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Una vigna a San Silvestro … e prestiti a San Cassàn

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#unacuriositàvenezianapervolta 233

 Una vigna a San Silvestro … e prestiti a San Cassàn

Nel stralontanissimo 1087 a volte c’era la fila fuori della volta di bottega dei Notai del nascente Emporio di Rialto … Alcuni Notai si davano un gran da fare occupandosi di diversi clienti … C’era, ad esempio, un Notaio-Prete: Dominicus Clericus che con la sua autorità portò a definizione diversi affari importanti: mise d’accordo, ad esempio: Tribuno Caroso e Vitale Stornato da Luprio(San Giacomo dell’Orio)“compagnones” in affari col Nobile Pietro Foscari proprietario di un Fondamento (terreno paludoso-acquoso) sito nella stessa Contrada del Luprio … Serviva con urgenza erigere un argine perchè la Laguna non si mangiasse del tutto quel terreno promettente.

Sempre davanti allo stesso Notaio-Prete: Pietro figlio del defunto Pietro Storlato dal Rio Menolario fece quietanza a Domenico Nastrocchi dal Confinio di San Gregorio in Dorsoduro d’una “colleganza per traffici marittimi e commerciali” svolti a Corinto in Grecia ... Non al di là del canale insomma, né solo oltremare … ma ben più in là.

E ancora: lo stesso Notaio-Prete registrò e vidimò la donazione di Stefano Candiano figlio del defunto Domenico, che diede al ricco e potente Monastero Benedettino di San Giorgio Maggiore di fronte a Piazza San Marco: il Fondamento Tressaria Maggiore presso l’isola di Murano buono per salina e area piscatoria, ma anche per essere bonificato per allargare l’isola.

Nella stessa primavera lo stesso Notaio e lo stesso cliente registrarono un’altra donazione. Stavolta il fortunato assegnatario fu Rustico de Recio dal Confinio di San Salvadorvicino a Piazza San Marco, che ricevette una terra prospicente la vigna della chiesa di San Silvestro.

Una vigna a San Silvestro ?

Si … C’era per davvero, ed era appartenuta al Patriarca di Grado che abitava proprio in quella Contrada Veneziana, e si faceva il vino in casa ... Il Patriarca l’aveva ceduta a Stefano Candiano, che a sua volta l’aveva data a Rustico de Recio … La controversa gestione della vigna e dei terreni contigui finì davanti al Doge Vitale Falier e in mano a Giovanni Giustinian dal Rivo Busianico e Badovario Aurio: Giudici Fideiussori e Mediatori … Perché ? … C’era stata la protesta di Domenico Campulo Arcidiacono e Pievano di San Silvestro che non aveva gradito molto il fatto della cessione del terreno che considerava “un pezzo di casa sua”… Nell’anno seguente di fronte a un altro Prete-Notaio: Tribunus Clericus Calvus, si giunse all’obbligo definitivo di non vendere né alienare più quella “terra vignata” in Contrada di San Silvestro ... Chissà dove si trovava la Vigna di San Silvestro ? … e dava buon vino ? … Corrispondeva forse all’attuale Campo San Silvestro(di questo però non sono sicurissimo).

Insomma: c’era gran movimento a Rialto alla fine degli ultimi anni del 1000 … Altro che: “Mille … e non più Mille”!

Venezia stava lievitando … e non poco.

Prestiti … a San Cassiàn … nel 1100 ... Un altro lampo a Venezia nel 1100.

Ancora nell’ormai intraprendente Emporio di Rialto, nel novembre 1101 precisamente, davanti a un altro Ecclesiastico-Notaio: Dominicus Maurus Diaconus et Notarius: una certa vedova Uniza dal Sestiere di Dorsoduro vendette a Facio Bognolo dall’Isola di Poveglia per 12 soldi di denaro Veronese una terra sul Canale Vigano(Canale della Giudecca … eccolo che rispunta): “nel lago che prima era fondamento per saline e ora è acqua deserta di proprietà dell’Abbazia di San Gregorio”.

Per chi mi diceva poi: “Mai sentito dell’esistenza del Confinio di Sant’Isaia a Venezia !”(cioè San Stae & Isaia): eccolo qua ... Sempre a Rialto nell’agosto 1101 davanti a Johannes Presbiterus et Notarius ennesimo Prete-Notaio “di turno”: Giovanni Adoaldo dal Confinio di San Luca nel Sestiere di San Marco dichiarò a Folco Da Molin suo suocero dal Confinio di Sant’Isaia di lasciargli in proprietà una cotta di panno e un fermaglio d’oro già datigli in pegno a garanzia di un prestito.

Prestito ? … Eccoli che rispuntano i prestiti … Si prestavano molti soldi a Rialto in modo più o meno trasparente e pulito, come in tutti gli Empori, i Porti e i luoghi commerciali del Mondo ... L’usura però è sempre stata in agguato: anche a Venezia nonostante da ogni pulpito civile e religioso fosse sempre condannata … Ad essa si prestavano un po’ tutti: Nobili, Mercanti e perfino lo stesso interessatissimo Mondo Ecclesiastico di Clero, Frati e Monache che non facevano eccezione né sconti a nessuno ... anzi.

Nel settembre 1100 a Rialto davanti allo stesso Prete-Notaio di prima: Giovanni Martinacio figlio del defunto Pietro da Castello fece quietanza per una somma datagli in prestito da Venerando Serzi figlio a sua volta del defunto Domenico dal Confinio di San Cassian nel Sestiere di San Polo.

Curiosa la Famiglia Serziresidente nel Confinio proprio nei pressi di Rialto … Già nell’aprile 1072 i Serzi erano segnalati nei commerci Veneziani in quanto si prestavano come intermediari e mediatori per portare sporte d’allume avanti e indietro fra Alessandria e Venezia ... e già che c’erano facevano prestiti un po’ a tutti tramite la madre Petronia che era vedova, e i figli: Venerando, Pietro e Domenico… che giunsero a prestare soldi perfino al Piovan di San Cassàn: Prè Stefano Dolce.

Venezia era intraprendente e vivissima in quei lontani tempi … lievitava ... Sembrerebbe proprio di si.

 


Jesolo-Equilio o Cava Zuccherina

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#unacuriositàvenezianapervolta 234

Jesolo-Equilio o Cava Zuccherina

Jesolo un tempo si chiamava Equilo o Equjlio… Non era solo spiaggetta, ma aveva addirittura un Vescovo che governava buona parte del Litorale Veneziano … E sapete com’erano i Vescovi nei tempi antichi: mica si scherzava tanto con loro, sapevano il fatto loro, ed avevano anche le idee piuttosto chiare su ciò che era di loro proprietà … e anche su ciò che poteva esserlo con qualche piccolo “accorgimento”, e con qualche dedizione più o meno spontanea … Nel marzo 1096, ad esempio, Calembrano Sanul e Pellegrino di Martino entrambi da Equilo-Jesolovennero chiamati a presentarsi davanti a uno dei Preti-Notaio della zona: Vivianus Barbo.

Che c’era da testimoniare e dichiarare ? … Ah ? … Niente di particolare: “robetta del Vescovo”… Che cioè tutte le acque fra Lammengolo alla bocca del Livenza e il Trageto(traghetto) col Canale di Altura, e tutte quelle col Canale di Albaro, l’acqua Canvello, Lequentino e il Ramo de Mugla insomma: tutta l’acqua che c’era intorno a Jesolo … Beh: tutto apparteneva di diritto al Vescovo Equilenseo Jesolano ... e guai a chi osava dire il contrario !

Era forse un problema per qualcuno ? … Beh: sicuramente no … o meglio: si … Perchè chi pescava qualcosa doveva dare per forza una parte al Vescovo, così come chi attraversava quelle acque doveva per forza pagare una tassa di transito, chi vi cacciava sopra doveva dare per forza una parte della cacciagione allo stesso Ecclesiastico, allo stesso modo in cui chi faceva sostare e brucare le pecore sulle terre del Vescovo: ovviamente doveva sborsare per forza … come chi metteva un banchetto in piazza per mercanteggiare qualcosa: perché anche la piazza era del Vescovo … Insomma: chi avesse voluto piantare anche un chiodo, un solo palo, o infilare un albero in terra … Beh ? … Avrebbe dovuto chiedergli debito permesso … a pagare qualcosa s’intende.

Che c’era di strano ? … Niente: era ovunque così … Perché no anche a Jesolo ?

I due firmarono con buona pace di tutti … più o meno ... e di sicuro per la contentezza e soddisfazione dello stesso Vescovo ... un po’ meno degli Jesolani.

Chi era quel Vescovo ? … un bravòmo tutto compreso, seppur sempre figlio degli usi costumi e convinzioni del suo tempo ... Non era però molto simpatico agli Equilejesi o Giesolani.

 


Aeculum o Equilo o Equiljo oppure Vesulo o Gesolo o Jesolo si identificava nella paludosa Dioecesis Equiliensis: antica ma piccola sede Vescovile Litoranea soppressa da Papa Paolo II nel 1466 che "per la povertà della Mensa e la totale distruzione della città e della chiesa…", la rese “suffraganea”insieme a Torcello, Chioggia e Caorle del neonato Patriarcato di Venezia.

Il Chronicon Gradenseracconta che era stato il Patriarca di Aquileia a istituire il Vescovado di Jesolo a Grado nel 578 d.C., ma si dice che quella notizia era un falso messo in atto a posta per allargare la giurisdizione di Grado fino a quel lembo di terra litoranea Veneziana. Più credibile forse Giovanni Diacono secondo il quale Jesolo è stata una sede un po’ “nata da se”, sorta forse verso la metà dell’800 o qualcosa del genere ... Poco cambia … La Storia di Jesolo elenca una successione di una trentina di Vescovi in tutto. Iniziò il Vescovo Pietro ... Curioso personaggio: eletto nel 876 e subito interdetto dal Papa, poi presente come Giudice nel processo contro i sicari del Doge Pietro Tradonico nel 864, e chiamato d’urgenza a Roma nel 877 presso Papa Giovanni VIII insieme al Vescovo Felice di Malamocco a rendere conto del Vescovo Caloprino di Torcello ormai vecchio e infermo, che era risultato eunuco e quindi inidoneo al suo ruolo.

 


C’era stato poi come Vescovo: Buono Blancanico, chedivenne anche Patriarca di Gradonel 956. Fu probabilmente lui a benedire la Flotta dei Veneziani che partì proprio da Equilio guidata dal Doge Pietro II Orseolo per combattere e sottomettere gli Schiavoni.

A lui successe in seguito anche Pietro III Tralonico o Tradonico già Piovano di San Paternian a Venezia. Il Vescovo Tradonico governò Jesolo dal 1324 fino al 1343, dopo che Jesolo era rimasto senza Vescovo per tre anni. Litigò non poco col Podestà di Lio Maggiore per la gestione dei diritti di un largo canneto a Lio Piccolo trascinandolo in una causa che vinse davanti agli Avogadori da Comun di Venezia.

Toccò poi di governar “da Vescovo di Jesolo” a Pietro IV de Natali che era impegnato come Piovano a Santi Apostoli di Cannaregio a Venezia ... Venne promosso ancora a Vescovo di Jesolo anche Missier Prè Andrea Bon: Dottore in Decretali, Vicario del Vescovo di Castello di Venezia, e iscritto alla Schola Granda dei Tentori o della Misericordia di Venezia. Costui morì proprio l’anno della soppressione definitiva della Sede Equileiense. Conscio dell’imminente perdita del posto “perché Jesolo era ormai rovinoso e coperto di Ellere e Spini”, aveva pensato bene visto di premunirsi di “buona salute economica” garantendosi la nomina-beneficio dell’Abbazia di San Gregorio a Venezia. Fra gli ultimi atti del suo governo concesse ai Frati di Santa Maria dei Servi di Venezia la chiesa di San Martino di Capodistria che dipendeva da Jesolo, e diede alle Monache di San Giovanni Battista di Jesolo una vigna a Jesolo di sua proprietà … Poco prima lo stesso Vescovo era stato convocato a Roma, e richiamato aspramente per essersi permesso di andare a Cresimare a Mestre “senza licenza”violando la giurisdizione del Vescovo di Treviso che ne era titolare ... e ne aveva l’esclusiva di ogni beneficio spirituale, e soprattutto “temporale”… cioè economico.

 

Altre note storiche curiose sempre su Jesolo:

___Nel 819 un Monaco di San Giorgio in Pineto di Jesolo fu fra i firmatari dell’Atto di fondazione della famosa Abbazia di Sant’Ilario di Fusina nel primo entroterra Veneziano.

___Nel febbraio 1045 a Rialto davanti al Prete-Notaio Johannes: Orso Patriarca di Grado coadiuvato da altri due Preti Veneziani, da un Diacono e dal Primicerio di San Marco, concesse a Pietro di Vitale Caroso Monaco del Monastero di San Giorgio in Pineto di Jesolo rifugiato a Venezia, di ricostruirlo dopo la distruzione perpetrata dagli Ungari. A tal scopo gli vennero concessi in usufrutto alcuni fondi ad Eraclea, due acquimoli sul Piave, alcuni orti, prati da pascolo, vigneti e saline insieme a vari arredi sacri: calici e croci d’argento, turiboli, vasi liturgici d’argento, Sacre Reliquie, Libri Corali e diverso mobilio già messi in salvo a suo tempo dagli Jesolani ... In cambio il Monaco avrebbe dovuto versare ogni anno un censo di 30 denari il giorno di San Giorgio, e rispettare e onorare il diritto del Patriarca di Grado di visitare il rinnovato Monastero ogni triennio ricevendo in quell’occasione: se era estate 50 pani, 10 polli, un orcio di vino e dei mullòni (pesci); se fosse stato, invece, inverno: 2 Anitre e 1 Cinghiale, o in alternativa: 4 Moncosi d’argento o rame oltre ai soliti 50 pani.

___Dell’agosto 1284 si racconta, invece, di come un Guglielmo Vescovo di Jesolo autorizzato dal Patriarca di Grado Francesco Gerardi, investì e concesse per 28 anni i Consiglieri e il Comune di Lio Maggiore della facoltà di pescare nelle “Acque Tragole” versandogli opportuno censo d’affitto.

___Poco prima, invece, nel 1240 circa, un altro Vescovo di Jesolo: Leonardo andò a Venezia a consacrare la nuova chiesa di San Felice di Cannaregio in compagnia di Fra Marino Vescovo di Caorle, poi concesse il tratto d’acqua del Vescovado di “Canale d’Arco” a Jacopo Belli da Lio Piccoloper pescare in cambio di annuali tre libbre di Denari Veneti e un’anatra; a Jacopo di Andrea e a Francesco Doro diede l’uso di parte del Pineto di Jesolo che sopravanzava il suo Vescovado; infine esonerò in perpetuo le Monache di San Giovanni di Jesolo dal pagamento della decimaquinta parte dei frutti che dovevano al suo Vescovado.

 


Equilio in seguito, fra Vescovi saggi o affaristi o scomunicati perché disobbedienti, venne considerata non più “terra di profughi dell’Agro Opitergino e del Friuli, e pastori e guardiani di razze di cavalli”, bensì: “florida, forte e rinomata terra e Diocesi con Noci et Olmi seminata a frumento” ... Giunse a contare ben 42 chiese o “grandi Fabbriche ricche di preziosi marmi e selciate a mosaico alla foggia della Basilica Marciana Veneziana”, ed estendeva la sua giurisdizione sulla foce del Piave e del Livenza arrivando fino a Caposile e Cà Turcata di Eraclia o Eraclea o Città Nova con la quale storicamente si ricordavano almeno 90 anni continuativi di aspre lotte giurisdizionali e territoriali. Jesolo contava anche diversi chiese e Monasteri: il Santa Croce; il Convento degli Agostiniani di San Vito; il Monastero delle Monache di San Giovanni Battista e San Vittore (dal 1211) col vicinoOspedale di Cava Zuccherina siti sulla sponda del Piave, voluti dal Doge Ordelafo Falier fin dal 1105; il Monastero dei Benedettino poi dei Cistercensi di San Daniele di Venezia di San Giorgio in Pineto sul Canale Cavetta in zona Campanilasso; il Monastero di San Leone in Pinetopoco distante verso Cortellazzo; il Monastero del Santissimo Salvatore; quello delle Benedettine di San Mauro o San Moro voluto dalla famiglia Biancanico o Flabanico sul Porto di Jesolo; e le Piovanie o Parrocchie di San Martino, San Tommaso associate alla Cattedrale di Santa Maria Assunta o Ad Nives con 10 Canonici, le Dignità di ArciDiacono e ArciPrete, e un capiente Ospedale. Il Duomo di Jesolo fungeva da Matrice col Battistero-Fonte di ogni filiazione spirituale e giurisdizionale ... beneficiaria ovviamente.

 


Equilio-Jesolo era insomma una Venezia dilatata oltre la Laguna … sempre Venezia nell’animo e nell’intento.

    


Ancora nel 1640 un po’ di anni dopo la Pestefamosa della Madonna della Salute di Venezia che fece strage dappertutto in Laguna e nella vicina Terraferma, c’era a Cava Zuccherina di Jesolo un Prete proveniente dalla Romagna: Prè Marco Nocentini, che insieme al Padovano Zuanne Milan che abitava nello stesso luogo, e al Piovano di Passarella: Prè Giobatta De Bonis ne combinarono di diversi colori.

D’inverno e di notte, avevano già ammazzato David Comen per antichi rancori con un colpo d’archibugio. Gli avevano sfondato la porta di casa e rubato tutto: ori, argenti e una cassa di denaro, poi s’erano fatti latitanti stando nei dintorni. Il Prete di Cava Zuccherina era insolente: non temeva nessuno, si portava dietro più o meno consenziente anche Caterina donna maritata, e la storia di soprusi andava avanti complice sempre anche l’altro Curato Giobatta, che andava sempre in giro armato con armi proibite.

Dieci anni dopo tutti si stancano della situazione: il Giudice entrò in funzione e li invitò a presentarsi.

Figurarsi se quelli si presentarono ! … Vennero allora “pizzicati”, e imprigionati e interrogati perché sospettati e indiziati di tante … fin troppe cose … Prete Marco di Jesolo le provò tutte per aggirare la Legge: appelli, intromissioni, raccomandazioni, sospensioni di pena … La Serenissima perse la pazienza: Bando perpetuo per lui e per il Milan “per omicidio, sparo d’arma da fuoco proibita, rapina, e sequestro di donna maritata.”

Prete Giobatta di Passarella, invece, non si sa bene come, riuscì a farla franca e a convincere il Giudice d’essere innocente: venne rilasciato dalla prigione “sulla parola … ma che facesse attenzione !”.

Prete Marco di Cava Zuccherina tornò libero sette anni dopo nel maggio 1657 … Aveva pagato di tasca propria una bella cifra per cancellare “il rimanente danno equivalente al Bando”.

 


E balziamo in avanti a inizio 1700 … ancora a Jesolo ovviamente ... Prete Antonio e suo fratello erano riusciti a combinare il matrimonio della loro sorella Marina con un Cappellaio Francesco da Oderzo che si risposò così la seconda volta portandosi dietro una figlia Caterina del primo matrimonio. Dopo un po’ la moglie infelice non ne poteva più d’essere maltrattata di continuo, e d’essere infastidita sempre dalla figliastra ... Volle scappare dal marito ... Perciò i due fratelli si attivarono per assecondarla.

Che fecero ?

Il giorno dell’Assunta 1702 andarono ad Oderzo, si presero “come dote della sorella” tutto il prendibile, rapirono la figliastra del Cappellaio, e se ne andarono a Cava Zuccherinanella Canonica di Prete Antonio che “curava Anime in una Cappellania di Campagna”. Al fratello Giobatta non sembrarono sufficienti quei gesti, e siccome secondo lui la figlia del Cappellaio era la causa di tutto quello scompiglio e trambusto, pensò bene di farsi pseudogiustizia da se violentandola e lasciandola incinta.

Il Cappellaio di Oderzo ovviamente non rimase a guardare: andò con i Cappelletti a Cavallo (soldati)del Podestà di Treviso fino a Jesolo, chiese un attimo in giro, e il “gioco” fu fatto: il Prete Antonio di Jesolovenne buttato in prigione per quattro mesi con l’obbligo di restituire il mobilio rubato al Cappellaio se voleva uscire libero di là ... Mentre Giobattasi fece otto mesi di carcere in “prigione serrata” senza luce, e per uscire dovette pagare 100 ducati di dote a mamma Caterina e al nipotino del Cappellaio.

Infine in una notte buia dello stesso secolo, forse per il maltempo, o più semplicemente per equivoco, il Nobile Patrizio Federico Molin Procuratore di Veglia finì con la sua nave naufrago (?) sul Litorale del Lido di Cava Zuccherina… Lo vide per primo l’Oste del Borgo che, Nobile o non Nobile:“lo prese a mali termini e con indiscrettezze gravi”… Poi fu il turno del Piovano di Jesolo, che appena venne a sapere “di quella nave invadente”non stette lì ad aspettare: fece suonare le campane a martello facendo balzare giù dal letto tutto il paese, e radunò gente con armi e forconi esclamando: “Questi credono di venirci a rubare la terra !”… e tutti gli andarono dietro inviperiti … Il Nobile Federico Molin scappò via provando a mettere in salvo la pellaccia, ma non perdonò l’umiliazione subita dagli Jesolani.

