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“In Contrà de San Severo e Borgoloco San Lorenzo"

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#unacuriositàvenezianapervolta 213

“In Contrà de San Severo e Borgoloco San Lorenzo.”

Andando in zò par Ruga Giuffa da Santa Maria Formosa si può girare a sinistra per la Salizada Zorzi, e “fatto il Ponte”(superato)si è già arrivati in Fondamenta, Campo e chiesa di San Severo… o meglio: quel che ne rimane, perché la chiesa vera e propria non c’è più: ne è rimasto solo lo scheletro, la sagoma e l’intuizione dell’edificio mascherato oggi da pesante casermotto qualsiasi ... malridotto per di più.

“Ti vien da San Severo ?” si diceva un tempo a Venezia storcendo il naso: “Par carità ! … Dio liberi !”, si aggiungeva indicando un genere di uomini e donne Veneziani un po’ ostici e aspri, difficili da trattare … Parevano “severi” quasi quanto il nome della loro Contrada.

A Venezia si filastroccava anche: “… e donne de San Sevèro e ghà tutte el mùso nero.”… Quelli e quelle di San Severo e dintorni erano un po’donne: “mùso duro e barèta fracà”… ad indicare forse un modo d’essere un po’ fumino e apro, di persone provate, abituate alla sottomissione, e dalla collera facile: di quelle che s’arrossano facilmente e gli si gonfia subito la vena sul collo … Scherzo ! … Erano solamente dicerie campanilistiche da vecchia Contrada Veneziana, ma indicavano di certo una zona, un’insula ben precisa di Venezia racchiusa e contornata dal Rio della Tetta, dal lunghissimo Rio di San Severo, da quello di San Provolo con la Fondamenta dell’Osmarìn, e dal Rio de San Lorenzo dove sbucava la buia Calle e Corte dei Pretidi San Severo… che sono stati da sempre alle dirette dipendenze delle potentissime Monache Benedettine di San Lorenzo abitanti giusto poco più là, appena giù dell’omonimo Ponte.

Le “Mùneghe de San Lorenzo e San Bastiàn gèra un nùmaro de donne !” si diceva a Venezia … Infatti per secoli fecero insieme ad altre “alto e basso” nel Sestiere di Castello nonché in buona parte di Venezia … Se passate ancora oggi per Fondamenta dell’Osmarin vicino all’enclave dei Greci, e issate lo sguardo sull’edificio al di là del Ponte del Diavolo, proprio accanto al famoso Palazzo Priuli, vedrete infisso in muro un grosso “San Lorenzo con tanto di graticola del Martirio in mano”. Quello era un segnale, un logo, un marchio di fabbrica e appartenenza ... Significava anche: “Ocio ! … che qui non si scherza affatto ! … Qui tutto appartiene alle Monache di San Lorenzo ! … State attenti a quel che dite e fate, e con chi avrete a che fare !”

Ed era verissimo  ! … Le Monache di San Lorenzo e San Sebastiano erano per davvero una piccola potenza Veneziana: erano il numero “due” sulla scala dell’eccellenza delle Monache Veneziane, venendo subito dopo quelle di San Zaccaria, che erano “il top”, e con le quali forse si spartivano il primato assoluto della Monialità Veneziana. Come di certo saprete, i Monasteri Veneziani hanno ospitato per secoli il “fior fiore” delle figlie della Nobiltà e dell’elite Veneziana … SanLorenzo quindi era un posto eminente, oltre che un Ente ricchissimo e influente che si poteva permettere un po’ di tutto … e se lo permetteva per davvero … Pensate che le Monache di San Lorenzo, oltre a possedere ingenti patrimoni in Terraferma e nelle isole Lagunari, possedevano in giro per Venezia almeno 250 fra case e palazzi: se venite ancora oggi a San Nicolò dei Mendicolidall’altra parte della città, accanto al Ponte de la Piova, troverete la Calle e Corte Mazor de San Lorenzo, con tanto di simbolo impresso in muro delle case che appartenevano, anche qui, alle Reverendissime Monache de San Lorènso de Castèo… che possedevano altre 11 case poco distante: in Calle del Forno e Corte San Lorenzo in Contrada di Santa Margherita per le quali percepirono per secoli circa 140 ducati annui d’affitto.

Le Monache di San Lorenzo possedevamo un patrimonio immenso … anzi: di più !

Per diversi secoli continuarono a ricevere ogni anno: diversi Mastelli di Agresta o Uve da Piove di Sacco e Mogiàn(Mogliano), 30 libbre di Lino spolato, 10 stara di Legumi, 19 stara di Miglio, 5 stara e ½ di Sorgo Rosso, 1 stara di Fave, 1 stara di Formentòn, 68 paia di Capponi, 79 paia di Pollastri, 84 paia di Galline, 1 paio di “Indi” (Tacchini), 1 paio di Anare, 12 paia di Oche, 2.400 uova, 45 libbre di Formaggio di Pecora e 1.420 libbre di Carne Porcina ancora da Piove di Sacco… e 250 fassine di Legne con un fascio di legne tonde, e 1.750 scove e scòvoli (scope e scopini)… Il tutto dai possedimenti “di Campagna”, ossia: Frascà di Piove di Sacco(500 campi con 12 case coloniche), Cavergnago di Mestre (600 campi di cui metà: arzeri e barèni bagnàdi, e 25 campi di bosco. Praticamente il Monastero di San Lorenzo di Venezia controllava quasi tutta la zona marginale della gronda Lagunare tra Marghera, San Giuliano de la Palada e il Bottenigo, Porto Cavergnago, Campalto, Tessera e la Laguna fin dietro a Torcello), Oderzo, Campo, Campagna di Motta (30 campi), Campocroce e Mogiàn(250 campi) nel Trevigiano, e vigne e orti a Malamocco, Chioggia, e a Pastene di San Pietro in Volta… e da 256 campi, pascoli e prati nelle Ville di Roncarolo, Campagnola, Arzerello, Brusadura, Polverara, Roncadizza ed Ardoneghe Padovano, e “acque piscatorie” nei pressi dell’isola di Murano in comproprietà col Monastero di San Giorgio Maggiore di Venezia … Talvolta, seppure raramente, le Monache venivano pagate anche in soldi contanti, invece che con i soliti “generi, e frumento e vino”.

Tutto questo comunque è un discorso marginale, solo per dire come le Monache di San Lorenzo erano “padrone un po’ di tutto”, anche di quella fettina di Venezia che finì col chiamarsi Borgoloco San Lorenzo, e di tutto quel bel pezzo della Contrada di San Severo che andava a finire fin verso quella di Santa Maria Formosa da una parte e verso i possedimenti di San Zaccaria dall’altra ... Non una granchè di Contrada Veneziana a dire il vero: una Contrada piccolina, un po’ asfittica e incastrata in mezzo a tante altre più famose e rinomate, ma pur sempre un pezzo di Venezia.

La Contrada di San Severocomunque non era proprio da buttare: vi risiedevano diverse Famiglie Nobili, alcune anche dal nome altisonante e illustre: Bembo, Cappello, Cavagnis, Donà-Ottoboni, i Corner di V° classe provenienti dalla contrada di Santa Giustina, i Gabrieli, Lion, Collaltoe Cottonidi San Severo entrambi famiglie Nobili di III° classe … e poi i Maruzzi, i Priulinel fastoso Palazzo affrescato da Palma il Vecchio e fatto erigere da Giovanni Priuli morto nel 1456; gli Ziani, e i Zorzi in palazzetto archiacuto del 1400 dato poi in affitto ai Bon di San Severo, e gli altri undici casati sempre degli Zorzi tutti stipati nella stessa zona, e nel Palazzo in pietra d’Istria del 1500 disegnato dal Codussi: c’erano i Zorzi-Galeoni, i Zorzi-Liassidi della Madonna… e non mancavano i Querini di San Severo di IV° classe, e i Sangiantoffettidi II° classe poi trasferitisi nella più rinomata Contrada di San Trovaso dall’altra parte della città, e gli Zen, i Grimani e il Procuratore Vallaresso: tutti lì, o almeno nelle vicinanze: “San Severo era, insomma un bel miscuglio di Nobiltà, facoltà, ricchezze e nomi di valore … che s’assiepavano a servire in ogni maniera la Serenissima Repubblica, accorpandose fra loro, e formando il suo illustre quanto aureo volto.”

Secondo la tradizione il “luogo sacro” dedicato a San Severo Vescovo di Ravennavenne fondato a Venezia nell'820 dal Nobile Angelo Partecipaziodi famiglia Dogale Realtina della prima ora ... In Contrada di San Severo “presso la chiesa”, infatti, dovette risiedere e ritirarsi lontano dalla residenza Dogale il figlio Giustinianotornato da Costantinopoli sdegnato col padre perchè gli aveva preferito come erede al trono Dogale: Giovanni suo fratello minore.

Qualche tempo dopo, forse nel 847, Orso Partecipazio figlio di Giovanni, divenuto Vescovo di Olivolo-Castelloperché si faceva tutto in famiglia … costituì la chiesuola di San Severo in Parrocchiale … e sempre lui, prima di morire, regalò “in perpetuo” la stessa chiesuola col diritto di nominarne il Piovano alla sorella Romana, che fondò poco distante il Monastero femminile Benedettino di San Lorenzo Levita e Martire (in sostituzione di un primitivo Convento Maschile di Frati dedicato a San Gallo). Di fatto le diede diritto sull’intera Contrada di San Severo che da quel momento divenne dependance, estensione, periferia allargata ed entourage delle Monache di San Lorenzo di Castello.

Visto i presupposti, al Monastero dei Santi Lorenzo e Sebastiano non rimase che crescere e ingrandirsi sempre più divenendo una piccola kasbah Veneziana: un nucleo di riferimento con un complesso di chiese e porticati in cui San Sebastiano e San Lorenzo quasi si sovrapponevano stringendosi sotto a un unico campanile. In mezzo sull’attuale Campo di San Lorenzo c’era il Cimitero delle Monache, e tutto intorno c’erano: chiostri, orti e case delle Monache, insieme a una miriade di casupole utili per ospitare un po’ chiunque: Monaci, Confessori, Soldati e Nomi illustri di passaggio, nonché Pellegrini di ogni sorta e modo diretti o di ritorno dalla Palestina, Gerusalemme e da tutte le Terre Sante.

La soggezione-dipendenza al vicino Monastero non venne presa bene fin da subito da quelli del posto: infatti le Cronache e i Documenti raccontano che contestarono aspramentele Monache “con ingiuste molestie e pretensioni, e negando al Monastero i propri diritti … compresi quello sui Morti.”

Figuratevi le Monache ! … Già a quel tempo si diceva che: “… erano doppiamente donne, e simili ad Api industriosissime, disposte però facilmente a pungere.”… Avranno rinunciato facilmente ai loro interessi ? … Ma neanche per sogno ! … Neanche se tutto fosse andato in cenere ! … Come accadde nell’incendio del 1105, infatti, che distrusse mezza città compresa la zona di San Severo e San Lorenzo, che venne ben presto “rialzata compresa le chiese”.

L’antica Cronaca del Magnoracconta dello spaventoso e antico incendio, che ebbe origine: “… nella caxa de Cha Zancani da San Severo, et brusò la Contrà, andò a San Lorenzo et passò a San Provolo, et a Sancta Maria Formosa brusando, et scorse a San Zuane Nuovo, a San Zulian e San Basso atorno la piaza fino a San Zeminian, a San Moisè, a Santa Maria Zobenigo dove per il gran vento passò il Canal le falive, et empiò fuoco a San Gregorio, a Santa Agnese, a San Trovaso, a San Barnaba, a San Basegio, passò a San Rafael, a San Nicolò dei Mendigoli, et anchor da Santa Maria Zobenigo scorse a San Moritio, a San Paternian, a San Lucha, San Vidal  e San Samuel in modo che, a parte a parte, si bruzò una gran parte de Venetia.”

Coerenti con il proprio stile in seguito, le Monache di San Lorenzo continuarono a darsi un gran da fare: nel febbraio 1198 Lemizone di Ottone da Padovavendeva alla Badessa Tenda di San Lorenzo vari appezzamenti di terreno siti nel distretto di Piove di Sacco per 854 libbre di denari veneziani ... Nella stessa occasione l’infeudava della Decima e del Fodro di un sedime nel territorio di Piove in Contrada Santa Giustina per una libbra di olio che il Monastero avrebbe dovuto impiegare: “… tenendo acceso un cesendelo ante l’altare de la gloriosa Marie per otto giorni prima ed altrettanti dopo la festa di San Lorenzo, per la salvezza dell’Anema soa”.

Nell’agosto del seguente 1199, le Monache di San Lorenzo stavano già capitalizzando a Rialto: la stessa Badessa Tenda Albrizzi vendeva “una pezza di terra vacua”a Domenico Barbarigo con costituzione di censo, e contemporaneamente gli vendeva anche alcune vigne a Santa Giustina di Padova ... Per ben due secoli le Monache continuarono indefesse a incrementare le loro proprietà nel Trevigiano.

C’era però ancora aperta la contestazione dei Veneziani della Contrada di San Severoper la sudditanza ! … Nessun problema ! Le Monache si rivolsero “per direttissima” al Papa Urbano III, che elesse come Delegati Apostolici: Marco Nicolao Vescovo di Castelloe Prè Giovanni Piovano di San Bartolomeoche: “emisero sentenza a favore delle Monache, anche circa i diritti sui Morti” ... Fine della questione ?

Macchè ! … I tosti e litigiosi “viciniores di San Severo”, parrocchiani e contradaioli ostinatissimi, non si arresero per niente: volevano scegliersi liberamente il loro Piovano … Perciò si rivolsero pure loro al nuovo PapaInnocenzo III tramite Prè Prosdocimo che era Procuratore sia delle Monache di San Lorenzo che dei Preti di San Severo … Alla fine il Papa tramite Matteo Vescovo di Cenedadiede di nuovo ragione alle Monache … che nel settembre 1199, sempre con la stessa “eterna”Badessa Tenda Albizo elessero e investirono Prè Andrea Eliodoro del Clero di San Severo e Notaio delle Monache:“in sacerdotem ipsarum ecclesiarum”.

Quelli della Contrada di San Severo dovevano mettersela via … avevano perso.

Finito tutto stavolta ? … Ancora no ! … Di nuovo nel 1217 il Piovano di San Severo scelto dalla gente della Contrada, ma: “considerato troppo invadente” dallo stesso Clero di San Severo fedele (alle dipendenze) alle Monache venne disconosciuto sia dal Vescovo di Castello, che dal solito Papa Innocenzo III invocato dalle Monache, che: “… tramite il Priore di Santa Maria della Carità e “con la forza delle censure ecclesiastiche” ridusse finalmente a ragione e obbedienza quei riottosi Parrocchiani, ridando con apposito giusto e amplissimo Diploma alle Monache con la Badessa Maria Barbarigo la facoltà di nominare il Piovano di San Severo, e tutti i diritti sulla stessa chiesa e sue pertinenze.”

Papa Onorio IIIprecisò in seguito, che qualsiasi nuova controversia e litigio sarebbero stati posti sotto al giudizio insindacabile del Vescovo di Jesolo col suo Cappellano Gregorio… e Gregorio IX confermò il tutto “di suprema autorità” nel 1235 ai tempi della Badessa Agnesina Querini ... e tutti tranquilli ?

Ancora: no … Per niente … Perché quel “tira e molla” andò avanti ancora a lungo … per secoli.

Alla fine del 1200 intanto, dopo che nell’agosto 1253 Marino Gisi dal Confinio di San Geremia aveva fatto quietanza a Rialtodi lire 100 davanti al Notaio Leonardus Prete di Sant’Anzolo, a Marino Businago del Confinio di San Severo per un prestito stipulato da Geremia suo fratello per commerciare ovunque sino a Pasqua dietro corresponsione di ¾ dell’utile ... e dopo che nel luglio 1278, sempre a Rialto davanti al Notaio Jacobus Plebanus San Moysis: Filippo e Marchesina Bon dal Confinio di San Stae, figlio del defunto Marino Businago del Confinio di San Severo aveva fatto quietanza di lire 100 di denaro veneto ricevuti a mutuo da Maria vedova di Marino Gisi già del Confinio di San Geremia ed ora di San Moisè ... i Preti di San Severo insorsero ancora una volta pretendendo di gestire in proprio i benefici della Parrocchia e Contrada di San Severo, di rimanere inamovibili nella loro chiesa, e d’essere esonerati da qualunque soggezione e obbedienza alla Badessa di San Lorenzo … La nuova diatriba durò un intero secolo !

Finchè nel 1391, il Giudice Delegato Marco Belazzini Piovano di San Tomà e Vicario del Vescovo Castellanoemise una sentenza definitiva che dichiarò San Severo col suo microCapitolo di quattro Cappellani(uno dei quali era Prè Damiano Notaio di Venezia)pienamente Juspatronato di indovinate chi ?

Come potete immaginare: ovviamente del Monastero Benedettino di San Lorenzonella figura della sua Badessa Maria Bollani a cui Preti e Parrocchiani Veneziani di San Severo “dovettero perfettamente ubbedire in perpetuo.”… Punto e basta … Fine della storia e della contesa fra Monache e Contradaioli Veneziani, “le cui Anime”da quel momento vennero affidati alle cure dei Quattro Cappellani di San Severo finanziati dalle Monache, che curiosamente s’interessavano di loro “a rotazione: una settimana per ciascuno”.

Nel frattempo, le Monache di San Lorenzo badavano agli affari e agli interessi loro: nel 1360 il Vescovo di Padova le investì e reinvestì nella figura della Badessa Maria Tommasina Vitturi:“… di Decima e Raxòn di Decimare sopra qualsivoglia frutti, e vendite decimali di 4 mansi di terra e sedime poste nel territorio di Piove di Sacco … con obbligo però di pagargli 1 lira di Pepe il giorno di Natale”… Tutto venne riconfermato nel 1391 sotto la Badessa Maria Bollani, e poi ancora nel 1411 con la Badessa Chiara Gradenigo: dalle carte dell’epoca risultava che gli Enti Monastici Veneziani fra cui San Lorenzo possedevano 100 campi trevigiani ossia 52 ettari lungo i corsi dei fiumi Sile, Zero e Dese nella zona ad est e a sud di Treviso, a Mogliano, altri 150 ettari a Trevignano, e poi ancora: terre a Santa Maria della Cella  a Cappelletta, a Santa Croce di Cendòn, Carpenedo, Bocca di Musestre e Selvana… luoghi tutti dov’era impegnato un esercito di fattori, Gastaldi, dipendenti e persone che provvedevano alla conversione e gestione di quell’immenso patrimonio delle Monache.

Raccontano ancora le carte, che le Monache di San Lorenzo erano proprio “toste e incontrastate”. Ad esempio: vennero scomunicate a più riprese da Bartolomeo II Querini e Giacomo Albertini Vescovi di Olivolo-Castello perché non volevano pagare loro certe collette, ma ogni volta quelle si appellavano alla Santa Sede Apostolica Papale Romana che puntualmente le assolveva dalla scomunica e le liberava dall’incombenza di turno ... Già fin dal giugno 1360, quindi, le Monache di San Lorenzo risultarono essere “fiere e piene di se, insubordinate, libertine e scatenate”. In quel mese si dovette condannare Marco Boccaso, Zanin Baseggio e Giuseppe di Marcadello a un anno di carcere e cento lire di multa ciascuno: “per aver fornicato rispettivamente con una Nobile Monaca Ruzzini, con la Monaca Beriola Contarini e con la Monaca Orsola Acotanto … tutte Professe di San Lorenzo” … Come non bastasse, il mese seguente la Revendigola Margarita, Bertuccia vedova di Paolo d'Ancona, Maddalena da Bologna, Margarita da Padova e Lucia schiava vennero pubblicamente frustate:“per aver portato lettere ed ambasciate amorose ad modum ruffianarum alle Monache del San Lorenzo”… In meno di cent’anni, fra 1360 e 1434, le Monache di San Lorenzo subirono ben 17 processi per eccessi e abusi sessuali, con la nascita anche di un bambino dentro al Monastero.

Così girava la Storia in quell’angolo di Venezia … e si provò anche a compensarne il senso e il corso, perché per riequilibrare tutti quei fatti così negativi e quella pessima fama delle Monache, nel 1369, s’inventò la Leggenda (rappresentata da Gentile Bellini nel 1500) della Processione sul Ponte di San Lorenzo con recupero “quasi miracoloso” nel Rio omonimo del preziosissimo Reliquiario d’oro della Santa Croceportato in processione attraverso tutta la città dalla Confraternita di San Giovanni Evangelista visitando anche il Monastero devotissimo di San Lorenzo: “da dove la Santissima Reliquia pareva non voler andarsene più, ma soggiacere per sempre di suo gradimento per la gran divozione delle Monache.”… Sulle acque del Rio di San Lorenzo galleggiò la Croce insigne che potè essere recuperata solo “dall’emerito quanto purissimo Guardian Grande Andrea Vendramin … amico, sostenitore ed estimatore delle Monache di San Lorenzo.”

L’onore e il buon nome del Monastero di San Lorenzo quindi era fatto salvo: infatti le Monache appaiono nel dipinto che rappresenta la Leggenda: “tutte schierate, composte, raccolte, ordinate e oranti divotamente sulla riva sinistra” … Almeno dentro alla Leggenda e nell’intenzione le Monache si salvarono, e fu quella la fama che tramandò la pittura lungo i secoli dei secoli.

Nel 1379 abitava in Contrada di San Severo l'architetto Calendario arrestato perché complice e congiurato insieme al Doge Marin Faliero, e abitava lì nella stessa Contrada anche la moglie di Cà Gradenigo:“… divenuta vedova ... oltre che scema di mente”… Nello stesso anno e sotto al nuovo Doge Andrea Contarini, si giunse agli “Imprestiti allo Stato per la Guerra contro i Genovesi che presero Chioggia”. In quella occasione i Veneziani della Contrada di San Severo dove abitavano 21 Nobilhomeni, 3 Nobildonne e 15 contribuenti abbienti, si dimostrarono generosi offrendo alla Repubblica Serenissima: ben 164.500 lire. Fra costoro primeggiarono: Alvise dalle Fornase che offrì: lire 600; Antonio Borsèr che diede: lire 400; Marin Stanièr con lire 800, e Zulià Cambiadòr che mise a disposizione lire 1.500 … Le Monache di San Lorenzo al di là dal Ponte, da sole offrirono senza fatica alcuna: 25.000 lire.

Senato e Doge Serenissimi presero atto della “forza” dimostrata da quelle Monache … e perché fosse chiaro chi comandava in Venezia: cioè né le Monache e tantomeno il Papa di Roma, si andò a collocare in facciata di San Severo due bei Leoni Marciani: “insegne del comando della Repubblica Serenissima” ... I Papi intanto, per niente impressionati dai Veneziani, continuarono a confermare a più riprese  con apposite Bolle e Diplomi: “l’alta Protezione Apostolica sul San Lorenzo, e il controllo totale delle Monache sulla Parrocchia Veneziana di San Severo… e già che c’erano provvidero anche all’emancipazione ed esenzione delle Monache da ogni pretesa e controllo da parte dello stesso Vescovo di Olivolo-Castello che si dimostrava essere troppo sfacciatamente filoDogale ... Per non essere frainteso, il Papa giunse perfino ad affermare che: “… quel che avrebbe deciso la Badessa di San Lorenzo affidata anche alla cura-protezione del Patriarca di Grado, sarebbe stato come se lo avesse deciso e detto lo stesso Papa in persona.”… Più chiaro di così ?

Quasi come risposta … Nel marzo e giugno 1385, si condannarono a 2 anni e 3 mesi di “carcere nei Pozzi” con pagamento di 200 lire di multa sia il Medico delle Monache di San Lorenzo: Nicolò Giustinian che aveva amoreggiato fin troppo a lungo con la Monaca Fiordalise Gradenigo entrando nel Monastero con chiavi false ricavate da impronta di cera, facendo anche nascere un figlio … Sia s’inflissero 3 anni di carcere al Nobilhomo Marco Grittiche era entrato più volte abusivamente nel Monastero ... A niente era valsa l’indicazione del Maggior Consiglio che permetteva solo a Predicatori e Confessori ultra sessantenni d’entrare nei Monasteri, o visite rigorosamente accompagnate e controllate … Le Monache di San Lorenzo non ascoltavano nessuno, e continuavano ad essere sempre eminenti e potenti ... Tanto è vero, che proprio in Contrada di San Severo nel settembre 1401, ai tempi della Badessa di San Lorenzo Giovanna Zeno, e in presenza del Vescovo Lorenzo de Pisis e dei testimoni Armano e Federico di Alemania: Lotto Gambacorta Vescovo di Treviso e suo socio conferì la Pieve di San Mauro di Noventa di Piave a Prè Matteo quondam Giacomino da Venezia, dando mandato d’introdurlo nel suo beneficio a Prè Natali Sappa da Venezia della chiesa di San Michele di Salgareda. 

Il contesto delle Monache di San Lorenzo si prestava ad accogliere e dar lustro e prestigio a decisioni di ogni sorta.

Ancora nel 1478, “… perché non vi fosse memoria corta, e non venisse meno la stabilitas giuridica”,Papa Martino V rinnovò e confermò “il tutto delle Monache di San Lorenzo” con apposite Apostoliche Lettere rivolte a Martino Vescovo di Modone, nelle quali si riconoscevano le facoltà e le consuetudini attribuite al Monastero e alla Badessa Ursia Foscarini appena ribadite nel maggio 1429 … Il Patriarca di Aquileia, latore del Messaggio Papale, e a completamento dell’opera, concesse alle Monache di San Lorenzo un’indulgenza di 100 giorni da impetrarsi e lucrare nell’imminente Festa della Natività della Madonna ... anche da parte di chiunque avesse visitato e onorato debitamente la loro chiesa.

Un vecchio detto Veneziano parlava “d’andare par la Batùa de San Severo”dicendo che da quella parte ci si portava più in fretta verso gli importanti mercati di Olivòlo-Castello, essendo in quei tempi stretto e scomodo percorrere tutta la Riva degli Schiavoni…  Nel 1495, quando Antonia esercitava da prostituta “a scudi 2” in Ruga Giuffa presso San Severo, le “Done Mùneghe de San Lorenzo de Venetia con la Badessa Elisabetta Molin”pagavano alla Serenissima 4.101 ducati di tasse per le sole case che avevano nel Sestiere de Castello, ma percepivano d’entrate e rendite d’affitti da tutte le altre che possedevano sparse per tutta Venezia un totale di: 41.017 ducati … Niente male ! … alla faccia della povertà monacale !

Nel 1520 ai tempi della Badessa Madonna Franceschina Barbaro, quando le Monache di San Lorenzo litigarono ancora con le vicine di San Zaccaria per via di certi stabili in zona, le “Madonne de San Lorenzo” pagavano ducati 32 di salario a due organisti perché si recassero ad accompagnare le cerimonie delle chiese di San Severo e San Lorenzo … Fedele alle sue antiche prerogative, la Badessa Cipriana Michieli in accordo col Capitolo delle Monache di San Lorenzo rimosse nel 1561 uno dei Cappellani di San Severo … e già che c’era, impetrò dal Papa Pio IV un nuovo Apostolico Diploma al riguardo … Non si sa mai … Che venissero sempre confermati quegli antichissimi privilegi del Monastero … Nel 1564 all’inizio del mandato della nuova Badessa Nobile Elisabetta Garzonie quando nel Monastero abitavano 115 Monache, l’organista titolare di San Severo era il Fiammingo Girardo Bertholin che percepiva 8 ducati annui di stipendio, e si spendeva 20 ducati ciascuna per San Lorenzo e San Sebastiano per le Feste, i Cantori, gli Strumentisti e per i Preti che intervenivano alla solennissima Processione che percorreva tutta la Contrada di San Severo ... Si spendevano inolte altri 2 ducati “per solennizar le Feste de San Gallo e San Severo”... Il Monastero di San Lorenzo aveva un imponibile fiscale annuale di 2.644 ducati, era di fatto esentato dal pagare le Decime Ecclesiastiche, e possedeva in Contrada di San Severo una casa che era residenza di Prè Daniel Grisonio Cappellano di San Severo che non pagava alcun affitto ... Un’altra casa delle Monache di San Lorenzo era abitata da Prè Josepho Zarlino Cappellano pure lui, ed era assegnata in parte anche a un terzo Cappellano … che non pagava ugualmente affitto, ma percepiva come gli altri Cappellani in cura d’Anime di San Severo: 12 ducati anni ciascuno“per officiàr la ciesia de San Severo”.

Tre anni dopo, le Monache di San Lorenzo fecero abbattere in Borgoloco San Lorenzo alcune vecchie caxette fatiscenti spendendo 9.976 ducati. Ne edificarono 13 di nuove a schiera in un unico modulo verticale aggiungendovi anche un palazzotto in riva ... L’incremento delle rendite proveniente dai nuovi affitti raddoppiati procurò alle Monache 400 ducati annui in più ... Stessa cosa fecero anche con le loro proprietà in Contrada di San Barnaba, come si legge nel Catastico del Monastero del 1685: “… Possede anco il Monastero di San Lorenzo in questa Contrà di Santa Margarita sopra la Calle va a San Barnaba, e riferisce nella Corte contigua, case n. 5, compresa una bottega sopra la Calle ... Erano prima più casette, quali essendo marze et cadenti, l'anno 1674, Abbadessa la NobilDonna Elena Foscari, furono rifabbricate, et redotte in grando nel n.o delle 5 sudette, et nel muro sopra la strada vi fu posta una Pietra viva con l'infrascritta inscrittione: Ruentes Aediculas Ampliori Formae Restituit R.ma D. Elena Foscari Abbatissa. Anno 1674.

Nel gennaio 1512,al tempo della Badessa di San Lorenzo la Nobildonna Maria Lando,la chiesa di San Severo ottenne licenza dal Consiglio dei Dieci di attivare una Schola del Santissimo Sacramento o del Corpus Domini in San Severomettendo su apposita Mariegola secondo la quale: “ … si doverà portar la Comunione agli infermi parte dopo il segnale d’avviso dato con la campana maggiore e muovere in processione proceduta dal segnale della scuola (il Cristo passo) accompagnato dall’incaricato che suonando una campanella avvisa la gente che sta passando la processione. Metà dei laici che parteciperanno al corteo precederanno il Sacerdote apparato con pluviale, l’altra metà lo seguirà con candele accese ... Anche al ritorno si formerà lo stesso Processione perché i fedeli possano conseguire l’indulgenza. Ogni terza domenica del mese ci sarà “Messa Cantada” seguita dalla solita processione d’uso ... Durante la Messa verrà data l’offerta al celebrante baciandogli il manipolo …. e ci sarà Messa feriale ogni giovedì dell’anno ... e Messe Gregoriane per ogni Morto ... e questua mensile in Contrada con un membro della Banca della Schola, che a turno chiederà l’elemosina per le necessità della Schola e per aiutare i Confratelli infermi ...”

Nel 1803, alla Visita del Patriarca Flangini, trecento anni dopo, la Schola pagava e faceva ancora celebrare 50 Messe all’anno.

Risalgono al marzo 1571 al tempo della Badessa Nobildonna Elena Grimanii primi “Libri de i Batesàdi de San Severo”, mentre il "Libro de' Morti di San Severo" risale all’agosto 1576. Quelli dei Matrimoni o Sponsali e Sposalitii di San Severo(distinti per primo, secondo, terzo e quarto Cappellano che li celebrava) risultano essere precedenti: del gennaio 1565 quando “governava”ancora la Badessa Elisabetta Garzoni Nobildonna Veneziana.

Quanta cura e interesse per le Anime della Contrada de San Severosembravano mostrare le Monache di San Lorenzo !

Tuttavia nel seguente gennaio 1572 il Patriarca Giovanni Trevisan tuonò contro di loro e contro gran parte di tutte le altre Monache Veneziane, e ordinò durante la Visita ai Monasteri compreso San Lorenzo: “… del mandato del Patriarca di Venezia sia commesso a tutte le Madri Abbadesse, Prioresse et Monache di cadaun Monasterio … che in virtu’ de Sancta Obbedienza et sotto pena de escomunicatione debbino obbedir al mandato del patriarca del 11 gen 1565 altre volte intimidatori, di non ammetter né permetter che nelli parlatori si habbi a disnàr, né mangiàr per alcuna persona sii di che condizion e grado si voglia, né padre, né madre, né fratelli, né sorelle, né admetter maschere, buffoni, cantori, sonadori et de simili sorte persone sotto niuno pretesto, né modo, che immaginar si possa, né permetter che in essi parlatori si balli, né si canti né si soni per alcuna persona sii che si voglia …”

C’era poco da fare in realtà … “Le Monache rimanevano incorreggibili oltre che quasi onnipotenti, una formidabile macchina da guerra oltre che da soldi …”

Nel luglio 1581 il Visitatore Apostolico andò dritto dalla Badessa di San Lorenzo la Nobildonna Michiela Diedo per ottenere ragguagli e notizie circa la Parrocchia e Contrada dipendente di San Severo. La Badessa raccontò che in Contrada abitavano fra 1200 e 1340 Veneziani di cui 700 da Comunione ... La “Cura d’Anime de la Contrada xe affidada a 4 Cappellani Curati che costano 48 ducati annui, l’uso di una caxa, e percepiscono gli incerti di stola”… La Badessa affermò inoltre di pagare altri 8 ducati al Prete Sacrista di San Severo, e di dare anche altri 2 ducati ciascuno ad alcuni Chierici che frequentavano la chiesa celebrando 8 Mansionarie di Messe su 7 altari (San Severo, Santissimo, San Giovanni, Madonna, San Gallo, Sant’Andrea e Santa Caterina) che procuravano al Monastero 158 ducati e altri “generi in natura”.

Qualche anno dopo, nel 1587, Aeneas Piccolomines da Siena, laico di 42 anni, insegnava “Lettere Humane” a 34 alunni in una scuola sita nella stessa Contrada di San Severo: “… leggo la mattina Horatio et li Epistoli Familiari ... El doppo disnar el Terentio et la Dialeticha de Rodolpho Agricola et secondo le classi li do epistole et latini: Politica di Aristotele e le Particioni Oratorie di Cicerone.”… e nel febbraio di tre anni dopo, morì in Contrada di San Severo: Prete Giuseppe Zarlino di anni 69: Maestro della Cappella Ducale di San Marco.

Nel 1588 si sparse per la Contrada la voce di un fattaccio e delle ennesime “cose da non dire” delle Monache del San Lorenzo dove c’erano un centinaio di Nobildonne Monache fra cui due sorelle Foscarini. Agendo da Monaca Speziale o Cuciniera del Monastero avevano provato in più di un’occasione ad avvelenare con l’arsenico alcune Compagne fra cui la Monaca Gabriella… Il veleno era stato loro procurato da un oscuro Converso proveniente dal Monastero di Santo Spirito in Isola, ma non erano riuscite nel loro intento dichiarandosi innocenti circa quell’ignobile accusa. La verità era, che forse Angela: la più giovane delle due Foscarini non aveva accettato d’essere l’amante dell’altra Monaca osteggiata anche dall’altra sorella Diodata, e per questo si giunse a inventare la storia del veleno ... che non era poi così insolita a Venezia … anche a Palazzo Ducale e fra i Nobili quel prodotto girava non poco … e spesso con effetto.

Comunque tutti i protagonisti del fattaccio vennero denunciati e puniti dal Patriarca Trevisan che andò perfino a consultarsi col Papa di Roma per la complessità del caso … Ma alla fine tutti continuarono a vivere come sempre dentro al solito Monastero, e non se ne fece più nulla ... Anzi: il Patriarca Priuli nel 1593 durante l’ennesima Visita al San Lorenzo s’accontentò di decretare l’allontanamento entro 3 giorni di tutti i cani personali tenuti dalla Monache dentro al Monastero … Quello era un vero crimine da combattere con determinazione !

All’inizio del 1600, al tempo delle Badesse Nobildonne Maria Cornaro e Maria Perpetua Soranzo, le 110 Monache-Madonne de San Lorenzo venivano ancora esentate da ogni Decima e Gravezza Ecclesiastica, e pagavano allo Stato solo la Decima Laica ... cioè: 3.000 ducati annuali … Un patrimonio in se … piccola cosa per le Monache, che nei loro Libri di Cassa dichiaravano di sostenere “spese e infraspese de boche de Mùneghe”per 2.000 ducati annui … Spendevano cioè un altro patrimonio solo per alimentarsi … Ci tenevano però a precisare che in quella spesa erano comprese anche le elemosine e il cibo che offrivano ai poveri … (niente praticamente … Che ipocrite !)… Segnavano inoltre altri 100 ducati di spesa per l’Infermeria … centinaia di ducati: “par el salario del Confessor, del Mèdego, del Cerugicho, del Fornèr … e del Portonèr de la Porta del Campo” a cui davano 12 ducati annui (10 ducati ciascuno agli altri due portonieri ordinari), stessa cifra che percepivano ciascuno anche il Facchin e el Servo del Monastero … “et 20 ducati annui si davano d’obbligo al Predicatòr occasional … che era ricorrente, e non mancava mai di frequentare di continuo il Monasterio”.

“El sostentamento de quattro Preti et Cappellani de la Glexia de San Severo” costava alle Monache una miseria: 38 ducati per tutti e quattro messi insieme … Ne davano, infatti, altri 20 di ducati ad altri Chierici-Zaghi e a un Nònsolo Sagrestano … mentre costava  solamente 16 ducati annui mantenere un Cappellano di Campagna nel Monastero della Frasca nel Padovano(La Badessa Giovanna Zen con le altre 70 Monache di San Lorenzo avevano fatto costruire nel 1401 una chiesuola in Villa di Frascà per il comodo degli affittuali che distavano più di due miglia dalla Parrocchiale di Bovolenta. Pagavano quindi un Cappellano che ufficiasse la chiesetta quotidianamente)… e di 12 ducati era lo stipendio del Vignèr de le Muneghe (Vignaiolo), al quale si davano anche altri 50 ducati “per il viver de le boche de le maestranze e altre bocche extraordinarie”.

Fedeli alla loro “quasi ossessione” per la Musica, le Monache di San Lorenzo pagavano 32 ducati per ben tre organisti per suonare gli strumenti delle loro tre chiese (quanto i 4 Preti di San Severo messi insieme)… e quell’impegno non doveva essere cosa da poco visto che di Cerimonie, Feste e Ricorrenze le Monache ne intraprendevano una dopo l’altra: “… praticamente quasi ogni giorno in San Lorenzo era Festa di qualcosa”. Il Monastero era di continuo palcoscenico di nuove composizioni ed esibizioni musicali: dalle Monache di San Lorenzo correvano ad esibirsi gli artisti e compositori Veneziane e forestieri più intraprendenti e famosi, soprattutto il giorno della Festa del Patrono in agosto, quando in Campo e sul Sagrato di San Lorenzo accadeva una vera e propria Sagra. Per tradizione popolare si benedivano“sul Ponte adornato con gran pompa ad archi trionfali”gli Ulivi e gli Allori contro il pericolo dei temporali e del fulmine … ICantori della Cappella Ducale di San Marcopartecipavano in massa alle cerimonie, e la Fiera di San Lorenzo a Venezia veniva chiamata: “Fiera dei Ladri”perché c’era sempre un gran trafficare di borseggiatori “durante le Musiche” fra le numerose persone, soprattutto Nobili e Mercanti, che accorrevano per partecipare alla manifestazione.

Raccontava e scriveva ancora nel 1716 una Badessa di San Lorenzo:“ … dopo aver cantada in Musica l’hora canonica de Terza, avanti la Messa Maggior, viene fatta solenne Processione con Reliquia portada sopra a un Solàro da quattro Reverendi Sacerdoti apparati di camiso e tunicelle, con l’accompagnamento d’aste d’argento di numero 16, e con torce in mano di numero 16, andando tanto li nostri che molti altri Reverendi processionalmente tutti vestiti di cotta e pluviali, cantando le Litanie de Santi assieme col Celebrante, che è il nostro Padre Confessore pro tempore, pure apparato … portando in mano la Santa Croce … andando con la Processione per la nostra Parrocchia di San Severo, e tornati in questa chiesa subito si canta Messa Solenne in Canto e Musica …”

Si annotavano inoltre: 400 ducati spesi per 110 doni preziosi offerti dalle Monache, e un’altra ventina di ducati “spesi in Gratie”… e altri 300 ducati di spesa media per “maestranze, legname, pière e calzina per conzàr le 248 caxe et il pozzo del Monasterio.” … 12 ducati annui davano ancora di salario le Monache a un “Nònzolo secolar” che accudiva, apriva e chiudeva le loro due chiese di San Lorenzo e San Sebastiano dove si celebravano di continuo tre Mansionerie di Messe pagate 45 ducati … Infine: 100 ducati annui si davano al Gastaldo della Schola del Santissimo di San Severo, che era la Schola preferita delle Monache di San Lorenzo, alla quale erano iscritte quasi tutte.

La maggior parte dei profitti e delle rendite di quell’immenso patrimonio delle Monache, che comprendeva anche i diritti su due Banchi di Beccaria a San Marco presso i Granai di Terranova e su altri di Rialto, venivano investiti differenziandoli insieme alle migliaia di ducati che ottenevano le Monache da Legati e celebrazioni di Messe di Suffragio “pro Anema soa”(Foscari, Da Muda, Moro, Caotorta). A quei soldi si aggiungevano anche i soliti 1.100 ducati annuali che le Monache ricevevano in elemosine o da Doti Spirituali: tutto finiva versato nella Zecca di Stato di San Marco, o all’Offitio del Sale del Vin e delle Acque, oppure depositato al Magistrato alle Entratedai quali le Monache percepivano interessi e “pro” che variavano fra il 5% e 3,5% … In altre occasioni, le Monache “arrotondavano” prestando soldi a Veneziani privati, e alle Arti e Schole cittadine sempre in eterna difficoltà economica e in ritardo sui pagamenti delle spese.

Nella Zecca di San Marco esistevano numerosi conti intestati alla Badessa di San Lorenzo che spesso fungeva da prestanome alle singole Monache del Monastero provvedendo alle loro “spese spicciole”… Quando morivano le Monache, il loro patrimonio passava in automatico “Jus Monasterii e per Jure Religionis” ad incrementare quello cospicuo di San Lorenzo … Ancora durante molti anni del 1600 alcune Monache del San Lorenzo: le Nobili Badoer, Foscari, Contarini, Molin, Da Mula e Caotorta investivano migliaia di ducati nell’Arte e commercio della Lana di Venezia … Immaginatevi perciò quale consistenza e giri di denaro c’erano dentro al San Lorenzo !

Nel 1603 quando si decise che la Badessa delle Monache non venisse più eletta a vita, ma solo con un mandato di tre anni per volta, nel Monastero di San Lorenzo vivevano sotto la guida della Clarissima e Reverendissima Madre Abbatissa Helena Vitturi: le Clarissime Matres et Nobili Donne-Monache: Adriana e Contarina Contareno o Contarini, Vittoria Renerio o Renier, Veneranda e Marina Lauretano o Loredàn, Lucia Juliano o Justiniàn, Michela e Marina Badoario o Bàdoer, Gabriela Venerio o Venièr, Beatrice Barbi, Barbara Magno, Angelica Bondumerio o Bondùlmer, Donata Donato o Donà, Elisabet Grimani, Marieta Gabriel, Laura Valerio o Valièr, Helena e Adriana Pisauro o Pisani, Laura Ghirardo, Lauretana Molino o Molin, Helena Marcello, e Pulissena Gradonico o Gradenigo.

Nel 1609 il Capitolo di San Lorenzo votò l’accettazione di 24 nuove Monache per la solita cifra regolamentare di Dota, più una Monaca gratis ... Diversi Nobili chiesero l’accettazione di altre 10 Monache promettendo di offrire 2500-3000 ducati di dote a testa, ma di fatto rifiutandosi di versare quella quota esosa e ricorrendo al Patriarca Vendraminperchè incorsi nella sospensione delle relative vestizioni delle proprie figlie inadempienti economicamente. Il Patriarca obbligò l’accettazione delle nuove Monache, ma le Monache di San Lorenzo spedirono lo stesso a casa le figlie Nobili “non pagadòre” e gettarono fuori dalla finestra l’ingiunzione del Patriarca che allora la fece inchiodare alla porta del Monastero. Le Monache allora ricorsero al Doge e al Senato, ma con scarso successo in quanto fin dal nel 1602-1604 s’era vietato per Legge l’aumento delle Doti Monacali ...Non convinte affatto, le Monache non restituiscono la dote di 2000 ducati di 2 ragazze Badoer e Querini non monacate e rimandate a casa, in quanto sostennerno che erano state in parte già spese per la loro educazione ... Le Monache vennero perciò sospese da Messa e Sacramenti dal Patriarca ... ma gongolarono ugualmente, impassibili, perchè gli altri Monasteri Veneziani come il Sant’Anna di Castello, ad esempio, languivano avendo solo 5 nuove vestizioni di nuove Monache in un intero triennio, mentre il San Lorenzo ne aveva 35 all’anno, e poteva far incetta d’educande che poteva scegliere come meglio gradiva.

Spavalde più che mai, le Monache di San Lorenzo si costruirono fra 1615 e 1618, ai tempi della Badessa Paola Priuli, un nuovo sontuosissimo Altar Maggiore affidando i lavori a Girolamo Campagna, e fecero demolire il porticato antistante la chiesa favorendo un nuovo prospetto che avrebbe dovuto essere tutto rivestito di marmi … Insieme a tutto questo, intrapresero e sostennero anche una lunghissima e impegnativa querelle con i Preti del Capitolo di Santa Maria Formosache intendevano assumersi la giurisdizione della Contrada e chiesa di San Severo… Non fosse mai ! … Che solo ci provassero ! …  Infatti la Contrada di San Severo rimase saldamente sotto al solito controllo delle Monache.

Durante lo stesso 1600, nel 1626, durante il secondo mandato della Badessa di San Lorenzo Maria Elena Vitturi, il Doge Girolamo Priuli lasciò al Monastero un deposito in Zecca di 1.099 ducati, lire 10 e soldi 25 … Anche per questo la chiesa di San Severo venne rifabbricata spiegando che s’erano ritrovate anche due grosse anfore coperte di scritte e incisioni in arabo piene di monete d’oro antichissime sepolte nel 1172 dall'Abbadessa Angela Michielal momento dell'uccisione del Doge Vitale II suo fratello … Sempre nei primi anni del 1600, quando in Fondamenta di San Lorenzo:“… restò morto da una archibugiata nel 1604, per ordine del fratello Pietro Paolo, il Nobilhomo Giacomo Battaggia, mentre ritornava dal Redutto de Santa Maria Formosa.”, proprio in Contrada di San Severo dove vivevano 1.408 persone, nacque Pietro Vito Ottoboni figlio di Marcoche in seguito, nel 1689, divenne Papa Alessandro VIII governando l’intera Cristianità fino al 1691 … Nel gennaio 1629, invece, a causa delle campagne militari rovinose la Serenissima impose nuove tasse a tutti i Veneziani e a quelli del suo Dominio: “… e 1 soldo per lira a tutti dazi esclusa la Gabella del Sale e a tutte le gravezze a vantaggio dell’Erario da pagarsi a cura di tutti gli abitanti del Dominio compreso quello da Mar.” ... Si ribadì l’urgenza di quel pagamento e di quell’aumento delle tasse per bisogni importantissimi e gravissimi: s’imposero 2 Decime su Venezia e tutto il Dogado da pagarsi una: “… da patroni sopra livelli perpetui, stati, inviamenti de pistorie, magazeni, forni, poste da vin, banche di beccaria, traghetti, poste, palade, passi, molini, foli, sieghe, instrumenti da ferro, battirame, moggi da carta ed altri, dadie, varchi che si affittano e si pesano, decime di biave, vini ed altre robbe, fornari, hosterie et ogn’altra entrata simile niuna eccentuata.”… La seconda Decima, invece: “… venne accesa sopra tutti i livelli francabili fondati su case, campi o altri beni in qual si voglia luoco, fati con chi si sia ... Chi pagherà entro aprile avrà in dono una tassa del 10%, chi pagherà più tardi un aggravio uguale” ... a Venezia tutti erano soggetti: “a gravezze, in buona valuta o moneta corrente con il quinto de più, senza sconti né esenzioni.”… In giugno il Senato fissò un termine di 15 giorni per denunciare ai 10 Savi alle Decime tutti i livelli perpetui e francabili ed ogni altra fonte di reddito, e intimò a Commissari Straordinari di reperire entro un mese in ogni modo denaro ricavandolo in tutto lo stato mettendo Decime alle campagne, testatico o simili seguendo la via più facile e veloce e proporzionata alle persone che dovevano pagare … In agosto si decise d’esentare dall’imposta straordinaria solo i poveri, e chi a Venezia e nel Dogado pagava un affitto di casa fino a 20 ducati o affitto fra casa e bottega fino a 30 ducati in quanto il contributo sarebbe stato trascurabile per l’erario ma gravoso per il debitore ... A ottobre si prorogò il termine di pagamento delle Decime al 10 novembre: “… pena la consegna il 1 dicembre dei libri fiscali al Collegio per imposizione obbligatoria della tassa”… Le Cronache raccontano, che anche in Contrada di San Severo dov’erano attive 11 botteghe c’era grande preoccupazione … e quasi a derisione di tutto quell’indaginoso e uggioso tassare, tornò a ripresentarsi in Venezia la distruzione devastante della Pestilenza ... quando le sorti del Monastero di San Lorenzo e della Contrada di San Severo erano guidate dalla Badessa Nobile Maria Vittoria Renier.

Negli stessi anni quando nel San Lorenzo c’erano 98 Monache, 40 Converse e 5 “Fie a spese” (educande), il Patriarca Tiepolo, inutilmente chiese alle Monache di non occuparsi dell’economia lasciandola gestire ai 3-4 Procuratori appositi per dedicarsi maggiormente alle Cure Spirituali ...a “Spiritualia”… Fu, invece, indotto ad annullare l’accettazione fatta dal Capitolo delle Monache di San Lorenzo di sua nipote  Quirina Tiepolocondannando “a vita privata per 6 mesi” la Badessa Marina Trevisanrea di aver chiesto e riscosso dalla nipote del Patriarca: 2.000 ducati invece dei pattuiti 1.000 ducati ... il Doge Antonio Priuli, invece, decise in morte di farsi seppellire proprio nella chiesa delle Monache di San Lorenzo … e Monteverdiscriveva: “… certa musica ecclesiastica per alcune Sig.re Ill.me Monache di San Lorenzo che me ne facevano non poca istanza…”

Brillavano pacifiche di luce propria le Monache del San Lorenzo, insieme con la loro“privata Contrada Veneziana di San Severo” ! … Neanche per sogno ! … Secondo le cronache e gli atti dei processi intentati loro in quegli stessi anni: “… nel luglio del seguente 1625 c’erano ruffiani in Monastero … nel maggio 1626 si andò di nuovo processo per Parlatori supposti aperti con chiavi false … nel 1638 “per discorsi frequenti di un Prete con le Monache ... e per discorsi frequenti di una Monaca con un Cappellano” … e “per porte aperte dei Parlatori sino alle tre di notte, canti, scandali, e molto altro ancora …” nel 1642, intanto, dopo la buia stagione della Peste le Monache del San Lorenzo erano diventate 64, le Converse 37 e le “Fie a spese”: 14.

In San Severo, intanto, si fondò nel novembre 1627 laScuola e Sovvegno del Redentor del Mondo: “… quando ogni cosa sembrava essere precipitata per la violenta moria distruttiva del contagio, ed aveva cominciato a governare San Lorenzo la Badessa Nobidonna Elisabetta Caotorta.”...  L’iscrizione alla Schola venne preclusa a Preti e donne, e dopo vicende alterne, fra un’estinzione della Schola e un ulteriore riavvio, la Schola venne costretta dai Provveditori da Comun a darsi un Guardiano per sopravvivere e a questuare in giro per la città per autofinanziarsi con un “Cassellante” a cui spettava: “un gabàn e un pàr de scarpe ogni 10 anni spendendo non più di 5 ducati.”… Il Farmacista del Leon d’Oro in Campo San Filippo e Giacomo venne eletto d’ufficio Spizier del Sovvegno e per fornire “l’olio dolce de Mandola ritenuto medicamentoso per molti mali”… Gli iscritti alla Schola, che aveva un banco in chiesa di San Severo “per deporvi le sue robbe”, potevano rivolgersi a qualsiasi Farmacia fino alla guarigione, eccetto quelle gestite da Frati … Il Piovan di San Severoattestava per iscritto l’atto di malattia insieme al Medego del Sovvegno, e gli iscritti in regola con i pagamenti dovuti, percepivano: 1 lira di sussidio “per ogni giorno di malattia da Febbre Quartana”.

Nel febbraio 1635, invece, dopo la Grande Peste, si rifondò la Schola di Devozione di Santa Maria Elisabetta o della Visitazione di Mariafondata già nel 1505, e si pagava 22 ducati annui ai Preti di San Severo perchè l’accudissero con Messe e Suffragi nell’Ottava dei Morti, e con Esposizioni del Santissimo nei pomeriggi delle Sei Feste Mariane ... L’ultima Festa del Patrono della Schola de la Visitaziòn de San Severonel 1798, prima della sua definitiva soppressione, venne a costare 274 lire e 12 soldi che furono pagati spartiti a metà fra il Guardiano della Schola, e l’altra metà fra il Vicario e lo Scrivano della stessa Schola.

Dieci anni dopo, quando il Monastero di San Lorenzo insieme alle VerginieSan Zaccaria, e quelli Giudecchini dei Santi Cosma e Damiano e dei Santi Biagio e Cataldo della Giudecca vennero esclusi dal Senato, perché considerati “non bisognosi”, dall’elenco delle elemosine di grano annuali che la Repubblica faceva ai Monasteri a Pasqua, Francesco Cavalli secondo organista della Basilica Ducale di San Marco ottenne licenza “di poter impartir lezion de Musica e suonar l’organo” alla figlia del Cavalier Grimani Monaca nel Monastero di San Lorenzo … Qualche mese dopo, la licenza gli venne insolitamente prorogata di altri 6 mesi, e lui riconoscente lasciò tutti i suoi beni al Monastero facendosi seppellire in chiesa.

Nel 1650 la Signoria Serenissima dovette consultarsi e preoccuparsi circa alcune controversie intorno all’abito delle Monache del Monastero di San Lorenzo giudicato: “troppo sconveniente”Tre anni dopo ricevette la denuncia di una serenata notturna nei canali vicini al Monastero a cui seguì un’inchiesta con interrogatorio della stessa Badessa: “… per certe mattinate con musica, quantità di persone con suoni e canti e parole scandalose …” Si provvide a individuare e censire i nomi dei Cantanti e Musicisti inviati sul posto probabilmente dai Nobili Grimani e Calergi di Santa Maria Formosa che avevano coinvolto nel loro “gioco con le Monache”anche l’Ambasciatore Francese con tutta la sua famiglia … Curiosissima quanto insolita una nota dello stesso anno: il 1653, al tempo del nuovo governo della Badessa Maria Grimani: il Magistrato all’Arsenal condannò dopo regolare inchiesta e processo le stesse Monache del Monastero di San Lorenzo proprietarie fra l’altro anche del Bosco da Roveri di Cavergnago. Le Monache dovettero pagare 1.900 ducati e “riseminar de giànde quel terreno … che venne male gestito, seminato, ma senza che ne nascesse cosa alcuna con disfacimento del bosco”Di nuovo nel settembre 1658 si andò a processo “per visite fin troppo frequenti al Monastero di San Lorenzo da parte del nipote di Sua Serenità”… L’anno seguente ci fu altra indagine e processo “per tre Fornai mascherati entrati in quel Monastero”… Nel 1664 Madonna Badessa Polissena Badoer: “… fece aprire dei gran balconi per dar maggior luce e libertà al Monastero”... Già nel Parlatorio le grate erano larghissime, quasi simboliche, da considerarsi: “… fabbrica eccedente la moderazione del viver religioso.” … a Carnevale si formò un gruppo di maschere di Gentiluomini, Cittadini e Mercanti con gran pompa di vestimenti e gioie. Le maschere erano 48 e ciascuna rappresentava un tipo della vita reale: il Filosofo, il Vecchio Decrepito … La mascherata sostò a lungo presso i gli aristocratici Monasteri di San Lorenzo e San Zaccaria dove si era recata piena di propositi di far chiasso, divertirsi e divertire nei Parlatoi con mille novelle piacevoli prima di recarsi in Piazza San Marco ... Filippo Pizzichi visitando il Monastero di San Lorenzo insieme al Granduca  Cosimo III di Toscana scriveva:“… è questo il più ricco Monastero di Venezia, e vi sono sopra 100 Madri, tutte Gentildonne, vestono leggiadrissimamente con abito bianco alla franzese, il busto di bisso a piegoline e le Professe trina nera larga tre dita sulle costure di esso, un velo piccolo cinge la loro fronte sotto il quale i capelli arricciati e lindamente accomodati, e seno mezzo scoperto, e tutto insieme abito più da ninfe che da Monache” ... Il Senato intervenne inducendo le Monache a restringere le finestre del Monastero …. Ancora nel gennaio 1666 si ritornò a processo “per varie persone mascherate entrate nel Monastero.” e “per visite frequenti di due Patrizi”e nel 1681: “per scandali di quelle Monache ed abbruciamento del portone del Monastero” quando in Calle e Corte Rottaa San Severo possedeva case, abitava e fece testamento presso il Notaio Domenico Garzoni Paolini l'Architetto e Proto Baldassare Longhena figlio del defunto Melchisedech, che morì il 18 febbraio 1681 More Veneto: “… d'anni 85 da febre e catarro dopo mesi 8”.

Il 5 marzo 1691 fu il momento d’assurgere alle Cronache di San Severo delSovvegno di Sant’Antonio e San Crispino dei Lavoranti Calegheri e Zavatteri durante il terzo mandato di governo del San Lorenzo della Nobile Monaca Isabella Molin. Gli iscritti al Sodalizio, che non erano Mastri dell’Arte ma solo “Lavoranti”,erano 120 assistiti in caso di malattia “con un ducatone”,vestiti in Morte con un abito da 8 lire uguale per tutti, e suffragati in seguito con 40 Messe ciascuno per le quali ogni iscritto doveva versare 10 soldi all’annuncio di ogni decesso. In seguito le Messe per ogni Defunto divennero 80 elevando il contributo previsto a 24 soldi per ogni Morto, e venivano fatte celebrare dai Frati Francescani e Cappuccini perché costavano di meno ... Nel 1696, intanto, un’altra mascherata di Dame e Cavalieri travestiti con abiti preziosi “da mori e more”, dopo un lungo giro per Venezia andò a ballare giusto dentro alla Corte e nel Parlatorio delle incorreggibili Monache di San Lorenzo … sempre loro … e la Serenissima: taceva … Il Consiglio dei Dieci non rimase in silenzio, invece, nell’ottobre 1775, quando ordinò la soppressione della Scola-Sovvegno dei Lavoranti Calegheri e Zavattèri ormai piena di debiti, appesantita e angariata da oltre mille iscritti Lavoranti che pretendevano di continuo assistenza e indennità che non potevano più essere fornite.

All’inizio del 1700: “età dei lumi”, le botteghe della Contrada di San Severo divennero 23, c’era attivo in Contrada anche un “inviamento da forno con casa e bottega da Pistoria”, e due “Spezierie da Medicine”: quella “Alla Madonna della Salute” in Borgo loco San Severo, e quella “All’Umiltà Coronata”sempre nella stessa Contrada … Nel Monastero di San Lorenzo venne costretta “a farse Mùnega” la sedicenne Maria Da Riva figlia di Achille e Chiara Cellini ... Un’altra monacata controvoglia … Dopo più di vent’anni di “tranquilla”vita nel Monastero, la Monaca Da Riva incontrò e s’innamorò contraccambiata del parigino Conte Frounlay Ambasciatore Francese a Venezia: usciva di notte con lui, partecipava a feste in giro per Venezia, a palazzo del Procuratore Daniele Bragadin di Santa Maraia Formosa, ad esempio, partecipava ai Ridotti e frequentava i caffè di Piazza San Marco … finchè dopo numerose segnalazioni e diverse denunce fatte all’Inquisizione Veneziana la donna-Monaca venne imprigionata nel Monastero di San Lorenzo, e fu proibito l’accesso al Monastero anche all’Ambasciatore Francese: “… che perse la testa finendo a girare sotto alla pioggia in Piazza San Marco, col pellicciotto addosso in piena estate, e a palar con le formiche nell’orto dei Benedettini dell’Isola di San Giorgio Maggiore”.

“E’ il giusto castigo di Dio !”sentenziarono i Veneziani ... ma non finì lì la storia … La Monaca venne trasferita “per redimersi” in un Monastero di Ferrara … e da lì, per realizzare quella sua conversione di vita, fuggì a Bologna col Colonnello Moroni finendo col sposarlo. Scandalo dopo scandalo: la Monaca venne imprigionata … ma ci pensò il Papa Benedetto XIV in persona a farla liberare permettendole di andare a rifugiarsi in Svizzera ... e fine dell’ennesima storia.

Nel 1715 circa, Cecilia MocenigoBadessa di San Lorenzo volle e ottenne di fondare nella Parrocchia e Contrada di San Severo una Fraterna dei Poveri: “… per assistere quanti in Parrocchia languiscono tanto per l’infermità, quanto per il bisogno nel quale s’attrovano …”

Il nuovo Ente Assistenziale sarebbe statoguidato e gestito da tre Presidenti: il Guardiano della Schola del Santissimo di San Severo, uno dei Cappellani di San Severo, e un Cittadino o Negoziante coadiuvati da un Cassiere, uno Scrivano, un Medico e un Nunzio: “… Quelli della Fraterna dovranno versare ciascuno 1 ducato annuo, e questuare casa per casa a Natale e a Pasqua.”Diversi decenni dopo, nel 1825, secondo delle Disposizioni Generali Austriache, in ognuno dei 19 Circondari in cui erano state ridotte le 30 Parrocchie Veneziane dovevano operare 20 Medici e 20 Chirurghi. In ogni Parrocchia doveva esserci: “… un numero d’individui … uniti sotto il titolo di Fraterna, che si presteranno gratuitamente ad assistere ed a contribuire al miglior essere della classe degli indigenti, infermi e vergognosi.” … Per far questo, i membri delle Fraterne dei Poveri erano costretti a contribuire annualmente con 2 lire austriache e 30 centesimi ciascuno.

Nel seguente agosto 1716, delle Monache di San Lorenzo si diceva: “… tutto il furore del caldo non potè fare che non fosse domenica alli primi Vesperi, come pure lunedì, ripieno il gran Tempio di San Lorenzo di tutta la Nobiltà e di copiosissimo popolo, tutti ammirando e la doviziosità dell’apparato e sontuosità di grandissima Musica e copiosità di rinfreschi fatti dispensare da quelle Illustrissime Claustrali che in ogni loro attione compariscono le gran Dame che sono …”

Visitando San Severo nel 1733 ai tempi del secondo mandato della Badessa di San Lorenzo Elena Tiepolo, Antonio Maria Zanettiannotava la presenza di tre altari con: “… un quadro appresso la Cappella del Santissimo con la “Crocifissione del Signore” opera rara del Tintoretto ... Altri quattro quadri che seguono per fino alla porta sinistra della Chiesa concernenti “La vita di Cristo” sono di qualche imitatore dei Bassani, e del Tintoretto … Nella tavola dell’altare del Santissimo, che è quasi tutta dalla custodia ricoperta, vi è un “Cristo deposto di Croce con Maria e San Giovanni, Maria Cleofe, Maria Maddalena, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea” della scuola di Lazzero Sebastiani ... Nel volto sopra l’altare vi sono i “Quattro Evangelisti” di Jacopo Palma del 1546-1547 ... e vicino alla porta destra un “Assunzione e Incoronazione della Vergine Madonna” dipinta da Domenico Tintoretto negli stessi anni. Sopra la sinistra delle minori porte vi è la: “Flagellazione del Cristo alla Colonna” di Vincenzo Catena realizzata nel 1543, e dal lato sinistro dell’altare della Madonna una “Visita di Santa Elisabetta” dello stesso autore, opere preziosissime ... Nella Sacristia si trova un quadro con una “Storia della Vergine” dipinto da Antonio Grapinelli, ed alcuni altri ancora …”

Circa in quegli stessi anni, ai tempi delle Badesse di San Lorenzo: Cecilia Dolfin e Lucrezia Barbarigo, in Contrada di San Severo vivevano 176 persone adatte al lavoro fra 14 e 60 anni … esclusi i Nobili, s’intende, che erano il 32% dell’intera popolazione di 1.277 persone ... Secondo le Memorie dello stesso Zanetticompletate nel 1743, la chiesa di San Lorenzo era fornita di ben due organi:“… oggi, dopo pranzo, si fece il Vespro in Musica a San Lorenzo per la festa ch’è domani ... Il palco da Musica fu sontuoso al solito; ma sul bel principio cadde una grossa trave, si mosse dal luogo uno degli organi, e tutti ebbero paura; ma grazie a Dio, non ci fu male di sorta…”  

L’anno seguente, laCompagnia di Sant'Adriano o Sant’Arian e di Santa Maria degli Angelisotto la protezione diSan Pietro Orseoloapprodò nella chiesa di San Severo … Curiosa quella presenza in una zona così discosta e tutto sommato poco significativa e defilata rispetto alla sontuosa San Marco poco distante ... La Compagnia proveniva dalla chiesetta diSan Gallo e San Giminiano site proprio accanto aPiazza San Marco, e di sua consuetudine era fortemente impegnata in una nutritissima opera di Suffragioper i propri Morti per la quale si tassava di continuo celebrando un’infinità di Messe e Orazioni a favore dei propri iscritti Defunti. Nell’economia dellaCompagnia di Sant’Arian di San Severoc’erano giorni clou come quello del “Perdon d’Assisi del 2 agosto”, oppure quelli del Tempo dell’Ottavario dei Morti, in cui si celebravano 10-20 Messe al giorno e in un colpo solo ... La Compagnia come tante altre Schole Veneziane era una vera e propria “macchina da Messe”… e da soldi … L’evento più importante, tuttavia, veniva vissuto annualmente dalla Compagnia colPellegrinaggiotranslagunare con tre barche fino all’Isola di Sant’Arianin fondo alla Laguna Nord di Venezia. L’intera Compagnia si recava là la seconda domenica di giugno con 10 Preti e 1 Chierico al seguito imbarcandosi tutti sulla Riva dei Mendicanti presso le Fondamente Nove. Durante tutto il lungo tragitto a remi si recitava parti del Rosario, Litanie della Madonna e diversi De Profundis … Giunti in isola si celebravano“nove Messe lette “secche”a cui faceva seguito una Messa Solenne celebrata da uno dei Cappellani di San Severosopra a un altare di legno senza iscrizioni né nomi … Alla fine della cerimonia si estraeva da un urna con tutti i nomi quello che sarebbe dovuto essere il nuovoGastaldo della Compagniascelto fra tutti gli iscritti … C’erano per davvero tutti i nomi dentro a quell’urna ? … Chi poteva per davvero permettersi di sostenere economicamente una spesa del genere a favore della Compagnia ? … Solo pochi facoltosi … Perciò quell’estrazione era un po’ “pilotata” , anche se ci fu chi giunse a indebitarsi pur di riuscire nell’intento “de governar la Compagnia”.

