santo in chiesa di San Zàn Degolà, così come tutte le offerte della Festa principale del Titolaredella chiesa, spettassero in esclusiva e per intero al Piovan di San Zàn, che da parte si sarebbe accollato tutte le spese per le cerimonie ... Erano gli anni della pesantissima sconfitta di Agnadello che tarpò le ali alla Serenissima … In Contrada di San Zàn vivevano 536 persone ... Erano pure gli anni in cui attraversava un periodo di gran spolvero la Schola del Santissimo Sacramento di San Zàn Degolà che faceva Festa Generale il Venerdì Santo quando ogni iscritto doveva obbligatoriamente offrire 1 soldo ... Veniva multato chi arrivava in chiesa dopo il Vangelo alla Messa Mensile della Schola … e si spendevano tutte le rendite procurate dai 7 campi e mezzo posseduti dalla Schola a Villa di Motta nel Veneziano (lasciati dal Piovano Biagio Leoni nel 1529), per allestire “un putiferio” di cere e luminarie nelle Feste di Natale, Pasqua, Venerdì Santo, Corpus Domini, della Natività e Decollazione di San Giovanni Battista Titolare della chiesa, nella festa di San Giovanni Evangelista, e ogni terza domenica di ogni mese quando si cantava una Messa Solenne durante la quale ciascuno della Schola teneva in mano una candela accesa: quando si cantava il Vangelo, quando si cantava il Prefazio, quando si levava il Corpo di Cristo, e durante tutta la lunghissima Processione intorno alla chiesa o in giro per tutta la Contrada ... Ancora: “a candele accese” si accompagnavano tutti i Morti della Schola al Cimitero (che forse si trovava prospicente alla chiesa nell’attuale Campo San Zàn Degolà)… Insomma: era tutta una spesa ingente di cere su cere, tanto che i Provveditori da Comunricordarono a quelli della Banca della Schola che: “… oltre a far bàgolo continuo, si ricordassero pure di pagare anche le spese per vino, olio e le tovaglie di chiesa … e non solo spendere e spandere per tutte quelle cere”… In linea con l’abitudine scialacquona della Schola, ancora nel 1796 il Tagliapietra Sante Cocalìn s’impegnò a costruire un costosissimo tabernacolo per l’altare del Santissimo di San Zàn Degolà utilizzando il migliore marmo di Carrara disponibile in commercio. Secondo il disegno che presentò, si dovette impegnare per tredici anni a pagare una spesa di 650 ducati con rate annuali di 50 ducati (che venne decurtata di 150 riciclando i marmi del vecchio altare).

Ferveva grande attività in chiesa di San Zan Degolà dove c’erano moltissime opere d’Arte appese alle pareti e sui sette altari dove si celebravano “raffiche di Messe” dall’alba al tramonto. Si conservavano inoltre diverse Sante Reliquie, fra cui quella del Dito di San Giovanni Battista, e di San Filippo Neri, oltre a due Madonne: “una grande ed una piccola con abiti distinti”… In Calle dei Preti il Capitolo si dava un gran da fare per tenere d’occhio e registrare tutto quanto accadeva fra le persone, dentro le case di tutta la Contrada, e tutti i movimenti delle capienti casse della Parrocchiale. Già nel 1534 col Piovano Giovanni de Urseti, ma soprattutto dal 1576 col Piovano Francesco Da Olio, s’iniziò a compilare dettagliatamente, anzi: meticolosamente, il "Libro de Battizi di San Giovanni Decollato”, il “Libro de' Morti”, il “Liber Matrimoniorum” con le “Stride e Squarzi de Matrimoni”.

Accanto a questi esisteva anche tutta una serie di “Scritture diverse spettanti alla chiesa che s'attrovano in Archivio”; un “Indice delle cose più notabili presenti in Chiesa”; “Mansionarie, Esequi, e Giornali di Messe che s'officiano e da celebrarsi ogni anno in Chiesa”… e: Registrini, Condicioni, Inventari delle scritture, Catastici, Liste di Reliquie, “Riscossioni da farsi per ciascuna rata nei Pubblici Depositi”,“Affittanze di case della Fabbrica", "Affituali del Reverendo Capitolo”, “Registri di Cassa Sagrestia”, "Libro de Proventi e del Campatico”, e “Polizze, Riceveri, Rinunzie”… seguiti da opportune “Regole per li partidori delle rendite Capitolari”, e da un: “Scossi e Spesi” dove si segnavano i debiti della chiesa e i lavori pagati distinguendoli per: “Murèr”, “Marangòn”, “Fabro”, “Incurabili”, “Maestro del Sestier”, “Spese extraordinarie”, "Conti saldati e Polizze de materiali e fatture d'operari spettanti alla reffabrica delle case del diacono titolato della chiesa Parochiale e Collegiata …”, e "Polizze del debito che ha dovuto incontrare il Reverendo don Iseppo Valotto Procurator per il ristauro della casa capitolare di San Giovanni Decollato posta in Contrà suddetta.”