Piovano e Oste dovettero sborsargli 100 ducati per ripagarlo dell’offesa … e per fortuna che il Nobile aveva ritirato la denuncia alla Serenissima, altrimenti … “Furono comunque le ultime bravate e alzate di cresta da parte dei Nobili Veneziani … Fra poco sarebbero rimasti solo in camicia, e avrebbero perso anche le lacrime per piangere.” commentò un cronista senza volto seduto in faccia al mare di Jesolo “mentre il Tempo continuava a scorrere, e la Storia ad accadere e ruotare”.


 

Echi di acque vacue, saline, vigne e affari in Laguna

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#unacuriositàvenezianapervolta 235

 Echi di acque vacue, saline, vigne e affari in Laguna

A volte certe Cronache Veneziane antiche sembrano provenire dal niente … Così sembrano quelle di Ammiana e Costanziaco: i due arcipelaghi Veneziani inghiottiti dalle acque lagunari dietro a Torcello … Ma anche altri atti e documenti antichi sembrano aleggiare come fantasmi dentro alla Storia ... Intorno, durante e dopo l’anno 1000 a Venezia e in Laguna ci fu un gran via vai di compravendite di Sale e Saline, nonché una grande lavorio per produrlo ... Nel maggio 1079 firmando sul tavolo di Domenico Clerico Prete-Notaio Realtino: Stefano figlio del defunto Domenico Candiano diede in gestione a Domenico Cerino figlio del defunto Giovanni due saline da lui costruite nel Fondamento di Tresaria in cambio di un “annuo giorno di sale” ...  A dicembre dello stesso anno presso lo stesso Notaro Realtino: Giovanni Bonaldo residente sulla Riva di San Lorenzo a Castello con i cugini Giovanni dal Rio Tornarico(l’attuale Rio del Vin a San Provolo)Pietro, Bono e Domenico da Gemino (San Martino di Castello) e Petronia vedova di Pietro Stornato da Luprio (pressappoco la zona di San Giacomo dell’Orio) donarono a Placido Abate del Monastero di San Giorgio Maggiore due spazi acquei usati come Saline presso il Canale del Vigano (Canale della Giudecca), sui quali il Monastero aveva già istallato da tempo dei Molendini(mulini) ad acqua su sandoni ... Si trattava della zona dell’attuale porticciolo adiacente alla Punta dei Sali e della Dogana di Dorsoduro, e delle acque contigue e circostanti l’isola del Monastero posta sul Bacino di San Marco.

Nel gennaio 1081, infatti, ancora una volta a Rialto, stavolta davanti al Chierico-Notaio Tribunus Calvus Prete a San Simeòn nel Sestiere di Santa Croxe: Pietro Tiepolo Prete-Vicario nella chiesa della Contrada di Santa Maria Formosa di Castello insieme ai suoi fratelli Vitale, Domenico e Creso figli del defunto Orso dalla Contrada di Rio Marin a San Simeon Grande, donarono ancora a Placido Abate di San Giorgio Maggiore ben 7 saline del Fondamento Pietro Mammulo site presso il Lido Marcense detto anche di Sant’Erasmo.

Qualche mese dopo ancora a Rialto, si stipulò un ulteriore documento con cui Domenico Morosini figlio del defunto Stefano, consegnava al solito Placido Abate di San Giorgio Maggiore una vigna murata presso il Canale dello stesso Lido Marcense e Murano perché non gli aveva risarcito un debito di 600 lire prestate ... Chi ha detto che gli Ecclesiastici non prestavano soldi ?

Nell’autunno dello stesso anno presso Tribunus Subdiaconus et Notarius che esercitava nell’Emporio Realtino: il fideiussore Martino Scaruto da Chioggia Minore attestò dell’esistenza di un “vadimonio”tramite il quale Domenico Stania, che si faceva Monaco a San Giorgio Maggiore, si obbligava a consegnare al Monaco Vitale Morario Procuratore del solito Abate Placido: due saline nel Fondamento Da Molino, una salina nel Fondamento De Sablone, e due terre in Chioggia ... Niente male come biglietto da visita e come “prezzo-dote”per diventare Monaco a Venezia !

Venezia già da quell'epoca si faceva il prezioso Sale "in casa"(da molto prima probabilmente) ... Si commerciava in Sale, e col Sale si zavorravano perfino le navi ... Intorno a Sale e Saline non ronzava solo il Governo della neonata Serenissima con i suoi Nobili, Artieri e Mercanti, ma si davano un gran da fare anche gli Ecclesiastici che di certo non mancavano di disponibilità, patrimoni e capitali ... Una parte del prezioso Sale Veneziano era quindi in mano a loro …  Al Monastero Benedettino di San Giorgio Maggiore in particolare, che stava facendo incetta di Saline non solo a Venezia ma anche di fuori in Laguna: a Murano, Pellestrina e Chioggia … A riprova di ciò, anche la dependance Benedettina di San Nicolò del Lido satellite di San Giorgio Maggiore, fece la stessa cosa: nel febbraio 1084 l’Abate Alberto di San Nicolò del Lido comprò dal Popolo dei Chioggiotti per una buona somma di denari veneti: una terra ed acqua “da sale” sita a Chioggia ... Stavolta fu Lecnem Presbiter Sylvium et Notarius a stipulare l’atto di compravendita a Rialto.

A maggio si rogò anche un altro atto davanti al Prete-Notaio Dominicus Clericus con cui Flaviano figlio di Stefano da Luprio non avendo pagato un debito contratto con Pietro Cerbani gli consegnò una vigna sita sul Lido Bianco(Lio Piccolo o Litus Album alle Mesole) che suo padre aveva acquisito dai fratelli Pietro e Giovanni Orseolo della Nobilissima famiglia Dogale.

Negli stessi anni: nel 1086, a Musestre stavolta, Rambaldo Conte dichiarò d’aver lasciato la Selva di Paliaga alla giurisdizione dell’Abate di San Felice di Ammiana… mentre in due riprese: tre e cinque anni dopo, a Treviso davanti al Giudice Lanzo e ad Ammiana davanti a Mainardus Notarius: Vito di Brunone da Silone col consenso della moglie Osanna vendette a Giovanni Abate dei Santi Felice e Fortunato di Ammiana tutti i suoi averi siti in Altino per lire 22 di Denaro Veneto donandogli alcune case e terre site nel suo stesso paese di Silone.

Ancora nel gennaio 1089 a Rialto presso Petrus Subdiaconus et Notarius: Icia vedova di Giovanni Lupanico ed esecutrice testamentaria assieme al figlio Stefano Lupanico dal Confinio di Santa Maria Zobenigo (Santa Maria del Giglio nel Sestiere di San Marco) rinunziarono a favore di Carimanno Abate di San Giorgio Maggiore al quintello sulle saline nel Fondamento Plancido lasciate al Monastero da Marcello Ziani già Pievano di Sant'Agata(San Boldo nel Sestiere di San Polo)

A fine autunno di dieci anni dopo a Torcello, dove fervevano ancora vita e commerci, Johannes Diaconus et Notarius rogò un Breviarium che riassumeva la lite fra il Pievano di San Lorenzo di Ammiana e l’Abate di San Felice e Fortunato circa la proprietà dell’acqua Seneza e “Piscis Capti” (i pesci catturati, e soprattutto i catturabili in futuro) ... Pietro Liadi di Giovanni da Torcello poi,nel febbraio 1093 si portò a Corinto in Grecia davanti al Notaio-Prete Johannes Illaro facendo atto di donazione di una sua terra sul Rio Maggiore di Torcello a Domenico di Fuscari anch’esso abitante della stessa isola allora fortunata ...

Nell’estate precedente nell’ormai avviato Emporio di Rialto fu Fiorenzo Flabianicodal Confinio di San Luca di Venezia, esecutore testamentario del padre, a presentarsi davanti a Dominicus Clericus et Notarius per redigere un pubblico atto di valore civile. Suo padre Domenico non aveva pagato un debito a Gosmiro Da Molin dal Confinio di Sant’Isaia(San Stàe), perciò sua moglie Agnese dovette consegnare come rimborso terre e saline che possedevano a Pellestrina ... E ancora una volta a distanza di decenni, a Torcello nel luglio 1105 stavolta, di fronte a Johannes Diaconus et Notarius: Alberto Capetaneo, Domenico da Perotolo, Bonotranco Lesso, Ceno Restaldo, Giovanno Pestello, Salomone Lugnano, Silvestro Ristaldo, Martino Bugaro, Lazzaro Dandaro e Stefano Mayro tutti dal Lido Bianco, avendo ricevuto da Bono Aurio da Costanziaco Gastaldo di Torcello, il Fondamento Pitulo da Rigado di proprietà del Vescovado di Torcello, rogarono un atto con cui si obbligarono a costruirvi delle saline e a pagare un annuo giorno di sale per salina al detto Bono Aurio… Un “giorno di sale” si dovette darlo anche al Vescovo di Torcello ovviamente ... Non penserete mica che l’Ecclesiastico abbia dato le saline per niente ? … Gli affari erano affari, e pure la Carità aveva il suo specifico peso e prezzo con le sue economiche esigenze … con buona pace del “più Alto dei Cieli”, che poteva ancora una volta rimanersene buono buono ad aspettare ... A tal proposito nell’agosto 1107: Stefano Mauro dal Confinio di San Salvador di Muranocomparve in isola davanti a un Notaio venuto appositamente da Venezia per redigere l’atto con cui formalmente donava alla chiesa di Santa Maria di Murano un’acqua di sua proprietà sita proprio dietro a San Matteo di Murano

Alla fine del 1109 Papa Pasquale II si premurò di scrivere due lettere a Stefano Vescovo di Torcello. Una era una lettera buona “tipo contentino”, mentre l’altra era cattiva “per cazziarlo”… Nella prima da Guastalla confermava al Vescovo Torcellano i suoi diritti e la giurisdizione sui Monasteri dei Santi Felice e Fortunato di Ammiana, su San Giovanni Evangelista di Torcello, e sulle Pievi Ammianensi, Bovensi, Costanziacensi, Burianensi (Buranelle), Mazzorbensi ed Amioranesi (Muranesi)... Con la seconda lettera, invece, redatta in Laterano a Roma, lo riprendeva aspramente per aver agito nuovamente contro Pietro Dondi Piovano di San Lorenzo di Ammiana respingendo e non approvando quanto aveva deciso contro di lui ... Sulla scia della stessa lettera, lo stesso Sommo Pasquale ne scrisse una terza a Giovanni Gradenigo Patriarca di Grado circa la disciplina ecclesiastica che come Papa pretendeva nell’ambito del Patriarcato, e quindi anche dalla chiesa di San Lorenzo di Ammiana tirata in ballo dall’esuberante quanto facinoroso Vescovo di Torcello.


E continuando: nell’aprile 1116 a Torcello: Vitale Dauro residente nella stessa isola donò a Facio Abate di San Felice e Fortunato di Ammiana quattro terre site in Altino fra le quali una a lui pervenuta dal Monastero di San Giorgio Maggiore di Venezia… sempre lui … per la quale il Monastero di Ammiana fu a lungo in lite contro l’Abate Tribuno.

Infine nel luglio 1124, a Rialto davanti al banco di Urso Prete-Notaio, toccò a Pietro Gradenigo dal Confinio di San Salvador donare a Rodolfo Priore di San Cipriano di Murano un suo mulino a due ruote sito nella stessa isola.

Insomma: ieri come oggi le acque salmastre e salse continuavano a scorrere pigre nella Laguna: per sei ore di ogni giorno crescevano, e poi per altre sei di nuovo calavano in un gioco senza fine di riflessi e salite e discese … Giravano allo stesso modo la vita, gli affari e le persone nelle isole, nella Laguna e a Venezia in quel susseguo di Vita e Morte che si trasforma in Storia.

 


Santa Cristina: l’isola dietro a Torcello oggi dopo di ieri.

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#unacuriositàvenezianapervolta 236

     Santa Cristina: l’isola dietro a Torcello                             oggi dopo di ieri.

Nel marzo 2017, ancora lì in quella stessa parte della Laguna Nord dove c’erano un tempo Ammiana e Costanziaco, esiste ancora “salvata dalle acque” a 13 km da Venezia: l’Isola di Santa Cristina ... Un tempo veniva chiamata Isola di San Marco di Mani o Imani, ed è stata come le altre isole quasi una Storia nella Storia: un diafano sogno rubato alla memoria di tutti. Santa Cristina oggi, era, invece, compresa in un’occasionissima turistica da non perdere: 17.800euro a coppia più IVA pagata a parte, per poter approfittare di tre giorni in isola su resort extralusso ex Cason di Valle affiliato all’Hotel Veneziano a 6 stelle affacciato sul Canal Grande ... Un pacchetto super: davvero singolare … extra extra ... solo per pochi.

Nell’isola si avrà a disposizione un villino dotato di ogni confort con ameno boschetto, altana, piscina, laghetto e cappellina privata raggiungibili comodamente sia con l’elicottero o piuttosto con un più romantico motoscafo privato spinto ad attraversare: “viste pittoresche mozzafiato fra specchi d’acqua e piccoli canali, su cui volteggiano le ultime Garzette rimaste già fuggite dalle Vignole, dal Lazzaretto Nuovo e da Sant’Erasmo, e luminose quanto tiepide aree visitate da silenziose vele colorate al terzo, e da indigeni caparossolanti e raccoglitori di vongole immersi nella Laguna incantata” ... Un invitante bocconcino prelibato insomm insomma.

Facciamo un balzo, una sorta di capriola all’indietro nei secoli … Perché no ?

In quello stesso “sito d’acque vacue e perse” erano presenti fin dal 1205 alcune Monache Benedettine col loro orto-giardino, e la vigna-frutteto affacciata sulle acque piscatorie circostanti, e soprattutto col loro spoglio ed essenziale Monastero: perso là in fondo al Mondo e alla Laguna ... Mica tanto poi: erano a poche vogate di remi dal trafficatissimo Porto di Treporti: una Porta aperta sul Mondo … e stavano sugli sbocchi delle Vie d’acqua che sfociavano in Laguna scendendo dai Monti e dall’Entroterra Padano … Non erano quindi proprio così tagliate fuori da tutto e tutti …

Erano tenute a riconoscere la loro filiazione e dipendenza dalla vicina Pieve di San Lorenzo di Ammiana... A tal proposito, perché le parole non fossero solo tali, ma anche prassi concreta realizzata, le Monache dovevano ogni anno corrispondere allo stesso Piovano di San Lorenzo una Decima di una libra d’olio e una di cera, e pagargli la tassa di “Martiatica”(cioè di filiazione) il giorno di San Lorenzo come faceva già la vicina Sant’Angelo … Altro dettaglio da non dimenticare: serviva che le Monache pagassero anche: “decem bancis” annui al Vescovo di Torcello che controllava eventuali nuovi ingressi e vocazioni di Monache Nobili che potevano aggregarsi al Convento portando con se pingui doti … Sempre allo stesso spettavano anche 3 libre di vino puro nella festa di San Marco che l’avrebbero di certo raddolcito e reso propizio.

Fu dal 1227 o dal 1252, che la quindicina di Monache residenti iniziò ad ospitare le preziosissime Reliquie della Santa Cristina di Tiro predate dai Veneziani in Oriente dalla chiesa di San Giovanni di Padromio a Costantinopoli ... Strane come sempre certe Devozioni Cristiane tanto attaccate alla venerazione di Preziosissime Sacrosante Reliquie, che in realtà sono nate e sono state frutto spesso di saccheggio, violenze e ruberie … ma questo di solito non è opportuno dirlo e ricordarlo … Fu piuttosto un tentativo di rilancio dell’isola ormai erosa e mangiata dalle acque lagunari ? … Forse … Chissà ?

Sta di fatto che circa un secolo dopo: nel 1325, buona parte delle Nobili MonacheVenezianefecero lo stesso fagotto provando a traslocare, Sante Reliquie comprese, presso le Monache Agostiniane di Santa Maria degli Angeli della ben più vispa e salubre Murano.

Apriti cielo ! Tutti furono addosso alle Monache, tanto che lo stesso Senato Veneto, preso atto di quella maldestra novità, impose alle Monache di ritornarsene indietro entro otto giorni tornando ad abitare la loro solita isoletta in fondo alla Laguna … Lì quindi rimasero le Monache a vivere, o sopravvivere, sulle stesse acque impaludate sempre più disertate, circondate da “mala aria … in maxima tribulatione angustia et paupertate”, con le Pantegane che correvano per l’isola, ma anche con i Cavalli che pascolavano a distanza con le zampe immerse nelle fangose barene … Si era quasi “alla frutta”di quella stagione storica “tutta lagunare” così bagnata e dispersa sulle acque: sull’orizzonte di tutto prevaleva e si affermava sempre di più Venezia in tutta la sua magnificenza ... Finchè un secolo dopo circa, l’altrettanto Nobile Filippa Condulmer: l’ultima Monaca rimasta nell’isola a Badessa di se stessa, decise d’arrendersi andando a vivere degradata a semplice Monaca nel Monastero di Sant’Antonio Abatenella non lontana Torcello ... Si portò dietro sia 125 ducati annui di rendita del Monastero lasciato, che le Sante Reliquie di Santa Cristina(passate poi con un travagliato viaggio a San Francesco della Vigna a Venezia dove “abitano”tuttora).

Iniziò così il saccheggio e la depauperazione dell’Isola lasciata a se stessa … Inutilmente la Badessa di Sant’Antonio di Torcello citò in giudizio ad arbitrato presso il Podestà dell’isola il Veneziano Gaspare Saranton affittuario che gestiva le isole di San Marco e Santi Apostoli di Ammiana. Ne aveva fatto fortuna trasformandole in cava di pietra e mattoni che inviava e vendeva a Venezia demolendo via via dormitori, campanili, muri e rive ... con la connivenza neanche tanto tacita e nascosta di Preti e Vescovi che vendevano e compravano a piacimento.

Come finì ? … Il Saranton risarcì la Badessa che si accontentò di sedici ducati, così che lui potè tranquillamente continuare col suo saccheggio.

Dopo metà 1600, il Padre Coronnelli dei Frari di Venezia annotò nel suo famoso Isolario parte dell’Atlante Veneto che in quel luogo soppresso era ancora visibile: cioè una piccola chiesa “di ragione della NobilDonna Bergonci-Anselmi dove si potevano vedere ancora bene molte vestigia di fabbricati antichi sotterranei …”

Poi l’Isola-Valle da Pesca passò di mano in mano affidata a laboriosi contadini e pescatori lagunari quasi senza nome interpretando una storia satura d’oblio che si trascinò per secoli ... Ancora a fine dicembre 1838 secondo un’indagine censuaria, il Fondo dell’isola risultava diviso in“6 appezzamenti di terreno videgati e numerati”… Nella relazione di un sopraluogo di una decina d’anni dopo, si riferì della presenza di lavoratori residenti che sussistevano accanto ai resti delle antiche fabbriche ... Infine nel 1924, quando il Comune di Buranocontava 9.574 abitanti suddivisi fra 5.252 che abitavano il capoluogo, 1.841 a Treporti, 1592 al Cavallino, 288 a Lio Piccolo, 142 a Mesole, 150 a Torcello, 29 appunto nell’Isola di Santa Cristina, 16 al Montiron, 9 alla Cura, 211 a Mazzorbo, 22 a San Francesco del Deserto come nelle Valli Dogado-Grassabò e Cà de Riva … l’isola incominciò il suo progressivo definitivo abbandono ... Nel 1930: non c’era più nessuno.

 

Vòvi, pàn e miseria a Rialto … l’altro ieri.

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#unacuriositàvenezianapervolta 237

Vòvi, pàn e miseria a Rialto … l’altro ieri.

 

“Ne a Vita bisogna fàr sempre tutto queo che Dio e la Natura comanda.” mi spiegava ogni tanto la Mamma: “Ghe xè poco da sceglier … E quando se gha fiòi piccoli e genitori vèci ghe xe sempre tanto da fàr … Dove ti vol andàr a torsiàndo in giro pal Mondo ? … No se gha tempo per altre ròbe … e neanche par nissùn ... Ghe xè solo da star qua e lavoràr …”

Saggezza spicciola, semplice, immediata e popolare basata sull’esperienza del vivere tutti i giorni in modo qualsiasi e con poco o niente.

E quella Rialto che emerge da certe vecchie foto che ritraggono certi Veneziani “semplici” del Mercato e della Contrada … Certe donne “lavoranti”, ad esempio nel Sottoportego dei Oresi in Ramo Parangon nel 1889 ... o quelli accanto alla rivendita del pane di tutti i giorni.  Difficile immedesimarci in quello che poteva essere il modo di vivere di allora in quell'angolo di Venezia ... Era tutt’altra Storia, tutt’altra idea della Vita e del Vivere e lavorare ... e a volte del sopravvivere.