Cantato quindi l’Ufficio dei Mortie fatta una Processione tutto intorno all’isola con una benedizione per ogni angolo, si recitava un altro De Profundis … poi ci s’imbarcava di nuovo, e si provvedeva:“a un conveniente ristoro-pranzo con moderato cibo e giusto riposo presso l’Isola della Madonna del Monte vicino a Mazzorbo” per il quale ciascuno doveva portarsi le proprie posate e tovagliolo … Lì si sarebbe dovuto recitare ancora un’altra parte del Rosario, altre Litanie e un bel Te Deum finale … Si faceva pure quello … anche se di frequente ci scappava in realtà una buona e bella bisboccia da vero e proprio “pranzo sociale”, a volte con qualche esagerazione di troppo ... La Serenissima e il Patriarca sapevano ed erano a conoscenza di quelle situazioni: bisognava stare attenti, non esagerare né travalicare perché altrimenti, come era già accaduto per altre Compagnie Veneziane di Sant’Arian, si sarebbe chiuso e proibito tutto.

Nel 1779 Francesco Zanussi Canonico di San Marco era diventato ospite fisso della Compagnia di Sant’Arian di San Severo, per la quale “acconciava ogni anno piccolo divoto sermone a titolo gratuito”… e si aumentò pure l’offerta obbligatoria di 5-6 lire annuali “pro capite per il pranzo sociale” a causa dell’aumento del costo dei viveri.

Nell’agosto 1757 durante il quarto mandato della Badessa e Nobildonna Marina Vendramin, secondo i puntuali Notatoridi Pietro Gradenigo si espose nel Capitello di Corte della Madonna a San Severo una nuova immagine della Beata Vergine delle Grazie dipinta da Prè Giobatta Tosolini al quale si dedicò anche una “gioconda composizione”… Insolita, in verità, la vicenda di quel Capitello della Madonna posto proprio sul punto estremo e più periferico della Contrada di San Severo. Nel 1717 Prè Angelo Todo risentito per il fatto che secondo lui i parrocchiani di quella Corte sconta frequentavano poco le opportunità della chiesa di San Severo elargendo poca elemosina, andò a riferire alla Badessa delle Monache di San Lorenzo che quella Corte era: “… covo d’impenitenti e irredenti, e ospitava anche Eretici e Mercadanti esteri de bassa reputazion ... che non stima la Beata Vergene.”

Figuriamoci la Badessa ! … Di certo le saltò la cuffia o la veletta elegante sopra alla testa. Inviò immediatamente il Prete in quella Cortiosola incriminata per far allestire un nuovo Capitello titolato alla Madonna … Inutilmente gli abitanti della piccola Corte provarono a replicare che quelle del Prete erano solo fandonie … Chi li avrebbe ascoltati ? … Nessuno … Se non la Sorte, perché lo stesso Prete poco tempo dopo venne colto da totale infermità tanto da diventare del tutto inabile e impotente per qualsiasi cosa al mondo.

“Ben gli stà !” gli dissero di certo inizialmente quelli della Contrada, ma poi si sa: il male non si augura a nessuno, perciò si fece in maniera che il Prete, sebbene immeritevole, venisse sostenuto finchè fosse stato in vita dai contributi della Schola del Redentor del Mondo de San Severo.

Sempre nei Notatori il Gradenigoraccontava nel novembre 1754: “… le Monache del San Lorenzo acconsentendo che alcune delle loro Nobili Educande recitino alla presenza de loro parenti alcuna parte del dramma in musica intitolato il Demetrio, che esse stabilirono cantare nel chiostro. Quelle attrici si videro dunque pomposamente vestite all’eroica, secondo il metodo teatrale e la soddisfazione loro, nonché della Abbadessa Madonna Marina Vendramin e consanguinei, e dame e amiche della medesima … Nell’agosto 1758 per la festa del Santo Patronale partecipò alle funzioni organizzate dalle Monache un coro con 400 persone fra voci e strumenti diretti dal maestro di Hasse il famoso Sassone con musiche di sua composizione … l’orchestra appoggiata dietro il portale d’ingresso di fronte all’altare abbracciava in tutta la larghezza della chiesa … sollevata dal suolo di dodici piedi e distribuita in compartimenti abbelliti con gusto, così come le colonne che sostenevano tutta la macchina con nastri e ghirlande. Numerose file di seggiole erano disposte in mezzo alla chiesa con lo schienale rivolto all’altare e conservarono questa singolare posizione anche durante la Messa che durò 5 mortali ore calde quanto è possibile avere ad agosto a Venezia … Le Monache tutte Nobildonne andavano e venivano dietro due grandi inferriate separate dall’altare, conversando e distribuendo rinfreschi ai Cavalieri e Abati che con un ventaglio in mano stavano disposti in cerchio davanti all’una e all’altra griglia. Il celebrante ed i suoi assistenti quasi sempre seduti ad avendo come colpo d’occhio il dorso di tutta l’assemblea, sudavano e si asciugavano e sembravano attendere il pranzo con la più viva impazienza…”

Verso il 1773 e 1774 quando ancora Bonaventura Furlanetto e Baldassare Galuppi musicavano le cerimonie di vestizione delle Monache Professe di San Lorenzo… iniziò finalmente una storica “crisi vocazionale” oltre che economica del Monastero, e il numero delle Monache scese prima a 30 di media, e poi diminuì fino a 11 con 17 Converse … La stagione delle“vacche grasse” di San Lorenzo stava di certo terminando.

Una ridotta serie muffosa di “Registri di Cassa della Veneranda Schola del Santissimo Sacramento di San Severo”racconta ai pochi curiosi delle offerte e questue raccolte ancora dai fedeli di San Severo “con le casselle” in giro per la Contrada e oltre dal 1748 al 1807, nonché delle “Elemosine di Carità” raccolte accompagnando “col penello li defonti della Contrada de San Severo”… Un’altra piccola serie di Libri slabbrati pieni di carte sciolte racconta fin dal 1764: “… delle Parti prese in Capitolo dagli uomini della stessa Scola del Venerabile”, ed elenca un magro: “Inventario delle cose della Schola del Santissimo Sacramento in San Severo rinovato l'anno 1766”… Non rimane altro.

Gli ultimi registri, ovviamente risalgono e terminano con l’invasione Francese di Venezia all’inizio 1800 quando si sfasciò tutto e tutti: ogni registro, infatti, conserva in calce sull’ultima pagina una nota di consegna:“28 giugno 1808. Visto e consegnato dal Reverendissimo Cancelliere Patriarcale al Parroco di Sant’ Antonino: Prè Fortunato Maria Rosata”.

All’atto dell’arrivo dei Francesi a Venezia, le Monache di San Lorenzo possedevano: 15 stabili in Campo San Lorenzo fra caxe, scolette e magazeni; 18 stabili fra cui un palazzo nell’omonima Fondamenta, e altri 15 stabili e un palazzetto nelle vicinanze dello stesso Monastero. C’erano poi altri 25 edifici delle Monache in Borgoloco San Lorenzo, altri 13 in Fondamentae nel Campo San Severo, e 19 case in Calle e Corte dei Pretisempre a San Severo restaurate nel 1754 per una spesa di 4.000 ducati … In giro per Venezia poi, esistevano 8 case delle Monache di San Lorenzo nella vicina Contrada di Sant’Antonin in Calle dell’Arco; altre in Calle Tasca, Calle del Mondo Novo e in Salizada de San Lio, a Santa Maria Formosa in Calle de le Bande con un bastiòn in Ruga Giuffa. Case ancora a San Zuliàn; 5 stabili in Calle del Piombo a Santa Marina; 11 stabili a Rialto fra cui 5 botteghe in Ruga degli Oresi e degli Spezieri, a San Giovanni Elemosinario, in Calle del Sol(5 botteghe), e in Calle della Simmia dove le Monache possedevano “una volta” sopra all’omonima Osteria, e un’altra quindicina di caxe e caxette in Contrada de Sant’Aponal verso San Polo: in Calle Cavalli, Calle de la Badessa, e Calle del Magazen. Infine le Monache di San Lorenzo possedevano 6 stabili con una bottega in Contrada di San Tomà, e un’altra ventina circa di caxette e un Forno a Santa Margherita e all’Anzolo Raffael.

Da giugno a settembre 1797, gli uomini della Schola del Santissimo di San Severo consegnarono a più riprese nella Zecca di Piazza San Marco le argenterie della Schola che pesarono: once 1746,0,16 la prima volta, e altre: 104,1,5 once la seconda.

Alla Visita Pastorale del Patriarca Flangini nel giugno 1803, San Severo era ancora chiesa Parrocchiale e Jiuspatronato della Badessa delle Monache di San Lorenzo che continuavano a nominare 3 Cappellaniche fungevano a turno da Piovano e da Sacrestano, più un quarto “Cappellano Amovibile”, che il quell’anno era Prè Vincenzo Costantini… Due Cappellani di San Severo possedevano di rendita ciascuno: la casa di residenza affittata, 250 ducati forniti dalle Monache di San Lorenzo con l’unico obbligo di acquistare le cere necessarie per la chiesa, e alcuni “incerti di stòla equamente divisi e distribuiti” ... Il terzo Cappellano di San Severo ossia il Prete Sacrista aveva pure lui una casetta d’affitto angusta e soggetta alle acque alte, e 150 ducati derivati da incerti e dai soliti contributi del Monastero ... In Contrada di San Severo abitavano 1.250 persone fra cui anche alcuni Greci che non intendevano affatto partecipare alla Dottrina Cristiana organizzata per i fanciulli della Contrada … In chiesa di San Severo sopra ai tre altari rimasti 9 Sacerdoti (fra cui i 3 Cappellani) celebravano ogni domenica 7 Messe “ben distribuite e distinte”, diversi Mansionari di Messe quotidiane, alcune Messe Supplementari, 1.750 Messe Perpetue, 20 fra Esequiee Anniversari, e 260 Messe Avventizie… Tutto quel continuo “Messare” era un piccolo quanto solido capitale … Tanto era vero, che da qualche tempo la Badessa di San Lorenzo non voleva più pagare l’elemosina di lire 3,10 per la “Messa Pro Populo” celebrata alternativamente da sempre dai Cappellani col contributo dello stesso Monastero … Di certo, nel 1808, quando la Badessa Teresa Albrizzismise per sempre di governare le Monache di San Lorenzo sfrattate dal loro Monastero e unite in parte a quelle di Santa Maria dell’Umiltà alla Salute sulle Zattere, e in parte con quelle di Sant’Anna di Castello, San Severo venne chiusa e i parrocchiani inglobati nella neo istituita Parrocchia dei Santi Zaccaria e Atanasio… Nell’ex Monastero di San Lorenzo, invece, si arrivò ad ammassare in maniera coatta più di 3.500 persone mendicanti e senza tetto tratte da ogni strada di Venezia.

Nel dicembre 1812 il Prete Bernardo Costantini ultimo Cappellano Curato della soppressa Parrocchia di San Severo divenuto Parroco di San Francesco della Vigna, ottenne in affitto per 190 lire annue la porzione del fabbricato del Convento di San Francesco della Vigna denominato “Terra Santa” ... Il Locale della chiesa di San Severo ed annessi, intanto, finì nella “Lista delle vigne, orti, beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezia” da mettere all’asta nei giorni 12 e 16 febbraio 1815, insieme a una casa al n° 4255 in Calle dei Preti già appartenente al Monastero di San Lorenzo; a un’altra casetta al n° 4170 in Campo San Lorenzo; una caxetta al n° 4172 nello stesso Campo affittata a Martelli Pietro per 75 lire annue; e a dei magazzini ai numeri 4173 e 4174 del Sestiere di Castello… Secondo alcune cronache e testimonianze, la chiesa di San Severo venne demolita come un’altra piccola “chiesupola fantasma”vicina della stessa Contrada dedicata a Santa Maria Assunta e ai Santi Donato Martire e Cornelio (?) … Di certo, per qualche tempo si usò l’aula della ex-chiesa come ricovero per i Lavoranti poveri della vicina Casa d’Industria di San Lorenzo, poi divenne officina di falegname … e nel dicembre 1813 Giacomo Florian e Pietro Rigagliaacquistarono i pavimenti delle chiese di Santa Margherita, Santa Marta e San Severoper pavimentare la chiesa di Montereale … Nel 1829 si provvide a demolire il campanile di San Severo la cui aula venne riadattata e modificata dagli Austriaciper realizzare un Carcere Politico e Criminale destinato ad ospitare i patrioti italiani rimasto attivo ancora per un secolo. Probabilmente nel Carcere di San Severo vennero carcerati nel marzo 1848: Niccolò Tommaseo e Daniele Manin durante la famosa sommossa Veneziana, e di certo venne detenuto nel 1860 anche il pittore Ippolito Caffi.

“Nella perduta e disastrata chiesa di San Lorenzo, nel 1853, sparute Anime recitavano ancora il Rosario quotidiano essendovi ancora attiva un’Indulgenza Quotidiana non plenaria per 1/3 dei peccati per chi visitasse la chiesa pregando recitando Pater e Ave ... ma c’era sempre quasi nessuno … mentre San Severo e la sua Contrada ormai non esistevano più.”

Oggi, i circa mille metri quadri “liberi e malridotti” che rimangono degli ambienti del complesso di San Severo distribuito su due piani e pervenuto al Comune di Venezia negli anni ’50, appartengono alla Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.controllata dal Ministero dell'Economia. Alcuni spazi sono adibiti ad abitazioni private, mentre altri sono occupati da Associazioni Nazionali di Combattenti e Reduci di Guerra.

Probabilmente quel che rimane di San Severo diverrà insieme all'Isola di Sant'Angelo delle Polveri, con l'ex Casotto Capogruppo di San Pietro in Volta a Pellestrina, con l’Ospedale al Mare, gli ex alberghi Excelsior e Des Bains del Lido e altri immobili Veneziani … forse … ma proprio forse … una nuova serie di strutture turistico-ricettive volute legate agli investimenti e agli interessi del Gruppo Rocco Forte Hotels e aEnrico Tantucci.

Se ne dicono tante a Venezia, come sempre … Chi vivrà … vedrà !


 


La “Barbarella” dei Nobili Veneziani

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#UnacuriositàVenezianapervolta 214

La “Barbarella” dei Nobili Veneziani


Beh ... Qualcuno dicendo Barbarella penserà subito a una bella donnina, magari giovane, avvenente e carina … Qualcun altro, invece, forse più spavaldo e spregiudicato penserà forse a qualcos’altro di più procace … Che ne so: a una storia Veneziana stravagante, forse di quelle pungenti … Niente da fare … Già vi deludo.

Si tratta di tutt’altra cosa: niente donnino sexy …

La “Barbarella” fu piuttosto una tradizione antica, una consuetudine secolare, esclusiva dei giovani Nobili Veneziani, anzi: di quelli giovanissimi … proprio alle prime armi … Ed è forse per questo che si tratta di una singolarità curiosa che merita la nostra attenzione …

Quella della “Barbarella”è insomma una “robetta” tipica di Venezia: una delle mille su mille che popolano il microcosmo della vecchia Storia Lagunare.

A farla breve: veniamo al dunque … C’è stato un momento in cui il Governo Veneziano s’inventò e attuò per la Nobiltà un meccanismo di dichiarazione e controllo per inquadrarla meglio, e per darle forse una specie di forma definendola dividendola in una serie di classi.

Come ben sapete, Venezia e i Veneziani erano arguti, sapevano rendersi appetibili, perciò proposero ai Nobili una specie di gioco: una Lotteria … Sì: proprio una Lotteria.

 


Esisteva la regola per i Nobili Veneziani che solo al compimento del venticinquesimo anno d’età il Nobile avrebbe potuto entrare di diritto nell’ambitissimo consorzio del Maggior Consiglio: cioè la massima opportunità di partecipazione del Governo della Serenissima.

Con quella insolita Lotteria chiamata presto “Barbarella”si mise in palio una cosa curiosissima: la possibilità d’entrare nel Maggior Consiglio cinque anni prima … a soli vent’anni. Il fortunatissimo prescelto avrebbe sopravanzato di ben cinque anni tutti i suoi coetanei nell’entrare nel consesso Veneziano di quelli che contavano di più … E cinque anni a quei tempi non erano pochi … Quel fortunato avrebbe preso un abbrivio, una distanza e un addentramento così significativo che chi lo seguiva non sarebbe stato mai capace di colmarne la distanza ... Faceva la differenza entrare prima nel Maggio Consiglio della Serenissima.

Vincere a quella Lotteria, insomma, sarebbe stato proprio un “ben di Dio, un dono del Cielo”, un’occasione davvero importantissima, perché far parte del Maggior Consiglio significava poter entrare in un certo senso nella “camera dei bottini” dell’organismo della Repubblica di San Marco, e non solo … Significava in un’epoca in cui le news correvano piano, essere messi al corrente e aggiornati prontamente su tutto quanto accadeva nel Mondo di allora … Avere il polso della situazione, dei Mercati e delle Fiere, delle guerre, delle alleanze dell’intero Bacino del Mediterraneo, dell’Oriente, e del Centro e Nord Europa, e altro ancora di più.

Il Maggior Consiglio per uno ricco, intraprendente e ambizioso Nobile, come lo erano la gran parte dei Nobili Veneziani, che erano spesso arrivisti formidabili desiderosi di diventare ancor più ricchi, potenti e famosi di quel che già erano ottenendo molto e molto di più, era un formidabile trampolino da cui spiccare il volo su un’infinità di affari, un’occasione imperdibile di metter mano e impegnarsi in situazioni che nessun altro avrebbe potuto conoscere.

Chi faceva parte del Maggior Consiglio si può dire vivesse “una vita superiore” ... Era come se stesse affacciato a uno speciale balcone da cui poteva osservare comodamente il panorama della società e del mondo politico e commerciale di allora, e non solo: da quel punto di privilegiata osservazione e d’imbarco esclusivo aveva la possibilità di partire per mille mete tornando ancor più ricco e Nobile di prima … Così accade per davvero per buona parte dei Nobili Veneziani ... e per secoli.

La Barbarella quindi, era “appetitosa”, e fin da quando venne ideata nel 1400 fu subito una possibilità incredibile per ogni giovane Nobile Veneziano “d’aver Fortuna”… Era una ricorrenza annuale che tutti i giovani Nobili attendevano con ansia.

 


Agli Avogadori da Comun fu dato l’incarico di tenere un apposito Registrodella Serenissima in cui venivano annotati tutti coloro che desideravano far parte della Lotteria della Barbarella avendone le credenziali giuste … Cioè ogni Nobile doveva provare d’essere davvero tale: Nobile di sangue e d’origine da almeno due generazioni.

Come ben sapete, però, non tutto ciò che luccica è oro massiccio … Quella specie di giochino aveva un suo bel perché … Era cioè un modo che utilizzava la Serenissima per stendere una bella lista di chi aveva e non aveva a disposizione, o meglio: di chi poteva e non poteva dare, di quelli cioè di cui la Serenissima poteva abilmente servirsi per i suoi scopi … Non fu un caso, infatti, se buona parte dei Nobili più ricchi e potenti all’inizio si tenne ben lontana da prendere parte a quella Lotteria … Significava esporsi, farsi fare i conti in tasca.

Essere ricco e Nobile era di certo una buona cosa sia a Venezia che ovunque … Esserlo però dentro al complicato ingranaggio della gestione della Repubblica Serenissimalo era un po’ meno, perché più Nobile eri: più eri obbligato a farti carico delle sorti e della gestione della stessa Serenissima.

Venezia, infatti, è stata sostanzialmente per secoli un’oligarchia, una realtà politica, uno Stato guidato non da un Re, ma da un consesso di pochi Casati Nobili “potenti, danarosi e fortunati” che si riassumevano ed esplicavano nella figura pomposa del Doge e della Signoria.

Tutta la Nobiltà a vario titolo doveva contribuire al buon funzionamento di quello Stato che aveva contribuito a renderlo ricco e potente … Era un “Do ut des”, un dare per avere … Tanto che ogni Nobile Veneziano, volente o nolente, doveva oltre a rincorrere i suoi affari, anche concorrere freneticamente all’idea di ricoprire le numerosissime cariche che facevano funzionare il Governo della Serenissima …

Per prendere altri soldi direte ?

Si … Di sicuro: ne guadagnavano, e parecchi anche … perché facevano anche affari in proprio rivestendo le Cariche della Serenissima… Ma più la carica cresceva d’importanza, più dovevano investirci di tasca propria ... Più prevalevi e contavi: più la Serenissima diventava anche “affar tuo”... e non poteva essere se non così.

Un esempio … Gli Ambasciatori della Serenissima erano sempre dei Nobili Manager avvedutissimi, svegli, abili, preparatissimi … Venivano inviati alle Corti più importanti d’Europa e del Mondo: presso il Turco, in Siria, dal Papa, dai vari Re di Spagna, Francia e Inghilterra, dall’Imperatore, dallo Zar e tutti gli altri … Ma si dovevano pagare tutto: viaggio e soggiorno compreso.

In cambio tornavano quasi sempre straricchi, perché durante quei “mandati”in giro per il Mondo, quei Nobili così selezionati tramite i loro figli e agenti mettevano in piedi piccoli imperi commerciali che restituivano loro ben di più di quanto avevano investito per impersonare quel loro Incarico di Stato. Chi diventava Ambasciatore per Veneziaallontanandosi dalla Laguna a volte anche per diversi anni: faceva davvero fortuna.

Tornando alla “Barbarella” … I Nobili che finivano selezionati e scritti in quel Registro in un certo senso venivano “allo scoperto”, e s’impelagavano in quel meccanismo che li avrebbe per tutta la vita indotti a foraggiare senza limiti le sorti della Serenissima: tasse, prestiti, incarichi, balzelli, obblighi, presenze.

Una volta entrati nel Maggior Consiglio non ne uscivi più, era giocoforza dover accedere alle cariche delle Magistrature e di Governo. Si apriva per i giovani Veneziani la carriera di Avogador, Rettore e Podestà, e via via mentre si cresceva di lustro, competenza, età, soldi ed esperienza, si diventava: Giudice, Savio, Procurator… e avanti così fino alla prospettiva di diventare appunto: Ambasciatore, Senatore dei Pregadi, Consigliere … e perché no: anche Doge!

 


Bella la figura del Doge: a pensarci sembrava essere il top di ogni ambizione, una specie di piccolo Imperatore Lagunare… Ma non era affatto così … Il Serenissimo Principe nonostante sembrasse “un uomo d’oro” e un pomposissimo sovrano, era in realtà una specie di spada spuntata e non tagliente, perché era soltanto la punta emergente di un grande iceberg sommerso, cioè della Nobiltà stessa, al cui volere era del tutto dedito e sottomesso … Già la sua elezione non era un caso: la maggior parte delle volte il Doge era un Nobile anziano, talvolta cadente e alla fine dei suoi anni … Certi Dogadi durarono pochi mesi, un anno, forse due … e qualche Doge “col pannolone” non fece neanche a tempo ad imbarcarsi per le imprese che proponeva, che doveva già andare a occupare il sepolcro lasciando il posto al suo ambizioso successore … Venezia era così: famosa è quella notizia di quel grande Capitano da Mar che combatteva sulla sua Galea da Guerra in pantofole perché aveva male ai piedi che erano gonfissimi.

E poi la sapete bene anche voi la Storia … I Nobili Veneziani non ci mettevano molto “a chiudere il saldo” a qualche Dogeche diventava troppo borioso, scomodo o pieno di se … Una bella uccisione, un recondito avvelenamento, una malattia rara che faceva deflettere e diventare cagionevole la salute dell’uomo che fin poco prima stava benissimo … acciacchi dell’età … e il gioco era fatto: un sontuoso funerale … Una pomposa sepoltura nel Phanteon dei Dogi… e avanti il prossimo !

A volte “dopo morte” certi Dogi, come altri detentori di alte cariche della Serenissima, venivano screditati con le loro famiglie, indagati, processati, condannati e poi spogliati di quanto avevano “predato”e messo insieme durante il loro tempo fortunato … Venezia dava … Venezia sapeva togliere … Venezia non aveva pietà per nessuno, se non per se stessa … o forse un po’ per qualcun altro … se le conveniva.

A Venezia si faceva a posta che le cose andassero così: per mantenere gli equilibri interni di potere della Repubblica, la cui Nobiltà era divisa da sempre in clan, fazioni e partiti che determinavano i destini soprattutto economici della Serenissima.

In questo Venezia è sempre stata unica sul palcoscenico degli Stati e Europei e Mediterranei … e per questo anche invidiata, amata, favorita, cercata, temuta e odiata.

Far parte della Barbarella poteva essere, insomma, un gran affare … e lo era davvero … ma era anche l’inizio di una sudditanza obbligata che avrebbe condotto la Famiglia a seguire le sorti delle casse sempre vuote della Serenissima … Venezia spesso s’impegnava in decennali battaglie e guerre per allestire e mantenere le quali non c’erano mai denari a sufficienza … Ed erano soprattutto i Nobili a foraggiare quella bocca mai sazia della Repubblica, anche se la Serenissima non risparmiava mai nessuno “dal dare” andando a chiedere e batter cassa fino all’ultimo dei suoi cittadini … nessuno escluso: Arti, Mestieri, Ecclesiastici, Monache, Schole e Popolo compresi.

E’ molto interessante il Registro 162: quello della Barbarella detto anche Registro della Balla d’Oro(intendendo la pallina fortuna che veniva estratta dal Bòssolo della Lotteria), perché annota e racconta di più di un centinaio di famiglie e Casati Veneziani … Si dice ancora oggi a Venezia indicando chi è fortunato: “El gha ciapà a bàla d’oro”… Il Registro era un “Libro furbo”, perché accanto ai nomi dei “Nuovi Giovani Nobili” che si dichiaravano precisando legami matrimoniali e parentele d.o.c., annotava tutta una serie di antiche famiglie Nobili ormai dismesse, cioè estinte … Le annotava e citava “per far numero e volume”, per dare ispirazione e far raffronti promettenti … Il Registro indicava che veniva segnato lì dentro entrava a far parte di una tradizione secolare, di un filone d’appartenenza privilegiato e “di qualità” della Serenissima.

Per ogni Famiglia Nobile si teneva una pagina, e lì si andava ad elencare di volta in volta chi aveva diritto prima o poi ad entrare a far parte di quel “consesso di quelli che contavano”… Cioè di quei Nobili che erano “il cuore, le midolla, la testa e il cuore della Serenissima Repubblica.”

Sembra che l’idea della Barbarella sia stata già proposta da una Legge Veneziana del 1370, o perfino da un Decreto del lontano 1356 approvato sia dal Maggior Consiglio che dalla Quarantia… Qualcuno afferma che la cerimonia annuale della Balla d’Ororisalga addirittura al 1319.

Di sicuro fu il 1414 l’anno in cui con un apposito Decreto il Maggior Consigliofissò le procedure da seguire nella Barbarella o Balla d'Oro alla quale i giovani Nobili ultradiciottenni solo Veneziani, potevano partecipare vincendo il diritto di entrare in Maggior Consiglio a vent'anni invece che ai venticinque anni “canonici” stabiliti dalla Legge. I giovani Nobili dovevano attestare, documenti-credenziali alla mano, i propri requisiti d’appartenenza alla Classe Dominante della Repubblica. I dati venivano: "ordinate descriptis in uno quaterno ad officium Advogarie"dopo le opportune verifiche (molti non vennero accettati per via della non diretta consequenzialità di sangue, o perché “figli illegittimi o bastardi”).

 


Il primo Registro della Barbarella raccoglie i primi dati dei Nobili retrodatandoli dal 1408 fino al 1435. Nel Libro si possono vedere elencate 236 Nobili Famiglie a ciascuna delle quali era riservata una pagina … Secondo le Cronache Veneziane nella seconda metà del 1200, prima della storica “Serrata”, sedevano già in Maggior Consiglio i rappresentanti di 247 Famiglie Nobili ... Nel Registro 162 della Barbarella si segnarono, dichiararono e aggiunsero circa 142 “nuovi giovani Casati”, ai quali si aggiunsero via via nel tempo altri 21, tra cui: i Fontana, Zancaruol, Balastro, Ruzzini e Lombardo ... Si trattava insomma della lista indiretta dei 163 Casati Nobili Dominantiche in quell’epoca erano attivi nel Maggior Consiglio determinando le sorti della Repubblica ... Gli altri 72 Nobili Casati elencati avevano già fatto ormai il loro tempo, ed erano usciti di scena e dalla vita pubblica di Venezia lasciando solo il ricordo. Quando si provvide alla redazione del Registro della Barbarella, probabilmente le Nobili Casate risalenti al 1100, come gli Acotanto, Aicardo, Amizo, Babilonio, Balestrieri, Barbamazolo, Barison, Bellegno, Betani, Bolpe o Volpe, Bonomo, Briosso, Campolo, Caroso, Diesolo o Da Jesolo o D’Equilo, De Malis, Disenove, Dondolo, Donzorzi, Doro o Dauro, Galina, Goso, Grausoni o Grasoni, Istrigo, Leucari, Liòn, Lugnano, Marangon, Mariòn o Marignòn, Mengolo, Navazoso o Navagaioso, Renoldo.,Romano, Rosso, Pantaleo, Pollini, Rampani e Savoner, Secogolo, Stanièr, Tonòligo o Tanòligo o Tolònigo, Tonisto, Tomado, Totulo, Vendelino, Vidal, Vioni e Ziani non c’erano più ormai da decenni …

Gli ultimi a scomparire erano stati i Nobili Steno, che col Doge Michele Steno morto nel 1413 avevano estinto il loro Casato.

Altri Casati annotati nella Barbarella erano, invece, ancora vivi e vegeti, perfettamente integrati nell’oliato meccanismo della Repubblica di cui erano protagonisti a tutti gli effetti. Si trattava dei “più Nobili fra i Nobili”, cioè dell’elite Veneziana formata dai vari: Arian, Boninsegna, Da Mare, Ghezzo, Lanzuòl, Lion e Surian, e soprattutto dai: "Duodecim nobiliorum proles Venetiarum", ossia le Famiglie Apostoliche Veneziane, tredici in realtà: Badoer, Baseggio o Basilio, Contarini, Corner, Dandolo, Dolfin, Falier, Giustinian, Gradenigo, Michiel, Morosini, Polani e Sanudo ... A questi si aggiungevano altri dodici cognomi illustri:"que in nobilitate secuntur stirpes XII superius memoratas". Si trattava delle così dette “Case Vecchie o dei Longhi”, ossia: i Barozzi, Bellegno, Bembo, Bragadin, Gauli, Memmo, Querini, Salomon, Soranzo, Tiepolo, Zane, Zeno, Ziani e Zorzi.

Il Senato di Venezia nel 1350-1351 era formato dai Nobili: Leonardo, Piero, Andrea e Giovanni Contarini; Marco e Simeone Dandolo; Marino e Piero Dolfin; Nicolò e Piero Falier; Pantalon Ghezzo; Giovanni e Moretto Gradenigo; Piero e Marino Michiel; Fantino, Micheletto, Francesco, Nicoletto e Albano Morosini;  Lorenzo e Marco Polani; Giovanni e Nicolò Querini; Andrea e Nicolò Zeno; Marco, Franceschino e Lorenzo Soranzo; Giovanni Tiepolo; Tomaso Zane e Giovanni, Bertuccio e Pangrazio Zorzi.

E c’erano in sottordine, quasi “in panchina di riserva” Casati che partecipavano solo al margine della gestione dello Stato in attesa d’affermarsi e trovar spazio … Erano nomi che in seguito contarono parecchio: Barbaro, Da Mosto, Fontana, Gritti, Loredan, Nani, Priuli e Viadro.

A questi seguiva quasi in ulteriore subordine un’altra cerchia Nobiliare meno attiva e di certo meno intraprendente che faceva da contorno a quella “creme di Governo ed eccellenza”. Erano i vari: Adoldo, Arimondo, Basadonna, Benedetto, Caotorta, Dente, Guoro,  Lombardo, Moio, Renier, Storlado, Valier, Zaccaria e Zancaruol.

Il Registro della Barbarella insomma determinò una specie di filone storico d’appartenenza, un alveo di “qualità e continuità” a cui i Nuovi Nobili andavano ad aggiungersi e facevano riferimento.

Comparvero così alla ribalta del palcoscenico Veneziano segnati nel Registro della Barbarella nomi nuovi considerati dai “Vecchi” come “meno Nobili”, e definiti in senso dispregiativo: “Nobili di Casa Nuova, Ducali o Curti”. Fra costoro c’erano i discussi e ambigui Dalle Boccoledall’appartenenza nobiliare incerta, che si accontentarono sempre di ricoprire cariche secondarie nel meccanismo della Repubblica estinguendosi però ben presto … Questo tipo di Nobiltà Nuova venne a lungo disprezzata, sminuita e tenuta al margine della gestione dello Stato, anche se fra loro c’erano, ad esempio, i sempre più emergenti Morosini, che già c’erano, ma si stavano “ramificando” evolvendo e allargando sempre di più ... Troppo per qualche Vecchio Casato … Nuovi Casaticome: gli Adoldo, Avenario, Avonal, Barbarigo, Campanile, Esulo, Foscari, Franco, Gomberto, Griego, Gritti, Lambardo, Lanzuol, Malipiero, Marcello, Miolo, Moro, Pantaleo, Papacizza, Rampani, Semitecolo, Trevisan, Tron e Veniervennero per moto tempo detti: "Cives, qui de multis et diversis partibus secederunt et in RivoAlto venerunt ad habitandum" … cioè: erano dei semplici “cittadini importati”, gente poco importante insomma.

Alcuni Casati, come ben sapete, crebbero d’importanza e prosperarono per secoli realizzando la Storia di Venezia fino al 1800 ... altri vennero iscritti “d’ufficio”nella Barbarella anche se non intendevano partecipare alla Lotteria e farsi carico d’essere Nobili con quello che ne conseguiva … Altri si dispersero presto scomparendo nelle nebbie della Storia … Altri infine ebbero successo facendo la Storia.

Sorprende in ogni caso dover costatare che in quell’epoca: Donà, Grimani, Lando, Loredan e Vendramin erano considerati solo come “zènte refàda”, venivano nominati appena ... o anche no: come i Mocenigo.

Ma questa era Venezia nel 1400 e oltre … La Venezia descritta nel Registro della Barbarella.



 

In Merceria di San Salvador

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#unacuriositàvenezianapervolta 215

In Merceria di San Salvador



Se siete buoni Veneziani per davvero … e non solo d’etichetta … Recatevi un giorno un'altra volta nelle Mercerie di San Salvador proprio accanto a quella che è stata la Schola Grande di San Teodoro … a due passi dall’Emporio Realtino … Lo so che conoscete bene il posto, e che sapete molto o tutto sui Canonici Lateranensi che l’hanno abitato e vissuto per secoli … ma provate lo stesso a seguire il mio consiglio.


Tralasciati i superbi Chiostri che sorgono proprio lì accanto, proprietà oggi di Telecom, e lasciate stare anche il magnifico Refettorio che c’è all’interno … Entrate piuttosto dentro al chiesone davvero splendido … Anche lì: lasciate stare per un attimo le altre meraviglie artistiche: la Pala d’Oro di San Salvador ad esempio, e gli antichi affreschi della Sacrestia, e anche gli altri teleri superbi e bellissimi come la “Cena in Emmaus” di Vittore Carpaccio … Portatevi, invece, a metà della chiesa sulla destra rispetto all’Altare Maggiore … praticamente proprio di fronte all’Organo sospeso in altro nel suo “pollaio-cantoria”.

Ebbene: vi troverete di fronte a uno degli ultimi capolavori del Tiziano Vecellio: un’Annunciazione” ... A primo acchito forse non vi dirà più di tanto rapiti come possiamo essere noi Veneziani dal tanto bello sparso ovunque in giro per la nostra città … A volte ne siamo come assuefatti, come imboniti, tanto non saper gustare il bello e l’originalità di ciò che ci capita ancora una volta davanti.


Fermatevi perciò stavolta … Infilate la monetina-obolo per far accendere la luce, e gustatevi lo spettacolo …


Sedetevi di fronte … e fermatevi a pensate però … Immaginate per un attimo: non costa nulla.


Tiziano era quasi cieco, oltre che pieno di anni, quando realizzò quel dipinto … E sapete che ha fatto per realizzarlo ? … Osservate con attenzione le ali dell’Angelo a sinistra del dipinto: buttava a manate i colori sulla tela inseguendo le ombre dei suoi disegni … e poi li sfregava, li stendeva e tirava con le dita e con le mani.


Che genio e artista !


Quell’Annunciazione è l’esito di uno dei suoi tanti “sfregàssi”: così li chiamavano … Osservate anche l’impasto della luce e delle nuvole che riempiono la tela … Non lo immaginate all’opera ??? … Non sentite frusciare le sue mani e le sue dita imbrattate dai colori “fangosi” che era abituato ad usare ? … Li chiamava proprio così: “fangosi”, ed erano come macchie di colore buttate là sulla tela … ma con impareggiabile abilità: vedete l’effetto finale.


Venezia è stata anche questa … Ogni tanto serve fermarsi per rigustare ammirati il tanto che possediamo da sempre ... che abbiamo sotto gli occhi, e forse rischiamo un po’ di dimenticare.


L'Annunciazione è stata commissionata a Tiziano tra il 1559 e 1564 dalla famiglia D'Anna di Pietro Cornovi della Vecchia … Erano Mercanti Veneziani, che risiedevano però anche ad Ancona … Ordinarono a Tiziano l’Annunciazione insieme ad altri due teleri per le Cappelle di Famiglia a Venezia nella chiesa di San Salvador, ma anche ad Ancona …. Il 7 maggio 1559 Antonio della Vecchia scrisse nel suo testamento raccomandando d’essere seppellito nella Cappella di Sant'Agostino in San Salvador di Venezia, nella tomba di famiglia col padre Venturino … Per ottenere questa concessione dai Canonici Regolari di San Salvador donò alla chiesa 300 ducati, e precisò che si doveva costruire un nuovo altare in pietra d’Istria con dorature (attribuito a Jacopo Sansovino), e che si doveva sovrapporvi una pala eseguita dal Tiziano raffigurante appunto “l'Annunciazione”"Dopo che l'altare è stato reso vivo secondo il disegno e ho concordato con la taggiapiera che seglie ha dato soldi a causa del suddetto lavoro, assomiglia a Messer Tiziano per realizzare la pala d'Incarnazione di nostro Signore ..."

Gli altri due pezzi commissionati nella stessa occasione e dalla stessa famiglia furono la stupenda Pala della Trasfigurazione realizzare circa nel 1560 e collocata sull’Altare Maggiore della stessa chiesa di San Salvador … Andatela a vedere: è lì davanti a voi a soli due passi … Altro capolavoro sublime del Tiziano ! …. e  una Crocifissione con la Madonna e i Santi Domenico e Giovanni Evangelista  per l’Altar Maggiore della chiesa di San Domenico di Ancona, oggi in deposito nella Pinacoteca Podesti di Ancona.

Curiosità … Sulla destra del secondo gradino dipinto nel quadro, sotto a un vaso di fiori che sembrano quasi piccoli fuochi d’artificio, c’è un’iscrizione: “Ignis Ardens non comburens” = "Il fuoco che brucia senza bruciare"… Il riferimento è quasi certamente al biblico “Cespuglio di Mosè” sul Sinai … Il quasi impossibile quanto incredibile concepimento della Madonna insomma era paragonabile a quello del cespuglio che secondo il racconto biblico bruciava ma non si consumava mai ... Erano argutissimi e profondi i Veneziani di allora … e Tiziano insieme a loro.


Altra curiosità: c’è dipinta la parola “signum” sul libro che la Madonna tiene in mano nel dipinto … Probabilmente Tiziano s’è ispirato al racconto del Vangelo di San Luca dove si legge: “Questo è il segno per te: troverai un Bambino avvolto in fasce, sdraiato in una mangiatoia.” ... Saper leggere i Segni contenuti ed espressi dalla Storia … Altra abilità interiore non da poco … Altro spunto di riflessione, altra Sapienza da acquisire per chi si fermava ad ammirare il quadro del Tiziano.


Terza e ultima curiosità: il dipinto è firmato "Titianus Fecit Fecit" ... con “fecit” scritto due volte, quasi ad esprimere l’orgoglio del Tiziano d’essere l’autore di quell’opera, e la consapevolezza d’aver realizzato qualcosa di veramente bello e di valore, meritevole d’elogio e ammirazione ... Dall’analisi radiografica si evince però che Tiziano voleva scrivere probabilmente solo un’unica parola: “faciebat” … Quindi salta quell’interpretazione forse un po’ gratuita … ma poco importa.


Alcune Cronache e Scritti Veneziani raccontano … dicono più che altro … che Tiziano nell’occasione di quel quadro non abbia pensato più di tanto al mito della città di Venezia fondata il giorno dell'Annunziata, l’Annunciazione … celebrata il Giorno della Sènsa ... Si dice che Tiziano abbia dipinto insolitamente quell'Annunciazione pensandola piuttosto come se fosse accaduta all'interno della stessa chiesa di San Salvador che aveva il pavimento piastrellato di rosso e bianco, e la fila delle colonne … Insomma: il mistero accadeva dentro alla vita e ai posti soliti dei Veneziani, e non chissà in quale Cielo Mistico impossibile e lontano.

Guardate poi la Madonna del dipinto … Più Incarnazione di così ? ... Tiziano, anche se ha fatto predominare la statura “più importante e ultraumana” dell’Angelo, ha raffigurato la Vergine mettendo in gran mostra tutta la sua carne pienotta e prosperosa … Quella Madonna ha poco di spirituale: è una prosperosa Veneziana di allora probabilmente … Osservati i seni come spingono il tessuto … Tiziano ha voluto evidenziare “la carne” della Vergine ponendo così l'accento sul fatto di un Gesù creato è fuoriuscito proprio dalle carni tiepide di una donna: la VergineMadonna ... Non un Dio perso per aria quindi per i fatti suoi … Non un dio solo Mistero asettico e inarrivabile, ma un Dio impiantato in quello che siamo noi Umani … Carne Vivissima.

Bravo Tiziano !

Si dice di lui che negli ultimi anni della sua vita fosse del tutto preso, quasi ossessionato culturalmente e emotivamente dal mistero della sofferenza e della “Tragedia umana del Vivere” … Non era un grande ottimista quindi ... Andate a vedere il “martirio della carne” e l’esplosione della luce rappresentata nel “Martirio di San Lorenzo” nella chiesa dei Gesuiti a Venezia vicino alle Fondamente Nove di Cannaregio … Con quelle interpretazioni pittoriche d’impasti di luce mescolati fra Eterno e Temporale Umano sembra che Tiziano ci abbia detto tramite il dipinto che uno spiraglio di Salvezza poteva pur esserci: il Divino con la sua luminosità poteva in qualche modo irrompere, salvare e nobilitare l’Umanità in se perduta, buia, di carne fragile e povera di senso …

Tiziano era vivo e pensava insomma … come noi di oggi.

NOTERELLA SIMPLEX: DUE SPICCIOLE CURIOSITA’ DI CRONACA VENEZIANA DELLA SECONDA META’ DEL 1600.

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#unacuriositàvenezianapervolta 216

NOTERELLA SIMPLEX: DUE SPICCIOLE CURIOSITA’ DI CRONACA VENEZIANA DELLA SECONDA META’ DEL 1600.

 

La prima curiosità …

Scriveva Francesco Sansovino nella sua “Venetia: Città Nobilissima et singolare …”:“Alli 9 agosto 1659, giorno di Sabbato e vigilia di San Lorenzo, intorno alle 16 hore si levò un turbine cosi impetuoso dalla parte di Ponente che gittò a terra molti cammini di case e Palazzi principali, distrusse qualche parte medesimamente di altre Cale, e Palazzi, spalancò le finestre di quali, levando e sedie e tavolini con altre simil cose da quelli portandole per aria, come fece di altri utensili in altre case minori. Forò diverse muraglie, portò via alcune terrazze di legname poste sopra i tetti chiamate: Altane ... Ruppe e scavezzò molte Gondole, che si ritrovavano in Canal grande. Trasportò di sbalzo persone da un luogo all'altro ... Levò il scudo con l'insegne del Pontefice dalla porta del Nuntio, e lo portò per aria fino all'Arsenale facendo l'istesso d'una gran finestra di vetri in forma di mezaluna levata dalla Cappella Maggiore della Chiesa della Celestia ... Disperse alcune bugate ch'erano distese (panni stesi ad asciugare) ... Con altri danni notabili, e maravigliosi. Fece Iddio, per sua bontà, che durasse per poco spaccio di hora, che se havesse continuato haverebbe disfatto gl'edifici intieri ...”

La seconda curiosità … Scriveva ancora lo stesso Sansovino nelle sue stesse memorie, stavolta circa l’anno 1663: “Viveva fra Turchi nella Dalmatia il Conte Voino Rinegato principale instigatore e seduttore de mali in quella Provincia. Il Proveditor Generale Bernardo procurò d’estirpare così infetta radice, e n'ottenne l'intento. Procurò adenque ch'un abitante delle Montagne Clementine fingesse certa Contesa con un Turco: onde riccorso l'abitante a Voino, lo pregò ad esser mediatore in questa differenza e di procurargli la pace accompagnando le preghiere con dorate promesse di maggior cose. Il fellone allettato da doni e dalle speranze si lasciò condurre nel luogo destinato alla mediatione, dove giunto, fu di subito atterrato da un colpo di mazza ferrata sulla testa, e gl'altri mandati colà a questo fine lo finirono con le moschettate. Troncatogli poi il capo, lo portorno davanti le Porte di Zara per consolare quella Città con la certezza della morte di cosi fieroe detestabile nemico; il quale sorti un fine condegno della sua perfidia e de suoi tradimenti contro la Religione e contro il suo Prencipe.”

L’episodio storico era già stato segnalato in precedenza da Girolamo Brusoni che riguardo l’“Historia dell'ultima guerra tra Veneziani e Turchi” relativa agli anni:1644-1671 precisò: “…E’ mancato a medesimi Turchi nella Dalmazia uno de’ principali stromenti delle loro machinazioni nella Provincia: il Rinegato Conte Voino, che per opera del medesimo General Bernardo ha sortito un fine condegno della sua viltà e de suoi tradimenti contra la Religione e’l Prencipe ...”

Sempre per la Cronaca Veneziana di quei tempi: nel 1659 il Nobile Antonio del Casato dei Bernardodi Sant’Agostin dopo quei fatti se ne andò in meritata pensione: “Col terminar la Campagna di quest'anno terminò anco gloriosamente la sua Carica il Proveditor Generale, e Procurator di San Marco Antonio Bernardo.”

Sapete perché vale la pena ricordare l’episodio di quel notabile Nobile Antonio Bernardo ?

Perché i Nobili Bernardo s’erano fatti in tutta Venezia durante il 1500 una cattivissima fama di spilorci, tirchi e avari incalliti per via di uno di loro: Pietro Bernardo.

Notava come sempre l’arguto Diarista Marin Sanudo nel 1512: “Piero Bernardo …vien di rado in Maggior Consiglio ... e vien per denari in Pregadi”… Aveva comprato la sua carica, e faceva ridere con suo atteggiamento l’intero Maggior Consiglio… Era incoerente nei suoi discorsi sulla guerra in corso ... Aveva promesso di pagare per inviare 20 Fanti a Liesna, ma poi non aveva tirato fuori i soldi: “… efo gran ridere al Consejo”,

A metà novembre di due anni dopo: la replica raccontata ancora dallo stesso Sanudo: “… a Gran Consejo achadete una cosa ridiculosa: che Sier Piero Bernardo fo di Sjer Hironimo, che va in Pregadi per danari et è richo, parla in renga ma di lui molti si traze sentando, li fò tajà un pezo di la vesta, ita che se n’accorse e fulminando andò zozo dicendo voler andar a l’Avogaria etc … et esser brute cosse far questo …”

Piero Bernardo insomma, veniva preso in giro e vilipeso dagli altri Nobili per via del suo atteggiamento.

Solo nel dicembre di altri due anni dopo ancora, lo stesso Piero Bernardo provò a riabilitarsi agli occhi di tutti prestando 200 ducati alla Repubblica … Tutti ne furono favorevolmente meravigliati, e lo stesso Gran Consiglio sempre tenero e bendisposto con i Nobili non mancò di elogiarlo: “... ateso a quanto l’ha promesso, cerca el mandar de homeni a Padoa et Treviso, et più presto ha oferto di più che manco, et però merita esser laudato da vostre Signorie…”.

Piero Bernardo però rispose subito dopo con un’altra gaffe: chiese in cambio del prestito fatto alla Serenissima una sovvenzione di 25 ducati per rifarsi del fallimento di un suo debitore ... E di nuovo: “sopra questo tuto el Consejo rise”.

A poco valse che un altro paio di Nobili dello stesso Casato: Matteo e Alvise Bernardo: e Alvise Bernardo mostrassero all’intera Città Lagunare il prestigio e il valore soprattutto economico del clan familiare. Matteo era “Grande Mercante ad Alessandria come Antonio Priuli”, mentre Alvise era diventato Procuratore di San Marco sborsando un’imponente cifra di denaro nelle casse dello Stato come avevano fatto anche Marco Grimani e Francesco Corner. I Bernardo inoltre avevano fondato uno dei dieci “Banchi di scritta” più solidi dell’epoca. Quando nel 1524: la Banca Bernardo fu costretta a chiudere per la crisi economica come tutte le altre Banche di Venezia, i Bernardo furono gli unici a liquidare tutti con pagamenti completi ... I Nobili Bernardo insomma: ci sapevano fare … Trattavano perfino direttamente col Papa che impegnava con loro i suoi gioielli in cambio di liquidità e prestiti. I banchieri Antonio Priuli e Matteo Bernardo figuravano fra i 4 maggiori mercanti di Alessandria... Nel 1533 i Bernardo vennero perfino accusati di voler monopolizzare l’esportazione a Venezia della lana inglese.

Piero Bernardo divenne, invece: la macchietta cittadina che faceva sorridere tutta Venezia.

Siccome ancora a fine 1521 Piero continuava con quel suo modo, la Signoria si stancò del suo atteggiamento: “fu fatta una terminazione e notada in notatorio” per impedirgli di molestare Doge e Signoria a proposito dei suoi affari privati.

Due anni dopo ancora, nel gennaio 1523, i Nobili risero divertiti ancora una volta di Piero Bernardo coprendolo di ridicolo: non volevano neanche sedersi accanto a lui. Quando andò a sedersi in Gran Consiglio in mezzo agli Auditori Vecchi col pretesto di sentire meglio “la renga” (la relazione):“Sjer Nicolò Dolfin Auditor Vechio con gran sua vergogna et riso del Consejo lo fece levar de lì e partirsene, e andar a sentar atrove.”

Solo nel 1526 la Serenissima gli propose di diventare Procuratore di San Marco a pagamento come era capitato ad Alvise Pasqualigo e ad altri cinque Nobili illustri. Pietro Bernardo rifiutò scocciato, schifato che gli fosse chiesto ancora di pagare per onorare la Repubblica dei Veneziani … Da quel momento si disinteressò della Politica e della sua apparizione pubblica … Anche quando gli altri Nobili Bernardo riavviarono la Banca di Famiglia nel 1529, Piero rifiutò di partecipare all’impresa e di contribuire: “aveva Sagramento de non prestar mai più danaro a la Signoria.”… I Veneziani non apprezzarono molto quel suo gesto.

I Nobili Bernardo in realtà ebbero nuovamente fortuna economica: furono nominati perfino Conti dal Re di Polonia pur senza giurisdizione su alcun territorio, e poi furono confermati tali nel 1695 anche dal Senato Veneto… Sulla scia di quel successo economico di Famiglia, nel 1677 il Nobile Antonio Bernardo andò a comprarsi anche 8 campi dalle Monache Benedettine del Monastero di Sant’Eufemia di Mazzorbo posti a Marcon fuori Mestre.

Era anche ambiziosissimo Piero Bernardo… soffriva di certo di “smania o mania di gloria”,ed era ossessionato come molti della sua epoca dal proprio post-mortem e dalla propria memoria. A fine febbraio 1524 ottenne dai Frati Minori della Cà Granda dei Frari il permesso di farsi erigere un monumento nella controfacciata della chiesa: “luogo sul muro fra la porta e l’altare di Sant’Antonio”che aveva già acquistato nel 1517 ... Poi subito dopo fece un’altra “Bernardàta”, cioè: vendette in permuta quel suo spazio in chiesa al Nobile Alvise Pasqualigo perché se ne facesse a sua volta un proprio monumento.

Era sempre uguale Piero Bernardo: ormai non cambiava mai … Al suo funerale parteciparono più di 200 Chierici e Zaghi: “ciascuno col suo tòrzo acceso in mano”, un gran numero di Marinai, e di Confratelli della Schola Granda di San Giovanni Evangelistacon 466 candelotti accesi, di cui era iscritto-confratello … Il Diarista Sanudo, che forse era anche un po’ invidioso oltre che oppositore e non simpatizzante del Bernardo che considerava personaggio ridicolo e bizzarro, ricordò che il suo corpo rimase a lungo abbandonato su una barca in strada in attesa di sepoltura: “… in secho in la piàta fin hore di note, e da tutti abbandonato o quasi”.

Piero non fu di certo un grande Patrizio Veneziano e Veneto… ma riuscì di certo nel suo intento d’essere ricordato.

Nel suo curioso testamento del 1515 redatto e corretto più volte diede disposizioni precise: La sua Commisaria incaricata d’applicare le due disposizioni testamentarie doveva essere gestita e governata in maniera esemplare funzionando al massimo, e concretizzando quanto lui proponeva. Doveva riunirsi almeno 3 volte l’anno preoccupandosi di sostituire eventuali assenti ... Piero Bernardo istituì addirittura una Commissaria Supplementare di 12 parenti per poter vigilare e giudicare i Commissari sulle loro azioni e su quelle degli eredi.

Voleva che il suo corpo: “… in qual sempre gli aveva servito ben in tutti i suoi bisogni e in tutti i suoi desideri e in tutta la sua volontà…”fosse conservato in eterno … Doveva essere lavato e unto con oli preziosi, imbalsamato con: “… aloe bonissimo e finissimo da 42 ducati in suso et in altre cosse bone e fine tutte aptissime a conservare dito suo corpo… si che mai per alcun tempo el si vegia a corrompere…”alla presenza di due chirurghi e di un medico da pagare 9 ducati.

Il corpo in seguito doveva essere rinchiuso in 3 casse: la prima di piombo riempita di Aloe finissimo e cose conservatrici e saldata in modo da non poter venire mai aperta ... La seconda cassa doveva essere “d’arzipresso o cipresso di grossezza straordinaria … e bien impegolada acciò mai il suo corpo si possa guastare”… La terza cassa doveva essere di marmo: del valore di 600 ducati aumentati a 650.

Sull’arca doveva essere scolpito un bassorilievo rappresentante il Padre Eternoe lui inginocchiato davanti: “in forma da apparire più grande di quel che era stato in vita” … Vi dovevano essere poi 8 esametri in suo onore scolpiti leggibili da distanza (dal 1523 al 1529 Gianmaria Mosca eseguì le statue per il cenotafio dei Bernardo sulla controfacciata dei Frari).

Ancora con lo stesso testamento del 1517 Piero istituì un’ulteriore apposita Commissariacomposta da tre studenti Frati della Cà Granda dei Frari estratti a sorte secondo una meticolosa procedura. Costoro dovevano godere di una rendita annuale anche in opposizione degli eredi, e dovevano scrivere un libro:“una composition di versi” che con 800 versi esaltasse le glorie della Nobile Famiglia Bernardo. Si dovevano comporre sette Salmi sul modello di quelli Biblici di Davide, che 20 Frati avrebbero dovuto cantare ogni prima domenica del mese all’alba davanti al sepolcro implorando: “Perdono per l’Anima di lui e per i membri ascendenti e discendenti della sua famiglia, oltre che per tuti li zentilomeni e zitadini e populo Venetian … e la Cristianità tutta … Si che la casa de Otomani over Turchi non perseverano più in ruinar, danisar questa misera e povera Cristianità meza meza consumà e distruta per la longa e crudel vera…”

E non finiva lì … Quelle composizioni-orazioni: almeno una “in versi eroici”, dovevano essere ogni anno analizzate e valutate da un’apposita commissione-giuria composta da Maestri Teologi e Predicatori della Cà Granda dei Frari con la facoltà di attribuire 3 ducati al primo meritevole, due al secondo e un ducato al terzo. I versi dovevano essere: “di bona bella e facille latinità da intender la latinità tenendo sempre la prexa il più potrà l’ordine di sette salmi imitandoli il più sarà possibile.”

Voleva inoltre affidare a un qualche “homo famoxissimo … una belissima opera in verso eroico” in sette libri sempre in “reverenzia deli sette Salmi”di mille versi ciascuno, sempre “in gloria et onor dela Divina Magiestà che abi misericordia di l’Anema mia mentoando el mio nome et Caxa.”L’autore del poema doveva essere retribuito con un primo versamento di 21 ducati e un saldo che poteva arrivare fino a 50 ducati ... Infine tutte quelle memorie dovevano essere trascritte in un libro di pergamena con rilegatura di “anzipresso coperta di rame over laòn (ottone) così da perpetuarle il più possibile.

Piero Bernardo morì nel 1538.

Tutte quelle disposizioni probabilmente non furono mai eseguite eccetto la tomba Lombardesca realizzata quand’era ancora in vita insieme alle iscrizioni fiancheggiate da due bassorilievi con Adamo ed Eva e la Medusa. La statua principale del monumento raffigurò il “Redentore” invece che “Dio Padre”come s’era previsto ... ma si era in tempi di Peste, e “il Redentore”andava di moda.

LA SAGA-EPOPEA DEI NOBILI PESARO … PISAURA GENS VENETICA.

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#unacuriositàvenezianapervolta 217

LA SAGA-EPOPEA DEI NOBILI PESARO … PISAURA GENS VENETICA.

(parte prima)

Sapete tutti meglio di me com’è stata Venezia un tempo … Saperne qualcosa in più è come salire in un’ampia e ombrosa soffitta stracolma di un’infinità di vecchi bauli stracolmi … Ne apri un altro a caso, ci frughi dentro, ed ecco che stavolta trovi: la quasi saga ed epopea dei “Nobili Pesaro: Pisaura Gens Venetica”.

Vi butto là qualche nota a caso per provare a catturare la vostra attenzione ?

Ecco qua.

1515: i Dazieri del Sale di Padova denunciarono alla Signoria della Serenissima l’uccisione rimasta impunita del loro Massaro-Capo avvenuta per mano di contrabbandieri … Tutti sapevano che Sale e Frumento di provenienza illecita fluivano tranquillamente e in maniera incontrollata comprando e vendendo, gravando sui prezzi e sulla Popolazione più povera, e soprattutto ingrassando di guadagni i Nobili Veneziani di Cà Tron, Cà Pasqualigo, Cà Venier e Cà Pesaro, ed altri che era meglio non nominare: “ ... tutti costoro sono setta che protegge i contrabbandieri fasèndo la politica a Venezia … dove se sa, che par si habbia più timor e fàsa più efecto una balòta de peza (un voto in Maggior Consiglio) ch’el colpo d’una colubrina.”

Già qui s’intuisce da quale parte “zoppicavano” i Nobili Pesaro.

Il 03 aprile 1564 Ser Leonardo da Cà Pesaro era Podestà e Capitano di Crema quando si sapeva che ai contadini si destinava il grano inferiore: come spelta, veccia, orzo, scandella “et minuti d’ogni sorta” non considerati nel computo della produzione granaria come il frumento, la segale e il miglio “che andavano a compiacer li Gentilhuomeni e alli più ricchi con malcontento e gran torto de Popolani che se ne dolsero con la Signoria ...”

Non era comunque una novità quella del Contrabbando, nè quelle “denunsie indiscrete” furono di certo le ultime circa l’argomento. Più o meno cento anni dopo, nel luglio 1610: non era cambiato nulla … Ai Capi dei Dieci della Serenissima giunse un’altra denuncia anonima da Castelbaldo, che chiedeva d’intervenire contro Pompeo Grumi e i suoi fratelli che terrorizzavano la zona.Costoro, sebbene i delitti fossero di pubblico dominio, rimanevano sempre impuniti:“… o rimanevano assolti per brogi de Senatori et de donativi.”, e nonostante i processi fossero celebrati con Rito Segreto dal Consiglio dei Dieci, costoro venivano sempre a sapere circa i nomi dei testi, e già ne avevano assassinati due … che i malfattori trovassero protezione presso le Nobili Famiglie Patrizie Venete non era di certo una novità.

La Nobiltà Veneziana era anche questo … e i Pesaro ne erano parte a pieno titolo.

Continuo ?

In precedenza, nei Registri delle Raspe dell'Avogaria da Comun in data 13 febbraio 1344 si può leggere che due uomini: Maffeo Zane e Moretto Pesaro, vennero condannati per aver violentato due figlie di Marino da Canal: una era moglie del Marinaio Marino Montini, mentre l'altra era la moglie del Calafato Dardi Nadal.

E non è ancora tutto …

Nel 1430: Secundo Pesaro fu protagonista di un grande scandalo per estorsione e corruzione a Cretache coinvolse tre Consiglieri di Candia. Secundo Pesaropercepì indebitamente 796 ducati, Domenico Bembo ne percepì 800, e Lorenzo Davanzago ne percepì 1.500. I due Governatori di Rettimo: Pietro Muazzo e Pietro Dalmario percepirono a loro volta altri 650 ducati: vennero entrambi processati e condannati. Nello stesso maneggio era implicata anche la moglie del Pesaro, che tuttavia non venne processata. La colpa principale e di tutto venne attribuita a un Ebreo: Ottaviano Bonaiutaconsiderato l’organizzatore di tutti gli intrallazzi e truffe, e di aver sollecitato con tangenti, doni e ospitalità i rappresentanti del Governo Veneziano.

Tra le altre accuse ci fu anche quella di aver stornato ingenti somme dovute alla tesoreria e all’erario della Serenissima ... Si poteva toccare e dire tutto di Venezia, ma quando l’andavi a stuzzicare sui soldi e le economie non solo si rabbuiava, ma s’inviperiva non poco fino a diventare cattiva e vendicativa … Tutti vennero condannati a due anni di prigione, all’esclusione permanente dalle Cariche Pubbliche, e a versare le somme dovute più un’ulteriore somma uguale come ammenda ... Il solo Dalmario se la cavò con soli 4 mesi di prigione e una multa di 200 ducati.

I Nobili Pesaro poi erano recidivi … Nel settembre di due anni prima, il Nobile Tommaso Dandolo era stato giudicato e condannato a due anni di Carcere Inferiore per aver conosciuto “carnaliter”la Monaca Clara Rubeo ... Con lui c’era anche il Nobile Fantino de Cà Pesaro che era stato condannato alla stessa pena per aver avuto rapporti sessuali proibiti con un’altra Monaca: Suor Filipa Barbarigo ... La punizione gli era servita a poco, perché alla fine di ottobre 1431 venne nuovamente condannato a un altro anno di Carcere Inferiore perché “pizzicato a commettere inonestà nella Cappella di Sant’Isidoro nella Basilica Marciana con una donna di nome Marta.”

 

Erano tosti insomma, quei Pesaro

Verrebbe da pensare: Nobiltà … Splendore, buon garbo, munificenza, beneficenza, mecenatismo, correttezza … Macchè ! … Non tutto ciò che luccica è “oro puro”, e i Nobili Pesaro non furono di certo sempre e per forza oro purissimo.

 

Ve ne dico un’altra per oggi e finire questa prima parte ?

Eccola qua:

A un certo punto, i Nobili Pesaro furono parecchio odiati a Venezia: per l’arroganza e le colpe di famiglia”… Nel 1644 morì a Venezia un certo Lorenzo Pesaro Nobilissimo… Finalmente disse qualcuno !

Era stato un uomo buio, scapestrato, una figura ricca e potente, ma controversa: “un testa calda, violento e disposto a tutto", che terrorizzò Veneziae il Miranesedove possedeva una villa compiendo innumerevoli misfatti, odiose incursioni e bravate di ogni genere insieme a una banda di bravacci e smidollati giovinastri Patrizi che erano come lui e peggio di lui. A Venezia possedeva un palazzo in Contrada di Santa Maria Mater Domini dove ne combinava di tutti i colori … Finì perfino con l’uccidere in città Polo Lion derubandolo durante un banchetto di nozze che trasformò in un incubo per tutti i presenti.