Era tutto un intenso registrare, raccogliere, riordinare, ricopiare in più copie: Lasciti, Testamenti, e "Instrumenti di Livello” a favore della Parrocchia, Tasse di “Decime Ecclesiastiche pagate al Secolàr”(ossia al Vescovo) o alla Serenissima; e corrispondenze, decreti e documenti dei “Dieci Savii”, “de Governatori”, nonché infinite cause e controversie: del "Reverendo Capitolo di San Giovanni Decollato contro Schola et Arte de Forneri" (1601-1738); “Contro il Reverendo Signor Prè Giovanni Battista Redolfi" (1605-1707); “Contro il Capitolo per la Mansionaria Nazari"(1743-1775); “Contro Domino Pasqualin Sagramora"(1769-1794 con documenti fino al 1805); “Contro il Signor Christoforo Gidoni"(1588-1779)… e molto altro ancora … Sembrava un febbrile formicaio mai stanco la Casa dei Preti di San Zàn Degolà.

Nel settembre 1549, il Consiglio dei Dieci della Serenissima autorizzò l’apertura in San Zàn Degolà della Schola della Natività o dell’Annunciata… Nel 1691 la stessa Schola unitamente alla Compagnia delle Consorelle del Santissimo Rosario depositò un significativo capitale al Magistrato del Sal che fece stupire i Veneziani … La Schola pagava un Predicatoreche veniva a recitare il Rosario a 24 ducati annui: “li sabati, per tutte le feste di precetto, l’Ottava dei Morti, la Novena del Rosario e il giorno della stessa Festa, le 40 ore di Quaresima, la Festa del Corpus Domini e della Madonna del Carmine”… e offriva al Capitolo di San Zuàn altri 10 ducati “par esporre el Santissimo in cièsa e recitare el Rosario.”

Pensate poi come già in quel tempo s’incrociavano i destini di certi posti lontanissimi fra loro: da una parte e dall’altra del Mediterraneo. Vi spiego … Nel 1550, quanto Prè Filippo Stridonio era Piovano di San Zàn Degolà, Pietro Lando Arcivescovo di Candia decise che se l’isola fosse andata perduta cadendo in mano ai Turchi durante la guerra, il vitalizio che percepivano i 4 Cappellani che esercitavano nell’isola sarebbe stato devoluto ai Preti di San Zan Degolà di Venezia tradotto in Mansioneria di Messe da celebrare, e in elemosine per i poveri della Contrada ... A Venezia, intanto, al tempo del Piovano Gaspare De Dotti, la Parrocchia di San zàn Degolà spendeva 6 ducati annui per pagare l’organista, e un altro ducato dandolo “al levafolli” per far suonare l’organo. Si spendevano, inoltre, altri 2 ducati per i Cantori della Festa del Patrono, e altri 10 ducati per pagare il pasto ai Preti che s’alternavano a partecipare alle celebrazioni dei Vespri, delle Messa e alla Solenne Processione ... Nel 1582 proprio in Parrocchia di San Giovanni Decollato venne a morire Pietro Lando l’Arcivescovo di Candia, che venne sepolto a San Sebastiano. Fatalità … era nipote di un altro Arcivescovo di Candia di nome Giovanni Lando accusato come falsario dalla Serenissima nel 1519.

Verso fine secolo, alla Visita Apostolica, San Zàn risultò essere Parrocchia Collegiata di 688 Anime ... Il Piovano, il Primo Prete e il Prete-Diacono percepivano 120 ducati annui, la casa d’abitazione e gli “incerti di stola”; il Prete-Suddiacono, due Chiericiospiti stabili della Parrocchia percepivano, invece, 3 ducati annui; la Fabbriceria di San Zàn Degolà possedeva 70 ducati annui d’entrate, e donava 7 ducati annui per i poveri della Contrada … In chiesa si celebravano ogni giorno: 4 Mansionerie di Messe su diversi altari: quello di San Giovanni Battista, quello della Madonna, quello di San Nicolò, quello del Crocefisso e quello del Santissimo … Il Patriarca si rammaricò non poco per alcune inadempienze palesi dei Preti di San Giovanni Decollato: cioè perché mancavano “i segnàcoli d’ordinanza” ai Messali di Chiesa per le Messe, e perché non c’erano sufficienti paramenti di colore Viola e Verde in Sacrestia … Inoltre era necessario togliere o almeno spostare un leggio fisso che impediva la vista diretta dell’Altare Maggiore… Furono grandi preoccupazioni ! … da non dormirci la notte ... Proprio “roba da Preti”.

Poco dopo, invece, nel 1590, un altro fatto aspro e crudo di cronaca inquietò Venezia e fece parlare non poco le 626 persone che abitavano nella Contrada: la vittima fu una donna “usa a lavorar da meretrice” nei pressi della Salizada del Fontego dei Turchi e del Traghetto fra San Zàn Degolà. Quello era un Trageto de Citra che portava a San Marcuola de Ultra al di là del Canal Grande (funziona ancora oggi). Il suo raggio d’azione andava: “… dal Canalazzo fino al Ponte de San Lunardo dalla banda de San Marcuola, e fin ai do ponti del Rio de le Callesele"... Un proclama dei Provveditori da Comun imponeva pesanti multe “a chi farà noli dal Ponte de San Lunardo fino al Canalazzo per il Rio de San Marcuola compreso”.