Come avrà vissuto la donna col cesto delle uova ? … Che vita avrà fatto ? …Chi era ? … Che cosa pensava, chi l’aspettava a casa, a chi voleva bene … in che cosa credeva ?  … Chissà ?

Di sicuro faceva parte di quell’esercito “un po’ scuro” di persone qualunque che vivevano e soprattutto lavoravano nel grande Emporio Realtino dove la Vita pulsava intensamente per secoli dall’alba fino al campanòn della sera che invitava “a seràr bottega” e spegner tutto “da notte” ... Sarebbe lunghissima la lista di quelli e quelle che s’aggiravano vispissimi nei meandri di Rialto: Mercanti da Vin, Carbonèri, Peatèri, Mastellèri-Barilèri-Gadelèri, Mandolèri, Pestrineri-Lattivendoli, Salumieri, Travasadòri, Farinanti, Becchèri, Gallineri-Buttiranti, Fruttaròli ed Erbaròli, Semolini-Cruscadòri, Telaròli-Cimadòri, Biavaròli, Ternieri-Casaròli, Garbeladòri, Stagnèri, Pistori, Stramassèri, Gondolieri e Barcaròli, Bastàzi o Facchini o Manovàli, Canevèri-Bastionanti-Osti e Locandieri solo per citarne alcuni … Un mare immenso di persone insomma senza nome, con impressi e dipinti sul volto i segni della fatica quotidiana, ma anche quelli della voglia di vivere … e di vivere a Venezia.

Sapete secoli prima, nell’autunno 1460, quanto costavano le uova a Rialto ?

Per 5 uova si dovevano pagare: soldi 2 … 20 uova, invece, valevano, conto tondo: 1 lira … Se ne compravi 50 ti facevano un prezzo speciale: 1 soldo per ogni 5.

Le uova potevano essere fresche o “non rezentibus” cioè stantie, ovverossia secche: “ovis siccis”… Costavano meno ovviamente se li volevi comprare lo stesso: solo soldi 6 per un buon numero … ma da contrattare.

Questo è solo un lampo da Rialto … Chissà quanti ce ne sono stati … Un’infinità di sicuro fra quell’umanità povera a caccia del Pane Quotidiano … Gira e volta non sono cambiati molto i tempi: forse non andiamo più in giro scalzi e laceri a quella maniera, forse c’è qualche deodorante e bagnoschiuma che gira in più, e qualche donna cura un po’ più capelli, mani e piedi … ma la fame rimane sempre la stessa: quella di Vivere.

Nel settembre 1751 a Venezia ci fu una timidissima rivendicazione dei Lavoranti dei Panettieri-Forneri… Con la Serenissima non si andava tanto per il sottile: se alzavi troppo la testa o la cresta … semplicemente te la tagliavano … però qualcosa si poteva ottenere … qualcosina: non di più ... Quella protesta, fra l’altro molto contenuta, ebbe quindi un suo effetto: il Magistrato alle Biave e il Senato della Repubblica si pronunciarono … magari con quattro anni di ritardo ... come oggi insomma.

Ne venne fuori un breve accordo di categoria in 5 punti:

___Primo: chi lavorava nei Forni-Pistorie continuava ad avere “la libertà” di servirsi del pane per proprio vitto, bisogno e mantenimento: “non si può toglier di bocca il pane a chi lo fabbrica”.

___Secondo: il vino somministrato ai Lavoranti del Pane non doveva essere “Vino Schiavone”assolutamente escluso, ma vino di buona qualità, sano in ogni stagione, temperato con l’acqua ma bevanda sempre conveniente alle circostanze.

___Terzo: al Lavorante spettava l’olio residuo dell’Illuminazione del Forno o Panificio.

___Quarto: a ciascun Lavorante spettava un quarto di libbra di minestra al giorno sul posto di lavoro o l’equivalente in denaro.

___Quinto e ultimo: lo stipendio settimanale dei Lavoranti Forneri e Pistori non doveva essere inferiore a lire sette (s’erano raggiunte le lire cinque condite con “strapàssi”e minacce di licenziamento)… e si doveva garantire alle Compagnie dei Lavoranti Forneri i soliti “pranzi sociali” a Natale e Pasqua.

In caso di inadempienze i Lavoranti potevano ricorrere al Gastaldo dell’Arte per la loro difesa, e se questi “non emendasse l’occorso”, l’Arte poteva far diretto ricorso e opportuna istanza all’Eminentissimo Magistrato alle Biave... Insomma: niente era niente … qualcosa era qualcosa … Si poteva continuare a lavorare il Pane a Venezia preservando una certa dignità ... Infatti nel 1782 i Lavoranti tornarono alla carica e a rivendicare … ma ormai c’erano fosche nubi sull’orizzonte di Venezia: i tempi stavano cambiando … Eccome che cambiarono !

 

Secondo la Legge emanata dal Governo Vicereale di Milano, dal maggio 1806 fino al 1814 Venezia divenne Capoluogo del Dipartimento Adriatico del Regno d'Italia comprendente anche le “dipendenze” di Istria e Dalmazia. Il Dipartimento a sua volta era suddiviso “alla Francese” in Distretti, a loro volta frazionati in quattro Cantoni: Venezia, Chioggia, Adria e San Donàframmentati in tutta la serie dei Comuni Negli anni seguenti il Distretto venne ulteriormente ingrandito aggregandovi i territori del Basso Po, del Brenta, e di Passariano col Tagliamento.

Il Comune Veneziano con una popolazione di 160.400 persone comprendeva: Venezia col suo Centro Storico e l’Isola di San secondo, la Giudecca, San Giorgio Maggiore, e tutta la serie delle Isole: Lazzaretto Nuovo e Vecchio, Sant’Andrea con la Certosa, La Grazia, Sant’Elena, San Servolo, San Clemente, San Lazzaro “di fede Armena”, Santo Spirito, San Giorgio in Alga, Sant’Angelo della Polvere, Murano con le Vignole, Sant’Erasmo, San Mattia, San Michiel e San Cristoforo, Malamocco col Lido, Alberoni e l’Isola di Poveglia, e Gambarare con i suoi “sei Quarti” annessi.

Com’era Venezia ? … Difficile da dirsi: i pochi dettagli sparsi non ne rendono il quadro nella sua completezza. Più di 25.000 persone avevano bisogno d’assistenza per vivere; più di 2.000 erano “Poveri Vergognosi” quasi del tutto anonimi e in incognito; nelle case c’erano più di 1.400 infermi: numero equivalente a quello degli Invalidi Cittadini; per le strade, i portici, le calli e i campi dei Sestieri s’aggiravano più di 20.000 mendicanti bocca in più o bocca in meno da sfamare ... La Pubblica Beneficenza prestava aiuto più che altro a promesse e parole a circa 40.000 persone ... Solo qualche decennio dopo si provò a ricostituire le soppresse Fraterne Parrocchiali per i Poveri.

A domicilio, nelle Locande e per le strade, ma spesso fra casa e prigione era attivo e prospero un mercato di 150 Prostituterigorosamente riconosciute e “iscritte a ruolo” dal Comune come Pubbliche Meretrici ... Buona parte di loro arrotondava i magri guadagni prestandosi anche come Cantanti, Ballerine e Comparse stagionali e occasionali nei vari Teatri Apollo (Goldoni) e Fenicenei pressi dei quali sorgevano diversi postriboli ... La crisi economica com’era ovvio furoreggiava: il numero dei Commercianti era paurosamente sceso da più di 10.000 a poco più di 3.000; gli Artieri o Artigiani privati delle loro Schole d’Arte, Devozione e Mestiere diminuirono da 6.500 a 2.500; le Maestranze dell’Arsenalecontavano 400 unità impiegatizie e le 300 dei Militari-Ufficiali al posto dei 3.300 che si occupavano in un tempo di poco precedente; i Gondolieri da Traghetto erano più di 600, mentre i Barcaroli da Casadaerano ancora circa 300, ma andavano paurosamente scomparendo insieme ai Nobili che li patrocinavano e finanziavano ... Circa 1.000 Preti s’aggiravano ancora per la Diocesi Patriarcale con non meno di 100 ex Frati e Monaci che bussavano ovunque in cerca di sistemazione, nuovo Abito e ospitalità … In pochi decenni i Preti Veneziani divennero 400 in tutto.

Nel 1866: il Podestà Pierluigi Bembo tristamente scrisse affetto da insito sconforto: “… a Venezia migliaia di persone si voltano fra luridi cenci e fradici strami, in orribili bicocche dove raramente penetra un raggio di sole, dove l’aria infestata da vapori mefitici mal si fa strada fra l’angustia delle callicelle e le sporgenze dei tetti. I due Sestieri di Castello e Dorsoduro offrono spettacolo di dolorosa miseria…”

Venezia ieri come oggi faticava a “respirare”… Il Mondo di allora s’era capovolto … Ci ricorda qualcosa forse ?

 

Lo scomparso Monastero dei Santi Leone e Basso di Malamocco

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#unacuriositàvenezianapervolta 238

       Lo scomparso Monastero dei Santi Leone                            e Basso di Malamocco

Come nelle fiabe … C’era una volta al Lido di Veneziain fondo almeno cento anni prima dell’anno 1000, precisamente a due chilometri dal “Porto di Malamocco” sul dorso estremo di quella lingua lagunare Veneziana: un Monastero Femminile dedicato a San Basso… Non doveva essere granchè come Cenobio viste le poche tracce lasciate alle Cronache: una Storia senza squilli.

Ebbe un sussulto però di fama e gloria circa cento anni dopo, perché, come raccontò Pietro de' Natali Vescovo di Equilio (Jesolo), i Veneziani di ritorno dall’Orienteandarono a depositare proprio lì le preziosissime Sante Reliquie di San Leone primo Vescovo di Samos: predate e portate a Venezia “di fresco” dal loro luogo d’origine nel Mare Egeo Greco.

I buoni Veneziani tendenzialmente sempre Devoti e di buon’Animo accorsero subito in massa entusiasti e curiosi a venerare il Grande Martire nonché Taumaturgo… Ma poi, piano piano: “passata la festa … gabbato lo Santo”, il Monastero reinventato col titolo dei Santi Leone e Basso andò incontro a un irrefrenabile quanto buio declino … Venezia straripava d’insigni Reliquie: chi poteva aver mai voglia di andare fin lì in fondo al Lido per venerare quelle di quell’oscuro Santo ? … Che poi ? … Non è che proprio ne facesse così tanti di miracoli … Insomma: Santo e Monastero andarono in dimenticatoio … e le Monache languirono economicamente.

Si giunse così mestamente al febbraio 1109, quando nel solito iperattivo e quasi febbricitante Rialto: Pietro Abate di Sant’Ilario & Benedetto di Fusina che aveva dependance nell’Abbazia di San Gregorio a Dorsoduro, col consenso del Doge Ordelafo Falier concesse a Vita Marengo ultima Badessa dei Santi Leone e Basso di Malamocco di traslocare con le poche Monache rimaste, “armi, bagagli e Reliquie” comprese, in una sua pertinenza: la più salubre Isola di San Servolo o Servilio in Laguna Sud.

Solito discorso un po’ da “mantra Asiatico”: “Niente è niente … Qualcosa è qualcosa”… per cui le Monache scapparono “ab multa perturbationes et maris pericula” nonché a una vita di stenti e fame … Il vecchio Monastero Lidense di Metamaucose lo stavano mangiando le acque marine: le Monache avevano l’acqua alta sotto al letto ! ... Nel 1106 c’era stato anche un furiosissimo maremoto e da quel tempo le acque non si erano ritirate più del tutto ... Povero San Leonecomunque: passato “dalle stesse alle stalle”, e semidimenticato in mezzo alla Laguna … Solo secoli dopo Papa Pio XII pensò di riabilitarlo e rispolverarlo un poco conferendo a memoria il titolo di Vescovo di Samo al Vescovo Ausiliare di Venezia: una specie di contentino per quel Santo dimenticato, e anche per le tasche del ViceSostituto del Patriarca ... Meglio che niente.

Vita grama comunque da quel momento la fecero lo stesso le Monache sopravvissute e trasferite nell’Isola di San Servolo. Starsene là: fuori dal mondo, “infra paludes” in mezzo alla Laguna, e in ristretti spazi … Beh: non era il massimo, anche se la splendida Venezia stava lì a pochi passi … cioè poche remate di barca … Ma dirlo è una cosa: farlo è un’altra … Le Monache andarono di male in peggio: prive di elemosine, lasciti e incentivi, le Cronache Veneziane raccontarono che fecero realmente la fame finendo in estrema miseria … Non era stato un caso se ben 200 anni prima i Benedettini se n’erano già andati lasciando in quell’isola remota e squattrinata solo un vecchio Monaco malandato a far da Priore a se stesso.

Inutilmente la nuova Badessa Auriasi recò a Rialto dal Notaio Petrus Flabianicus che era anche Prete a San Luca per vendere un lascito che aveva fatto il defunto Giovanni Grecoal Monastero. Ne ricavò solo 32 lire di buoni Denari Veneziani dando a Pietro Enzo del Confinio di San Moisè sia un deposito di sale che le 10 saline del Fondamento di Post Castello che le Monache possedevano a Chioggia Minore.

Fu poca cosa: con quei soldi le Monache riuscirono a tirare avanti ancora un po’ … Mentre fu più furbo di loro il compratore Pietro Enzo, che si liberò subito delle saline vendendole a prezzo maggiorato a Tribuno Abate di San Giorgio Maggiore… Come dicevamo: i Monaci di San Giorgio se ne intendevano parecchio di Sale e Saline: sapevano come farle funzionare e soprattutto rendere.

Alla fine il nuovo Doge Sebastiano Ziani s’impietosì per la condizione di quelle grame Monache perse in Laguna, perciò decise di aiutarle dando loro i proventi degli affitti di alcune sue case che possedeva nei pressi dell’ormai rinomato Emporio di Rialto ... Le Monache si ripresero allora, e rimasero in quella sede lagunare per diversi secoli: fino al 1615 precisamente, quando di nuovo a causa del “morso continuo delle acque lagunari” gli edifici del Monastero erano in grande degrado e minacciarono rovina … Povere Monache: sempre disastrate !

Vennero stavolta trasferite di nuovo per volontà del Senato della Serenissima che diede loro il Convento di Santa Maria dell'Umiltà sulle Zattere di Dorsoduro a Venezia… Bellissima pensata ! … Le Monache finirono nel cuore della Venezia che contava … e di problemi economici non ne ebbero più … Anzi: rifiorirono al massimo e vissero una splendida stagione della loro Storia.

Lì recuperò un certo spazio anche il CorpoSanto di quel San Leone da Samos che le Monache s’erano portate dietro in barca … ma non fu per lui mai vera festa … Come avrebbe potuto attirare l’attenzione dei Veneziani abituati com’erano a San Marco, San Giorgio, Sant’Isidoro, e con tutti i loro Grandi Santi e Madonne ? … Rimase quindi per sempre in un angoletto: “coccolato” ogni tanto soltanto dalle sue fedelissime Monache … Chissà dove sarà finito oggi quel SantoCorpo predato in Oriente ?

 

Insoliti Preti Veneziani ... da dimenticare

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#unacuriositàvenezianapervolta 239

Insoliti Preti Veneziani ... da dimenticare

Quando spulcio documenti e Cronache Storiche Veneziane sentendo parlare di Preti, Frati e Mùneghe tiro gli orecchi e drizzo per forza le antenne che non ho … Sono un ex Prete e non ce l’ho più di tanto su con la Categoria a cui appartenevo … come, invece, dovrei … Ogni volta però che rinvengo notizie che riguardano “loro”, diciamo che mi lascio calamitare e incuriosire un po’ di più.

Non lo nego, mi hanno sempre affascinato vicende e notizie come quella dei Frati che durante il tempo della Peste della Madonna della Salute del 1620 giravano tirando un carretto per le Campagne del Mestrino raggiungendo i luoghi più isolati e dimenticati. Lo facevano “per Pietà”, cioè per portare soccorso materiale e spirituale a chi stava nell’assoluto bisogno … magari in cambio di un buon salame, di un bichieròzzo di vino, o di qualche striminzita elemosina … oppure per un semplice pugno d’Ave Maria ... Un giorno di primavera però quello sgangherato “Carretto della Carità” fu rinvenuto vuoto e rovesciato dentro a un fosso, mentre i Frati stavano tutti privi di vita buttati sul bordo della strada … Era stata la Peste ad accalappiare la loro vita ? … O era stato piuttosto qualche bandito da strada che li aveva alleggeriti anche di quella ?

Nessuno lo seppe mai.

A Venezia, invece, nel popolarissimo Sestiere di Castello, in quella che oggi è la Via Garibaldi, c’era e c’è ancora l’amena chiesa dell’ex Convento dei Minimi di Venezia: San Francesco di Paola… I Veneziani chiamavano bonariamente quei semplici e pratici Frati di scarsa Dottrina: “i Paolòtti”… Erano benvoluti in città, ed erano simpatici a confronto dei vicini fin troppo austeri e bellicosi Padri Domenicani Inquisitori che bruciavano Libri Proibiti sul Ponte, e avrebbero voluto mettere al rogo anche quelli che li scrivevano, stampavano, vendevano, compravano e leggevano.

Beh: in quell’epoca post Pestilenza, non tutti i Frati, Monaci, Preti e Suore se la passavano benissimo dal punto di vista economico … Si: i Conventi e i Monasteri in se erano ricchi e potenti, ma i singoli lo erano molto meno, soprattutto in certe frange di Frati Minori Questuanti legati all’obbligo della Povertà ... A volte la privazione si trasformava in miseria, ed alcuni insomma: languivano …Vivevano quindi in una stagione storica in cui molti della Religione Ecclesiastica davano la caccia senza tante remore a Benefici, Commende, Prebende, Mansionarie di Messe, Congrue, Cappellanie e Incarichi retribuiti di ogni sorta ... Alcuni di quei “bassi Prè o Frattaciòni” per arrotondare, visto che a Venezia “il mercato” era saturo di arraffoni più che di offerta, si spingevano oltre la Laguna e fino a qualche angolo remoto della Terraferma per racimolare qualche spicciolo di Elemosina, o per celebrare qualche Messa in qualche modo retribuita in qualche sperduta chiesetta, Convento o Oratorio, o Villa Padronale di Campagna.

Tipico fu il caso di Frate Antonioproprio dei Paolòtti di Castello, che partiva da Venezia e si recava fino a Motta di Livenza nel Palazzo del Podestà per celebrare una particolare “Messòtta” che gli permetteva di guadagnarsi di volta in volta la pagnotta. In realtà si trattava di una Mansioneria da pochi soldi: un beneficio di poco valore, ma meglio che niente … Tuttavia mentre celebrava il solito Rito si accorse che aveva per le mani un bel calice e una patèna (il piattino da calice) d’oro massiccio di sicuro valore … Che fece “il Frate Paolòtto” secondo voi dopo un po’ di Messe celebrate raggiungendo quel luogo così fuori mano ? … L’avete già capito: in un afoso giorno estivo provò a rubarselo sotto l’occhio sveglio delPodestà di Motta che lo fece subito rincorrere con un mandato del Tribunale che gli impediva di lasciare il territorio di Motta. “Furto Sacrilego” diceva il mandato: gli sarebbe costato una condanna di almeno dieci anni di voga incatenato ai remi di una Galèa Veneziana… o in alternativa, se dichiarato inadatto alla voga, e lui lo era di sicuro: taglio della mano e vent’anni di prigione … Per uno della sua sorta sarebbe significato in ogni caso: morte certa ... Il Frate allora scomparve sia da Motta che da Venezia, e gli venne appioppato un Bando da tutto il Territorio di Treviso, Ceneda e Dogado Veneziano ... Se solo fosse ricomparso: addio Frate !

Ve ne dico un'altra ?

Più o meno nella stessa epoca, ma anche prima e dopo, non tutti i Preti, Frati e similari erano dediti e coerenti del tutto col loro ruolo e la Mission che si proponevano o di cui erano investiti … Anzi … E non lo dico solo perché pregavano poco, erano poco poveri, e scarsamente addottrinati e poco obbedienti … Lo dico perché a volte si degradavano del tutto abbassandosi a compiere gesti che erano il giusto contrario dei Valori, Principi e Dottrine che rappresentavano e andavano predicando in giro gridando e sbracciandosi dai Pulpiti e dagli Altari.

C’era in giro per Venezia, ad esempio, una banda di ladri che agiva in Laguna derubando San Giulian de la Palada verso Mestre, ma anche saccheggiando nottetempo Chiese, Canoniche, Conventi indifesi, e Ville e Case del Mestrino. Il loro capo era Frate Liberal da Venezia che operava insieme a Moro Miozzo, Stèco de Marocho e l’Homòn, che di mestiere facevano: uno la spia per la Serenissima, e un altro il Barcarolo che portava la refurtiva a Venezia utilizzando la sua barca ... Dopo un po’ vennero tutti acciuffati … e il Frate rilasciato “in prova” in quanto Religioso.