Alla fine intervenne il Consiglio dei Dieci della Serenissima… Va bene tutelare i Nobili: la classe dominante di Venezia, ma ogni degenerazione aveva un limite … Ser Lorenzo Pesaro venne catturato, processato e condannato al Bando Perpetuoda Venezia e dal Dominio Veneto privandolo della Nobiltà e di ogni suo bene ... Fu posta inoltre una taglia pesantissima sulla sua testa e l’immediata condanna a morte se si fosse azzardato a ripresentarsi in Laguna ... Dopo quindici anni però venne graziato: i Nobili erano Nobili …  e gli fu permesso di rientrare nella Patria Lagunare… A un prezzo però: doveva provvedere “a rigàr dritto”, e mantenere e armare per tutta la vita un centinaio di soldati della Serenissima… altrimenti …

Inutile dirvi come tale condizione lo tenne “buono buono” per tutto il resto dei suoi “dannati giorni”… Non si seppe più nulla di lui: se non che morì. 

Che ve ne pare ? … E questo non è affatto tutto sui Nobili Pesaro: sapeste quanto ce n’è da dire ancora …

Beh … Seguitemi leggendo la “seconda parte” su di loro nella prossima “Una Curiosità Veneziana per volta.”– n°218 che vi offrirò ben presto.

 

La saga-epopea dei Nobili Pesaro ... Pisaura Gens Venetica

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#unacuriositàvenezianapervolta 218

La saga-epopea dei Nobili Pesaro ... Pisaura Gens Venetica

(seconda parte)

Rieccomi con quella che ho chiamato la “Saga-epopea dei Nobili Pesaro.”  In realtà: non è che quella dei Pesarosia stata una vicenda eccezionale … Quanto è capitato a loro è per molti versi assimilabile a ciò che è accaduto a molte delle Nobili Famiglie Veneziane, ma come vi dicevo: è piacevolissimo (secondo me) addentrarsi e perdersi un po’ a curiosare nella “soffitta delle tante singolarità di Venezia” Perciò rieccoci qua: a dire dei Nobili Pesaro.

La volta scorsa ho iniziato dandovi di loro un’immagine piuttosto negativa di uomini esuberanti e sbruffoni, mezzi delinquenti … Possiamo dire che certi nomi del Casato dei Pesaro hanno fatto di certo traballare il “buon nome”della Famiglia tanto da far scendere vertiginosamente fra i Veneziani e gli altri Nobili la popolarità e la stima che nutrivano verso di loro…Vi garantisco però che ce ne sono stati altri che sono stati in tutto e per tutto diversi … Facciamola breve: eccoli qua.

Prendiamo Jacopo Pesaro, ad esempio ... Uomo capacissimo di grande mecenatismo: commissionò non a uno qualunque, ma a Tiziano Vecellio la famosa “Pala Pesaro” realizzata fra 1519 e 1526 per “l'altare di famiglia” collocato nella Basilica dei Frari Minori della Chaxa Granda dei Frari… Dovete sapere che i Pesaroconsideravano quella dei Frari “la loro chiesa”: se guardate la mappa dei canali Veneziani, i Pesaro saltavano un attimo in barca, percorrevano il canale adiacente al loro Palazzo, ed erano già pronti a sbarcare là … Era un attimo raggiungerla, e lì con i Frati erano più che di casa.

Nel bellissimo telero di Tiziano di cui vi dicevo, si può vedere ancora oggi sulla sinistra un Turcotrascinato in catene davanti alla Madonna e alla Famiglia Pesaroriunita in preghiera ... Questo apparentemente semplice dettaglio racconta quali erano gli “interessi” dei Pesaro, cioè i motivi della Gloria e del Merito del Clan Familiare… Sempre lo stesso Jacopo Pesaros’era fatto già dipingere “bellissimo” qualche anno prima, fra 1502 e 1512, in un altro quadro realizzato ancora dallo stesso abilissimo Tiziano. Messer Jacopo, che in realtà era molto e molto di più che un semplice Sjor Veneziano, s’era fatto ritrarre posto accanto a Papa Alessandrocon in mano lo stendardo di Famiglia Pesaro mentre lo stesso Papa lo presentava addirittura a San Pietro in persona … Pensate: un Pesaro affacciato sul Paradiso… Che si poteva pretendere di più ?

Jacopo Pesarofu di certo un uomo di rango: Vescovo di Pafo, Ecclesiastico e Legato Papale … Penserete di certo come me: un uomo raffinato di cultura, industriosissimo nelle buone maniere … Lo si vede, infatti, nel dipinto: mite e supplice, quasi umilissimo e severo, con le mani delicate … Verrebbe da pensare: “Quello era un uomo di Dio … Un uomo “buonino” di Devozione e Preghiera: tutto Chiesa e Sacrestia, impegnato in Processioni, Benedizioni, Rosari e Breviari in Coro con fra le mani Sante Reliquie e preziosissime miniature di Santi e Madonne …Un Uomo di Dio insomma !”

Già … Era vero tutto il contrario … Jacopo Pesaro fu il Comandante in Capo, cioè il Generalissimo della Flotta Navale da Guerra del Papa al tempo in cui Venezia prese Santa Maura ai Turchi ... Era a capo di ben venti Galee da Guerra Pontificie, e pagò di tasca sua ben 1.000 ducati (l’equivalente di una dote matrimoniale o monacale) per finanziare ulteriormente la Guerra col Turco … Quello non fu comunque un gesto così insolito, come Jacopo avevano fatto altri Vescovi(Cividale, Torcello, Vicenza, Cipro), Abati, Patriarchi di Nobili FamiglieVeneziane (Grimani, Barbaro, Civràn) e intere Comunità Civili e Religiose(Bergamo, Padova, ecc) Jacopo Pesaro però non si limitò a contribuire come avevano fatto gli altri, ma fece bene di più ... Fu un temibilissimo quanto spietato bombardone guerrafondaio come lo era lo stesso Papa. Fu gente come loro che mise di continuo a ferro e fuoco l’intero Mediterraneo“in nome di Dio e della Cristianità”, spinti non dalla Fede, ma bensì da un incontrollabile quanto insaziabile istinto politico ed economico che li spinse a perseguire i loro interessi, e soprattutto a cercare di primeggiare e prevalere su tutto a tutti … costasse quel che costasse.

In questo truculento quanto perfido “disegno di destino”, gente come Jacopo Pesaro e Papa Alessandro, insieme a molti altri, seppero trascinarsi dietro l’Europaintera determinandone la sorte.

Jacopo Pesaro… Altro che uomo mite e tranquillo di Fede, Speranza e Carità ! … “Uomo di Dio”: si … “Ma di un Dio per conto suo, creato a sua misura e soddisfazione.”

Jacopo Pesarofu quindi un notevole: “Homo de guèra e da mar” più che “de cjesia” ... Morì nel 1547 venendo posto nella “sua”Cappella di Famigliadei Frari dove già nel 1544 era stato deposto un altro Pesaro: Francesco, Arcivescovo di Zara, Patriarca di Costantinopoli, e Vescovo di Brescia nominato dal Senato della Repubblica Veneziana.

Sentire un po’ che si diceva su quel sontuoso sepolcro di Famiglia che potete vedere benissimo ancora oggi: “ … la Cappella dei Frari nata da un accordo perpetuo fra Jacopo Pesaro Vescovo di Paphos Nobile Veneziano con i suoi magnifici signori suoi fratelli, e Fra Germano Da Casale dei Frati Minori dell’Ordine di San Francesco, Guardiano benemerito della Cà Granda dei Frari e Maestro della Provincia di TerraSanta … Ai Pesaro fu concesso l’Altare della Beatissima Maria sotto il titolo della Concezione posto nella chiesa sul lato destro della Cappella di San Pietro e la Porta de la Madonna …”

Sentite che cosa fece scrivere Jacopo Pesaro nel contratto con i Frati per la gestione di quel mausoleo di Famiglia:“… per avere, godere, fabbricare, adornare e porre in ordine come piacerà al Signor Vescovo e ai suoi fratelli … Si possa fare una tomba terrena nel pavimento e un tumulo a muro solo su un lato del detto altare con le sue insegne, epitafi e ornamenti, come è decoroso e come piacerà al detto Vescovo, e saranno a sue spese sia l’altare o cappella, che la tomba e tumulo suddetti … E inoltre che il detto Reverendissimo sia tenuto a dotare e stipendiare una Mansioneria Perpetua (di Messe) da 25 o 30 ducati annui che vengano ogni anno riscossi dal suddetto Guardiano e Convento e dai loro successori … che hanno promesso, e dovranno officiare ogni giorno e in perpetuo una Messa per le Anime del suddetto Vescovo, e fratelli e sorelle e loro parenti defunti. Inoltre che il suddetto Signor Vescovo con i suoi eredi e successori debba ogni anno il giorno della Festa della Concezione concedere e donare al suddetto Guardiano e Convento e ai loro successori due ducati per preparare la pietanza del Convento di anno in anno … Inoltre che i suddetti Signor Guardiano e Convento con i loro successori siano obbligati ogni anno nella Commemorazione Universale dei Defunti ad illuminare la suddetta tomba da costruirsi con due torce o candele di cera come è decoroso tanto alla Messa quanto ai Vespri e al Mattutino, e così in perpetuo di anno in anno … Il nostro corpo veramente … volemo che vestito com li habiti pontificali sia posto a requiescer fino al giorno del Santo Judicio nel monumento che havemo fatto far in alto nella chiesa … ad honor etiam di Casa Nostra, et non già perché desideramo pompa della qual non si curamo …”

Beh … Questo era Jacopo Pesaro… e meno male che non si curava, come ha detto e scritto, di far bella figura … Non voglio immaginare che cosa avrebbero fatto se avessero voluto mettersi in mostra montandosi la testa.

Passiamo ora a un altro Nobile Pesaro: Andrea … Altro uomo ricchissimo e potente, e non solo … Potremmo pensare a lui come a uno dei tanti Nobilissimi Veneziani: uomini importanti, brillanti e di successo … Potremmo immaginarlo ben accomodato nel suo sontuoso Palazzo affacciato sul Canal Grande… Immaginarlo: elegante, fascinoso, profumato, riccamente vestito, circondato da belle persone e intento a godersi la vita e la sua posizione prestigiosa: balli, feste, cene, musica, danze, donne, cose preziose e raffinate, gondole in giro per la Laguna, giochi e cotillon … Quasi un personaggio indolente, adagiato nel lusso e nel successo dentro a una Venezia pigra, solare e quasi malinconica e annoiata … Un uomo che aveva tutto: non gli mancava niente … Già …

Anche per lui: non fu affatto così.

Andrea Pesaro fu piuttosto un vero e proprio Lupo di Mare e di Terra… Pure lui intento a governare scapigliato, rozzo e odoroso. Comandava una delle terribili quanto micidiali Galeazze da Guerra della Serenissima, cioè quelle Corazzate di allora inventate e allestite dai Veneziani e spedite a sorpresa in prima linea contro i Turchi ... Andrea Pesaro ne guidava una di quattro, le altre tre erano comandate da uomini come lui: Ambrogio e Antonio Bragadin(cugini del famoso Marcantonio Bragadin spellato vivo dai Turchi) e dal ProvveditoreFrancesco Duodo … Per chi non ne ha idea, dovete sapere che le Galeazzeerano l’ultimo ritrovato bellico dei Veneziani: un’arma letale, detta: “terrificante” Si trattava di Galee a quattro alberature di vele, dotate della novità del “tiro laterale” di quaranta di cannoni, e di speciali “reti antiabbordaggio”… I Turchi le chiamarono:“bestie mortali ... Castelli di mare da non essere da umana forza vinti”.

Le Galeazze vennero poste sul “CornoDestro” dello schieramento di battaglia, e poi a sorpresa collocate in prima linea giusto al centro al momento in cui iniziò la battaglia vera e propria in faccia al Turco... Per intenderci, oggi ci stupiamo rimanendo indignati e allibiti (giustamente)di fronte agli esiti degli attentati terroristici di varia natura che oggi tempestano ogni tanto il nostro Mondo Europeo e non … Contiamo le vittime: una, dieci … trenta, o quel che è … Già … Sono sempre tante, anche se si trattasse di un’unica persona.


Andrea Pesaro imbarcato al comando di uno di quei terribili mostri cannonieri da guerra puntò insieme agli altri Capitani da Mar: centinaia di cannoni ad “alto zero”, cioè a pelo d’acqua, dando ordine di spazzar via e cancellare ogni avversario che avevano di fronte. Le quattro Galeazze Veneziane schierate cancellarono in un solo giorno dallo scenario della Guerra di Lepanto tutti i navigli Turchi che si trovarono davanti. Furono la sorpresa devastante di quella stagione di Guerra …

Altro che Nobile tranquillo in una Venezia tutta romantica, quasi nostalgica e annoiata … Andrea Pesaro con la sua Cannoniera-Galeazza fu pure lui uno potentissimo e micidiale “sparòne mortale”. 

La Storia racconta che le Galeazze Veneziane fecero fuoco sulla linea Ottomana in maniera distruttiva: con tale rapidità e potenza da affondare in successione uomini e mezzi: una carneficina … Solo alcune navi Turche provarono a scostarsi e ripararsi da quel tiro infernale portandosi sotto costa … A pochi equipaggi di quella parte dell’Armata Turcariuscì di abbandonare le navi fuggendo via terra dove vennero massacrati dagli abitanti dei villaggi Greci che mal sopportavano la dominazione Turca. La battaglia continuò per sei ore fino a metà pomeriggio ... Volete i numeri dei disastri provocati dalle Galeazze compresa quella di Andrea Pesaro ?


Eccoli qua … La Flotta Turca ebbe oltre 30.000 morti e più di 10.000 prigionieri, perse 224 Galee di cui: 94 affondate e 130 catturate ... L’Armata della Sacra Lega comprensiva delle Galee e Galeazze Veneziane subì: 7.656 morti e 7.784 feriti perdendo due sole Galee Veneziane: la “Bua” e la “Soranza”Andrea Pesaro fu coprotagonista assoluto di quello storico evento ... Fu un uomo infernale, coriaceo e di grande temperamento e ardimento: “un Lupo terribile scappato fuori dal più profondo degli Inferni”.


Fu un Pesaro micidiale a caccia di Gloria in azione su di un mare lontanissimo da Venezia: sempre in nome della Causadella Cultura Cristiana Europea, ma: “in primis perSan Marco et la sua Serenissima Repubblica”.

Come ben sapete, la Battaglia di Lepanto avvenne il 07 ottobre 1571.

A fine marzo dello stesso anno un diplomatico Turco aveva portato a Venezia una nuova dichiarazione di guerra, e subito dopo la Flotta Turchesca aveva assaltato Cipro e Famagosta che s’erano arrese dopo ardua difesa: 500 Veneziani a cui era stata promessa “salva la vita” erano stati lo stesso trucidati al momento della resa ... I Veneziani non rimasero a guardare, e insieme agli impauriti Papa Sisto V, il Re di Spagna, e i vari Duchi di Urbino, Toscana, Savoia, Genova e l’Ordine di Malta si raccolsero a Messina come Lega Santa, e salparono per Corfù e il Mare Greco al contrattacco dei Turchi portandosi dietro la sorpresa micidiale delle Galeazze che fecero “strage”.

Provate solo a immaginare per un attimo la Flotta da Guerra Cristiana schierata con 208 Galee, 30 navi di supporto, e le 4 Galeazze ideate dai Veneziani, che in Arsenale ne stavano realizzando altre sei ... La Grande Armataguidata da Giovanni d’Austria figlio naturale dell’Imperatore Carlo V, imbarcava 84.000 uomini di cui: 22.580 erano Soldati, 12.920 Marinai e 43.500 Rematori. Metà dell’Armata forte di 1.815 cannoni era Venezianaguidata da Sebastiano Venier: non un uomo qualsiasi, che solo sei anni dopo divenne Doge.

Dall’altra parte c’erano schierati i Turchi, che stavano già aspettando gli InfedeliCristiani  A loro volta schieravano: 88.000 uomini di cui 34.000 erano Soldati, 13.000 Marinai e 41.000 Rematori imbarcati su 300 navi fra Galee, Galeotte e navi di supporto … La loro capacità di fuoco era di 750 cannoni: meno della metà di quelli della Lega Santa… Il resto lo sapete.

Da rimanere senza parole vero ? … Per questo dico che quella dei Pesaro fu a tratti un’Epopea che non mancò a tratti di tramutarsi in vera e propria Saga.

Eccovi quindi altri due illustri uomini dei Nobili Pesaro tratti fuori dal nutrito e pomposissimo “mazzo di Famiglia”… Per ciò che sono stati e hanno fatto sono stati di sicuro diversi dai primi di cui vi raccontato la volta scorsa.


Prendo un altro Pesaro a caso ?

Ma si dai ! … Tiro fuori allora: Benedetto Pesaro ... Altro gran nome di Famiglia.

Lo chiamavano: Pesaro da Londra… nato a Corfù forse nel 1433 ... Perchè da Londra ? … Semplice: Venezia l’aveva mandato là come suo Ambasciatore, ma soprattutto perché il Pesaro curava là “grandi affari di Famiglia”.

La Storia di Venezia lo ricorda però soprattutto come Ammiragliocioè Capitano Generale da Mar della Flotta Veneziana che andò a conquistare Cefalonia nel 1500 ... Altro Pesarosparone ?

Si e no … In realtà Venezia ormai decadente affidò a lui la sua ultima azione militare prima di capitolare al Turco perdendo Modone e Corone, e Santa Maura. Negli anni in cui gli venne affidata l’Armata Veneziana malandata perché indisciplinata e disordinata, Benedetto Pesaro era ormai un settantenne, anche se le cronache lo ricordavano: “ancora vispissimo e fermo, e col vizio delle donne”… Era l’esperienza la dote che possedeva di più … In precedenza aveva guidato per tutta la vita le Galee della Muda di Fiandra… E fu per quel “suo modo abituale di essere” che accettò di mettere in piedi qualche azione persuasiva in nome della Serenissima promettendo possibilità di saccheggio ai soldati e Marinai, ma anche punizioni capitali esemplari per chi si fosse tirato indietro.

Si era negli anni 1499-1503, cioè quelli della così detta Seconda Guerra Turco-Venezianaper il predominio nel Mediterraneo Orientale. Ovviamente la Seconda Guerraavvenne dopo la Prima del 1463-1479 terminata con una pace in cui Venezia aveva dovuto rinunciare all'Isola di Negroponte, a Lemno, Scutari e molti altri centri della Morearicavandone in cambio solo il “poco valevole”Regno di Cipro.

Negli anni seguenti “di flebilissima tregua e pace” una Serenissimadichiaratasi neutrale perché in evidente difficoltà finanziaria e militare, non era riuscita in nessun modo a contrastare efficacemente le incursioni dei Pirati che continuavano ad infestare il Mediterraneo e la DalmaziaEra perfino rimasta a guardare impotente il massacro di Otranto che accese in tutti il timore di un’invasione Turca dell’Italia e dell’Europa intera.

A Venezia col Doge Agostino Barbarigo non era servito a niente mandare Ambasciatori nel 1481 chiedendo di rinsaldare alleanza e pace nell’occasione in cui Bayezid II era succeduto al padre Maometto II… Due anni dopo, infatti, la Serenissima un po’ più rinsaldata, ma non più di tanto, fu costretta a inviare in fretta e furia la flotta comandata dal Capitano del Golfo Nicolò Pesaro … Altro Pesaro ! .. per sbarrare il passo di Corfù e dell'Adriatico ai Turchi incombenti contando anche sull’aiuto della flotta di Ferdinando I di Napoli.

Fu un nulla di fatto.

Alla fine del 1498 l'Avogadore Antonio Zantani giunto a Istanbul-Costantinopoli trovò quasi duecento navi Turche già pronte a prendere il mare contro Venezia ... Nell’aprile dell’anno seguente allora, Venezia nominò Capitano Generale da Mar Antonio Grimani inviandolo a presidiare ModoneLuigi XII di Francia mandò in aiuto la Flotta di Provenza che navigava verso Rodi.

In luglio la Flotta Turca salpò da Costantinopoli dirigendosi su Napoli di Romania, mentre forze terrestri marciarono su Lepanto.

I Veneziani raggiunta l'Isola di Sapienza con 46 Galee Sottili, 17 Galee Grosse e 15 Navi Tonde affrontarono disordinatamente i Turchi con le artiglierie e mal supportati dai Francesi … Fu la Prima battaglia di Lepanto detta “della Sapienza” nella quale l'Ammiraglio Ottomano Kemal Reis affondò la Galea di Andrea Loredan ... In quell’occasione la città di Lepanto non seppe fare di meglio che consegnarsi ai Turchi … Fu una disfatta ovviamente, e al Senato Veneto non rimase che mandare Melchiorre Trevisan a sostituire Antonio Grimani, che venne non solo rimosso, ma anche arrestato e processato a Zante, e confinato con disonore nelle Isole di Cherso e Ossaroin Dalmazia … Incredibile la Storia Veneziana: vent’anni dopo lo stesso Grimani venne liberato per diventare Doge di Venezia.

Chi potrà mai capire le logiche della Serenissima ?




I Turchi nel frattempo dilagarono nel Friuliquando Andrea Zantani Provveditore degli Stradioti si rifiutò di affrontarli finendo confinato per quattro anni a Padova... Fu anche inutile inviare a Istambul ancora una volta nell’autunno di quell’anno Alvise Manenti  come Ambasciatore cercando tregua e pace: “i Turchi parèan incontenibili e inarginabili”… Venezia fragile chiese allora aiuto all’Europa: nessuna risposta (ieri come oggi)… solo la Spagna inviò una flotta comandata da Don Consalvo di Cordova, che si unì all'Armata Veneziana che partì con 18 Galee, 25 Galere e 10 navi piccole condotta stavolta da Benedetto Pesaro ... Eccolo qua !

I Turchi intanto continuavano a darsi parecchio da fare: avevano bombardato Corfùe sconfitto ancora i Veneziani a Modone nella così detta Seconda Battaglia di Lepanto… Erano cadute in successione anche: Corone, Zonchio e Navarino… Finchè arrivò appunto Benedetto Pesaro con gli Spagnoli“i rinforzi della cavalleria nordista” di allora … che conquistò la città di Cefalonia col Castello di San Giorgio, e provò subito dopo a riprendere Zonchiofallendo però l’impresa per colpa del maldestro e incerto Comandante Carlo Contarini, che Benedetto Pesaro fece decapitare davanti a tutti sul ponte della sua nave … e venne l’inverno in cui tutto finì in standby.

Nella primavera seguente Benedetto Pesaro contrattaccò partendo in anticipo sui Turchi, e raggiungendo i Dardanelli: prese Santa Maura, mentre i Francesifinalmente intervenuti andarono ad assediare Mitilene. Si giunse poi al Trattato di Buda fra Vladislao II Re d'Ungheria e Papa Alessandro VI rafforzando la Cristianità… Solo nel 1503 si giunse alla sudata pace: gli Ottomani si ripresero Modone e Corone, Santa Maura cioè Leucade, e Alessioabbandonando Napoli di Romania, Navarino, Malvasia, Cefalonia e Zantein cambio di un tributo annuale di 500 ducati d’oro … e si ritornò così nuovamente in una situazione di stallo infruttuoso di cui non era affatto entusiasta la Serenissima.


L’azione di Benedetto Pesaro, insomma, non era stata affatto decisiva per Venezia come si sarebbe voluto.


Infatti, pur essendo ormai diventato infermo, Benedetto Pesaro venne accusato “in morte”d’aver falsificato i giornali di bordo, e i libri ufficiali di viaggio ... Il Senato della Serenissima rintracciò e fece mettere in prigione il suo Segretario-Scrivano: Marco Rizzo imputandolo di malversazione nell’impresa. Scrisse il Diarista Priuli circa Benedetto Pesaro: “… gli fu imputato che hera molto luxurioso et venereo et sempre voleva avere qualche femmina cum lui, la qual cosa in ogni etade he vitio vituperoso e reprensibile, maxime in etade senile de anni 72 inercha. Et ultimamente etiam li fo imputado che nelli danari trovati nel Castello di Santa Maura che forono ducati 15.000 … non avea dimostrati ne dispensati tutti, ymmo bona parte de questi denari se ne avea appropriati et tolti per lui ... Et in questo in voce del populo fu molto imputato et per tanta mormorazione fu bona cauxa che il suo segretario Marco Rizzo fusse condotto in ferri a Venezia in prexon et fo etiam bona causa de la morte di questo Capitanio, perché visto esser mandato a Venetia il suo Segratario ale prixon, non poter far che non se resentisse et ne havesse melenchonia et essendo amalato, se ne morire a Venezia l’anno seguente.” 


Mesta fine di Benedetto Pesaro Generalissimo da Mar.


Tuttavia nello stesso 1503, su commissione di Gerolamo Pesaro, venne dedicato allo stesso Benedetto Pesaro un Monumento funebre realizzato da Lorenzo e Giovanni Battista Bregnoe posto sopra alla porta della Sacrestiadella Basilica dei Frari: la solita chiesa di Famiglia. Lì Benedetto aveva chiesto per testamento d’essere sepolto … e qualche onore, a dir il vero, gli venne riconosciutoseppellendolo: “… Et hessendo zonta la Galia di Zeneral Pexaro in questa terra, il corpo in una cassa fo portato in chiesia di San Beneto, et poi ozi, luni, a dì 4, fu fato lo exequio honorifice in chiesia di Frati Menori, dove in la Sagrestia è la sua archa e sarà sepulto ... Prima, portata la cassa a San Marco, vene ed Capitolo di San Marco e quel di Castello, la Schola di San Zuane, tutte le Congregazioni et era torzi di lire 2 l’uno numero 100 e la Schola, et altri 100 di lire o l’uno, videlicet portati 20 da Frati Menori, 20 da Jesuati, 20 da Preti, et 40 da Marinari … Atorno la cassa 12 homini con mantelli con gran coa e capuzi in cao; la cassa portada da quelli di la Schola con il Pomo d’Oro del Stendardo di Zeneral; e sopra la cassa era il Stendardo d’Oro che copriva tutta la cassa con una celada e spada lavorada a la Damaschina. Lo accompagnò il Principe, con li Oratori e la Signoria et assà Patrici … Et vennero per terra di San Marco fino a li Frati Menori (Frari), ove era mezo la chiesia preparato con pani negri dove fu posto la cassa; etiam atorno la chiesia con telle negre, assà luminarie. Fu bel exequio; fu fato l’Oration Funebre par Sier Gabriel Moro quondam Antonio, laudando assai, la qual fo butada in stampa, et poi el Principe tornò con li piati (Peate, barche Dogali dorate) a San Marco.”


Beh ? … Dai … Poteva finire peggio … In fondo la Serenissima in qualche modo gli rese merito.


Il monumento a Benedetto Pesaronella Basilica dei Frari si può vedere ancora oggi: quattro colonne reggono l’urna del Generalissimo Pesaro su cui sono state riprodotte veleggianti Galee, e le Fortezze di Leucade e Cefalonia da lui espugnate. Sopra all’urna si può ammirare la sua statua con lo stendardo in mano ... Ci sono poi due medaglioni in bassorilievo con il Leone Marcianocollocati insieme alle statue di Nettuno e Marte: gli Dei del Mare e della Guerra (attribuite a Baccio da Montelupo), e c’è infine in alto: una pudica statua della Vergine col Bambino che fa quasi da spettatrice in punta di piedi di quanto accaduto a quel Veneziano, che tutto compreso era stato illustre.

Ok … Mi fermo qua per questa volta ... Ma non ho terminato con i Nobili Pesaro.

La prossima volta vi parlerò di un altro Pesaro dallo stile ancora diverso: meno bombardone e violento, e di altri Pesaro ancora che …

Vedrete insomma …



La saga-epopea dei Nobili Pesaro ... Pisaura Gens Venetica

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#unacuriositàvenezianapervolta 219 

La saga-epopea dei Nobili Pesaro ... Pisaura Gens Venetica

(terza parte) 

Continuo a vagabondare fra le vicende della “Saga-Epopea”dei Nobili Pesaro Veneziani … Pisaura Gens… Dopo qualche Pesaroscapestrato, e qualche Pesaro illustre … Ecco qualche Pesaro“più normale e tranquillo”… Beh: più o meno … Cambiamo stile e tipo di uomo: Carlo Pesaro quondam Andrea.

Chi era costui ? … Boh ! … E chi lo sa ? … Non l’ho mai sentito nominare fino ad oggi ... Mi ha incuriosito però …

Nacque pure lui a Venezia nel 1580 … Sposò la Nobilissima Paolina Loredan quondam Lorenzo, con la quale si diede parecchio da fare mettendo al mondo quattro figli e due figlie: Elisabetta, Lugrezia, Andrea, Lorenzo, Lorenzo “Junior” e Giovanni Battista.

Di sicuro un altro Nobile Pesaro che stupisce … Sull’onda del successo e del prestigio della Famiglia Pesaro, durante la sua esistenza ricoprì di certo … non esagero … ben più di cento cariche di Stato diverse della Serenissima.

Si avete capito bene: più di cento !

Paragonandolo a noi di oggi, fu come se fosse diventato progressivamente e a rotazione: Sindaco, Ministro, Giudice, Assessore, Direttore Generale, Prefetto, Governatore e molto altro ancora ... Immaginate (mi perdoni)… tanti Governatore Zaia messi insieme uno dopo l’altro, uno sopra e insieme all’altro … Un vero ultramanager, anzi: di più.

Il suo profilo e curriculum “professionale”è curiosissimo, e parla da se … Recita così: Ufficiàl alle Rasòn Nuove; Savio alle Decime a Rialto; Podestà de Verona nel 1622; Consiglier de Venezia pal Sestier de San Polo e Censòr ai tempi de la Peste; Capitano a Brescia nel 1636 e 1637; Conservatòr del Deposito in Zecca più volte; Revisòr e Regoladòr de le Entràde Pubbliche; Savio a la Mercanzia; Proveditòr sopra i Beni Inculti: cioè venditore di chiese e monasteri espropriati e requisiti a Monaci, Frati, Clero e Monache; Proveditòr a la Cassa de Ori e Arsènti;  Depositario al Banco di Giro; Proveditòr a la Sanità de Treviso e Trevigiano; Capo de Sestièr alla Sanità par Cannaregio; Proveditòr a le Fortezze in Istria, in Zecca e Proveditòr a l'affrancazione del Monte Nuovissimo e del Sussidio … e poi come i suoi progenitori fu presente in Zonta a più riprese dal 1614 al 1654: pensate … per quarant’anni !!! … e poi ancora: in Pregadi, cioè Senatore dal 1639 al 1653: una cariatide anche là ...E ancora: l’apice dell’ascesa e del successo personale: per tre, quattro volte fece parte del temibilissimo Consiglio dei Dieci… e ancora, non è finita: Camerlengo della Cassa del Consiglio nel 1625; Giudice nella causa tra il Conte Alberto Pompei e altri interessati … Giudice nella causa della Città di Padova; Giudice nel processo contro Marcantonio Rodolfi; Proveditòr sopra il Bosco del Montello; fra i Nobili in causa fra i Magistrati al Sale e gli Avogadori di Comun; Inquisitòr de Stato di rispetto nel 1644-45 e 46; Estratto per la liberazione dei Banditi; Revisòr e Inquisitòr sopra le Schole Grandi; Revisòr e Regoladòr sopra i Dazi; Proveditòr sopra l'affrancazione della Zecca; Esecutòr contro la Bestemmia… che non significava solo controllore “delle parolacce”, ma si trattava di una vera e propria Magistratura che moderava, ispirava e censurava fattivamente  lo stile di vita e i costumi dei Veneziani e dell’intero Dominio della Serenissima … Tansadòr del Sestièr de Cannaregio; Inquisitòr all'Ufficio del Sale; Regoladòr sopra la Scrittura; Esecutòr de le Deliberazioni del Senato; Scansadòr de le Spese Superflue; Proveditòr sopra i Monasteri; Proveditòr sopra la Provigiòn del denaro; Proveditòr sopra i Beni Comunali; Aggiunto prima e poi Inquisitòr all'Ufficio alle Biave e Savio all'Eresia … E giunse a candidarsi nel 1655 insieme a Leonardo Foscolo, Giovanni Barbarigo, Girolamo Foscarini e Bertuccio Valiero alla massima carica del Dogado: l’elezione a Doge… Ma venne  surclassato da Carlo Contarini che divenne Doge vincendo la sfida sugli altri Nobili candidati.

Che ve ne pare ?

Carlo Pesaro non fu di certo né un guerrafondaio, né un grande navigatore e condottiero com’erano stati altri Pesaro di Famiglia, ma fu di sicuro un “pezzo da novanta”, un uomo importante, “di quelli che contavano” e agivano efficacemente nella “sala dei bottoni” dello scenario storico-politico-economico della Venezia del suo tempo.

Mi chiedo: chissà com’era quell’uomo ? … Come sarà stato quel tizio ? … Che carattere aveva ?

Di certo doveva essere un uomo tutto d’un pezzo: un manager intraprendente e tuttofare, un trascinatore efficientissimo … Lo immagino: figura polivalente ed eclettica, persona di carattere, abile nel saper presentarsi e parlare … Un uomo competente e arguto, furbo quanto serve, smanaccione col denaro e con i progetti e le idee … Uno di quelli che sapevano sempre dove andare a parare per se, e negli interessi del Casato dei Pesaro soprattutto … ma di rimando anche a favore della Repubblica Serenissima di San Marco: “che serviva con onore”.

Che sia stato così Carlo Pesaro ?

Oppure sarà stato un indolente, un opportunista che non si muoveva dal suo posto comodo facendo lavorare gli altri delegandoli al suo posto ?

Gli piaceva forse godersi la vita rimanendo a Palazzo, vivendo di rendita, banchettando e festeggiando ? … Se ne lavava forse le mani del destino di Venezia, utilizzandola solo come “macchina buona”per procacciare i propri guadagni ? … E sarà stato poi equo come Giudice, o conciliante e corrotto ? … Si sarà forse accontentato di comprare tutte quelle cariche (come era abituale fra i Nobili del suo secolo a Venezia) per rimpinguare le economie del suo Nobile Casato, o avrà fatto davvero politica economica per il bene di Venezia e dei Veneziani ?

Carlo Pesaro se ne stava di continuo a Cà Pesaro ? … O correva da mattina a sera a Palazzo Ducale a San Marco, oppure a Rialto nelle sedi delle Magistrature Veneziane ? … Chissà ? … Forse era un po’ e un po’ … Un po’per sorte: amava il lusso, l’Arte e la ricchezza … Era un tipo sofisticato ed elegante, che distingueva i profumi e amava attorniarsi di cose e persone belle ? … Era forse uno che saltava in gondola de casàda andando su e giù per Venezia e il Canalàssogodendosi la vita, o recandosi “alla Villa e alla Villeggiatura”in Terraferma curandosi che campagne, fondi e campagnoli incrementassero ulteriormente le rendite già pingui del suo potente e fiorentissimo Casato ?

Insomma: come sarà stato quel Carlo Pesaro?

Tante domande … e poche risposte … L’aridità scarna ed essenziale dei documenti rimasti lascia per forza sfogo solo alla nostra immaginazione e fantasia ... Non potremo mai sapere chi è stato e com’è stato veramente … Ci è dato solo d’intuirlo guardandolo come in trasparenza e filigrana fra le righe di quanto ha fatto e fra le poche note rimaste scritte sul suo conto.

In ogni caso: fu un Pesaro apparentemente tranquillo ... e non fu l’unico: ci fu, ad esempio, un altro Benedetto Pesaro quondam Giovanni Gabriele nato nel 1466 e morto sempre a Venezia nel 1558, che visse morigerato dopo aver sposato una Francesca quondam Andrea da cui ebbe il figlio Giovanni Gabriele … Di lui si sa che fu: “homo probo et honesto”, e che fu Proveditòr sopra il Cottimo del Commercio in Alessandria d’Egitto nel 1517 ... Un Pesaro defilato, insomma, uno di quelli che continuarono a far prosperare il Casato dei Nobili Pesaro facendo il “Mercadànte”, ma senza ribaltare tanto la Storia come gli avi Ammiragli, Condottieri e grandi Prelati.

Ma da dove e quando spuntarono quei Nobili Pesaro ?

Dovete sapere innanzitutto, che a Venezia il Casato dei Pesaro non venne mai considerato fra i “migliori” ... i “Majores” della Città Lagunare. Fra Calli, Fonteghi, Palazzi e Canali, ma soprattutto “in Piàssa e a Palàsso”si faceva sempre tutto un distinguere fra: Nobili di Prima, Seconda, Terza, Quarta e Quinta Classe a seconda delle economie e dei blasoni storici … oppure si classificavano i Nobili come di Casa Nova e Casa Vecchia, Longhi, Apostolici, Ducali o Per Soldo e altro ancora  … Se ne vagliavano e soppesavano attentamente le origini e le provenienze, e contava molto anche la vetustà del titolo … La Nobiltà Veneziana era un vero e proprio “sistema”: un vero e proprio “mare” di ricchezza, potenza, iniziativa, sfarzo, successo, mecenatismo, beneficenza … e decadenza ... in cui primeggiava chi aveva e sapeva osare di più.


I Nobili Pesaro furono fra i tanti Clan e Casati Nobiliari Veneziani che per secoli cercarono di emergere, primeggiare, sopravvivere e destreggiarsi dentro a quel “mare magnum et infido”che era la Nobiltà di Venezia.

Secondo alcuni Cronacisti e Genealogisti Veneziani, i Nobili Pesaro erano in realtà: i “Da Pesaro”, in quanto: “vennero a por stanza a Venezia nel 1132”occupando fin dal 1147 prestigiosi posti di Notaio nella Cancelleria Inferiore di Palazzo Ducale.

Secondo altri, invece, la Pisaura Gens, cioè i Pesaro: erano “uomini di carattere”giunti in Laguna tra 1221 e 1237 con un certo Jacopo Palmieri Console di Pesaro(anzi: di Fano nel Pesarese dei Montefeltro e Malatesta sulla costa Marchigiana). Si trattava di un mercante ricchissimo cacciato via da Federico II e dalla rivalità faziosa delle classi economiche concorrenti locali ... I “Da Pesaro”erano quindi erano arrivati a Venezia dove s’erano stabiliti continuando ad essere a lungo i: Palmieri de Cà da Pesaro, come si scriveva ancora a fine gennaio 1456 su una sepoltura posta nel chiostro di Santa Maria dei Fraridove venne sepolta una Donna dei Pesaro: “Orsa Relicta quondam Misser Charoxo del Confinio de San Zane Degolàdo”.

Se ci azzarderemo a scartabellare fra le “antiche carte”, troveremo unPietro Pesaro e poi un Giovanni e GirardoPesaro presenti e attivi nella Cancelleria Ducale nel lontanissimo 1152 … Dal 1155 al 1210 c’erano, invece: Giovanni e UgolinoPesaro … e un altro Ugolino Pesaro firmava Atti a Palazzo Ducale nel 1257, come Giovanni di Antonio Pesaro dal 1302 al 1307.

Arcolano di Ugolino Pesaro lavorava a Palazzo nel 1313; e Aulemiccio di Giunta di Enrico Pesaro, e Cicolo di Micaro o Mòcolo Pesaro nel 1335; Aimerici de Onesto Pesaro e Plinio di Stefano Pesaro erano in servizio nel 1340; Ubaldini Stefano Pesaro (1355); Picino Pesaro(1361); Aldrovandi de Marco Pesaro e Francesco fu Giovanni Pesaro e Machioli Angelo Pesaro nel 1365 … e Giovanni fu Nicolò Pesaro(1409) con Fantinozzi de Giacomo Pesaronel 1420-21 ... Sempre dei Pesaro, insomma a Palazzo Ducale ... Tutta una lunga litania di uomini di un Casato sempre a stretto contatto con lo Statoe le posizioni di governo che più contavano … e soprattutto per poter tener d’occhio e metter mano sulle “cose di Mercato” ... I Pesaro“dall’arme dello scudo d’oro e di azzurri denti lunghi” furono soprattutto: ricchissimi e intraprendenti Mercanti.

Fu quindi quasi automatico nel 1297, cioè al tempo della famosissima “Serràta del Maggior Consiglio”, che iPesaro divenissero a pieno titolo: Nobili e Patrizi Veneti di Casa Nuova. Da allora si potranno sempre trovare fra gli iscritti nei Registri della Balla d’Orodei Nobili Veneziani” dov’erano segnati i nomi degli aventi diritto ad accedere al Maggior Consiglio della Serenissima… Nel 1414-1443, ad esempio: c’erano registrati “quattordici Nobili giovani figli Pesaro” nati da “nove distinti Patriarchi di Cà Pesaro”… e ancora fino al 1550, si potevano notare elencati fra 9 e 15 nuclei familiari distinti del Clan dei Pesarodi Venezia.

Per la loro ricchezza, e la connaturale geniale intraprendenza i Pesaro si affermarono progressivamente nei commerci Mediterranei diLevante e Ponente.Per almeno due secoli furono Mercanti arrembanti, uomini di mare orgogliosi ed egocentrici. Sapevano diversificare abilmente i loro investimenti e affari spaziando in tutti settori merceologici e in tutte le aree geografiche e commerciali di allora. Movimentavano via terra e via mare con due grosse navi di loro proprietà ingenti capitali tradotti in merci: una volta investivano nelle Mude di Fiandra e Ponente importando pannilana e minerali … Quando il mercato di Venezia era saturo di quel genere di merci e il prezzo tendeva a scendere o cadere, allora si reinventavano nella Muda di Soria, dell’Asia, dell’Oriente dedicandosi al cotone, alle spezie, le sete e tutto il resto: ambra, perle preziose, incenso, pelli e profumi ... I Pesaro avevano fama di saper farsi trovare al momento giusto nel posto giusto.

Tutto questo lavorio produsse grande incremento delle risorse del Casato, e li rese capaci di costruire sontuosi palazzi in diverse Contrade Veneziane, e d’affacciarsi anche sul pomposo e prestigioso Canal Grande: luogo dove sfoggiare la propria ambiziosa presenza ...Divennero perfino patrocinatori e finanziatori del rifacimento della chiesa della Contrada di San Zan Degolà in cui vivevano.

Poco dopo il 1350 però, i Nobili Pesaro andarono in crisi come molti altri Nobili Veneziani. Il dissesto e la precarietà economica provocati dalle ricorrenti Pesti coincise con la criticità della Guerra contro Genova che giunse a invadere la Laguna Veneziana distruggendo Chioggia. Fu una guerra logorante e costosissima per Venezia e per tutti i suoi Nobili, che non solo si videro ridurre i profitti delle speculazioni oltremare e dei mercati che vennero bloccati o disturbati, ma si ritrovarono “spremuti” dalla stessa Venezia che aumentò loro spropositatamente le tasse sulla loro ricchezza privata. Dazi sulle importazioni, e l’obbligo del Prestito Forzoso (Obbligato)allo Stato a scopo militare costrinsero tutti a comprare e vendere e contrattare tramite i Titoli del Monte di Stato.

Fu una tragedia.

I redditi dei più ricchi e potenti Nobili Veneziani andarono a farsi friggere, compresi quelli dei Pesaro… Per quanto fossero cospicui, subirono una tale contrazione che molti Casati Nobiliandarono in rovina del tutto non riuscendo più a soddisfare il ritmo troppo pressante delle richieste del Fisco Veneziano… Il debito garantito dallo Stato compreso e soddisfatto nei “Titoli del Monte"che tutti dovevano obbligatoriamente adottare, era inizialmente di 3,7 milioni di lire … Dieci anni dopo si era gonfiato a 6 milioni, e nel 1379 era salito fino a 8,5 milioni: ossia più del doppio rispetto a sedici anni prima ... Tutto funzionava, ruotava e si doveva pagava prevalentemente in Titoli del Monte: il giro vorticoso delle doti matrimoniali di Famiglia, ad esempio, i lasciti dotali, i testamenti, gli affari: tutto sotto forma di Titoli del Prestito dello Stato ...

Fu una disperazione oltre che una rovina: molti Nobili economicamente malandati dovettero essere soccorsi dal Governo che si dovette inventare apposite misure assistenziali a loro favore … Persino il Doge Andrea Contarini, e il Veneziano più ricco nell'Estimo del 1378-1379: Federico Corner, chiesero sovvenzioni allo Stato vedendo traballare le loro fortune sotto l'incessante martellamento delle imposte.

A Leonardo Venier accatastato per 3.000 lire di grossi e finito in miseria: "non habet unde vivere", venne concessa l’autorizzazione a vendere gli immobili di famiglia vincolati in perpetuo alla linea maschile del capitale di famiglia.

Fu uno stillicidio … Molti Nobili Veneziani privi di mezzi per sostenere i prestiti forzosi videro i loro immobili confiscati e messi all'asta dal Governo per realizzare le somme necessarie a risanare i debiti contratti col Fisco dello Stato. Fra costoro finirono anche i Nobili Pesaro a cui venne sequestrata la "possession Branda" che avevano in Contrada di San Giacomo dell'Oriovalutata 15.000 lire di grossi ... Con testamento 15 giugno 1309, Angelo Pesaro aveva disposto che il palazzo edificato nel 1250 da suo padre Caroso in Contrada di San Giacomo dall'Orio sul Canal Grande non potesse mai essere alienato dai suoi discendenti per mantenere intatto il patrimonio di Famiglia ... La Repubblica, invece, lo confiscò “per debiti” ad Andrea Marco Carosio e Maffio da Pesaro il 15 febbraio 1382 valutandolo a ribasso soli 10.000 ducati d'oro, e ne fece subito un regalo a Nicolò II d'Este Marchese di Ferrarabastardo legittimato residente a Venezia ... Fu pressappoco in quell’epoca che il Casato dei Pesaro si suddivise nei vari Rami distinti dei Pesaro di San Beneto, Pesaro di Santa Sofia di Cannaregio, e Pesaro del Carro o di San Stae.

Fu di sicuro una brutta stagione per tutto il Clan dei Pesaro… compresi i Pesaro Dal Carro di San Stàe, che fra tutti erano quelli che stavano meglio.

 


I Pesaro di San Stàe erano detti “dal Carro” perché da dopo il 1324 erano diventati proprietari della “macchina”(il carro) del Canale di Lizza-Fusina o“IssaFusina” o ZaFusina dove si trasbordavano le barche dal livello dalle acque del fiume Brenta deviato fuori dalla Laguna, a quelle della Laguna stessa e viceversa. Nei pressi di Fusina e della Palada dei Moranzani: “Porte di Venezia”, era stato eretto un grande argine di contenimento del Brenta perché non sfociasse più a imbonire la Laguna ... Pensate ! … Ancora due secoli dopo, nel 1514, il “Carro” con la vicina Osteriavennero rimessi al pubblico incanto e riacquistati per l’ennesima volta dagli stessi Nobili Pesaro che erano proprietari della maggior parte delle aree prative e da pascolo della zona. Per questo vennero “ribattezzati”: i Pesaro Dal Carro.

Erano davvero furbi e avveduti i Pesaro ... Alle Palàde dei Moranzani e del Carro c’era sempre grandissimo traffico, perchè di fatto quel luogo era uno dei Porti della Terraferma Veneziana. Sembra addirittura che la Serenissima abbia perfino fatto distruggere il Porto di Oriago in quanto considerato in eccessiva concorrenza con quello dei Moranzani e Fusina: “... al Carro delle Porte dei Moranzàni passavano pagando regolàr tariffa secondo decreto del Senato della Serenissima: barche da Padova che pagavano vòde: 12 franchi, 1 lira se piene con persone, 1 lira e 10 franchi se con robbe …Passavano poi barche dalla Villa: vòde a 16 franchi; barche da Este, Frassenè, Moncelese et altre: vòde a 1 lira, cariche a 2 lire e 10 franchi; barche da frutti da Vicenza: vòde a 1 lira e 10 franchi, cariche: a 3 lire;barche da vin de Mercanti:vòde a lire 2, cariche a 3 lire 3;burci col timòn in pope: vòdi a 1 lira e 10 franchi, carichi a 3 lire; e barche ovverossia burci con timòn alla banda: vòde a lire 2, e cariche a lire 3 … e ancora Burchielli de particolari: vòdi et con persone a 8 franchi;Peote de particolari: vòde et con persone a 8 franchi;barche da LizaFusina et Marghera a 8 franchi; Gondolea 4 franchi; barche discovèrte o con capùzzi e simili:a 8 franchi;barche da Piove: vòde a 8 franchi, e cariche a 10 franchi;barche da Miran: vòde a 8 franchi, cariche a 10 franchi;eZattere: per ogni duo zatuoli vòdi: 2 franchi, carichi a 4 franchi …”

Nel 1561 quando il “Transito del Soldo (il Dazio) di Fusina col Monopolio del Carro delle barche” garantiva alla Serenissima un’entrata annuale di 270 ducati, i Nobili Pesaro insieme ai Nobili Venier ne guadagnavano 2.325, e i Mocenigo e i Marcello altri 170. In quell’anno venne rimosso l'argine e levato il carro” costruendo le Porte del Moranzàn ... Per i Pesaro Dal Carrocambiò ben poco, visto che ancora nel 1583 continuavano a dare ancora in affitto per 1.500 scudi annui sia l’Hostaria del Toni ai Moranzani di Liza Fusina, che il Forno e la Pistoria presenti nella stessa zona.

Addirittura, anche le Nuove Porte vennero messe sotto la giurisdizione-gestione dei Pesaroa nome della Serenissima fino al 1613 quando vennero dichiarate: “cosa pubblica”. In quell’occasione iniziò il Servizio Postale Venezia-Milano gestito dall’Università dei Corrieri Veneti che passava proprio di là, e i Nobili Pesaro vennero risarciti dalla Camera del Purgo della Serenissima con 581 ducati, e fino al 1633 con altri 120 ducati annui per il mancato guadagno della dismissione del Carro e delle Porte del Moranzàn: “ … il Carro di Lizza Fusinaportava migliaia di ducati di rendita alla Famiglia, e perché i Pesaro possedevano in zona due case affittate per 85 e 28 ducati e una bottega de fruttarolo, e come altri Nobili Veneziani (Bragadin, Mocenigo e Vescovo di Torcello) dei Foli da Lana o da Carta o Gualchiere (macchine idrauliche a magli su pietra per tessuti di lana e feltro già trattati e purgati con acqua dolce, sapone e argilla)che furono costretti a spostare vicino a Mira.” ... Ancora nel 1661 gli stessi Nobili Pesaro davano in affitto: Hosteria, Forno e Pistoria ai Moranzani a Perin Lantano per 100 ducati mensili, mentre altre stalle dei dintorni venivano affittate per 30 ducati annui.

Insomma: i Pesaro dal Carro fecero secolari affari a Fusina e ai Moranzani.


E non era tutto lì ciò che possedevano e gestivano abilmente … Oltre a Fusina e ai Moranzani: i Nobili Pesaro possedevano terreni e una dimora estiva: una Corte RuralePadronale con ampia aia antistante, Villa e Barchessa con stalle e fienili a Frassinelle di Rovigo. Poco distante come parte allargata a contorno del complesso agricolo (secondo uno stile tipico di diverse Famiglie Nobili Veneziane) c’erano le Palazzine abitate dai salariati bovari e dai lavoratori della terra: una vera e propria Cittadella di figliazione Nobiliareche in seguito passò ai Nobili Dolfin, e poi ai Mioni... Dall’inizio del 1500 la Serenissima faceva percorrere il Canal Bianco e contando sui capitali e l’imprenditorialità di alcuni Nobili aveva avviato un grande progetto di bonifica e urbanizzazione rurale di buona parte dell’Entroterra Polesano… Pensate forse che i Pesaronon abbiano subodorato e si siano lasciati sfuggire l’affare ?

Oltre a quello, e sempre durante il 1500, i Nobili Pesaropossedevano un’altra Casa Dominicale con architetture rinascimentali, arcate, loggia, capitelli in pietra d’Istria, e intarsi e decorazioni interne sulla Piazza della Pieve a Còste verso Masèr … E ancora dopo ancora: gli stessi Pesaro possedevano un’ulteriore “Magnifico Palagio Giardino o Villa Dominicale”in località Ponte della Torre nei pressi di Este nel Padovano.


Curiose le vicende di quella proprietà-investimento dei Pesaro: Torre d’Este era un antico borgo feudale eposto di guardia, controllo e doganaper merci e passeggeri sulla “strada comune diEste, Badia e Montagnana” che portava a Mantova in Lombardia, o verso il Polesine. Il luogo era un piccolo snodo strategico utile sia dal punto di vista militare che commerciale in quanto esisteva un passaggio obbligato sul fiume Frassinè o Brancaglia, che fungeva da baluardo finale e luogo di confine-frontiera del sistema difensivo di Este.

I Nobili Pesaro col loro “fiuto da mercanti” furono presenti in zona fin dal 1400, e lì s’impegnarono in una considerevole opera di bonifica di valli e corsi d’acqua divenendo progressivamente proprietari di numerosi beni immobili, case e campi, granai, mulini, maceratoi da lino e da canapa da corde e vele prodotti in esclusiva per l’Arsenale di Venezia. Divennero inoltre anche proprietari di botteghe su cui esercitavano il “Diretto Dominio”, e dal 1471 furono anche Ufficiali di Stato, Capitani, Podestà e Canonici nel Duomo di Este ... Dal 1518 poi, i Pesaro acquisirono circa 94 campi aCalaone, si comprarono anche la località di Salarolasul Monte Cero dove si pagava il salario ai soldati della zona, e riuscirono a procurarsi sul “confine di Torre” lo “Jus (diritto esclusivo-monopolio) di macellare e vendere carni” e lo “Jus di fabbricare e vendere pane” divenendo pure gestori del Posto di Dogana in Piazza ad Este vicino al porto cittadino: “… dove la Serenissima controllava e tassava i trasporti delle derrate alimentari e della canapa; e si pagavano i pedaggi di chi attraversava i canali e i ponti fluviali.”

 


Come vi dicevo, erano avveduti e furbi i Pesaro, e lo erano quasi al confine col disonesto, perché talvolta vendevano e affittavano a famiglie contadine terreni che finivano spesso allagati, e quindi divenivano terre impossibilitate di procurare raccolto … I contadini allora finivano con l’indebitarsi per i raccolti scadenti … e che facevano i Pesaro “per aiutarli” ?

Ricompravano dai contadini i terreni a prezzo infimo guadagnandoci sopra grandemente ....

 


Ancora nel 1705, Zuanne Pesaro, discendente omonimo del Doge Giovanni, insieme alla moglie acquistarono dalla Contessa Margherita Bonato di Rovigo: 10 campi di terreno e costruzioni: “sulla strada per le Carceri e la via che va a Montagnana ... per prezzo umilissimo et inferiore di molto al loro intrinseco valore” I Bonatodi Rovigo erano già fin dal 1494 affittuari di 20 campi sempre allagati della tenuta di Torre dei Pesaro… I Pesaro affermarono che con quel gesto “munifico” avevano salvato i Bonato dalla rovina.

Subito dopo gli stessi Pesarofecero sorgere su quello stesso terreno al posto degli edifici precedenti una casa padronale su tre piani in pietra di Nanto e pietra d’Istria, con facciata bugnata a paraste ioniche e corinzie, trifore, fioroni e anfore in cima, tre torrette di guardia: una gran Villa Pesaro insomma ... All’interno realizzarono sopra all’androne d’ingresso un bel “Salone delle Feste” su due piani a balaustre ... Il tutto passò in eredità al nipote Lunardo Pesaro con l’intento di completare l’opera, e infatti, lui la portò a termine aggiungendovi proprio“da villa”: barchessa, pozzo, chiesetta, caneva, forno e stalla …

E il “tutto” divenne residenza estiva della Nobilissima Famiglia Veneziana dei Pesaro.

Una cosa che non vi ho ancora detto dei Pesaro: avevano un ego smisurato, una grandissima concezione e autostima di se stessi.

Definirono la Villa di Torre d’Estecome:“Tempio della Villeggiatura dei Pesaro: Casato Magnifico su cui il Sole non tramonta mai”.

Questo dice tutto su di loro e sulla loro voglia di Gloria, potere, prestigio e successo.


Tre anni dopo, infatti, c’era all’opera nella villa ancora quasi spoglia il pittore svizzero Davide Antonio Fossati che decorò alcune sale con stucchi e affreschi … Poi fu il turno del Tiepolesco Gianbattista Crosato che affrescò l’Allegoria dell’estate, paesaggi e fantasiose “Marine e Burrasche”, scene di Caccia, vedute prospettiche e varie Scene Mitologiche: l’Aurora alata sorella del Sole e della Luna, con molti mariti e quattro figli: i Venti”, e poi ancora:“Apollo e Dafne e Zefiretti con fiaccole”, e ancora dopo ancora:Giove e Giunone,Diana ed Endimione, Apollo e le Muse sul Monte Elicona, Il Mito di Fetonte da cui originano i Colli Euganei e le Terme”… e ancora una volta: “Cerere Dea dell’Estate”, “Bacco Dio dell’Autunno”, “Flora Dea della Primavera”… mancava Saturno: Dio dell’Inverno a completare l’opera, e venne curiosamente sostituito da due vecchi dormienti … Insomma si dipinse tutto l’OlimpoCeleste: non mancava nessuno … e i Pesaro ne facevano parte: “quasi Mortali Dei nel Consesso degli Dei Immortali”.

Ne avevano di considerazione di se i Pesaro vero ?

Inutilmente nel 1736 Pietro Gentilini Notaio di Este nipote di Margherita Bonato intentò causa ai Nobili Pesaro anche a nome dei parenti accampando diritti di “Fidecommesso” sulle terre su cui i Nobili Pesaro avevano costruito ormai da tempo la loro nuova splendida villa …  Il Notaio provò a chiedere la “dovuta restituzione e rilascio e compenso onde non esser in obligatione di progredire ad atti e ricorsi competenti”… Chi vinse la causa secondo voi ?

Vinsero i Pesaro ovviamente, e con estrema facilità …  e del Notaio Gentilini non si sentì più parlare.

Ci pensò poi la “ruota della Fortuna e del Destino” a far girare la Storia in modo sfavorevole per i Nobili Pesaro… Fu forse scarsa attitudine agli affari di alcuni rampolli Pesaro, annate agricole sfavorevoli, dispendioso vizio del gioco con gravi indebitamenti di alcuni eredi con dilapidamento delle sostanze di Famiglia … Fu forse la congiuntura storico-economica dell’epoca … Fatto sta che verso la fine del secolo: Villa Pesaro di Torre d’Este:l’unica rimasta alla Nobile Famiglia, che abitava e frequenta appena, cadde del tutto in abbandono e progressiva rovina ... e fu di certo un peccato.

Nel maggio 1829 Pietro Pesaro: ultimo maschio erede di famiglia si rifugiò in Inghilterra svendendo quanto possedeva agli Inglesi in cambio di una vita lussuosa in un appartamento della City Londinese ... A metà 1800, morto Pietro, la sorella Laura Pesaro raccolse le briciole di quello che era stato l’ingente patrimonio di famiglia ... Aveva sposato nel 1785 Bartolomeo I Gradenigo portando in dote 65.000 ducati che in realtà non vide mai nessuno ... A lui lasciò ogni sua facoltà compreso quanto rimaneva di Villa di Torre d’Este.

I Gradenigola lasciarono semplicemente andare del tutto in rovina, finchè ci pensarono le truppe Francesi e Austriache ad utilizzarla come abitazione e caserma per una decina di soldati ... Divenne rudere.

Nel 1843 Bartolomeo IV Gradenigo cognato di Laura Pesaro provò senza successo a vendere l’edificio diroccato e in abbandono al ricco Conte Austriaco di Liebenburg durante una battuta di caccia: “intravedendo i macabri ruderi nella fitta boscaglia”.

Finchè nel 1876, alla fine della fine, Benedetto Pelà da Esteacquistò per 35.000 lire “quella topaia senza finestre, né porte, né arredi e in completo abbandono”, e la cedette due anni dopo ai Padri Salesiani di Don Bosco che ne fecero il Collegio Manfredini tagliando a metà i piani originali della Villa per farne dormitori per gli allievi … Curiosità finale: Manfredin Manfredini fu il primo proprietario dei “campi e fabriche alla Torre”, marito della sfortunata Margherita Bonato raggirata a suo tempo dagli astuti Pesaro.

 


Ho finito per questa volta … ma non ho terminato di dirvi tutto dei Nobilissimi Pesaro su cui ci sarebbe ancora moltissimo da sapere e dire, e condividere insieme … Alla prossima quindi.

 

 

 

CHE C’E’ SOTTO LO ZATTERONE SEGRETO DELLA CHIESA DELLA SALUTE A VENEZIA ?

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#unacuriositàvenezianapervolta 220

“CHE C’E’ SOTTO LO ZATTERONE SEGRETO DELLA CHIESA DELLA SALUTE A VENEZIA ?”

(parte prima)

Niente entrata … solo uscita ? … Non capivo.

“Uscita del magazzino delle candele che va in strada” recitava l’etichetta inanellata sulla vecchia chiave grossa come un pugno.

Ma perché solo uscita ? … Mi ha sempre lasciato perplesso quell’etichetta che sembrava voler dare una spiegazione senza ammettere repliche di sorta.

E poi c’era quella scaletta in pietra per scendere fin di sotto dentro a quell’unico bugigattolo … Era eccessiva per un loghetto così.

Perché si era costruito un passaggio del genere solo per scendere dentro a un asfittico piccolissimo magazzino dal soffitto bassissimo e con le pareti rivestite di legno ? Un’opera in pietra con le pareti addirittura curve, e una scaletta a chiocciola per raggiungere quello squallore inutile ? … Uno spreco nell’economia di quell’edificio così grande e insigne … Va be fare le cose in grande … ma sprecarsi lì sotto così ?  … Era proprio una cosa incomprensibile, che non capivo per niente ... Non poteva essere.

Quindi, un bel giorno mi sono messo d’impegno e ho incominciato a osservare con estrema attenzione quel posto sotterraneo.

Tanto più che mille volte i turisti si erano presentati in Basilica a chiedermi: “Da che parte si scende nella cripta ? … Come non c’è una cripta di sotto ? … Com’è possibile che non ci sia dentro a una chiesa così sopraelevata ?”

“Eppure è così: non c’è … Niente cripta di sotto.” mi ritrovavo ogni volta a rispondere rimanendo però vagamente perplesso.

Non c’era, non esisteva … Ne ero certissimo: non l’avevo mai vista … O perlomeno non esisteva ufficialmente … Mi era stato detto perfino che durante gli ultimi restauri moderni s’era rilevato con l’ecografo la completa assenza di cavità aperte di sotto al pavimento della Basilica della Madonna della Salute… quindi …

“Niente ! … Non c’è niente … Solo i pali … Il famoso “zatteròn dei pali” costruito per far da fondamenta alla Basilica.”

“Un milione di pali ?”

“No ... Troppi ! … Credo fossero centomila … Un bosco intero in ogni caso.”

Eppure … qualcosa non quadrava e tornava, tanto è vero che un giorno si presentò un turista in chiesa con un vecchio testo in inglese dove c’era inserita una mappa con segnato sopra evidente l’accesso alla famosa cripta ... che non c’era.

Se non c’era: non c’era … No ?

Quel giorno sbalordii non poco osservando il punto preciso che m’indicava il turista con gli occhiali issati sopra ai capelli ... Era anche un po’ scocciato a dire il vero, pareva che mi dicesse: “Ecco i soliti Italiani … Quelli che hanno carenza di personale e organizzazione, perciò non ti lasciano visitare le cose giuste … Preferiscono dire perfino che non esiste un posto piuttosto di ammettere la loro inefficienza e disorganizzazione.”

Il turista, infatti, mi osservava in maniera un po’ canzonatoria e interrogativa, quasi di schermo. Pareva dicesse: “Vediamo un po’ che s’inventa sto qua ? … Che stai qui a cianciare ? … Non vedi ? E’ segnato chiaramente qui sulla mappa il punto preciso da dove si dovrebbe entrare di sotto in cripta ... Non fare il finto tonto quindi ! … Credi d’imbrogliarmi e prendermi per il culo ? … Datti piuttosto da fare per farmi entrare …”

E più mi mostrava quel punto preciso sulla cartina, più avevo voglia di capire dove esattamente era collocata quell’entrata secondo me inesistente ... Avrei voluto in quel momento prenderli la guida dalle mani e scansionarla o fotocopiarla e fotografarla … Ma ahimè ! … In quegli anni si dovevano ancora inventare e commercializzare sia i fotocopiatori, che gli scanner, e ancora di più i cellulari ... Peccato !

L’unica cosa che mi riuscì di fare, dopo aver inutilmente spiegato al turista che la mappa era sbagliata, fu quella d’imprimermi nella mente quel punto esatto che risultava segnato ... La cosa finì lì, perché a malincuore confermai al turista curioso che non c’era alcuna cripta da vedere, e che se ci fosse stata in ogni caso sarebbe stato impossibile mostrargliela lasciandolo entrare da solo.

“Italiani …” mormorò con un tono di evidente disprezzo uscendosene dalla Sacrestia ... “Veneziani … Veneziani …” aggiunse poi accentuando con una smorfia e un gesto di ulteriore spregio … Come a dire: “Siete proprio: terra terra … bassi bassi … contate poco niente.”… Mancava solo che sputasse per terra per sottolinearlo ancora di più ... Poi scomparve per sempre, mai più visto in vita mia.