La Fraglia o Fraggia degli uomini del Traghetto era composta inizialmente da 31 Barcaroli considerati poi eccessivi … Nel Capitolo del Traghetto si precisava: le prime due barche del mattino devono pulire i pontili dello Stazio … I Frati Riformati e gli altri Religiosi saranno traghettati gratuitamente per “amore Dei e della so Màre la Vergine Maria"… La prima barca inizi il turno spostandosi allo Stazio dalla banda dei Turchi …”

In quel luogo insomma: “… i Patrizi Giovanni Bragadin quondam Vettor Cavalier, Daniel Venier quondam Giovanni, e Francesco Bon quondam Alessandro Procurator, andati di conserva il Sabato Santo alla casa d'Adriana Formento, meretrice a San Zuan Degolà al Traghetto per mezo San Marcuola, ed avendola ritrovata a desinare, la condussero in una camera, ed ivi, spogliatala per forza, la vollero, l'uno dopo l'altro, etiam con modi stravaganti, usare contro natura, ad onta della continua renitentia di detta donna così di pianto come di resistentia …”.

Non erano rari a Venezia episodi del genere, soprattutto perpetrati da Nobili, che rimanevano quasi sempre ignorati e impuniti. Ma stavolta “una tantum”, i giovani Nobili furono tutti citati a giudizio dalla Serenissima. Ovviamente quelli non si presentarono, e perciò vennero tutti banditi da Venezia e dai suoi Territori con sentenza del Consiglio dei Dieci del 21 aprile 1590. Per un Nobile “il bando” da Venezia era una pena orribile, pesantissima, che equivaleva quasi a una pena di morte in quanto gli impediva di vivere dentro allo scenario che ospitava tutto quel che era. Fuori da Venezia certi Nobili erano “niente e nessuno” ... contavano solo i soldi, e se venivano loro sequestrati, spesso per loro era la fine perché molti di loro non avevano mai lavorato un giorno solo in vita loro.

All’inizio del 1600, ai tempi del Piovano Gerolamo Barbieri prima, e del Piovano Gaspare Lonigo dopo, si eresse in chiesa di San Zuàn un altro altare in onore di San Filippo Neri, San Luigi Gonzaga e San Girolamo, e ne nacque ovviamente un'altra Confraternita dedicata al “Santo delle Contrade povere e dei ragazzi di strada” continuando la tradizione degli Oratoridei Filippini con le attività ricreativo-culturali “offerte ai miseri” che s’era instaurata anche a Venezia dopo Roma, Napoli, Palermo e altri posti ancora dell’Italia. Alla fine però l’Oratorio dei Santi Filippo e Girolamosi ridusse alle attività di sempre prettamente di stampo interiore, perdendo di vista il suo principale e iniziale scopo sociale. Si pensò solo a dedicarsi “all'esercizio della mattina e della sera secondo la Pugna Spirituale con speciali Preci aggiunte", e a tenere e redigere puntuali “Registri di Cassa”, "Registro degli adobbi e delle cere”, e “Registro delle uffiziature per i Defunti” che vennero redatti ininterrottamente fino al febbraio 1923 !... Pensate quasi per trecento anni ! … Quella piccola Confraternita è stata capace di passare “quasi”indenne anche attraverso la bufera napoleonica che ha disfatto e soppresso tutto e tutti.

Nell’agosto 1761, Pietro Gradenigo nei suoi “Notatori” offre una curiosa descrizione circa San Zàn Degolà: “… li Sacerdoti di esso tempio cantano li Divini Offici in un Retrocoro; cioè dietro l’Altar Maggiore ... All’altro Altare di San Filippo Neri il quale fu dipinto dal Cavaliere e Poeta Carlo Ridolfi vi è un fanciullo in abito di Chierico che tiene un Messale in mano figurato. Era Don Ottavio Bandino, che era solito servire alla Messa l’oltrascritto Filippo Neri; l’Ottavio medesimo sortì come Cardinale nella seconda promozione fatta da Clemente VIII …”