Ancora a Venezia viveva un altro Pre’ Domenicoproveniente da Trau in Dalmazia. Sembrava un uomo a posto … Infatti trovò da impegnarsi come Cappellano di un Monastero di Monache del Centro Mestre: Santa Maria delle Grazie… Solo che non frequentava solo il Monastero e le Monache, ma anche le Osterie di Mestredove andava a bere e giocare a dadi e carte ... Una sera d’autunno entrò ubriaco in un’Osteria brandendo minaccioso spada e pistola … e “fece scandalo”, cioè un putiferio … pur senza provocare danni ingenti. Alla fine gli saltarono addosso e lo disarmarono menandolo quanto bastava … e il Magistratofu pietoso con lui: “dopo la sbornia lo rimandò dalle Mùneghe con l’obbligo di rigàr dritto ... altrimenti: erano là pronti a tènderlo e sistemarlo”.

In Contrada di San Salvador sulle Mercerie di Rialto verso San Marco, c’era ancora un certo pomposo Canonico Regolare Lateranense che aveva sempre particolare “fame di soldi” pur essendo già benestante, anzi: ricco. Si trattava di Fra Giacomo Gregijsche fra l’altro si curava anche della Plebania di Selva del Montello che raggiungeva saltuariamente da Venezia. Da lì un bel giorno sparirono un migliaio di ducati, argenteria, preziosi e suppellettili … Fatalità i ladri: il nipote di un Canonico di San Marco col suo Servitore Tomè e altri due loschi complici, erano stati tutti ospitati il mese prima nella Canonica dallo stesso Frate Giacomo… Sempre per pura casualità: la notte del furto lui non c’era … ma c’era solo la sua Serva sospettosa che non aprì al ladri permettendo loro solo di sistemarsi nel fienile per la notte in attesa che arrivasse Fra Giacomo. Non altrettanto sveglia e furba fu, invece, la Massàra di casa: Vittoria, che li fece entrare dando loro generosa ospitalità in attesa del Frate.

A mezzanotte i malviventi chiamarono prima la Serva con la scusa di farle accendere il fuoco in cucina, e dopo un segnale convenuto fecero entrare anche altri due malviventi che si presentarono armati. Sentito il frastuono di sotto, scese allora anche la Massara che venne costretta a passare in rassegna tutte le stanze della Canonica per racimolare oro, soldi e argento ... compresi i suoi risparmi messi da parte da una vita intera. Non contenti del bottino, e visto che la donna non era disposta a collaborare quanto avrebbero voluto, la appesero a una trave del soffitto, ma rottasi la corda la colpirono sul pavimento col calcio degli schioppi e la finirono a coltellate ... Poi per finire bene il lavoretto: presero il cadavere e lo nascosero in un vicino casone sotto a una catasta della legna ... e scomparvero per sempre rimanendo impuniti …

E il Frate Canonico Veneziano ? … Insufficienza di prove: se la cavò ... Maledetto !

Ho terminato … Anzi: no … Vi dico anche dell’Isola di San Giorgio Maggiore… Si: della stupenda Isola dei Cipressial di là del Bacino di San Marco in faccia alla famosa Piazza. Lì da secoli c’è sempre stato il Monastero, e c’è tuttora in parte in mano ai pochi Monaci Benedettini rimasti, e soprattutto in mano alla Fondazione Ciniche ne è diventata padrona. Il Monastero era forse, e anche senza forse, il più insigne, ricco, influente e potente dell’intera Laguna Veneziana. Si trattava di un’entità Religiosa ammanigliatissima col Doge e la Serenissima, ma a volte anche contrapposta fieramente con loro ... Lo ricordate vero ? … Giusto nell’anno 1800 tondo tondo, proprio a San Giorgio Maggiore, venne eletto in marzo Papa Pio VII, cioè il timido Monaco Benedettino da Cesena: Barnaba Nicolò Maria Luigi Chiaramonti… Il Conclave Veneziano fu un grandissimo evento storico: unico !

Insomma in quell’Isola Monastica visse fra i tanti Novizi anche un certo Girolamo, che si stava facendo Monaco non tanto per un potente impulso interiore, ma piuttosto con l’obiettivo di “far soldi”. Il posto in cui si trovava era quello giusto per i suoi fini: bastava saper cogliere l’occasione giusta, e lui la individuò e personificò nella figura del PadreMonaco Teodoro Custode della Corte delle Cadène... in altre parole: uno dei Monaci che gestivano le economie del pingue Monastero ... Il Novizio era convinto che quel Monaco tenesse nascosto da qualche parte un gruzzolo di almeno 10.000 ducati.

Organizzò quindi nei minimi dettagli l’assalto al vecchio Monaco: barbe finte, armi, volto coperto e complici … tre per la precisione, e si passò all’azione ... Prima sorpresa: trovarono le porte del Monastero chiuse a chiave, perciò furono costretti a scalare qualche muretto per poter penetrare in un cortile interno del Monastero ... E già lì: gli animi si surriscaldarono … Dal cortiletto il Novizio Girolamo chiamò ad affacciarsi a una finestra il Cuoco del Monastero chiedendogli di aprirgli la porta. Quello allora scese ignaro, e aperta la porta si trovò davanti i ladri con le armi spianate che gli intimarono di andare a chiamare il Monaco Teodoro… Vista l’ora notturna, il vecchio non si scompose e non volle uscire dal tepore del letto, perciò mandò da basso il suo domestico per vedere che cosa stava succedendo.

Giunto di sotto il Converso assonnato, venne a sua volta strapazzato dai ladri che lo costrinsero ad accompagnarli di sopra nei Dormitori dei Monaci della “Mànega Lònga” ... Entrati allora nella cella giusta, i ladri presero a frugare dappertutto nei cassoni della stanza cercando il tesoro ma senza rinvenire niente d’importante. Trovarono solo 40 ducati, qualche posata d’argento e la biancheria del vecchio Monaco.

E il tesoro ? … Doveva esserci per forza.

Abbrancarono allora il vecchio Monaco e gli attorcigliarono una cintura alla gola per farlo parlare ... Quasi lo soffocarono … ma il Monaco non parlò … Che avrebbe potuto dire ? … Forse ciò che non sapeva o non esisteva ?

Desistettero allora, ma prima di andarsene minacciarono il Monaco delle cose peggiori se non avesse preparato per loro entro il mese seguente almeno 100 doppie ... Poi quasi per sfidarlo si servirono del suo vino, e scapparono credendosi al sicuro.

La Serenissima ci mise il tempo di un lampo a scoprire l’accaduto, e Novizio e complici vennero Banditi da Venezia e da tutto il suo Dominio … Sarebbero stati perdonati solo se avessero restituito al Monaco il maltolto ... ma i ladri erano ormai scomparsi del tutto: più visti né sentiti.

Oltre al resto, successe anche questo a Venezia.

 

San Pantalon … un fatto curioso … uno.

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San Pantalon … un fatto curioso … uno.

Che dire della grezza facciata di San Pantalon che al vederla sembra che l’abbiano rubata ?

Forse serve ricordare che inizialmente la chiesa era un’Abbazia a quattro navate con Portico e Cimitero, che venne poi rifatta voltandone l’orientamento dal Rio Mosca verso il Rio di Cà Foscari… Vi dico poi, cosa che di certo saprete, che al suo interno c’è sul soffitto il telero di Gian Antonio Fumiani, che si dice sia il più grande del mondo … In effetti non è affatto piccolo: sono 443 metri quadrati d’illusioni prospettiche davvero sorprendenti. Leggenda racconta che Fiumani morì cadendo da un'impalcatura mentre terminava quella sua mirabile opera dopo ben ventiquattro anni di lavoro.

Che aggiungere ancora ? … Che all’interno dello stesso chiesone c’è anche l’originalissima Cappella della Santa Casa simile alla Santa Casa di Loreto… Più che un Sacro StanzoneDevozionale intendeva essere una specie d’Itinerario Spirituale decorato da un insolito Pietro Longhi famoso per i tanti quadretti sulla vita quotidiana Veneziana.

Aggiungiamo allora che anche in Contrada di San Pantalon c’erano negli ultimissimi anni del 1300 alcune Chiovere di Tintori di Panni. In quell’epoca era Piovano della Contrada Prè Pellegrino Viviani… Mentre nel 1471 quando la rivendita di pane della Contrada era gestita da Zusto Spiera, venne eletto Piovano Prè Marco Mazza, che si diede un gran da fare per ingrandire ancora una volta chiesa e presbiterio, rinnovando pure l’organo, e predisponendoben otto nuovi altari: “bòni da far fruttàr Messe”.

Concludo dicendovi che sempre a Pantalon in mezzo a mille altre cose accadute vi fu nell’autunno 1624 Marietta Mori che andò ad autodenunciarsi dal Patriarca di Venezia per evitare d’incappare direttamente nel Santo Uffizio dell’Inquisizione che la stava cercando. Spiegò all’illustre Presule Veneziano che pur essendo sposata “aveva usato carnalmente” con Orazio Cino Sacrestano di San Pantalon ... Spiegò ancora che: “il suo non voleva essere un vero e proprio tradimento del marito, ma solo una veniale distrazione”perché il Sacrestano le aveva promesso di regalarle “uno Spirito da portare sempre con se qualora lei avesse donato l’Anima al Diavolo”.

Per far comparire “lo Spirito” Orazio le spiegò che doveva aprire per ben tre volte consecutive un proibitissimo Libro di Pietro d’Abanoche lui possedeva: “ne sarebbero usciti serpenti seguiti da un carro trionfale col Diavolo sopra” ... Con quel Libro Potente il Sacrestano furbo aveva detto alla donna che era riuscito anche a resuscitare Gregorio Manzino Campanaro morto di San Pantalon ... Inoltre a lei curiosissima di sapere aveva detto anche di stare bene attenta perché ogni volta che quel libro era stato aperto aveva procurato sempre un mucchio di guai: una volta era scoppiata una Polveriera a Verona, poi un fulmine gli aveva quasi bruciato la casa, e in una successiva occasione a Padova s’era scatenata una furibonda tempesta ... Marietta spiegò all’Eminentissimo quanto perplesso Patriarcache all’inizio era riuscita a resistere alla profferta di Orazio, ma che poi l’aveva accolto in casa:“e il resto era venuto da se”.

Come andò a finire ? … E chi lo sa ?

 


San Bartolomeo di Rialto ... qualche news

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San Bartolomeo di Rialto ... qualche news

San Bartolomio zo del Ponte de Rialto nel 1525 … Scenario: l’elezione del nuovo Piovano-Vicario di San Bartolomio di Rialto giusto ai piedi del famoso “Ponte del Quartarolo o della Monèda”, detto così un tempo forse per via che doveva esserci in zona una Zecca di monete, o forse per il pedaggio di “un quarto” che si doveva pagare per passare da una sponda all’altra del Canal Grando.

Il Patriarca di Venezia di allora, ligio a una sua prerogativa che s’era avvocata circa un secolo prima di eleggere lui col Capitolo della Parrocchia i Piovani di Venezia e non più il Popolo della Contrada come da antichissima tradizione e consuetudine Veneziana,

contrappose un proprio candidato a quello scelto dai Parrocchiani.

Fu il finimondo ! … Patriarca e Clero da una parte … Gente Veneziana della Contrada dall’altra … e non era la prima volta che capitava una cosa del genere a Venezia … Succedeva spesso nelle Contrade, e qualche volta andava a infilarsi in mezzo la Serenissima per pacificare e derimere quello che era un vero e proprio contenzioso.

 


Nel 1509 nella Contrada ai piedi del Ponte vivevano 712 persone che a fine secolo divennero 903, o forse 1200, con 800 Comunioni … Fra loro abitava anche il Pittore Vincenzo Catena o Caèna, che per testamento lasciò del “suo residuo” alla Schola dei Pittori di Venezia perché si comprasse uno stabile “per le loro riduzioni” smettendo di radunarsi per strada o in osteria ... Il Capitolo dei Preti della Contrada era spendaccione: segno che stava bene economicamente (la chiesa era dotata di ben 5 Mansionerie di Messe del valore di ben 74 ducati) ... I Preti pagavano ogni anno 10 ducati all’organista che suonava in chiesa su un organo doppio, e 1 ½ ducato “a quello che menava i folli per farlo suonare e suonava anche le campane” ... Altri 10 ducati si spendevano per il pranzo dei Preti il giorno della Festa di San Bartolomeo Patrono Titolare, e altri 45 ducati e più per olio, cere, ostie, vino, candele e ampolle compresi Cantori e Strumentisti … Si pagavano anche brocche, acquai e scope sempre e ancora per la stessa sentitissima Festa di San Bartolomeo, e si pagava pure un Prete perché predicasse in chiesa in Lingua Tedesca visto che a due passi c’era il Fontego dei Tedeschi, e che c’era sempr piena la zona di Allemanni, e che frequentavano in buona parte proprio la chiesa di San Bartolomeo … La gente della Contrada, invece, offriva ogni anno 2 ducati “in più e a parte al Vicario, ai Preti e al Diacono de cjesa perchè cantassero il Passio nella Settimana Santa”.

Nella chiesa piena di altari si ospitava un mucchio di Schole con tantissimi Veneziani iscritti: quella del Santissimo, della Madonna del Terremoto e della Madonna Addolorata, San Nicola dei Facchini o Bastàzi Fonteghèri dei Tedeschi, San Leonardo, Santa Caterina, San Mattia dei Mercanti, San Bartolomeo dei Remeri dell’Arsenal, San Nicola di Bari dei Segadòri, Santa Croce dei Fustagneri e Coltrèri, Ognissanti dei Portatori di vino, San Michele dei Bombaseri e de le Faldèlle, San Salvador dei Spizieri da Medicinali, San Giovanni Evangelista degli Stagnèri e Peltrèri… Insomma: per un motivo o per l’altro c’era un bel andirivieni in chiesa ... e anche “un buon giro di palanche.”

Nel luglio 1550 secondo i necrologi del Magistrato alla Sanità morì in Contrada “el camerier dell'Aquila Negra in Calle della Aquila Nera a San Bartolammeo dove s’era abbattuto il Portico esterno della chiesa luogo d’azioni immorali notturne”… dove secondo la Descrizione della Contrada pel 1661 stanziava in Corte: “Bernardo Gerin Alemano Hosto all'Aquila Negra”.

Nel 1582, invece, secondo quanto è scritto nella Cronaca del Savina: “A 4 novembre, zioba de notte, s'accese fuoco a San Bortolo appo la chiesa, nelle case e botteghe di Bombaseri, che durò fino ad hora di nona del dì seguente, et diede grandissimo danno alli habitanti in esse, et alli patroni delli stabili, tra quali furono i Nobilissimi Homeni Almorò e fratelli da Cà Zane fu di Martino, et hanno perso più di 300 ducati di rendita, et il Vicario di San Bartolomio hebbe danno per mille ducati, et altri molti. Corse tutta la Maestranza dell'Arsenale a smorzarlo”.

Dicevamo della baruffa fra quelli di San Bartolomio al Ponte e dei Preti con Patriarca … Si mise di mezzo il Collegio della Serenissima che intervenne nominando un’apposita commissione che confermò l’antica legittimità degli abitanti della Contrada a scegliersi il proprio Prete-Piovano ...  Il Patriarca Querini furibondo per quella decisione “non ci vide più”: scomunicò tutti … Commissione, Collegio e Parrocchiani-Contradaioliche avevano osato proporre un Prete a lui non gradito.

 

Come finì ?

Finì che quelli della Contrada di San Bartolomio per niente intimoriti dalle esuberanze del Patriarca, se ne fregarono altamente della Scomunica Patriarcale, e in modo molto concreto consegnarono le entrate, le elemosine e le offerte di chiesa direttamente al Vicario da loro scelto ed eletto, che fra l’altro era un Antiluterano convinto, cosa a tanti Veneziani gradita in quanto consideravano San Bartolomio “covo dei Luterani Allemanni del Fontego dei Tedeschi”.

Non era per niente vero … Era gratuita quella accusa diceria, perchè i Tedeschi tenevano in San Bartolomeo la loro Schola di Nazionalità, Mestiere e Devozione detta Schola di Zòia Restàda o di Santa Maria del Rosario ... Più attaccati di così alla Chiesa ?

Protestanti e Rosario poi: strano connubio ! … Non se ne resero conto i Veneziani di allora: né popolino, né Nobili, né Mercanti, né tantomeno quelli della Religione, ma in quel contesto Veneziano sbocciò l’esperienza interiore-mistica legata al Rosario, che via via si è diffuse poi in tutta Europa e oltre. Inutilmente i Cattolici Veneziani cercarono fin da subito, intuendone il successo, di attribuirsene il merito e far propria la scoperta di quella nuova Devozione: il merito e l’iniziativa erano stati del tutto dei Tedeschi di Zoia Restada di San Bartolomeo…  Ai Veneziani restò di declinare a loro modo quell’idea iniziale concretizzandola nelle varie Schole del Rosarioche sorsero e si diffusero un po’ ovunque in tutta Venezia a partire da San Domenico di Castello: sede-Convento degli agguerritissimi Padri Domenicani Predicatori e Inquisitori.

Il fenomeno del Rosario quindi “prese strada da se” sulla scia dell’esperienza mistica dei Tedeschi di San Bartolomeo al Ponte di Rialto.

 

Per la Schola di Zòia Restàda con i suoi 100 Confratelli Tedeschi iscritti, Albrecht Dürer dipinse già nel 1506 un quadro bellissimo: “La Festa del Rosario” ... In ogni caso a Venezia si tenevano occhi e orecchi ben aperti e attenti: c’era chi simpatizzava e chi osteggiava quella presenza Tedesca così assidua nel cuore della Laguna. Secondo alcuni i Tedeschi portavano grande benessere economico, ma secondo altri … non vi dico chi, ma lo sapete di sicuro: “nei Tedeschi c’è la pericolosissima Demoniaca Eresia apportatrice d’Infernale Dannazione”.

Fu per questo che a metà gennaio 1583 il Nunzio Apostolico Lorenzo Campeggi successore di Bolognettiistigato dal Papa di Roma: “procurò di mandare a San Bartolomio un bon Predicatore Gesuita per quei Tedeschi Eretici soliti frequentare tale chiesa Veneziana.”

I risultati furono più che deludenti ... Il Gesuitascrisse un dispaccio a Roma: “… Non vi viene se non poca gente et quella assai bassa et alle volte embriaca; fanno nel tempo della predica diverse insolenze et alle volte con parole ingiuriose s’alzano in mezzo alla predica et la disturbano … Quelli pochi che vengono, vengono solamente per fare un poco di cerca di denari … non per dargli ai poveri, ma se ne servono per fare un banchetto il di Pasquale, dopo che si sono comunicati, in un hosteria et bisogna che io l’inviti tutti a questo banchetto et in pergolo li dichi l’hosteria dove si farà, della qual cosa io me ne vergogno infinitamente, et se in questo non li volesse sodisfar non saria chi mi volesse udire … Di più gli italiani che vengono per curiosità et per sentire predicare in tedesco, restano molto scandalizzati in vedere l’insolenze et immodestie di questi Tedeschi et che un Gesuita li predica et le comporta et non sanno con quanta pena e mortificazione mia …”

Povero Predicatore ! … Quanto può essere frustrante non avere chi ti ascolti almeno un poco ... un minimo. Parlare ed avere una chiesa piena che ti ascolti più o meno rapita dovrebbe essere tutto per uno di “quel Mestiere”.

 


Termino tornando al Patriarca Queriniimbufalito … Intendeva diventare indipendente dal governo della Repubblica Serenissima, e gestire il Clero Veneziano come meglio gli aggradava: “l’elezione dei Piovani doveva essere deferita a lui, e a lui soltanto” ... Non gli piaceva neanche che in giro per Venezia ci fossero chiese e chiesette di Schole e Oratori privati e di famiglia di ogni tipo, perché andavano tutti a rodere i cespiti e limitare le elemosine e i già magri introiti dei Capitoli Titolari delle Parrocchie dei Preti arrecando loro evidente danno.

Su pressioni dello Stato della Serenissima Repubblica non gli rimase alla fine che ritirare le scomuniche e confermare l’incarico del Piovano-Vicario di San Bòrtolo scelto dai Veneziani … Nel 1541 poi si arrese del tutto rinunciando alle proprie pretese: con la Serenissima era sempre e comunque battaglia persa … Perciò per questo ed altri motivi lo stesso Patriarca rimise l’incarico, lasciò la Città Lagunare, e si trasferì a vivere nel Convento dei Domenicani di San Sebastiano a Vicenza … Alla fine però vinse lui “alla distanza” perché dal 1557 il nuovo Piovano di San Bartolomio venne eletto dai sei Preti Titolati del Capitolo di Chiesa e non più dai Veneziani della Contrada.

 

La Schola per la Redenzione degli Schiavi … a Santa Maria Formosa

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La Schola per la Redenzione degli Schiavi … a Santa Maria Formosa

Quella di Santa Maria Formosa, come ben sapete, fa parte del Sestiere di Castello, ed è sempre stata storicamente una fra le più vispe, attive e prestigiose Contrade di Venezia.