Che poi ? … Avesse almeno pagato il biglietto per entrare in Sacrestia ? … Non l’aveva fatto … Era entrato guardandosi attorno solo con quella sua richiesta strampalata … Va beh … Ero abituato a vederne passare e succedere un po’ di tutti i colori in quei giorni estivi dentro al gran chiesone, quindi non ci pensai più … anche se mi rimase però dentro una certa curiosità … e sapete com’è: è come un pungolo innestato dentro al cervello, che finchè non lo togli dandogli una qualche risposta ti rimane dentro a inciderti e darti fastidio.

“Insomma ?  … Che esistesse per davvero quella cripta ? … O quella del libro era stata solo una disattenzione di chi aveva redatto quella mappa ?”… Fra una cosa e l’altro il dubbio continuò a rodermi dentro.

Giunse quindi il mezzogiorno di quel giorno … Suonò come brontolando roco il campanone di San Marco… Suonò quasi all’unisono anche il nostro, e in coro tutti quelli grandi e piccoli sparsi per la nostra Città Lagunare.

Chiusi il portone in faccia ai prementi e mai stanchi turisti che non volevano intendere di rimanersene fuori: “Riapro alle tre … Lasciatemi andare a mangiare qualcosa.” provavo ogni giorno a spiegare … e puntualmente mi prendevo i rimbrotti di chi non voleva intendere di dover rimanersene fuori ad aspettare … Con la fame giovanile che mi rimbalzava dentro, percorrevo “volando” la distanza che mi separava dal Refettorio del Seminario, e lì in compagnia del solito umilissimo quanto discosto anziano Prete studioso e ricercatore incallito, oltre che mio “prof”di Arte, Italiano, Storia, Greco e Latino di ginnasio e liceo ormai da anni, letteralmente “attaccavo” il desco saziando gli impulsi dell’incipiente fame che mi comprendeva incontrollabile. 

Era sempre un piacere grande per me pranzare insieme a quell’uomo: un vero e proprio “pozzo di scienza” e grandissimo e profondissimo oltre che documentatissimo conoscitore di tutto ciò che significava “Venezia”.

Mangiano noi due da soli, mentre tutto il resto del Seminario se ne stava in vacanza o in montagna, cadeva fra noi quella distanza ufficiale che c’era sempre fra cattedra e banco di scuola, per cui il Professore si apriva in semplicità a pratica confidenza con me e io con lui ...  e non c’era volta, che esauriti i soliti convenevoli sulla bontà dei piatti che ci avevano preparato le Suore, e oltrepassati i soliti argomenti e le notizie del giorno suggerite dai giornali e dalla televisione, che non finissimo con l’aprirci entrambi con entusiasmo su ciò che c’interessava di più, cioè l’Arte, la Storia e le Tradizioni della nostra amatissima Venezia.

Ovviamente c’era lui da una parte a riferirmi con entusiasmo delle sue ultime scoperte fatte negli Archivi di Venezia più reconditi e inaccessibili, o a raccontarmi di come arrampicato da qualche parte su qualche scala traballante e scricchiolante era riuscito a scrutare finalmente quel tal dettaglio sconosciuto o dimenticato dai più circa quello o quell’altro monumento antico … Dall’altra parte, c’ero, invece: io, implume d’anni e ignorante di tutto, ma altrettanto entusiasta di poter attingere e “bere”liberamente da tanta Sapienza (per chi non lo avesse ancora capito: si trattava di Don Antonio Niero… grande uomo, e buon Prete, seppure a modo suo).

Era con immenso entusiasmo che a volte rientravo a casa portandomi dietro le poche pagine “preziose” dell’ultimo estratto che il Prete studioso aveva scritto per qualche rivista superspecializzata … Mi piacevano un sacco quelle sensazioni, e di poter accedere alla “Bellezza” anche in quel modo lì ... L’anziano Prete-Prof-Studioso aveva capito che ero interessato al suo genere, per cui non c’era volta che non mi coinvolgesse nei suoi interessi portandomi a zonzo nel tanto che avevo voglia di conoscere.

“La cripta della Salute !” mi si accese quel giorno in mente: “Lo chiedo a lui ! … Se non lo sa lui ? … Chi potrà mai saperlo ?”

“Se non sa lui queste cose ?” mi dissi, “Proverò a interrogarlo ... Ha scritto un’infinità di saggi e guide storico-artistiche sulle chiese di tutta Venezia … Se c’è la pur minima cripta lì sotto lui lo saprà di sicuro.”

Fra le altre cose lui era anche autore di più edizioni riviste e ripubblicate e riedite più volte proprio sulla stessa famosa Basilica Veneziana della Salute: ne conosceva ogni meandro insomma, ogni stilla di storia, e sapeva benissimo com’erano andate quella volta le cose a Venezia quando s’era inventato quel chiesone.

A dire il vero, avevo già letto e riletto più volte avidamente tutto quanto aveva scritto al riguardo: e per me la mia curiosità, e perché mi sarebbe tornato utile trattando quotidianamente col poliedrico mondo dei turisti … Avevo letto “tutto”, ma circa la cripta della Salute non ricordavo che avesse detto neanche una parola.

“Boh ?” pensai, “Proverò a interrogarlo lo stesso.”

E così feci, infatti, dopo aver io esaurito avidamente il pasto del “comune desco” Andai allora a sedermi accanto a lui che aveva ancora il candido tovagliolo infilato dentro al colletto del suo vestitone nero da Prete dai mille bottoni … Per lui mangiare era come un rito: non aveva mai fretta … Sembrava non terminare mai, e assaporare ogni boccone come fosse stato l’ultimo della sua vita.

“Perché mangia sempre così lentamente Monsignore ?”

Avevo capito che gli aggradava se lo appellavo così in maniera rispettosissima … Era stato insignito, infatti, da pochissimo di quel Titolo Ecclesiastico, che secondo lui s’era ampiamente guadagnato e meritato con lunghi anni di sacrificio e dedizione alla causa della Chiesaa differenza di altri Preti … sempre secondo lui … meno meritevoli, a cui il titolo era stato letteralmente tirato dietro gratuitamente per via dei soliti smanacciamenti ruffianeschi: “Mangio piano pianino.” mi disse, “Non per via che son vecchio e con i denti malandati … Ma perché da giovane ho fatto la fame … e avevo ben poco da mangiare … Adesso, invece, che ogni giorno: pranzo e cena, mi posso ben nutrire, lo sento come un privilegio che debbo gustarmi e assaporare fino in fondo … Bisogna averle provate certe cose per poterle capire … e chi non ha provato: non sa ... Io so, invece: per cui mangiare … e lo disse sottovoce … è anticipazione di Paradiso !”

E lo disse aggiungendovi un suo solito sorriso raro quanto stentato e tirato che si esplicava mostrando tutti i suoi denti giallissimi spesso accompagnati da un fiato pestilenziale ... tipico di chi digiuna a lungo.

“Poi è anche vero” si premurò di dirmi, “che diventando vecchi si fa anche fatica a digerire … e il cibo ti si ripropone … Perciò è sempre meglio mangiare con calma … e rimanere anche leggeri … perché i malanni e gli acciacchi sono sempre in agguato alla mia età.”

E sorridemmo entrambi divertiti per motivi diversi: lui perché convinto d’aver fatto una battuta ilare, io perché più di qualche volta lo consideravo anche un personaggio piuttosto buffo oltre che eccentrico … Ed era giunto così il momento di virare col discorso, e di porgli la bella domanda a cui ero interessato.

Reagì divertito: “Ancora con questa storia della cripta ? … Ma basta ! … Possibile che non si riesca a rassegnarsi al fatto che non c’è ? … Ti garantisco che non è mai esistita … Ho studiato a lungo e in profondità tutti i progetti di Baldassare Longhena e compagni, ho visto le mappe e i disegni, ogni dettaglio, e tutti i resoconti dei lavori e delle spese fatte per costruire la chiesa … Sulla cripta neanche un accenno … Nemmeno uno: quindi non c’è ! … Non è mai esistita.”

“Ma in mezzo a quel zatterone di alberi e pali … Non potrebbe essere che ?”

“Niente … Se ti dico niente … significa che è niente ... E’ inutile che insisti … Ci si può inventare quel che si vuole … Ma se una cosa non c’è non c’è … Giusto ?”

Sembrava chiedesse a me la conferma di quell’affermazione. Provai allora a raccontargli della mappa e della vecchia guida che mi aveva mostrato il turista. Spalancò un attimo gli occhi per la sorpresa … poi si accontentò di dirmi: “Mah ? … Sarà un errore dell’autore della cartina … In ogni caso mi piacerebbe vedere quel testo … Non mi risulta esista una mappa simile.”

Mi sembrò stranamente perplesso e incerto per un attimo … Era diventato dubbioso anche lui ? Gli spiegai allora che recuperare quella cartina sarebbe stata cosa impossibile da realizzare perché quell’uomo se n’era andato probabilmente per sempre senza la possibilità di recuperarlo.

“M’incuriosisce però un po’ questa cosa … Mi sorprende il fatto che hai detto che quel tale aveva in mano un libro antico … Hai detto così vero ?” continuò a chiedermi ... Era a sua volta incuriosito, e non faceva niente per nasconderlo.

“Sì ... In effetti aveva in mano un testo parecchio vecchio dalle pagine ingiallite … Un tomo grosso … Simile a quelli del 1700 del “Navigàr Pittoresco” o libri simili che di solito maneggia lei …”

“Mi stai incuriosendo ragazzo … Anche se rimango fermo nella mia opinione … Niente cripta !”

“Però non si sa mai vero ?”

“Esattamente no ... Bisogna essere molto seri nelle ricerche … Meticolosi al massimo … Non ci si possono inventare i dati storici se non ci sono … Anche se …”

“Anche se fra di voi studiosi c’è l’abitudine che per primeggiare l’uno sull’altro vi inventate di tutto: attribuzioni, notizie e scoperte anche se non ci sono … Per prendervi il plauso e il merito della critica, degli studenti e della gente del vostro ambiente … e per rivaleggiare fra voi …”

“Questo non lo devi dire giovanotto: è un’impertinenza … Sono cose che si devono al massimo: solo pensare … Anche se in fondo hai ragione … E’ proprio così … Non si fa gran bella figura quando in un saggio, in una conferenza o in uno scritto si dice: “Autore ignoto, d’incerta attribuzione … oppure vicende oscure, date non determinate … Non si sa come siano andate le cose …”

Quando sei considerato un espero e uno studioso, in questi casi si fa sempre una mezza figuraccia … Dai l’idea di quello che non ha cercato bene e non ha grattato la storia fino in fondo e abbastanza … O taci e non dici niente, e lasci che tutto rimanga nel vago e nel buio assoluto più sconosciuto, oppure devi dare titoli e notizie certe, chiare, definitive, che non lascino dubbi e incertezze ... che facciano luce sulle situazioni, i personaggi e i dettagli delle cose ... In fondo il compito dello Storico e dello Studioso è questo: spiegare come sono andate le cose … Dati alla mano ... E allora: ti applaudiranno, e ti subisseranno di complimenti.”

“E’ per questo che l’altro giorno mi hanno raccontato che l’hanno vista salire col tonacone su per una vecchia scala nella chiesa di San Marcuola, e poi sopra a un confessionale per andare, torcia in mano, a scrutare palmo dopo palmo ogni singola parte di un vecchio telero affumicato a caccia della firma del suo autore … Fate a gara a chi arriva prima sulle scoperte curiose ?”

“E’ così che si fa … Se non si trovano notizie, bisogna andarsele a cercare … Non inventarle ! … Bisogna ingegnarsi per poterle trovare … L’altro giorno sono tornato qui a casa con la veste talare tutta bianca di polvere e con le ragnatele in testa … e per la smania di avvicinarmi più che potevo al quadro, guarda qui !” e mi mostrò un dito gonfio tutto fasciato della mano destra.“Mi sono infilato un vecchio chiodo arrugginito dentro alla mano, e il dottore mi ha punturato oltre che darmi un punto di sutura sopra a un labbro di carne che si è aperto … Vedi qual è il prezzo della cultura ?”

Mi credete vero se vi dico che mi piaceva un sacco frequentare quel Prete-Studioso ? … Sapeste quanto ho imparato da lui: un’infinità ... Gli sarà per sempre grato.

“Mi dispiace per lei … Ma vedrà che passerà presto e potrà tornare a dedicarsi alle sue scoperte e scorribande … Quindi niente cripta della Salute allora ?”

“No ... Non c’è … Inutile che ti arrovelli tanto … Se non c’è non c’è ! … No ?”

Fu quel “no” ancora interrogativo che non mi appagò del tutto, perché indirettamente rivelava che aveva ancora un dubbio pure lui.

Nella mia testolina giovanile rimase quindi una certa vaga possibilità che invece quella benedetta cripta potesse esistere … una flebilissima possibilità che potesse esserci ... Il Prete ricercatore era sempre categorico nelle sue informazioni e definizioni, come quando con i suoi colleghi c’insegnavano le regole di Greco e Latino a scuola. Non era ammesso essere vaghi, incerti e inesatti, o dubbiosi nelle definizioni, come nelle desinenze, o nel riportare i fatti storici e letterari … Ricordo Don Silvio Tramontin: altro nome stupendo di Prete-Insegnante, e squisito Educatore secondo il suo stile: “Voi quando spiegate qualcosa siete come cacciatori col fucile in mano che si lascino girare in tondo gli uccelli sopra la testa … e non gli sparate mai … Rimanete lì incerti a osservarli, senza trovare il coraggio di sparare il colpo decisivo e preciso … Essere uomini di cultura: è saper cogliere il bersaglio, essere abili, precisi nel colpire e sparare al bersaglio … Non essere come voi, che restate là immobili mentre la selvaggina vi gira e rigira intorno e non la prendete mai.”

Vi garantisco che più di qualche volta gli insegnamenti di quegli uomini avevano il significato e l’effetto di una frustata su di noi … E’ anche in questo modo che abbiamo appreso molte cose, e imparato almeno a cercarle e approssimarle … e qualche volta anche amarle.

L’incertezza quindi Don Niero significava quindi qualcosa: che cioè non escludeva del tutto che potesse esserci qualcosa sotto alla Basilica della Salute ... la famosa Cripta ?

Si sa bene … Venezia è un formicaio immenso, una miniera d’Arte, Storia e vicende, dati e notizie che non si riuscirà mai a conoscere e districare del tutto. Non esisterà mai qualcuno in grado di saperne abbastanza tanto da poter dire di conoscere tutto e aver esaurito lo scibile su Venezia: “In ogni caso, sai bene com’è … Venezia rimarrà sempre un grande mistero sempre da scoprire e studiare …”

E’ stato proprio il Prete studioso a concludere così la nostra chiacchierata quotidiana … Poi mi ignorò del tutto riprendendo di nuovo a saggiare e spolpare per benino il suo cosciotto secco e asciutto che gli danzava nel piatto ... quasi fosse un’opera d’Arte, o un delicatissimo documento pergamenaceo d’Archivio: “Ci vediamo come al solito alle 18 per ripassare un po’ di Greco ... Mi troverai al solito posto: nel Bìgolo del Corridoio Rosso dove sto sistemando i libri sugli scaffali nuovi … Ci ritroviamo là ... Hai studiato spero …” mi disse senza neanche guardarmi … Gli risposi con un cenno muto scomparendo per gli affari miei nei meandri del Seminario come facevo di solito ... Non avevo neanche aperto laGrammatica di Greco, e forse era meglio che lui non lo sapesse … anche se presto se ne sarebbe accorto senza alcuna incertezza … Mi avrebbe rifilato un quattro anche quel giorno ?

Macchè ! … Eravamo a luglio, in piena estate e vacanza … Ma ogni volta con lui mi pareva d’essere eternamente a scuola.

Me ne uscii quindi, e dopo la meritata pausa “per la siesta”, come la chiamava il Rettore del Seminario e della Basilica, rientrai nella Basilica per la riapertura pomeridiana ... Ovvio che mi era rimasto in mente sempre quello stesso pensiero: c’era o no quella Cripta sotto al chiesone ?

Infatti, strada facendo, indirizzandomi verso il grande portone centrale della chiesa per aprirlo col grande mazzo delle pesanti chiavi tintinnanti in mano, mi soffermarmi e controllare per un attimo quel punto ipotetico della chiesa che ricordavo segnato sulla cartina di quel vecchio libro del turista del mattino.

Scesi i gradini della navata piccola del chiesone … aggirai sul fianco destro la grande navata circolare … contai mentalmente la progressione degli altari laterali fino a raggiungere il terzo, e mi fermai: era quello segnato sulla mappa del turista: “Dovrebbe essere qui dentro secondo quella mappa … Dovrebbe essere qui l’entrata-passaggio che porta di sotto alla cripta.”

Sorrisi soddisfatto e infurbonato … La cosa mi stuzzicava … I turisti però stavano picchiando sul portone della chiesa: erano le tre precise del pomeriggio, ed erano stanchi di rimanere lì fuori ad attendere l’apertura.

Soffermandomi davanti al cancelletto d’ottone chiuso dell’altare borbottai: “Verrò a controllarti presto.”

A passi svelti raggiunsi il grande portone centrale oltre il quale i turisti stavano chiacchierando allegri ... Al di là del Canal Grande il campanone di San Marco diede il segnato che mi serviva scandendo le tre del pomeriggio: era ora di riaprire ... E così ho fatto.

(continua …)




“CHE C’E’ SOTTO LO ZATTERON DEI PALI DELLA SALUTE A VENEZIA ?”

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#unacuriositàvenezianapervolta 221

PREMESSA: Stiamo tranquilli … non animosi … Portate pazienza … Leggere deve essere sempre un piacere, non un affanno, né un’occasione per scagliarsi per forza contro o pro qualcuno, o per sostenere o denigrare qualcosa … Altrimenti: che piacere è ? … Leggere anche su posti come Facebook deve arricchire dentro … e seconda cosa: deve dare il gusto di condividere ciò che siamo … così come siamo: non come si dovrebbe essere per forza, o come lo dettano e vorrebbero i media, i social o il nostro modo d’intendere.

Dico questo perché se a qualcuno/a non piace lo stile, il contenuto, il modo di qualche post di FB … E’ liberissimo di scorrere via, di non far clic, e dedicarsi a leggere e curiosare d’altro … Se poi qualcuno/a non sa resistere e attendere, e vuole per forza sapere e avere tutto subito, presto e bene: si faccia una tisana, si sventagli un poco, e si rilassi assaporando l’attesa … ripensando su quanto incontra.

Quand’ero bambino: aspettavo quindici giorni … a volte anche un mese per poter vedere il proseguo di certe storie e avventure che trovavamo negli allora rarissimi album dei fumetti settimanali, quindicinali o mensili … Perché farsi prendere da frenesia e ansie inutili ?

Non ne vale assolutamente la pena … Viviamo in pace invece, assaporiamo ciò che ci succede.

Detto questo, se mi considerate prolisso e palloso, oppure pensate che la sto tirandola inutilmente troppo per le lunghe con i miei racconti rincorrendo chissà che cosa … Beh ? … Chi ve lo fa fare di leggermi ? … Facebook e Internet sono tanto grandi: ci si può perdere in mille modi, anche trovando succulenti risultati immediati alternativi.

Se poi non vi piace “il profumo preteresco” da chiesa e sacrestia … Uscitene no ? … C’è tanto da annusare e gustare di diverso in giro.

Chi mi conosce sa bene che ho scelto da anni d’essere volutamente lento e lungo nel raccontare le mie storie e le mie cose … Me le gusto scrivendole, perché sono pezzi del mio vissuto che amo ... Mi piace inoltre l’idea di condividere con altri curiosi quanto me soprattutto quanto riguarda in qualche modo la nostra Venezia ... Mi piace poi l’idea che qualcuno si fermi, lasci là quello che sta facendo e magari l’appesantisce o qualche volta lo rattrista, e si perda un poco a rincorrere altri pensieri ... forse anche i miei.

Tempo fa una delle mie rare lettrici mentre mi leggeva ha bruciato tutto sul fuoco in cucina dimenticandosi del resto … Beh: questo forse è un po’ troppo … Ma è da quella parte che voglio immaginare che vadano i pochi che mi leggono. Non m’interessa “far numero”, ma solo spartire sensazioni che secondo me sono curiose … non dico importanti … Non cambierò il mio modo di scrivere.

Secondo me raccontare è come risvegliare, e ridare ancora un po’ di vita a certi momenti forse un po’ insoliti che mi è capitato di vivere ... C’è forse qualcosa di male nel farlo ? … Tutti siamo pieni di storie e vissuto diverso da condividere: continuiamo a spartirlo fra noi … Facciamolo soprattutto adesso che “siamo un po’ chiusi da notte” per colpa del Virus … Facciamolo come se ci trovassimo a parlottare e chiacchierare ingannando il Tempo in una Corte o Campiello della nostra Venezia di ieri … Ma siamo: sereni … tranquilli e in pace … Quindi: mettetevi comodi se volete continuare a leggermi ... rilassatevi, tirate un sospiro … Oppure: oggi fuori era davvero una bella giornata … il mondo è grande … e le persone sono tante ... C’è molto in cui poter scegliere …

Vi saluto comunque, vi ringrazio perchè trovate il coraggio di spendervi a leggermi ... Scusate il pistolotto: era ora di farlo …

Buona vita a tutti !

*****

Tornando al post sul “Zatteròn dei pali” che sta sotto al chiesone della Salute insieme a un’ipotetica Cripta, è un po’ intuibile ciò che potrebbe nascondersi lì sotto o noIn ogni caso sotto alla Basilica non si cela di certo Disneyland, né la Casa di Babbo Natale… e credo non servano sapientoni delle“cose di Venezia”, né Albert Einstein per capire che sto solo raccontandovi una storia che mi è accaduto di vivere.

 

“CHE C’E’ SOTTO LO ZATTERON DEI PALI DELLA SALUTE A VENEZIA ?”

(parte seconda)

Per tutto il pomeriggio continuò il solito andirivieni di una qualsiasi giornata estiva: fiumane di turisti di ogni lingua, razza e provenienza si alternavano e susseguivano visitando la chiesa. I più intraprendenti e informati si spingevano più avanti dentro al chiesone fino a raggiungere l’Altar Maggiore con la grande icona Nera della “Madonna Salvapeste”. Qualcuno ancora più intraprendente pagando il suo biglietto s’infilava a visitare la Sacrestia piena zeppa d’opere mirabili di Tiziano, Tintoretto ed altri mirabili pittori ... Dite quel che volete: per me è l’ennesimo angolo-tesoretto di Veneziatutto da sbirciare: un’altra bomboniera di prestigio e bellezza da gustare.

Me ne sono quindi rimasto lì tutto il pomeriggio annoiatissimo a lasciar scorrere e sovrapporsi le ore mescolate insieme a quella fiumana di persone. Ogni tanto mi tornava alla mente il pensiero della Criptada cercare ... Durante i saltuari giretti di controllo e d’ispezione per la chiesa, tornavo a ripassare ogni volta davanti all’Altare segnato su quella vecchia cartina del turista. Mi soffermavo a scrutarlo un attimo nei dettagli sempre più attentamente quasi a dirgli: “Fermati là ... Non scappar via … Fra poco vengo a cercarti !”

Niente ... Non c’era assolutamente niente di particolare che potesse indurmi a riconoscere il segno di qualche strano passaggio mai visto prima. Non notavo proprio niente, se quell’Altare laterale in tutto e per tutto simile agli altri che occupavano il resto della “Rotonda Grande”della Basilica … Nessuna stranezza insolita notabile.

“Salvo che …” mi dissi durante l’ennesimo giro di ronda: “Salvo che dietro a quelle due porticine laterali sempre chiuse ci possa essere qualcosa che non ho mai notato.” Infatti, come tutti gli altri altari laterali della chiesa sotto alla grande Cupolone del Longhena, c’erano due “passaggi” che mettevano in comunicazione gli altari fra di loro fino a rientrare nella Sacrestia attraverso l’ultimo che aggirava l’intera “Rotonda Piccola” passando dentro ai muri della navata con al centro l’Altar Maggiore ... In effetti: “C’è un passaggio” mi dissi … ma solo quello: un corridoio di servizio … Si tratta solo di un normale accesso di collegamento ... Nulla di speciale … almeno in apparenza.

“Già … In apparenza …” mi ripetei continuando a rimestare pigri pensieri estivi.

Finchè giunse l’agognata ora della chiusura serale della chiesa ... Essendo estate col Sole ancora ben alto in Cielo, spinsi fuori a fatica gli ultimi turisti reticenti e brontoloni, e chiusi il portone dalle mille chiavi e catenacci in faccia … purtroppo … ai tanti che arrivavano solo allora per visitare il chiesone ... Che potevo farci se c’ero soltanto io a tenere aperto e gestire quel luogo ? … Dovevo tenerlo aperto giorno e notte per soddisfare tutti ? … Ma anche no … Era vero che avevo bisogno estremo di quei quattro soldi virtuali che coprivano la mia retta da Seminarista, per cui stavo lì a lavorare mentre tutti gli altri se ne stavano in vacanza … Ma quando era ora: era ora … Punto e basta.

E smanacciato il portone per l’ennesima volta, mi ritrovai davanti l’intera Basilica deserta e tutta per me, immersa nella luce vivissima della prima sera incipiente.

“A noi due adesso !” dissi a me stesso e a nessuno ... E mi diressi, come già sapete, dritto dritto all’Altare Laterale in questione con l’intenzione più che palese d’ispezionarlo a fondo … Particolare attenzione avrei messo soprattutto nel controllare dentro a quelle due porte laterali chiuse chissà da quanto tempo.

A quel tempo ero arzillo e saltavo come un grillo: non mi fu difficile superare d’un balzo la balaustra dell’altare laterale senza aprire il cancelletto chiuso ... Non esagero: feci un po’ come l’ometto della pubblicità dell’olio, e:“Ops !”… con un balzo atletico superai la balaustrata di marmo col suo cancelletto ritrovandomi ai piedi dell’altare e accanto alle due porte chiuse parte per parte.

“Cominciamo da te ! … L’una vale l’altra.” mi dissi iniziando a spingere il pesante portone chiuso di destra.

“Chiuso !” considerai, “La chiave dove sarà ?” mormorai osservando davanti a me un  buco di serratura nero come il carbone, e ostruito da una grossa candida ragnatela ... Un ragno abitava là: “Figurarsi ! … Dev’essere un bel pezzo che qui dentro non entra più nessuno ... Vediamo un po’ ? … Dove potrei cercare la chiave ? … in Sacrestia probabilmente.”

Infatti ... Voi non potete però aver idea su che cosa volesse dire quel mio “in Sacrestia”… Io: si … Quella sera giunse il tramonto e poi calò la notte, che ancora ero lì a frammistare, rovistare e arrabattarmi in Sacrestia dentro a una montagna di chiavi di ogni tipo e misura, spessore, e forma. Chi non frequenta e non sa, o non gli è mai capitato di darsi da fare in qualche modo dentro a un’antica chiesa di Venezia, neanche immagina l’esuberanza e la ricchezza delle cose belle che contiene, ma neanche quella degli oggetti di ogni genere che la stessa possa contenere … Non solo cose preziose da rimirare, ma soprattutto oggetti i più vari e insoliti posti nelle zone nascoste della chiesa: nelle Sacrestie, nei magazzini, nelle soffitte, dentro ai controsoffitti, nei sotterranei, nelle stanze dell’Organo, negli archivi, nelle adiacenze e tutto il resto … Non esagero: un bailame, una miniera di cose senza fine in cui perdersi e districarsi.

E’ un intero mondo zeppo di cose: aggeggerie necessarie ai riti attuali, il triplo di aggeggi inerenti ai riti di una volta dismessi, gli oggetti delle Devozioni e delle Tradizioni liturgiche di ieri e ieri l’altro, visto che da i tempi della Peste erano passati ormai secoli … Beh: un bazar credetemi ! … Vi garantisco che certe kasbah orientali fanno sorridere se confrontate con quanto è conservato e raccolto dentro a certi chiesoni di Venezia ... Una cosa impressionante, soprattutto nelle chiese, Cappelle, Oratori, Conventi e Monasteri non toccati o sfiorati solo parzialmente dalla demenza devastante e distruttiva di un certo napoleone & C ... provare per credere.

Insomma: erano quasi le nove di sera, quando quel giorno alla luce di una fioca e vecchia lampada, e in preda a un languore giovanile di quelli che ti farebbero spolpare subito qualcosa, che decisi di concludere per quel giorno la mia ricerca delle chiavi adatte per provare ad aprire quelle porte sbarrate dell’Altare Laterale che m’interessava.

Prima di “chiudere baracca”, allineai sul tavolone della Sacrestia cinque candidate grosse e pesanti che il giorno dopo avrei utilizzato per provare ad aprire quelle benedette porte … Poi decisi che per quel giorno ne avevo abbastanza di Cripte, chiavi e dintorni, e me ne andai lasciando la chiesa piena di buio ... e forse con i suoi segreti … ma anche no.

Sapete com’è la testa e la mente umana vero ? … La mia come la vostra.

Ebbene quella notte sognai: gradini in discesa, volte scrostate buie e scivolose che ovviamente scendevano sotto alla chiesa della Salute. Sognai una lampada che esauriva la batteria lasciandomi al buio di sotto, e costringendomi a tornare indietro sui miei passi tastando il muro buio fino a recuperare un moccolo di candela per proseguire quella mia ricerca strampalata … Sognavo d’essere una specie d’Indiana Jones dei poveri ... solo che nella mia mente c’era molto spazio per metterci qualcosa che non esisteva affatto.

Il mattino dopo giunse presto, e con lui l’onere di tornare nuovamente a lavorare in Basilica … ma anche la voglia di riprendere le mie ricerche da dove le avevo interrotte. Non mi crederete forse, ma a quei tempi “un po’ mi divertivo”(oltre che ad annoiarmi) nel dover trascorrere gran parte dell’estate e di ogni mia giornata a far da custode: aprendo, chiudendo e vigilando sulla marea dei turisti della grande Basilica Veneziana che un vero Sacrestanopiù non aveva. L’ultimo se n’era andato “un po’ burrascosamente”prima in ferie, e poi in pensione per sempre … e sapete bene come sono le “striminzite” finanze dei Preti ... Non c’erano soldi per assumere un Sacrestano nuovo … Nè si trovava in giro la persona adatta a farlo … Si sarebbe dovuto pensare qualcosa … ma come sempre accade fra i Preti: si aspetta che ci pensi la “Divina Provvidenza”servendosi intanto di un volonteroso volontario … che sarei stato io.

Non era servito molto a convincermi … Un po’ mi piaceva la cosa e il contatto con tutta quella fiumana di gente eterogenea, e un po’ … tanto … le mie tasche erano vuote così che dovevo far “di necessità virtù”… Con quel servizio avrei coperto di sicuro le spese per studiare e continuare il mio convitto nel Seminario: cosa che m’interessava parecchio … Si … Avete capito giusto: parecchio … Volevo fare il Prete … Beh: e alla fine l’ho fatto … Ma questa è un’altra storia parallela che lasciamo là.

Sono d’accordo con voi che non era il massimo per la mia giovanissima età: trascorrere l’estate intera dentro a quel chiesone, ma ogni giorno “facevo buon viso a cattiva sorte”, e m’infilavo nella Basilica senza mugugni per “guadagnarmi la pagnotta”e garantirmi gli studi ... In accordo, e un po’ “all’ombra e sotto tutela”del bonario, burbero e benevolo nei miei riguardi: il quasi mitico Don Giuliano Bertoli Rettore del Seminario e della Basilica della SaluteLo facevo volentieri insomma: si trattava di finanziare il mio futuro incerto ...incerto quanto l’esistenza di quella famosa Cripta che poteva esserci da qualche parte sotto al pavimento della chiesa.

Tornai quindi a racimolare il mucchietto delle chiavi che avevo lasciato in fila sopra il bancone della Sacrestia la sera prima, e avanti di procedere all’apertura mattutina, mi affrettai ad avvicinarmi ai portoni chiusi del solito Altare Laterale per provare ad aprirli.

Prova la prima, prova la seconda, prova la terza … Niente da fare: “Mannaccia anche a te passaggio !”

Una chiave era troppo grande, una troppo piccola, una troppo liscia, l’altra girava a vuoto ... Il ragno che abitava la serratura se l’era svignata in fretta indispettito e per niente contento di dover abbandonare la sua tana distrutta … Viceversa io fremevo per l’attesa di dover riuscire prima o poi a trovare la chiave giusta ... Finchè accadde, proprio con l’ultima possibilità: la quinta.

Mi accorsi subito che era la chiave giusta, perché oltre ad adattarsi a meraviglia alla toppa della porta, avvertii subito un gridolino che fuoriusciva dalla serratura. Diedi due mandate energiche girando verso destra, e ottenni in cambio un secco clic e un doppio cigolamento che si concluse con il portone che si rilasciò su se stesso aprendosi un pochetto: “Aperto ! … Ce l’ho fatta.” dissi a me stesso, e provai a spingere il pesante portone verso l’interno.

Stavolta mi rispose un vero e proprio grido proveniente dai cardini superiori e inferiori della porta, mentre uno zaffo intenso d’aria umidiccia, salmastra e muffosa mi colse in volto. La porta s’era socchiusa appena quanto bastava per infilarmi dentro: una fessura poco più, e siccome allora ero magrissimo e smilzo come un chiodo, accesi la torcia che mi portavo appresso, e m’infilai dentro senza esitare.

L’ambiente era stranissimo: un corridoio stretto e lungo e dal soffitto altissimo, illuminato solo scarsamente da un finestrucolo che si apriva sull’esterno della chiesa e del monumento ... Quel che mi sorprese di più fu che l’intero ambiente era quasi del tutto intasato e occupato da alcuni immensi e tozzi pezzi di un altare semovente in legno che era stato riposto proprio lì dentro. Davanti a me stavano ammassati alla rinfusa: gradini, pianali, balaustre e colonnette intarsiate e dipinte di legno. Un marchingegno pesante, massiccio, ingombrante al massimo: era impensabile riuscire a spostare da solo quei pezzi … Non ci sarei riuscito neanche parzialmente nonostante tutta la mia buona volontà.

A me interessava notare però se c’era un qualche passaggio, un accenno di porta, una scaletta, un qualche pertugio o rientranza. M’infilai perciò ovunque potevo con la mia torcia accesa: sotto di qua … fuori di là … Strisciando di sotto ai legni e sul pavimento arrivai oltre quel gran ingombro potendo ispezionare il resto di quell’abitacolo strampalato … Avevo mezz’oretta a disposizione, e la utilizzai tutta per controllare il controllabile e ogni angolo possibile.

Risultato ? … Niente di niente ... Non c’era assolutamente niente ... Ogni volta che emergevo verso le pareti e dal quel groviglio di pesanti legni, finivo sempre per trovarmi davanti a un muro spesso e bello pieno ... Nessun accenno o segno d’uscita o cose simili, se non l’altra porta scura che indicava la fine del corridoio in corrispondenza dell’inizio del secondo Altare Laterale.

La raggiunsi per essere certo d’aver controllato tutto e bene, e osservando da dentro attraverso il buco della serratura stavolta non abitato da Ragni, ebbi la conferma che si trattava proprio dell’altare vicino e confinante … Non c’era nient’altro.

“Ricerca infruttuosa …” commentai a me stesso deluso come voi.

Non era finita però: “Ora proverò con la porta opposta dell’Altare.”e ripercorsi così a ritroso e in velocità l’intero corridoio ingombro passando sotto e sopra a quella catasta di legname finchè riguadagnai l’uscita e entrata iniziale.

Mancava ancora un quarto d’ora al momento dell’apertura della chiesa: ero stato tanto veloce quanto curioso … Perciò togliendomi di dosso ragnatele e polvere, provai a inserire subito la stessa chiave dentro alla toppa della porta opposta dell’altare. Stavolta la chiave mi rese però la vita difficile, perché pur entrando a meraviglia nella sua location, confermandomi che era la chiave giusta, dopo un mezzo giro non voleva saperne di continuare a girare oltre fino ad aprirsi del tutto sfornando il magico clic liberatorio.

“E no cara mia ! … Non riuscirai a fermarmi !” dissi a me stesso senza deprimermi nè perdermi in un bicchiere d’acqua: “Adesso ti sistemo io !”… e detto fatto, infilai dentro all’occhiello della vecchia chiave una seconda chiave facendo leva e perno e quindi forza. Puntai il piede sullo stipite della porta, e la schiena sullo stipite opposto, e mentre temevo di spezzare la chiave dentro alla serratura: “clak!” mi rispose, e finalmente si decise ad aprirsi con mia grande soddisfazione.

Il campanile di San Marco suonò rimbombando solennemente le nove, e udii distintamente la solita folla dei turisti che già rumoreggiava e vociava di fuori ammassata sui gradini della scalinata della Basilica.

“Un attimo di pazienza ! … Che adesso arrivo !” dissi a me stesso più che ad altri, e senza esitare m’infilai dentro al secondo passaggio in tutto simile a quell’altro che avevo appena visitato e ispezionato ... Anche lì la stessa scena, quasi identica: altri pezzi grossi e tozzi del vecchio altare semovente in legno smontato. Ancora gradini, paratie, intagli e pezzi da incastro … Il solito mucchio confusionario e accatastato pesantissimo e ingombrante che stavolta arrivava fino al soffitto.

Il loghetto, infatti, a differenza dell’altro “passaggio”era ancor più buio, e l’unica finestrella era quasi schermata del tutto da uno dei pannelli di legno posizionati proprio davanti. Di nuovo come un animale sgusciai ovunque, m’infilai dappertutto scrutando attentamente ogni angolo e rientranza di tutte le pareti ... Per essere sicuro di aver guardato con attenzione, scrutai anche ogni metro del pavimento a caccia di una qualche botola improbabile, di un’apertura particolare, una lapide, o qualcosa di strano. 

Niente, neanche stavolta … Solo calcinacci sparsi ovunque caduti dal soffitto malridotto per le infiltrazioni e l’umidità asfissiante che si respirava lì dentro ... Mi sembrava d’essere nel chiuso di una miniera ... Ricerca infruttuosa insomma … Raggiunsi la corrispettiva porta opposta in fondo al corridoietto … Niente di niente: niente entrate e uscite alternative ... Niente ipotetica Cripta.

“Maledetto turista ! … e maledetta cartina sbagliata … La cripta se la sono inventata ... Qui non si va da nessuna parte.”

Qualche istante dopo aprii il portone ai turisti scalpitanti ed entusiasti di poter accedere a tanta pomposa Bellezza ... Una mi sbirciò incuriosita: si … era vero … Ero un po’ malmesso e impolverato di prima mattina … Beh: poteva capitare lavorando … No ?

Finita la ricerca ?

Ma neanche per sogno … Mi rimase vivissimo dentro il pensiero: “Non c’era niente … E’ vero … Ma non potrebbe trovarsi altrove l’entrata alla Cripta dei Pali ? ... Magari dove non me l’aspetto ...”

Da quel giorno iniziai a osservare ogni angolo della chiesa come mai l’avevo guardato … Poteva essermi sfuggito qualcosa … Che ne so ? Un particolare, un dettaglio ... una porta murata … un’ombra su muro.

Non trovai nulla.

Sono cocciuto di mio … sempre stato … Quindi alla prima occasione tornai di nuovo alla carica col solito anziano Prete saggista e ricercatore: “Sa che nel posto indicato dalla mappa non c’è proprio niente ?”

“E pensi che non lo sapessi ? … Di lì ci sono passato a guardare e cercare ben prima di te … Ti posso ribadire che lì sotto non c’è niente … Anche se ...”

“Sono questi suoi “anche se” che mi preoccupano.”

“Devo dire per forza “anche se” perché di fatto lì sotto credo che nessuno abbia mai messo piede … Perciò la verità è: che non si sa … E quando non si sa potrebbe anche succedere che prima o poi venga fuori qualcosa d’inaspettato o di supposto ... è così la Storia ... In ogni caso lo “Zatteròn dei Pali” esiste per davvero … Non è una grande novità affermarlo perché ne esiste uno sotto ad ogni geande palazzo Veneziano … Vuoi che non sia sotto a un colosso come la Basilica ?”

“Infatti ! … Ho inteso che lì sotto ci sono infilati “in piedi” migliaia di pali, cioè alberi, accostati fra loro e impilati uno sull’altro … Ci deve essere un’intera foresta circondata da un muro di pietra ermetico e invalicabile più dello steccato di un giardino … Il basamento della Salute è come un’immensa scatola su cui s’è posto per sempre come coperchio chiuso: la Basilica stessa.”

“Buona come immagine … Hai detto giusto … E allora se non si entra ed è tutto chiuso … Niente cripta … No ? … Ci potrà forse essere stata una cripta di lavoro o chissà: forse delle gallerie per gestire e controllare meglio l’immissione dei pali … Dei corridoi per passare da una parte all’altra dentro a quelle immense fondamenta … Dai: dei passaggi, come dentro alle miniere …”

“Allora si può dire che forse c’era qualcosa ?”

“Dirlo e supporlo si fa presto … Ma tra il dire e il fare se non si tirano fuori le prove serie c’è di mezzo il famoso mare … E poi che cosa cambia ? La Basilica della Salute non conta di certo per la sua palizzata sotterranea e la sua eventuale cripta … Anzi, spero che non si trovi mai l’entrata … ammesso che ce ne sia stata una, perché si scatenerebbe una grande curiosità e una confusione di cui non c’è affatto bisogno … La nostra Salute è importante per ben altre cose, non per i pali che la sostengono ... Osservando le carte e i progetti, mi piace pensare che la grande chiesa nella mente del suo Architetto Longhena volesse sembrare una grande nave simbolica con la prua diretta verso San Marco: nocchiero e timoniero della Serenissima insieme col suo Nobile Doge ... Questa è un’immagine buona da considerare guardando la Basilica … Se l’osservi dall’alto: sembra proprio una nave, un’antica Galea Veneziana … Sopra alla Cupola Piccola, sul cassero della nave: sta San Marco … Patrono di tutti, e Timoniere-Protettore della Storia della Serenissima … L’Ammiraglia della grande nave: è, invece, la Madonna posta in cima alla “Cupola Grande” … E’ lei che sa governare la nave e condurla fuori dalle secche lontano dai pericoli di ogni possibile pestilenza … Questo i Veneziani lo sapevano e lo sanno bene ormai da molti secoli ... La Salute è un Porto sicuro di salvezza per i mali di ogni epoca … e i Veneziani lo confermano ogni anno a novembre ... Cripta o no … Questo è cià che conta ... il resto è solo curiosità più o meno storica.”

“Ho capito … però ammetta che l’idea di quella “Cripta dei Pali” di sotto è intrigante …”

“E chi ha detto di no?”

“Già che siamo ancora in argomento, volevo aggiungerle un’altra cosa … Tempo fa quando non pensavo affatto alla faccenda della Cripta, un giorno sono andato in chiesa come sempre per controllare e sbrigare le mie solite cose, e mi è capitato di notare una stranezza.”

“Sarebbe ?”

“Oltre le cordonate che cingono il pavimento centrale per difenderlo dalle troppe scarpe che ne strappano via i pezzi, ho notato una turista, una donna, perfettamente distesa a terra a braccia e gambe spalancate proprio al di sotto della grande lampada centrale della Basilica.

“Una donna buttata là ?”

“Si … proprio una giovane donna … Beh … giovane ? … di mezza età … “Che stia male ?” mi sono detto, anche se ero certo che una che sta male non va di certo a scavalcare le transenne della chiesa per andare a mettersi proprio lì al centro della cupola  … sotto a quel gran lampadario incombente ... Però: sa … Il mondo è pieno di persone strambe, perciò mi sono fatto coraggio e mi sono avvicinato pensando che potesse essere successo qualcos’altro ... Ho scavalcato anch’io il cordone quindi, e sono andato accanto alla donna che se ne stava immobile sul pavimento ad occhi chiusi … “Embè ?” le ho chiesto, “Che ci fa qui ? Non vede che è proibito entrare fin qui sotto ? … Sta male ?” … Quella mi ha sorriso aprendo gli occhi luccicanti e vispi, e alzandosi subito “di brutto”, in un Italiano smozzicato mi ha fatto comprendere che non stava affatto male, ma che si era messa apposta lì per un motivo ben preciso.”

“E sarebbe ?”

“Mi ha risposto: “Sono venuta apposta dall’America perché siamo convinti che questo punto del Mondo, come molti altri in giro, sia un punto speciale in cui converge una potente energia cosmica e planetaria che va a finire a concentrarsi in un punto preciso nella Cripta di sotto … E’ sufficiente sistemarsi qui per usufruire, beneficare ed essere partecipi di quel influsso benefico ... Quindi eccomi qua: spalancata ad accogliere quel misterioso fluido positivo che può arricchire la nostra Salute e la mia vita … Credo che per questo motivo questo Tempio si chiami così.” … “Ah ? … Benòn !” … mi sono detto esterrefatto … Conoscendo un po’ da buon Veneziano com’è andata veramente la Storia, sono rimasto perplesso … direi quasi a bocca aperta ad ascoltare quella là … In verità: senza sapere che cosa replicare ... Le ho detto poi: “In ogni caso venga via di qua … che mi sta rovinando il pavimento con quei suoi zoccolacci legnosi.”

“Era un po’ suonata ... Mi pare evidente.”

“Forse sì, anzi, probabilmente … Però ha tirato fuori di nuovo la faccenda della Cripta sottostante.”

“Ma dai ! … Non filarci dietro … Te l’ho appena rispiegato: non esistono documenti al riguardo … Ascolta me: lascia perdere una volta per tutte la storia della Cripta …. Non c’è nessuna cripta, né tantomeno qualche sfera cosmica nascosta di sotto ... Piuttosto la turista dovrebbe sapere meglio di me che quel punto in cui si è distesa è quello in cui è stata posta la famosa medaglia di fondazione della Basilica … Infatti c’è lì una scritta enigmatica incisa dentro a quel mirabile mazzo di rose in pietra … Quella bisogna andare a leggere, invece ! … Non la sfera cosmica ! … Perché è quella la spiegazione dei Veneziani sull’esistenza della Salute e su tutto il mistero che l’ha fatta costruire e si è voluto rappresentare lì dentro.”

“La scritta è: “Unde Origo inde Salus” … vero ? … Che sarebbe: “Dallo stesso posto in cui Venezia ha tratto le sue origini, sempre da lì è scaturita fuori la sua Salvezza”.”

“Mmm … Vedo che un po’ di Latino lo stai imparando finalmente … La scritta dice proprio così … Insomma: Venezia, il Doge con i suoi Nobilissimi compagni e il Popolo dei Veneziani erano dei credenti … allora … Anche se erano svegli e furbi, dediti alle acrobazie del Mercato e della Guerra, si fidavano e andavano a cercare la Madonna e il Padre Eterno soprattutto quando non sapevano più dove sbattere la testa per arrangiarsi con le proprie forze … Come durante l’esplosione mortale della Pestilenza ad esempio.”

(Quanto è vera ancora oggi questa cosa nel 2020 … a distanza di secoli ... aggiungo adesso.)

“Devi sapere che quelle rose del pavimento hanno un significato mistico misterioso … se vuoi anche cabalistico … A quei tempi i Veneziani e non solo loro avevano un particolare interesse per i simboli e i numeri cosmici, ma anche ci credevano un poco … Non sapevano fare a meno di racchiuderli dentro alle cose che costruivano, e quindi le hanno messe dentro anche a questo tempio così originale e dalle forme così perfette ... Pensi forse che Longhena non abbia pensato di includere e nascondere significati speciali qui dentro ? … Prova a contare i gradini della gradinata principale, quella dei Pali ! … Quanti sono ? … Te lo dico io, non scomporti ad andarli a contare: sono un numero simbolico come quello degli altari della chiesa, e di tanti altri numeri nascosti e inseriti nelle misure della struttura della Basilica … La Salute intera è una matassa inestricabile di simbologia e numerologia, e soprattutto di Tradizione e Devozione … E’ un gioiello in ogni senso ... Se solo ci fossero finanziamenti per fare ricerche e restauri … sono certo che scopriremmo molte altre cose ... non solo la Cripta con lo “Zatteròn dei pali.”

“Ha fatto ancora accenno allo “Zatteròn dei pali” ? … L’ha messo nella lista delle cose da scoprire …”

“Già … chissà perché ?”

Che dirvi ? … Me ne uscii ancora una volta con quel solito motivetto in testa, quasi fosse il ritornello di una canzone che non finiva mai.

C’era o no sta benedetta Cripta ? … Mah ? … Probabilmente no … però ?

Fine della seconda parte/continua ancora … e poi forse ancora … chissà ?

 


“CHE C’E’ SOTTO LO ZATTERON DEI PALI DELLA SALUTE A VENEZIA ?”

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#unacuriositàvenezianapervolta 222

“CHE C’E’ SOTTO LO ZATTERONE DEI PALI DELLA SALUTE A VENEZIA ?”

(parte terza)

Poi sapete com’è quando si è giovani … C’è ben altro che ti frulla per la testa, e non solo le scadenze e gli obblighi di quel che era il mio “iter da futuro Prete” ... La faccenda del passaggio sotterraneo e dell’ipotetica Cripta un po’ si assopirono dentro di me tornando nel dimenticatoio di me stesso … per un bel pezzo a dir la verità ... Finchè un giorno dopo un po’ di anni, tornarono improvvisamente a riaccendersi tutti quei vecchi interrogativi, la simbologia mistica dei numeri, il significato delle Rose della Basilica della Salute, e perché no ? … anche il pensiero di quella cripta del Zatteròn dei Pali che poteva esserci o non esserci … Quelle domande le rispolverò e le riaccese una signora che ogni anno in prossimità del giorno della Festa della Salute si presentava, sole o pioggia, neve o nebbia, vento o acqua alta: ogni volta con in braccio un grosso mazzo di splendide rose rosa corrispondenti ai numeri e alle figure simboliche del chiesone. Non finiva mai di stupirmi ogni anno quella donna: “E’ da generazioni su generazioni che la mia famiglia offre ogni anno queste rose alla Salute … Si dovrebbero mettere in cima all’altare della Peste e nella cripta sotto all’altare.”

“Dove Signora ?”

“Sopra l’altare ho detto … e anche dietro … nella Cripta.”

“Ah ! Si … giusto: ho capito … Sarà fatto: altare e cripta … come dice lei.” non mi era sfuggito il dettaglio: “Ha ribadito: Cripta … Ma meglio se lascio stare … Intende probabilmente l’altarolo dietro l’Altar Maggiore … La Cripta è solo una suggestione da dimenticare” ho ripensato e mi sono detto più volte provando a rimuovere quell’input particolare.

E mentre ancora se ne andava via: “Mi raccomando giovane: una parte anche nella Cripta di sotto !”

“Non mancherò Signora … Grazie.” e al mio semplice grazie ogni anno s’aggiungeva quello ben più importante e “pesante” del Rettore della Basilica, che appena vedeva quella “donna dei fiori”mollava tutto, qualsiasi cosa stesse facendo, e le correva incontro “tuttodenti e grazioso” per salutarla e ringraziarla … finendo: udite udite … con un graziosissimo baciamano … Non lo vedevo mai rivolgersi a nessuna donna così … Con lei, invece: si … Insolito di sicuro.

Da novembre all’estate … mesi di mezzo … E quando mi ritrovai un’altra volta ad aprire e chiudere e a far la guardiania del chiesone, non ho potuto dentro l’afosissima estate se non continuare a vagheggiare quei pensieri … Finchè, come nelle fiabe, un giorno vidi un tipo strambo passeggiare sotto alle volte della chiesa facendo il “passo dell’oca” e con un largo foglio spalancato in mano.

“Che è ?  … Ma tutti qua devono capitare ? … Sarà un nostalgico Romano o Nazista … O che cosa mai ? In giro c’è sempre tutta sta gente stramba … Sembra che le chiese di Venezia abbiano la spiccata capacità di calamitarle tutte.” riflettei.

Perciò uscii dalla mia panca di guardiola in Sacrestia, e m’avvicinai al tipo dicendogli: “Scusi … Ma che va facendo ?”

“Ah niente di particolare ! … Stia tranquillo, non si preoccupi … Sono solo un ricercatore appassionato che sta misurando a passi questa chiesa … Sto facendo dei pacifici riscontri perché secondo me dentro a certe misure di questo edificio sono celati dei bei segreti.”

“Ah benòn … Ci mancava pure questa.” ho pensato.

“Ha mai senti parlare del “p greco” e dei numeri perfetti ? … della simbologia e dei significati nascosti dentro all’edificazione di certi monumenti ? … Questi ambienti sono degli edifici cosmici misteriosi !” mi disse spalancando gli occhi carichi di un qualcosa che mi pareva eccessivo per non dire strano.

“Ma devono capitare proprio tutti qua ?” mi sono ripetuto in silenzio e sconsolato.

“La vedo un po’ perplessa … E’ normale ... Accade sempre così a chi non è introdotto abbastanza in certe questioni … Venezia è tutto un numero, una simbologia, una ripetizione e accentuazione continua di misteri e segreti … Ce ne sono ovunque … Ha letto per caso il saggio su San Francesco della Vigna e la sua costruzione, disfacimento e ricostruzione secondo certi canoni mistici ben precisi ? … Non ha studiato per caso i numeri di San Marco ? … O quelli di San Giorgio, o quelli racchiusi nella Scala del Bovolo, o nella Cripta di San Simeon Piccolo ? … Venezia è una miniera inesauribile di queste cose.”

“Già …”

“Manca solo che mi parli della Cripta sotterranea qui sotto.” pensai fra me e me ... Per fortuna non lo fece, ma si accontentò di precisare: “Ad esempio … Vede su in alto nella Cupola Grande, le statue in legno dei Profeti ? ... Hanno tutti in mano un cartiglio … che non è affatto solo esplicativo e simbolico, né è stato costruito e messo lì per caso … Leggendo le lettere dei cartigli in un certo modo ne uscirà una frase misteriosa … che fa riferimento a un antico luogo significativo e di fondazione di questa chiesa.”

“Bum ! … Ecco che ci risiamo … Eccone sparata un’altra di grossa.” mi sono detto.

“Da quanto so io, i cartigli non sono più quelli originali che sono andati usurati dal tempo … Non so quindi se si è conservata quella strana storia delle lettere e della parola … So che sono stati ritoccati durante il 1800.”

“Ritoccati o rifatti ?” mi chiese cupo lo strano ometto visibilmente innervosito.

“Non saprei … mi sembra rifatti.”

“Ecco ! Lo sapevo ! … I soliti disgraziati ignoranti ! … Volete vedere che è andata persa la chiave di lettura e l’interpretazione originaria ? … Non si deve mai toccare nulla di quanto è originale ! … Nulla ! Si rischia di perdere significati preziosissimi … Possibile che nessuno lo capisca ? … E ora se non le dispiace avrei da fare.”

Dovetti lasciarlo fare, e lo vidi riprendere le sue indagini visibilmente irritato … Nel frattempo i turisti avevano approfittato della mia distrazione, e s’erano intrufolati a frotte nella Sacrestia rimasta incustodita senza pagare alcun biglietto d’ingresso: “El Retòr me còppa se lo vien a savèr ...”

Tornai allora alla mia postazione “di guardia”, e trascorsi il resto della giornata a ripensare a cartigli, Rose Mistiche, Zatteròn dei Pali, e Cripta ovviamente … e a tutta quella serie dei numeri simbolici e cabalistici volutamente nascosti dentro ai monumenti.

Qualche giorno dopo, infuriò un temporalone, una burrasca estiva su Venezia e sulla Basilica della Salute, una folata più energica di vento aveva strappato e rotto alcuni catenacci e ganci antichi e consumati, perciò in alto dentro al tamburo della Cupola Grande si era spalancato uno degli enormi finestroni posti sul tamburo dell’immane cupola. Accorremmo in molti volonterosi in alto, cercando come meglio ci riusciva di richiudere e fermare quella grande finestra che sventolava nella tempesta come fosse una grande bandiera … Ci mettemmo in diversi con l’aiuto di corde e cordini a tirare la finestra scricchiolante che fremeva tutta … In ogni momento sembrava che il vento volesse portarsela via e trasportarla oltre il Bacino di San Marco fino a consegnarla in omaggio al Doge di Palazzo Ducale… Solo l’intervento tempestivo, provvido ed efficace dei Pompieri riuscì a sistemare e contenere gli effetti deleteri di quella gran “Buriana”.

“Altro che misteri ! … Qui viene giù tutto !” mi trovai a pensare: “Invece di nascondere Zatteròn e segreti dentro alle interiora di questo chiesone, non sarebbe stato meglio se Longhena avesse pensato a chiudere e ancorare meglio questi immani finestroni ?” dissi a un mio compagno di studi che mi stava accanto inzuppato di pioggia quanto me.

“Zatteròn ?” mi chiese incuriosito. “Che sarebbe ?”

“No … No … Niente … Lasciamo stare, che è meglio … Come non detto.”

Ancora a Cripte e Zatteroni pensai molte altre volte quando salivo in alto fino in cima alla Cupola Grande, proprio sotto ai piedi della Madonna bronzea. Mi piaceva un sacco salire lassù in alto, facendolo spesso all’insaputa quasi di tutti. Mi andava a distendere a leggere e studiare al sole sdraiato accanto piombi bollenti del rivestimento della cupola … Dall’alto mi piaceva osservare Venezia splendida distesa sotto ai miei piedi, ma anche la chiesa, quell’oggetto davvero strano, quella forma insolita e rotonda, unica a Venezia, che si precipitava tonda di sotto a me con tutte quelle sue volute laterali, quei riccioli sinuosi creati a posta per il gioco delle spinte e controspinte statiche ... Sembravano quasi sensuali, come somiglianti alle forme di una donna seduta, appollaiata ad osservare il Canal Grande, o distesa insieme a me a prendere il sole davanti al Bacino di San Marco.

Che belle sensazioni che ho provato lassù … e quanto ho studiato e imparato “da Prete” appollaiato là in alto !

Ogni tanto mi piaceva scendere e calarmi dentro alle intercapedini buie di legno della Cupola Grande, rotonda di fuori e ottaedro di dentro … Altro numero simbolico … Mi fermavo a scrutare con la torcia gli antichi disegni dipinti sui muri col carbone dagli operai che avevano costruito quella meraviglia … Avevano fatto gli schizzi del lavoro da intraprendere, segnato le misure delle linee da seguire, e il disegno della planimetria dell’intera chiesa … compresa quella dello “Zoccolòn di sotto dei Pali.”

Quante volte mi sono fermato a scrutare quelle croste, quei segni quasi scomparsi del tutto consumati dal tempo. Li guardavo e riguardavo stretto dentro alle travi che sapevano di muffa, polvere e segatura. Dentro a un caldo torrido, grondando di sudore per il caldo come un ombrello sotto alla pioggia, provavo a decifrare quei disegni per capire nella mia ignoranza se ci fosse segnato qualcosa di particolare … magari di una Cripta ?

Guarda e riguarda … C’era forse sì: un segno di porta, d’entrata centrale sul retro … Ma forse soltanto, proprio appena accennato … e neanche chiaramente ... Se ci pensate: era logico che vi fosse … A volte, però, mi pareva di finire col vedere tutto quello che avevo voglia di vedere ... A pensarci bene erano solo scarabocchi, cenni, appunti e indicazioni di servizio per quelli che lavoravano in alto in cima alla cupola: cioè proprio dalla parte opposta rispetto a quell’ambiente che stava forse dimenticato sotto di tutto, proprio dentro alle fondamenta del chiesone ... Che poi ? … Non è che i Mureri, i Tagjapiera, gli Artieri e i Mastri di allora rimanessero lì preoccupati di lasciar traccia ai posteri dei dettagli di quanto stavano facendo … Lavoravano e basta.

“Che io sappia, non esiste alcuna porta d’ingresso tutto intorno allo zoccolo di base della Salute ... Neanche a pagarla oro ... Non è assolutamente possibile entrare sotto e dentro allo Zoccolòn dei Pali.” mi spiegò in un’altra occasione un altro dei Preti Studiosi e ricercatori sempre in concorrenza fraterna e spietata con gli altri suoi simili: “Hanno fatto una palizàda massiccia ... Appunto: un zateròn chiuso ermetico: una fondamenta omogenea … e basta … Non avrebbe avuto senso lasciare corridoio, buchi e sale aperte … a che prò ? … Per le fantasie future ?”… Avete mai sentito nominare Don Gastone Vio ? … Beh: era lui ... altro pezzo da novanta dei Preti Ricercatori e studiosi: lupi indefessi d’Archivio ... Pozzi di conoscenza senza fine su Venezia e la sua Storia.

Giunse poi il tempo in cui si dovette per forza procedere con alcuni piccoli restauri obbligati. Nella Sacrestia Vecchia della Salute s’era creata un’infiltrazione dal soffitto, e pioveva dentro abbondantemente ... Niente di che: normale routine per un vecchio edificio possente come il nostro chiesone. Di certo “chi di dovere” avrebbe provveduto il più presto possibile con un intervento adatto e risolutore … Ma sapete com’è: ieri come oggi si muore di burocrazie e di competenze … e nel frattempo va in malora tutto ... A Venezia poi, anche solo per guardare qualcosa servono cento permessi e chissà quante domande … I finanziamenti poi … Non ne parliamo.

Insomma, nell’attesa intanto c’era bisogno di: “tamponàr la falla e tacconàr el soffitto alla bòna” per ridurre e contenere il danno il più possibile ... Si fa sempre così a Venezia: “se mètte un tacòn, che spesso xe un petòn pèso del buso.”

Arrivarono quindi: “casiòla, mastèla e malta”, scala e corde in spalla, i soliti due operai muratori di fiducia della Basilica e del Seminario: gli intramontabili “Foratòn e Mattonèa” che lavoravano lì praticamente da sempre ripristinando pezzo dopo pezzo, estate dopo estate, il grande complesso simbiotico del Seminario & Basilicasempre incerottato come malato cronico oppresso dagli anni … Anzi: dai secoli.

Andarono loro due a “butàr l’ocio … e mèterghe e man”… Me li ricordo arrivare come ieri: baschetto “sguincio e bisunto”uno, cappello di carta di giornale l’altro … Rimasero entrambi col naso all’insù a parlottare per un bel po’ con le loro magiche “massètta e scarpèo”appoggiati accanto e pronte all’uso ... Sarebbe bastato un ordine secco di Matonèa, e avrebbero sventrato un muro con pochi colpi decisi ... Il Mestiere era il Mestiere: “Bisogna vèrser par capire … Vedèr cossa che ghe l’è dentro ... E dopo se farà.” amavano ripetere, e quando aprivano … vi garantisco che aprivano.

Rimasero quindi lì con la loro scaletta che non arrivava da nessuna parte … Ne sarebbe servita una lunga almeno il triplo se non di più.

Qualche anno fa la sicurezza sul lavoro era più che mai un optional … Perciò fecero il giro della chiesa, raccattarono altre vecchie scale, le legarono sovrapposte fra loro come un grosso insolito salame ... e:“tira … pàra … molla … la vègna … àlsa e sbàssa”… raggiunsero il soffitto in alto come ragni adesi al muro ... Non erano stupidi e rompicollo però … Giunti lì in alto: ficcarono due grossi chiodi nel muro a cui si ancorarono come barche a un palo nel canale: “Bòn … Da qua no se movèmo ... andèmo de e bòne.”  disse Foratòn … e attaccò il soffitto: pin pon, pin pon … una raffica di mazzoccate fitte fitte … Caddero calcinacci a iosa … Un polverone appunto “della Madonna”… per forza in quel luogo.

Poi scesero giù dalla scala nel tardo pomeriggio entrambi incipriati: per quel giorno il loro turno di lavoro era terminato: “Che nessun tòca niente eh ! … Che nessun entra: xe pericoloso.” dissero a me ... Poi al Rettore sciarpa sul volto venuto a controllare e sentire, preoccupato più che altro per l’agibilità del locale nell’ormai imminente nuova Festa della Salute, Matonèa spiegò cappello in mano sussiegoso e competente: “Come disèvo Bonsignòr … Bisognava vèrsare par saver el danno … E gavèmo verto … e el danno ghe xe … Ghe l’è una bèa filtrasiòn che gha marsio el travò del cantòn … e bisogna intanto taconàr e rinforsàr, netàr e metter una piera sùta che tegna, per evitar intanto el peso …  Poi i lavori veri se farà … Cosa dìseo Bonsignòr ?”

“Che vuole che dica ? … Taconèmo … Metteno almanco in sicurezza … Che non ci crolli il soffitto in testa.”

“Ma no Bonsignòr ! … No stèmo strasàrla … Xe solo una filtrasiòn … un fià de acqua … Demo do bòte e taconèmo … e intanto se tira avanti … Cossa dìseo ? … Fasèmo domàn ? … Cusì sèmo a posto par a festa ?”

“Facciamolo domani … se proprio bisogna … Poi faremo tutto un conto.”

“Eh ? … Par quello nol se preoccupa: ghe xe sempre tempo par pagàr … Doman ghe dàgo un colpetto de telefono al Giòmetra, e el ve darà che faremo tutto un conto alla fine … El sarà contento … E intanto sistemèmo … Buona sera Bonsignòr … Lo riverisco …”

Il giorno dopo giunse a sorgere puntuale, e con lui tornarono puntuali al lavoro i due muratori. Per un bel po’ trafficarono avanti e indietro a portare i pezzi di un’impalcatura che avrebbero tirato su in fretta. Appena spostato un vecchio armadio per issarla fino al soffitto … ne venne fuori da dietro un’inaspettata porta murata: “E questa coxa xela ?”disse Foratòn.

“Boh ? … Sarà stàda una porta del Monastero ? … Mah ?”

“De a cantina magari … Dove i Frati metteva el Grintòn … Saria da dar do bòtte e vèrsare anca qua …”

“Magari trovèmo e botti … Ti sa che bevùe che se fèmo ?”

Era uno spettacolo vederli all’opera e ascoltarli … Sembravano una commedia reale di Carlo Goldoni ... Quando potevo non li perdevo di vista.