Nel gennaio 1625, il Piovano di San Zàn Degolà: Gasparo Lonigo, Consigliere Giuridico della Repubblica e Conservatore della Bolla Clementina, inviò un’accorata Supplica alla Signoria contro le ingerenze dei Preti di San Zuàn sull’amministrazione delle entrate della Fabbrica della chiesa usurpando l’attività dei Procuratori Laici che la dovevano gestire. “I denari sono della chiesa e dei poveri, non de Preti !” tuonò … e vennero gli anni dell’ennesima Grande Peste a Venezia, quelli della Pestilenza col Voto e Tempio della Madonna della Salute, quando in Contrada e chiesa di San Zàn Degolà “governava”il Piovano Giovanni Battista de Bianchi. In Contrada prima d’essere decimati “dalla morìa venefica” vivevano 455 persone, e c’erano attive 3 botteghe in tutto: un Forno, uno Spezial, e un Tintòr(?). Si era vicinissimi al vispissimo Campo di San Giacomo dell’Orio e all’Emporio di Rialto dove c’era di tutto e di più. Non era quindi facile mantenere aperte attività in Contrada ... Nel 1656, “passata la buriàna de la Peste” si provvide a vendere a Girolamo Bonotti una casa rimasta disabitata sita in Campo San Zàn Degolà di ragione del Magistrato dei Governatori alle Entrada Pubbliche. All’atto di vendita si aggiunse l’obbligo di pagare annualmente 20 ducati al Monastero dei Santi Marco e Andrea di Murano che un tempo erano proprietari dell’immobile ... Quasi trent’anni dopo, quando il Piovano Francesco Casetti istituì la Congregazione della Dottrina Cristiana in San Zàn Degolà, lo stesso Girolamo Bonotti restituì la casa allora affittata a Caterina Zanchi, al Monastero dei Santi Marco e Andrea di Murano stanco di pagargli ogni anno 20 ducati. Mantenne, invece, un’altra casa di sua ragione sita nella stessa Contrada di San Giovanni Decollato.

Alla Redecima del 1661 il Reverendo Capitolo et Fabrica de San Zuàne Degollà pagarono: “soldi 3 edenari 7 di Pubblica Tassa”… Nel 1685 si unificò il Suffragio de Morti con la Schola della Natività. Il tutto verrà trasformato nel 1760 in Compagnia della Buona Morte con 52 aderenti che versavano 6 lire annue formando un capitale di 48 ducati usati per finanziare Messe … Nel 1698, “quando la Madonna di Loreto de cièsapossedeva cinque abiti”, Monsignor Onigo Piovano di San Zuan Degolà ed eminente Teologo della Repubblica compose una valente scrittura circa il Giuspatronato del Doge sul Monastero di Sant’Andrea della Zirada. Fu un documento che “fece Storia” per la sua pulita e dotta redazione.

E si giunse così al 1700: “Età dei Lumi e degli Illuministi”. Non sempre i Nobili Veneziani si dimostrarono essere persone per davvero “illuminate” anche se si ritenevano tali. Proprio vicino alla chiesa di San Zàn Degolà, in una Calle e Corte Omonima vivevano i Correr o forse Corraro di Casa Nova, Nobili Veneziani di III Classe. In origine erano stati Nobili di Torcello trasferitisi a Rialto forse già prima del 1000, e furono Famiglia Veneziana potente e ricca di Procuratori di San Marco, Capitani da Mar, Provveditori di Campo, Rettori e Podestà, oltre che Casato religiosissimo: tanto che dopo Pietro Correr che nel 1270 divenne Arcivescovo di Candia e Patriarca di Costantinopoli, Angelo Correr nato e vissuto a Venezia dove essere stato Vescovo di Castello, divenne Papa Gregorio XII nell’epoca travagliatissima della Chiesa piena di scismi, Papi e Antipapi ... Suo nipote Antonio Correr Cardinale Vescovo di Porto, Ostia, e Velletri, morto nel 1445 in “Concetto di Santità”, fu uno dei fondatori dei Canonici Regolari di San Giorgio in Alga di Venezia dove volle farsi seppellire ... Beriola Correr, invece, sorella del Papa, sposatasi con Angelo Condulmer divenne madre di Gabriele Condulmer che a sua volta divenne Papa pure lui col nome di Eugenio IV. Come non bastasse, la stessa donna fu anche ava di Petro Barbo, che fu Papa Paolo II dal 1464 … Niente male come ambizione religiosa in famiglia !

Un altro Antonio Correr dell'Ordine dei Domenicani Predicatori fu Vescovo di Ceneda nel 1406 ... mentre Gregorio Correr, nipote del Cardinale Antonio, fu eletto Vescovo di Vicenza nel 1459 morendo però prima di prendere possesso del suo illustre incarico, cosa che accadde anche a un altro Gregorio Correr nominato nel 1460 da Papa Pio II come Vescovo di Padova ... E non è ancora tutto, perché anche Antonio Francesco Correr, dopo aver percorso tutti i gradi della Carriera Militare nella Merina della Serenissima, si fece Frate Cappuccino venendo poi eletto a Patriarca di Venezia nel 1734.

Proprio una Santa Famiglia i Nobili Correr !