Fra le quasi infinite cose che si potrebbe ricordare circa quella curiosissima Contrada, ne ricordo una e una soltanto, che di certo non è fra le più conosciute e significative. Nella chiesa della Contrada si è ospitato e dato sede insieme a un’altra trentina di altre Schole, Suffragi, Fraglie, Confraternite, Pie Unioni e Sovegni, anche alla Schola della Trinità per la Redenzione degli Schiavi.

Qualcuno, come mi è già capitato, storcerà di sicuro infastidito il naso dicendo: “Ma come ? … Venezia è stata sempre liberale: niente Schiavi in città ! … La Serenissima è sempre stata sempre modello di Libertà !”… Tutto vero, ma anche: no.

Innanzitutto a Venezia ci sono stati gli Schiavi: più di qualche Nobile aveva “il Moretto”, o più che spesso anche “la Moretta” che gli scaldava il letto e non soltanto quello. In secondo luogo, che piaccia o no, i documenti lo confermano, i Mercanti Veneziani fra le altre “merci” che trattavano in giro per il mondo vendevano e compravano anche Schiavi … Proviamo a non essere sempliciotti, fanatici e ottusi, o solo di parte: gli affari erano affari, e quando i Veneziani li fiutavano non si tiravano mai indietro. Hanno quindi trattato, comprato, scambiato e venduto anche di Schiavi ovviamente cercando poi di salvare la faccia in Patria, magari mettendo in atto qualche buon rimedio e proposito “per sanàr la cronica situazion”… sebbene con colpevole quanto vistoso e voluto limite e ritardo.

E’ un po’ come oggi: non è cambiato niente … Si parla tanto di pace, di “vogliamoci tanto bene” e diritti dei Popoli, e poi paesi civili come noi Italiani vendiamo a piene mani le armi più sofisticate e micidiali capaci di squarciare e distruggere il Mondo … Contraddizioni della Storia ? … Beh: non siamo troppo buonisti: sono carognate … ed è falso qualsiasi governo che si aderge a paladino di Principi e Virtù quando è il primo a calpestarli … e non basta dire: “così fan tutti … Mal comune mezzo gaudio”… L’ipocrisia non ha confini: il Mondo è dei guerrafondai, e noi ne facciamo parte.

Tornando alla Venezia di ieri … Ricordo d’aver letto del caso di un Nobile Veneziano morente che per testamento ha fatto dono della Libertà alla sua Scjàva de casa(Serva)“che per tutta la vita m’ha servito fedelmente rimanendomi accanto per ogni bisogno della mente e del corpo”.

Di Schiavi si trattava normalmente un po’ in tutto il Bacino Cristiano del Mediterraneo: nei Porti di Barcellona, Palermo, Napoli, Piombino, a Corfù, Famagosta, Salonicco e Sebenico… Uno Schiavo corrispondeva a un valore-prezzo, e a una transazione commerciale soggetta a normali quanto precise “leggi di mercato”… Cinquantina Scudi era la tariffa più comune sui mercati dei Turchi per acquistarne uno … Non era difficile finire Schiavi con i Turchi: si passava da prigionieri a Schiavi con relativa facilità, ma non viceversa ... Le donne poi possedevano un “surplus di valore attribuibile” a seconda dell’età, la bellezza e “la veemenza”.

Al mercato poi era normale che si tirasse e contrattasse sul prezzo guardando ai dettagli, alla prestanza, l’aspetto, gli anni, la cultura e altre doti più o meno manifeste ... Un po’ come con i Cavalli che gli si guardava gli zoccoli, il pelo e in bocca.

Esisteva poi “l’altro aspetto della medaglia”: cioè chi nella Cristianità Occidentale si preoccupava di liberarne almeno “un pochi”… mettendo su tutto un altro mercato parallelo fatto di raccolte di soldi per il Riscatto(la compravendita della persona alla fin fine) che coinvolgeva a più livelli e riprese: Curie, Vescovi e Papi, Nobili, Confraternite, famiglie e tanta gente comune “di buoncuore” disposta a sborsare promettenti elemosine. Nella maggior parte di questi casi si faceva anche tutto “un gran bel minestrone” confondendo e sovrapponendo fra loro quelli che erano diventati schiavi per colpa delle conquiste e delle Crociate o degli abbordaggi pirateschi per mare, oppure quelli che erano “da liberare” dalla Schiavitù Interiore del Paganesimo o dell’Islam portandoli a diventare Catecumeni e poi Convertiti ... o perlomeno “rinsaviti” e capaci di abiurare quanto avevano accettato magari per non rimetterci la pelle.

In fondo nella nostra Europa era una cosa buona e regolare no ? … Mica tanto ! … Come in tante situazioni c’era di mezzo tutta una folla d’Intermediari, di raggiri, “magnarie”, furbi e imbroglioni, con: finti prigionieri, finti pellegrini e finti riscattatori e riscattati, e chi più ne ha più ne metta … C’era chi raccoglieva fondi più che spesso emettendo documenti e certificati falsi, chi scriveva lettere e Suppliche, e chi versava quote che si rimpolpavano o riducevano “strada facendo” col risultato che a volte per davvero qualcuno veniva riportato a casa “sano e salvo”… ed era allora “Realtà” tutto quell’arzigogolare industrioso a favore dei Poveri Schiavi Derelitti.

Ma c’era anche chi strada facendo con tutto quel commercio bene o male si riempiva le tasche facendo l’equilibrista fra Fede e Disonestà e tante altre cose del genere … Il Mondo è sempre stato vario, così com’è sempre stato difficile discernere fra sincerità, lealtà, disinteresse e il loro contrario.

Poteva Venezia rimanere fuori da tale proficuo giro d’affari in tanti sensi ? … Ovviamente no.

Anche in Laguna ci fu tutto un giro di soldi, traffici e trattative che coinvolse a lungo Piovani, Priori, Monache e Frati, Confratelli, Trinitari e “traffeghini di ogni tipo” che fecero epoca … e affari … tanti affari.

Su tutto poi c’era anche l’immancabile Ufficio dell’Inquisizione che s’intrufolava e vigilava mettendosi di mezzo ogni volta di più. Andava sempre a controllare “chi, come e perché” cercando d’individuare chi tornava dalla prigionia, ma soprattutto con quali propositi e con quali convinzioni in testa ... L’Inquisizione non scherzava al riguardo: i “liberati” erano un po’ come i Marinai, che spesso venivano considerati “uomini persi” o perlomeno mezzi Eretici, o Eretici per intero “che si fasèvan Turchi par interesse in giro per il Mondo”.

I “Riscattati” quindi erano sospetti, e venivano sottoposti ad esami rigorosi con abiure e conversioni pubbliche e solenni: non si sa mai … L’Islam già allora si preferiva lasciarlo fuori dall’Europa Cristiana ... almeno per quanto possibile. Gli affari, invece: no … e se gli affari erano frammisti con Dottrine e Religioni in modo che non si potevano facilmente districare … Beh: pazienza … Tutti se ne sarebbero fatta in qualche modo una ragione o un guadagno, e la Vita e la Storia sarebbero continuate lo stesso con buona pace di tutti compreso il Padre Eterno di tutti che se ne sta sopra all’Unico Cielo.

Per farci un’idea concreta di tutta questa Storia, basti pensare, ad esempio, che nel febbraio 1557 a Firenze c’era un certo Paolo Corsida Cefalonia che raccoglieva soldi con l’autorizzazione sia del Vicario Civico di Firenze che del Vicario del Vescovo, e con uno specifico “Breve Papale” sempre a portata di mano. Doveva riscattare suo fratello Pietro che era in mano Turca con altri due “soci” Giorgio e Nicola, e per tale scopo serviva racimolare la bella cifra di 500 ducati … Ancora a Firenze una decina d’anni dopo, c’era, invece, il Calabrese Gian Battista Pacelier di Paola che raccoglieva elemosine per riscattare madre, fratelli e tre sorelle: tutti prigionieri dei Turchi. Stavolta servivano complessivamente: 1.500 ducati per coprire “la taglia de liberazion” ... Una bella cifra !

Negli stessi anni a Livorno secondo le notizie raccolte dall’Inquisizione locale, c’era una certa Lucia ch’era stata liberata dopo essere stata “Schiava del Gran Turco”, e girava ora elemosinando affermando anche d’aver “familiarità con Spiriti e Apparizioni straordinarie, sapeva praticare Devozioni Speciali comunicandosi ogni giorno senza confessarsi, sapeva far Miracoli, e aveva fatto nascere un bambino già morto dal grembo materno ... e altre cose del genere.”

Giacinto de Nobili descrisse i “liberati” che parevano quasi dar spettacolo in giro come spot pubblicitario: “… arrivati alle città o castelli, in mezzo alle piazze … fanno scoppi e romòri terribili, mostrano longhe catene e ferri con cui dicono essere stati legati e dalla galera fuggiti, danno ad intendere al volgo d’aver ottenuto ogni dì grandissima quantità di bastonate da’ Turchi, inimici della Fede di Cristo…”

Insomma in giro circolavano lunghe liste d’attesa di uomini e donne: Soldati, Marinai, Galeotti, Comandanti di Navi e Mercanti che erano rimasti inguaiati e aspettavano d’essere “riscattati dal Maghreb, da Algeri o Costantinopoli, o dai tanti luoghi del Turco”… Circolavano anche notizie sui successi delle liberazioni ottenute: nel 1583 erano giunti ad Ancona 150 “riscattati” da Costantinopoli: uomini, giovani, donne, putti e putte ed ex Galeotti Forzati … C’erano casi poi ancora fermi o a metà, o irrisolti: serviva denaro oltre che raccomandazioni, che costavano pure quelle … Il figlio Schiavo di Maria Lena Pichi da Bologna, ad esempio, che era disposta a pagare 25 scudi era stato riscattato e rimesso in libertà, ma il suo padrone Turcategli Sarumbe pretendeva ancora da lui un anno di servizio o un equivalente in denaro ... Sapore di truffa ? … Mah ? … Chissà ? … Magari: no … o forse: si.

E a Venezia ?

Stessa musica …  Nello stesso 1583 altri 25 “Riscattati” stavano in Laguna in attesa d’essere condotti ad Ancona dove c’era una specifica Casa che li poteva ospitare e “rieducare e reinserire nella normalità”… Ovviamente servivano soldi per completare quell’operazione.

Cinque anni dopo, il Senato Veneto impose ai Notai Lagunari di far ricordare nei testamenti di sostenere gli Enti che si occupavano in città del Riscatto dei Cristiani Schiavi dei Turchi… Stessa cosa fecero i Provveditori Sopra gli Ospedali e i Luoghi Pii nel 1675 e nel 1692 ... e pure i Provveditori Sopra ai Monasteri nel 1726 che invitarono Piovani e Rettori: “ad attivare apposite questue durante la Quaresima per la liberation de’ poveri schiavi che languiscono tra catene di barbara schiavitù.” 

“Pompilio Veneziano imbarcato sulla Galea del Capitano Camillo Stella era diventato schiavo nella battaglia di Famagosta quando la città era caduta, ed era molto considerato dal “Basà” del luogo per le sue doti di saper suonare, cantare, leggere e far di conto ... Lì viveva con la moglie che era autoctona del posto … e con loro c’erano anche altri Veneziani fatti prigionieri e poi riscattati a metà ... che però non potevano, né volevano partire … Avevano bisogno d’aiuto: possibilmente in denaro contante.”

Ancora nel 1733 i Provveditori da Comun di Venezia autorizzarono Giulio Tasca a cercare aiuti e sostegni per riscattare Andrea Pasqualigo “caduto in schiavitù in Tripoli di Barberia”.

Già nel 1619 si era chiesto al pittore Baldassarre D’Annadi realizzare un telero “col Papa Paolo V che concedeva Indulgenze, Privilegi e Indulti all’Ordine della Santissima Trinità del Riscatto degli schiavi, la Santa trinità al centro fra le nubi, e un Ambasciatore Veneziano che trattava col Sultano per la liberazione di un gruppo di schiavi incatenati”… Il bel quadro fu appeso in bella mostra nella chiesa di Santa Maria Formosa…. L’apposita Schola-ArciConfraternita: “antichissima ed unica in Venezia”, sorse e venne riconosciuta legalmente nella Città Lagunare a metà estate 1604 col proposito di “riscatto e liberazione degli Schiavi” ... Finalità dichiarate espressamente nella Mariegola della Schola-Associazione: “somministrar e raccogliere elemosine per impiegarle nella liberazione degli schiavi cristiani, che languiscono sotto la tirannide degli Ottomani”.

Per finanziare le attività caritative della Schola i Confratelli compivano una questua ogni venerdì in ogni angolo e luogo della Contrada accompagnati dal Sacrestano della chiesa e preceduti dallo Stendardo Processionale della Schola … I Preti di Santa Maria Formosa da parte loro si diedero da fare pagando l’organista, chiamando un Predicatore quando serviva, allestendo Solenni Esposizioni del Santissimo, guidando Processioni ogni terza domenica del mese, Messa Solenne Cantata all'Altare Maggiore e Vespro la domenica della Trinità giorno patronimico della Schola, e celebrando un Esequiale per tutti gli Schiavi e i Confratelli Morti della Schola… Cose tutte che avevano un preciso prezzo, che quelli della Schola non si esimevano dal pagare puntualmente ai Preti del Capitolo di Santa Maria Formosa.

SI provò anche a coinvolgere i facoltosi Nobilieleggendoli simbolicamente a Difensori, Protettori e Procuratori dei Poveri Schiavi da redimere e liberare ... E ancora alla fine di dicembre 1816 il Signor Giovanni Battista Carminati che era anche Tesorier e Fabricèr de la Parrocchia di Santa Maria Formosa, amministrava anche la Cassa de la Schola della Trinità per la Liberation e il Riscatto degli Schiavi scrivendo e annotando in apposito "Libro Cassa, Monte cere e Registro Devoti” tutti gli ammontare, i versamenti e le tasse che versavano i Devoti della Schola a favore degli Schiavi.

Ma c’erano ancora gli Schiavi in giro a quell’epoca ? … La Schola però c’era ed era attiva ancora ... e il denaro continuava ad essere raccolto e in qualche modo girare.

Un altro “quadretto” di una Venezia poliedrica ed eterogenea che oggi non c’è più … Di certo una Venezia fantasiosa, amabile, un po’ double face, e anche abile nell’attivarsi e intraprendere “strade” diverse …  quasi “utili” alla collettività Lagunare … Non erano stupidi però i vecchi Veneziani: non sempre ci cadevano e si perdevano dentro a certi labirintici propositi e discorsi … Qualcuno magari: si ... ma tanti altri: no … e intanto la Storia correva in avanti.

 

“Se solo le pietre parlassero … in Salizàda de Santa Giustina.”

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#unacuriositàvenezianapervolta 243


“Se solo le pietre parlassero … in Salizàda de Santa Giustina.”

 

Sembra ci sia quasi la nebbia in questa foto in Salizada Santa Giustina a Venezia … o forse c’era per davvero quando l’hanno scattata ormai più di cento anni fa nei pressi del Palazzo Contarini dalla Porta di Ferroper via che avevano fin dal 1400 un portone tutto bugnato a brocchettoni di ferro … Non ci credete ? … Invece: si … Sono io quello al centro della foto … Quello che sta venendo incontro “scappando via dal Tempo”… e sono stato io a fermarmi a far do ciacòe con quelle donnette di Contrada con le verdure e la frutta, e  le carabattole in vendita che ho trovato là:

 

“Bondì Sjora ? … Come andèmo … Dove sèmo qua ?”

 

“Dove sèmo ? … Ma da dove ti salti fòra ? … Ti xè cusì forèsto da no savèr niente ?”

 

“No … Ma so da Santa Marta: da stàltra parte de Venèssia.”

 

“Par carità ! … Sto qua vien dall’Anzolo … El xè un Nicolòtto ! … Dio te pùrga !”

 

Poi vinta la ritrosia istintiva ha iniziato a dirmi: “Santa Giustina gèra ‘na piccola Contrada “imbusàda de Castèo” dove a vita sembrava scorrer via senza intoppi e senza Tempo … quasi inseguendo se stessa e le ròbe più semplici de ogni giorno: el lavoro, qualche affetto, la sopravvivenza ... Nessun quasi saveva perché sta zona de Venezia se ciamàva cùsì: gèra cùsì e basta … Stretta nei so canali, ne e caètte scure, umide e strette … piccole, basse e strette gèra anca la maggior parte de e caxette de la Contrada: un Rio col stesso nome de qua … el Rio de a Pietà de là, e quello de a Celestia a pochi passi verso el Rio delle Gorne e i muri dell’Arsenal ...”

 

“Curioso …”

 

“Già … Qua fin da la Peste del 1600 ghe gèra attive almanco 30 botteghe, e ghe gèra anche un inviamento, un forno da pàn proprio ai Piedi del Ponte del Fontego de a Farina fatto su Terminazion del Magistrato alle Biave par dar el pan ai Veneziani de Casteo fin da 1731… Al centro de tutto ghe gèra e Muneghe Agostianiane che sembrava tante Vergini Giustine decrepite come el so Convento de seconda classe … malridotto, proprio cadente … Perfin e Schole de Arti e Mestieri e Devosiòn sembrava no voler saverghene de farse ospitàr in  quel posto: i ghe giràva alla larga … Ghe gèra solo ospite dal 1500 i Soci del Traghetto de Santa Giustina … e  alla fine del 1600 e donnette del Suffragio della Madonna de Candia.”

Alle Monache di Santa Giustina era associato un Prete-Cappellano-Piovanoche abitava in una casa di residenza predisposta per lui dalle Monache in Corte delCappellan… Aveva l’obbligo di guidare e assistere al “Coro di 16 Preti” compreso lui che ruotavano intorno alla chiesa della Contrada celebrando 10 Mansionerie di Messe a 7.300 lire annue, di cui lui godeva un supplemento di 62 lire, più altre 14 Messe-Anniversario a 124, 20 lire, di altre 3.927 Messe Perpetue, e 1,700 Avventizie ... Insomma: un capitàl de Messe … Doveva inoltre cantare Messa a tutte le Feste, e Vespro in quelle più solenni per le Monache e il Popolo della Contrada;esporre varie volte il Santissimo; predicare in Quaresima e fra l’Anno; insegnare la Dottrinaalle putte e agli adulti, e celebrare ulteriori due Esequie Annualiper tutte le Monache Morte del Monastero… Per far questo percepiva dalle Monache 250 ducati annui anche se dichiaravano per scritto solo 848 lire annue ... oggi come allora: in nero insomma … Inizialmente el Capellàn percepiva una tradizionale offerta di unabotte di vino, quattro sacchi di farina, 25 ducati, e metà degli incerti e delle spese per la gestione della chiesa.

“In verità Santa Giustina gavèva un suo “quid speciale” ... Ogni anno fin da la fine del 1500 el Doge e la Signora veniva qua accompagnai da Ambasciatori e Dignitari stranieri … I veniva solennemente in corteo acqueo proprio nel giorno de Santa Giustina in ottobre, per festeggiare ogni anno la Vittoria de Venezia contro i Turchi a le Curzolari … e par visitar e Muneghe.”

“El famoso scontro navale de Lepanto … le Echinadi o Curzolari del 07 ottobre 1571 …”

“Si … Proprio quello … Il popolo dei Veneziani con e so Schole veniva invesse processionando a pie par e calli, i campi e le fondamente de Castèo partendo da San Marco.”

In quell’occasione i Veneziani della Contrada presi dall’entusiasmo del Trionfo e della Vittoria non si fermarono, e andarono avanti per giorni per le strade e sul ponte dietro alla chiesa chiamato da allora Ponte del Tadèo o Te Deum, a cantare l’antico inno di ringraziamento: appunto il “Te Deum” in compagnia dello stesso Doge.

Ogni anno quindi dopo un gran Messone solenne celebrato da un Canonico della Basilica Dogale di San Marco, si tornava a cantare quell’inno Te Deum, poi lo stesso Doge regalava alle Monache delle monete d’argento appositamente coniate per l’occasione: i “ducatoni”detti anche “Giustine” per via che recavano impressa l’immagine della Santa Giustina col motto memor ero tui Justina Virgo… Il Governo Serenissimo inoltre manteneva a spese pubbliche 12 Monache dello stesso Monastero alle quali nello stesso giorno regalava 25 “Giustine”.