“Che ci sia lì l’antica entrata della Cripta ?” se ne venne fuori il RettoreBertoli … e il cielo mi cadde in testa.

Sì … No … Sì … No ... Non toccate nulla per carità ! … O ci metteranno tutti in galera ! … Provate a sondare piano, leggermente … Perché potrebbe anche esserci ? … O potrebbe non esserci …

“va ben Bonsignòr … Ghe pensèmo noàatri … Adesso: dèmo do botte … e vedemo cosa vien fòra … Semo sempre là coi discorsi: bisogna tiràr so, spaccàr e vèrser: cusì se capisse …”

Infatti: Pìn e pòn ! … e Pìn Pòn ! … i due operai dopo aver issato l’impalcatura fino al soffitto, andarono avanti per tutta la giornata ad accanirsi su quella porta murata … Ogni tanto scostandosi i capelli arruffati impiastricciati di polvere e sudore, da dentro i denti scuri dicevano: “Ti vedarà che drio sta porta intivèmo a caneva dei Frati co e botti segrete de quel bòn.”

“Gigiòtta mia per carità !” cantilenò Foratòn stonato come una campana fessa.

E la porta finalmente la passarono: non c’era nulla … Solo un immenso muro di marmo invalicabile. Probabilmente era solo la traccia di una porta d’entrata di qualche antica Cappella precedente alla chiesa ... o qualcosa del genere.

Così anche quella volta sfumò la sensazione e la possibilità, quasi la voglia, di aver finalmente recuperato l’ingresso di quella fantomatica “Cripta del Zatteròn dei Pali”.

E trascorse ancora altro tempo, sempre come nelle fiabe … Cammina e cammina … e cammina e cammina … Qualche anno dopo se ne venne fuori una ragazza, nipote di un certo Prete e Monsignore importante, che stava facendo la sua tesi di laurea … Era riuscita a mettere le mani sopra il testamento di uno degli antichi Senatori della Serenissima… Un Nobile Bragadin mi pare … o forse no ?

Dopo aver scritto e rifatto, e modificato il testamento infinite volte, aveva lasciato detto nelle sue ultimissime volontà che desiderava essere sepolto dentro “alla Cripta di Santa Maria della Salute”: “in Criptae S.ta Mariae Salu …” mezzo cancellato e consumato.

Di nuovo quella benedetta Cripta della Salute ? … o si trattava solo di una tomba, un arca, un deposito sepolcrale comune qualsiasi nel camposanto nei pressi del chiesone dove un tempo c’erano stati perfino i Templari ? … Voleva dire proprio proprio “Cripta della Salute”? o intendeva indicare una qualche Santa Maria di altro tipo ? … La Laguna e Venezia sono stracolme di Sante Marie … e ce ne sono molte altre sparse in tutto il Veneto … Perciò …

“E allora c’era la Cripta ?”

“La dizione era troppo incerta e generica ... Poteva voler dire di tutto, ma soprattutto niente, perché si poteva riferire a una Madonna qualsiasi protettrice di ogni cosa e di chiunque ... Quante Madonne delle Grazie e della salute esistevano in giro per Venezia ?  … E ancora nel Veneto: quante Cripte di Santa Maria ci saranno ? … Di certo non una sola … E penso di sicuro: non proprio questa … Magari poteva essere Santa Maria Graziosa dei Frari … o quella del Giglio appena al di là del Canal Grande … o quella dell’Assunzione in “bòca de Piàssa San Marco” … Non se ne andrà mai fuori con questi discorsi…”

Insomma: c’è o non c’è … c‘è o non c’è … Cripta sì e Cripta no … Nel dubbio Curia e Patriarca sguinzagliarono ancora una volta per un po’ tutti i segugi Preti ricercatori della Diocesi che per un lungo tempo s’impegnarono di nuovo a frugare dappertutto negli Archivi della Serenissima, in quelli dei Nobili Patrizi, dei Monasteri, delle Istituzioni e Schole, e della Diocesi o Patriarcato di Venezia cercando “qualcosa” che fosse almeno inerente con l’argomento: Cripta.

Era come cercare il famoso ago nel pagliaio … che forse neanche c’era.

Risultato ?

Ancora niente di niente … solo qualche flebile traccia che storicamente si perse subito quando accadde il putiferio Napoleonico che svuotò, mise a soqquadro, e devastò ogni cosa a Venezia scoperchiando e buttando via perfino le tombe dei Dogi … A un certo punto di arche e sepolcri si fece tutto un fascio, e si scaricò tutta quella montagna d’ossa nell’isola di Sant’Arian in fondo alla Laguna … e si vendettero ovviamente tutte le “pietre buone”al miglior offerente.

Figurarsi quindi che poteva rimanere di tombe, cripte e sepolcri: “Se c’era una qualche traccia … Probabilmente è andata di sicuro perduta.” conclusero i Monsignori Segugi e studiosi ... E tutto finì ancora lì un’altra volta.

E non è per tirarla lunga o per cattiveria … ma per non soffocarvi sotto a questo immane polpettone di racconti, che mi tocca farvi aspettare ancora un po’ fino alla prossima volta.

Presto ...



“CHE C’E’ SOTTO LO ZATTERON DEI PALI DELLA SALUTE A VENEZIA ?”

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#unacuriositàvenezianapervolta 223

“CHE C’E’ SOTTO LO ZATTERON DEI PALI DELLA SALUTE A VENEZIA ?”

(parte quarta e ultima)

Il brodo lungo stomaca a lungo andare, come gli ospiti dopo il terzo giorno … e come le storie troppo lunghe.

Voglio però terminare di raccontarvela, perché come sapete meglio di me, la bella storia della Salute è una storia tutta Veneziana importante che merita, e s’è incredibilmente dipanata lungo i secoli continuando ancora oggi in maniera densa, sorprendente e soprattutto coinvolgente ... I Veneziani continuano ancora oggi a recarsi alla Salute ogni anno: quasi fosse un appuntamento congenito immancabile scritto nel loro DNA.

La faccenda del “Zatteròn dei Pali con la sua Cripta”è nata ben prima di me, e ha fatto arrovellare ben più di qualche persona per diverso tempo. Parlarne non è affatto una sorta di caccia al tesoro da “Indiana Jones di noialtri”,né un modo per catturare la vostra attenzione, ma solo il pallido tentativo senza secondo fini di provare a “mettere il naso”in qualcosa che è accaduto dentro e attorno al chiesone di tutti noi Veneziani … Così: in semplicità, come si raccontano di tante altre curiosità nostrane Lagunari e Veneziane.

Trascorso ancora un altro po’ di tempo da quelle vicende che ho già provato a raccontarvi, ho pensato bene di provare a documentarmi un po’ di più in prima persona sulle vicende della Basilica della Salute e la sua ipotetica “Cripta dei Pali”. Di certo dentro nel Seminario di allora non mancavano le opportunità di andare a leggere e cercare nelle sue famose Biblioteche Vecchia e Nuova, e già che c’ero, non ho tralasciato di andare anche a ficcanasare fra le scartoffie dei vecchi Preti ricercatori.

Sapete però come va a finire di solito “Il fai da te” di chi non ha stoffa sull’argomento … Non ho trovato niente di nuovo ... O meglio, sono finito col trovare contro ogni mia aspettativa un paio di cose che … (sarò anche un Veneziano romantico e un po’ sensibile) mi hanno fatto praticamente commuovere.

La prima era un elenco tremendo e drammatico la cui consistenza e chiarezza mi lasciò senza parole ... Mai nella mia mente avevo quantificato così in dettaglio e chiarezza le conseguenze di quell’antica pestilenza che aveva visitato Venezia: “Fra il 26 ottobre 1630 e il giugno 1631, a Venezia si contarono come morte di Peste: 3.901 persone a ottobre, 11.966 a novembre, 6.069 a dicembre, 1.483 a gennaio e circa altrettante in tutti i mesi seguenti fino ad arrivare alle 2.199 di aprile e le 2.035 di maggio ... Solo da giugno il numero iniziò progressivamente e lentamente a scemare … ma poco più tardi riprese di nuovo a prosperare come secondo atto di un’orribile quanto tragica commedia ... Fu di sicuro un immane mattanza, un’immensa tragedia vissuta a Venezia di cui solo vagamente riusciamo a percepire i contorni.

A fine ottobre 1631 si conteggiò un totale di 46.536 Anime defunte a Venezia, a cui andarono aggiunte altre 35.639 persone morte nelle vicine isole di Murano e Burano, Chioggia e a Malamocco in fondo al Lido ... Le relazioni dei Pizzegamorti e dei Magistrati alla Sanità della Serenissima dichiararono di 82.175 il totale definitivo di quel lutto mostruoso, e fra questi distinsero i morti in: 11.486 donne da parto con i loro figlioli, 5.043 donzelle da marito o da monacare fra i 14 e i 25 anni, 9.306 putti, 29.336 donne, 1.129 Preti e Frati, 25.208 Mercanti e Artigiani, 450 Ebrei, e solo 217 Nobili perché la maggior parte di loro era fuggita lontano da Venezia.”

Il secondo documento su cui ho potuto posare gli occhi era, invece, la descrizione di una scena che mi ha fatto allo stesso tempo venire i brividi e provare un’intensa tenerezza.

Le Cronache Veneziane del tempo della peste raccontano, che quel giorno dentro alla chiesa di San Marco il Doge Nicolò Contarini depose il mantello dorato inginocchiandosi sul nudo pavimento ... Poco più tardi si tolse dalla testa anche il Camauro, uno dei simboli del suo grande potere di Serenissimo della Repubblica, e dopo essersi asciugato la fronte chiuse un attimo gli occhi rimanendo in silenzio.

Quell’uomo non era affatto un credulone sempliciotto, ma era un furbo e acuto uomo politico, uno degli uomini più potenti del Mondo di allora “capaci di fare alto e basso” delle sorti di molte genti ... Considerata com’era ridotta la sua Venezia, e a quale infimo stato fosse giunto il suo popolo, “col groppo in gola”e con voce tremante, interrompendosi ogni tanto per l’emozione, iniziò a proclamare davanti alla folla muta e attonita dei Veneziani rimasti, una sua orazione che diventò il testo del famoso voto del Tempio della Madonna della Salute: Ave Stella del mare, Donna delle vittorie, Mediatrice di Salute e di Grazia. Vedi ai tuoi piedi prostrato un afflitto popolo fatto bersaglio al flagello della Divina Giustizia. La guerra, la pestilenza, la fame, con orribile lotta si disputano a vicenda fra loro le vittime e tutte su noi vogliono trionfo di desolazione e di morte.

Mira come i nostri aspetti sparuti dal disagio, lividi dalla malattia, consunti dalle afflizioni, sporgono sotto la pelle le ossa spogliate: vedi come i nostri passi vacillano, come si dilegua il coraggio della Nazione estinguendosi il rampollo di tante illustri famiglie.

Saràn dunque perduti i monumenti delle nostre imprese? Saranno inutili le conquiste fatte in tuo nome?

Diverranno deserti, solinghi questi edifizi, magnifici testimoni del consiglio e del valore dei nostri Padri? Quei nemici, che a noi son tali, perché son tuoi nemici, esulteranno del nostro pianto, sovrasteranno alla nostra debolezza, e i nostri petti, non più riscaldati col sangue di tanti prodi, deboli scudi diverranno per opporsi ai progressi dei loro attentati?

Vergine Madre se nel tuo nome venne fondata questa Patria, se i nostri cuori furono sempre a te devoti, se tante prove ci desti di patrocinio, di protezione, deh! esaudisci le nostre preci, ricevi le supplicazioni di un popolo sofferente. Siamo peccatori, è vero, e perciò a Te ricorriamo, come a nostro rifugio ... Prega per noi il Divin tuo Figliuolo … Faccia salvi gli eletti suoi, scacci, allontani, annìchili, estirpi la tremenda lue che contamina le nostre vene, che miete tante vite, che desola i servi tuoi.

Al lampo benefico della tua Grazia l’anima nostra commossa intonerà l’inno di laudazione, e col coro de’ Celesti confesseremo le glorie Tue ed il Santo Nome di Dio. Ricevi l’umile offerta di un tempio, sulle vaste pareti del quale vogliamo che i secoli avvenire scorgano impressi i tratti della nostra Religione, e dove i successori nostri ed i posteri perpetuamente tributeranno annui rendimenti di grazie a Te Ausiliatrice ed Avvocata di questa nostra trista e sconsolata Repubblica.

Dopo quel giorno “stupendo e tremendo insieme” col Doge buttato ginocchioni a terra, per lungo tempo 300 zattere al mese cariche di tronchi provenienti dal Cadorefluitarono lungo il Piave fino alla Laguna di Veneziaandando ad ormeggiarsi alla fine del Canal Grande, proprio di faccia a San Marco, dove stava sorgendo il nuovo Tempio della Madonna della Salute. E’ stato in quei giorni che è nato lo “Zatteròn dei Pali”, perché le migliaia di tronchi venivano conficcati a forza in profondità nel fango fino a formare un’unica grande chiatta di base fatta di legni e pietre che divenne le fondamenta su cui si poteva innalzare lo spettacolare nuovo edificio.

Interpretate pure il tutto come meglio intendete … ma sta di fatto che l’anno seguente la pestilenza a Venezia non c’era più … anche se in seguito tornò più volte a farsi risentire e vedere in tutta la sua drammatica realtà.

Questa è stata la Storia che ho ritrovata scritta e segnata in quei mirabili documenti.

Passato ulteriore tempo, un giorno si presentò alla Salute una troupe televisiva Americanainviata a riprendere la “Cripta di Santa Maria” col permesso ottenuto direttamente dal Vaticano.

Apriti cielo !

“Qui non c’è alcuna cripta !”… tuonò e crepitò immediatamente il Rettore … ma non fu sufficiente ribadirlo.

“Se lo dice il Vaticano significa che avrà buone ragioni per farlo … Avrà degli indizi, delle prove ? … No ? … Sapranno di certo cose che voi non sapete ...”

“Non mi meraviglia affatto … Quelli sanno tutto di tutti.”

“Possiamo quindi entrare a filmare ?”

“Non se ne parla proprio !” ribadì inflessibile il Rettore della Basilica.

E allora: chiama di qua, telefona di là, chiedi più su e controlla più giù, e oltre il Canal Grande presso San Marco, e ancora a Romanella Sacrosantissima Sede Vaticana ... e il Rettore tornò gongolante e soddisfatto mettendo la mano davanti alla telecamere già accese: “Mi sono informato e consultato come avete chiesto … In conclusione qui non c’è nessuna Cripta da mostrarvi.” spiegò il Rettore al giornalista incredulo.

“Non è possibile … Ci deve essere per forza un errore … E’ tutto scritto qua sul permesso !” mostrò lo Statunitense curioso insistendo deciso. “Non vorrà mica che siamo venuti fin qui a Venezia per niente ?”

Nel dubbio … Di nuovo: chiedi, parla, interroga e controlla ... Infine venne fuori l’inghippo … O almeno così si disse: c’era stato probabilmente un fraintendimento, un “errore di sbaglio” fin dall’inizio … C’era sì una “Cripta Cristiana” di mezzo, ma si trattava più verosimilmente di quella del Monastero di San Zaccaria, oltre il Bacino di San Marco ... verso il Sestiere di Castello ... Lì … Si: proprio lì ci poteva essere parecchio su cui indagare e da guardare … Che si andasse là a documentariare.

“Si … Si … E’ là che dovete andare … E’ proprio quella la Cripta … Là sì che c’è !” proclamò soddisfatto e liberato il Rettore che già temeva di trovarsi la chiesa sottosopra e scrutata dappertutto: “Quella però è tutta un’altra storia, che non ha niente a che fare con la nostra Salute.” spiegò agli operatori televisivi accompagnandoli cordialmente fin sulla porta d’uscita in strada sull’assolato Campo della Salute… I giornalisti con la troupe fecero a malincuore fagòtto”, e se ne andarono delusi perché già pregustavano di vedere e filmare in esclusiva “un gran bel pezzo di Cripta” che dovettero andare a cercarsi altrove.

“Peccato !” commentò il cineoperatore andandosene e allungandomi ugualmente una piccola mancia per il disturbo d’averli accompagnati in giro, “perché me la immaginavo già cupa, fascinosa e bella.”

Dopo quell’episodio s’ammosciò di nuovo l’interesse circa la misteriosa “Cripta dei Pali”, finchè dopo qualche anno ancora accadde che arrivò lui.

Lui chi ? … Lui ! … Che non era un Lui qualsiasi, ma uno di quelli pieni di se che quando arrivava diceva sempre: “Tutti da parte, lasciate spazio, perché ora s’incomincia a far le cose sul serio … incominciano a lavorare quelli che se ne intendono per davvero.”

Si trattava di un Chierico della serie: “So tutto, e faccio tutto io”, che siccome aveva un amico studioso e appassionato di “cose classiche”, e anche i figli dei suoi amici avevano studiato Lettere a San Sebastianoe Storia in Calle Lunga con passione per l’Archeologia; perciò disse a tutti che siccome era riemersa quella “storia dei Pali” era giunto il momento di dargli una soluzione e una definitiva risposta.

Al momento siccome di sbruffonate in vita sua ne aveva già dette e fatte tante, nessuno gli diede retta più di tanto. Quello, invece, con gli amici lavorò parecchio come il fuoco che latita sotto alla cenere: cercarono, discussero e frugarono in giro quanto bastava, finchè si presentarono un bel giorno davanti al Rettore della Salute con una bella lista di posti e luoghi precisi in cui si sarebbe dovuto: “rompere, scavare e cercare per scovare finalmente l’ingresso della “Cripta dei Pali del Zoccolòn della Salute.”

“Non si preoccupi Signore Rettore”disse il Chierico sfoggiando tutto il suo solito sussiego e la sua maniera superdiplomatica: “Abbiamo pensato già a tutto … C’è già disponibile chi è disposto a pagare i lavori di ricerca … Conosciamo gli operai capaci di eseguire il lavoro … Vedrà che rimetteremo tutto a posto senza rovinare niente … e c’è anche chi potrà occuparsi degnamente di valutare i lavori e interpretare e divulgare in maniera giusta le eventuali scoperte ... Lei dovrà solo lasciarci fare … e firmare solo: qui, qui … e poi qui. Ecco: è tutto qua !”

E presentò diligentemente la lunga lista dei posti e luoghi della Salute dove si sarebbe dovuto “saggiare, aprire e intervenire.”… sembravano la versione aggiornata e modernizzata dei Muratori: Foratòn e Matonèa a distanza di anni.

Il Rettore non rispose neanche una parola, storse solo le labbra innalzando perplesso le sopraciglia, poi aguzzò lo sguardo e lesse velocemente il foglio dove c’era segnato qualcosa di simile:

ØAlzare il pavimento della cappelletta dietro e sotto all’Altare Maggiore. (il marmo del pavimento suona vuoto).

ØSondare i pavimenti dei sotterranei dove si trovano strane tombe e pavimenti sconnessi.

ØNel magazzino di sotto: Provare a togliere il pavimento che sembra essere stato costruito in fretta e furia, quasi buttato lì in fretta per nascondere qualcosa.

ØDi solito si sale nella cantoria dell’organo … ma scendendo sotto e dietro al vecchio cassone dell’organo che c’è ?

ØSembra che le scale dei due campaniletti laterali continuino a scendere e voltare ulteriormente dentro e sotto al nuovo pavimento. Dove andavano ?

ØI due anditi d’accesso alle scale che portano dentro e sopra alla Grande Cupola poggiano proprio su due punti strategici dell’edificio e del pavimento. Sono mai stati saggiati e studiati a sufficienza ? Non c’è neanche la luce per illuminare quegli ambienti chiusi e mai valutati abbastanza da qualcuno.

ØSondare attentamente tutti i pavimenti dei “Passaggi” fra altare e altare laterale della chiesa.

ØNella piccola Sacrestia dove è stato riportato un antico lavabo, c’è anche uno strano confessionale che si può asportare e voltare … Che cosa ci sta dietro ? … E sotto ?

E c’era molto altro ancora, la lista continuava lunghissima ... La risposta del Rettore non si fece attendere e fu peggio di un tornado … S’aprì il cielo di nuovo e mille volte più di prima … e fu tempesta per tutti: “Voi siete tutti matti se non di più ! … Qui finchè sono vivo io non si toccherà neanche un foglio di questa Basilica … Volete forse che la Sovraintendenza ai Monumenti ci tagli la testa a tutti ? … Non vorrete mica che finisca col trascorrere la mia vecchiaia ridotto in Galera ? Qui non si farà nulla, non si sposterà neanche un chiodo … Qui comando io e perciò decido io … Non si toccherà niente.”

E così accadde … Non si fece proprio niente, non si spostò né una pagliuzza e tantomeno un granello di polvere … cosa che sarebbe potuto tornare utile … e tutto finì cancellato e dimenticato con gran rammarico del Chierico che già sognava di comparire in televisione tutto pomposo a comunicare chissà quale scoperta.

La Cripta della Salute … se c’era … rimase nascosta al suo posto ancora una volta.

Non ne ho più sentito parlare, salvo che in altre due occasioni.

La prima a dire il vero ce la siamo un po’ cercata, perché conoscendo bene chi era il personaggio che stavamo andando a stuzzicare e interpellare, dovevamo aspettarci che sarebbe andata così. L’argomento era sempre quello, sempre lo stesso: ancora una volta la Cripta dei Palidella Salute.

Si trattava di un altro anziano Sacerdote che da tempo immemore si spacciava, pure lui, per ricercatore assiduo di “Venezianità”, e perfino per Archeologo(fai da te). A suffragare e giustificare quella sua attitudine campava certi suoi studi accurati, e certe fantomatiche ricerche eseguite a lungo “sul campo” privatamente … Secondo lui e sua intuizione-certezza: tutta Venezia era stata fondata e derivava dagli antichi Egei ... Punto … Qualsiasi cosa di Venezia era riconducibile là.

Ovunque, secondo lui, sotto Venezia c’erano resti di palazzi e templi pagani di un evo andato. Perciò non ebbe alcuna difficoltà nè dubbio nell’affermare subito: “Certo ! Anche sotto alla chiesa della Salute doveva sorgere un tempio antico dedicato forse alla Dea della Vita e della Salvezza … cioè della Salute … Di certo lì sotto dovrà esserci almeno una Cripta … Anzi, in confidenza …” ci disse sottovoce e guardandosi circospetto a destra e a sinistra, “Credo che lì sotto possa esserci anche una necropoli, un sepolcreto … o perlomeno un Lazzaretto degli appestati di Venezia … Ho visto e consultato le mappe antiche ! … C’è … C’è senz’altro.”

Sono sincero: non gli abbiamo creduto affatto … Tanto più che sapevamo benissimo che gli appestati di Venezia venivano portati al Lido, o nelle isole e nei Lazzaretti, ossia fuori dalla città.

Ma suggestione di quei discorsi, o perché come dice il detto: “Andarono per suonare e tornarono suonati”, quella sera stessa tornai alla Salute con la voglia d’andare a curiosare ancora una volta di sotto nel sotterraneo della Basilica per saperne una volta di più su quel punto preciso a cui aveva fatto riferimento il vecchio “Sacerdote Cercatore”.

Senza tanti giri di discorsi, ci aveva indicato l’accesso preciso all’antica Cripta degli Egei e della Salute declinati insieme.

C’eravamo cascati in pieno in quel giochetto di mera fantasia di quell’anziano Prete “un po’ così” ?

E se fosse stata un’intuizione buona ?

Quella sera con i miei compagni rientrammo in ogni caso nel Seminario divertiti, ma anche dubbiosi e perplessi circa la solita vecchia storia ... Non l’ho mai detto a nessuno in seguito … Quella sera stessa, lasciati gli altri nello studio, sono sceso da solo nel sotterraneo della Basilica di nascosto e senza chiedere alcun permesso al Rettore. Armato della mia torcia ho percorso i gradini della stretta scaletta storta, e sono andato dritto dritto a tastare e saggiare proprio quel punto del muro di cui ci aveva appena parlato il “Prete Cercatore”.

Molti conoscono bene il luogo a cui mi riferisco, perché hanno avuto l’occasione di visitare quel “magazzino sotterraneo delle candele”. Dietro a un paio di cancelli chiusi e qualche tramezzo di legno si confinava con l’antica falegnameria, le officine del Seminario e una stretta calletta privata e chiusa posta proprio dietro al chiesone della Salute ... Quella sera l’odore di muffa e chiuso era intenso, mescolato a quello acre dei sacchi di iuta usati per insaccare i moccoli non consumati delle candele.

L’anziano monsignore “Cercatore” e sognatore ci aveva detto: “Sì … a destra … scesa la scaletta … Di là si entrava nello Zatteròn dei Pali e nel Sepolcreto degli appestati …”

“Buon Dio ! … Qui non c’è nulla !” mi sono detto subito ... Ma come un imbecille ho continuato a tastare e osservare il muro massiccio dentro al basso cubicolo a volte … Pur essendo stato ridipinto di recente, era ugualmente tutto bagnato a chiazzato d’umidità … L’aria li sotto era pregna di salmastro proveniente del vicino canale ... Ho osservato con scrupolo ogni centimetro di quel muro scostando vecchie casse accatastate, carabattole e infinite cianfrusaglie … Niente … Non c’era niente di niente … Neanche un segno, una traccia, un qualcosa che potesse indurre a pensare a qualcos’altro. C’era e c’è solo uno spesso muro compatto e indiviso che dava l’impressione d’essere davvero massiccio … Forse uno di quelli portanti dell’intera grande Basilica.

Non riuscivo a capacitarmi su come la chiesa avrebbe potuto privarsi di quel compatto pezzo di muro per lasciare spazio a un accesso o a un qualche passaggio ... Sembrava: roccia compatta e del tutto piena.

“Basta !” mi son detto a una certa ora: “Qui non c’è proprio nessuna Cripta, e se c’è esiste solo nei nostri sogni.”

Perciò spegnendo la torcia, ho messo anche una pietra sopra a tutti quei discorsi decidendo una volta per tutte di non pensarci mai più.

O quasi …

Perché dopo molti anni, e dopo aver vissuto tanto e in varia maniera, un giorno di recente sono andato a passeggiare sulle Zattere nel tepore di fine estate, e voltata la Punta della Dogana sono andato a sedermi sui gradini della scalinata della Basilica della Salute… Tanto per cambiare … aspettando che giungesse mio fratello.

“Chissà che cosa ci sarà qui sotto ?” mi ha suggerito una vocina perversa della mente, ancora non doma e sazia del tanto visto, considerato e sentito tanti anni prima ... Sembrava una presa in giro … una canzonatura fatta a posta.

Ho finto di non ascoltarla … ma fatalità tornando a casa più tardi ho incontrato per strada, proprio quella sera, uno degli ultimi Rettori della Salute... Indovinate che cosa mi è venuto spontaneo chiedergli dopo aver scambiato quattro chiacchiere amichevoli ?

L’avete già capito.

“E allora Rettore ? … Sto Zatteròn dei Pali sotto alla Salute c’è o no c’è ? … e la Cripta … Che ne pensa ?”

“La Cripta dei Pali ? … Ah … sì … Mi pare di ricordare … Bella domanda … Saperne qualcosa sarebbe bello. Secondo me non c’è un bel niente … Lì sotto è tutto chiuso sbarrato, non si può affatto accedere … C’è solo un immenso blocco palizzato pietrificato e compatto … Non ci si può entrare, è un luogo cieco che fa da basamento al grande chiesone … e basta.”

“Oooooh ! … Finalmente una risposta chiara e decisa !” gli ho risposto.

“No … aspetta … Ho detto solo: “Secondo me” … Perciò non è detto che prima o poi non ci scappi fuori qualche sorpresa, e si scopra qualcos’altro … Chissà ?  Come dicevano i nostri Monsignori ricercatori che ormai sono morti da tempo, quella è destinata a rimanere per sempre una domanda senza risposta, un miscuglio fra Storia, desiderio e leggenda.”

“Ho capito … Mi toccherà perciò restare ancora con la voglia e la curiosità di sapere.”

“Credo di sì … perché questo argomento sta a cavallo fra bufala, storia e fantasia … Mi piacerebbe che ci fosse un munifico benefattore, uno sponsor di quelli grossi mandato dalla Provvidenza che si accollasse le spese di una ricerca … Oggi come sai bene non ci sono più soldi per niente e per nessuno …. Figuriamoci se si va a spendere per fare ricerche su follie del genere ? … E se poi non si trovasse niente … Non voglio neanche pensarci.”

“Ovviamente non si è presentato nessuno fino ad oggi ?”

“Nessuno … Tutto tace … E spero taccia ancora … Poi a dirla tutta, quello è un argomento che non m’interessa affatto … Un Prete del mio calibro ha ben altro a cui pensare … La storia della chiesa della Salute sta bene così com’è.”

“Ho capito ... Mi arrendo … In questa vita non riuscirò a saperne niente.”

“Non ho detto che di sicuro non c’è niente ... Non si sa …  Chissà ?” e se n’è andato per i fatti suoi ... cordialmente.

Così questa è l’ultima nota che vi racconto traboccandovela addosso dalla mia testa: “Che ci sia qualcosa sotto allo Zatteròn dei Pali della Salute ? … Una Cripta forse ? … Mah ? … Chissà ?”

 


La saga-epopea dei Nobili Pesaro ... Pisaura Gens Venetica

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#unacuriositàvenezianapervolta 224

La saga-epopea dei Nobili Pesaro ... Pisaura Gens Venetica

(quarta parte)

L’ho già detto la volta scorsa: i Nobili Pesaro erano un po’ sussiegosi e pieni di se … Non era da tutti paragonarsi a “un Sole che non tramonta mai”… Questo da l’idea di chi erano e di che cosa intendevano essere a Venezia … Pensate che nel 1659, cioè parecchio avanti nella Storia di Venezia e dei suoi Nobili Casati, i Pesaro che avevano finalmente uno di loro diventato “Doge lustrissimo”: Missier Zuane,  fecero pubblicare a Padova un’opera scritta dal Conte Giacomo Zabarella titolata: “Carosio Overo origine Regia et Augusta della Serenissima Famiglia Pesari di Venetia”… Era una specie di apoteosi della loro Eroica Famiglia, una declamazione aulica del loro successo e splendore in cui si arrivava a dire che la dinastia dei Pesarodiscendeva addirittura dagli Imperatori Romani… anzi, da: “Giove Re di Toscana Imperator del mondo Padre di Dardano Re di Troja Primo.”... Un testo di sicuro un po’ fantasioso se volete … Chissà quanto avranno finanziato i Pesaro il Zabarella per scrivere quelle cose … Come in una sinfonia gloriosa dell’esagerazione, aggiunse perfino che i Pesaro dovevano essere considerati tra i primi fondatori di Venezia … Ma se venivano appunto da Pesaro ?

No … Secondo Zabarella: dalla Laguna Veneziana dove i Pesaro si trovavano “primigeriamente”, se n’erano andati poi a Pesaro, e non viceversa, e da lì dove erano stati denominati provvisoriamente Palmieri, fecero poi ritorno un’altra volta in Laguna: loro collocazione ottimale ... Avanti e indietro insomma: a caccia di successo, ricchezza, Mercandia e prestigio.

L’avete capito insomma: i Pesaro godevano di un’ambizione sfrenata, quasi di una fastidiosa mania di grandezza che in verità i Veneziani non apprezzavano molto. Erano un po’ megalomani, a tratti forse anche un po’ spiritati … Non coincidevano con la solita immagine dei Nobili Venezianiqualsiasi: avevano dentro un certo “quid particolare” che li faceva apparire singolari ed eccentrici, per non dire unici.

Accennavo al Doge di Famiglia: cioè al top dei top, al fiore all’occhiello del successo familiare … Esser Doge, si sa, corrispondeva alla carriera più prestigiosa dell’intera storia del Casato … Per carità: a Venezia c’erano famiglie Nobili che potevano contare tre-quattro Dogi nella loro storia: quindi … Non ce n’era mai abbastanza per poter primeggiare fra i Nobili Veneziani.

Giovanni Pesaro nacque a Venezia nel 1568 da Vittore Pesaro ed Elena Soranzo figlia del Cavalier Giovanni che mori nel metterlo al mondo ... Caduto indenne nel canale di sotto dall’alto del palazzo di famiglia a Santa Maria Mater Domini, entrò giovanissimo nel Maggior Consiglio e negli ingranaggi dello Stato Serenissimadivenendo prima Savio agli Ordini e poi Savio di Terraferma. Brillante diplomatico e politico dall’eloquio fluido e forbito, nel 1620 gli fu affidato l’incarico a sue spese d’Ambasciatore di Venezia presso la Corte dei Savoia. Due anni dopo andò di nuovo Ambasciatore presso il Re di Francia, quindi presso quello d’Inghilterra, e poi a Roma dal Papa nel 1630: “come Ambasador Ordinario par la Republica”, da dove tornò a Venezia rivestito del titolo di Cavaliere.

Fu burrascoso quanto accadde a Roma quella volta: non viene ricordato quasi mai ... Il Cavalier Pesaro fece scoppiare un incidente diplomatico fra Serenissima e Papato, cioè: “nacque gran disgusto”col Prefetto di Roma Taddeo Barberini per via di un accidentale problema di precedenze di carrozze in strada … A poco servirono timide scuse ufficiose dal tono derisorio buttate là dal Pesaro quasi per scherno: tutto degenerò in rissa fra il clan dei Pesaro e quello potentissimo dei Barberini, che non ci pensarono su due volte: andarono addirittura armati per cercare di prenderlo dentro alla Sede dell’Ambasciata di Palazzo Venezia.

Il Senato di Venezia richiamò in fretta e furia l’Ambasciatore Pesaro in Laguna interrompendo i rapporti diplomatici con Roma per un anno intero … Solo quando gli animi infuocati di Barberini e Pesaro si raffreddarono un po’, si poterono riprendere gli scambi diplomatici con la Santa Sede Papale…. Ma pensate fosse finita lì ? … Macchè: i Pesaro non dimenticavano ... e i Barberiniancora meno.

Sei anni dopo Giovanni Pesaro ripartì di nuovo dalla Laguna (sempre a sue spese) stavolta come Ambasciatore presso la Dieta di Colonia… Lì andò tutto bene: ebbe successo, poi se ne ritornò ancora una volta a Venezia dove divenne in successione: Savio Grande, Senatore, e Provveditore ai Confinicon lo Stato Papale… Rieccolo ! Ci risiamo ! … Odore di Barberini ?

A Venezia si raccontò che all’arrivo dei nemici Pontifici il Pesaro scappò via abbandonando la guarnigione di Pontelagoscuro vicino a Ferrara di cui era il Comandanteperdendo il controllo della zonaSi aggiunse poi che durante un Rettorato in Terraferma s’era indebitamente impossessato di alcune proprietà dei suoi amministrati … Finì sotto processo: per vigliaccheria e malversazione...Gli appiopparono solo un breve periodo di carcere perché era Nobile di prestigio e gli rimase la fama dei soprusi e delle appropriazioni indebite che lo accompagnarono come perpetuo sospetto in grado di frenare qualsiasi progetto di scalata politica.

Forse però … Perché Venezia era Venezia: in Laguna poteva sempre succedere di tutto … E, infatti: così accadde.

Divenne quindi: Riformatore dello Studio di Padova, poi Procuratore de Supra nel 1641 occupando il posto lasciato libero dal defuntoFrancesco Morosini… Scelto di nuovo come Ambasciatore di Venezia, venne inviato ancora una volta a sue spese a presenziare all’incoronazione di Ladislao Re di Polonia… ma poi venne ben presto richiamato a Venezia.

E sapete perché ? … Perché in Laguna avevano deciso di mandarlo di nuovo come Generalissimo della Cavalleria Veneziana e delle Armi Venete contro il Papatodei potenti Barberini ... Rieccoli di nuovo ! … Era la rivincita contro i Barberini che il Pesaro aspettava, e partì subito.

Al ritorno a Venezia venne però di nuovo imprigionato con l’accusa d’aver favorito e incoraggiato a proprio vantaggio le ruberie dei soldati mentre combattevano contro il Papa … Era riuscito a fregare un mucchio di roba ai Barberini … e con che gusto !

Procuratore dal 1641, durante la Guerra di Castronel 1643, essendo ammiratore d’oggetti d’arte, ma dalla “longa mano”, sembrò che il Pesaro: “approfitasse e abusasse appropriandosi specialmente di quadri di qualche valore che faceva portar via dalle case”… Riabilitato ancora una volta, nel 1647 fu di nuovo Riformatore dello Studio di Padova(come nel 1651), e l’anno seguente: Savio del Consiglio(incarico che ricoprì per ben 24 volte). Come Savioconvinse il Senatodella Serenissima a continuare la sanguinosa e dispendiosissima Guerra contro i Turchi mettendo in minoranza il partito dei pacifisti disposto anche a sacrificare in cambio della pace l’Isola di Candiao Creta: ultimo avamposto nel Mediterraneo Orientale in mano ai Veneziani fin dal 1200.

In un paio d’occasioni fu di fatto un Vice-Doge ... Cretasarebbe caduta ugualmente di lì a poco in mano Ottomane ... Ma si doveva osare … e il Pesaro: osò … Come: “uno dei principali membri del partito dei ‘giovani’”, verso il 1650 si convinse che il Papato dei suoi “amici Barberini” poteva essere un decisivo alleato contro i Turchi. Superando allora l’anticurialismo inguaribile che lo contraddistingueva per via dei Barberini, intensificò i rapporti con Roma fino a permettere agli stessi Barberini di diventare Patrizi Veneti nel 1652.

Immagino con quale rabbia abbia accettato di vederli diventare Nobili della Serenissima ... Ma tanto valeva …

Nel 1655, arrivando in Laguna il Nunzio Carlo Carafa i rapporti con Roma s’infittirono: da feroce oppositore al ritorno dei Gesuiti in Terra Veneta dopo l’espulsione del 1606, Pesaro iniziò a sostenerne la causa del loro ritorno ... Lo stesso anno Pesaropresenziò come Ambasciatorea Roma: non da solo stavolta, ma contornato e supportato da Bertuccio Valier, Nicolò Sagredo ed Alvise Contarini per l’Incoronazione del nuovo Papa Alessandro VII … A Venezia stavano tutti col fiato sospeso sapendo che Pesaro era a Roma in casa dei Barberini … temevano una bufera da un momento all’altro.

Invece: non accadde nulla … Due anni dopo ancora, sempre come Savio del Collegioil Pesaro continuò a perorare la causa della riammissione dei Gesuitidel Papa espulsi da Venezia ... Sembrava cambiato, ma non lo era affatto … Alla fine il Senato decise nel gennaio 1657 con 72 voti favorevoli e 16 contrari di riammettere i Gesuiti del Papa in Laguna. In cambio Venezia ottenne ciò che Pesaro voleva: cioè l’intervento della Marina Pontificia nel conflitto di Candiainsieme a ingenti aiuti finanziari. Nell’occasione l’arguto Pesaro disse: “con le congiunture si mutano gli interessi, e con gli interessi devono mutarsi le massime”.

Ottenuto quanto voleva, Pesaro riprese ad osteggiare e bistrattare: Papa, Roma e Barberini … Era indubbiamente astuto.

La mossa strategica più significativa Giovanni Pesaro la fece però nel 1658 quando prestò di tasca propria alla Repubblica 6.000 ducati per finanziare ulteriormente la già ventennale Guerra di Candia contro l’intramontabile Turco (10.000 ducati aveva appena offerto il Doge in carica a cui avrebbe presto succeduto).

Durante le discussioni, ancora da Senatore, disse: “per una guerra di Religione non mancheranno mai i denari” e che erano stati compiuti troppi sacrifici per abbandonare Candia al suo destino ... Poi aggiunse: “Se vogliamo portar la corona sul capo, non la gettiamo ai piedi dei Turchi, perché altrimenti di noi si dirà che abbiamo perduto il Regno, e l’animo regio con esso.”

Qualche mese prima durante le battaglie di Suazich e dei Dardanelli, il Capitano Generale da Mar Lazzaro Mocenigo aveva perso la vita nelle acque dell’Isola di Tenedo diventando un personaggio mitico della Resistenza Veneziana contro il Turco … un po’ all’Americana di oggi …  Gli vennero fatti funerali solennissimi nella Basilica di San Marco.

I tempi erano maturi … Fu così che ottenne ampi consensi candidandosi allo scrutinio del 1658 nel quale “ottenne con facilità la beretta Ducale” venendo elettocon 38 favorevoli su 41, battendo il suo principale antagonista, cioè il cocciuto Leonardo Foscolo. Divenne il 103° Dogedella Repubblica alla bella età di 70 anni rivestendo la prestigiosa carica d’apice della Serenissima per diciassette mesi: dal 1658 fino al 1659: “Fra i Padri Veneti ottenne berèta Dogàl Zuàne da Pesaro Cavalier e Procuratòr de San Marco”, che andò a sostituire Bertucci Valier l’08 aprile 1658: “Uomo, chiaro in Patria e fuori per maturità di consiglio, per canuta esperienza ne' politici maneggi di Stato … Dati aveva saggi d'Animo fermo e costante, arringando in Senato per la pubblica causa a sostegno del patrio decoro, e date altresì caparre di munificente liberalità, offrendo le proprie sostanze in soccorso agli esausti tesori della Nazione impegnata nella lunga guerra pel regno di Candia ...”

In realtà le Cronache Veneziane di quell’epoca raccontano di un atteggiamento attendista della Serenissima col suo Doge nei riguardi del Turco. Ci si accontentò di scrutarne le mosse tenendolo a bada, si approfittò di qualche buona occasione, ma si preferì aspettare preparandosi al peggio: “Sotto a questo Doge passò il Gran Signore in Andrinopoli ammasando un potentissimo essercito, minacciando d'invadere la Dalmatia e di spignere gran forze in Candia. E perciò la Republica continuò nell'apparecchio di nuovi legni, se spedì nuove genti, e nuovi Capi nelle Provincie di Dalmacia e Albania cominciando in Candia. Svanirono però le deliberationi del Turco, convenendoli ritornar in Constantinopoli per discordie e altri accidenti ivi occorsi; e le forze che disegnava mandar in Dalmatia bisognò spignerle in Transilvania per nuovi mori successi in quel Principato. Il Capitan Generale era in stato di ricuperar la Canea e per intelligenza e d'assalto; ma scoperto il trattato da una barca di Pescatori (per quanto fu detto) si perdè così bella occasione.”

Il Capitano Generale da Mar Alvise Mocenigoriuscì a prendere Calamata e il controllo dei DardanelliFrancesco Morosini tentò sorprendere la Canea, ma i Turchi scoprirono i suoi progetti in anticipo “prevenendo l'impresa … Allora Morosini navigò e scorse per ogni verso l'Arcipelago, sorprese varie isole di quel mare, e Patmos soggiacque pure a saccheggio in settembre 1659 ... Veneziani e Turchi a gara aumentavano forze navali e terrestri. … Il dì 25 agosto 1658 riuscì fatale per gl'infedeli la cui flotta venne battuta alle alture de' Dardanelli dal Capitano delle navi Girolamo Contarini ...”

In verità in quell’anno e mezzo si parlò ben poco a Venezia del Doge Giovanni Pesaro… Se ne parlò più che altro per la potenza del suo denaro …I Veneziani di allora lo tratteggiarono in maniera severa: “chiaro in Patria … ma una nullità, un masnadiero come uomo.”Si disse che aveva promesso soldi in cambio dell’elezione … A Venezia era prassi, in verità … e che era stato eletto sin dal primo scrutinio imponendosi sugli altri candidati solo perché erano troppo vecchi ... Anche qua: niente di che … Spesso i Nobili Venezianisceglievano un Doge con ridotta aspettativa di vita: al massimo qualche anno … Così avrebbero potuto facilmente toglierselo di torno se diventava pesante o poco utile alla causa.  

Fu un caso se le prime aggregazioni dei Nobili “per soldo” che coinvolsero ben 75 famiglie accaddero proprio tra 1646 e 1669 durante la Guerra di Candia e il Dogado di Giovanni Pesaro? … Credo di no … I Nobili fecero affluire soldi freschi nelle casse vuote della Serenissima … E Pesaro di soldi se ne intendeva di certo … Fu un Doge tanto discusso e poco amato dai Veneziani, bollato come ladro e baro, sostenitore di sprechi e di molte spese inutili ... Fu anche parecchio osteggiato e odiato da alcuni soprattutto per “l’arroganza e le colpe di famiglia”… Fu un curioso tipinocomunque: “… l’uomo che più d’ogni altro rigira la macchina di questa Repubblica”.

Venezia ieri come oggi, era piccola e pettegola: “come un caìn” (una catinella) … Critiche, pettegolezzi e prese in giro beffarde erano all’ordine del giorno fra Calli e Campielli, e impietosi ritratti correvano su tutte le bocche nelle Contrade e fino in Maggior Consiglio circa i candidati a Doge: “Valier: è un gobbo, Foscolo: un sordo, Pesaro: un baro, Foscarini: un ladro, Barbarigo: un matto: son quelli che concorrono al Principato” ... In “bòca de Piàssa San Marco”… nel “bròlo dei Nobili” dove ci preparava per entrare “a Palàsso” si diceva ancora: “Non faxé Doxe el Pesaro dal Caro (carro) se no volé magnar el pan più caro … e non convien che gavèmo per Regina chi servì per quindese anni alla cusina.”

Eccola qua la nomèa peggiore che aveva il Pesaro ... Rimasto vedovo di Lucia Barbarigo degli illustrissimi Barbarigo del Ramo di San Trovaso sorella del Procuratore di San Marco Giovanni Barbarigo, Giovanni Pesaro s’era risposato con la sua la chiacchieratissima e forse arrivista cuoca-governante Marietta Santasofia considerata “dai facili costumi”suscitando l’ira e l’ilarità dei Veneziani che non mancarono di canzonarlo per le strade per la “Dogaressa servetta”. Nei “Casi Memorabili Veneziani”del Codice Gradenigo si legge che i Veneziani affissero sui muri di Venezia la scritta satirica: “Viva el Pesaro dal Caro che l'è sta in presòn per laro (ladro), e per ultima pazzia l'a sposà Dona Maria” Maria della Contrada di Santa Sofia venne ricordata dal Doge nel testamento inserendo clausole per proteggerla dall’ostilità dei suoi stessi eredi.

In conclusione: con Giovanni Pesaro Doge non accadde granchè a Venezia … Nessuna riforma, nessuno importante intervento legislativo durante il suo mandato … Tutto compreso la Serenissima si trascinò in una lunghissima guerra destinata a logorarne pesantemente risorse e finanze ... e la Famiglia Pesarocontinuò a prosperare in parallelo.

Un’unica curiosità forse sul Doge Pesaro… Fu proprio lui a permettere di completare e dar vita nel 1658 al nuovo insediamento Monastico Veneziano nell’ottagonale chiesa Votiva di Santa Maria del Pianto delle Cappuccine delle Fondamente Nove già sorto nel 1649 (esattamente 300 anni prima che nascessi io). Il Pesaro permise allo Stato Veneziano di patrocinare in primissima persona quell’esperienza Religiosa emettendo uno specifico Voto di Stato alla Madonna in occasione proprio della Guerra di Candia.

Erano passati pochissimi anni dal Voto della Madonna della Salute e della Peste: era un gesto di sicuro vivissimo nella mente di tutti i Veneziani d’allora … Il Doge Pesarovolle a tutti i costi tirar dentro la Madonna per farla partecipare “politicamente” alla Guerra contro il Turco… Insomma: serviva un nuovo miracolo a Venezia per poter vincere contro i Turchi … e quel miracolo poteva arrivare non certo dai soldi che non c’erano, ma di sicuro … magari dal Cielo e dalla Provvidenza Divina e Mariana.

Se non era abilità politica quella ? … E’ come se Zaia oggi chiedesse alla Madonna di liberarci dal Covid … riuscendoci !

Altri tempi … Lo so …  Sopra alla porta della chiesa oggi malmessa e inglobata nell’Ospedale Civiledi Venezia si può ancora intravedere e distinguere un’iscrizione che ricorda quei lontani eventi legati al Doge Pesaro, alla Madonna del Pianto e ai Veneziani.

Il Pesaro tuttavia iniziò quasi da subito a soffrire d'una strana malattia sconosciuta che gli fece perdere progressivamente tutti i denti divenuti neri in breve tempo … Fu avvelenato ? ... Chissà ?

Ieri come oggi il gioco della Politica e dell’Economia non guardava mai in faccia a nessuno … A Venezia poi ? … C’erano logiche economiche, storiche e di potere che ben conoscete … Per disposizione testamentaria Giovanni Pesaro legò 12.000 ducati alla costruzione del suo monumento funebre sulla navata sinistra della Basilica dei Frari: Phanteon dei Pesaro dove, come dicevamo, la famiglia possedeva la propria Cappella Funerarianell’abside della Sacrestia.

Ci pensò il nipote Leonardo Pesaro: principale destinatario delle ricchezze del Doge Pesaro morto a seppellirlo onorevolmente: “… Tutti i mobili essistenti in questa città … quadri, statue, libri e scritture … al Signor Leonardo mio nipote et suoi figlioli maschi essendo certo che il medesimo … conserverà tutto a beneficio et honorevolezza della Casa”.

 


Lo stesso Missier Leonardo Pesaro incaricò subito Baldassarre Longhena “architetto di famiglia” della realizzazione del monumento sepolcrale dello zio. La veloce realizzazione avvenne nel 1669 con la collaborazione di Bernardo Falcone da Lugano, di Melchior Barthel da Dresda(realizzò i due gruppi delle Allegorie: Religione e Costanza, e Verità con Giustizia), di Josè De Corte (scolpì gli angioletti che reggono lo stemma Pesaro, la statua del Doge, e altre quattro Allegorie: Intelligenza, Nobiltà, Ricchezza e Studio che volevano alludere alla personalità e ai meriti del Doge), di Francesco Cavrioli(realizzò i due scheletri bronzei che reggono i due rotoli), e Michele Fabris detto “l’Ongaro” (l'Ungherese, che scolpì i due Draghi collocati sotto al trono dogale: simboli dell'eternità secondo il tipico stile e sentire nordico dello stesso scultore): “Su ornatissimi piedistalli di marmo rosso e nero scolpiti a teste di leone unite da festoni, si innalzarono quattro giganteschi telamoni di schiavi mori con braccia e piedi nudi, e vesti logore reggenti sulle spalle una trabeazione ornata a mètope e triglífi. Fra loro, come in nicchie, due neri scheletri presentano una lunga iscrizione incisa a lettere d’oro su marmo bianco. Sopra la trabeazione, quattro colonne di marmo nero sostengono un ricco baldacchino di marmi rossi imitanti un drappo a fasce di broccato. Sul trono sorretto da mostri, tra le Allegorie della Religione e del Valore da una parte, e di Concordia e Giustizia dall’altra, sta seduto il Doge: bello e pieno di vita in atto d’arringare la folla. Ai suoi piedi, sopra l’architrave da sinistra, un genio tende l’arco, due donne presentano corone e un’altra legge un libro. Nel secondo ordine di trabeazione, sei graziosi putti sorreggono l’architrave; al centro di essa due bimbi mostrano lo stemma dei Pesaro con una corona. Caratteristiche le iscrizioni: “Vixit Annos LXX (visse 70 anni) – Devixit Anno MDCLIX (morì nell’anno 1659) – Hic revixit Anno MDCLXIX (qui rivisse nell’anno 1669)”.

E vissero tutti “felici e contenti” verrebbe da dire a questo punto … Fine di quanto avevo da dirvi sui Pesaro.

E, invece: no … Non è affatto così.

Sui Pesaro ce ne sarebbe ancora da dire: almeno “un’altra sporta e mezza”… Ci sarebbe davvero ancora tanto da raccontare ... Ma come si fa ? … Non riuscirò di certo nell’intento di dirvi tutto.

Vi tiro dietro allora i miei appunti: ?

Ci fu un Alessandro Pesaro Governatore di Putignano di Puglia dove un altro Antonio Pesaro o Pisauro fu Ambasciatore di Alfonso il Magnanimo… Un Nicolò Pesaro fu mandato, invece, come Podestà à Crema “dopo l'uscita dei Francesi”... mentre un Pietro Pesaro finì domestico del Re d'Inghilterra, e un Sebastian Bernardo da Chà da Pesaro divenne Conte di Sebenico.

Il Codice Cicognano numero 1333, come la Cronaca Lando, gli Annali Veneti di Domenico Malipiero e una parte del Senato del 21 agosto 1486 parlano di un Andrea Pesaro “qual Sindico et Provisòr Veneto in Levante, Spalato e Dalmazia e Albania per l'anno 1486” ... Lo Statuto di Cherso l’anno seguente lo ricorda qual Sindicus et Provisor “ad partes maris”; mentre indica Missier Girolamo Marcello come Sindico “intra et extra gulfu” dal gennaio 1483 fino al maggio 1486.

Di un altro Pesaro leggo: “… poco innanzi morì Angelo Pesaro Capitano del Golfo d'una botta di schioppo auta nel braccio sinistro, battagliando a Metellino.” Era lo stesso Pesaro quondam Alvise, forse, che nel maggio 1509, al tempo della disfatta dei Veneziani ad Agnadello era uno dei Cinque Savi agli Ordini del Governo Veneziano ... Un Missier Bortolamio da Chà da Pesaro era Camerlengo della strategica Isola di Pago in Croazia ricca di Saline: “el qual ha de salario Lire 752 all'anno ut supra. Quella camera ha de intrada de diversi Datii ducati 860; la spesa ducati 830; resta dunque 30 in circa in essa camera ... Pago è un'insula, la quale circuisse da miglia cento in circa, molto sterile. La terra, novamente fabricata, è posta sopra l'acqua in un loco basso et paludoso, contiguo alla valle delle Saline; li muri non sono ancora compiti di fabricar, ma tutta via si lavora ... La Signoria vostra traze de questo loco per conto de Sali ogni anno da ducati 3000 in circa, et questo, perchè tutti li Sali che si fanno nella insula, li tre quarti sono della Sublimità Vostra, et uno quarto de li Patroni de le Saline ... Conte al presente se trova in esso loco Missier Nicolò Tiepolo, el qual ha di salario all'anno: lire 1.116 de picoli…”

Nel 1518: nell’Estimo Trevigiano si trovavano presenti otto proprietari della Campagna di Sopra di Sant’Andrea di Cavasagra. Si trattava degli eredi Scarpa e di Giovanni Todesco, di Daniele di Carlo Forner, Leonardo Barbaro, Jacopo Sidonio, Giorgio Venier e Marco di Cà Pesaro … Eccovi quindi: ancora un altro Pesaro in giro per le storie della Storia.

Nell’estate 1527 il solito celebre Diarista Marin Sanudo ricordava nei suoi scritti che: “i Patrizi Veneziani appartengono a 134 Clan diversi … Solo 9 gruppi Familiari non hanno maschi in età da entrare nel Maggior Consiglio.  Alcune famiglie di piccole o medie dimensioni godono di posizione di prestigio perché uno dei membri glielo conferisce col successo personale commerciale o acquisendo benefici importanti ... Fra i “Primi Casati Nobili” ci sono: 11 Nobili Vendramin, 26 Nobili Tron il cui patrimonio è frutti dei commerci con l’Oriente, e 27 Nobili Grimani con Antonio Grimani che fu uno dei più grossi commercianti di pepe arrivando al Dogado e ottenendo per figli e nipoti il Cardinalato” .… scrisse ancora: “Ci sono poi 12 Nobili Foscari, 19 Nobili Zen che fanno incetta d’incarichi Ecclesiastici con relative rendite e Benefici come facevano i 20 Nobili Barbo: “Primi” pure loro, come i 21 Dandolo … e i 25 Nobili Pesaro.”

Taglio via adesso … altrimenti mi odierete.

Un Provveditore Pietro Pesaro stava in stadby inutile insieme col Duca di Urbino Francesco Maria Della Rovere a comandare le Forze dislocate nel Bresciano di una Venezia Serenissima perfettamente immobile e addormentata, incapace d’intervenire quando 12.000 Lanzichenecchimercenari Imperiali Luterani rimasti senza paga e senza Comandante scesero incontrollati in Italia per poi calare a saccheggiare Roma aggirando le altrettanto “addormentate” truppe della Santa Lega in mano al Luogotenente Francesco Guicciardini e ai Condottieri Guido Rangoni e Giovanni delle Bande Nere mummificati in attesa in Emilia ... Il Papa corse a rinchiudersi in Castel Sant'Angelo per salvare il salvabile invocando la pace con Carlo V, mentre caddero in successione come foglie d’autunno: Genova, Bologna e Alessandria, si saccheggiò Pavia, e lo stesso Carlo V andò ad assediare Napoli morendo lì di Peste … I Turchi, intanto, si stavano ringalluzzendo di nuovo, e stavano a bussare con veemenza alle porte dell’Europa.

C’era un Pesaro anche là insomma.

Vi dico di un’altra “pecora nera di Famiglia Pesaro” ? … Eccovela qua, sebbene frammista a notizie un po’ confuse e contradditorie ... Nel febbraio 1562 un Giovanni Andrea Pesaro quondam Bortolo venne impiccato per aver sparato un’archibugiata a suo suocero Carlo Zanepur senza colpirlo ... Due anni dopo però, nel 1564: Tommaso da Treviso venne decapitato fra le colonne della Piazzetta insieme a GiovanFrancesco Emo e GianBattista Pesaro (ancora lui ???, ma non era già morto ??? o è un altro Pesaro ???) appiccandogli l’archibugio ai piedi per aver con quello attentato per due volte alla vita di Carlo Zane suo suocero … Furono due Pesarodiversi ? O uno solo ? … In ogni caso: quanto tremendo doveva essere quel suocero per beccarsi tutte quelle archibugiate ?

Del 1541 è poi un interessantissimo “testamento sospetto” di Bernardo Pesaro di Piero reduce da una missione diplomatica come Consigliere a Cipro nel 1543-45. Era sospettato a Venezia di non essere del tutto in linea con la Fede Cattolica… brutta faccenda … e d’aver affermato insieme e di più del Nobile Daniele Barbarigo: “Chi lo accusa non sanno quel che dicono: Lutheràn l’è bon Christiàn…” difendendo il Frate Agostiniano Ambrogio da Milano accusato a sua volta di palese eresia e d’aver dato scandalo a Cipro nella chiesa di Santa Sofia di Nicosia durante il Quaresimale del 1544 … In un colpo solo il Frate s’era inimicato gli Ortodossi Greciparlando male del culto delle Immagini, dei Santi, della Madonna e delle Icone, e poi s’era messo contro anche i Cattolici-Cristianicomportandosi da “vero infetto della setta Lutherana”… In quei casi, e in quell’epoca non si andava molto per il sottile: ti affidavano senza tanti preamboli alla tortura preventiva … e quindi il Frate fu costretto ad abiurare pubblicamente a Venezia nella chiesa di Santa Maria Formosa.

Idue Nobili, invece, cioè anche Bernardo Pesaro, se la cavarono senza fastidi solo perché erano prestigiosi Nobili: così funzionava le cose a Venezia a cavallo fra Inquisizione e Doge.

Mi fermo … Avrei qui almeno un’altra cinquantina di Pesaro di cui dirvi, compreso un altro Generalissimo da Mar e Avogador Estraordinario: Gerolamo Pesaro… Un altro condottiero ? … Un altro “sparòne e bombardone di Famiglia” ? … Si … proprio così: uno che buttava giù a cannonate le mura delle città ... e che aveva fatto spiccar via la testa sopra la proda della sua Galea al Nobile Gabriel Dalla Riva perché aveva mal governato … e fatto decapitare anche altri Nobili Veneti durante l'assedio di Corfù: perché aveano commesso ribalderie vergognose nella stessa città”.

Due ultime note curiose sui Pesaro … Proprio le ultime due ?

1610 agosto: un Giacomo Pesaro figurava in una lista di 83 Nobili Mercanti Veneziani elencati dai Capi dei Mercanti di Venezia in una “Nota de tutti li Nobeli hanno negotio in Levante come nelli libri de Doàna delle 6% è descritto.” La nota curiosa includeva una supplica dei Mercanti Veneziani rivolta ai Savi alla Mercanzia che chiedeva di respingere, come s’era già fatto sei anni prima con i Mercanti Inglesi, la proposta di Paolo Santonini che intendeva chiedere la Cittadinanza Veneziana per i Mercanti Olandesi.

“La Cittadinanza Venetiana ai Mercatanti Foresti ? … Non fosse mai !”

Nel 1634: il Frate Minore Carlo Pesaro da Venezia ricopriva l’importantissimo incarico Ecclesiastico di Guardiano Grando de Frati Minori della Cà Granda dei Frari: uno dei Conventi più insigni, potenti, ricchi e trafficati di tutta Venezia ... Tre anni prima, il gotico Palazzo Papafavasu quattro piani nel Sestiere di Cannaregio in Contrada de Santa Caterinacon quadrifore, scalone, affreschi sui soffitti dei saloni, balconi sporgenti e pentafora affacciata sul Canale della Misericordia con l’omonima Schola Grande e Abbazia. era divenuto anche dei Pesaro quando Bonifacio Papafava sposò Pesarina Pesaro.

Avete intuito il tenore, il modo d’essere, il grado, il blasone, nonchè la grandezza, e quanto di curioso sono stati i Nobili Pesaro di Venezia ? … Immagino di si.

La prossima volta concluderò su di loro raccontandovi un poco di Cà Pesaro: la Caxa Dominicàl dei Pesaro sul Canal Grande… e di certi magnifici festini che quei Nobili Veneziani di rango sapevano organizzare tirandosi dentro addirittura il Serenissimo Principe Doge in persona.

Pisaura Gens: “Un Sole che non tramonta mai”… e te credo.



La saga-epopea dei Nobili Pesaro ... Pisaura Gens Venetica

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#unacuriositàvenezianapervolta 225

La saga-epopea dei Nobili Pesaro ... Pisaura Gens Venetica

(quinta - ultima parte)

Volete sapere come se la passavano i Nobili Pesaroin uno dei loro Palazzi ?

Eccovi qua un flash del 09 gennaro 1521, con uno loro consueto “festin de Casada in tempo de Carneval” raccontato dal solito celebre Diarista Marin Sanudo: “E da poi disnàr, facendosi una festa a San Beneto in Chà da Pexaro per li Compagni Ortolani a spese dil Conte Antonio da Martinengo Cindutier et Zentilomo nostro che è sta aceptado in dita Compagnia: dove sono da 60 done le prime e più belle di la Terra ... E a tuti dava la cena; pignocàe e pernìse e ostreghe etc … E poi cena fo recità una bella et nova comedia per Ruzante et Menato Padoani, et vi fu assa zente, et cussi a hore 3 di note li Compagni, parte di lhoro et esso Conte Antonio, andò a invidar el dito Signor Principe (il Doge) a la festa e a cena con alcuni di sui: et eravi li 4 Doctori, nostri Zentilhomeni a farli compagnia … Et cussi vene con zerca 10 di soi Primarj, et zònto volse ballar, cussi vestito d’oro, con la mojer di Sjor Zuane Cosaza ch’è sua zermana, et con la mojer di Sjer Andrea Diedo, et Priola dona bellissima, né ballò con altri … E poi la cena che fu preparada nel soler di sopra: tàole atorno el portego e in mezo una dove cenò esso Principe con li Doctori et il Sior Zuane predicto et li soi, tutti in arzenti … E fo molto somptuosa, pur a spese dil prefato Conte Antonio ... Poi fu facta la Comedia, et fo compito a hore undici …”

Che ve ne pare ? … E non è tutto, perché per non annoiarvi tralascio di riportarvi in quale stato quei Nobili uscivano da quelle feste sontuose e di grande baldoria che duravano più di qualche volta fin dopo l’alba … Nobili, Cavalieri, Veneziani, Forèsti e Dame.

Si: anche le donne … eh ! … Si … Si … All’alba se ne uscivano parecchio cotti e sfatti, ubriachi e sopra le righe … Doge e grandi nomi della Signoria, e della Nobiltàcompresi … E se ne tornavano a dormire soddisfatti nei loro pomposi Palazzi, pingui del “tanto … per non dire tantissimo” che la loro dorata condizione loro permetteva … E quel “tanto”, se andate a cercare e vedere: era per davvero proprio tanto ... Insomma: se la spassavano i Pesaro e gli altri Nobili Veneziani.

Prima del famoso Palazzo di San Stàe, i Pesaro possedevano già quello in Contrada di San Benetodall’altra parte del Canal Grande, poco distante da Rialto e San Marco … Era il Palazzo del “festino” di cui vi dicevo poco fa: la Chà Pesaro di San Benetoconosciutissima e ricordata soprattutto per le grandi feste che vi organizzavano e allestivano i Pesaro.

Di sicuro fin dal 1498 nel cortile (lungo 14 m x 06) e all’interno nel Portico del Palazzo(lungo ben 41m x 8), cioè nella così detta Corte degli Orfei, sorgeva un Teatro provvisorio gestito a turno da diverse Compagnie della Calza: gli Eletti, gli Immortali, gli Ortolani... Secondo alcune tracce storiche, ancora nel 1515 e poi nel 1521 si allestivano frequentatissime recite di commedie e “momarìe” per Carnevale ... In se non erano grandissimi gli spazi teatrali, ma neanche piccolissimi: di certo capaci di accogliere un buon pubblico selezionatissimo e d’elite, di certo molto partecipe e solidale con le ambizioni di Famiglia.