Da un’altra parte però, i Nobili Correr furono anche “piccoli” in diverse occasioni. Quando, ad esempio, nel settembre 1732, Giacomo Correr del Ramo di San Zan Degolànato nel 1710, si sposò clandestinamente con Giovanna Gasparini. L’atto fu immediatamente invalidato dal Patriarca di Venezia, e Giacomo Correr fuggì a Bologna, mentre la ragazza da cui gli era nato un figlio venne trasferita coatta in un Convento di Treviso. Dopo un po’ di tempo, amici e familiari lo invitarono a ritornare a Venezia dal padre Todero e dalla madre Elisabetta Molin, ma lui si dimostrò ritroso perciò venne richiamato dagli Inquisitori della Serenissima che lo accusarono d’imprudenza e ingratitudine. Per questo venne esemplarmente inviato prigioniero al Castello di Chioggia, dove rimase fino al 28 marzo successivo, quando venne liberato su richiesta dello stesso padre. Giacomo Correr fu fatto allora risposare con Anna Petagno nel 1735, e nell’anno seguente una supplica di Giovanna Gasparini si rammaricò col Doge del fatto che il Correr avesse di fatto rigettato il suo Matrimonio e la sua stessa prole considerandoli: “chiusa e veniale storia giovanile”. Nessuno le rispose … povera donna!

I Correr furono ancora “piccoli”anche nell’ottobre 1772, come ricordato in una lettera scritta da Elena Querini che aveva raccolto le confidenze da Nicoletto Foscarini. Era accaduto sul Brenta un intreccio di due Burchielli che navigavano sul fiume verso le Ville di Villeggiatura. Su uno di questi si trovava la Nobile Famiglia di Alvise Diedo di Calle del Remedio, mentre sull’altro era imbarcata la Famiglia dei Nobile Zanetto Correr. A un certo punto i Diedo si sentirono andare alla deriva sul fiume portati a spasso dalla corrente. “Chiesto che cos’era o che non era”, gli fu risposto che due uomini in livrea avevano tagliata la “corda dell’alzana” che trascinava la sua barca, e portato via il cavallo ponendolo “alla tira” di un altro Burchiello. Erano i domestici del Correr, che potè così proseguire indisturbato il suo viaggio verso Miradove possedeva la sua Villa, e poi fino a Padova. I Diedo, invece, rimasero lì ad attendere soccorso ... In seguito, quando finalmente Alvise Diedo giunse a casa, scrisse una lettera indignatissima al Correr lamentandosi dell’insolenza che aveva subito dai suoi servitori, supponendo diplomaticamente che egli fosse ignaro dell’accaduto dovuto solo all’ignoranza e impudenza dei suoi domestici. Zanetto Correr rispose, invece, che i colpevoli non erano i suoi servitori, ma che era stato lui stesso a dare l’ordine di tagliare la corda perché aveva visto che nell’altro Burchiello non c’era nessuno di rispettabile. Ci fu poi tutto un carteggio fra i due Nobili … ma non si sa bene come sia andata poi a finire la faccenda.

Secondo un’ulteriore prospettiva, i Correr furono, invece, ancora “Nobili splendidi” quando successivamente con Teodoro Correr figlio di Giacomo che abitava in Contrada di San Zuàn Degolà sul Canal Grande, lasciarono la collezione di famiglia composta da quadri, statue, libri, manoscritti, oggetti d’antichità, curiosità, monete e armi associandola a una rendita per realizzare un Museo Cittadino nel loro palazzo. (Il Museo Correr venne aperto effettivamente al pubblico in altra sede due volte la settimana fin dal 1834, sotto la Direzione di Marcantonio Corniani “uomo dottissimo nella Storia Naturale”… ed è visitabilissimo tutt’ora dopo secoli d’arricchimenti, ampliamenti e integrazioni aggiungendovi quel che rimaneva delle raccolte di Jacopo Nani, dei Contarini di San Trovaso, di Tommaso Giuseppe Farsetti, di Girolamo Ascanio Moline Girolamo Ascanio Giustinian… Fu un “piccolo miracolo”, perché nel 1808 la Biblioteca dei Nobili Collaltovenne venduta a due Ebrei e da questi a Adolfo Cesare, come quella dei Nobili Pisani e del Nobile Sebastiano Zeno. La stessa fine fece anche la Biblioteca di Marco Foscarini finita alla Biblioteca Nazionale di Vienna, mentre i libri dei Nobili Soranzo vennero dispersi, e i loro manoscritti venduti ai Canonici di San Marco. Sopravvissero solo la Biblioteca Giustiniani-Recanati salvata parzialmente dagli eredi, la Biblioteca dei Nobili Manin finita a Udine, e quella dei Nobili Querini che venne riaperta al pubblico a Venezia nel 1864 dal Conte Giovanni Querini) ... Meglio che niente ... ma maledetto quel devastatore di napoleone ! … che impoverì così inutilmente e senza senso tutta Venezia.

Due passi più in là da dove risiedevano i Nobili Correr, i Preti di San Zegolà continuavano indefessi nella loro solita opera. Nello stesso 1700 in chiesa ci fu un’ulteriore stagione di fioritura di Schole e Confraternite sostenute dalla sensibilità e soprattutto dalle elemosine dei Veneziani che abitavano la Contrada.