 

“Par questo a Contrada gavèva un nome, e le Mùneghe una certa fortuna …”

 

“Nel 1535 la Priora di Santa Giustina fece confinare dal Proto Nicolò Del Cortivo un’ampia area da coltura e un bosco in Locco della Credda a Povegliano che le Monache di Santa Giustina avevano appena acquistato. Il funzionario precisò sulle carte: “… senza contare el bosco perché pien de frasche over fronde … il terreno va da Bonisiòl ad Altin.” … Non a caso negli anni seguenti: nel 1587, sorse in Contrada una “Scuola Pubblica” gestita dal Clerico quarantenne Angelus Galetus giunto espressamente da Roma, o meglio: dal Lazio, per insegnare a trenta alunni Veneziani del Sestiere: “Humanità e Oration de Ciceron, Rethorica, Vergilio e Horatio a chi latina et fa concordantie … e a quelli più piccoli che no fa epistole: il Vives …”

 

“Prima de a Peste: quea de a Salute del 1600, quando qua in Contrada viveva quasi 1600 persone, in cièsa “da e Mùneghe un fià pretensiòse e robèstiche come el so Capellan, no ghe andàva quasi nissun … I andava in pochi insomma … I gavèva solo 800 Comunioni: a zènte andava via ... In quel tempo a Serenissima gha mandà a processo una prostituta Cristina che andava de continuo in cièsa mettendose tutta vistosamente in mostra … No a disturbava … Però a patrocinava sfacciatamente i so affari … Nel 1618 e Cronache Veneziane racconta che proprio qua in Contrada de Santa Giustina xè sta strangolada Orsetta ventottenne moglie de Alberigo Alberighi, sulla casa a do porte sul Ponte senza bande de Cà Cima, che fu detta poi Cà Zatta, e dopo ancora: Cà Zon … e dopo ghe xè sta parfin un Prete processà “per malcostume e appropriasiòn d'effetti”.

 

Nella stessa Contrada di Santa Giustina nel 1629, in Corte delle Do Porte in Cà Basadonna, abitava in una casa frequentatissima il celebre Pittore Giacomo Palma il Giovane Fu lì che morì “oppresso dal catarro” ... Già l’anno prima aveva chiesto una matita scrivendo: “Io vèggo e sento, ma non posso favellare!”  … Nel testamento disponendo di farsi seppellire ai Santi Giovanni e Paolonell'arca “in faccia alla porta della Sacrestia”, nominò le due figlie: Giulia sposata con Zanantonio Preti, e Cleriarimasta vedova e in povertà. Dispose di dover dare 3.000 ducati e alcuni quadri a Cleria detratta la dote che spettava a sua moglie Andriana, e che suo figlio assumesse il cognome di Palma in sua memoria ... Lasciò inoltre quadri a Domenico Tintoretto per via dell'amicizia che aveva avuto con suo padre Jacopo.

 

“E gèra antipatiche e 75-80 Mùneghe de Santa Giustina con a so Priora … nonostante ogni anno el giorno de Nadal e regalasse 40 ducati suddivisi fra i poveri della Contrada de Santa Giustina e quella de Santa Marina ... E se lamentava sempre e Mùneghe perché e gavèva poche Messe annue da celebrar … Per cui e domandava de continuo sussidi al Patriarca ... e dopo se disèva: “dodeci Monache sono contrarie a la Priora… e diverse non pratica el Capitolo settimanale de le colpe …”

 

Le Monache quindi si rifiutavano di confessarsi davanti alla Comunità com’era d’obbligo secondo la Regola, e poi se la vedevano fin troppo con certi Nobili, come era spesso usanza a Venezia … soprattutto con i Cavalieri, Procuratori e Ambasciatori Soranzo del Ramo di Rio Marin che avevano commissionato l’edificazione della facciata della chiesa mettendo a disposizione 10.000 ducati e mettendoci tre loro busti scolpiti da Clemente Moli. In cambio le Monache avrebbero dato loro il privilegio di farsi seppellire nello stesso Luogo Sacro.

 

Sentite un po’ che cosa lasciò detto nel suo testamento uno dei Nobili Soranzocirca la sua sepoltura e ciò che si sarebbe dovuto fare “con celerità”per la sua Morte. Era davvero preoccupato di garantirsi “l’Aldilà” in qualche modo e a “suon di Messe e preghiere”: “…vestito da Cappuccino (verrò posto) nella tomba di Famiglia a Santa Giustina … Sarà di sera, accompagnato  col Capitolo di San Marco al quale saranno dati 50 ducati, e da quello di San Polo al quale saranno dati 20 ducati; accompagnato da 24 torzi da 10 libre l’uno ed in chiesa siano posti su ogni altare due candelotti da 2 libbre e a quello del Santissimo 1 da 4 libbre e 4 all’altare della Madonna per 3 giorni e sopra alla sepoltura per 3 giorni 4 torce da 12 lire l’una cambiandoli ogni mattina e i candelotti per una mattina siano messi anche a San Polo. Siano dette a Santa Giustina 300 Messe con la celerità maggiore possibile; a San Polo siano dette 100 Messe dal Capitolo sull’Altare di Famiglia; altre 100 Messe a San Nicolò dei Frati all’Altare Privilegiato, e siano dati per queste Messe 12 candelotti da 2 lire ciascuno; 100 Messe ai Santi Giovanni e Paolo con la solita elemosina per esse; a Santa Giustina sia cantata una Messa, e a San Polo sia fatto un Esequie e siano dati 5 ducati per luogo in elemosina. In chiesa di San Marco siano dette 200 Messe all’Altare Privilegiato dando candelotti da 2 lire per gli Altari e al Santissimo e alla Madonna: 4 ed inoltre in quella chiesa si deve fare un Esequie come quello dei Procuratori e sia continuato per 5 anni. Gli Ospedali dei Santi Giovanni e Paolo, Incurabili, Pietà, Mendicanti, Convertite ricevano 200 ducati ciascuno, e vengano messi a disposizione 2.000 ducati per una Mansioneria ogni mattina a Santa Giustina dicendo il De Profundis ogni giorno sopra l’Arca della sepoltura. Se non verrà fatto il monumento in facciata entro 4 anni si dovevano dare 1.000 ducati ciascuno agli Ospedali …”

 

Che ve ne pare ? …. Con quale angoscia si moriva un tempo: si temeva più l’Infernoche la Morte stessa ... e neanche i tanti soldi bastavano a liberare da quella angoscia. Sarebbe servito un buon psicologo … ma a quell’epoca un po’ tutti grandi e piccoli erano “vittime” di quella mentalità epocale.

 

C’era ancora un’antica ruggine fra i Veneziani della Contrada e le Monache di Santa Giustina ... L’antica chiesa era una delle quasi mitiche “otto protochiese Veneziane” fondate secondo la leggenda da San Magno di Altino fuggiasco da Oderzo approdato in Laguna circa nel 580 ... Si diceva e raccontava che “sognante pecore e buoi che pascolavano insieme” avesse fatto costruire in successione: San Pietro di Castello, San Giovanni in Bragora, Santa Maria Formosa, Santi Apostoli, l’Anzolo Raffael, San Salvador, San Zaccaria e appunto Santa GiustinaSempre nelle vecchie Cronache Veneziane si legge che nel 1177 c’era una “piscina o palude” in zona Santa Giustina che apparteneva alla “Communis Venetiarum”, una:“mea pissina … de Petrus Cianide la Parròcia de Sancta Giustina.”… Si diceva anche che nell’ottobre 1125 a Torcello davanti a  Johannes Zagolino Diaconus et Notarius: Agnesevedova di Domenico Iovardo da Ammiana e le figlie Maria moglie di Pietro Marcello da Torcello e Palma moglie di Giovanni Ziani dal Confinio di Santa Giustina avevano consegnato a Pietro Dondi Chierico Piovano di San Lorenzo di Ammiana un allodio sito nel Lido Bovense sopra il Canale Morsiolo, e un altro allodio sito nel Lido Bianco oltre all’acqua Scampello, avendo detto Piovano pagato i debiti del defunto ... Un allodio era la parte dei beni immobili di un Principe o Signorotto o Nobile liberato da soggezioni e antichi obblighi feudali.

Nel giugno 1322, invece, il Consiglio dei Dieciconfiscò alcuni beni e terreni a Ferrara a due ribelli Nicolò Durante e Tommaso Querini, e affittandoli all’incanto per cinque anni e per canone annuo di Lire 12 di grossi a Ser Marco Stanièr di Santa Giustina… Al tempo del Doge Andrea Contarini, in occasione della Guerra di Chioggia contro i Genovesi nel 1379, ci furono diversi imprestiti allo Stato. La Contrada di Santa Giustina con i suoi 11 Nobili offrì lire 49.400 in tutto soprattutto tramite due Nobili eNicolò Baseggioche diede da solo 6.000 lire, e tramite altri quattro contribuenti abbienti fra i quali primeggiava Alvise Da Becora che contribuì con 15.000 lire.

“Chi gèra mai sti Sjori ? … Mai visti nè sentii … Tutta zènte persa ne a notte dei tempi.”

“Prima dell’arrivo de quelle Mùneghe  ghe gèra sta a Santa Giustina dei Canonici Regolari … che neanche se sa ben de che tipo che i fosse nè da dove i gèra venùi fòra ... Dopo de lòri ghe ne xè rivài altri: de un altro tipo  … Ma còssa importa ? … A chi interessa ?”

“Alla fine insomma xè arivàe a metà 1400 quee Mùneghe un fià coraggiose da gli Anzoli de Muran  … Un bel coraggio ad andàrse impiantàr col Convento in mezzo fra i do colossi de le Mùneghe de San Lorenzo e i Frati de San Francesco de a Vigna … Quee Mùneghe però gèra tòste … Appena arrivàe e gha fatto subito baruffa con a zènte de Santa Giustina imponendoghe i so Capellani e privandoli del diritto de eleggerse el so Piovan … Dee Mùneghe “sparonsòne” insomma …”

“I tempi ciamàva cusì … Santa Giustina dopo gèra anca a “Contrada de le pière.” …  Primo perché le Monache detenevano come preziosissima Reliquia “Il sasso di Santa Giustina”, cioè la “Santa Pietra” su cui si era genuflessa pregando al momento del suo martirio sotto Massenzio (oggi si trova custodito in chiesa di San Francesco della Vigna nella Cappella Priuli) ... La Santa Giustina vi lasciò la “Santa Impronta” delle sue ginocchia: tutto era “santo e prezioso” anche per i Veneziani a quell’epoca ... Secondo, in Contrada de Santa Giustina c’era la “pièra rossa de la Peste”, cioè quella nel Sotoportego Zorzi tra Corte Nova e Calle Zorzi ... Si trattava della pietra rossa in cui s’era concentrata e fermata miracolosamente la Peste: chi calpestava poteva in qualche modo incorrere e risvegliare per se quell’antico male … Ci si riferiva alla Peste del 1630: quella del Tempio e del Voto della Madonna della Salute che fece strage a Venezia e in Laguna.  Gli abitanti di Corte Nova e Sottoportego Zorzi a Santa Giustina, non si sapeva bene come, s’erano salvati: cioè la Peste s’era bloccata di fronte all’immagine della Madonna dipinta con San Rocco, San Sebastiano e Santa Giustina che dopo una visione aveva fatto realizzare una certa Giovannina ... La Peste venne, passò di là … e si bloccò impiantandosi in quella “Santa Pietra d’inciampo” ... tutta da evitare e non risvegliare ... Le Leggende sono Leggende: belle proprio per questo.”

“Gho sentìo una volta, che a metà 1700, quando ormai a Contrada co a Festa e le Tradizion “andava in calando”: per ordine del Provveditor del Comun se gèra incomincià a metter i masègni in tutto el Campo de Santa Giustina, ma siccome mancava i schèi come adesso, se gha fatto in pièra solo el tochetto che andava da la cièsa a la riva: dove che de solito smontava e passava el Doge ... Dopo metà secolo i gha copà co ‘na manèra Iseppa Ziani, po i a gha fàtta a tòcchi e messa sotto al pavimento de a cusina dove che i abitava. Xè sta Michela Moro Gondetti de 36 anni insieme al so amante Cesare Magretti, che gèra el mario de a donna ...”

“Che storie !”

“In autunno de do anni dopo el Consiglio a gha fàtta decapitar ... Mentre in primavera de sinque anni dopo, i gha trovà sempre qua a Santa Giustina: Maddalena Pastor Tonetti … Strangolàda con un laccio de cuoio in Calle della Pietà. I gha accusà Gasparo Zambler che se morto in prisòn qua a Venezia, e Marco Milio Alberghetti che xe morto mentre ch’el provava a scampàr … e non a xè ancora finita…”

“Quante disgràssie !”

“Si … Ma sènti questa … Verso a fine del 1700 xè venùo zo con un gran boato tutto el soffitto de a ciesa de Santa Giustina … El xè andà a schiantàrse su do altari e su la Cantoria dell'organo: un disàstro … Xè accorsi subito i Nobili Gradenigo che stava de fàsa insieme a un Frate che gèra solito farghe visita … I xè arrivai là giusto in tempo per tiràr fòra da sotto e pière e le macerie a vecietta che fasèva da custode a la cièsa … I la gha soccorsa al so palazzo ... Brava zènte …”

Infine giunse il 1800 quand’era Cappellano-Curato Amovibile salariato dalle Monache il Prete Mario Alessandrini. I Francesi spazzarono via tutto e tutti, soppressero il Convento di Santa Giustina, chiusero la chiesa, mandarono via le 54 Monache rimaste, e inglobarono la Parrocchia in quella contigua di Santa Ternita dov’era appena morto il Piovano … di crepacuore ?

Nel 1841 “venne mazzoccà e tirà sò el campanièl”… Tre anni dopo la chiesa venne divisa in due piani togliendo il timpano della facciata e trasformandola in Scuola della Marina Militare Austriaca...Nell’occasione scomparvero le statue del coronamento, lo stemma di famiglia, e i busti dei Soranzo ... Nel 1851 l’Altar Maggiore ricchissimo di marmi pregiati ma ingombrante venne regalato alla chiesa di Sant’Aponal che doveva essere riaperta (è ancora là) ... Infine l’Istituto Nautico si trasferì nell’ex Monastero di Sant’Iseppo di Castello, e dopo un abbandono durato fino al 1924, Santa Giustina è diventata Liceo Benedetticome lo è ancora oggi.

“Se ti vòl te vèndo un per de autentiche vànvere … proprio originali de e Munèghe de Santa Giustina … Te farò un bòn prèsso … perchè ti xè ti … O se ti vol: te darò do bocài da notte del Convento … Un pèr de brocche col so caìn ? … Una foghèra ?”

“Ma anca no … Bondì Parona … Gràssie de e ciàccoe … Me tògo piuttosto un chio de fasiòi freschi de campagna da to àmia qua davanti.”

“Bòni …”

Poi è uscito il sole del tutto … e noi ombre del passato imprigionati nella fotografia siamo tutti scomparsi … Rimangono le pietre mute, che purtroppo non sanno raccontare … Se solo potessero !


Ieri … in Lista de Spagna a San Geremia

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#unacuriositàvenezianapervolta 244

Ieri … in Lista de Spagna a San Geremia

A volte purtroppo la Cultura Veneziana è ridotta quasi a un mero tramezzino mangiato in fretta “mordi e fuggi” in piedi … Meriterebbe, invece, d’essere una tavola ben imbandita dove rimanere a lungo seduti in amena tranquillità ...  La fame di Venezianità non è facile da saziare … e non credo di parlare solo per me.

Non devo allora perdermi in lungaggini … Il Tempo stringe !

I Cittadineschi, quindi non Nobili, Frizier o Frizieri o Frigeri gestivano da tempo immemore una Bottega in Drapperia a Rialto all'insegna dell'Albero d'Oro ... Chissà ? … Forse era per quel motivo che nello stemma di famigliac’erauna torre con un albero e due draghi per parte. Lo si può vedere ancora presente inCalle Friziera a Castello sulla Cà Frizier dove abitavano:Questi vennero da Chiozza, ed erano mercadanti de bona condition, et per le guerre vennero habitar a Venetia, et fecero molte fabbriche, et logarono el Corpo de San Magno nel suo Altar in San Hieremia, el qual San Magno habitava in una delle sue case in detta Contrà”.

Ed ecco apparire la Contrada Veneziana di San Geremia o Jeremia… che alla Tombola di Venezia: “fasèva 80” di numero: “el banco … e dòne de San Geremia: co a pànsa descusìa”… Si deve poi aggiungere anche Santa Lucia: “a Santa Lùssia: che a te benedìsse a vista e i òcci ... la Vergine-Martire Siracusana di Sicilia rubata secoli fa dai Veneziani.”… tanto per cambiare … I Siciliani col sarcofago vuoto ne stanno ancora pretendendo “il Santo Corpo”ancora oggi …  che il 7 luglio 1981 con un’azione quasi in stile medioevale, è stato trafugato dalla chiesa Veneziana a mano armata chiedendone riscatto per la restituzione ... La Polizia recuperò“a gratis” la Reliquia ... Almeno così si disse ... e così è andata.

Svelto svelto ! … Non ti perdere …

A proposito de Santi, San Geremiaera considerata una delle ProtoChiese Venezianeleggendarie fondate daSan Magno… Al suo interno fin dal 1206 si conservavano le spoglie mortali di quel gran Santo che era stato Vescovo di Oderzo ed Eraclea, e poi s’era recato in Laguna per sfuggire ai Longobardi … Morì qui da noi a Venezia nel 670 … Dove e con chi abitava ?

Proprio in Contrada di San Geremia nelle Case e insieme ai Frizier… dove, fatalità, c’era anche la “Camera di San Magno” e il “Pozzo di San Magno” la cui acqua “buona e valida per ogni guarigione” faceva accorrere Devoti e Veneziani “nel bisogno” da ogni luogo e Contrada ... Sul pozzo è ancora visibile “l’armo dei Friziero” con la torre e i due grifoni.

Si viveva anche di quello una volta a Venezia … Cronache Veneziane antiche e diverse e più presumibili, invece, dicevano la Contrada di San Hieremia fondata come prolungamento e sfogo della linea urbana dell’Emporio Realtino e di San Marco alla fine dell’ottavo secolo. L’input abitativo, occupazionale e imprenditoriale lo diedero alcuni Mercanti Veneziani: i Morefrai, Caobelli, Mastropiero, Soranzo e Mauro o Marco Torcello o Tosello il cui figlio Bartolomeo portò le Reliquie di San Bartolomeoa Rialto collocandole proprio accanto al Ponte buttato sul Canaò Grandeche chiamavano del Quarterolo per il pedaggio che si pagava per attraversarlo.

Nel 1508 a Palazzo Frizierdi San Geremia venne ospitato un Vescovo Scozzese diretto a Gerusalemme, che presentate lettere commendatizie dei Re di Scozia e Francia, venne ammesso a sedere in Collegioaccanto al Doge, dove recitò una orazione in Latino che tesseva in modo entusiasta le lodi della Repubblica Veneziana …Tutti rimasero a bocca aperta.

Ancora nel 1514 Marco Frizier figlio di Missier Gasparo notificava  di possedere varie case in Contrada di San Geremia dove abitava, e di avere altri beni, cioè dodici fra case e caxette anche “aChastello de fàssa a San Domenego”Nel 1575 un altro Francesco Frizier, forse d’altro Ramo dello stesso Casato, venne eletto Cancellier Grande della Repubblica: un nome … Uno di quei personaggi che dietro alla facciata della Politica impastavano per davvero e con i fatti il Destino di Venezia … Ancora nel 1613: ai Frizieriapparteneva lo stesso palazzo a San Geremia che Antonio Friziero quondam GiovanBattista cedette a Reniero Zeno quondam Francesco Maria, guadagnandone 340 ducati in “dadie” da parte dello Stato Veneto.

Svelto svelto … che è ancora più tardi … Dalla Pianta di Jacopo De Barbari del 1500 si evince che davanti a Palazzo Frizier passava un canale: il Rio Sablone o Sabbioniramo e rientranza del strafamoso Canal Grande, detto probabilmente cosìper la presenza forse di un “terreno sabbioniccio” in zona … Venne interrato o “tombato” nel 1847 durante la Dominazione Austriaca.

Nel novembre 1529 il diciottenne Genovese Andrea Grimaldi da Crovara che abitava a Venezia in Contrada di San Geremia, venne finalmente trovato nascosto e arrestato nel Monastero dei Santi Giovanni e Paolo. Aveva ucciso un suo compagno con una mannaia e strangolato una Massèra per derubarli ... Venne buttato ovviamente prima nel “Cameròn de Fresca Gioia” di Palazzo ducale, e poi condannato a morire. 

Pressappoco trent’anni dopo, nell’agosto 1562 precisamente, si buttò ad annegare all’alba con una pietra al collo nelle acque de Canale dell’Orfano il Frate Veneziano Bartolomeo Fonzio che aveva a lungo predicato “da eretico” proprio nella chiesa di San Geremia … L’Anno seguente, “quasi a rivalsa di quel gran Dottrinal scàndolo”, i Gesuiti dell’Umiltà sulla Riva delle Zattere di Dorsoduro con il loro Preposito Padre Moggiorganizzarono a Venezia l’Opera della Dottrina Cristiana ... Le Cronache Veneziane ricordano di un “gran concorso di Nobili, Cittadini e Popolani dai Gesuiti con pochi rimasti nelle parrocchie” ... Per incentivare lo studio del Catechismo i Gesuiti premiavano i fanciulli più meritevoli che meglio riuscivano nelle Dispute Catechistichecon crocette d’argento. Ovunque in giro per Venezia c’erano bimbi: “che come cavalieri portavano dappertutto le Crocette attaccate al collo, e bimbe incoronate da Croci come Regine”… Intervenne su quell’esagerazione il Consiglio dei Dieci della Serenissima, che convocò il Preposito dei Gesuitie i Piovani di San Geremia e San Moisè intimando loro “di abbandonare quella pratica poco Cristiana e quei principi perniciosi da non doversi permettere in pubblico”.