Sono molto interessanti al riguardo le testimonianze ancora dell’immancabile Diarista Marin Sanudo. Nei suoi Diari non mancò di marcare gli eventi, ad esempio, del 24 febbraro 1498: “… et uno Carlevar molto dolce et tuto festoso, sì de mumarie qual di altri piaceri, al dispeto de li inimici. Et fono facte due feste publice, una a Cà Loredan a San Polo sul Canal Grando il zuoba di Carlevar per una Compagnia chiamata Modesti et una altra a Chà da Pesaro a San Beneto il sabato per l’altra Compagnia chiamata li Electi: sichè tutta la Terra fue in festa: et questo a eterna memoria ho voluto qui scriver …”

lo stesso Diarista ricordò ancora nel 1512-1514, che nello stesso Palazzo Pesaro di San Benetoabitò Giovanni Stafileo Vescovo di Sebenico e Ambasciatore del Papa a Venezia inizialmente ospitato nel Palazzo del Marchese di Ferraradove abitava un altro Ambasciatore Papale Vescovo d’Isernia … Stafileos’era spostato a risiedere a Chà Pesaro perché lì abitava un suo amico: Beltrame Spagnol … Sempre nella stessa Chà Pesaro di San Beneto era ospitata e fiorì la celebre Tipografia Albrizziana.

E ancora sempre lo stesso Sanudo non mancò di scrivere quasi pettegolo nei suoi Diari in data: 03 febbraro 1515: “Non voglio restar di scrivere questo, come a questi tempi la Terra nostra è in grandissime feste: prima si fa tre comedie per tre Compagnia: a Muran in Chà Capelo li Zardinieri, a la Zuecha in Chà Trevisan li Ortolani, et la Compagnia de Immortali a San Beneto a Chà da Pexaro …”

E una settimana dopo: “Et in questa sera a San Bento in Chà da Pexaro in Corte fu fato una comedia per li Compagni Immortali, recita per lhoro, qual fo Miles Gloriosus di Plauto. Fu fato bellissimo apparato, maxime il ciello si sopra la Corte, et erano belli vestiti, et nel mezzo di atti Zuam Pollo feva etiam lui un’altra Comedia Nova, fenzando esser Negromante, et stato nel Inferno trovò Domenego Tajacalze, cazava castroni, et qual con li castroni vene fuòra, fe un ballo de castroni, poi vene una musicha di Nymphe, cadauno sopra un incudine a tempo, e fenzando bater un cuor, etcc … Et compita la comedia prinzipal etiam feno la dimostration di Paris e quelle dee, et che dete il pomo a Venere: fu bella cosa, vi fu assa zente de conto, e l’Orator de Franza e il Capetanio di le Fanterie con molti Patricii Vecchi e i Fioli dil Serenissimo, molte done spozade … fo compita a hore 7 di note, poi fu fato la cena e le done e lhoro mariti, et balato.Durò fino dì quasi, et però pochi ozi fo in Pregadi, per andar per tempo e aver bon axio (buon posto).”

Anche il 30 giugno 1522 ci fu un altro memorabilissimo festone a Chà Pesaro di San Beneto in onore di Pietro Pesaro eletto Procuratore di San Marco.

Che ve ne pare ? … Questi erano i Pesaro !

 


Cà Pesaro, invece, lo sappiamo tutti a Venezia com’è e dov’è. E’ quell’imponente e prestigiosissimo palazzone affacciato sul Canal Grandeall’altezza di quella che è stata un tempo la Contrada di San Stàe-Sant’Isaia.

Che dire ? … E’ una meraviglia in se: una di quelle cose belle Veneziane che ti fanno cadere la mandibola per terra per quanto è sorprendente ... Basti dire che ancora oggi contiene in se non uno, ma ben tre Musei … e già questo la dice lunga ... Palazzo Pesaro con la sua significativa grandezza e sontuosità: rende ulteriormente l’idea di ciò che sono stati i Nobili Pesaro.

Per me abituato a vivere in poche decine di metriquadri e con un solo bagno in quattro: Cà Pesaroè qualcosa in cui perdersi … Una specie di cittadella, una planimetria esagerata di cui non saprei che cosa farmene ... Mi spaurerebbe vivere dentro a qualcosa di così grande: eccede di troppo, secondo i miei parametri, quella che è la normalità, ciò di cui ha bisogno per vivere un qualunque “mortale” come me.

Ma i Pesaro erano la Pisaura Gens Veneta: quelli su cui “Il Sole non tramonta mai”… Quindi ne avevano bisogno di spazio per poter contenere la loro voglia di grandezza … Di sicuro ne serviva loro parecchio: molto più di me ... ed è stato così che hanno dato sfogo a tutta la loro munificenza, tipica da Nobili Veneziani, realizzando la meraviglia che abbiamo davanti ai nostri occhi ancora oggi.

La magnifica Cà Pesaro nel Sestiere di Santa Croce a San Stàe venne edificato tra il 1652 e il 1710 su progetto di Baldassarre Longhena a cui fu commissionata proprio da Giovanni Pesaro: il Doge di Famiglia di cui vi dicevo qualche riga fa.

Già cento anni prima i Pesaro avevano iniziato, forse sulla spinta della Rinascimentale “Renovatio Urbis” che si respirava a Venezia, ad acquistare dai Contarini di San Stàe: “unam Domum magnam ...a duobus turibus”, cioè una gran casa con due torri affacciata sul Canal Grande e sul Rioche portava ai Frari(ancora oggi si chiama “Rio delle due Torri”) ... Si trattava di un palazzo tipico “alla Veneziana”, sul modello del Fondaco dei Turchi per intenderci (già appartenuto ai Pesaro) … Pure Palazzo Ducale aveva un tempo due torri, così come il palazzo che ospitò il Petrarca sulla Riva degli Schiavoni ... A Venezia probabilmente erano un po’ una moda le case-fondaco fatte così.

Negli anni seguenti i Pesarorilevarono ancora un altro edificio contiguo dai Nobili Morosini, poi abbatterono “le do toresèe”, e acquisirono incorporandolo un ulteriore stabile comprato stavolta dal Nobile Andrea Trevisan, che dopo un anno si lamentava ancora col futuro Giovanni Pesaro Doge: “... di già passato un anno che vendetti le case a Vostra Eccellenza Illustrissima, né ancora da lei è statto depositato il denaro per l’ammontar di quelle, se bene lei hà anco fabricato sopra il mio ...”

Fin dal 1551 Leonardo Pesaro affittò una parte dell’abitazione: prima agli Strozzi che rimasero in affitto per più di un anno pagandolo 180 ducati … Poi, due anni dopo, una parte del futuro Palazzo Pesaro venne affittata al Nobile Missier Alvise Bragadin quondam Pietro che pagò ai Pesaro 150 ducati.

I lavori veri e propri della costruzione del Pesauro Palazzo Dominical: la “Domus Granda dei Pesaro di San Stàe” iniziarono nel 1628 col Giovanni “Doge futuro”, che la volle realizzare per i suoi nipoti con due facciate: la principale sul Canal Grande, e la “facciata due” sul Rio delle Due Torri.

Morto prima il Doge Pesaro, e poi nel 1682 anche il progettista-architetto BaldassarreLonghena (quello che realizzò il Tempio della Madonna della Salute, gli Scalzi, Santa Giustina, Cà Rezzonico, le Procuratie Nuove di Piazza San Marco, la Schola Granda dei Carminie molte altre chiese, palazzi e ville), la prosecuzione dei lavori venne affidata ad Antonio Gaspari che li portò a termine con poche modifiche sull’idea iniziale completando scalone, Portego e cortile interno.

La “casa Dominical dei Pesaro”, sebbene ancora incompleta, fu abitata già dal 1664 dai fratelli Vettor, Leonardo, Antonio e Zuanne Cavalier figli di Leonardo e di Marietta Priuli ...La principale facciata a “bugnato a diamante”in stile Barocco si affacciò sul Canal Grande in linea con Palazzo Coccina Giunti Foscarini Giovannelli e Palazzo Correggio, poco distante da Ca' Corner della Regina e dalla Chiesa Contradariale di San Stae o Sant’Isaia ... Doppia “Porta d’acqua” a pianoterra sotto al mezzanino, da lì ci si immetteva nel ricco “Androne Regale” ornato da pavimento marmoreo bianco e rosa … Attorno c’erano ovunque: busti Romani, e lo scalone monumentale faceva salire al Piano Nobile di Rappresentanza diviso dai piani superiori occupati dalla servitù di palazzo … Ovunque:  ricchezza di archi, colonne, bassorilievi, statue, fregi, decorazioni e affreschi in un continuo gioco di chiaroscuri ed effetticon mostri, chimere, cartigli, putti, teste e tutti gli ornamenti tipici dell’onirico Barocco … Nel 1732 si lavorava ancora ad abbellire e completare Cà Pesaro: Leonardo Pesaro in occasione del matrimonio del figlio Antonio con Caterina Sagredo commissionò ai “Migliori”di allora, cioè: Giambattista Tiepolo, Giambattista Pitoni, Gerolamo Brusaferro, Angelo Trevisani e Giambattista Crosato l’abbellimento e la decorazione dei soffitti delle stanze prospicenti sul Rio delle Due Torri... Nello stesso secolo, il Cavalier Francesco Pesaro con i fratelli Pietro e Zuanne fecero decorare ulteriormente altre parti del Palazzo con affreschi, tele e ritratti di famiglia ... Nella “Camera della Cittadina Chiara”Giambattista Tiepolo abbellì il soffitto con “il Trionfo di Zefiro e Flora” (oggi esposto al Museo del Settecento di Ca' Rezzonico) … e c’erano poi sparse le “Allegorie” dipinte da Giambattista Pittoni

 


Ve lo immaginate solo per un attimo lo scenografico sfarzo, la grandezza, lo splendore con cui i Pesaro ricevevano gli altri Nobili Veneziani invitati a  Palazzo ? … Riuscite a immaginare come doveva essere quella Chà quand’era vissuta dai Nobili Pesaro ?

Io provo a immaginarmeli con le loro eccentricità, le loro manie, le loro mire sognanti politico-economiche … Li vedo far da Padroniconsapevoli del loro ruolo, così come me li immagino presi dalla gestione delle loro imprese commerciali, politiche e guerresche … Ma me li immagino anche intenti magari nello loro imprese sentimentali, nel loro quotidiano menage familiare: li vedo preoccupati per i figli, l’educazione, il futuro … e vedo il via vai della servitù, e del normale formicolante lavorio quotidiano di Palazzo.

I Pesaro pur potendoselo permettere erano fra quei Casati Nobili che tenevano a servizio un numero “contenuto” di servitori e barcaroli de casàda: solo una ventina, per non eccedere e dare troppo nell’occhio.

Riuscite anche voi nello sforzo dell’immaginazione ? … I barcaroli di casada, le cucine cariche di alimenti, le cantine, i magazzini, e i guardaroba dai ricchi ricami e alla moda per le Dame di famiglia, gli addobbi, le cose preziose e le feste di palazzo … la Musica, le luci, i banchetti ? … ma anche il freddo d’inverno con le grandi stanze da scaldare … o la calura afoso estiva: quando i Pesaro partivano per la Villeggiatura, o qualche “amore rubato e nascosto” in qualche angolo remoto ... che chissà ? … Magari nessuno ha saputo mai.

Nello stesso “Portico Nobile di sopra”ricoperto dagli arazzi delle “Storie Romane”(venduti nel 1832) era collocata la ricchissima pinacoteca di famiglia: lo “Scrigno d’Arte dei Pesaro” che Pietro Pesaro, ultimo discendente del Casato, si ridusse a vendere precipitosamente all’inizio del 1800.

La Collezione dei Pesaro era famosa a Venezia e altrove per le quasi 340 opere che raccoglieva. Fu arricchita a più riprese da diversi lasciti di Familiari e parenti Nobili: soprattutto da parte di Polo Nanidi Cannaregio che testò a favore dei Pesaro lasciando sei quadri di Veronese, Paris Bordone, Salviati e Sebastiano Dal Piombo.

Carlo Ridolfi nel 1648, e Marco Boschini nel 1660 furono unanimi nel decantare la bellezza e la ricchezza di quella collezione posta “nelle regie stanze dei Pesaro”. Progressivamente vennero aggiunte opere di numerosi autori-artisti: Varotari, Peranda, Genoese, Spagnoletto, Ponzon, Mafhio da Verona, Palma il Vecchio, Maffei ... Alcune opere oggi sono andate perdute, come la “Madonna con Bambino e San Giovannino” di Pietro da Cortona donata ai Pesaro da Papa Alessandro VII, o il ritratto del “Serenissimo di Famiglia” realizzato da GirolamoForabosco.

C’erano poi altre opere dei Vivarini, nonché dipinti di: Antonello da Messina, Vittore Carpaccio, Schiavone, Catena, Giorgione, Pordenone, Tiziano, Paolo dei Freschi, Marco Parmezzano, Carletto Caliari, Domenico e Marietta Tintoretto, Alvise Del Friso.

Durante il 1600 si aggiunsero ulteriori commissioni artistiche: Guercino, Van Dyck, Luca Giordano, Ribera, Saraceni, Padovanino, Tinelli, Strozzi, Pietro Vecchia, Carpioni, Fetti, Regnier, Ruschi, Mazzoni, Negri, Loth, Gallina e Fumiani ... e nel 1700 altri ancora: Gregorio Lazzarini, Andrea Celesti, Antonio Bellucci, Bartolomeo Nazari, Gerolamo Brusaferro, Federico Bencovich, Francesco Zonca, Francesco Battaglioli… Sembra poi che nella stessa collezione siano confluite a inizio secolo anche le raccolte artistiche del Palazzo dei Pesaro di San Beneto: “… ricca di capolavori dei Bonifacio, Paris Bordone, Tintoretto, Giovan Bellino, Paolo Veronese, dei Palma, dei Fiamminghi e dei Bassano”, e forse pure la raccolta dei Pesaro del Palazzo di Santa Sofia di Cannaregio.

Quanto mi piacerebbe poter assistere invisibile in sogno ad una sola giornata “di palazzo Pesaro” in quegli anni là … Chissà quante cose avrei visto e capito ... Di sicuro per di là si affacciava e riassumeva la splendida Venezia di allora.

Ma lasciamoci ora per un attimo pigramente declinare insieme agli ultimi Pesaro.

Alla Redecima del 1740: Ser Lunardo Pesaropur essendo segnato, non era tenuto a pagare tasse … mentre un suo omonimo: Ser Lunardo di Pesaro fu de Ser Antonio di Santa Croce pagava ben: 184 lire, 9 lire e 11 soldi … Ser Antonio Pesaro quondam Ser Zuane Cavalier di Santa Croce pagava: 6 soldi, Ser Marin Pesaro del Sestier di Cannaregio pagava: 16 lire e 2 soldi, mentre Marin Pesaropagava: 16 lire e 1 soldo … La Schola Granda di Santa Maria della Caritàpagava 15 soldi di tasse sulla Commissaria di Antonio di Ca' Pesaro, mentre le Procuratie de Citrae de Supra erano esentate dal pagare per le Commissarie di Ser Marco Morosini, Ser Bertuzzi de Pesaro, e di Ser Anzolo Pesaro… Infine: la Contessa Francesca Superchi relicta Fabio Barni de Chà Pesaro, sebbene “èxtera”doveva pagare: 1 lira e 7 denari, mentre il Conte Zuane Vatieli del Conte Nicolò Carlo de Chà Pesaro,“extero” pure lui, avrebbe dovuto pagare: 1 lira, 6 soldi e 3 denari.


In quello stesso anno di quell’ultima importante Redecima della Serenissima nacque Francesco Pesaro probabilmente a Venezia.  Nel 1775 con i fratelli Nicolò, Zuanne e Pietrochiese di poter far uso dell’acqua del Brenta per far girare tre quattro ruote da mulino mentre in precedenza avevano chiesto anche un’investitura per far funzionare un maglio da ferro e una segheria … Consapevoli che “i Tempi stavano ormai cambiando e precipitando”, l’anno seguente provvidero a dividere fra loro le facoltà di famiglia ... Appassionato antesignano del volo in mongolfiera, lo stesso Francesco Pesaro finanziò il 15 aprile 1784la memorabile impresa ricordata nel dipinto di Francesco Guardi che dipinse il pallone aerostatico realizzato dai fratelli Zanchi: globo aerostatico ad aria infiammabile, librarsi in aria per ben dieci miglia passando sopra al Bacino di San Marco e al Canal Grande.”  Il pallone senza equipaggio aveva un diametro di venti piedi veneti, e sosteneva una navicella di tredici piedi. Rimase in aria per due ore e mezza andando poi a cadere sulle barene della Laguna.

Ancora alla fine del gennaio 1787, approfittando della paralisi dei porti francesi, in particolare di Marsiglia, a Venezia si aprirono diverse nuove Società d’Assicurazione. La prima fu la Compagnia Veneta di Sicurtàche emise un pacchetto di 800 azioni da 500 ducati l’una: 126 furono acquistate da Patrizi. 25 ne prese Nicolò Erizzo, 20 Alvise Emo, 10 ciascuno Antonio Duodo, Ludovico Manin, Pietro Vettor Pisani, Francesco Pisani, Vincenzo Tron, Zuanne Pesaro, Francesco Morosini, 5 Sebastiano Zen e Girolamo Ascanio Giustinian, e una Almorò Daniel Pisani.

Nel settembre dell’anno prima, nella Corte dell'antico palazzo Pesaro di San Beneto si raccoglieva ancora la Società degli Orfeii cui associati erano deditissimi alla Musica. Si scriveva nel “Il Nuovo Postiglione”: Giornale Veneziano: Meritano sommo elogio i Signori Soci dell'Accademia d'Orfeo, i quali colle più prudenti e vaste idee ognora più perfezionano il loro Istituto. Corrisponde appunto questo alla loro denominazione, poiché è quello dell'armonia in suono e canto, e nell'ordine della Società loro. Aumentatasi fino a 150 socj, e numeroso essendosi veduto il concorso di distintissime persone anche estere (queste essendo ammesse anche senza biglietto quando sieno introdotte da uno dei soci) alle Accademie e Feste di Ballo, che a loro proprie spese sogliono i medesimi socj dare, conobbero altresì la necessità di più vasto luogo per le loro Assemblee. Quindi con la commendabile Presidenza del zelantissimo Signor Gio. Andrighetti Cassiere, fu trasferita la loro Accademia dalla Contrada di Sant’Angelo a quella di San Beneto in un appartamento di vasto palazzo da loro fornito ed abbellito con singolar eleganza, ma senza un affettato sfarzo. Nella sera del 28 al 29 del mese corrente vi si darà adunque il primo armonioso spettacolo con una cantata intitolata: Deucalione e Pirra, a tre voci di scelti Professori, con Sinfonie, Concerti, e vaga illuminazione. La poesia è dell'eccellente sig.r Antonio Sografi Avvocato Veneto, e la musica del celebre Signor Ferdinando Bertoni Maestro della Cappella Ducale di San Marco”.

Dieci anni dopo la Compagnia degli Orfei inaugurò la loro nuova sede nelle sale annesse al Teatro La Fenice“dando luminosi spettacoli”… ma torniamo a Francesco Pesaro, che fu anche Ambasciatore in Spagna e Procuratore di San Marco, e fu coinvolto nelle ultimissime vicende che portarono alla caduta ultima della Repubblica Serenissima.  

Nell’ottobre 1797 Pietro Pesaro col fratello Zuanne furono nel gruppo dei 35 Nobili Patrizi Veneziani presi come ostaggi-complici, e rinchiusi nel Forte di San Giorgio Maggiore di Venezia in occasione della presunta congiura contro i Francesi ... Zuanne Pesaro fece appena a tempo ad inviare al Fratello Francesco il “conto zòge (gioie e pietre preziose) de famègia”, che già erano stati ripuliti e spogliati di tutto ... Francesco Pesaro fuggì nottetempo via mare sino a Fiume in Istria con una grossa borsa di soldi dopo essersi proclamato fino all’ultimo “grande difensore ad oltranza dellaSerenissima Repubblica”… Un mese dopo trovò riparo presso la Corte Imperiale di Vienna… Definito dal Governo della Municipalità Provvisorio di Venezia: “uomo vano e leggero, nemico del Popolo e della Patria”, venne bandito per sempre da Venezia … Il Comitato di Salute Pubblica“eseguì il decreto di confiscazione, senza pregiudizio delle azioni civili di chicchessia a risarcimento dei soprusi subiti dal Popolo Veneziano per tanti secoli.” privandolo di tutto il patrimonio di famiglia ... A nulla era valsa una lettera del Nobile che chiedeva una sospensione della confisca dei beni giustificando la sua fuga come scelta obbligata per il bene della Patria … Durante una solenne cerimonia nella Piazzetta di San Marcosi bruciò l’immagine del Pesaro insieme a quella di  del Provveditore Generale in Dalmazia Querini, del Savio alla Scrittura Priuli, e del Responsabile delle Forze Armate Nicolò IV Morosini: tutti accusati di: “fellonia, tradimento, tirannia e inimicizia per la Patria” … Cà Pesaro perse in breve tutta la sua mirabile collezione, e la biblioteca di famiglia venne venduta in blocco per 90.000 lire.

Due anni dopo, nel 1799, Francesco Pesaro rientrò a Venezia come Consigliere e Commissario Straordinario dell’Imperatore Austriaco Francesco II, mentre il fratello Pietro,ultimo rappresentante del Casato dei Pesaro, che era stato l’ultimo Ambasciatore della Serenissima presso il Papa di Roma andò a rifugiarsi in esilio a Londra lasciando i suoi beni ai nipoti Pietro e Leonardo Gradenigo ... Entro e dopo la sua morte del 1830 la favolosa collezione artistica dei Pesaro andò del tutto tristemente alienata e dispersa in parte per sostenere il prezzo de suo ultimo soggiorno nella City Londinese.

Ultimissima noterella curiosa …

Dopo metà giugno 1806, quando venne dato l’ordine di sgombero controfirmato dalla Badessa per la soppressione di Chiesa & Monastero di San Daniele nel Sestiere di Castello “presso le mura dell’Arsenàl, che dovevano per necessità di forza maggiore essere trasformati rispettivamente in Caserma e Magazzino per il Militar di Marina …”, le 26 Nobilissime Monache Agostiniane dette da tutti: “le Canonichesse Bianche di Castello” vennero sfrattate e concentrate assieme a quelle del vicino Monastero Cistercense della Celestia.

Tutte insieme vennero poi stipate in barca con quattro stracci, e inviate nel già superaffollato Monastero Agostiniano di Sant’Andrea della Zirada nella periferia più estrema dall’altra parte della città Lagunare.

Non fosse mai accaduto ! … Le differenti Monache per Regola, ma soprattutto per stampo ed estrazione sociale, iniziarono a contrastare fra loro strappandosi cuffia e capelli e ingiuriandosi reciprocamente … incredibilmente incuranti degli eventi storici che avevano già decretato la fine di quel loro secolare quanto effimero mondo dorato.

Soprattutto le Monache Bianche di Castello non riuscirono, né vollero adeguarsi alla nuova circostanza: andarono a lamentarsi con la Badessa Chiara Madonna Pesaroaffermando delle Consorelle: “… (sono) effetti di vero sovvertimento … un continuo contrasto di esercizi religiosi e pratiche di pietà”.

Eccola là che spunta un’ultima volta ! … Un’altra Donna dei Nobili Pesaro al comando di uno degli storici Monasteri Veneziani ... Ancora una figura altolocata in prima linea quindi, di blasone e prestigio, secondo quanto suggeriva da secoli lo stile di Famiglia Pesaro.

Fu uno degli ultimi lampi … poi il famoso Sole dei Pesaro che non tramonta mai si spense del tutto.

A Cà Pesaro andò a rifugiarsi Ludovico Maninultimo Doge della Serenissima dopo l’abdicazione dal Principato… Poi Cà Pesaro venne comprata dai Padri Armeni Mechitaristi dell’Isola di San Lazzaro che ne fecero Collegio, nel marzo 1847 fu venduto al Cavalier de Liebenberg, e infine nel 1851 venne acquistata dalla famiglia del Duca Guglielmo Bevilacqua la cui Duchessa Felicita Bevilacqua vedova del Generale-Duca Giuseppe La Masa la destinò a Galleria d'Arte Moderna istituendo la Fondazione Bevilacqua La Masa.

Come ben sapete, la Galleria divenne famosa per aver ospitato nei primi due decenni del 1900 i così detti “Ribelli di Ca' Pesaro”, cioè quell’esperienza artistica rivoluzionaria e antiaccademica: “palestra intellettuale alternativa”, che sorse in polemica con i maestri “troppo classici” della Biennale. Frutto di quel movimento artistico è la preziosa raccolta di opere di Arturo MartiniFelice Casorati, Guido MarussigGino Rossi, Tullio GarbariPio Semeghini, Umberto Moggioli allievo di Guglielmo Ciardi e altri ancora ospitata ancora oggi a Cà Pesaro … Munifico palazzo davvero !

Ho finito …

Finalmente ! direte … Ho provato un po’a sbirciare con voi dentro alla “curiosa saga”, quasi una piccola epopea dei Nobili Pesaro di Venezia.

 


 

 

Fulgenzio Manfredi: un salvacondotto per il rogo.

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#unacuriositàvenezianapervolta 226

Fulgenzio Manfredi: un salvacondotto per il rogo.

Fulgenzio Manfrediè stato ed è un personaggio Veneziano dimenticato … Uno però che è accaduto e c’è stato per davvero dentro all’incredibile e molteplice realtà Lagunare del suo tempo nascendo pressappoco nel 1563.

Entrato nei Frati Cappuccini con i quali fece gran baruffe e contestazioni, passò ai Francescani Minori Osservanti di San Francesco della Vigna di Castello a Venezia dove divenne ben presto famoso per lo spessore della sua cultura, e la forza dell’eloquenza delle sue prediche. Si dice fosse dotato di notevole ironia, oltre che di felice senso critico e polemico, ed era conosciuto oltre che per la produzione di diversi scritti di natura Religioso-Dottrinale e Storica, anche e soprattutto per la sua verve patriottica e idealistica a favore della Serenissima.

Fulgenzio Manfredi quindi è un personaggio che merita la nostra attenzione curiosa per quanto d’insolito e singolare gli è capitato di vivere ... anche se quel nome oggi è buttato là nel dimenticatoio anonimo dell’oblio della Storia che conta.

Arriviamo però ai fatti !

Siccome, come dicevo, era uno spettacolo avvincente assistere alle sue prediche, soprattutto perché le arricchiva di una eloquenza e di una gestualità e loquela così efficaci che riusciva a raggiungere, pungere e catturare di volta in volta l’attenzione di tutti … Veneziani e non ... dai popolani più ignoranti e illetterati, ai Nobili e gli eruditi, ai Politici e Ambasciatori, e fino alla gente che contava di più a Venezia: il Doge e la sua stretta sequela accorrevano ad ascoltarlo …. C’erano perfino a Venezia i così dettiFulgenzini: donne popolane soprattutto, che come moderni fans non mancavano mai di accorrere entusiasti e ammiccanti quando c’era lui a parlare.

Predica dopo predica, catechizzata dopo efficace indottrinata, il Fratedivenne conosciuto, stimato e richiesto ovunque per Venezia, finchè venne deputato a calcare il pulpito di uno dei più prestigiosi luoghi di cultura e Dottrina della sua epoca: la chiesa dell’Umiltà sulle Zattere di Dorsoduro verso la Punta dei Sali e della Dogana da Mar.

A voi dirà poco o niente il nome della chiesa dell’Umiltà, anche perché oggi non esiste più, ed è stata sostituita ormai da secoli da un largo cortile che ha visto migliaia di Veneziani e giovani calcarne ludicamente e pensierosamente il terreno … me compreso.

Nel 1550, invece, ai tempi del nostro Frate Fulgenzio chiesa e Monastero dell’Umiltà erano giunti all’apice del loro fulgore … L’Umiltà era di sicuro un altro di quei gioielli Veneziani, un bijoux d’Arte e Bellezza quasi sensuale che attirava Veneziani e non come api sul miele.

A farla breve: il Luogo dell’Umiltà ai tempi di Frate Fulgenzio viveva una stagione di grande fervore e splendore artistico. La chiesa era totalmente ricoperta da teleri, quadri e opere d’Arte degli autori più illustri della Venezia di allora: Paolo Veronese aveva dipinto mirabilmente gli scomparti del soffitto con teleri da rimanere a bocca aperta a guardarli, e poi c’erano le opere di Jacopo Tintoretto, Marcantonio Moro, Paris Bordone, del Fiammingo Baldissera D’Anna, Jacopo Bassano, Palma il Giovane, Fabio Canal e affreschi del Petrelli… un intero piccolo museo per intenderci.

Che poi il sito della chiesetta sulle Zattere ai Magazzini del Salealla Punta della Trinità della Visitazione della Vergine detta volgarmente: Santa Maria dell’Umiltà col Monastero delle Monache di San Servilio era già famoso a Venezia perchè aveva già una sua ricca Storia. Era stato prima luogo di Cavalieri Templari“Poveri Cavalieri di Cristo” di cui sapete vicende e losche, tragiche subdole peripezie, poi dei Cavalieri Teutonici… Non ultimo aveva ospitato San Ignazio di Lodola o Loyola con i suoi compagni che abitavano nel vicino spartano Ospedaletto degli Incurabili dove si dedicavano a curare gli infermi … Ignazio di Loyola diceva a suoi di far finta di trovarsi in India ... Più tardi ancora l’Umiltà trovando rinnovato splendore ospitò i Padri Gesuiti: i Preti del Gesùfedelissimi del Papa che rinnovarono tutto: chiesa e Monastero nel 1589, trasformandolo in sontuoso Collegio Educativo per i figli dei NobiliVeneziani.

La chiesa per la munificenza di Nobili Veneziani come i Lippomano, di Nobildonne come Bernardo Adriana vedova di Vincenzo ContariniGovernatrice dei Derelitti e delle Zitelle, e dello stesso Stato Serenissimodivenne un preziosissimo bijoux. Nel marzo-giugno 1560 si provvide a diversi interventi edilizi spendendo 800-1000 ducati, altri 1500-2000 scudi due anni dopo, e nell’agosto 1563 si completò la mirabile decorazione pittorica sempre affidandola ai “migliori” … Completato tutto, dieci anni dopo, i Cronisti Veneziani scrivevano: “…il sito è assai comodo… la chiesa ha cinque altari ed un ricco e bel soffitto, è dotata di una bella e grande Sacrestia ben provvista di paramenti ed ornamenti per la chiesa … (si accenna ad un ricchissimo tabernacolo da 1.000 ducati offerto da NobilDonne) … la casa ha un cortile con una cisterna nel mezzo, un Oratorio in prossimità della porta per confessare uomini e ragionare con forestieri … dispone a pianoterra di due camere per il portiere ed i forestieri, di un magazzino per la legna, cantina, cucina e refettorio … ed un assai bello e grande giardino … la casa è articolata in due soleri: il primo con dodici camere, ed il secondo con undici: alcune talmente grandi da poterne fare quattro, oltre la Biblioteca assai grande e ben fornita di libri … Infine una comoda e grande sala dove si fa fuoco durante l’invernata.”

E ancora cinque anni dopo, nel 1578, quando il sito era perfezionato: “… s’è aggiunto alla chiesa la Cappella Grande col Coro di dietro con sedili di noce ben lavorati (in solaro sopra la porta della chiesa esiste un altro Coro capace di 200-300 persone), pavimenti in pietra viva di vari colori e con alcuni quadri grandi di pittura sulla vita della Madonna … rendendola più capace … allo scopo non sono mancate le elemosine … anche la Signoria ha fatto più larghe elemosine per vitto e la fabbrica rispetto agli anni passati … Dall’altra parte di dentro si sono fatti due Oratori nei quali si può celebrare la Messa, udir predica e far esortazioni. Di sotto a ciascuno di questi ci sono due stanze che possono servire a Sacrestia et altri bisogni … si hanno belle Reliquie in bei reliquiari …”

Nel 1580 una nota storica racconta che si dovettero interrompere le prediche in chiesa: “… alcune Feste dell’estate per essere impedita la chiesa da muratori e falegnami nel far il pavimento e li banchi nuovi da sedere alla predica, tutti a modello così per gli uomini che per le donne; il che ha aggiunto grande ornamento alla chiesa …”

Anche il Doge in persona si serviva per la sua Confessione personale dei Gesuiti dell’Umiltà mandandoli a prendere con una gondola per portarli a Palazzo Ducale.

I Padri Gesuiti consapevoli del loro ruolo, era parecchio ringalluzziti facendo un po’ alto e basso nella Città Lagunare: rifiutarono, ad esempio, di guidare e gestire il Seminario Dogale dei Chierici del Doge, rinunciando anche a un’entrata considerevole, considerando apertamente i Chierici del Doge come: “Preti bassi e di troppo dissoluti costumi.”

L’Umiltà sulle Zattere divenne piano piano luogo istituzionale di Politica e Dottrina, un pulpito prelibatissimo: un luogo di cultura, ma anche di prestigio dove la Serenissimaesternava pubblicamente le sue convinzioni … Non a caso presenziavano in massa alle celebrazioni e alle prediche gli Ambasciatori di tutti gli Stati Stranieri, i rappresentanti più o meno palesi dell’elite Veneziana, nonchè gli spioni del Papa che stavano a pesare e centellinare ogni cosa che veniva detta considerandola come uscita dalla bocca della Serenissima stessa.

Era insomma ambitissimo predicare all’Umiltà: solo i migliori potevano accedervi “cum summa laude” dello Stato Serenissimo … Fra costoro ci fu anche Frate Fulgenzio Manfredi dei Frati Minori di San Francesco della Vigna nel Sestiere di Castello che mirava a calcare impronte e tracce illustri come quelle lasciate dal suo amico un po’ esuberante e apocalittico: il Servita Paolo Sarpi divenuto Teologo Ufficiale della Serenissimaper gli affari di Religione e Consigliere Dottrinale Dogale con tanto di profumatissima e pingue Pensione di Stato.

A fine 1500-inizio 1600 Papa e Gesuiti andarono però in aperta disgrazia alla Serenissima, e dopo numerosi scontri a Padovae in Laguna vennero espulsi e cacciati via da Venezia e da tutto il suo Dominio al tempo del famoso Interdetto e della Scomunica propinata a Venezia. Poco prima un gruppo di 27 Patrizi Veneti: Loredan, Foscolo, Morosini, Barbaro, Barbarico, Venier, Foscarini, Malipiero, Marcello, Priuli, Vendramin, Molin, Paruta, Corner, Pesaro, Badoer e Rimondo chiesero e ottennero il riavvio di un Collegio per Nobili all’Umiltà che durò tre anni in tutto: giusto fino all’espulsione dei Gesuiti … Il complesso dell’Umiltàrimase abbandonato.

Solo a fine giugno 1615 tutta l’area venne affidata dal Governo della Repubblica alle Monache Benedettine provenienti dai Santi Basso & Leone di Malamocco trasferite prima nell’Isola di San Servolo con poca fortuna dall’Abate di Sant’Ilario di Fusina.

Facciamo però un passo indietro tornando al nostro Frate Fungenzio Manfredi.  Costui era sempre in stretto contatto col Padre Sarpi, di cui aveva grandissima stima, quasi una venerazione, e col quale scambiava di continuo opinioni ed entusiasmi, ma soprattutto velleitarie, furenti e aspre critiche infuocate lanciate contro il Papa Sovrano Pontefice di Roma… Era il tempo in cui la Serenissima si stava contrapponendo apertamente al Papa anche e non solo dal punto di vista Dottrinale, ma anche mettendo ai ferri corti il Clero Lagunare costringendolo a pagare tasse come tutti i Veneziani … cosa da cui il Clero Veneto era da sempre stato esentato tutelato dal Papa in persona.

Fra Fulgenzio allora si recava spesso a predicare all’Umiltà diventata palcoscenico mediatico del momento … Lì, come vi dicevo, confluivano ad ascoltarlo immancabili Nobili acculturati e Letterati, antipapalini sfegatati, Nobili Mercanti vogliosi di saperla lunga, il Doge in persona col suo entourage, e gli Ambasciatori Stranieri che non mancavano di aggiornare puntualmente i loro lontani Sovrani di quanto stava accadendo e si andava dicendo a Venezia.

A tal proposito esistono, ad esempio, dei dispacci inviati al Re d’Inghilterra dall’Ambasciatore Britannico residente a Venezia con i quali veniva aggiornato sulle: “… parole spinte, provocanti e dure di Fulgenzio Frate Veneziano … Quel Frate parla peggio di un Protestante e di un Inglese … usa uno stile oratorio diseguale, a volte sublime, altre volte triviale, ma esibisce sempre un’esorbitante libertà e fluidità di parola efficace che affascina e coinvolge tutti.”

Enrico IV di Francia, mediatore in seguito fra Venezia e Roma, intercettò una lettera che un Ministro Preteresco di Ginevra Calvinista: Giovanni Diodati oriundo Lucchese scrisse a un Ugonotto di Parigi: “… in pochi anni raccoglieremo il frutto de travagli che io e Fra Fulgenzio Santissimo Predicatore Evangelico sosteniamo per introdurre la Riforma nella vigna di Venezia, dove il Doge Lorenzo Donà e i Senatori hanno ormai aperto gli occhi finalmente alla Verità, anche se hanno risoluto a non scoprirsi per ora, ma di attendere un’occasione più favorevole, mentre il numero dei loro partigiani cresce ...”

Lo stesso Diodati affermava e scriveva d’aver fatto un viaggio a Veneziaincontrando e avendo molti colloqui con Padre Sarpi e Fra Fulgenzioinsieme ... Nel 1609 Linckh agente dell’Elettore Palatino aveva avuto un abboccamento diretto con gli stessi Fra Paolo Sarpi e Fra Fulgenzio suo Confratello. Scrisse a sua volta che entrambi dirigevano un’associazione segreta di oltre mille persone, di cui trecento Patrizi delle Primarie Famiglie col fine d’introdurre la Religione Protestante a Venezia… Attendevano solo che il Protestantesimosi fosse introdotto e diffuso almeno un poco nelle Regioni Tedescheconfinanti e limitrofe con la Serenissima.

Pensate se fosse accaduto ! … Sarebbe cambiata la Storia di Venezia, che si sarebbe risvegliata e dichiarata Protestante e Riformata: unico Stato d’Italia… Sarebbe cambiato l’intero Mondo Europeo di allora con tutti i suoi equilibri dettati dalla Religione.

Non accade però, perchè Venezia preferì riappacificarsi col Papa che provvide a fornirle soldi e navi da utilizzare contro i Turchi.

La Guerra e le Economie, si sa, sono sempre venute prima e sono più importanti di qualsiasi Religione, salvo non sia essa stessa il pretesto per fomentarle e realizzarle.

Frate Fulgenzio allora, consapevole di cavalcare il suo momento e l’onda del successo, non si trattene affatto dal pronunciare parole in più, e neanche dal compiere a volte gesti eclatanti a corredo … Si racconta, ad esempio, di una volta quando al termine della funzione con la sua predica, il Frate uscì di corsa quasi invasato e spiritato sul sagrato delle Zattere tirando giù dalla facciata lo Stemma Papale e gettandolo a terra … Lo sostituì con uno stemma “da Papa Morto e Sede Apostolica Vacante”.

Il gesto fu di sicuro clamoroso e spettacolare: fece irritare il Nunzio Papale a Venezia, e il suo racconto in breve saltò di bocca in bocca non solo dei soliti curiosi, ma di tutti i Veneziani “che finirono col ridere”, per giungere poi fino ai confini della Laguna e ben oltre. Quel gesto ad effetto di Fra Fulgenzio voleva significare: “Venezia è senza Papa … Non ne ha bisogno: per lei è come morto … Ne sa fare benissimo a meno.”

Fu subito scandalo grandissimo che giunse fino al Papa di Roma che aveva orecchi più grandi di quelli di Dumbo.

Frate Fulgenzio venne convocato prontamente a Roma presso la Congregazione del Santo Uffizio per essere “valutato”.

Si era nel 1606, e Venezia e Santa Sede erano ormai ai ferri corti … Già: valutato a Roma…  Ma in che modo ?

Fra Fulgenzio non si presentò ovviamente, ma pubblicò alcuni scritti in cui si difese dalle accuse della Sacra Inquisizione di Roma dichiarandosi: “Predicatore vero e fedele della Dottrina Evangelica e Apostolica”.

E dai … e dai … e batti e ribatti: come ulteriore gesto la Serenissimaincarcerò, processò e condannò due Preti per reati comuni … Cosa rara, non inaudita a Venezia dove non si andava tanto per il sottile con il Cleroe i Religiosi inadempienti e non curanti delle Leggi dello Stato … Fu di sicuro un altro gesto provocatorio, e di certo non utile alla causa Veneziana contro il Sovrano Pontefice.

Un ulteriore gesto di sfida da parte dei Veneziani venne considerata l’elezione a nuovo Doge del dichiaratamente e fattivamente antipapale Lorenzo Donà che non fece affatto mistero delle sue convinzioni, né di voler strapazzare il Papa un bel po’.

Venezia era Venezia … Non temeva nessuno.

Il Papa implose ... e nel gennaio seguente lanciò Interdetto e Scomunica su tutta Venezia, il Doge, i Senatori,e su tutta la loro congrega associata compresi Frate Paolo Sarpie gli altri Frati “eretici e mezzi matti”… Il Papa proibì ogni cerimonia religiosa in Laguna e in tutto il DominioVenetoa tempo indeterminato … In un certo senso era caduto il cielo sopra Venezia.  

Ma la Serenissima non si scompose né battè ciglio: cacciò via subito i Gesuitidalla Laguna sequestrandone e incamerandone i numerosi beni, precettò tutti gli Ecclesiastici di continuare a celebrare i loro Riticome se niente fosse, e si scagliò contro Roma con tutta la forza della sua acculturata e diplomatica eloquenza. In quel contesto primeggiò su tutti e si valorizzò l’eloquenza teologica del Padre Servita Sarpi che si diede parecchio da fare tuonando dai pulpiti e negli scritti.

Il Papa superoffeso si ribaltò sul suo seggiolone tanto da mandare immediatamente da Roma un paio di sicari a Venezia, che sul Ponte di Santa Fosca a Cannaregio, poco lontano dal suo Convento di Santa Maria dei Servi, provarono ad ammazzare Frate Paolo Sarpi… Venne solo ferito, invece … e questa è Storia.

E Frate Fulgenzio ?

Sull’onda di tanto eclatante entusiasmo politico-religioso, continuò a fare la sua parte, sperando anche intensamente in un riconoscimento economico da parte della Serenissima simile a quello attribuito al suo amico Sarpi di cui era di fatto il “braccio destro”.

Frate Fulgenzio Manfredi non mancò di schierarsi apertamente e in maniera spettacolare dalla parte dei Teologi della Serenissima.  Si scaglio più volte apertamente nella chiesa del Redentore e appunto in quella dell’Umiltà contro Papa Paolo V e “contro li costumi corrotti della Corte Romana” ... Ma non soltanto. Si riferì di lui al Papa: “FraManfredi sostiene che il potere Papale non è superiore a quello di un qualsiasi Piovano di campagna … e che la Volontà Divina non può essere modificata dalle preghiere … che i Sacramenti sono cose da fanciulli, e il Catechismo del tutto inutile …” e infine: “… che la navicella di San Pietro sta per essere sommersa, tanto male è governata ...”

 

La piega della Storia poi assunse contorni diversi suggeriti dagli eventi. Si mise di mezzo come mediatore nel contrasto fra Papa e Venezia il Re di Francia tramite il quale le due potenze italiane giunsero finalmente a compromesso. Il Papa avrebbe ritirato l’Interdetto e la Scomunica, mentre Venezia avrebbe mantenuto le sue tasse sul Clero Veneziano, ma restituito i due Chierici imprigionati ... e messo a tacere certe malelingue: “soprattutto quelle di certi Frati ispiritati e mezzi matti”.

 

Il Doge allora, più preoccupato della sorte e dell’immagine dello Stato piuttosto che di quella dei singoli suoi sudditi diede ordine a Frate Fulgenzio di allontanarsi dalla chiesa dellUmiltà e di tacere: “… d’astenersi dal predicare, e dal far gesto eclatante mettendosi silenziosamente da parte.”

 

Per Frate Fulgenzio fu la fine, e la crisi totale personale ... A Frate Paolo Sarpi, forse più astuto e pronto, il Doge e il Governo dissero solo: “… d’essere più prudente e riservato nel parlare e scrivere in avvenire.”

 

Privato della cosa a cui teneva di più, e per la quale in fondo viveva: cioè la predicazione, privo poi di riconoscimenti da parte dello Stato in cui grandemente sperava, si sentì tradito e messo da parte ... Era vero: l’aveva fatta grossa come Predicatore Ecclesiastico…Come Frate poi gli pesò soprattutto il fatto d’essere stato escluso dalla Comunione Ecclesiale con la Chiesa e con lo stesso Papa… Sentiva odore e sapore d’Inferno, di dannazione eterna … Si sentiva quindi fallito come Religioso.

 

Per cui giunse alla pensata finale: “Vado a Roma a spiegarmi direttamente col Papa e a chiedergli perdono e riconciliazione.”

 

Scelta insulsa e scellerata, insensata gli dissero tutti a Venezia: “Tutti pensano: doveva tra se dire che sarà impiccato et abbrusciato.”  … Una volta giunto a Roma Papa e Cardinali dell’Inquisizione Romana avrebbero fatto un sol boccone succulento di lui ... Se fosse rimasto a Venezia lo Stato Serenissimogli avrebbe in ogni caso garantito ogni forma di sicurezza: sarebbe stato intoccabile se restava in Laguna, anche se non cavalcava più l’onda del successo.

E invece: no … Frate Fulgenzio fu determinato e irremovibile nel voler recarsi a Roma.

Scrisse al Doge una lettera giustificando la sua partenza per Roma, e si lamentò d’essere stato abbandonato dal suo Governo che aveva sempre difeso lealmente … In cambio era stato reso: “quasi seppellito, e mutilo”... Frate Fulgenzio era davvero risentito e arrabbiato con la Serenissima Repubblica.

Berlingerio Gessi Vescovo di Rimini e Nunzio Apostolico presso la Serenissima Repubblica di Vinetia, aiutato dal Prete Alessandro Bon e dal Frate Francescano Livio da Verona, durante tutta questa Storia non aveva mai smesso d’informare Roma “minuto per minuto”, subodorando l’impresa di togliere da Venezia uno dei protagonisti dell’acerrimo schieramento antipapale: “covo d’eretici impenitenti come Fra Sarpi e Fra Fungenzio suo emulo, degno dei fulmini del Vaticano”, si affrettò a pagargli il viaggio verso Roma fornendolo di spettacolare quanto speciale Salvacondotto che gli garantiva ogni incolumità fino al suo arrivo alla Capitale della Cristianità: “ … Amplo, libero e assoluto salva condotto per se, suoi compagni, et robbe per tutto lo Stato Ecclesiastico di non poter essere per qual si voglia causa, o quesito colore, trattenuto e travagliato, conferirsi sicuramente a Roma, et presentarsi ai piedi di NS per cui commissione doveranno anche li sudditi Magistrati e Governatori porgergli ogni aiuto, favore e comodità, secondo che dal medesimo Padre saranno ricercati …Il quale giunto che sarà a Roma, lo assicuriamo per parola dello nostro istesso NS, che non sarà molestato, o aggravato, o offeso nella persona, né in cosa che concerna la persona o l’honor suo, dicendo egli andarvi liberamente e spontaneamente per zelo del Signore Iddio, per obbedienza, e per servizio di sua Santità e della Santa Chiesa Apostolica Romana della quale asserisce essere per professione humil soggetto et obediente figliolo…”

Giacomo di Castelvetro provò a dirgli per ultimo: “La Corte di Roma non perdona chi l’offende con la Verità ... Andando a Roma in luogo di una mitra o di un cappello rossi avrete fuoco o un capestro …”

Niente da fare: Frate Fulgenzio aveva ormai abboccato all’amo … e partì nello sconforto generale di tutti incontro al suo destino. A niente valsero i tentativi di trattenerlo a Venezia dei suoi amici Religiosi Sarpi e Bedell.

Frate Paolo Sarpi scrisse al Doge:“Le dirò, di nuovo, che quell‘altro Fulgenzio Manfredi cordeliero, il quale ha ripreso li vizii della Corte Romana, come Vostra Signoria sa, e da loro è stato perseguitato questi due anni. finalmente, edotto da loro, parti di qua il di 8 di questo, furtivamente, inviato verso Roma, dove presto giongerà. Ed essi piglieranno in spalla la pecora smarrita, e faranno la festa in forma.”


Giunto a Bolognain Terra Papale, previo suggerimento dello stesso Papa e del Nunzio Veneziano, Fra Fulgenzio venne accolto benissimo. Alla partenza per Roma si disse di lui: “Povero Frate: con che allegrezza e sicurezza va a Roma, non si avvede che sta andando volontariamente al macello.”

Infine giunse a Roma, alla Città Eterna dei Papi: la Città di Dio… E qui all’inizio tutto sembrò andare per il meglio. Gli venne offerto ospitalità nel bel Convento di San Pietro in Montorio sul Gianicolo. Il posto in Trastevere era spettacolare oltre che accogliente: nel 1502 Bramanteaveva realizzato lì nel cortile del  Convento il suo bellissimo Tempietto circolare: un capolavoro di perfetta simmetria e di raffinata bellezza, prototipo forse della realizzazione della stessa Basilica di San Pietro in Vaticano. Il modello del monumento era esemplare nelle sue forme: richiamava plasticamente a più livelli l’Ordine della Chiesa:con la Chiesa Originaria delle Catacombe nella Cripta-Sacello di sotto, la Chiesa Militante reale visibile nel cortile, e la Chiesa Trionfante dipinta nella Gloria della Cupola che andava ad aprirsi al Cielo dei Cieli Sempiterni con quale la Chiesa si confondeva ... Insomma: Frate Fulgenzio venne ammesso ed accolto a Roma in un contesto davvero singolare che ricapitolava plasticamente l’identità Ecclesiastica, nonché i valori della Perfezione Architettonica ma anche Dottrinale di Papa & Chiesa.

La costruzione del Tempietto Circolare doveva celebrare il Martirio di San Pietro avvenuto secondo tradizione proprio sul ColleGianicolo, era stata commissionata dalla Congregazione Spagnola che abitava il Monastero, e dal Re di Spagna in persona.

Fra Fulgenzio scrisse d’essere rimasto davvero colpito da tanto splendore.

Subito dopo venne condotto direttamente davanti al Papa a San Pietro sul Colle Vaticano col quale ebbe diversi colloqui personali. Il Papa sembrava intenzionato a voler sapere tutto su Venezia e il suo modo d'intendere, e su come forse stava diventando una Città Protestante: "Gionto in Roma, ha ricevuto dal Papa assignazione di spese pubbliche per se e per tre servitori: ha avuto da Sua Santità favorite e longhe audienze; e specialmente, già due settimane, stette col Pontefice due ore ben grosse ..."

Si prospettava per Frate Fulgenzio la piena assoluzione e il perdono del Sommo Pontefice, e perfino la possibilità di riprendere a predicare e insegnare ... Non accadde nulla in realtà: tutto veniva di continuo procrastinato, il denaro era meno del previsto, i confratelli lo evitavano ... C'era dell'altro in serbo per lui.

Ben presto Fulgenzio si rese conto d’essersi cacciato in trappola spontaneamente, e che l’Inquisizione stava guadagnando tempo accumulando prove sulla sua colpevolezza ... Inviò allora una supplica a Venezia con la speranza di poter essere riaccolto dalla Serenissima, anche se la sua partenza era stata letta da Venezia come un’offesa e un tradimento: La partita di Fra Fulgenzio, in verità, non fu offesa pubblica, perché egli non era servitor pubblico, non stipendiato, non pigliato particolarmente in protezione, se non solamente per la legge generale fatta che tutti li Ecclesiastici che non hanno servato I’Interdetto fossero sotto la protezione del Principe. Meno a Fra Fulgenzio fu mai comunicata cosa alcuna secreta, né meno mai dimandatoli parere suo …”

 

Era troppo tardi però per qualsiasi scelta e compromesso … e anche per qualsiasi aiuto esterno che potesse salvare Frate Fulgenzio.

 

Infatti all’alba del 06 febbraio 1610 giunsero le guardie dell’Inquisizione a prelevarlo per ordine del Cardinale Girolamo Pamfili Vicario Pontificio a Santa Maria in AraCoeliperché sospettato d’essere in procinto di fuggire per l’Inghilterra ... Non era affatto vero.

Venne quindi condotto direttamente al Carcere di Torre di Nona: prigione comune “ove custodivansi i rei di delitti comuni”, ma soprattutto: luogo d’indagine e di riferimento della Sacrosantissima Inquisizione Romana.

Subito dopo, a seguito dell’esame di alcuni suoi scritti e a una perquisizione fattagli in casa su segnalazione e soffiata diPaolo Zevio che l’aveva accompagnato fin da Venezia, Frate Manfredivenne sottoposto a Processo Inquisitorio: il Padre Fulgenzio Manfredi Minorita, che nel tempo delle controversie predicava qui, e già diciotto mesi se ne andò a Roma con salvocondotto, è stato imprigionato di ordine del Pontefice, ed è ritenuto in secreta.”

 

Fino alla prima metà del 1600 Tor di Nona di Roma fu sudicio e temuto carcere, e luogo di processi, torture e uccisioni gestito dal “Soldàno”scelto tra i familiari del Pontefice. Situato all’interno dell’antica Torre dell’Annona su tre piani, superstite di un recinto murario del 1300, era sta posta a difesa della riva sinistra del Tevere fra Porta Flaminiae Ponte Sisto. La "presòn de lo Papa"aveva un posto di sbarco affacciato sul Tevere, e una portaccia per fare entrare materiali, legname, rifornimenti alimentari e vinaccio esente da Gabella... Era un posto squallido e desolato soggetto a periodiche inondazioni del fiume, con circa venti celle o "segrete"su ogni piano dai nomi insoliti come: “il Pozzo, l’Inferno, il Paradiso, il Purgatorio, la Fiorentina, la Monachina, la Zoppetta, la Conserva, e la Paliana.”… Nel dicembre 1485, ad esempio, molti dei duecento carcerati divisi a seconda delle categorie economiche d’appartenenza in:“agiati, non poveri, e poveri” finirono annegati.

Alle inferriate del pianoterra c’era appesa una cassetta che raccoglieva oboli per chi non aveva proprio niente … Nel Carcere si raccoglievano sia donne che uomini mantenendoli separati. Una casa-prigione a parte occupavano i Frati-Monaci e Preti, e c’era anche una prigione speciale di transito per Galeotti. Fino alla fine del 1400 i condannati venivano impiccati e appesi ai merli della torre con ai piedi un cartello dov’era scritto il nome e il genere di delitto commesso, mentre nel 1500 si preferì usare una più sbrigativa mannaia decapitando i condannati nel cortile della prigione.

Insomma: Frate Fulgenzio finì lì dentro … e il resto lo potete immaginare un po’ da soli … Fu messo insieme in cella con i sicari del Veneziano Frate Sarpi: quel Prete Michiel Viti e quel Pomasfuggiti chissà come da Venezia, e andati a Roma per ottenere un premio. Siccome quel premio non arrivava, si misero a parlare male del Papa: “la cui offesa era come se fosse fatta a Dio”, per cui il Papa li aveva fatti acciuffare e gettare in gattabuia.

Infine nei locali del Tribunale del Vicario, del Governatore e dell’Auditore di Camerasi tenne il processo unilaterale contro Fra Fulgenzio: senza scampo, con tutta la serie delle accuse inappellabili da cui era praticamente impossibile sfuggire e difendersi.

Frate Fulgenzio venne anche torturato con la corda perché facesse i nomi dei suoi complici … Non disse nulla al riguardo.

Durante il processo: Diedero poi di mano sopra le scritture sue, e, scrutiniate quelle, lo trasportarono dalla prigione su detta alle prigioni dell’Inquisizione. Là li fu dato tre imputazioni: una che avesse tra li suoi libri alcuni proibiti; la seconda, che tenesse commercio di lettere con eretici d’Inghilterra e di Germania; la terza, che vi fosse una scrittura di sua mano, la quale conteneva diversi articoli contro la Dottrina Cattolica Romana: in part6icolare, che san Pietro non era sopra gli altri Apostoli; che il Papa non è capo della chiesa ; che non può comandare alcuna cosa oltre le comandate da Cristo; che il Concilio di Trento non fu né generale né legittimo; che nella chiesa romana vi sono molte eresie …”

Frate Manfredi tentò strenuamente e inutilmente di difendersi, ma alla fine con sentenza firmata ed emessa dai Cardinali:  Zapata, Millini, Taverna, Bernieri, Pinelli, Aldobrandini, Bianchetti, Varalli e De la Rochefoucault venne condannato come Eretico Relapso: “...il giorno 4 di luglio, fu condotto nella gremita chiesa di San Pietro … furon lette le sue colpe e fatta la sentenza: che dovesse esser escluso dal gremio della Santa Chiesa come eretico … Finita la cerimonia, fu condotto nella chiesa di San Salvator in Lauro, e là degradato eridotto allo stato laicale consegnandolo al Governatore di Roma; e la mattina seguente in Piazza di Campo di Fiore ove fu impiccato ed abbruciato.”

 

S’era fatto tutto in fretta, perché non ci fosse tempo per eventuali rinvii o ripensamenti …  Morì così il veemente Frate Fungezio Manfredi Veneziano.

 

L’Ambasciatore Giovanni Mocenigo trasmise subito dettagliatamente la notizia al Senato Veneziano.

 

Nel suo ritratto conservato paradossalmente oggi nell’Archivio per la Congregazione della Fede di Roma venne rappresentato con una fiamma ardente dietro: segno della sua predicazione infuocata da spirito indomito … ma anche premonizione truce di quanto gli sarebbe accaduto in seguito di fatale ... Un’iscrizione sotto al ritratto attesta che quel Frate è stato: Predicatore e acerrimo difensore della Verità Evangelica:Evangeli Veritatis praedicator et propugnator acerrimus”.Infine più sotto è scritto ancora: “Si fulmen fulgens fulgur, fulgentius ergo Fulgidus emisso fulmine fulgur erit.”

 

Già: proprio folgorato rimase, anzi: arso vivo del tutto inutilmente.

 

Tristissime infine le considerazioni che fece il Doge postmortem circa Frate Fungenzio Manfredi al NunzioPapale che gli riferiva che: “… s’era scoperto Fra Fulgenzio per vero tristo et male huomo.”… Il Doge ribadì solo: “Noi mentre dimorò nel nostro Dominio l’habbiamo sempre tenuto et conosciuto per huomo Religioso et buono: se pervenuto a Roma sia tal divenuto, tal sia di Lui.”

Come a dire che i Giudizi di Dio sono impenetrabili e imperscrutabili … Non c’era niente da fare.

Già … ma la stessa cosa si poteva dire per i Giudizi degli uomini ?

“… tale è il guiderdone che il moderno Vicario di Christo da ai suoi sudditi et figlioli …”

 

 

Gli antichi Canonici e le Mùneghe Bianche de San Danièl de Castèo

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#unacuriositàvenezianapervolta 227

Gli antichi Canonici e le Mùneghe Bianche de San Danièl de Castèo

Oggi San Daniele di Castello non esiste più: è solo un nome o poco più nel pittoresco e periferico Sestiere di Castellodi Venezia … Sembra sia solo una Fondamenta assolata dove sventolano ordinari mutandoni e panni stesi ad asciugare al sole ... Se provi a chiedere in giro del perché di quel nome “appeso là”, qualcuno ti potrà dire: “Mah ? … Boh ? … Non so … Forse qua ghe gèra una cièsa o un Convento de Mùneghe o de Frati che se ciamàva cusì ? … O forse qua abitava Daniele Manin …”

“Manin ? … Nol gèra proprio un Santo ?”

“Eh … già … Allora proprio non so.”

Effettivamente la zona di San Daniele di Castelloè area urbana Veneziana desueta, riservata, appartata, quasi sempre silenziosa … E’ Quartiere-Insula Militare di 13.000 mq circa, collocata sul Rio delle Vergini a sud-est dell'Arsenalecol quale è direttamente collegata mediante una passerella. Ospita di fatto nell’ex Caserma: 53 alloggi e servizi della Marina Militare riattati unitamente al Demanio Comunale di Venezia negli anni 1994-1997 spendendo qualcosa come 6 milioni di euro circa … euro più euro meno … I moderni fabbricati inglobano insieme a un vecchio rifugio antiaereo il poco che resta dei due chiostri a pilastri dell'antica Corte Monasteriale di San Daniele.  

La leggenda tarda avvolge gli inizi di San Daniele raccontando di una Venezia delle origini: quella di San Danieledi Castello, si dice, essere stata una delle chiese più antiche della città. Secondo tradizione era stata eretta dai Brandinisso: Famiglia Bizzantinagiunta a Venezia, di cui faceva parte un certo Bono condannato a morte per aver preso parte alla congiura contro Angelo Partecipazio nel 820 ... Altra leggenda, invece, riporta che San Daniel venne fondata dai Nobili Bragadin più o meno nella stessa epoca.

Poco cambia: tutti gli inizi a Venezia sono spesso fantasiosi, ricostruiti tardivamente, e collocati spesso fra Storia e Leggenda.

Diciamo piuttosto una parolina sul nome-titolo di San Daniele… Beh: lo sapete tutti: Daniele era un “personaggio-Santo”dell’Antico Testamento Biblico: uno dei quattro Profeti così detti Maggiori insieme a Isaia, Ezechiele e Geremia… Ecco allora emergere ancora una volta anche in quell’area discosta di Venezia quell’attitudine Orientale di Venezia che considerava e faceva spazio in Laguna a culti dimenticati o volontariamente ommessi dal resto della Cristianità Occidentale… Era una Venezia Porto di Mare oltre che tollerante, anche aperta a tutto e ad ogni incontro ed esperienza … San Daniele di Veneziae Castello andava quindi collocato accanto agli altri nomi Biblici Antichi importati in Laguna, come: San Moisè, San Samuele, Sant’Isaia (San Stae), San Geremia, San Giobbe e San Zaccaria. Quelli erano titoli-dedicazioni a Santi un po’ singolari e diversi dimenticati e messi da parte quasi da tutti: non si trovavano in giro per l’Europa dedicazioni e titolazioni intestati a loro. A Venezia: si, invece … Perciò: ecco quindi un’altra gustosa singolarità della nostra amata Città Lagunare.

Di sicuro nell’angolo più settentrionale dell’isola di Castello compresa fra Rio de le Verzene, Rio de San Daniél, il Rielo e il Rio de Sant’Ana, venne fondata inizialmente, forse nel 820 d.C, una primitiva chiesetta in legno dedicata a San Daniél Profeta, mentre il primo documento che ne cita l’esistenza risale al 1046, cioè: duecento anni dopo. Sembra che la chiesuola sorgesse già in una Corte di piccole case che fungevano anche da Monastero raccolte intorno a un cortile posto a fianco della chiesetta, mentre altre casupole stavano addossate al muro di cinta che delimitava la proprietà del Convento prospicente il canale che contornava l’isola collegata da un piccolo ponte col resto del Sestiere. Il piccolo complesso era affacciato dalla parte opposta su tre saline e tre “piscariole”, di cui una apparteneva alla chiesola,situata giusto dove sarebbe in seguito sorto l’Arsenale Nuovo di Venezia.

In quegli stessi anni in quell’area discosta ma vivissima di Castello accadeva tutto un intenso lavorio e giro di piccoli capitali: nell’agosto 1046 Domenico Vescovo Olivolense figlio di Bono Contarini, ad esempio, vendette per 15 mancosi di denaro a Vitale Malipiero da Castello col consenso del Doge Damiano Contarini: una terra sita presso“San Daniel” stipulando un apposito contratto a Rialto.

San Daniele c’era già quindi … Ma poco cambia: in un altro documento del 1138 si racconta che il Vescovo di Olivolo-Castello Giovanni Polani donò a Manfredo Abate di Fruttuaria un terreno acquitrinoso a Castello-Olivolo per costruirvi una nuova chiesa e Monastero.

E qui vi voglio !


Bisogna fare un bel balzo indietro nel tempo per cogliere e capire il valore di queste tracce … Serve riandare a quando Venezia era poco dopo le sue origini e stava ascendendo affermandosi come indubitabile valore pubblico-civico-polito-sociale collocato nelle Lagune.

Venezia era diventata un evento, una novità importante sullo scenario mondiale di allora, e il suo futuro suscettibile attirava l’attenzione di tanti, compresa quella dei Monaci Benedettini di Fruttuaria.

Fruttuaria ? … Ma che era ? … Un’Abbazia di antichi Monaci fruttivendoli forse ?

Assolutamente no … Fruttuariaè un nome che probabilmente vi dirà poco o niente, ma che in quei tempi: parliamo circa degli anni intorno al 1000, faceva venir la tremarella a tutti per il prestigio e la grandezza che aveva … Era un Ente Ecclesiasticopotente, che chi lo sentiva nominare pensava subito al top del top: al meglio di quanto c’era in giro di Monacale, ricco, politico, strategico ed Ecclesiastico … Quelli di Fruttuaria erano gente-Monaci particolari a cui valeva la pena far sicuro riferimento, un immenso onore, una gran finestra spalancata per Venezia sul resto del Mondo Italico ed Europeo dei“Grandi” che contavano.

L’Abbazia di Fruttuariaera un posto lontano dall’altra parte dell’Italia, non a due passi da Venezia ma bensì in fondo al Piemonte, in una zona collinare a 21 km da Torinopresso Chivasso, quasi ai piedi delle Alpi Graie e del Gran Paradiso prossimi alla Francia.

A dirvi la verità, mi ha sorpreso non poco di trovare giustapposto San Daniele Profeta di Castello di Venezia con i nomi dell’antica Congregazione Benedettina di San Benigno di Fruttuaria, ma anche con quelli di San Martino di Tripoli e San Romano di Ferrara. Negli Archivi Veneziani e Veneti si conservano documenti pergamenacei e “atti pubblici” risalenti al lontano 1000-1100 d.C. in cui si fa a loro esplicito riferimento ... Vecchiotti vero ?