Nel Luglio 1707 gli uomini del Sovvegno, Schola, Pia Unione dei Santi Antonio e Gaetano da Thiene stipularono un accordo col Capitolo di San Zàn che gli permetteva l’uso dell’Altare del Crocifisso dove potevano collocare le immagini dei propri Protettori ... Ognuno era tenuto a farsi secondo un modello stabilito, una cappa nera da usare ai Funerali dei Confratelli e nelle Processioni: “… con scarpe, fiocco, segnali, managhette, guanti e corona del costo di 26 lire pagabili a rate di 10 soldi la settimana”… Già tre anni dopo però, ai tempi del Piovano Giovanno Palmano, i Confratelli si trovarono costretti a risanare i debiti posti a bilancio per le troppe spese superflue che avevano incontrato. Si obbligarono perciò i 38 iscritti (di cui 6 sempre assenti) ad autotassarsi di 4 lire ciascuno … Il Sovvegno, oltre alle “solite pratiche e funzioni religiose di chiesa che garantivano efficacissimi e preziosi benefici spirituali con tante Messe di Suffragio in caso di morte, quanti erano gli iscritti”, garantiva agli iscritti visite mediche e 7 lire alla settimana in caso di malattia (portate a 14 lire se si fossero superati i 100 iscritti: numero raggiunto nel 1711)… Nello stesso 1710, il Guardiano della Schola Francesco Novello che era Chirurgo anticipò di tasca propria una spesa di 100 ducati per far indorare le Aste Processionali e far sistemare il Pennello (Gonfalone)della Schola. In cambio chiese e ottenne d’essere eletto per 5 anni come Chirurgo ufficiale del Sovvegno con uno stipendio annuale di 20 ducati … Nell’agosto 1756, cioè soltanto a cinquant’anni dalla sua fondazione, il Sovvegno venne soppresso per carenza d’iscritti. All’atto formale della sua chiusura, si dichiarò che la Schola possedeva: una pala d’altare coi suoi Santi Protettori, una Mariegola, e alcune aste processionali di valore che furono vendute insieme ad altre cose alla Schola del Crocefisso di Sant’Andrea della Zirada.

In parallelo a tutto questo, la Schola del Rosario di San Zàn divenne la più significativa, importante e seguita di tutta la Contrada. Era così facoltosa da poter offrire 22 lire nel 1728 per la costruzione della nuova chiesa dei Domenicani sulle Zattere… e i Provveditori da Comun permisero che fosse lei ad ereditare gli oggetti dell’ormai decadute Schole dei Forneri e Schola dell’Arte dei Guacortellini della quale si vendette anche il “Pennello” (gonfalone) ricavando 42 lire.

Sull’onda dell’entusiasmo degli stessi della Contrada, nel luglio dello stesso anno sorse anche il nuovo Sovvegno della Beata Vergine di Loreto, San Spiridione e altri Santi… Era tale e tanta la voglia di condivisione, ma anche il bisogno d’assistenza e previdenza dei Veneziani della Contrada … Per ben tre anni il Consiglio dei Dieci aveva fatto di tutto per ostacolarne l’istituzione non raggiungendo per ben 5 votazioni il quorum valido per approvarla, e respinse di continuo la richiesta d’apertura …“Ci sono fin troppe Schole aperte, inutili e in  affanno in questa nostra Venezia …”si diceva a Palazzo Ducale e presso i Magistrati di Rialto ... Nel 1736, infatti, la nuova Schola già languiva economicamente, e per sopravvivere dovette ricorrere al Papa Clemente XII che la rimpinzò di parecchie preziose Indulgenze(sinonimo di opportunità d’incasso e guadagno offerto da chi ne usufruiva) … In caso di malattia la Schola offriva assistenza medica agli iscritti con un sussidio di 12 lire settimanali ... Niente in caso di “Morbo gallico”, ferite volontarie e malattie incurabili ... In caso di Morte offriva un Esequiale celebrato in Terzo (ossia con 3 Preti sull’altare) e 60 “Messe lette”… Nonostante tutto questo, come previsto dai Provveditori da Comun, nel 1784 “il Sovvegno era in estremo ribasso … e pronto alla chiusura”.

Da parte loro i Preti del Capitolo di San Zuàn Degolào pensarono di restaurare e abbellire ulteriormente la loro chiesa: “Dèmoghe una vèrta … una bèa restauràda a sta cièsa cupa e scura ! … che mette angòssia.” disse e scrisse uno dei Preti di San Zàn Degolà … e vennero così aperte tutte le finestre laterali e quelle della facciata della chiesa, “togliendo via una volta per tutte quel buio interno che andava bene per le epoche passate e crude del Medioevo”. Si perse, invece, l’originario stile e assetto Basilicale-Bizzantino-Orientale quasi unico in tutta la Laguna di Venezia.