A far quasi da “controaltare a quella sorta di fanatismo”, l’anno seguente morì Marzio Marzi De Medici in Contrada-Parrocchia di San Geremia nei pressi dei Frizier al Forno, in casa di Francesco Riccio Sensale di Seta. Era stato Vescovo di Marsico e Ambasciatore dei Fiorentini a Venezia dove partecipò alla consacrazione della nuova chiesa-Convento dei Santi Rocco e Margarita presso Santo Stefano e San Marco … E fin qua ? …Niente di che … “In morte” però, nel 1574, prima di farse seppellire alla Madonna dell'Orto, confessò soprattutto e lasciò detto per testamento, che quand’era stato a Trento aveva preso come Governante Giovannafiglia dello stesso Riccio con cui abitava a Venezia. Lì “tentato dalla carne” l'aveva ingravidata, ed era nata una femmina: Mammea, a cui il Vescovo lasciò diverse sostanze … come alla sorella Ersilia.

Sempre e ancora nella Contrada di San Geremia morì anche Daniele Barbaro eletto Patriarca d'Aquileia... e nello stesso anno si diede inizio in Parrocchia “attaccato alla cjèsia” a un Seminario-Ginnasio che accolse 72 putti tolti dalle Parrocchie di Cannaregio affidandoli per l’istruzione ai Padri Somaschi. Erano governati da Giovanni Battista Contarini soprattutto, e da 6 Procuratori-Gentiluomini Laiciche li mantenevano con le pubbliche elemosine ... All’inizio c’era solo un Insegnante di Grammatica a cui si aggiunsero in seguito gli Insegnanti di Rettorica, Umanità, Dottrina Cristiana, e per i più intelligenti anche quello di Filosofia ... Nel Libro Cassa della Scuola del Santissimodi San Geremia, si è annotato che dal 1584 al 1589 il Guardiano della Schola era solito comprare candele per i Chierici del Seminario di San Geremia, che sfilavano nella Processione del Venerdì Santo in giro per tutta la Contrada ... L’Istituzione trovò molte difficoltà per sopravvivere, finchè venne in seguito tolta da lì e trasferita a San Cipriano di Murano ... e infine in Punta della Salute a Venezia.

Nello stesso secolo nella Contrada dove vivevano più di 6.000 Veneziani, erano attive 62 botteghe, che divennero 124 nel 1712, e 140 nel 1740 ... Fra queste c’erano anche due Inviamenti da Forno con casa e bottega: una delle quali “in faccia al Seminario” ... A fine 1671 le due Pistorie di San Geremia consumavano 6.181 stara di farina ... Adamo Longhena Forner a San Geremiapagava 169 ducati annui d’affitto, il Forno gli costava 25 ducati annui di manutenzione, e doveva pagare inoltre 10 ducati di Tassa per la Scuola e la Milizia da Mar della Serenissima ... Aveva 5 Lavoranti “per far pane e portar ceste”, che pagava 3 ½ lire alla settimana dando loro anche il vitto. Aveva inoltre altri 2 uomini “per andar a comandar in giro a 8 lire settimana e 2 pani al giorno”; un Infornadòr a 9 lire la settimana e 2 pani al giorno “che faceva 24 forni da 2 sater e ¾ ciascuno a settimana, per 66 stara totali di pane spendendo 24 soldi di canna da brusàr”… Il pane valeva 28 lire a staro … Capitò una rumorosa causa fra Pietro Staggietti Pistor di San Geremia e il Lavorante Lorenzolicenziato dopo che aveva servito per 13 giorni pretendendo il pagamento del mese intero ... Gli vennero pagati solo i 13 giorni.

Fermati … Basta dire ! … che stai diventando troppo lungo da leggere …

Infine Palazzo Frizierdivenne “Lista di Spagna” per via che vi abitava l'Ambasciatore di Spagna, ed era diventata una specie di zona franca di protezione ... La “Lista” era le vicinanze dell’Ambasciata dove si poteva godere in qualche modo d’una certa immunità, quasi di extraterritorialità o “d’antico diritto d’asilo”, che diventava spesso valido rifugio per delinquenti ... un po’ come capitava, ad esempio, al Ponte dei Frari che godeva di privilegio simile e della protezione-supporto dell’Autorità dei Frati della Cà Granda… Ci pensava poi la Serenissima con gli uni e con gli altri “a venir diplomaticamente a patti per andàr ad acciuffàr lo stesso chi di dovere”.

Finito ?

Si … Ultimissima … Il Palazzo Frizier passò poi al Conte Giuseppe di Montealegre che lo ristrutturò nel modo visibile oggi.

Poi l’ex Palazzo di Spagnadivenne sede del Pio Istituto Manin dal nome dell'ultimo Doge di Venezia: Ludovico Manin che lo istituì nel 1857: “Morendo lasciò una cospicua parte (centomila ducati) del suo pingue patrimonio ai pazzi furiosi e a tante neglette puerizie di fanciulli orfani o derelitti, abbandonati da genitori sfortunati  o depravati per crescerle tra le cure di un Savio Regime, volgendoli a beneficio della società esistenze che minacciavano di maturare a sua vergogna o rovina, preparandoli nelle arti, e alla famiglia come uomini robusti, probi, intelligenti ed operosi ...”

Fu la Commissione di Pubblica Beneficenza ad amministrare l'Istituto-Luogo Pio, che iniziò ospitando un’ottantina di fanciulli già presenti a Sant’Antonin di Castello. Nell’Istituto si “ricoverava” in due modi: alcuni venivano “mandati da qualche onesto villicoeducatore ovillica nutrice delle campagne dove si potevano addestrare ai lavori dell'agricoltura”, mentre un’altra cinquantina venivano avviati giornalmente alle Botteghe di Venezia, o presso gli Artieri del Regio Arsenale per poter apprendervi un'Arte. Si evitava di collocare i ragazzi della “classe misera” nelle grandi fabbriche industriali considerate: “ambienti pregiudizievoli per la morale, in preda a disagio e vizio”, e si faceva scegliere ai ragazzi in quale delle due classi di Lavoro-Mestiere volevano istruirsi e addentrarsi.

La prima categoria comprendeva: Incisori di pietre e metalli, Gioiellieri, Orefici, Fabbricatori di strumenti, Doratori in legno o di metalli, Orologiai, Stampatori e Tipografi o Legatori di libri, Battioro e d’argento, Fabbricatori di mobili, Tessitori di seta, nastri, calze e simili, Tappezzieri, Tintori … La seconda contemplava comprendeva, invece: Sarti, Fabbri ferrai, Tornitori, Finestrai, Calzolai, Calderai, Barbieri, Fabbricatori di legno e vernici, Materassai, Falegnami, Cordai, Linaroli, Lavoratori di Canape e Cappellai.

Alla fine di ogni anno di studio e apprendimento erano previsti esami di passaggio con l’esposizione dei manufatti eseguiti ed eventuali premiazioni ... Si lavorava dalle sei ore nei mesi da dicembre a febbraio, e in progressione fino alle dieci ore di maggio-agosto.

Per le botteghe artigiane di Venezia, i piccoli opifici cittadini, e il privato “lavoro domestico a domicilio”, quella dei ragazzi e delle ragazze dell’Istituto era una più che buona opportunità. Gli Artieri“data prova di conosciuta probità e prudente contegno, di libero esercizio del proprio mestiere con bottega propria e con patente pagata dal Municipio, di perfetta conoscenza dei lavori dell’arte esercitata” chiedevano e ottenevano uno-due ragazzi dell’istituto. Il Mastro Artigiano li pagava due lire austriache al mese per il primo anno, poi aveva diritto alla prestazione gratuita della loro manodopera negli anni successivi nei quali avrebbe loro insegnato in cambio l’Arte-Mestiere sorvegliandone contegno e disciplina, e preservandoli dai cattivi ammaestramenti da parte di terzi. L’allievo, compiuti i diciotto anni e completato il ciclo di studio di sei anni era indotto a rientrare nella famiglia d’origine se c’era, o a trovare lavoro stabile presso il Mastro Artiere che l’aveva istruito iscrivendosi alla sua stessa Arte.

Le ragazze, viceversa, venivano ospitate negli Istituti sotto la direzione iniziale di una volontaria Dama Protettrice dotata di “buoni principi”, e soprattutto dalle indubbie disponibilità finanziarie utili per far quadrare in qualche modo il bilancio. In seguito le ragazze furono sottomesse all’egida di Sacerdoti coadiuvati da Educatrici. L’affido all’Istituto veniva realizzato in vista della possibilità di collocare le fanciulle come domestiche presso qualche onesta famiglia o coinvolte in qualche altrettanto onesto progetto matrimoniale di buon partito ... qualche arzillo vecchio facoltoso, che di solito non mancava mai sullo scenario sociale.

L’idea circa la Donna rimaneva sempre la stessa: madre di famiglia dedita ai lavori di casa e dei numerosi figli, o al servizio come domestica-cameriera per la quale erano buoni il Laboratorio di stiro, bucato e cucina. Nel 1877 si scriveva: “i tempi sono cangiati ed è necessario che l’opificio apra le porte per quelle (donne) alle quali più non s’aprono le porte del chiostro”… Pressati quindi dai “tempi nuovi”, si ampliò il panorama occupazionale femminile insegnando alle ragazze anche il Cucito e Ricamo, la Sartoria, il Lavoro a maglia e a Merletto, ma anche la Pittura su Porcellana, la Composizione Floreale, la Telegrafia e Dattilografia, e la Contabilità Commerciale ... Nella Venezia affacciata sulla nuova economia industriale del Cotonificiodi Santa Marta si propose alle ragazze degli Orfanotrofi il Corso di Aspatore per Cotonificio per la manipolazione e avvolgimento delle matasse tessili.

A farla breve … perché è tardissimo …. A metà 1800 i ragazzi assistiti dall’Istituto Maninerano oltre 300, e il Pio Ente era ritenuto dai Veneziani “il meglio possibile” della Carità Municipale … L’istituto ospitava fanciulli e fanciulle abbandonati che non avessero ancora compiuto i dodici anni … Come requisiti era necessario essere presentati da informazioni di Parrocchie e Fraterne, e mostrare alla Direzione opportuna Fede di Battesimo e Certificato di Cresima che confermassero la “buona inclinazione”della famiglia.

La gestione dell’Istituto era soggetta alla sensibilità e alla Cultura Etica-Religiosa del tempo di stampo Asburgico e da Antico Regime conservatore, che intendeva perseguire la “pubblica felicità” accogliendo, tutelando, curando ed educando i minori poveri o privi di genitori ... Il “Regio Sovrano Governo sapiente e bene avveduto”, tutto dedito al rilancio economico di stampo ormai industriale-manifatturiero, vedeva la bontà di tale iniziativa soprattutto in chiave di sicurezza sociale, per distrarre la popolazione dall’ozio improduttivo, dal vagabondaggio, e dal disordine trasformandoli in maestranze produttive ... Il“volgo” secondo il sentire dei “Ceti Alti” quel tempo era soggetto a un Destino di accontentamento del proprio stato, di riscatto, penitenza, assiduità nel lavoro, e obbediente sudditanza rispettosa dell’Autorità Costituita da Dio ... un meccanismo perfetto che non si doveva intaccare.

Come si faceva un po’ ovunque per l’Europa oltre che in Italia, Preti e Suore che erano spesso docenti e mediatori tra l’Istituto e la Società del “Mondo di fuori”, oltre alla Cristiana Morale Educazionecon gli Esercizi Pii della Religione impartivano agli Orfani “rinchiusi”anche l’Istruzione Elementare di base che si svolgeva prima nelle ore serali, poi per un’ora al giorno a metà giornata dopo il pranzo … il cui vitto era per scelta dell’Istituto: “sempre sufficiente, frugale, e da poveri” ... La Cultura Letteraria si apprendeva su due livelli: il primo sul leggere, scrivere e conteggiare, mentre il secondo livello implicava il saper comporre e l’Aritmetica. L’Insegnamento Professionalevero e proprio occupava poi giornalmente per dieci-undici ore, e a questo via via venivano aggiunti Corsi supplementari utili ed integrativi come potevano essere la Geografia, oppure il Disegno Geometrico e d’Architettura, o a mano libera ritenuti fondamentali per l’esercizio di alcuni Mestieri.

Fu grazie all'interessamento ed alla cospicua donazione di circa 50.000 Lire Austriache di rendita del Conte GianBattista Sceriman Vicepresidente della Commissione Generale di Pubblica Beneficenza che l'Istituto si allargò occupando il Palazzo che mise a disposizione in Lista di Spagna, e poi si sdoppiò mandando le ragazze nella sede dell’ex Convento dei Frati Gerolimini di San Sebastiano gestito dalle Figlie di San Giuseppe di Luigi Caburlottoa Dorsoduro. I ragazzi, invece, oltre ad occupare lo stesso Palazzo Sceriman di Cannaregio, entrarono nel grande circuito degli Orfanatrofi Veneziani che comprendeva oltre “il femminile delle Terese”, anche il “Maschile della Visitazione ai Gesuati sulle Zattere di Dorsoduro”, oltre che altre sedi minori alla Giudecca, nelle Isole e in Città.

Nel 1868 si accusò la Congregazione di Carità di abusi compiuti dai Maestri delle Officine troppo anziani, malretribuiti ed eccessivamente irreggimentati che usavano per interessi privati la manodopera a costo zero del lavoro dei ragazzi ... Non li rifornivano a sufficienza degli attrezzi adatti, non garantivano agli Orfani un conveniente inserimento nel mondo lavorativo “delle basse forze”, né si curavano dell’aspetto educativo-morale di cui l’Istituto si faceva fautore … Spesso non riuscendo a sfruttare ulteriormente e come volevano il lavoro dei Laboratori e dei ragazzi, alcuni Mastri se ne andavano lasciando un buco d’insegnamento a metà dell’anno scolastico ... non insegnavano le Arti nella loro interezza, ma solo in quel che loro serviva per i loro scopi.

A un certo punto l’Istituto si trasformò in una specie di Scuola-Collegio Professionale adatta ai figli della classe popolare … A più riprese si operarono soppressioni d’Officine e Laboratori obsoleti sostituiti dall’opera di costose macchine che rendevano sempre meno competitivo il lavoro artigianale. Per mancanza soprattutto di fondi e d’investimenti, si chiuse l’Officina dei Tessitori, quella dei Mosaicisti e del Cartonaggio, e l’Officina Elettro-Meccanica priva di proposte di lavoro e commesse. Si provò ad aprire senza successo un’Officina di Fonderia, ma non si riuscì a trovare né un ambiente adatto nè un Mastro competente nel settore ... Dopo aver bocciato l’istituzione di un Officina Doratori e di un Laboratorio per Maestri Incisori, si chiuse anche il Laboratorio appena aperto degli Scalpellini per l’incapacità didattica del maestro giudicato artigiano troppo grossolano.

All’Esposizione Universale di Torino del 1898, tuttavia, l’Istituto Manin di Venezia conseguì la medaglia d’argento per la bontà e originalità dei manufatti prodotti dai suoi laboratori ed eseguiti da “fanciulli abbandonati trasformati in cittadini onesti dediti alla Patria, e intelligenti operai” ... Fabbri, Rimessai, Scalpellini, Intagliatori e Intarsiatori, Fonditori, Cesellatori, Lattonieri, Calzolai, Tipografi.

In uno ricerca-studio sull’Istituto Manin si legge: “Fino al 1868 alcuni giovani maschi e femmine, raggiunta l’età dell’emancipazione dall’Istituto, trovarono impiego e sbocco professionale sia nella stessa struttura che li aveva accolti, che nel mondo lavorativo esterno. A puro titolo d’esempio: fra gli Allievi usciti da 1892 al 1898, su nove Rimessai: uno trovò lavoro all’Arsenale, uno andò a fare il Sacrestano, uno si diede alla Musica, mentre tutti gli altri si occuparono presso laboratori o ditte Veneziane. Fra i 30 Fabbri dell’Istituto, invece: due andarono a lavorare col padre, uno divenne Carpentiere alla Svl, uno operaio alla Meccanico Moro, uno alla Ditta Isabella, due allo Layet, uno all’Arsenale, uno all’Elvetica di Milano, uno a Genova allo Stabilimento Marittimo, uno a Trieste, uno all’Acquedotto di Verona, uno da Pietro Tis, mentre altri s’impiegarono come Facchino, Orefice, in una Mescita di vino, a vendere ostriche, e a lavorare presso le officine Meloncini, Tendarini, Donaggio, Cendali, Zanpolo, Bianchini e al Cantiere navale di Sant’Elena della Società Veneta, uno andò inserviente allo Stabilimento Petroli, uno fuochista a Santa Margherita, e tre risultarono semplicemente ritirati dall’Istituto dai legittimi genitori.

Dei cinque Falegnami uno è diventato dipendente dell’Orfanotrofio Maschile, mentre un altro si trova presso la Casa di Custodia di Bologna, uno fa il Merciaio a Udine, uno l’Oste, uno Il Falegname a Montagnana, e l’ultimo è dipendente di una ditta di mobili artistici.

Dei sette Scalpellini uno lavora presso alla Zanusso, uno all’Officina Galvan, e uno alla Biondetti, uno presso lo scultore Sanchetto, uno è ortolano a TrePorti, uno fa l’affittacamere con la madre, e un ultimo si è impiegato come contabile presso una società di assicurazioni.

Fra i quattordici Intagliatori: uno è diventato Marinaio, uno è passato all’Istituto Coletti di Cannaregio è ora fa il Merciaio, due sono dipendenti della Topo, uno della Dal Todesco, uno espulso vive con la madre, un altro espulso è ora al Turazga a Treviso, uno lavora presso l’intagliatore Bianchini, uno ritirato dalla madre fa l’Orefice professione di famiglia, uno dopo avere esercitato come Intagliatore, lavora col padre come Legatore di libri, dell’ultimo, espulso, non si sa nulla ... Infine tra i calzolai risulta un solo allievo ritirato dalla madre.

Gli allievi turbolenti troppo vivaci venivano imbarcati come mozzi in bastimenti mercantile ... Dei giovani espulsi uno divenne Pizzicagnolo, un altro andò a lavorare all’Arsenale, e di un ultimo non si seppe più niente.

Circa le 122 ragazze Orfane delle Terese negli anni 1885-1897: ben 93 riuscirono ad ottenere un lavoro retribuito. Oltre alle due fortunate che si fecero rispettivamente adottare dalla Contessa Bembo, e sposare dal Conte Avogadro, le altre: 19 erano divennero Ricamatrici; 12 Cameriere; altre 11: Lavoratrici in Bianco; 9: Domestiche; 9: Operaie al Cotonificio che nel 1887 aveva 919 addetti di cui 273 erano donne; 7: Sarte; 3: Maestre di Studio o d’Istituto; 4: Lavoratrici a macchina o da calze; 2: Infermiere; 2: Bambinaie; ed una rispettivamente: Guardarobiera, Operaia in Fabbrica di fiammiferi, Guantaia, Merlettaia, Tappezziera, Fiorista, Vicedirettrice di negozio … Infine 18 s’erano Maritate, e altre 11 vivevano da Casalinghe.”

L’Istituto Manin fra alti e bassi di stagioni incoerenti, tensioni, ristrutturazioni, episodi di ribellioni interne, e affidamenti a personaggi politici di volta in volta di tendenza diversa, rimase là fino al suo scioglimento definitivo negli anni 1960 ... Dentro a quei muri accadde tanta Storia Veneziana … parecchio sofferta … ma pur sempre Storia con la“S” maiuscola.

Ho fatto tardissimo ancora una volta: lo so, me ne rendo conto … Sono sempre lunghissimo, prolisso e interminabile … Non c’è tempo per queste cose … ma c’era da dire e ricordare anche stavolta.

 

 

Il “Pontìl del Soldo” di San Geremia

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#unacuriositàvenezianapervolta 245

Il “Pontìl del Soldo” di San Geremia

“Un soldo par passàr el Canalàsso …Tariffa magioràda par passàr da Traghetto a Traghetto de traverso ai confini dell’acqua.”

Il Traghetto de Dentro de San Geremia e Bartolomeo con la sua omonima Schola dei Barcarolioggi non esiste più: è rimasto solo “l’angolo de voltàda sul Rio de Cannaregio col Santo mònco”, che sarebbe il Santo Nepomuceno fatto scolpire nel 1742 da Marchiori“a merito”, cioè pagato, dalla NobilDonna Maria Labia e da Antonio Granarol suo Cameriere nel tempo in cui Prè GiovanBattista Spreafighi era Piovano di San Geremia … Il Nepomuceno non era il Patrono dei Barcaroli… anche no.