L’Abbazia di Fruttuaria dedita alla Santa Madre di Dio, ai Martiri Benigno di Digione e Tiburzio, e a Ognissanti, era un’importantissima Abbazia di almeno cento Monaci sorta poco dopo l’anno mille nel territorio di San Benigno Canavese. Da lei dipendevano molti altri Priorati, Abbazie, Prepositure e semplici cellesparse in tutta Europa. La posa della sua prima pietra datata: 23 febbraio 1003, avvenne alla presenza del Vescovo d’Ivrea Ottobiano, e soprattutto di Arduino Marchese d’Ivrea e Re d’Italia con sua moglie Berta degli Obertenghi.

La volontà di fondazione dell’Abbazia venne però attribuita a Guglielmo da Volpiano Feudatario Comitale della zona e della località “in selva Gerulfia qui ab incolis appellatur Fructuaria”: luogo da riproduzione d’agnelli (in latino medievale: “fructus” indicava il parto). La zona quindi doveva essere un pecoraio, una zona d’ovili ...Altri, invece, ritengono che il toponimo indicava un terreno fertile … Poco cambia: lì sorse il nuovo grande complesso abbaziale.

Guglielmo non era un ometto qualunque, oltre ad essere artefice di numerose architetture realizzate in Francia (Digione, Fécamp, Bernay, Mont-St-Michel, St-Germain-de-Prés) oltre che nel Piemonte (Sacra di San Michele, San Giusto di Susa, San Giulio in Isola sul Lago d’Orta), era soprattutto una delle maggiori figure della Riforma Cluniacense-Benedettina che in quel momento storico stava cambiando l’intera cultura Europea.

Guglielmo oltre a garantire fin da subito (1015-1016) l’indipendenza e la sicurezza economica dell’Abbazia Fruttuariense con un ingentissimo patrimonio, fece sottoscrivere a ben 324 firmatari di tutta Europa uno straordinario documento da lui redatto in cui si narrava fondazione e storia dell’Abbazia, e volle anche promuovere e irradiare in tutta Europa le elogiatissime Consuetudines Fructuarìenses, cioè le Regole di Fruttuaria che furono testo di riferimento per tutti e per molti secoli.

Anche Ottone Guglielmo Conte di Borgogna discendente di Berengario IIconferì a Fruttuaria tutti i suoi possedimenti a sud delle Alpi.


L’
Abbazia di Fruttuaria aveva una chiesa a tre navate non molto estese con transetto, tetto a travatura lignea e tegole piane. Nell’interno con cappelle absidate e Coro, come nell’Abbazia di Cluny, sorgeva il Presbiterio sopraelevato con la “Rotonda del Santo Sepolcro”collocato sopra alla Cripta diSanta Maria che ospitava l’Altare della Vera Croce ... Il pavimento era tutto mosaicato a tessere calcaree bianche e colorate in pasta vitrea che disegnavano motivi e cerchi geometrico-vegetali, figure di animali fantastici come Grifi rampanti, Leoni, Aquile e altri volatili, tralci e grandi foglie nervate, e l’immagine dell’Albero della Vita.

Come da tradizione dei Monasteri Transalpini, nel Presbiterio col “Santo Sepolcro di Gerusalemme” i Monaci Fruttuariensi in occasione degli annuali Riti Pasquali rappresentavano e inscenavano drammi sacri incentrati sull’episodio della “Visita delle Pie Donne al Sepolcrodel Risorto”. A tal scopo si realizzavano nelle chiese e nelle Abbazie quelle copie simboliche in muratura o semoventi in legno della Tomba del Cristo o Santo Sepolcro. La progettualità era ispirata alle descrizioni dei Pellegrini che si recavano in Terra Santa, e quello di Fruttuaria era il “Santo Sepolcro” in muratura più antico e prestigioso dell’Italia Settentrionale di allora.

Le Consuetudines Fructuarienses tramandano con ricchezza di particolari la suggestiva azione scenica che si svolgeva nella chiesa Abbaziale la mattina di Pasqua: la cerimonia iniziava col trasporto in processione da parte dei Monaci dell’importante Reliquia del Santo Sepolcro procurata per Fruttuaria dallo stesso Guglielmo da Volpiano. L’azione scenica del tutto interpretata dagli stessi Monaci, proseguiva poi con gli Angeli che attendevano seduti dentro al Santo Sepolcro annunciando: “Venite et videte locum ubi positus erat Dominus”. Allora i Monaci che interpretavano le “Tre Marie Pie Donne” entravano nel Sepolcro, e ne uscivano subito dopo insieme ai Diaconi-Angeli mostrando a Monaci e Popolo la Santa Reliquia del Sudario del Cristo, e avanti così di certo in una suggestione cerimoniale che doveva essere altissima.

Oltre la facciata della chiesa di Fruttuaria si estendeva un vasto avancorpo di portici affacciati su uno spazio aperto: forse il Cimitero, mentre accanto all’edificio ecclesiastico sorgeva la grande torre campanaria su sei piani dotata di due cappelle sovrapposte affrescate collegate da scala “intra muros”.

Insomma l’Abbazia era una cittadella attorno alla quale sorse progressivamente sotto il stretto controllo degli Abati un fiorente borgo agricolo, che ospitava anche le maestranze adibite alla costruzione e al servizio del Monastero. Nell’Abbazia sorsero diverse scuole artigiane; i Monaci si occupavano di Agricoltura, Architettura e di Letteratura, Arte, Miniatura e Pittura nel loro ambitissimo Scriptorium. All’apice del suo successo, Fruttuaria, che arrivò a contare su 1.200 Monaci distribuiti in 85 chiese e 30 Monasteri di cui possedeva rendite e beni, batteva moneta propria … Papa Giovanni XIX con apposita Bolla la mise sotto il suo diretto controllo con tutti i beni delle sue “Quattro terre abbaziali” di San Benigno Canavese, Montanaro, Lombardore e Feletto... Nel 1070 il Vescovo di Colonia Annone visitò Fruttuaria portandosi via alcuni Monaci per riformare la sua Abbazia di Siegburg.

Non tutto fu oro splendido ovviamente … Non mancarono a Fruttuaria gli eccessi e il malcostume dei Monaci, come accade sempre nella Storia, e in più di un’occasione s’insabbiarono e misero a tacere vicende, azioni turpi e soprusi, e vere e proprie incursioni che insanguinarono i centri vicini all’Abbazia.

L’Abbazia di Fruttuaria era famosa ovunque anche per un altro fatto importante: lì aveva vissuto i suoi ultimi giorni e venne sepolto un grandissimo nome di allora: Arduino di Dadone o da PombiaMarchese d'Ivrea dal 990 al 999, e poi Re d'Italia dal 1002 al 1014. Arduinofu uno dei promotori della realizzazione della stessa Abbazia, e dopo averne fatte di tutti i colori in tutta l’Italia Settentrionale di allora combattendo Imperatori, scannando Vescovi, bruciando Duomi e città, e subendo scomuniche Papali, Sinodali e Imperiali, si ritirò a vivere là i suoi ultimi anni morendo nel 1015. Venne sepolto con grandi onori sotto all’Altare Maggiore della chiesa, dove venne venerato per secoli da Monaci e Pellegrinicome fosse un mezzo Santo ... che non era stato affatto.

Furono curiose, infatti, le vicende successive di quella tomba … A cavallo fra Storia e Leggenda, verso la seconda metà del 1600, il Cardinale Ferrero Abate di Fruttuaria considerò indegno il fatto che fossero venerate come Sante Reliquie le ossa di quell’antico Re Arduino. In fondo era stato solo: “uno scomunicato uccisore di Vescovi”… Perciò le fece prelevare e seppellire in terra sconsacrata mettendo fine a quell’inconsueto culto e “dannando la memoria di quell’incauto Re mezzo eretico”.

Sempre secondo la Leggenda, un pio Frate spiò l'Abate segnandosi il luogo della sepoltura, perciò molti anni dopo, il Conte Filippo di Agliè discendente di Arduino, saputo del luogo della sepoltura, fece riesumare le ossa facendole trasportare, inumare e rispettare nel suo castello dove rimasero fino al 1764. Quando il castello passò ai Savoiaindifferenti, se non ostili, all’epopea di Re Arduino, quei miseri resti passarono deliberatamente in totale dimenticanza. Sorte però volle che ci fosse la Marchesa Cristina di Saluzzo Miolans, moglie del Marchese Giuseppe di San Martino, ex proprietario del castello, e amante del Conte Francesco Valperga di Masino dei Conti di Canavese, che si considerava discendente di Re Arduino. La donna per far dispetto ai Savoiae accontentare il suo uomo: s’introdusse nel Castello Ducale di Agliè, e trafugò la cassetta con i resti di Re Arduino trasportandoli nel Castello di Masino abitato dai "legittimi discendenti”dell’antico Re Italico.

Ancora oggi quei miseri resti reali riposano ancora là nella Cappella del Castello di Masino di proprietà F.A.I.

Ma era stato davvero così grande quel Re Arduino ?

Credo proprio di si … Aveva sposato Berta degli Obertenghi o di Luni o D’Esteda cui aveva avuto tre figli maschi. Probabile Berta era figlia di Oberto II Margravio della Marca Obertenga, di Milano e Genova, Conte Palatino di Luni e Tortona, e con diritti sul Feudo Monastico di Bobbio, su Pavia, Piacenza, Cremona, Parma e sui territori Comitali di Padova, Monselice, Ferrara, Gavello di Rovigo e sulla Marca di Tuscia.

Bella lista vero ?

La figlia Berta a sua volta non era affatto un donnino qualunque: la sua dote includeva terre nelle Contee di Tortona, Parma e Piacenza. In precedenza aveva sposato in prime nozze Olderico Manfredi al quale aveva dato tre figlie, e con lui aveva fatto grandi donazioni congiunte all’Abbazia di Fruttuaria, e fondato il Convento di Santa Maria a Caramagnae l'Abbazia Benedettina di San Giusto a Susa dove collocare le Sacre Reliquie di San Giusto da Novalesa. Dopo la morte di Olderico, Berta aveva agito come reggente di Susa a nome della sua giovane figlia Adelaide, e catturato a tal titolo nel 1037 i congiurati che volevano attraversare le Alpi dal Piemonte verso la Champagne andando contro l'Imperatore Corrado II. L’Imperatore riconoscente l’aveva ricompensata emettendo per lei un apposito Diploma Imperiale che ne confermava il ruolo preminente, comprese tutte le donazioni che aveva fatto alle Abbazie Piemontesi.

Una gran donna insomma … 

Beh: quello stesso Oberto II si unì appunto con Arduino d'Ivrea nel 1002 rivoltandosi contro Enrico II il Santo Imperatore del Sacro Romano Impero.


A farla breve: l’Abbazia di Fructuarianon fu affatto un chiesotto di campagna con quattro galline a razolàr davanti sul sagrato, ma fuprobabilmente l’iniziativa di maggior prestigio Politico-Religioso posta in essere nelle Canavese e nell’Italia Settentrionale durante tutto il Medioevo fino a quando, nel 1477, i Monaci persero il privilegio di nominare il loro Abate sostituito da un Abate Commendatario di nomina papale. L’Abbazia di Fruttuaria diretta da un Vicarioinseguì un veloce declino fino alla sua soppressione decretata nel 1585 da Papa Sisto V, che sfrattò i Monaci sostituendoli con una Collegiata di Preti Secolari ... L’ultimo Monaco Fruttuariense morì nel 1634.

Avete capito adesso chi erano e quanto valevano quei Monaci Fruttuariensiche si spinsero fino a Venezia ?

S’insidiarono allora in Laguna approfittando della donazione del Vescovo di Olivolo-Castello, e fu lì: a San Daniele di Castello che per secoli si diedero un gran da fare … a loro modo ovviamente.

Nel 1138 arrivarono quindi a Venezia i Monaci di Fruttuaria inviati da Manfredo Abate di San Benigno di Fruttuaria, e subito si dedicarono ad ampliare il posto costruendovi il loro nuovo Monastero in pietra dove s’insediò il primo Abate Fruttuariense Veneziano: Leone Da Molin… Nello stesso anno, Enrico Dandolo Patriarca di Grado donò alla nuova comunità il Monastero di San Giorgio in Pineto sul Lidodi Jesolo soggetto alla sua giurisdizione.

Nel 1165 fu il turno di Papa Alessandro III a porre il Monastero di San Daniel di Venezia sotto la diretta protezione della Santa Sede, e ne confermò la tutela nel 1177 con amplissimo diploma conferendo al Monastero Lagunare particolarissimi privilegi e concessioni, fra cui la giurisdizione sulla chiesa-Abbazia di San Martino di Tripoli tolta dal controllo di Arcuino Vescovo di Cittanova dell’Istria in cambio di un censo annuo da offrire al Vescovo di Cittanova nel giorno della Solennità di San Pelagio Martire.

San Daniele di Castello piano piano levitò e crebbe d’importanza. Venne consacrata solennemente nel 1219 da Ugolino Cardinale Ostiense futuro Papa Gregorio IX, e il primo di maggio di ogni anno riceveva la visita del Doge e della Signoria di ritorno dal Monastero “Maritale” delle Verginidi Castello.

Poi fu tutta una girandola impazzita di soldi, transazioni, lasciti, compere, vendite e cessioni fatte dai Monaci. Protagonista iniziale di tutto quell’ambaradàn e ben di Dio fu Alberto o Alberico Priore di San Daniele, che doveva essere un gran affarista e maneggione insieme al Nobile Veneziano Leone Da Molin di professione: Avvocato… e di fatto: Abate-Procuratore del nuovo Monastero del Sestiere di Olivolo-Castello.

Alla fine del lontanissimo aprile 1140: ancora Manfredo Abate di San Benigno di Fruttuariavendette beni per lire trentasei di denari lucchesi, nel Contado Ferrarese in località Donorio e Parasacco e una terra in località Cerignanodi proprietà della chiesa di San Romano di Ferrara ad Alberto o Alberico Priore di San Daniele di Castello di Venezia, che agiva tramite il solito Leone Da Molin suo Avvocato ... In autunno a Rialto: Dorotea vedova di Marco Todero da Castello vendette per lire otto “di nostre monete” allo stesso Priore di San Daniel una terra a lei pervenuta dal defunto marito a sua volta ricevuta da Cono del Contado “Marianensi” ... Di nuovo lo stesso Priore Alberto de San Daniel, l’anno seguente, concesse a Domenico di Grauso un casale con terreno in località Via de Lugure o Liogure o Lievore per annuo canone in generi, e a Leonardo un manso in fondo Donòroin due terre site in località Lo Dosso de Rio Caurarolo per un annuo denaro lucchese.

E poi: avanti sempre così: negli anni seguenti cambiarono i nomi dei protagonisti, ma non gli scambi, gli incroci di persone e di affari, che, invece, s’incrementarono sempre di più … Nel giugno 1145 a Rialto: Massimo Urso figlio di Domenico dal Confinio di San Pietro di Castello vendette a Graziano Priore di San Daniel una terra adiacente al Monastero per lire trenta di denari veneziani … In agosto: Giovanni di Albrizo, avendo ricevuto da Liuzo Priore di San Daniel ed altri Monaci, col consenso dell’immortale Leone Da Molin, una terra in località Donòro, si obbligò a pagare annuo canone in generi … come Domenico Garcido, che ricevette da Guglielmo Rettore di San Daniel una terra in Bucca de Longuria.

E poi ancora: nel 1146 Gregorio Vescovo di Treviso donò al San Daniel le chiese di San Biagio di Canale e la Cappella di Sant’Agata di Mogliano “in ville que dicitur Rimannorum” site nel Comitato di Treviso. In cambio volle una annua libbra di incenso ed una libbra di olio … Allo stesso tempo: Elena e Prasma sua figlia donarono a Bonsignore Priore di San Daniele di Venezia una terra nello stesso Contado Trevigiano presso il fiume Zero, mentre Dodo ed Imani coniugi di legge romana gli vendettero per lire venti di denari veronesi una terra nello stesso Contado tra Zero e Sermasone.

Due anni dopo d’inverno a Rialto, il nuovo Priore di San Daniel Lanfranco fece quietanza ai fratelli Marco e Domenico Donno del Confinio di San Martino di Castello della restituzione di un prestito fatto al loro padre Pietro ... Nell’estate 1150, invece, a Parasacco,Olderico Priore di San Daniele di Venezia concesse ad Alberto figlio quondam Aimone di Lunardoun campo in località Donòrio per annui due denari di lucchesi, proprio quando Ottone figlio di Conone da Mestre donò al Monastero di San Daniel un manso in zona Trevigiana a Parlano sotto Mestre, e Treviso Filippo Priore del Monastero delle Sante Maria e Fosca di Treviso concesse ad Antonio Monaco Procuratore di San Daniele di Venezia due mansi in zona Trevigiana a Mogliano e Rimania per venti lire veronesi.

La lista continua ancora lunghissima: a Cutinadiga, Aristello vendette a Domenico Priore di San Daniel una terra in Rimania di Mogliano per lire quattordici di denari veronesi, mentre a Ferrara: Pietro Cariolo, ricevuta da Arnaldo Priore di San Daniel una terra in fondo Donoro, si obbligò a pagare annui due veronesi e cinque lire “una volta tanto”, allo stesso tempo in cui Guglielmo ed Adelarda del defunto Guglielmo di Montesello concesse a Paolo Procuratore dello stesso Priore un manso per annuo denaro veronese.


Nel maggio 1161 a Caga in Sacco presso il Po… Si: avete letto giusto, c’era un posto nei pressi di Padova che si chiamava proprio così: Caga in Sacco … Pensate se chiedevano a qualcuno del paese: da dove vieni ? … Dove abiti ? … A Caga in Sacco … Beh … Doveva essere un po’ divertente, o forse anche no … Insomma: a Caga in Sacco, lo stesso Priore Arnaldo concesse a Mainardo una terra per annuo canone in generi e soldi tre lucchesi “una volta tanto”.

In quegli stessi anni si scompose per ben due volte di seguito perfino il Papa Alessandro III da Montpellier in Francia concedendo speciali Privilegi ad Arnaldo Priore di San Daniele di Castello confermandogli diritti e proprietà, la giurisdizione su San Biagio di Canale, Sant’Agata di Mogliano, e su tutti gli altri beni acquisiti in Padovana, Trevigiana, e a Parasacco di Donorio nel Ferrarese dove Arnaldo Priore si affrettò a concedere due terre ai fratelli Viviano e Domenico obbligandoli a pagare un denaro annuo.

Il nuovo Priore di San Daniel: Montegrande o Mongrande recandosi di persona prima aSan Leonardo di Denore e poi nella sperduta Parasacco, concesse ancora aGuidone ed Orabonaun’altra terra in Parasacco obbligandoli a pagare: “annuo canone in generi”, mentre a Ottobono da Finale vennero date cinque terre del fondo Donoro, sopra la strada Lunguri, da Tana, Tallatha, dal Trivio, da via a Fundatha ancora “per annuo canone in generi”.

Di nuovo a Caga in Sacco: Uberto Priore di San Daniel concesse ai coniugiGraziano ed Alberga una terra nella stessa Caga in Sacco “per annuo canone in generi”, e ai coniugi Fregnano e Rosaaltri beni a Parasacco in località Campo Perduto per quarantadue soldi di imperiali.

Intanto nel giugno 1173 a Venezia: Marco Orso figlio di Domenico Orso dal Confinio di San Pietro di Castello donò a Graziano suo fratello Monaco in San Daniel: una terra a Castello comperata da Caruza Donato, mentre Marco Nicola Vescovo di Olivolo-Castello concesse al Priore dei Canonici di San Daniel una porzione del Lago di Castelloadiacente alla loro stessa chiesa.

Potrei continuare ancora tantissimo raccontando di saline, altre vigne e terreni agricoli dati in gestione dai vari Priori di San Daniel a Parasacco dove a volte si consegnava al Monastero di San Daniele la metà della vendemmia, a Porto di Maggio Finale dove si dava al Monastero di San Daniele: 1/3 di tutti i frutti, e a Bosco di Guidotto, Taljata, Bussagula di Mestre, e di numerosi sedimi di manso, chiesure e casali acquisti e poi concessi a livello o “per decima” soprattutto in Rimania di Sermasone a Mogliano: per lire venticinque veronesi “una sola volta”, ma dopo averli acquistati per sole tre lire …  E ancora: il Monastero acquistò altri numerosi terreni e beni a Arimaniade Molianis, ne scambiò altri con Palmiera Badessa di Santa Maria di Moglianoche pagava “le Decime” ai Monaci di San Daniel di Venezia ... e poi c’erano il fiume quasi inesauribile delle donazioni, dei testamenti e delle rinunzie a favore sempre dello stesso Monastero di San Daniel: un business immenso, che mai ci aspetteremmo da un Monastero di Monaci.

A Porto di Mestre, ad esempio: Wicemanno da Rimania di Mogliano vendette a Sebastiano da Vicenza del Confinio Veneziano di Sant’Antonin nel Sestiere Castello una terra in Rimania di Mogliano per lire centotrenta. Sebastiano da Vicenza la girò e donò subito ad Aicardo Priore di San Daniele ... I Monaci di San Daniele di Venezia, insomma, sapevano far bene i loro affari: compravano e vendevano, e davano di continuo in concessione a terzi: a Perdia vedova di Pasquale Da Molin dal Confinio di Santa Ternita di Castello, ad esempio, guadagnandoci ampiamente sopra … All’occorrenza i Monaci sapevano anche essere prepotenti e poco arrendevoli se secondo loro serviva: chi non ci stava alle loro condizioni veniva trascinato a processo dove, ad esempio: Guizzardo di Ariberto e Bongiovanni Giudici di Villanova di Ferrara decisero di un feudo a favore del Priore di San Daniel contro i villici Peppone di Grausoe nipoti contumaci: assenti perché poco informati … Per chi poi non si sottoponeva alle Sentenze: erano dolori, come per Girardino da Rivarolo, ad esempio, che si trovò costretto a pagare anche delle penalità in denaro che andarono al Monastero … Quasi sempre avevano ragione e vincevano i Monaci di San Daniel de Venetia, come con Naulo da Piove e Daniotto suo nipote che dovettero cedere al Priore: terre e casamento per pochi denari veneziani.

“Stessa musica” durante tutto il secolo 1200 quando le cose non cambiarono affatto. Ci furono numerose liti e cause d’appello per beni, “ordini di vigne”, mansi, “braide”,e “concole e chiesure di terra”fra i Monaci e chiunque: ne fece le spese una volta Guglielmo degli Inforziati che s’inguaiò con i Monaci per 23 staia di frumento immagazzinate nella sua casa di Mercatello a Parasacco… Un’altra volta al centro di tutto finì una vigna in località Valle dei Merli a Rovereto di Ostellato. Finirono dentro alla questione e davanti al Giudice: Notai, Vescovi, Procuratori, Villici e la vignaiola Buonissima ...  San Daniel non guardava in faccia a nessuno: difendeva a spada tratta tutto ciò che era suo.

E continuarono indefesse le compravendite, gli “investimenti a feudo” dei Monaci Procuratori di San Daniele, i guadagni e le riscossioni delle “Decime”, l’incorporazione di beni, prati e boschi, “giorni di sale” lavorati dalle Saline … a Medelana e Rovereto di Ostellato di Ferrara, e ancora a Parasacco, a Romania di Mogliano, a Piove di Sacco, a Massafiscaglia Pieve di San Vitale territorio di Medelana in Villa di Fabbrico, e a Cavarzere, Veternigo, Favaro, Cavergnago, Bisagola o Bissuola, a Pedrisina e lungo i corsi dei fiumi: Sile, Zero e Dese nella zona ad est e a sud di Treviso dove c’erano altre proprietà di Enti Monastici Veneziani come Sant’Antonio delle Monache di Torcello e San Lorenzo di Castello che possedevano più di 100 campi trevigiani ossia 52 ettari, e inviavano di continuo come i Monaci di San Daniel: Gastaldi e Fattori di loro fiducia e gradimento per esigere censi in frumento e pagamenti ... Chi non pagava il dovuto o le relative tasse: veniva scomunicato.

Nel maggio 1217: Agnese Badessa di San Giovanni Battista di Jesolo(Equilo) promise a Rialto a Robaldo Priore di San Daniel di Castello di pagargli annualmente cinque soldi di denari veneziani come affitto di una terra sita a Mogliano in località Sermasone.

L’anno seguente in agosto, invece, a Rialto,Pietro da Vidor dal Confinio di San Simeone Profeta Procuratore del Monastero di San Daniele incrementò i possedimenti dello stesso Monastero offrendogli un’altra terra sita sempre a Mogliano. Poco dopo quel terreno venne dato in uso a Mestre, e Maria figlia del Pellettiere Giovanni garantì che su quel manso del Monastero si sarebbe sempre tenuta a pascolo una quantità sufficiente di bestiame, mentre Giovanni Bono ed Ottonello suo figlio promisero di pagare per la concessione in uso dello stesso terreno: un annuo canone mantenendovi un bue.

Il 07 febbraio 1219 fu un giorno storico per San Daniele di Castello, perché Ugolino Cardinale e Vescovo di Ostia(futuro Gregorio IX) su insistenza del Priore Alberto della CasaMadre di Fruttuaria si recò a consacrare la nuova chiesa innalzata a Castello con l’intervento di ben sette Vescovi. Oltre ai Monaci, i Nobili Veneziani, e il Doge con la Signora, presenziarono al solennissimo Rito Consacratorio: il Patriarca di Grado Angelo I Barozzi, il Vescovo di Olivolo-Castello Marco Nicolai, e i Vescovi di Brescia, Vicenza, Reggio, Feltre e Sithia di Creta. Ogni Vescovo per l’occasione concesse indulgenze ai visitatori presenti e futuri di quel nuovo tempio, e Marco Nicolai Vescovo di Castello donò al Priore Alberto per il sostentamento dei Monaci un fondo con una casa di legno, due mulini e un lago con argini intorno siti lì nei pressi a patto di ricevere ogni anno otto giorni prima della festa dei Santi Apostoli: una misura d’olio come segno di omaggio ... Non ancora contento, lo stesso Vescovo di Castello col Capitolo dei Canonici di San Pietro di Castello donò agli stessi Monaci di San Daniel una chiesola in Contrada di Santa Maria Formosa, e anche la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo… che venne “girata” qualche anno dopo ai Padri Mendicanti Domenicani(futuri potentissimi e temuti Padri Inquisitori) che stavano a dormire miseri sotto al portico di San Martin di Castello.

Il Monastero di Castello era un Porto di Mare: in tanti andavano e venivano … Qualcuno si fermava lì stabilmente come i coniugi Giovanbuono da Parasacco e la moglie Formosa che si fecero Conversi del Monastero versando a Vercellino Priore lire 30 di denari ferraresi, e donando la loro proprietà e i beni che possedevano a Parasacco ... Stessa cosa fece Enrigino dei Tadi da Padova unitamente alla moglie Alessandrina: lui si fece Monaco in San Daniele, e lei si dedicò nello stesso posto “a vita contemplativa”donando al San Daniel 150 lire e la metà di due mansi, cioè 65 campi, siti nel bosco di Sacco in Contrada di Terranova riservandosene l’usufrutto vitanatural durante. Ogerio Priore di San Daniele col Capitolo dei Monaci in cambio: diedero a Enrigino dei Tadi e alla moglie l’uso di una casa da abitare “vita durante” adiacente al Monastero, nel posto dove abitava anche Maria moglie di Matteo da Bora del Confinio di Santa Marina che era però obbligata a pagare annuo canone.

Non erano però solo dediti agli affari i Monaci … Nel settembre 1219, Giovanni Arciprete di Ferrara fu costretto ad annullare il matrimonio fra Margherita e Parisio dopo aver scoperto che costui aveva nascosto la sua identità di Converso del Monastero di San Daniele di Castello in trasferta a Ferrara dove Ugolino di Lancia e suo figlio Belincino ferirono Frate Inginanno Procuratore del Monastero di San Daniele in visita a una terra a Medelana di proprietà del Monastero.

Nel 1230 avvenne poi un gran baruffone fra B. Abate di San Martino di Tripoli della Diocesi di Cittanova e i Monaci di San Daniele di Castello circa il controllo economico sulla stessa Abbazia di San Martino. Ci finirono dentro un po’ tutti: Bongiovanni Monaco di San Daniele di Venezia, Gerardo Vescovo di Cittanova, Guido Vescovo di Jesolo(Equilo), il Piovano di San Ermagoradi Venezia(San Marcuola), e Catulo Arcidiacono, Facino “Magister Scholarum” di Cittanova, un certo Mastro Paganino, e perfino il Papa Gregorio IX che convocò tutti ad Aquileia per intendersi e riconciliarsi risolvendo la faccenda. Alla fine si emise una sentenza con la quale si stabilì che il Rettore dell’Abbazia di San Martino di Tripoli sarebbe stato nominato dal Priore di San Daniele, ma avrebbe prestato giuramento di fedeltà al Vescovo di Cittanova… E così si pose fine a quel gran casino di soldi e Monaci ... Ma, siccome gli affari erano affari, si ordinò a Domenico Abate di San Martino di Tripoli di pagare due moggi venetici di grano e quattro anfore di vino a Ogerio Priore di San Daniel.

Venezia Serenissimaintanto non rimase a guardare: Stefano Badoer, Nicolò Cauco e Marino Ambasciatori del Doge Giacomo Tiepolochiesero che i beni appartenenti al Monastero di San Daniele siti a Denore, Parasacco, Medelana e nel Polesine di Capo Pide venissero riconfermati, e che eventuali turbative fossero giudicate dal Podestà di Ferrarainsieme ad altri rappresentanti eletti dai Veneti ... Subito dopo tale intesa, Giovanni Michiel e Giacomo Barozzi Legati del Doge per gli affari di Ferrara notificarono al Villano degli Aldigerii, a Marchesino dè Massaroli, e al Giudice Molinario di ridare al Monastero di San Daniele di Castello il possesso dei beni siti nel Ferrarese che gli spettavano.

E ripartì di nuovo la lite con l’Abbazia di San Martino di Tripoli: da una parte si schierarono a favore di Ogerio Priore i San Danielegli Abati Oberto di Fruttuaria e Giovanni insieme a Olrico Priore, Guglielmo Preposto, Uberto Cellerario, Pietro Camerlengo, Martino Elemosiniere, Pietro Sacrista, Arduino “Cantor” e altri 17 Monaci; dall’altra c’era, invece, Domenico Abate di San Martino di Tripoli di Cittanova da solo, a cui venne intimato con lettera di consegnare senza tante storie i beni della chiesa-monastero a San Daniele di Venezia pena la scomunica.

L’Abate Domenico rifiutò di acconsentire a quel comando, per cui si scatenò contro di lui l’ira sia di Papa Innocenzo IV che del Vescovo di Caorle che gli commisero di: “restituire in integrum tutti i beni e diritti del Monastero di San Daniel”.

Tutto si quietò quando Cadolo Arcidiacono Emonense Procuratore del Vescovo e del Capitolo di Cittanova fece quietanza ad Ogerio di San Daniele dei censi dovuti e di due annualità di censo future a iniziare dalla Festa di San Pelagio ... L’Abate Domenico venne invitato a presentarsi a Venezia entro 10 giorni per rendere conto, e venne ammonito di non più intromettersi nell’amministrazione dei beni di San Daniel.

Qualche anno dopo a Venezia: Bonaccorso Vescovo di Cittanova continuava a fare quietanza al Priore di San Daniele di una libbra di pepe e di una di incenso come censo annuo dovuto dall’Abbazia di San Martino di Tripoli di Cittanova.

A metà agosto 1250 a Ferrara: Albertino dè Figareti ricevette a livello da Arduino Priore di San Daniele una pensione annua di un ferrarino e un terzo di un casale sito a Parasacco per 25 soldi ferraresi, perché ne aveva spesi altrettanti per portare frumento in nave da Parasacco fino al Monastero di Venezia … In cambio lo stesso Albertino dè Figareti da Parasacco rinunciò ad ogni suo diritto su una terra che possedeva a Parasacco dandola al San Daniel col suo Priore Arduino ... Più o meno nello stesso tempo: Marco Contarini Avvocato della Contrada di San Silvestro, Consigliere e Patrocinatore e Nunzio Speciale del Monastero di San Daniele concesse a Mastro Berrardo figlio di Bartolomeo una terra in Terranova in Contrada Dal Nespolareda lavorare al canone annuo di 30 starii di frumento da consegnare aRodolfo Priore di San Daniele insieme alla terza parte dei frutti e alla Tassa di Decima.

Qualche anno dopo, invece, Giovanni Priore insieme al Capitolo dei Monaci di San Danielricevettero a Rialto un mutuo da Giovanni Grapiis da Chioggia Maggiore del valore di lire 60 di denari veneziani per acquistare bestiame concedendogli le rendite dei beni siti a Chioggia Maggiore a Denore pertinenza di Parasacco, località Prato Nogara per sei anni al prezzo di lire 100 di denari veneziani. Quella somma incassata dal Monaci venne impiegata per riattare tutto il Monastero di Castello a Venezia.

Come vedete e potete costatare il Monastero di San Daniel era più che altro una vera e propria Agenzia d’Affari e Immobiliare più che un’Abbazia di spiritualissimi Monaci … I tempi erano quelli, e anche a Venezia si usava così con buona pace di tutti.

E la Serenissima ?

Lasciava fare … Solo nel 1305 e nel 1326 chiese di acquistare dal Monastero di San Daniel il grande Lago de San Danièlper ricavarne la Darsena Granda dell’Arsenal Novo ... I Monaci di Castello, col beneplacito del lontano Abate della CasaMadre di Fruttuaria, e del Vescovo di Castello-Olivolo che aveva giurisdizione su tutta la zona ovviamente accettarono … In cambio la Serenissima offrì al Monastero una bella rendita annuale in denaro ... I Monaci erano proprio pingui.

Infine, come per ogni Storia al Mondo, iniziò la decadenza e il calo veloce quanto inesorabile del Monastero di San Daniel con i suoi Canonici Fruttuariensi… In brevissimo tempo scemò l’osservanza della Regola Benedettina, scese drasticamente il numero dei Monaci, e rimase a Castello solo il vecchio Priore Giorgio di San Giorgio del Piemonte: uomo perverso, avido, riottoso, e notoriamente scismatico che era giunto a parteggiare per l’Antipapa Clemente VIIPapa Urbano VI riconosciuto dai più come Successore Titolare di San Pietro lo fulminò e sospese mandandogli contro a suo nome l’Abate di San Giorgio Maggiore di Venezia di fronte a Piazza San Marco … Il Priore Giorgio venne quindi cacciato, e al suo posto s’insediò come Priore Antonio Gallina Monaco Professo di San Giorgio Maggiore.

I lontani Monaci di Fruttuarianon presero bene quella soluzione, e tornando ad imporre a San Daniel un loro Priore … E si andò avanti così, fin quasi a metà del 1400, quando Michele da Sebenico ultimo Priore di San Daniel dipendente da Fruttuaria si dimostrò del tutto inetto e incapace d’amministrare e governare il Monastero di Castello “che cadeva rovinoso” ... Alla fine il vecchio Monaco si arrese non senza “far capricci”, e rinunciò al suo titolo Abbaziale pretendendo però una pensione di 100 ducati annui sulle rendite del Monastero … Solo dopo lasciò libero il posto ... forse non era così stupido come si diceva di lui.

Terminò così la grande stagione di San Daniele di Castello gestito dai Canonici di Fruttuaria come fosse una megazienda ricchissima tutta dedita agli affari.

E la vita Monastica, la Preghiera, e quelle cose là ? … Beh dai ! … Non siamo sofistici … “Quelle cose là” secondo i Monaci di allora potevano benissimo aspettare: prima venivano i soldi e gli affari no ? … e quel “prima”durò secoli.

A riprova di questi, fin dal 1272 a San Daniele i Monaci Canonici di Fruttaria ospitarono una tipica e antichissima Schola di Devozione e Arte-Mestiere Veneziana: la Schola della Madonna di Marina dei Merciai e Marineri di Chioggia… Pensate che i Monaci si siano interessati a seguirla assistendo spiritualmente i Confratelli Iscritti alla Schola ? … Macchè ! … Niente di niente … La Schola in balia di se stessa si trascinò per un bel po’ di secoli fino al 1634, dopo la Peste, quando venne rifondata su autorizzazione del Consiglio dei Dieci, che ne permise anche il trasferimento da San Daniel a San Francesco di Paola dove la Schola resistette fino alla caduta della Repubblica. All’arrivo dei Francesi a fine 1700, gli Iscritti alla Schola della Madonna di Marina erano ancora ben 492.

Quel che è più curioso è che situazioni simili erano considerate come normali e accettabili da tutti: non solo dai Monaci interessati, ma anche dalla Serenissima col suo Doge, dai Nobili e da tutti i Veneziani: allora si viveva così.

E volete sapete il colmo di colmi ? … Nonostante i Canonici avessero navigato per secoli nell’oro un po’ come il Paperone Disneyano, lasciarono il Monastero di Castello in situazione davvero disastrosa: ridotto a un rudere cadente … Incredibile no ?



Chiesa e Convento quindi su indirizzo di Papa Eugenio IV, col consenso della Nobile Famiglia Bragadin, e su ordine del Patriarca Lorenzo Giustiniani finirono in mano nel 1437 alla pia donna Chiara Ogniben Sustan che provvide a inserirvi alcune Monache Agostinianeprelevandole dal Monastero di Sant’Andrea della Zirada(oggi presso il People Moves di Piazzale Roma). Papa Alessandro IV si affrettò in seguito ad assoggettare le Monache ai Canonici Lateranensi di Venezia dimenticando la vecchia storia di Fruttuaria, mentre Giulio II le trasformò a sua volta in vere e proprie Canonichessecon relativi privilegi, “rocchetto” e abito bianco che andò a sostituire quello vecchio grigio ... Fu così che a Venezia s’iniziò a chiamarle “le Canonichesse Bianche”, e con loro incominciò il nuovo capitolo della storia di San Daniele di Castello.

Le Monache di certo non intendevano andare ad abitare dentro a una topaia, perciò per prima cosa avviarono grandi restauri e rifacimenti che si protrassero dal 1451 al 1473 modificando il primitivo assetto gotico di San Daniel ... Poi, se i Canonici prima s’erano dati da fare … Eccome che s’erano dati da fare !!!  … Beh … Le Monache nuove arrivate non vollero essere di sicuro da meno nella gestione di San Daniela confronto con i predecessori maschietti: perciò restauri e abbellimenti di chiesa e Monastero proseguirono almeno per un altro secolo e mezzo.

La chiesa di San Daniel di Castello divenne quindi davvero bella a vedersi: a partire dalla grande Abside con tre Cappelle a pianta quadrata, era suddivisa in tre navate sorrette da tredici colonne in marmo rosso di Verona collocate sull’antico pavimento davanti al Coro Pensile delle Monache. Il chiesone possedeva ben nove altari e l’Altar Maggiore "con ben inteso disegno, et di finissimi marmi"ornato nel 1663-1664 dalla colossale pala Barocca dipinta da Pietro Berettini detto Pietro da Cortona su commissione della Badessa Foscarina Diedo con: “San Daniele nella fossa dei leoni” ... Pietro da Cortona era in stretto rapporto a Roma con l'Ambasciatore di Venezia Niccolò Sagredo(futuro Doge nel 1675), e dipinse la pala pel le Monache di San Daniel a Roma inviandola arrotolata a Venezia.

La pianta del De’ Barbari del 1500 mostra San Daniel come edificio gotico con facciata a lesene rivolto verso l’Arsenale di Castello: la chiesa conventuale era preceduta da un portico e mostrava sulla destra il campanilequadrato a trifore con cuspide conica e pinnacoli.

Di volta in volta la chiesa venne poi arricchita da pregevoli opere d’arte realizzate da firme famosissime: Jacopo e Domenico Tintorettodipinsero: l’“Adorazione dei Magi”, la “Visita ai Pastori”, la “Nascita di Maria”, e la “Disputa di Santa Caterina con i Dottori”. Alvise Vivarini da Murano, invece, dipinse due tavole circa nel 1485: “una Santa Martire e Santa Chiara”ricordate dal Boschini nel 1664 come poste ai lati di un altarolo sotto al Coro delle Monache, il Fiammingo Maarten de Vosrealizzò due tele con le “Storie de San Daniel”, Alessandro Varotari detto il Padovanino realizzò il “Battesimo di Gesù”, Massimo Cappuccino cioè Marco Basaitidipinse nel 1498 per le stesse Monache: “San Girolamo e Sant’Agostino”,Ottavio Angeran: la“Vergine col Bambino, San Giuseppe e i pastori”, Luca Giordanoun“Annnunziata”, Zanchi: un quadro lungo collocato sopra il Coro delle Monache, e Francesco Pittoni due mezzelune con:“Azioni della Vita di Cristo” e la “Sacra Famiglia”.

Dentro al sontuoso chiesone le Monache non mancarono di procurarsi e conservare: “un Santo Dito di San Giovanni Crisostomo”, “una Santa Porzione della mascella di San Beda Monaco detto il Venerabile”, “un nodo di San Quirico fanciullo e Martire, “un’articolazione del Santo Dito di Santa Margherita Vergine e Martire” pure lei, “una porzione delle Sante Ossa di San Pietro, di San Paolo, San Giacomo Minore, San Filippo, San Mattia e dei Santi Giovanni e Paolo”, ovviamente: “un Santo Osso del Santissimo Profeta San Daniele”, e “il Corpo Santo di San Giovanni Duca d’Alessandria”.

Niente male ! ... Davvero una bella scorta di Sante Reliquiecapaci di calamitare in continuità Pellegrini e Veneziani.

La risposta dei fedeli Veneziani e non già ve la immaginate: non si fece attendere ... Nobili e Cittadini iniziarono a beneficiare ulteriormente il Monastero delle Canonichesse Bianche, e a desiderare di trovare onorevole sepoltura in San Daniel. Nel 1478: Nicolò Grandiben Ducal Secretario figlio di “Marchiò paron de nave”e suo figlio Girolamo, pure lui Ducal Secretario, vollero per testamento beneficiare chiesa e poveri di San Martin di Castello facendosi seppellire in chiesa di San Danieldove fecero sorgere la loro Cappella Funebre di Famiglia lasciando annuo legato alle Monache “a propria Memoria”.

A inizio secolo accadde un fatto strano fra le Monache di San Daniel: l’episodio di una Monaca visionaria: Suor Maria Angela Salvadori che venne prontamente rinchiusa nel campanile della chiesa a pane e acqua, e poi dichiarata pazza e bistrattata dalle altre Monache. Morì nel 1521, ma alla fine venne considerata mezza Santa tanto da seppellirla su di un altare in chiesa.

Dopo quel prodromo insolito le Monache ebbero un buon periodo d’Osservanzatanto da essere inviate nel 1521 a riformare le vicine scapestrate Monache Cistercensi della Celestia che in quel momento storico ne stavano facendo di tutti i colori.Inutilmente nel 1519 il Patriarca Contarini dopo una Visita ispettiva al Monastero in accordo col Consiglio dei Dieci e con le due sorelle Loredan: rispettivamente Priora e Abbadessa della Celestia, aveva trasferito lì alcune Monache Cistercensi dai Santi Mattio e Margherita di Mazzorbo, e poi quelle diSan Daniel di Castello con l’intenzione di riformare il Monastero Veneziano ... Niente da fare: fu un completo fallimento.

Le Monache con familiari e parenti al seguito guidati dal Nobile Marco Loredan si recarono in Collegio dove c’era anche il Patriarcae il Vicario per dolersi fortemente del fatto che s’erano introdotte nel Monastero anche le Monache di San Daniel che appartenevano ad un altro Ordine mentre avrebbero preferito consorelle del proprio ... Il Collegio diede ragione al Patriarca.

E non fu tutto … Di nuovo nell'agosto seguente, e di nuovo le quattro Badesse Conventuali di Santa Maria delle Vergini di Cà Donato, San Zaccaria di Cà Michiel, e quelle della Celestia e Santa Martaaccompagnate da molti parenti si recarono in Collegio. Anche stavolta era presente il Patriarca giunto apposta da Mirano ... Le Monache si gettarono ai piedi del Doge, e la Badessa delle Verginipronunciò un forbito discorso-orazione in latino a difesa della propria libertà ed economia: “… A San Zaccaria dove le Monache erano tutte Nobili, ora sono poste Monache di un altro Ordine ed altra Regola ed abito e bastarde Greche e popolari … qual anni 760 è sta cussì, e hanno speso ducati 46.000 ne la chiesa e Monasterio e nel Refettorio bellissimo e li è stato tolto …”Le Monache aggiunsero ancora protestando che al Monastero di Santa Chiaraerano state date appena 11 staia di frumento, e che non avrebbe avuto vino perché era tempestato ... I parenti alla fine si accanirono anche con villanie contro il Vicario del Patriarca… Il mese dopo il Patriarca annunciò al Consiglio dei Dieci che il giorno prima le Conventuali della Celestia avevano abbattuto il muro che conduceva al granaio delle Osservanti, ed accusò il loro Procuratore Girolamo Girardo di aver favorito l’incidente. Il Girardo citato in Consiglio si giustificò dicendo che le Monache avevano agito così solo dopo che il Patriarca aveva dato l’ordine alle Osservanti di cedere parte del grano alle Conventuali ... Aggiunse che lo stesso Doge aveva autorizzato la Badessa Loredandi abbattere il muro, e di fronte a quelle giustificazioni tutto fu messo a tacere ... Il mese seguente, ed era ottobre, le Monache ripreso a vivere a loro modo spandendo e spendendo come se non fosse accaduto niente.

Insomma: a Venezia e in Laguna con le Monache stava succedendo un gran casino ... Nel 1564, ossia qualche decennio dopo, il Monastero di San Daniel era prospero: pagava 12 ducati annui per l’organista e ne spendeva 30 ogni anno per allestire e animare con grandi celebrazioni e mangiate le due feste di San Daniele e San Giovanni Martire… Il Monastero possedeva rendite annuali da diversi beni immobili a Venezia, e 35 ettari di campi a San Giacomo di Musestrelle dove vennero censite: 12.300 piante fra Viti, Onari, Stroperi, Talponi, Salgheri e Noghere da nose … Le Monache erano ricche insomma: tanto è vero che a fine secolo riattarono, abbellirono e modificarono un’altra volta la chiesa.

Poi a inizio 1600 anche le Monache di San Daniel finirono col scatenarsi … Papa Clemente VIII venendo a sapere del modo disordinato di vivere delle Monache di San Daniel, si affrettò ad affidarne il controllo e la giurisdizione direttamente al Patriarca di Venezia sottraendole alla sua diretta sudditanza e dipendenza.

Aveva visto giusto il Papa: le Monache di San Daniele di Castello avevano perso del tutto il controllo del loro stile di vita trasformandosi in gaudenti, e passando con disinvoltura di scandalo in scandalo senza alcun ritegno ... Era di pubblico dominio a Venezia che le Monache di San Danielpraticavano scandalosamente col Nunzio Pontificio Offredo Offredi da Cremona Vescovo di Molfetta, con Domenico Bollani Vescovo di Canea, e con diversi altri Nobili Veneziani: perfino con Pietro Pellegrini Segretario del Consiglio dei Dieci. 

Due Monache: Suor Livia Vedoa Portinaia, e Suor Innocenza Ottobon Vicaria denunciarono ai Provveditori Sopra ai Monasteriche il Podestà di Vicenza Francesco Badoer ed il Segretario dei Dieci praticavano in continuità il Monastero frequentando carnalmente con Suor Ludovica Chicco e con Suor Anzola Soranzo...  Il Vescovo Bollanibaciava sulla bocca Suor Zanetta Balbi alla porta del Monastero, e il Nobile Marco Antonio Michiel si baciava, invece, con Suor Eletta Balbi.  Le Suore accusarono inoltre Suor Ludovica di aver ritratto il suo amante con le sembianze da San Francesco venerandolo nella sua cella, mentre la Balbipossedeva il ritratto “in oro” del Nunzio … Suor Serafica Balbi coinvolta in uno scandalo lamentò d’essere “Monaca forzata”: “… sono stata tradita dalli miei propri parenti … Vorrei piuttosto esser nata da un fachin …”

Partì un’indagine che venne affidata ai Padri della Carità che fecero di tutto per raffreddare e ignorare la cosa senza intervenire in alcun modo.

Venne fuori poi ancora che il Nobile Giulio Dal Molin, già ammonito a non entrare nel San Daniele, vi entrava tranquillamente, e si aggiunse che in una festa in maschera fatta nel Convento c’era stato presente anche il Nunzioriconosciuto da certi effetti personali che indossava ... Le Monache riferirono ancora che erano stati segati alcuni ferri delle sbarre alle finestre, e che alcune Monache avevano fatto amicizia con i Guardiani di una delle Torrette dell’Arsenale da dove andavano a vedere le Suore e parlare con loro a cenni. 

A fine aprile 1604 la Priora di San Daniel Suor Clementia Spinosavenne convocata e comparve per i fatti davanti ai Provveditori ai Monasteri affermando di non saper nulla e che non c’era nessun disordine nel Monastero. Anche le due denuncianti: Innocenza Ottobon Vicaria e Suor Livia Vedoa Portiera ritirarono la denuncia negando di saper qualcosa: erano state minacciate pesantemente … Due mesi dopo però arrivò l’ammissione di Suor Aurelia Foscarini che raccontò che nel Parlatorio il Dal Molin faceva presenti e baciava Suor Serafica, e che la Priora era costretta a stare al gioco ... Il Dal Molin stava aspettando in barca gli esiti della Visita dei Provveditori ... Anche Suor Ottavia Contarini ammise che il Podestà Badoer si era trattenuto nel Parlatorio scuro del Monastero con Suor Ludovica mentre il Segretario Pellegrini era stato nel Parlatorio Grando con amiche e parenti e Suor Querina, Suor Ottoboni, la Ziliola e la Soranzo ... Suor Livia Vedoa ammise infine di aver visto entrare il Badoer, il Michiel, il Dal Molin, il Pellegrini e il Vescovo Bollani che visitava la sua amata Suor Pisani.

Alla fine: tutti vennero assolti eccetto il Nobile Dal Molin a cui furono inflitti in contumacia 10 anni di bando da Venezia e dai Territori della Serenissima ... Un gran casino insomma.

Nel 1609 il Patriarca Francesco Vendramin di nuovo in Visita esortò ancora le Monache del San Daniel ad evitare stoffe fini e colorate, specialmente la seta, ad indossare un alto soggolo, una lunga veste e a coprire le spalle e petto con veli in abbondanza ... I capelli dovevano essere tagliati corti e non si dovevano assolutamente tenere: funghi nelle tempie e boccoli o zuffi diabolici in capo ... Erano permesse solo scarpe basse, e abiti e biancheria delle Monache dovevano essere identici.

Altri episodi simili sospetti accaddero ancora lungo tutto il corso del secolo segnalati dalle Visite del Patriarca Zane: nel 1616, 1666, 1680, 1682 e 1684: c’erano frequentazioni fra Preti e Converse, presenza di Musici in Convento, visite, doni, serenate e canzoni ... Le Monache nei giorni di magro avrebbero dovuto cavarsela con sole due uova al giorno ... mentre in realtà … Le Monache lasciavano in eredità: vestiti, mobili e anche intere celle arredatissime, e tralasciavano le devozioni personali troppo spesso dedicandosi a perseguire profitto personale: cucendo, ricamando vestiti, fazzoletti ed accessori che vendevano fuori dal Convento in tutta Venezia ... Lo stesso Senato Terra aveva speso per il Nuovo Bucintoro venti ducati e sei piccoli dandoli proprio alle Monache di San Daniel: “per la fattura di aver recamatto il felze e la Giustizia della Barca Dogale”.

Nel febbraio 1616 si avviò un processo: “per frequenza di un Prete con una Conversa, ricevendo da essa doni, ecc ...”

Nel 1624 le Canochesse Bianche erano 79, le Converse 17 e 6 le “fie a spese”cioè le Educande … Circa dieci anni dopo le Canonichesse erano diminuite di numero: erano solo 51, le converse 21 e le “fie a spese” soltanto 3 ... Dieci anni dopo ancora: 44 Monache e 20 Converse … era iniziato un declino di San Daniel ?

Negli anni cinquanta del 1600, dopo la Peste, i Monasteri delle Vergini, di San Lorenzo, San Zaccaria, dei Santi Cosmo e Damiano e dei Santi Biagio e Cataldo della Giudecca vennero esclusi dal Senato dall’elenco delle elemosine di grano annuali che la Repubblica faceva ai Monasteri Veneziani a Pasqua: non erano considerati affatto bisognosi ... mentre, viceversa il Convento del Santo Sepolcro con 55 Professe ricevette 36 staia di grano essendo considerato fra i quattro più poveri della città assieme al Santa Maria Maggiore, Santa Croce delle Francescane e il poverissimo Santa Maria dei Miracoli ... A metà strada come economie, cespiti e ricchezze, stava il Santa Chiara con 43 Professe, il San Daniele di Castellocon 41 Canonichesse Professe, il Santa Giustina con 19, il Sant’Alvisecon 56, il San Gerolamo di Cannaregio con 52, e il Santa Caterina con 56 Monache Professe che ricevettero 2 staia di grano ciascuno.

Da maggio 1659 a giugno 1660: di nuovo processi per “Visite frequenti di otto Preti Secolari e Nobili ai Monasteri dell’Umiltà, Corpus Domini, San Daniel, Sant’Iseppo e Celestia”.

Sei anni dopoil Capitanio Lorenzo Ferro denunciò ai Provveditori sopra ai Monasteri che un intero gruppo di Musiciinvitato da Diana Foscarini nipote di Gerolamo fra cui il Formenti, l’Orbo de Milan, e alcuni Cantori del Teatro di San Lucasi era raccolto nel Monastero di San Daniel dove avevano cantato con suono e musica un’intera opera alla presenza dei GentilHomeni Tommaso Corner di San Leonardo con la moglie, Piero Foscarini e Piero Dolfin del Teatro di San Luca e di tutte le Monache… Tutti vennero ammoniti verbalmente dai Provveditori davanti ai quali dovettero comparire ... Monache comprese.

E poi si continuò ancora “a catena” per almeno altri vent’anni: “Processo con le Monache di San Daniel per tre Patrizi in Monastero e per aver condotto Musici e fatto cantare alcune canzoni”“Processo per colloqui frequenti di un Nobile con le Monache di San Daniel e San Girolamo”“Processo per pratica amorosa di un Prete con una Conversa di San Daniel”, e ancora: “Processo per discorsi di un Prete con una Monaca” ... A metà degli anni 80 del 1600: “Processo per visite frequenti di un Patrizio in Monastero”,“Processo per serenata alle Monache di San Daniele, San Cosmo della Giudecca e Sant’Andrea della Zirada”, e “Processo per una Serenata” nell’agosto 1684.

E giunsero quindi i primi decenni del 1700 “secolo dei lumi”, quando a seguire prima il Proto Andrea Tirali rilasciò una scrittura per un restauro di ducati 1.500 del coperto della chiesa e del campanile di San Daniel ... poi i Periti Ignazio Caccia e Filippo Rossivalutarono restauri dei muri perimetrali e del campanile del Monastero per la spesa di 2.958 ducati … Nel gennaio 1774 i Tagjapiera Fioreti Antonio e Resegatti Francesco rilasciano una scrittura, e il Murer Pelle Piero un’altra per il restauro di San Daniel per la cifra di 8.028 ducati … Secondo una Terminazione del Gradenigo del 1746: il Monastero di San Daniel possedeva un bosco a Mogliano nel Mestrinoin cui era proibito tagliare i roveri, e il guardiano era autorizzato ad usare con disinvoltura lo schioppo … Le Monache possedevano 26 campi e ½ a Canale di Rovigo con una casupola e una casa colonica.

Col permesso del Senato solo tardivamente nel 1748-1757 si ospitò in San Daniele la Schola di San Giovanni Duca d’Alessandria… Si trattava più che altro di una Devozione soprattutto delle Monache che coinvolsero diversi iscritti e Confratellli. Si curava la Festa annuale Patronale: occasione di bisboccia, bussolai, canti e festino liturgico-casereccio delle monache interno che si prodigavano in solenni messoni, addobbi, e spese per musica e mangiate nel Convento … All’esterno nel popoloso e operoso Sestiere di Castello arrivava solo l’eco di qualche energica scampanata che induceva qualche vecchierella e pochi devoti ad affacciarsi nella chiesa monasteriale, mentre tutto il resto rimaneva chiuso e ovattato negli ameni quanto nobili chiostri delle Monache.

I Confratelli della Schola erano tenuti a pagare una tassa annuale di Benintrada di lire 8, e fra loro venivano eletti ogni anno 4 Confratelli su cui gravavano più che altro le spese della Festa Patronale che non dovevano superare le 100 lire di spesa ... Tutta la raffica di Messe celebrate in quel giorno sarebbero andate a vantaggio spirituale degli iscritti ... Per ogni Morto Confratello, inoltre, si celebravano 12 Messe Esequiali.

Una decina d’anni dopo la Schola già fluttuava e altalenava dando segni di evidente crisi: erano le Monache soprattutto a far andare avanti la faccenda … Nel 1768 si provò a risollevarne le sorti inventandosi di offrire una “Grazia da 5 ducati”(una miseria)per le donzelle popolane di Castello, che fossero state figlie degli Iscritti alla Schola, e che, fortunate, avessero estratto “la bàla d’oro” … Ciò nonostante la Schola andò in ulteriore decadenza fino ad essere abbandonata.

Nel 1785: da 7 anni la Schola possedeva un capitale di 200 ducati risultato inattivo ... Solo le Monache come da prima della fondazione della Schola continuarono a loro spese a celebrare la Festa Patronale “con gran lustro”… Sei anni dopo si fece un ultimo “inventario delle robe della Schola” da cui risultò: “una Matricola coperta di velluto chremese con placchettine d’argento e la soa cassettina de tola” ... L’anno seguente i Provveditori da Comun soppressero la Schola assegnando i beni al Monastero “per saldo debiti”.

E siamo giunti all’epilogo: alla fine di San Daniele di Castello… Ultimissima noterella conclusiva di questa mia ennesima “Una Curiosità Veneziana per volta”.



Dopo metà giugno 1806, al tempo della seconda occupazione Francese di Venezia, venne dato l’ordine di sgombero controfirmato dalla Badessa per la soppressione di Chiesa & Monastero di San Daniele nel Sestiere di Castello: luogo comodo: “presso le mura dell’Arsenàl, che dovevano per necessità di forza maggiore essere trasformati rispettivamente in Caserma e Magazzino per il comodo dei Regi equipaggi della Militar Marina …”

Le 26 Nobilissime Monache Agostiniane dette ancora da tutti: “le Canonichesse Bianche” vennero sfrattate e concentrate assieme a quelle del Monastero Cistercense della Celestia, e subito dopo sposta insieme a queste nel superaffollato Monastero Agostiniano di Sant’Andrea della Zirada nella periferia più estrema dall’altra parte della città.

Il Convento fu adibito prima a magazzino e poi a caserma, e la chiesa spogliata e depredata di tutto prima d’’essere demolita nel 1839 sotto gli Austriaci per far posto al Collegio Militare per la Regia Marina. Le colonne di marmo della chiesa furono comprate all’asta per 189 fiorini austriaci da Amedeo Ballarin Tagjapiera alla Misericordia, che a sua volta le rivendette per essere utilizzarle nella costruzione dei gradini dell’Altare del Duomo di San Donà di Piave… la “Nascita di Maria” diDomenico Tintorettovenne data dagli Austriaci allaParrocchia di Cavazzo Carnico di Pordenone ... e così calò del tutto il sipario su San Daniele di Castello.

Non furono però dome del tutto, né consapevoli dell’accaduto le Monache di San Daniel! … A causa delle differenti Regole, ma soprattutto dello stampo e della diversa estrazione sociale, le donne Nobili Monache iniziarono a contrastare fra loro strappandosi cuffia e capelli e ingiuriandosi reciprocamente … Erano incredibilmente incuranti degli eventi storici che avevano già decretato la fine di quel loro secolare quanto effimero mondo dorato, nè riuscirono ad adeguarsi alla nuova circostanza. In flotta andarono tutte a lamentarsi con la Badessa Chiara Madonna Pesaro affermando delle Consorelle: “… (sono) effetti di vero sovvertimento … un continuo contrasto di esercizi religiosi e pratiche di pietà”.

Povere donne Monache ! … Un Mondo a parte consumato dal Tempo.

Poi piano piano tutto si acquietò e si spense … e la Storia continuò il suo corso anche a Venezia.

Nell’odierno fascinoso Sestiere di Castello di Venezia resta traccia di San Daniele solo nella toponomastica col Ponte, Rio, Campo e Ramo de San Daniel ... Rimane poi una statua di San Daniel reduce dall’antico sito, e una vera da pozzo a suggerire dove un tempo sorgevano probabilmente i chiostri di San Daniel. C’è ancora un’iscrizione epigrafica della fondazione di San Daniel mangiata e corrosa dagli elementi naturali e dal tempo, collocata ancora oggi nel chiostro del Seminario Patriarcale della Salute sempre qui a Venezia ... e infine esiste un pugno d’opere pittoriche depositate alle Gallerie dell’Accademia.

Del “vaghissimo”San Daniele di Castello rimane solo altrettanto vaga memoria.

 

 


Un po’ sul Doge Giovanni I Corner o Cornaro … un poco soltanto.

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#unacuriositàvenezianapervolta 228

Un po’ sul Doge Giovanni I Corner o Cornaro … un poco soltanto.

Era probabilmente questo il volto di Giovanni I Corner o Cornaro: 101° Doge della Serenissima Repubblica ritratto da Sebastiano Ricci per il palazzo di famiglia di Campo San Polo a Venezia.

Secondogenito o terzogenito di quattro fratelli, Giovanni Corner nacque a fine novembre 1551 da Marcantonio e da Cecilia Contarini del grande Ramo dei Conti del Zaffo. I Corner di San Polo non erano mica robetta: erano i discendenti in linea diretta della famosa Caterina Regina di Cipro, e per questo disponevano d'ingenti ricchezze e rendite Civico-Ecclesiastiche con possedimenti in Terraferma di circa 470 campi nel Vicentino a Schiavon e Breganze, 149 campi nel Mestrino a Martellago, 220 nel Trevisano a Poisolo e Monastier, e 650 in Polesine … e poi rendite e soldi a Venezia ... Niente male insomma !

Giovanni si sposò a 27 anni con Chiara Dolfin che aveva Palazzo sul Canal Grande a San Salvatore mettendo al mondo dodici figli ... e basta. Marcantonio e Lorenzo morirono in tenera età, Federico, Marcantonio, Francesco, Alvise, Giorgio furono, invece, i maschietti sopravvissuti, mentre Cornelia sposò Antonio Bragadin, e Bianca, Aurora, Cristina, Maffiola e Chiaretta furono le femminucce finite tutte in Convento.

Povere donne ! … e povera anche la futura Dogaressa sempre incinta e col pancione … Va beh: si costumava così in quei tempi … La moglie comunque morì prima che il marito divenisse Doge … Tramite la ricchezza di famiglia Giovanni entrò fin dal 1571 nel Maggior Consiglio versando allo Stato dei bei soldini, ed ebbe così accesso a diverse Cariche di Stato: Ufficiale ai Dieci Uffici; cinque incarichi successivi nel Consiglio dei Pregadi; Giudice di Rispetto sopra il Banco Pisani e Tiepolo; SovraProvveditore alla Giustizia Nuova …

Poi “prese il volo” e dal 1594 al 1597 andò in trasferta come Capitano di Verona, finchè poi approdò di nuovo in Laguna: Ufficiale alla Ternaria Vecchia; nella Zonta del Senato; Censore; e nel temibilissimo Consiglio dei Dieci … Era il 1597, ed aveva 46 anni.

Tre anni dopo: di nuovo in viaggio fuori Venezia in Terraferma come Podestà di Padova dopo esser stato Provveditore Sopra le Beccarie. L’anno seguente: Consiglio dei Pregadi e Consigliere per il Sestiere di San Polo prima di ripartire come Podestà di Brescia in sostituzione di Giovanni Nani a combattere discordie e banditismo, e ristabilire l'ordine pubblico turbato da cruente fazioni nobiliari “che s’attaccavano con spade e archibugi” … Cornaro scrisse a Venezia che andarono perse non meno di 800 persone per ogni Reggimento ... e che fu costretto a condannare alla decapitazione anche alcuni Nobili Bresciani.

Infine nel maggio 1609 Corner rimise piede a Venezia divenendo Procuratore di San Marco e sovraintendendo in quel ruolo ai lavori di restauro della Basilica Marciana durante i quali furono rinvenute antichissime Sacre Reliquie … Il Dogado era quasi nell’aria … quasi: mancavano ancor solo … una quindicina d’anni … e lui li visse tutti uno per volta come Depositario in Zecca; Provveditore Sopra il Monte vecchio; tra i Quarantuno Elettori Dogali, Zonta del Senato; Consigliere dei Pregadi. Savio del Consiglio; Provveditore in Zecca; Savio alle Acque; Provveditore all'Arsenale, Presidente all'Esazione del Pubblico Denaro, tra i Sette Deputati alla liberazione dei Banditi; Esecutore Sopra il Campatico; Provveditore alla Sanità; Provveditore sopra il Quieto e pacifico vivere della città; tra i Cinque Correttori della Promissione Ducale; Riformatore allo Studio di Padova; Aggiunto alla Scrittura; Provveditore alla Fabbrica del Palazzo; Provveditore alla Cassa degli ori e argenti ... e basta.