I Preti però non fecero caso a “tutto quel vecchio sentire”, e pensarono piuttosto a costruire n nuovo altare col “Martirio di San Giovanni Battista”(entrando a destra), a porre sull’Altare Maggiore il tema insolito da Vangelo Apocrifo di: “San Gioacchino e Anna genitori della Vergine che educano Maria a leggere la Legge e la Scrittura” dipinto da Antonio Balestra… mentre a sinistra della chiesa, allestirono e rinnovarono l’Altare dell’Addolorata seguendo l’ispirazione di quel culto devozionale-sentimentale dell’epoca legatissimo alle atmosfere e al “clima spirituale dello Stabat Mater e della Mater Dolorosa”… Tutte cose andate perdute sia artisticamente che interiormente ... … Nel 1733 Zanettiricordava il parapetto della Cantoria di San Zàn Degolà con tre quadri con la “Passione”dipinti dal Cavalier Bambini … e a completamento dell’opera nel 1740, i Preti di san Zuàn col Piovano Giovanni Maria Segnaghi edificarono pure un Altare della Madonna di Loreto associandola a San Carlo Borromeo, San Francesco di Paola e San Nicolò di Mira: solito “Santo Navigatore”patrono tipico delle genti di mare, marinai e pescatori, devozione tipica e molto diffusa a Venezia … Nel 1744 al tempo del Piovano Tomma Segnaghi si restaurò e rinnovò l’organo con le elemosine dei fedeli … Dopo Prè Giacomo Rinaldi fu Piovano di San Zàn Degolà nel 1785: Prè Giuseppe Driuzzi che costruì l’Altar Maggiore con le offerte della Confraternita del Santissimo Sacramento ornandolo di marmi le pareti e arricchendo ancora una volta la chiesa di dipinti … Si rifece la casa diaconale di San Giovanni Decollato per una spesa di 1.750 ducati secondo le indicazioni del Perito Antonio Mazzoni che rilasciò apposita scrittura, e col nuovo Piovano Antonio Puppo si completarono i restauri della chiesa: “edificando la chiesa nella forma presente in più nobil maniera della facciata con adornazione decorosa della cappella maggiore”, e facendo una nuova fusione di campane. Come riconoscimento di tutta quella fervida opera, il Piovano venne eletto: Canonico della Basilica Ducale di San Marco.

Nel maggio 1773 la Compagnia delle Consorelle del Rosario con 5 Direttrici Principali e 4 Sindiche e un totale di 17 donne continuava a prosperare in Contrada e in chiesa … Ai Provveditori da Comun risultava che la Schola celebrava continue Messe mensili e Rosari, accompagnava Morti, curava esposizioni del Santissimo nelle Feste Mariane, e soprattutto era in possesso di 9 once e 3 carati d’argento, e gestiva un capitale annuo di 66 ducati e 15 grossi dovuto alla tassa annuale di 3 lire e soldi 10 che versava ciascuna iscritta. In totale la Schola possedeva in Zecca un Capitale di 400 ducati che producevano una rendita annuale di 14 ducati … Dall’Inventario dei suoi nuovi acquisti si registravano ben quattro nuovi abiti per la Madonna, che non erano cose da nulla, ma abiti preziosissimi ricamati, con 4 paia di maneghetti di valore che il Nonzolo della Scholafaceva indossare al Sacro Simulacro durante le 6 Festi Mariane annuali per un compenso di 11 lire … Nel 1778 il Carmelitano Scalzo Fra Giovanni Antonio del Santissimo, ossia Andrea Girardi, lasciò alla stessa Schola del Rosario un Capitale di 100 ducati investiti in Zecca al 5% ... Ancora nel 1790 la Direttrice Principale della Schola del Rosario: Domenica Bertolla informava per scritto i Provveditori di Comun che la Schola avrebbe depositato in Zecca altri 100 ducati segno della stabilità della Compagnia, mentre le rimaneva un’ulteriore somma abbondante in cassa … Giravano parecchi soldi intorno a certe Devozioni chiuse dentro alle chiese di Venezia … Nel 1806 al tempo della soppressione della Schola con incorporazione nel Demanio Pubblico di tutti i suoi beni, risultavano ancora iscritte alla Schola 13 Consorelle popolane che si recarono mestamente a consegnare in Zecca per essere registrati e poi fusi: 4 candelieri d’argento grandi, 2 piccoli, e altri due cesendelli della Schola.

Verso la fine della Serenissima, nella Contrada di San Zàn Degolà che misurava 447 passi e ospitava 448 persone, c’erano 170 uomini abili al lavoro fra 14 e 60 anni con 6 padroni in 5 botteghe, esclusi i nobili che erano il 38% della popolazione residente in Contrada ... Nel settembre 1803 alla Visita del Patriarca Flangini a San Zàn oltre a registrare la presenza di 500 abitanti, si segnalò la presenza in zona di una scuola privata tenuta da don Folin, ma la mancanza di qualche Levatrice in quel che era stata la Contrada. Nei verbali della Visita si può leggere: “La Fabbrica di San Giovanni Decollato possiede entrate di 122 ducati provenienti dall’affitto di 5 case di cui 1 vuota ormai da molto tempo ... Il Capitolo dei Preti che celebra 1.954 Messe Perpetue, 14 fra Esequie ed Anniversari, e 500 “Messe avventizie”, possiede 217 ducati di rendita provenienti dall’affitto di 8 case … mentre il Piovano che spende 18,2 ducati l’anno, ha una casa di residenza in buon stato, ed entrate personali per 84 ducati provenienti dall’affitto di 2 case ed 1 magazzino. Gli altri Titolati del Capitolo dei Preti di San Zuàn Degolà percepiscono: il I° Prete: entrate per 152 ducati dall’affitto di 6 case, spendendo 75,13 lire; il II° Prete: entrate per 694,8 lire dall’affitto di 1 casa e da “incerti di stola”, con uscite di 17,7ducati; il Prete-Diacono guadagnava: 80 ducati, ed accusa uscite per 10 ducati; mentre gli altri 11 Sacerdoti che ruotavano intorno alla chiesa, fra cui diversi Preti Mansionari-Altaristi, vanno a caccia di celebrare Messe anche altrove: a Santa Lucia, Sant’Agostino e San Marcuola ... C’era infine in San Zàn Degolà anche un unico Chierico “ch’è un buonissimo figliolo”; la Fraterna dei Poveri di San Zàn, essendo stata privata dei suoi proventi in Zecca, è così misera che i poveri della Contrada sono del tutto abbandonati e lasciati a se stessi … Sopravvivono solo due Schole Laicali: quella della Beata Vergine e quella della Madonna del Rosario …  la Nobildonna Anna Correr sostiene la Dottrina Cristiana per i ragazzi e le ragazze della Contrada due volte la settimana…”