Di lui si diceva in giro per le bocche di Venezia: “timoroso di Dio, caritatevole, pieno di buoni pensieri … più volto alla Devotione e alla Pietà che ai Negotii … non ha speciali ambizioni per il Dogado…”

Infatti …

Divenne Doge a settantatre anni dopo una gestazione elettiva lunghissima … Successe a Francesco Contarini rimasto in carica solo quattordici mesi … Brutto presagio … L’elezione fu un’eterna sarabanda di candidati, preferenze e ripensamenti che durò a Palazzo Ducale quasi un mese … Numerosi concorrenti erano in lizza per il Dogado: i Procuratori Francesco Erizzo, Antonio Barbaro e Giovanni Da Lezze … Poi c’era chi sperava e ci metteva del suo per prevalere e affermarsi ai vertici di Venezia: Agostino Nani e Girolamo Soranzo, il Cavaliere Renier Zeno ed i Patrizi Michele Priuli, Piero Bondumier, Lorenzo Venier, Nicolò Contarmi, Piero Basadonna, Giusto Antonio Belegno, Leonardo Marcello, Girolamo Corner e Agostino Michiel ...

Tanta roba !

Dopo numerose votazioni e sotto le intimazioni della Signoria, la lotta tra candidati si ridusse fra Nani ed Erizzo, ma non se ne andò fuori scegliendo uno dei due … I quarantuno elettori preferirono allora convogliare i loro voti verso la candidatura del Corner che si ritrovò Doge.

Non ci crederete, ma i suoi figli non furono affatto contenti della sua elezione perché la famiglia dovette sobbarcarsi la spesa non indifferente di trentamila ducati, e per quello stesso motivo dell’elezione si ritrovarono tutti esclusi per legge dall’essere nominati a fruttuose alte cariche di Governo ed Ecclesiastiche … In definitiva il successo del padre aveva segato la loro personale carriera: sarebbe stato meglio se non fosse divenuto Serenissimo ... Incredibile vero ?

La Famiglia dei Corner risultava essere la Decima Famiglia più ricca di Venezia … I Corner avevano parecchie rendite derivanti dai Benefici Ecclesiastici di Cardinalato e Vescovadi, e la Commenda familiare dell’Ordine di Malta detta di Cipro costituita da diversi beni nel Trevigiano.

Ben consapevole di tutto questo, il nostro Giovanni cercò di compensare “per il bene della famiglia” … Assunse il Dogado in un periodo agitato in cui Venezia passava di guerra in guerra: prima per la Valtellina, poi per la successione di Mantova e del Monferrato alleandosi con Francia, Mantova e il Papa contro i turbolenti Spagna e Impero: tutti e due brutte gatte da pelare.

Giovanni I° Corner però non si dimenticò del “bene e all’onore della Famiglia” … Quindi: spingi di qua e ungi di là, Papa Urbano VIII l’anno seguente all’elezione Dogale nominò il figlio del Doge: Federico come Cardinale ... Il Senato Veneto ratificò la nomina storcendo il naso … ma impedì in seguito che lo stesso figlio del Doge divenisse prima Vescovo di Vicenza e poi di Padova … Una vera castrazione di carriera per quei poveri figli Ducali ... Non fu così però per il figlio Marcantonio che divenne Primicerio di San Marco … Entrambi i fratelli Corner, poi, si recarono a Roma a spese pubbliche … Daniele Dolfin, cognato del Doge, venne eletto nel Consigliere Ducale, e i figli Francesco ed Alvise diventarono Senatori … Era troppo ! … A Venezia i Patrizi iniziarono “a rognàr non poco”.

Due anni durò la pazienza dei Veneziani … Reniero Zen uno del Consiglio dei Dieci non perse l’occasione per stigmatizzate pubblicamente il comportamento del Doge accusandolo di gestire Venezia a beneficio della sua famiglia … Tra l'altro tutti sapevano bene che un altro suo figlio Giorgio trafficava in negozi e merci di contrabbando, soprattutto trattava partite di bovini importandoli da Zara a totale dispetto delle Leggi viventi ed esclusivamente per i propri interessi … Il Doge non ne sapeva niente ? ... Stranissima cosa.

E non si fermò lì il Nobile Zen, perché in una successiva riunione del Maggior Consiglio scatenò una grossa bagarre accusando la stessa Famiglia Dogale di corruzione … Un paio di mesi dopo, passato Natale, Reniero Zen venne assalito e ferito gravemente da sicari mascherati mentre attendeva la gondola appena fuori dal cortile di Palazzo Ducale … In seguito si scoprì chi erano i colpevoli…

L’avete già indovinato ? … C’era fra loro Giorgio Cornaro figlio del Doge, che Venezia si affrettò a condannare al Bando dalla Laguna e da tutto il suo Dominio, alla perdita della Nobiltà, e alla confisca dei beni. Giorgio Cornàro andò a rifugiarsi a Ferrara dove morì poco dopo assassinato da mano misteriosa ... I sospetti sul tentato omicidio di Reniero Zen caddero anche su Michele Priuli, parente del Cornaro, ma l'inchiesta venne chiusa in fretta e furia.

Il Nobile Zen per niente intimorito si lanciò ancora di più alla carica … e Venezia intera si divise in due fazioni contrapposte: una proCornaro e filoPapale che raccoglieva soprattutto i vecchi e potenti Casati tradizionali di Venezia, e l’altro gruppo che condivideva le opinioni del Nobile Zen, ed era perciò AntiPapale, anche se formato da Nobiltà meno ricca e potente … Badate bene: nessuna delle due categorie era libertaria e moderna … Anzi: facevano a gara a chi era più bigotto e conservatore … Il Consiglio dei Dieci a un certo punto decretò l’arresto dello Zen, che dopo pochi giorni venne bandito per dieci anni da Venezia ... Com’era inevitabile, nell’estate del 1628 si passò dalle parole alle mani, e per diverso tempo ci furono scompiglio e disordine in giro per Venezia ... Serviva una svolta: una grossa novità … Cambiare Doge ad esempio …

Infatti Giovanni Cornaro morì nel dicembre dell’anno seguente mentre incombeva una nuova guerra sulla Serenissima.

Direte che sarà stato il veleno a spianare la strada al successione Dogale ? … Macchè !

Le Cronache raccontano spietate, che tra le tante cause che portarono alla morte del Doge a fine dicembre ci fu anche un violentissimo alterco a Palazzo Ducale col figlio Francesco … Udite udite ! … “per via di certe galline che il Serenissimo allevava disdicevolmente dentro a Palazzo Ducale.”

La lite fu feroce, degenerò in pesanti parole fra padre e figlio … e il vècjo vi rimase stecchito ... Erano gli anni della Peste della Madonna della Salute.

Il Doge venne seppellito accanto alla mancata Dogaressa dai dodici figli che l’aveva preceduto in morte nella chiesa dei Tolentini … Lui in realtà intendeva farsi seppellire nell'Eremo di Monte Rua sui Colli Euganei dove si era già fatto preparare apposita Cappella Funeraria di famiglia ... Niente da fare … Il nipote Federico “lo mise in cassòn” ai Tolentini facendogli un monumento che venne poi sostituito e modificato dal Doge Giovanni II° Corner ... ed oggi se ne sta ancora là vicino a Piazzale Roma dove riposa insieme ad altri tre Dogi ... parecchio annoiati immagino.

 

Poche note sull’Abbazia perduta di Santa Maria dei Servi di Cannaregio.

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Poche note sull’Abbazia perduta di Santa Maria dei Servi di Cannaregio.


L’Abbazia di Santa Maria Annunziata o Assunta dei Servi a Venezia nel Sestiere di Cannaregio non esiste più: ne è rimasto solo un pezzetto dove nel 1800 l'Abate Daniele Canal e Donna Anna Morovich ospitarono soprattutto ex detenute e Veneziane disagiate … Poi il posto fino ad oggi ha avuto un’altra storia …

Fu un violentissimo e distruttivo incendio a devastare e azzerare l’intera Abbazia Servita nel 1769, e a chiudere una pagina di storia antica Veneziana iniziata già prima del 1314 quando i Mendicanti Servi di Maria presero possesso di un luogo da bonificare allora affacciato sulla Laguna. Lì allora finiva Venezia. Per più di 150 anni poi i Serviti continuarono ad abbellire e allargare la loro Abbazia facendo concorrenza alle migliori Fabbriche Monastiche Veneziane finanziati e sostenuti anche dalla Comunità dei Mercanti e Setaioli Lucchesi che andarono a insediarsi soprattutto in quell’angolo di Venezia. La rimasta Cappella del Volto Santo dei Lucchesicol Portale di San Pellegrino è segno di quel fruttuoso connubio che portò a mettere in piedi un gran chiesone lungo 75 m e largo 25, con capiente Barco o Coro centrale e imponente cupola lignea sopra, e con ben 22 Altari all’interno: una vera e propria “macchina da guerra” adatta a Riti e al proficuo “Mercato delle Messe”.

 

Che dirvi ? … Lì dentro come in ogni angolo di Venezia accadde di tutto: un mulinare continuo di presenze, accadimenti e storie.

Basti dire che lì visse e morì il famoso Fra Paolo Sarpi: Storico e Teologo di Stato finanziato dalla Serenissima Repubblica che la portò a contrastare il Papa di Roma incorrendo nella bufera dell’Interdetto beccandosi anche una coltellata nell’autunno del 1607 che quasi l’ha accoppato. Ai Servi venne ospitato anche Galileo Galilei col suo innovativo cannocchiale che era amico dello stesso Fra Sarpi, e che insieme a lui andò a mostrarlo al Doge e a esperimentarlo sul Campanile di San Marco. 


Vi dico poi che ai Servi oltre agli illustri Artieri Tintori erano ospitate anche le pettegolissime Schole dei Barbieri, Norcini, Conzaossi, Stuèri, Saonèri, Braghieri e Cavadenti di Venezia: una sorta di Gazzettino ambulante, un conglomerato vivente di allora che faceva confluire in quel sito di Venezia le curiosità e le notizie di tutto e tutti ... Sempre l’Abbazia dei Servi frequentava dopo metà 1600 anche il Nobile Nicolò Erizzo: “vaghissimo nelle sue costumanze: portava calzette rosse, e scarpe bianche, ma soprattutto coprivasi il capo di lunghissima parrucca …tanto più volentieri in quanto era stato libertino in sua gioventù tanto da ricevere un colpo di sciabola in fronte …Adirato suo padre lo diseredò destinando tutti i suoi beni all’Ospedale della Pietà ...”

Nel 1819 gli avidi predatori napoleonici andarono a prendersi i 3.455 libri della Biblioteca dei Servi sopravvissuti all’incendio: 27 andarono ad arricchire il patrimonio della Biblioteca Marciana, mentre i rimanenti li piazzarono sul mercato della carta considerando meri scarti ... poveri mentecatti ignoranti … e la Storia di Venezia andò avanti.


Ad essere pignoli fu del 25 aprile 1810 l’ennesimo Decreto napoleonico che dichiarò la soppressione di altri 14 Conventi-Monasteri Veneziani: San Michele in Isola di Murano, San Clemente degli Eremitani in Isola, San Mattia dei Camaldolesi di Murano, nel Sestiere di Cannaregio: l’Abbazia di Santa Maria dei Servi, Santa Maria di Nazareth dei Carmelitani Scalzi e San Bonaventura dei Riformati; in quello di San Polo: Santa Maria Graziosa dei Frati Minori Conventuali dei Frari; Santa Maria della Consolazione dei Padri Filippini della Favanel Sestiere di San Marco; San Nicola dei Teatini in quello di Santa Croce; i Santi Giovanni e Paolo dei Predicatori e Inquisitori Domenicaninel Sestiere di Castello, e Gesuati, Redentore, La Salute dei Somaschi e San Sebastiano dei Girolamini nel Sestiere di Dorsoduro. Le loro ricche Biblioteche passarono tutte in proprietà e gestione al Demanio: si salvarono solo gli Armeni di San Lazzaro in Isola perchè batteva allora Bandiera Turca: cosa che ancora riusciva a trattenere gli incontenibili Francesi … In poche parole: 1859 tra libri e opuscoli e 477 manoscritti finirono alla Biblioteca Marciana mentre molti libri, manoscritti e documenti famosi e di pregio andarono rubati, nascosti altrove o venduti anche dagli stessi Frati.

Spulciando gli Inventari dell’Abbazia dei Servi ho contato almeno una cinquantina d’Opere d’Arte presenti nella grande chiesa Abbaziale, e almeno altre dieci di notevole pregio collocate all’interno del Convento dei Servi insieme alla presenza di almeno 10 preziosissime e veneratissime Sante Reliquie che catalizzavano di continuo i Veneziani. Di questo immane patrimonio tutto è andato disperso, anzi: depredato praticamente del tutto ... Solo un pugno d’opere d’Arte sono ancora oggi conservate alle Gallerie dell’Accademia di Venezia.

Oltre a dispersione del patrimonio librario dei Servi a cui accennavo ieri, nel settembre 1812: altri 6.150 libri degli Scalzi, 4.152 del Convento di San Bonaventura, 1.238 di quello di San Sebastiano, 3.681 del Redentore, 3.089 di San Mattia di Murano per 6.900 lire vennero predati, buttati via, dispersi e venduti all’asta a G.S.B.Ferro per un totale di 21.738 volumi considerati “carta straccia”… i Pescatori e i Biavaroli Veneziani finirono con l’incartare pesce e lugàneghe con alcuni di quei libri.

Giudicate un po’ voi … Alla fine ebbe poca importanza se gli autori materiali di quello scempio si dichiararono filoFrancesi o filoAustriaci, furono solo avidi predatori di turno comparsi sul palcoscenico della Storia Veneziana: “Venezia venne sgretolata e avvilita, spogliata, morsa e vilipesa … buttata in strada e unghiata con rabbia come l’ultima delle più “usate” delle più vecchie prostitute ancora disponibili ma ormai inutili” ... Questo non l’ho detto io.

 


La “lumètta” a San Giovanni Evangelista

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La “lumètta” a San Giovanni Evangelista

Non vi annoierò “con bròdi lònghi” stavolta … Andando a Venezia verso il bellissimo quanto arcano Campiello della Schola Grande di San Giovanni Evangelista, e passando per Corte Vitalba che si chiama così dal Bergamasco ZuanBattista Vitalba Mercante di Lana sepolto nella distrutta chiesa di San Stin (Stefanin) di cui era Procuratore … Abitava proprio là nel 1680: “in casa presa a pigione dal NobilHomo Vittore Zane”… si arriva al Ponte del Latte.

Verrà da pensare di certo alla presenza di una Latteria Veneziana, di una Vaccaria, o delle Lattaie che venivano a rifornire Venezia dalla Campagna ? … Niente da fare: sbagliato.

Il nome della Calle col Ponte omonimo un tempo di legno, e del Sottoportico che c’era una volta, derivano da un Zuane Della Late che fu tra coloro che nel 1379 fecero prestiti alla Repubblica Serenissima durante la Guerra di Chioggia … Sempre nella stessa Contrada abitava anche un Giovanni a Lacte Orefice proveniente da Reggio Emilia, che nel 1371 per il suo “BuonMestiere”ottenne il Privilegio dell’ambitissima Cittadinanza Veneziana.

Anche il famoso quanto simpatico Diarista Marin Sanudo ricorda nei suoi Diari il Ponte del Latte. In data31 agosto 1505 scrisse: “In questo zorno è da saper fo squartato un Albanese, qual amazò proditorie Zuan Marco Cao di Guarda, et prima li fo tajà la man al Ponte di la Late. Et nota che questo fece una cossa notanda: videlicet so mojer fo da lui a tuor comiato, et lui mostrò volerla basar, e li morsegò il naso via ... Si dice lei fo causa di manifestar tal delitto”.

Un naso di donna strappato a morsi dal marito condannato a morte che la considerava traditòra …  Non ha limite la perversità umana.

Si racconta infine nella Cronaca della Lumètta”edita dal Merlo e dal Conte Agostino Sagredo, che sempre e ancora al Ponte della Latte, stavolta nel 1844, per molte sere ci fu tutto un accorrere di moltissima gente che si premeva e urtava. C’era uno stranissimo lumino: uno “spettro di luce”, che pallidissimo e tremulo appariva dalle nove a mezzanotte dietro a un finestrone della Schola Granda di San Giovanni Evangelistachiusa e “rabbuiata da notte”: “Era un continuo ciarlare di Diavoli, di Stregherie, e apparizioni di Morti”… Fra l’altro si diceva e ricordava che nella vicinaCalle di San Zuane volgarmente detta del Bò” era stata uccisa una donna ... Perciò le Veneziane accorse dalle Contrade gridavano spaventate: “E’ l'Anima de la Brocchètta che si fa vedere!” e qualcuna diceva di sentirla persino gemere e sospirare.

Una sera giunsero perciò “i Birri” a sgombrare il ponte, e si posero “a spiare se alcuno facesse il mal giuoco, ma tutto fu indarno” ... Fecero allora un giro in bara nei vicini canali, e fu così che s’accorsero di un piccolo lume acceso “in una prossima casa di poveretti” che si rifletteva sul finestrone della Schola Granda di San Giovanni Evangelista … La Lumètta quindi non esisteva, e i gemiti erano forse i gorgogli dello stomaco di quei miseri per la fame che provavano.

SAN GIACOMO DE LA ZUECCA

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SAN GIACOMO DE LA ZUECCA

Lo so che sapete tutto sul Redentore della Giudecca … ma è dell’altra chiesa accanto che vi voglio dire due cose … Si tratta di San Giacomo della Giudecca che oggi non esiste più ovviamente … E’ rimasto solo il nome alle Corti e affibbiato a “quelli del posto” considerati da certe Cronache Veneziane d’epoca come “poco raccomandabili”… Opinioni come sempre, spesso gratuite e buttate là … Esiste per caso una sola persona che possa dirsi davvero “per bene” al 100% ? … Trovatemela: che sono curioso di conoscerla.

Il vero nome di quel chiesone “visto e dipinto” da Canaletto sarebbe stato Santa Maria Novella o Santa Maria Nova della Zueca, ma prevalse l’uso comune dei Giudecchini che la chiamarono sempre San Giacomo dei Servi perché lì da tempi immemori c’era sempre stato un antichissimo Oratorietto con un’annessa antica Schola-Cofradia dedicati proprio a San Giacomo di Galizia: proprio l’Apostolo Maggiore, quello di CampoStella e dei Pellegrinaggi … Squadra vincente non si cambia … I Giudecchini mantennero quell’antico nome.

I Frati Serviti che misero in piedi San Giacomo della Giudecca erano gli stessi presenti a Cannaregio nella loro Chiesa Madre-Abbazia di Santa Maria dei Servi fin dal 1330 … San Giacomo della Giudecca col Convento divenne quindi una specie di loro “distaccamento” dall’altra parte della città, dove nel 1377 e nel 1389 ospitarono anche il Capitolo Generale dell’Ordine dei Servi di Maria di tutta Italia e Europa … proprio lì: alla Giudecca.

Il Convento in cui risiedeva una trentina di Frati Serviti non era proprio “da morti di fame” perché possedeva diverse case e caxette a Sant’Eufemia della Giudecca, ma anche in Contrada di San Barnaba nel Sestiere di Dorsoduro, e a Santa Maria Maggiore in quello di Santa Croce dalle quali ricavavano discrete rendite che mettevano insieme a quelle che avevano in Terraferma a Bagnoli e Strà.

Solo nel 1569 e fino al 1574 i Frati abbandonarono il Convento per lasciar spazio alle Monache abbrustolite della Celestia di Castello per colta dell’incendio per lo scoppio delle polveri dell’Arsenale. Non fu che i Serviti fossero gentile e ospitali con le Suore, ma fu la Serenissima a dare quell’Ordine, che i Frati non poterono se non eseguire ... e alla svelta anche.

Quando nel 1670 colò a picco nell’Adriatico la nave che portava all’Armata Veneziane “molte cassette piene di monete d’oro per le paghe e altre necessità belliche”, fu Giacomo Cavallotti che riuscì nell’opera di tuffarsi di sotto in mare a recuperare quel tesoretto. Il Senato Veneto lo premiò donandogli 3.000 Zecchini … che lui impiegò in parte per offrire suppellettili d’argento proprio all’Altare della Madonna di San Giacomo della Giudecca.

Nel dicembre 1730, invece, in Campo San Giacomo alla Zuecca Antonio Scantarello “teneva Banco de Soldi al gioco del Zurlo ossia de Bianca e Rossa”. Un individuo gli chiese un prestito che Scantarello rifiutò, e i due ebbero però un’accesa discussione che richiamò fuori in strada tutti i Giudecchini della Contrada … A sera Schiantarellocol suo amico Pietro Giachiole andarono armati all’Osteria della Donzella al di là del Canale della Giudecca, e lì si misero a raccontare i fatti della giornata promettendo accesa vendetta contro quell’ignoto pretenzioso di soldi. I presenti cercano di quietarli, ma ormai il vino abbondante aveva fatto il suo effetto. Quando si mise di mezzo anche un certo Tavelli, l’alterato Giachiole gli aprì la gola con una coltellata ...Quindi scappò via da Venezia ovviamente, e si beccò un Bando in Contumacia per 22 anni da tutti gli Stati della Serenissima.

Dai … Ve la faccio brevissima: ho quasi finito … Mi hanno fatto osservare che parlo sempre male dei Francesi con napoleone e del Dominio Austriaco a Venezia … Chissà perché ?

Lo faccio a posta … La Cute fra gli altri racconta che fra novembre 1806 e marzo 1807: i  7 Monaci Serviti rimasti nel Convento della Giudecca vennero sfrattati e mandati a vivere all’Abbazia di Cannaregio … Pietro Edwards si prese le Portelle dell’Organo della chiesa di San Giacomo della Giudecca dipinte da Veronese, e riservò “alla Corona” il bel soffitto del Refettorio dei Serviti di San Giacomo ... Bastian Franzoniacquistò per lire 44 il Pulpito della chiesa, mentre stoffe, tappeti e arredamenti di chiesa e Convento vennero requisiti dal Governo per addobbare e arredare Palazzo Reale in Piazza San Marco ... Il Murèr Francesco della Santa stimò gli Altari già mezzi smontati e rovinosi di San Giacomo: lire 200 in tutto, e furono quindi venduti ai Conti Leonardo e Bortolo Donà, mentre Antonio Zane fece la stessa cosa con l’organo valutandolo Lire Venete 307,07, che però dopo un tiramolla con Giovanni Maboni si ridusse la cifra a Lire 75,10 vendendolo ... Quelli di Pederobba chiesero di comprare il pavimento in marmo della chiesa stimato 80 lire, ma il Demanio rifiutò preferendo utilizzarlo per la Nuova Casa di Finanza del Demanio ... Girolamo Miani si comprò allora per lire 8: otto quadri di San Giacomo ... Domenico Cerin si comprò il Coro ormai tutto mangiato dai Tarli insieme a tutte le spalliere lignee della Sacrestia ... Il Conte Panciera di Zoppola si prese come a un Supermercato dell’usato l’Altar Maggiore con i due Angeli in marmo che gli stavano accanto e un’artistica Pila dell’Acqua Santa che stava all’ingresso per Lire Italiche 1.165 in tutto … Luigi Maria Pianton si prese in affitto alcuni locali del Convento quando il Prete Santo Cotti da Bergamo provò a comprarsi “in un bòccio unico”tutti i  66 quadri rimasti di San Giacomo, ma senza riuscire a concludere la compra-vendita: tirava troppo al ribasso col prezzo ... Intanto furono inviati a Padova insieme a migliaia di altri volumi e tomi vari, anche i Libri di pregio trovati (rapinati) nella Biblioteca del Convento di San Giacomo: un patrimonio di 1.191 Libri e altre due casse con 447 Libri fra cui: 64 Libri comunque di pregio e 383 Libri mediocri .… Furono inoltre venduti come scarti altri 744 ulteriori Libri al Sacerdote Astolfoni, mentre le librerie che li contenevano vennero smembrate e vendute come legna da ardere.

Bravi … Bravissimi ! … Dei veri e propri delinquenti: altro che Liberatori e Innovatori-Amanti del Mondo Nuovo Moderno !!!

Da tutto quel sfacelo e immane casino, il Piovano di Sant’Eufemia riuscì a farsi donare dal Direttore del Demanio solo un Crocefisso di San Giacomo considerato da secoli “miracoloso”.

Chiesa chiusa e distrutta ovviamente … e orto e convento venduti e affittati dopo essere stati usati un po’ come Caserma... Dieci anni dopo, Vianello Carlo detto Chiodo divenuto proprietario di tutto, chiese la demolizione di chiesa, campanile e monastero “per pericolosità dei ruderi”… ad esclusione dell’antica Scoletta di San Giacomo … Doveva costruire sull’area la sua nuova fabbrica di calce e pietre ... Si costruì, invece, una Fabbrica di bitume e asfalto.

Nel 1837 era già tutto spianato per costruire alcune case popolari per operai, e parte della zona divenne Giardino Checchia.

Nel 1866 le Suore Clarisse Francescane insegnavano nelle Scuole Elementari di San Giacomo della Giudeccain numero di 22, ma vennero ridotte a 13 secondo le nuove Leggi di Soppressione del luglio dello stesso anno.

Notizie più fresche per concludere ? … Va beh …

Al principio del 1900 “atterròssi”gli ultimi resti dell’antico Convento … Nel 1920 due giovani ragazze di San Giacomo morirono di Peste … nel 1939 in un baraccone a San Giacomo si esperimentavano maschere antigas … e la Giudecchina Elisa Lazzaroni in Giosuè con una ricetta di Erbe di sua invenzione suggeritale dai suoi vecchi: guariva sciatiche, dolori lombari, artriti e reumatismi con quasi miracolosi impacchi caldi speciali.

Buona Pasqua a tutti Veneziani e no … dalla Venezia di ieri che non c’è più … Ma anche da quella di oggi che vive, e saprà vivere ancora: ne sono certo.

 

LA SAGRA DI SANT’ELIODORO A TORCELLO.

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 #unacuriositàvenezianapervolta 231

LA SAGRA DI SANT’ELIODORO A TORCELLO.

 

Sapete com’è … A volte, senza tanti perché, ti si accende un flash nella mente: un ricordo fuori stagione che viene a galla … e ti ritrovi a riviverlo, e perché no  ? … anche a spartirlo con qualcun altro: sensazione bellissima.

Eravamo immersi nella calura estiva quella volta, intenti come il solito a scorrazzare in lungo e in largo per la nostra isola, e soprattutto: intorno e dentro e fuori di chiesa, campanile, Patronato, Oratorio e Canonica dei Preti di Burano … Si … si … Eravamo sempre noi: sempre gli stessi, la solita combriccola: “busètta e botòn” con l’ambiente dei Preti, ma anche liberi d’inventarci ogni volta come meglio ci aggradava ... Quasi ignari del vivere, ma non del tutto, vivevamo quella stagione della spensieratezza da ragazzini in cui provavamo come meglio ci riusciva a balbettare noi stesso e a rapportarci con gli altri … Insomma: ogni giorno era una nuova occasione per immergerci a frugare nello spicciolo del vivere di Burano andando a caccia di semplici ma genuine emozioni.

Erano “le ore calde brusàe” di quel primo pomeriggio: l’ora della siesta e del pìsolo, e non c’era quasi nessuno in giro per l’isola …Non esisteva allora la marea montante dei turisti che c’era fin qualche tempo fa prima del Covid … Faceva caldo ed eravamo annoiati, ma sempre vogliosi d’inventarci qualcosa … C’infilammo allora, merito della chiave che mi aveva dato in fiducia il Piovano per aprire la chiesa al mattino presto e al pomeriggio, nella Canonica dei Preti in cui tutto era immobile e saturo di silenzio. Era il frondoso ed esuberante verde giardino che c’interessava: sito ameno riservato che consideravamo un po’ nostro luogo di riferimento e ritrovo.

Consapevoli un po’ di quella nostra specie d’intrusione clandestina venialissima, quasi in punta di piedi per non disturbare c’infilammo in fretta nel verde fresco e ombroso … L’anziano Piovano Marco Polo era uno spettacolo a vedersi: se ne stava là seduto appisolato nel suo seggiolone in vimini …

Un fazzoletto stretto in quattro ciocche gli cingeva la testa, e il petto irsuto spuntava fuori dalla sbottonata veste nera talare dai mille bottoni … Ogni tanto il Piovano che dormicchiava stringendo il mano il suo breviario dalle mille cordicelle colorate dove aveva infilato un dito sudaticcio a segno, borbottava qualcosa fra se e se nel dormiveglia … Sognava forse, o in ogni caso ce l’aveva con qualcuno contro cui mormorava … Immobili davanti a lui, adocchiammo la caraffa piena di cedrata ghiacciata posta sul tavolino davanti a lui: “Buona e fresca quella !” … e dal pensare e il dire eravamo già passati ai fatti versandocela e bevendola avidamente.

Era semplice rimediare dopo: bastava prendere come altri volte la pompa per innaffiare i fiori, e ci metteva il tempo di un lampo a integrare quel liquido amarodolce rimasto … Il Piovano non si sarebbe accorto di niente … o quasi ... O perlomeno: dava da vedere così.

Insomma: ci serviva dissetarci un poco dentro a quella caldàna … e poi era già tempo d’inventarci qualcosa per ingannare quell’ennesimo pomeriggio. Lasciato lì il Piovano nel suo mondo quieto e onirico, fu ancora una volta Michele ad addocchiare l’Amolèr dell’orto de la Canonica pieno di frutti fra le fronde … Neanche il tempo di dirlo, ed eravamo già a cavalcioni dei rami intenti a ingurgitare quella prelibatezza nuova … Ma fu l’immagine che vedemmo da lassù che calamitò la nostra attenzione.

Al di là del muretto del giardino e appena al di là dello slargo della strada di “Pizzo”, c’era tutte allineate in fila una serie di vecchiette pisolanti o del tutto dormienti poste appena fuori dalla porta di casa. Sembravano quasi acciambellate con i loro vestitoni lunghi quasi ad inglobare la bassa seggiola impagliata su cui sedevano … Anche loro erano uno spettacolo a vedersi.

Nella calura estiva dopo una partita a chiacchiere e a pettegolezzi cedevano una dopo l’altra al sonno … e rimanevano là prima di riaversi e dedicarsi di nuovo al “tòco” da smerlettare, e a una salutare Tombola o una Rosariata in compagnia.

Come con la cedrata del Piovano, fu quasi prima il gesto ad attivarsi in noi piuttosto che la pensata, e già ci ritrovammo a bersagliare le malcapitate dai rami centrandole con i frutti che avevamo a portata di mano.

Divertimento assicurato condito di mille risate … Tira tu che provo anch’io, quasi birilli al bowling, una dopo l’altra le povere vecchiette divenne centri perfetti dei nostri lanci: “Ahia ! …Cossa xe stà ?” esclamò una destandosi di soprassalto.

“Ohi ! Ohi !” ribadì un’altra: “Ma che è ? … I me gha tirà un pièra ?”

In breve tempo s’accumulavano tutto attorno in maniera vistosa i nostri “proiettili”, perciò fu gioca forza che le vecchiette alzassero lo sguardo comprendendo la nostra bravata. Le avemmo tutte sotto al muretto in un attimo: “Ciò ! Ve conòsso .. Spetta che vèda to màre … Ti vedarà !”

“E saressivo anca i fiòi dei Pretti ! … Vergognosi … Far impasso a quattro povere vècie … Perché no ne lassè in pàse: fioi de un càn !”

Ovviamente non rimanemmo zitti mimetizzati fra le foglie, e dall’altro continuammo a bersagliare le sprovvedute prolungando il nostro divertimento … Sprovvedute ? … Mica tanto ! … Qualche minuto dopo spuntarono due tre di loro armate una di scopa, un’altra con un secchio d’acqua, e un’altra ancora di una lunga “forcàda” da stender biancheria: “Adèsso ve impìro mi !”.

Beh: era quell’ultima la più pericolosa, oltre alle loro lingue sempre più esagitate … Quando colpimmo in testa per l’ennesima volta una di loro, capimmo che il divertimento era terminato. Perciò scendemmo dall’albero lasciando che dietro al muretto si esprimessero le ire pittoresche e bellicose di quelle innocue nonnine … Beh … Innocue ? … Non so fin quando: “Adesso venimo noàltre a sonàr a campanella dal Piovan ! … Non se fa i dispetti alla zente ! … Andè tutti in … (Beh: non posso scriverlo) ... Se no ghe a molè vegno de là a spaccarve el …”

Il Piovano nel frattempo s’era svegliato con quel clamore in sottofondo: “Che state combinando stavolta ?”

“Ah ? .. Niente niente … Bonsignòr … Xe sempre quee quattro vècie galline che brontola par niente…”

“Sicuri che sia per niente ?”

“Si … Ci siamo solo divertiti un poco … Niente de grave.” Precisò Tobia.

“E xe e solite befane …” chiosò a sua volta Mauro: “Xe colpa del caldo.”

A quel punto il Piovano si riscosse: s’abbottonò la veste, si tolse l’inusuale ma pratico copricapo, chiuse il Breviario e scattò goffamente in piedi: “Su … Su dai ! … Non rimanete là a oziare pigri: datevi da fare … C’è tutto l’orto da innaffiare … e poi ci sono tutti i vasi di Piante da portare in chiesa per un Matrimonio … Dai coraggio ! … Mettetevi all’opera … Datemi una mano … Che poi vi offro una cedrata fresca.”

Non che fossimo entusiasti di quella manualità da praticare, ma era il modo amichevole del Piovano che c’induceva a farlo … Perciò in quattro e quattr’otto tutti i vasi delle Piante vennero trasbordati in chiesa … e ci chiudemmo subito dopo in crocchio attorno al Piovano dentro allo stesso giardino per gustarci nuovamente quel rinfrescante liquido che ci eravamo guadagnati … Era il secondo: ma il Piovano forse non lo sapeva.

“Che fate stassera ? … Venite con me al di là del canale: a Torcello alla Sagra di Sant’Eliodoro ?”

“Sagra di chi ?”

“Sagra a Torcello ? … Ma quando mai è esistita ?”

“Mai sentito che a Torcello si tenga una sagra…”

“Si … E’ così …” ci spiegò prontamente il Piovano: “E’ vero che non c’è la Sagra di Sant’Eliodoro … Ma l’Arciprete di Torcello ci tiene tanto a questa festa … Perciò, anche se l’isola è quasi deserta come sempre, a lui sembra che capiti la Sagra perché si respira un po’ quel clima di festa insolito …. Sapete poi ? … Questa sera arriverà anche il Patriarca per la cerimonia nella Basilica dell’Assunta.”

“Il Patriarca ? … E allora è un festone importante per davvero !”

“Si.” replicò ancora il Piovano: “E servirebbero anche dei Zaghètti esperti “che sàppia pasàrghe el bastòn dorato col capèo a pònta al Patriarca con un cèrto sestìn” … Si dovrebbe dire: “Mitra e Pastorale” … Insomma: venite anche voi o no ? … Che avete da fare di meglio ? … Ci sarà di sicuro anche un bel rinfresco dopo la cerimonia ... Di sicuro l’Arciprete vi offrirà il gelato.”

Ci guardammo interrogativi in volto: “E perché no ?”

Esaurito quindi il clamore delle vecchiette rappacificate oltre il muro di cinta del giardino, ci dedicammo quindi a quella nuova trovata adatta a riempire del tutto il pomeriggio fino a sera … Era una cosa insolita: perciò ci stava.

Detto fatto ancora una volta, e fatto un breve giro per l’isola per informare le mamme a casa, entrammo nella Sacrestia Vecchia de San Martin, e cacciammo dentro a sguaciti sacchetti il fagotto delle nostre vesti da Chierichetti: “Mamma mia !” esclamò Tobia: “Se ci vede la Mastra Aurelia che facciamo sto fuffugnòtto con le vesti e cotte a ne fulmina fin a Nadàl !”

“Beh … Non lo sa finchè non vede … Andiamo dai !” chiuse il discorso Michele ... e partimmo.

Sulla Fondamenta dietro alla chiesa, saltammo dentro allegri e benintenzionati a un topoamotòr che ci attendeva odorando intensamente di pesce, nafta e catrame. Con non poca fatica l’ometto diede braccio al pesante Piovano per farlo scendere dentro alla barca che si flettè non poco verso la riva caricandosi di quel “dolce peso” … Slegammo le corde dai pali della riva spingendo al largo la barca, e presto ci ritrovammo trasbordati a Torcello: una goduria attraversare la Laguna … Stipati distesi a prua ci godemmo il fresco dell’arietta mentre la barca fendeva le acque salmastre coperte di numerose Alghe sfatte … Ci attendeva di sicuro un pomeriggio insolito “in trasferta” fuori dal nostro solito “locus”.

Sulla riva poco distante dalla Piazza di Torcello c’era già l’Arciprete Don Mario ad aspettarci: “Ben arrivati tutti !” ci disse abbracciando il Piovano e ammiccando cordiale verso di noi: “Dopo la cerimonia siete tutti invitati a cena alla Locanda Cipriani” ci disse pomposo quasi alzandosi in punta di piedi per quel suo stesso annuncio.

“A cena da Cipriani ? … Cazzò ! … Che sorpresa !”

“Benòn ... Sèmo qua Don Arciprete.”

“Don Mario …”

“Si … Don Mario Bonsignòr …”

“Non sono Monsignore, ma solo Arciprete di Torcello.”

“Va beh ... Quèo che xe … Poco cambia ... Semo venui a darve una man col Patriarca.”

“Bravi ! … Bravi ! … Sta per arrivare, infatti, andate già a prepararvi in chiesa … Oddio ! … Sta arrivando anche la barca con quelli della Corale … Bene ! … Che inizi la Festa !”

Ci era simpatico quel Pretino smilzo e delicato … Sembrava quasi consumato dal tempo … Era sempre gentile con noi, e non c’era volta che non ci autorizzasse a entrare nel chiesone antico, e perfino a salire fino in cima alla possente torre campanaria … Anche lui qualche volta, come quella sera, non mancava di offrirci qualcosa se collaboravamo alla buona riuscita delle cerimonie dentro alla Basilica o in Santa Fosca … Si sa: una bella processione piena di Chierichetti fa sempre la sua bella figura davanti alla Autorità e ai presenti … Perciò: all’opera ! … e c’infilammo in chiesa con le nostre sportule diretti alla Sacrestia.

Prima nota da osservare in chiesa: c’erano le Suore di Burano portate lì da chissà chi … Se ne stavano schierate mute e strette in panca dentro alla grande Basilica mosaicata dalle pareti dorate e scintillanti: “Ghe xe anca i Pinguini” ridacchiò Michele che non seppe trattenere la lingua ... “Zitto !” gli tirai di gomito: “Se ci sentono: sono dolori per tutti !”

La luce di uno sfacciato tramonto tiepido e rosato stava inondando la chiesa, dalle finestre scendevano coni di luce calda che andavano a infrangersi sul decorato pavimento tagliando a fette geometriche la navata e creando un’atmosfera davvero suggestiva … Ovunque c’era un intenso odore d’umidità frammisto a quello del voluttuoso incenso che usciva dalla Sacrestia.

“Anche voi Suore: tutte alla Locanda a mangiare in compagnia dopo la cerimonia ?” le approcciò l’Arciprete entrato al seguito dei Cantori … Il Patriarca stava tardando l’arrivo ... L’Arciprete sembrava un grillo che saltava euforico di qua e di là.

Le Monache si schermirono con larghi sorrisi indietreggiando timide e timorose di fronte alla profferta dell’Arciprete. Ovviamente parlò la loro SuperSuora: la Superiora, a nome di tutte: “No … La ringraziamo molto dell’invito Signor Arciprete, ma decliniamo l’offerta … Dobbiamo rientrare presto a casa dopo la cerimonia … Sapete com’è per le Suore, vero? … Abbiamo le nostre abitudini e i nostri orari … E poi: “Al suon dell’Ave Maria la Buona Monaca deve trovarsi già a casa o per via” … Noi siamo così … Sarà per un’altra occasione magari ... Grazie tante.” … Le altre Suore sembravano pensare all’unisono la stessa cosa, come avessero lo stesso pensiero nelle tante teste … Forse una di loro: quella più tondotta di tutte, non avrebbe disdegnato di certo di mettere mano e bocca su tutte quelle annunciate prelibatezze che ci aspettavano di certo alla rinomata Locanda Cipriani.

Le Suore comunque sembrarono farsi piccole, quasi liofilizzate, obbedienti e sottomesse del tutto dentro alle loro cuffie alle parole e alla volontà della loro MadreSuperiora.

“Quella lì delle Suore una volta o l’altra scoppia.” non mancammo di commentare burloni e spiritosi fra noi additandola sornioni.

La Superiora delle Suore intuito il sardonico commento non mancò di fulminarci severissima in diretta con gli occhi.

Ci placammo intrufolandoci in Sacrestia dove incappammo nell’Arciprete saltabeccante ovunque: “Guardate che vi ho visti e sentiti.” ci ammaestrò e ammonì divertito ma compito nel suo ruolo: “Non siate irrispettosi con le Monache, o stassera non vi farò neanche dare il gelato a cena.”

“No ! … Il Gelato no ! … Cioè: il gelato si !” se ne uscì uno di noi: “Siamo venuti per questo !”

“Faccio finta di non avervi sentito.” boffonchiò l’Arciprete … ma già “svolazzò” e scomparve via imbracciando un’antica quanto preziosa stola da Prete dorata e ricamatissima, perché una voce lontana aveva annunciato animata: “Sta arrivando il Patriarca !”

Nel frattempo era arrivata anche un’altra barca ad ingrossare “quell’allegra brigata” che stava convenendo in chiesa da diversi posti della Laguna. Si trattava della barca dei Frati dell’Isola del Deserto: allora ancora ricca e abitata in abbondanza da Frati e Novizi … Diversi Fratoni sudaticci, infatti, entrarono con brio e simpatia tintinnando i loro cordoni nodosi che penzolavano ai loro fianchi annodati ad altrettanto tintinnanti Rosari e Crocifissi … Con i loro piedi scalzi fumanti, e le loro tonache grezze andarono a piazzarsi nel Coro del Presbiterio della Basilica ... e si sentì distintamente che s’andava accendendo la Solenne Cerimonia, anche per il loro vigoroso ed entusiasta afflato.

In Sacrestia: accadde il solito impatto inevitabile … Non era la prima volta che ci ritrovavamo faccia a faccia con gli sparuti e un po’ improvvisati Chierichetti dell’Isola frontiera alla nostra … Sparuti ? … Era già troppo definirli così: erano raccogliticci oltre ad essere quattro gatti … Al confronto noi sembravamo dei Professionisti in materia: “Ecco l’Armata Brancaleone” esordì subito Mauro pizzicandoli e provocandoli … Ci divertiva ogni volta la cosa.

“Eccoli qua: i soliti cenciosi … veste “acqua alta” corta al ginocchio, che ghe scoppia sul petto: ghe partiràtutti i bottoni a raffica fra poco … e Cotta sopra sbrindellata color panna: mèza ònta … Croxe de cartòn, e bròdo co e Rane al posto dell’Acqua Santa …  Veri e propri “morti de fame”.”

Non terminò la frase: il Chierichettone lo preso di mira senza farselo ripetere due volte: “Adesso te pèsto ... Ve spàcco in do.” ci disse prontamente … Ed era ciò che cercavamo ... Non c’era volta che non si alimentassero e non si riaccendessero quelle vecchie ruggini istintive fra noi ... Eravamo di un campanilismo sfegatato nonostante la giovane età … Anche fin troppo esagerato.

Per fortuna il Sacrestano baffuto, alto e grosso come un armadio, ma buono come il pane, intuì quell’inadatta ebollizione che stava accadendo fra noi ... Intervenne subito spegnendoci tutti con poche parole decise: “Ve butto tutti fòra ? … Ste bòni par piasèr … Che non xe el momento … Vardè: ghe xe el Patriarca … Volè che o ciàmo e ve lo porto qua ?”

Ci quietammo e zittimmo subito, e anche il cresciuto Chierichettone Torcellano, già su di giri quanto bastava, ridusse al minimo il suo bellicoso voltaggio rientrando nei ranghi della compostezza: “Ti resti ridicolo ...” gli buttò dietro Mauro … e l’altro grugnì mostrandogli un pugno chiuso, e facendogli cenno mulinando la mano: “Dopo …” gli mormorò.

La Cerimonia Solenne stava per iniziare … e l’Arciprete preciso come un Vigile Urbano passandoci in rassegna ci affibbiò e distribuì con buona pace di tutti: candelotti, croce e Candelieri nonché i preziosi oggetti del Patriarca al quale dovevano fungere come da provetti e svegli valletti: “Al mio cenno: scattate subito … Venite da me.” ci istruì il Segretario del Patriarca: “Svegli e composti … Vi raccomando.”

Il nostro Piovano di Burano tutto agghindato per la cerimonia come un grosso uovo di Pasqua indossando un’antichissima Pianeta ricamata, ci passò pure lui accanto prima di andare ad omaggiare il Patriarca: “Vi raccomando ! … Non fatemi fare brutte figure.” ci ammonì bonario … E uscì fuori nella chiesa la solennissima Processione: “Procedamus !” quasi gridò l’Arciprete dando il segnale da vero “padrone” della situazione.

Le Suore pallidissime e azzimate, tutte velate e chiuse da notte fino al collo, erano sempre e ancora lì: schierate come soldatini sulla loro panca dove si muovevano all’unisono alzandosi e sedendosi, e pigolando deliziosamente soavi con le loro vocine a seconda di quanto la cerimonia liturgica richiedeva … Con quel caldo che faceva anche dentro alla grande Basilica umida, erano vestite come da palombari nel loro costume medioevale mai cambiato lungo la Storia: sembravano attraversare l’aria afosa estiva passando dentro indenni fra una folata e l’altra dell’aria calda ... Solo una di loro era rossa in faccia, e larga e tonda come una Luna in tutto il resto: pareva pronta a scoppiare come i Fuochi dell’Assunta.

Dalla parte opposta della chiesa, su panche ricoperte da un drappo rosso sgualcito e smunto, stavano schierati impettiti Ufficiali della Guardia di Finanza, della Marina, dell’Aeronautica, Carabinieri, Polizia ed Esercito tutti pieni di decorazioni e mostrine con mastini e lacchè servizievoli e pieni di premurose attenzioni che li seguivano come ombre: “Quei ghe porta l’acqua con e rèce se ghe serve ... e i ghe nèta el piatto dove i magna co carta da 10.000 lire.” … Accanto ai Militari stavano i Politici e qualche bel nome altolocato: qualche Assessore, un paio di Avvocati e Banchieri … Una nutrita schiera insomma di personaggi importanti accorsi da Venezia per l’occasione.

E poi c’erano sparsi un po’ ovunque Pretonzoli e Piovani lagunari grassocci, sudaticci, ingolfonati nei loro paramenti da cerimonia e col fazzoletto madido serrato in pugno.

Proprio per ultimo, quando ormai stava decollando la Cerimonia, arrivò anche il Piovano austero di Mazzorbo ponendosi solitario in un angolo … Se ne rimase lì incandito e ossuto tutto perso nei suoi pensieri e senza scambiare parola con nessuno. Sembrava che per lui non esistessero né tempo né stagioni ... e neanche gli altri … Anche con noi era sempre essenziale, quasi brusco: ci rispondeva a monosillabi apparendo quasi scostante … Che gli avevamo fatto ? … Niente … Boh ? … Solo una volta ci disse dietro calcandosi il “cappello da Zorro” in testa: “Voi Buranelli siete tutti dei gran presuntuosi … Pieni di se … Veri antipatici.”

“Senti chi parla !” gli dicemmo in coro … Non ci salutavamo neanche a volte: un vero fantasma vestito da Prete … Che tipo !

Comunque su tutti e tutto fece effetto e gran clangore festoso la Corale dei Cantori di Burano … Non c’era tutta la pomposa ed efficace solita Corale dell’Isola, ma solo una parte: quattro gatti sparuti la cui voce un po’ si perdeva dentro a quel gran chiesone … Per via della Feria Estiva mancavano alcuni pezzi grossi fondamentali: non c’era, ad esempio, quello col basso in gola che faceva vibrare tutta la chiesa … ma si esibirono lo stesso virtuosamente e con grande dolcezza dando gran lustro alla Cerimonia guidati come sempre in maniera egregia dal Maestro Francesco Dei Rossi che saltellava come una cavalletta e si destreggiava davanti a loro smanacciando provvidi segni d’attacchi, ghirigori canori e secche chiusure a pugno chiuso in aria.

Cantarono più volte e neniarono in maniera provvida anche in antico latinorum con arzigogolati versi contorti di cui non capivano niente … Però quelle erano le cose giuste da cantare in quella circostanza, tanto è vero che tutti i Frati, le Suore e i Preti si appaiavano ogni tanto ai Cantori gorgheggiando a loro volta in maniera più o meno traballante e mezzo stonata … L’Arciprete soprattutto canticchiava ovunque andava quasi fosse l’amplificatore semovente di quelle solenni cantate … La Cerimonia quindi procedeva lentissima: “lònga più de un Passio”: sembrava non finire mai … Anche se quasi tutti al loro posto parevano non subire in alcun mudo il peso di quella cosa così lunga e cerimoniosa … In realtà anche loro scalpitavano come noi agognando il termine di tutto: solo che non lo davano a vedere.

Torcello insomma: era Festa e Feragosto, e tutto ci poteva stare ... Man mano che calava la sera e poi la notte s’intravedevano alte e lontanissime in Cielo le Stelle dell’Assunta, anche se gomitoli di nuvole scure stavano capitombolando verso la Laguna calando dalla parte del tramonto  … Gatti sgarruffati vagabondavano liberi per l’isola senza casa né padrone, Piante e Verde di ogni sorta s’aggrappavano ovunque riempendo l’aria di effluvi dolciastri o amari che sapevano di salsedine ... Zanzaroni e Tafani non erano teneri con noi visitatori, e arrivavano a flotte, a volte a nugoli, a pungerci indistintamente: loro si che facevano festa e banchettavano prendendo noi ... La Fiera-Sagra di Sant’Eliodoro era un evento, ma non esisteva: non c’era una bancarella, gente in piazza … nessuno … L’isola come sempre sembrava avvolta dalla Morte in vacanza … C’erano solo pochi isolani in giro, e i pochi turisti spaesati e curiosi col cappello di paglia in testa … L’antica Fontana in bocca di piazza sembrava stanca di sputare acqua giorno e notte … e anche le galline dell’isola sembravano diminuite di numero, e perfino i piccioni sembravano diversi: più impacciati e imbranati nel volare rispetto ai nostri di Burano.

“Ma se pol savèr chi gèra sto Sant’Eliodoro ?” mi sussurrò Michele tarantolato sul suo sgabello accanto al mio.

“Boh ?  … Chissà ? … Un concorrente dei Santi Patroni de Buran forse ? … Non so.”

“Ssssss … Ste bòni … Stè quieti.” ci brontolò dietro uno dei Piovani assisi nel Presbiterio absidato poco distante da noi … Che occhi che aveva quella Madonna posta in alto sopra le nostre teste … Vista da lì vicino e da sotto incuteva un po’ timore: pareva volesse sbirciare e penetrare dentro al segreto di noi stessi ... anche se sapevamo bene che in fondo era “un personaggio Buono” che popolava chiese e pensieri di tanti.

Ci pensò il Patriarca Luciani durante il suo predicone a dirci qualcosa su quel misterioso Eliodoro ... Non si sapeva granchè di lui, se non le solite quattro notiziole trite e ritrite attribuite a tutti quelli del passato ... Insomma: esistevano chiesoni pieni di Santi e Madonne di cui si sapeva ben poco … Se non che erano là quasi da un millennio ormai mescolati con Attila, con i profughi Altinati e con tante altre persone qualsiasi che avevano popolato le nostre Lagune per lungo tempo.

“Non dimentichiamolo.” disse a un certo punto il Patriarca: “Da Torcello deriva Venezia ... Fu proprio uno qui di Torcello che portò a Venezia il Corpo Santo di San Marco … Quindi in questo posto oggi così povero di gente si affondano lo stesso le nostre radici Veneziane.”

A quelle parole facevano “di si” con la testa sia le Suore, che buona parte di quelli che s’assiepavano in chiesa … In fondo le panche erano però vuote … e anche gli Ufficiali Militari sembravano d’accordo col Patriarca … Solo che sembravano impietriti e inespressivi, quasi paralizzati dentro alle loro splendide divise.

“Woh ! … Torcello come Venezia … Che stranezza ! … Ma che importanza che ha quest’isola quasi abbandonata.”

Non si finisce mai d’imparare e scoprire cose nuove da sapere.

Quando Dio volle la Cerimonia senza tempo volse al termine mandando in mille pezzi una parte dell’Eternità.

Le Cicale fuori sul prato urlavano tutto il loro disagio e contento dentro a ciò che rimaneva del pomeriggio estivo, mescolandosi col picchiare dei tacchi dei Militari che a fine cerimonia si recarono in fila a salutare e omaggiare il Buon Patriarca.

Poi tutti all’unisono si riversarono festosi, quasi in nuova insolita processione, stavolta verso la Locanda di Cipriani dove li aspettava un imbandito superbanchetto offerto dall’Arciprete, ma anche dallo stesso Cipriani … Solo le Suore, come previsto, e i Cantori si eclissarono insieme agli sparuti fedeli e i turisti ... Scomparve anche il Chierichettone bellicoso, mentre il forzuto e accorto Sacrestano rimase con pochi altri e altre ad accudire e chiudere il chiesone prima di riportarsi a casa propria ... La Sagra di Sant’Elidoro volgeva al termine: s’era di già esaurita prima ancora d’incominciare.

Nella Locanda quindi rimasero oltre al Patriarca: le Autorità Civili e Militari, e tutta la Preteria e Frateria che in questi casi sapeva benissimo quel che c’è da fare e non fare.

“Eminenza” esordì ancora una volta l’Arciprete indossando una lucida tonaca di qualche misura in più: “Adesso serve fare onore al Cuoco, alla tavolata degli illustri ospiti e alla buona Cena.” … Il Patriarca sorrise, e iniziò a sbocconcellare appena un pezzetto di pame quasi fosse un uccellino. Ogni volta che gli presentavano una pietanza succulenta declinava muovendo debolmente a mezz’aria la manina accompagnando il gesto con un pallido sorriso d’approvazione … Era molto parco, oltre che umile e modesto il Buon Luciani.

Stessa cosa non si potè dire per il resto dei commensali: Militari, Civili ed Ecclesiastici in primis: c’erano mandibole che si davano un gran da fare, e gole che non smettevano d’innaffiarsi di prelibatezze e vino: “Assaggiamo anche questo ! ...Vediamo allora un po’ di quello … E perché no un poco di quell’altro in fondo ? … Mmm ! Che profumo ! … Che sapore delizioso questo.” … I camerieri laccati dentro alle loro giacche bianche non mancavano subito di accorrere e riempire i piatti, oltre che i bicchieri collocati davanti a certi tovaglioli candidi inizialmente, e poi macchiati, infilati nel collo delle divise militari e nel colletto delle tonache ecclesiastiche sempre più sbottonate ... I Frati a loro volta, ci avevano messo un attimo a liberarsi dai loro grezzi sottogola col cappuccio appendendolo all’attaccapanni ... Sembravano tanti piccoli impiccati ... Così come i Militari s’erano tolti fasce e cinturoni d’ordinanza sbottonando le elegantissime divise ... Un paio di Piovani poi: non c’erano per nessuno. Con le maniche avvoltolate fin sopra al gomito, erano del tutto intenti a forchettare e ingurgitare facendo per davvero onore al bel banchetto imbandito: “Evviva Sant’Eliodoro !” partì a un certo punto un brindisi: “Evviva il Patriarca … e la Marina … e l’Esercito Italiano … l’Aereonautica … i Vigili del Fuoco … i Carabinieri … la Guardia di Finanza … la Polizia … e tutti i Frati e i Preti della Laguna !”

Era tutto un continuo tintinnare di bicchieri che quasi pacifica raffica a salve non smetteva di susseguirsi nel giardino della Locanda parato a festa senza trascurare di ricordare qualcuno … La notte incombeva sopra tutti … e in lontananza un cupo brontolio ricordava a tutti che si stava avvicinando un temporale.

“Un assaggino Eminenza ? … Tanto per gradire ?”

“Va beh … Dai … Una tantum … Con moderazione … Altrimenti stanotte non si dormirà per via della pesantezza.”

“Bon … Bon … Davvero bon …” si diceva dall’altra parte della tavolata dove sedevano in amabile compagnia un bel Fratacchione e un Prete dell’Estuario che non la smettevano d’ingozzarsi “alla più non posso” ingolfandosi rubicondi … Ne faccio il nome ? … No … Meglio di no ... Solo l’austero Piovano di Mazzorbo s’era presto dileguato senza aver scambiato battute con nessuno … Pareva infastidito da quella sensazione … Infatti: si tolse dal collo il tovagliolo candido, recuperò il cappello “da Zorro”, e scomparve nel buio senza salutare nessuno … Il piatto rimase immacolato e vuoto sul posto a lui riservato, dove dopo un poco andò a piazzarsi un Ufficiale stanco di condividere le solite “chiacchiere da Sacrestia” dei soliti Preti.

Ogni tanto qualcuno, non dico chi, quasi destandosi dalla trance semiagonistica del pasto, s’indirizzava con lo sguardo dalla parte opposta della tavolata mandando un cenno d’approvazione e saluto al Patriarca, che gli rispondeva con un cenno rimanendo spesso in silenzio … Il Patriarca non perdeva di vista nulla di quanto accadeva dentro a quella allegra scena ... Solo verso la fine della serata deposto il tovagliolo ancora quasi intonso e pulito, e dimentico di tutto quanto accadeva in tavola, si dedicò a un interloquiare fitto fitto insieme a un Comandate o Generale calvo e asciutto che gli era andato a sedersi accanto.

Dopo un po’ il clamore dei discorsi e degli scambi amichevoli e cordiali era cresciuto in parallelo al rossore di certe guance sempre più accaldate: “Proviamo insieme un canto tradizionale Veneziano Eminenza ? … In suo onore ?” esordì dal fondo un Prete vistosamente alticcio: “No … No … Grazie ... Lasci stare … Credo sia ormai tardi, e sia giunto il momento di mettere fine a questa bella serata … Vorrei ritirarmi se non vi dispiace … Domani dovrò trovarmi con i Vescovi del Triveneto: sarà una giornata impegnativa.”

Sembrò un segnale, un ordine inviato a tutti … Il festoso banchetto si spense immediatamente … Ognuno, infatti, s’affrettò a ricomporsi … Qualcuno sorseggiò l’ultimo bicchiere … Riapparvero “come Api sul Miele”: Segretari e Assistenti, le divise tornarono a imbottonarsi e le cinture a cingere certi ventri a volte un po’ enfi … I cappelli graduati tornarono sottobraccio, e le spade da parata rivennero imbracciate … Si formò subito una fila di nomi che uno dopo l’altro si recarono ad omaggiare il Patriarca prima di farsi ingurgitare dall’incombente notte Torcellana recandosi al loro motoscafo che li aspettava a riva col motore già acceso.

La compagnia si sciolsea pancia piena e gola sazia per i più … e traballando saturo di discorsi e chiacchiere per qualche altro … La notte piano piano prese il sopravvento su tutto scambiando chiacchiere, saluti e convenevoli con assoluto silenzio ... A ovest in fondo lampeggiò il Cielo … Gli rispose un brontolio basso ma ancora lontano ... L’aria mossa dal vento portò l’odore di pioggia, di terra bagnata, e di putritudine delle barene Lagunari.

Rimasero intorno i camerieri della Locanda che quasi danzando fra i tavoli si muovevano felpati sparecchiando … Apparivano e scomparivano addentrandosi a braccia piene nelle cucine … Sembravano fantasmi candidi … Mentre in un angolo, quasi invisibile, sostava immobile, silenzioso, e con gli occhietti scintillanti di soddisfazione l’Arciprete di Torcello in attesa d’accompagnare il Patriarca nell’ultima passeggiata fino al motoscafo dell’Arma dei Carabinieri che l’avrebbe riportato a Palazzo Patriarcale a Venezia.

Un altro gelatino ragazzi ? … E’ un peccato lasciarli là … Ci mormorò un cameriere robusto ma dal sorriso affabile: sembrava il capo che governava tutta quella gran tavolata … Dal suo cantuccio l’Arciprete interpellato con lo sguardo dallo stesso Maitre: fece di si … Poi lo sentimmo dire: “Si … Dagli pure un altro gelato … Si sono comportati bene stassera … Meglio di qualche altro.”

E scoppiò nella penombra una risata mentre da un angolo rispuntò il Patriarca sfregandosi le mani dopo essere andato a fare pipì.

“Anche il Patriarca va in gabinetto ?” fece Michele.

E perché no ? … E’ umano no ?”

Un lampo illuminò di nuovo il cielo: “Arriva … Xe el temporàl dell’Assunta … Nol manca mai.” commentò il capobarca che ci stava già aspettando ormeggiato a riva: “Spero che fasèmo a tempo de tornar a casa a Buran asciutti … Se ve sbrighè un fià con tutti sti saludi …” Fu proprio lui, invece, a corricchiare goffo ad omaggiare e baciare l’anello e la mano al Patriarca: “Eminente … Che piacere salutarla.” Il Patriarca non mancò di corrispondergli scrollandogli con una mano i capelli riccioluti e brizzolati sul capo.

Poi toccò a noi, ancora con l’ultimo ghiacciolo in mano, di omaggiare tutti insieme il Patriarca spinti come da chioccia dall’Arciprete di Torcello ancora ringalluzzito e contento: “Ringraziate il Patriarca che ci ha onorati della sua visita.” disse giulivo.

“Grazie a voi, invece, di questa bella occasione che abbiamo condiviso insieme … Davvero bravo Signor Arciprete ad organizzare tutto … Le sono grato.” cinguettò leggero Luciani … Grande uomo ! … Indimenticabile.

L’Arciprete non stava più nella pelle: quelle erano le sue piccole ma grandi soddisfazioni: “Dovere Eminenza ... Dovere d’ArciPrete.” chiosò umilmente … Il Patriarca rispose con un sorriso e toccandogli leggermente la spalla.

Dentro al buio Torcellano il rinfrescante gelato sciolto dal caldo ci colava sulle dita: ci affrettammo a succhiarlo in fretta ... Il Patriarca salì poi aiutato da un giovane Carabiniere che gli fece il saluto militare sostenendolo mentre scendeva dentro al motoscafo … Il buon Prelato chinò la testa seguito dal suo Segretario, e s’infilò dentro all’andito ombroso della barca … Pareva stesse partendo per una missione segreta: “Ma quando farà Monsignore questo Arciprete ?” mormorò di nuovo Michele: “Sta zitto !” gli intimò Tobia: “Non sono cose da dire … Ti racconterò un’altra volta qual è la storia.”

S’accese un altro lampo che mostrò nuvole scure straziate in cielo, e subito dopo schioccò vicinissima la saetta … Il rombo del tuono fu possente. Il motoscafo col Patriarca dentro s’allontanò andando al minimo con le eliche che mulinavano l’acqua scura … Si ficcò sotto a passare imboccando il lugubre quanto antico Ponte del Diavolo che si stagliava sul fondo … Chissà se il Diavolo aveva timore del passaggio di quel Patriarca che in tanti consideravano mezzo Santo ?

Intorno intanto era tempo di Lucciole, Pippistrelli e Grilli: tutti dediti a proprio modo a inscenare un ineguagliabile e spettacolare concerto Naturale.

“Andèmo dai … Prima che a vègna.” brontolò un po’ spazientito il barcarolo traghettatore ... e fece rombare a sua volta e salire su di giri il motore del suo topoamotor.

“Dai saliamo … Andèmo a casa.” sentimmo dire dentro alla notte … Poco distante le luci della Locanda s’erano spente, anche nella Piazzetta di Torcello deserta col Caregòn de Attila sembrò che qualcuno avesse abbassato le luci … Solo la fontanella in pietra sul bordo della riva si dava un gran da fare buttando acqua, gorgogliando e bisbigliando inesausta.

“Don ? … Ci lascerà salire in campanile e scendere nella Cripta la prossima volta ?”

“E’ chiuso … E’ pericoloso … E se poi suonano le campane … Che fate ?”

“Dai Arciprete … Ci lasci salire …”

“Va ben dai … Si: la prossima volta … Andate intanto … Grazie che siete venuti.”

“Grazie a lei della cena soprattutto.” si alzò ancora una volta nel buio del mare di cordiali risate ... Si strinse qualche mano … Volò qualche tenue o gridato saluto: “Notte Arciprete ! ... Buone còse … Gràssie pal bon vinello.” gridò il traghettatore spingendo la barca distante dalla riva. L’Arciprete divenne una sagoma scura che si fece sempre più piccola in lontananza … Il Piovano di Burano lo salutò ancora con un vistoso cenno del braccio.

Attraversammo in fretta la Laguna con la prua della barca che fendeva le acque scure … Scoppiò il temporale: “un seravàl” (come avrebbe detto mia suocera), e giungemmo così a Burano bagnati fradici come pulcini … Piovan compreso: “A domani … Ciao … Ciao … A domàn ... Andèmo a casa a sugàrse …”

“Te par ore da arrivàr ?” esordì la mia Mamma appena misi piede dentro casa dando vita alla sua immancabile manfrina: “E vàrda come ti xe ridotto: tutto stònfo … Un pipìn negà.”

La lasciai dire non replicando neanche un poco … Finchè poi si spense e si esaurì da se lasciandomi stare … Era tardi ormai, il temporale era terminato e stava ritornando la caldàna estiva … La giornata era terminata ... Un’altra giornata vissuta in più ?

Si … una di quelle che oggi ancora ricordo anche se lontanissima, quasi sommersa nei meandri profondi della mia mente di quasi vecchio Buranello … Che tempi !



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