Nel 1807 le Parrocchie e Contrade di Santa Maria Materdomini e San Giovanni Decollato vennero unificate con quella di San Eustachio, cioè San Stàe… Un anno dopo ancora, San Zàn Degolà venne inclusa nella lista delle chiese da chiudersi definitivamente, venne ufficialmente soppressa e spogliata di tutto. Nell’occasione andarono disperse alcune antiche tele, mentre qualche altra venne prelevata e trasportata salvandola nella vicina chiesa di San Giacomo dell’Orio.

Nel gennaio 1815: “Locale della chiesa e annessi di San Giovanni Decolato” finirono nella “Lista delle vigne, orti, beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezia nei giorni d’asta 12 e 16 febbraio seguenti”… Le persone residenti nella zona dell’ex Contrada unita ora a quella di San Giacomo dell’Orio erano 363, l’ex Piovano di San Zàn Degolà era morto, e inutilmente i Veneziani auspicarono la riapertura di San Zan Degolà “per la comodità della gente del posto”… Tre anni dopo, sui “Notatori” di Pietro Gradenigo si poteva leggere: “San Giovanni Decollato venne aggiustata perché cadente, e riaperta come Oratorio Sacramentale di San Giacomo dell Orio dopo maldestro restauro che ne falsò le strutture”.

Nel 1840 Ermolao Paoletti nel suo: “Il Fiore di Venezia, ossia i quadri, i monumenti, le vedute e i costumi dei Veneziani” scriveva non sorprendendo affatto: “La chiesa succursale di San Giovanni Decollato, vulgo San Zandegolà … riedificata nel 1703 al modo presente … Se si tolga la paletta a sinistra con la Deposizione, niente vuol qui essere ricordato.”… e non aggiungeva nient’altro circa l’intera Contrada.

Tuttavia nel 1853 le memorie cittadine dei Veneziani ricordano che: “… in chiesa di San Zan Degolà si recitavano ancora “i Novissimi” di pomeriggio nella quarta domenica di Carnevale, e il 13 giugno si celebrava la festa di Sant’Antonio da Padova con Messa Solenne la domenica sucessiva …”

Nel 1866 le 34 Suore Figlie di San Giuseppe presenti a Venezia per occuparsi della Sezione Femminile dell’Istituto Manin(Orfanatrofio) collocato a San Sebastiano, inviarono 14 di loro per aprire una Scuola Elementare nella zona di San Giovanni Decollato ... Nel 1880-1881 le Figlie di San Giuseppe erano ancora là presenti in 11.

Al tempo del nuovo restauro della chiesa iniziato nel 1939, ma completato solo nel 1945 dopo la guerra, si provò a riportare San Zàn Degolà alle sue forme originarie rimuovendo il superfluo: la ditta Ruffini invitata a presentare un preventivo di restauro per l’organo di “tipo Callidiano” in accordo con la Sovraintendenza lo asportò per restaurarlo insieme alla cantoria “con parapetto e li tre quadri con la Passione di Nostro Signore dono del Cavalier Bambini …” e non si sa più dove l’hanno riposto: scomparso tutto per sempre … Infine il nuovo restauro del 1983, con “magistrale intervento” della Sovraintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Venezia (chi si loda si sbròda), portò a riaprire per l’ennesima volta San Giovanni Decollato dopo 11 anni di lavori nell’aprile 1994 … Il resto lo sapete già.

L’ormai purtroppo defunto, l’austero Don Antonio Niero mio amatissimo professore per molti anni in Seminario, appassionatissimo cultore di Storia, Lettere, Arte, Tradizione e Cultura Veneziana, descriveva così il Campo San Zan Degolà: “… luogo dove le stagioni fioriscono e muoiono serene, come se il tempo restasse immobile, costituendo un angolo irripetibile di pace Veneziana, un luogo di autentico riposo dello Spirito.”

Sembra una fotografia ... neanche poi così vecchia.



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