Quel Traghetto aveva comunque una storia: era il secondo più vecchio di Venezia … e ancora nel 1700 gestiva“71 Libertà” (Licenze da Nolo e di lavoro dei Barcarioli): più di qualsiasi altro Traghetto di Venezia, essendo uno dei più frequentati e utilizzati della Città, e mantenendo perfino 20 barche in servizio notturno disponibili in tre Stazi diversi.

Non era ancora il 1400 (1394) quando Piovano e Capitolo dei Preti di San Jeremiaaffittarono una casa della Parrocchia come sede della nuova Schola del Traghetto contro versamento di “puntuale canone annuo”... La Schola del Traghetto del Soldo si avviò poi secondo le consuete regole tradizionali Veneziane: la Mariegola: la “Màre di ogni regola”, il Libro Mastro dei Confratelli Barcaroli a cui si faceva riferimento, e che in qualche modo riassumeva l’identità, lo scopo e gli appartenenti alla Schola … e poi le solite cose: le tasse di “Benintrada” e“Luminaria”da pagare, e le Cariche della Schola, le Celebrazioni, le spese per i “Corpi”,i Suffragi e le Arche inerpicate in muro o infossate nei pavimenti per i Mortide la Schola… I Barcaroli-Gondolieri si lamentavano che era tutto un continuo pagamento a Schola & Preti… I Preti di San Geremia concessero a pagamento ai Barcarolidel Traghetto un po’ di tutto … anche l’uso dell'Altareconfinante con la Sacrestia dedicabile a San Bartolomeo, davanti al quale avrebbero potuto seppellire i Confratelli Barcaroli Morti… Volendo poi, e pagando un ulteriore supplemento a parte, la stessa Schola avrebbe potuto utilizzare come propria sede "il luòco sòra la Sacrestia, dove c'è l'organo”, a patto d’impegnarsi a spostare l'organo sopra alla porta "in faccia all'Altar Grando, facendo un Pergolo di legno (una cantoria)secondo l'uso".

Il Gastaldo della Schola del Traghetto del Soldo di San Geremiadoveva occuparsi inoltre anche della riparazione e manutenzione delle rive del Traghetto … Se non lo faceva, quelli della Banca della Schola avrebbero dovuto addebitargli tutte le spese.

Nel 1517 i Proveditori da Comun delimitarono con precisione i confini d’azione del Traghetto posto sulla principale porta d’accesso alla Città Lagunare dalla Terraferma. Precisando che “le Libertà” non dovevano essere più di 65, ordinarono: “… nessuno potrà far nolo dai pali del Tragheto di Santa Sofia fino ai pali de le Beccarie, e fino ai pali di San Felise, dal ponte de piera de San Zandegolà fino a le colone de Cà Correr, dal ponte de legno in Canarejo fin a la scovazera de San Jeremia."

A più riprese gli stessi Provveditori intervennero proibendo e ribadendo a chiunque, soprattutto ai Barcaroli del Tragheto de Sant’Andrea de Fòradi San Giobbe, che trattava noleggi di barche per Venezia-Marghera-Mestre, di non approdare e molestare il Tragheto di San Geremia ormeggiando barche all'interno dei suoi confini, e nei pressi del "Pontil del Soldo de San Geremia"... Unica eccezione: solo ai Pescatori Buranelli era concesso di poter ormeggiare le loro barche dentro ai confini del Traghetto per vendere il loro pescato  … sempre “a condizion de non intralciar el lavoro dei Barcarioli de San Geremia”.

A metà secolo gli stessi Barcaroli chiesero agli stessi Proveditori di poter vendere una di quelle “Libertà”per ricavare soldi e rifare la sede rovinosa della loro Schola … Stessa cosa fecero anche i Barcaroli del Traghetto di Santa Sofia alla Cà d’Oro, dependance di quello di San Geremia, intendendo vendere due libertà per sopperire alle spese del riordino della sede e della manutenzione del traghetto.

Ancora nel 1613 prima della Peste, e ancora gli stessi Provedadori de Comun approvarono l’idea dei Barcaroli-Gondolieri di ricostruire il loro Altare in chiesa di San Geremia, e di realizzare un Reliquiario del Bràsso de San Bortolomio”che era proprietà della Schola.

Dopo la Peste, invece: nel 1682, un’apposita "Ducale" richiamò il Gastaldo del Tragheto di Santa Sofia perchè i Barcarioli “non offendessero in atti, fatti e parole i Compagni del Tragèto de San Geremia, Riva de Biasio e Beccarie” ... Era sempre contesa:“guèra” fra loro, anche se i due Traghetti in realtà erano uno solo, cioè erano associati e interdipendenti praticamente da sempre: fin dall’inizio ... quando erano stati ideati e realizzati.

Al Traghetto del Soldo de Ultra di San Geremia faceva“da Stazio de spalla de çitra” quello in Fondamenta de Biasio in Contrada de San Zan Degolà sull’altra sulla sponda del Canal Grande ... Si pagava “un soldo” per traghettare buttandolo sul “tràsto” della barca.

La Fraglia del Traghetto unica in origine si scompose fin da subito in due “Stazi”distinti, che divennero poi due Schole di Traghetto autonome: quelle di San Geremia e Santa Sofia… sempre sul Canalàzzo (Canal Grande) comunque … e sempre nel Sestiere di Cannaregioo Canal Regio o Canarèjo(canal pièn de cànne) ... C’era poi anche un terzo approdo-Stazio “dipendente”dallo stesso Traghetto di San Geremia: stava in Riva dell’Oglio verso Rialto.

Insomma: quello dei Barcaroli dei Traghetti Veneziani era “un intero Mondo” tutto interconnesso e unito che operava in ogni angolo della Città Lagunare: un unico servizio offerto ai Veneziani, ma anche a chiunque Mercadante o Forèsto arrivava e partiva da Venezia.

La Riva dell’Ogio fra San Cassian e San Felise: giusto verso il cuore-epicentro dell’Emporio Realtino, dove sorgeva un tempo il Palazzo delle Poste, pulsava sempre di lavoro, gran fermento, vitalità, impresa e commercio: “giorno e notte … sia de fèria ordinaria, che de Festa”Esistevano verso il Palazzo-Fondaco dei Nobili Brandolini almeno 12 approdi protesi sull’acqua del Canal Grande con apposito Stazio. Si trovavano “de fàsaalla Riva del Canalàzzo”(di fronte) a un nugolo di botteghe e magazzini: “ad uso de Botteghieri e loro Mercandie”.

Sulla stessa Riva c’era anche il Pontile de la Beccariausato dalla Posta de Rialto… e i Pontili della Barca per Padova i cui Barcaroli pagavano tassalamentandosi di dover fornire 79 Galeotti alla Flotta Veneziana: pari al numero dei loro stessi Barcaroli (ogni Galea necessitava di 156 “Galeotti da remo”) … Lo stesso Pontile serviva anche per i Burchielli de Volta, e per la Barca per Este, Frazenè, San Zuane, Monselice e Portogruaro che pagavano alla Serenissima 700 ducati per il nolo del Traghetto per 10 anni … poi prolungati.

Il Pontile per Padovaalla Riva dell’Ogio era distinto da quello “de Fòra della Pasina di San Silvestro” che sorgeva più avanti oltre il Ponte di Rialto. Anche quello serviva lo stesso di collegamento e scambio “con Strà, Piove di Sacco, Vicenza e Modenasulla strada de Padova” ... Il titolo Pasina” era probabilmente una corruzione dialettale della parola piscina” che anticamente sorgeva nella stessa Contrada di San Silvestro ... forse in Campo, presso la chiesa, dove in seguito si realizzò “la vigna di San Silvestro”.

Sempre sulla stessa Riva dell’Ogio c’era anche il Pontile delle Peàte da Ogio per la Sàgoma delle Botti da Oglio, e c’erano altri due Pontili riservati alle Barche de Mestre e Margheradei Barcaroli de San Giobbe, e per i Burci da legname.

Un paio di curiosità sul Traghetto de San Jòppo o Giobbe al Ponte dei Tre Archi, in fondo al Rio de Cannaregio.

Il Traghetto e Scholade Sant’Andrea a San Giobbe o Agiòpo, Job o Jòppe iniziò la sua attività nel 1462 offrendo barche a nolo per Marghera e il Borgo di Mestre avendo Stazio principale poco distante al Ponte dei Tre Archi. La sede della Schola sorgeva in Campo San Giobbe: dove in seguito ai decreti napoleonici del 1806 si provvide a demolire un’ala del chiostro-Convento dei Frati per costruire l’ingresso del nuovo Orto Botanico di Venezia… L'area infine è diventata proprietà ENEL.

I Frati Francescani di San Giobbeconcessero in affitto annuale alla Schola per sessantasei anni un locale con due stanze “poste a pè piàn sòto la Cà Granda dei Frati, contiguo a quello de la Schola de San Bernardin". Gli stessi Frati concessero anche ai Barcaroli di costruirsi un loro altare dedicato in chiesa sotto l’organo ... Per realizzarlo i Barcaroli dovettero far alzare in parete a loro spese lo strumento musicale, poi fecero decorare il loro nuovo altare da Paris Bordone con la bellissima Pala dei “Santi Andrea, Pietro e Nicola di Bari” visibile tuttora.

 

Piccola curiosità storica: la diatriba delle candele della Schola del Traghetto di San Giobbe… Il Capitolo della Schola dei Barcaroli aveva stabilito d’intesa con i Frati Francescani che ogni Venerdì Santo i Barcaroli avrebbero offerto una candela a Confratelli e Frati schierati sulla Riva di Cannaregio al passaggio della solennissima e partecipatissima Processionenotturna: i Veneziani delle Contrade di Cannaregio affollavano rive e strade … I Proveditori da Comun sollecitati dagli iscritti della Schola di San Bernardino intimarono ai poco attenti Barcaroli di non entrare in chiesa per assistere alla loro Messa il giorno di Sant’Andrea con le candele accese per timore che potessero dare fuoco alla loro preziosa Cappella di San Bernardino ... mentre nel 1735 i Fratiscocciati comunicarono ai Barcaroli che: “non  intendevano più schierarsi sulla Riva di Cannaregio, nè tantomeno partecipare alla Processione del Venerdì Santo perchè i Barcaroli avidi della Schola pretendevano sempre la restituzione delle candele terminata la celebrazione”.

Tornando un’ultima volta in Riva a Rialto … C’erano sempre sulla stessa Riva dell’Ogio: altri cinque Pontili dedicati al Traghetto Ordinario con San Felice e la Riva dell’Ogio de SanCassiàn a metà della Calle dei Botteri… Era il “Traghetto de Spàlla” di quello di San Cassàn … Quello di de San Felise e Nicolò era un Traghetto “de Dentro e De Ultra” con30 Libertà, che aveva sede-Schola in Campo San Felise al secondo piano sul fianco sinistro della chiesa, e approdo-Stazio in Fondamenta del Tragheto nel Sottoportego affacciato sulCanal Grande proprio di fronte al Palazzo Corner della Regina.

Ho finito … A fine maggio 1858 il Municipio di Venezia costituì un Fondo di Soccorso per i Barcaroli dei Traghetti e per il benessere delle loro famiglie. Andò a sostituire l’antica “Provvidenza de un soldo per l’ammalà” che tutti i Gondolieri-Barcaroli Veneziani pagavano giornalmente per i Compagni indisposti e inabili al lavoro. Da parte loro le singole Fraglie-Compagnie dei Traghetti costituirono un “Fondo di Soccorso” per Gondolieri bisognosi pagato dagli stessi iscritti all’Arte che sborsavano giornalmente 6 centesimi da maggio ad ottobre, e con porzioni delle diverse multe inflitte agli stessi. Chi si trovava nel bisogno percepiva 1 Lira al giorno estendibile a 2 Lire nelle situazioni speciali segnalate dalla stessa Fraglia … In quello stesso anno fra giugno e settembre si raccolsero: 3.960,12 Lire da esazioni, 54 Lire da Multe, e altre 1.000 Lire elargite a scopo benefico dal Principe Ereditario… Si pagarono a Gondolieri-Barcaroli ammalati: 1.220 Lire, e ne avanzarono altre 2.545,72 con una spesa di gestione del Fondo di 194,40 Lire.  

Una Venezia “di lavoro” che c’era e oggi non c’è più …

Devi far traghetto oggi fra San Geremia e Riva de Biasio ? … Era facilissimo un tempo a tutte le ore: bastava “un soldo per passàr el Canalàsso”… Adesso non è più così ... Sono rimasti solo quelli dell’A.C.T.V. … che passano ogni tanto … se ne hanno voglia.

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Lampi da San Geremia … 1800

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#unacuriositàvenezianapervolta 246

Lampi da San Geremia … 1800

Incominciamo dicendo che nel novembre 1774: per gelosia di mestiere Zuane Saponello Bechèr (macellaio)in Contrada di San Geremia nel Sestier di Cannaregio inflisse varie coltellate al collega Francesco Rizzo detto Ciòmpo che scappando per la Calle del Ridottogridava: “Oh Dio ! … Son morto!”… Infatti giunto alla Farmacia in Salizàda San Moisè esalò l'ultimo respiro ... Il I0 settembre seguente il Saponello da San Geremia venne condannato al bando da Venezia ... ma chissà dov’era finito intanto.

 

Scorreva via intanto la Vita e la Storia anche nell’angolo della Contrada Veneziana di Cannaregio … Poi cadde il Cielo su Venezia … e fu la fine dell’Antica Repubblica Serenissima … A dire la verità: un po’ ci aveva pensato lei stessa da sola con gli ultimi Veneziani ad affossarsi, impigrirsi, “a gigionare su se stessa senza nerbo” e spegnersi … poi erano giunti Francesi e Austriaci che azzerarono tutto portando Inferno e Disgrazia … e Venezia si liquefò come neve al sole della Storia.


Dicembre 1807 l’ex Parrocchia di Santa Lucia con le sue Anime venne associata a quella di San Geremia: Convento e Chiesa delle Monache Agostiniane di Santa Luciavennero soppressi e chiusi, e le Monache fecero fagotto portandosi dietro la Reliquia Santa del Corpo di Lucia, e andarono a rifugiarsi nell’ “OltreCanale del Sestier di Santa Croxe” a Sant’Andrea della Zirada(dove oggi c’è il People Mover).

Tre anni dopo si ampliò ulteriormente il circondario di San Geremia aggiungendovi una porzione dell’ex Contrada di San Leonardo-Lunardo ormai soppressa ... San Giobbe e Santa Maria degli Scalzi divennero succursali di San Geremia, e su tutto s’impianto un unico Piovano: Don Giuseppe Tovini… ma c’era un problema.

Anzi: c’era già da tempo … Già dal 1798 per ordine della Poliziae della Procura del Capitolo dei Preti di San Geremial’amministrazione delle rendite e delle Messe della Parrocchia erano state affidate a Don Roner per via della tenuta irregolare di Don Giuseppe Tosini… Venne addirittura arrestato per debiti: 4.000-5.000 ducati in tutto ... una bella sommetta: l’equivalente della dote di una Nobildonna de Casada ricca Veneziana.

Le voci della Contrada e della Curia del Patriarca sul conto del Prete-Piovano erano impietose e chiare:“il Parroco va in una casa che in faccia al mondo non fa buona figura … e secondo Don De Mattia vi si recano anche Don Vio e Don Guarneri … Non divide prontamente gli incerti di stola in chiesa … Alcuni Preti che abitano in Contrada vestono galantemente perché addetti a qualche Nobile Famiglia … I Sacristi registrano talvolta nei Libri-Messe dei Sacerdoti che non hanno celebrato … Don Ruffini e Don Zendrin bevono un po’ troppo…”

“Dove ghe xè vòse … ghe xè nòsediceva il proverbio … ed era così … In Parrocchiasi registrò anche la sparizione di una libreria di pregio di proprietà della chiesaIl Piovano interessato “dietro superiore ordinanza” venne in ottobre sospeso e sostituito in via interinale dal Sacerdote Lorenzo Pisenti che divenne Economo Spirituale della Parrocchia di San Geremia con le sue pertinenze … e a Cannaregio le cose andarono così … Punto e basta.

Era strana in quel tempo la situazione negli ambienti di chiesa del Decanato Parrocchiale di San Geremia Profeta. Vi esercitavano ben 13 Sacerdoti fra Cooperatori e Confessori … più un Chierico: GiovanBattista Tedesco ... Dopo gli espropri, gli strapazzi, le soppressioni e le riduzioni Francesi e Austriache s’era formata una vera e propria folla girovaga di Clero ed ex Monaci buttati fuori dai Conventi lasciati più che spesso a se stessi e quasi allo sbando. Ciascuno cercava in qualche modo di ricollocarsi come meglio poteva e di trovarsi una collocazione: cercavano tutti un domicilio e una sistemazione economica sfruttando le proprie doti … A San Geremia erano confluiti e si ruotavano nei “servizi alla chiesa”: Fra GioAntonio ex Riformato, Alberto Nava e Giovanni Ronzoni ex Padri Scalzi, Pre Antonio Baldini Cantore della Basilica Patriarcale di San Pietro di Castello, Fra Anselmo Baldacci ex Francescano e Fra Francesco Gianatti ex Cappuccino, Giannantonio Cavenezia Monsignor-Canonico Penitenziere della Cattedrale di Treviso, Don Giovanni Giacometto Vicario di Ballò da dove se n’era andato come Don Pasquale RosadaPiovano di Fontane, e  Don Giacomo Supansich da Paderno sotto Treviso… A San Geremia era poi ascritto e presenziava anche Don Giuseppe Grones che esercitava da Professore di Filosofia presso il Regio Liceo di Santa Caterina di Cannaregio (Foscarini), e Don Pietro Rova che faceva il Professore nel Ginnasio di San Provolo vicino a San Marco ... Infine c’era Don Pietro Zorzi che era stato Maestro Normale a Rovigo, ma aveva preferito convergere in cerca di fortuna in quella che in un tempo recente era stata la Capitale Serenissima.

C’era da fare in Parrocchia di San Geremia ? … Eccome !

In chiesa e negli Oratori Privati delle famiglie Camerata già Calbo Crotta, Manfrin, Bortolotti, Astolfoni, De Georgi… e anche nel non vicinissimo Oratorio della Dipendenza-Ricevitoria dell’Isola di San Giuliano oltre le acque lagunari, c’erano ben5.821 Messe Perpetueda celebrare, con164 fra Esequie e  Anniversari, e altre1.100 Messe Avventizie: un tesoretto insomma … Finchè il Demanio s’intascò le rendite delle Messe senza più corrisponderle ai Preti, per cui le Messe da celebrare rimasero “non soddisfatte”,eccetto 39 Messe Perpetue e 4 Anniversari da Morto… A San Giobbe le cose andavano un po’ meglio: le Messe Perpetue rimaste erano ancora 362 ... C’era poi per quella piccola folla di Preti anche la Dottrina Cristiana da insegnare, che a San Geremia era ben avviata con 300 partecipanti maschi, 3 Sacerdoti e 48 Laici Maestri che insegnavano, mentre la Sezione Femminile trovava posto a San Giobbe“ma era poco curata … ele Suore non erano così brave a gestirla”.

 
Le 22 Monache dell’ex Monastero di Santa Luciavennero per via dei decreti napoleonici espulse, messe in strada, e mandate via in trasferta ... Finirono con l’andare per obbligo ad abbaruffarsi non poco con quelle di Sant’Andrea della Ziràdain Vòlta del Canàl Gande: troppo strette in poco spazio, e troppa differenza di stile e blasone fra le due Compagnie di Monache anche se avevano più o meno la stessa Regola … La Badessa Luigia Maria Lippomano presentò ricorso a nome delle sue Monache di Santa Lucia affermando che il loro Monastero sulla sponda del Canal Grande esisteva da ben tre secoli, ed aveva la capacità di ospitare oltre 70 Monache e 20 Educande appartenenti alle famiglie più illustri della città ... Il Sant’Andrea della Ziràda, invece, era angusto e bisognoso di restauri, e la comunità delle Monache che vi risiedeva: “era piuttosto ordinaria, e si sarebbe potuto benissimo ospitarla nel Santa Lucia.”… La Badessa Chiara Foscarini del Monastero di Sant’Andrea ribadì da parte sua che il suo Monastero con le sue 26 Monache poteva benissimo ospitare le Monache di Santa Lucia, e che non c’era affatto bisogno di  riattamenti e restauri, e che si sarebbe potuto anche accogliere le “secolari Nobili donzelle come Educande”.

Molla e tira … e tira e molla … Brutta mossa delle due Badesse … Al Sant’Andrea della Ziràda finirono concentrate anche le Monache di San Maffio di Mazzorbo,e pure le Canonichesse Lateranensi Bianche di San Daniele di Castello che non volevano saperne di adattarsi nel Monastero Cistercense della Celestia vicino all’Arsenale.

Per “ragion d’opportunità” e col con­senso del Ministero del Culto, le Monache dell’ex Santa Lucia pensarono allora di ritornare di nuovo al­l’antica sede portandosi ancora dietro il Corpo Santo di Lucia… Anche qua c’era però un problema: nel 1813 il loro ex Convento era stato donato dall’Imperatore d’Austria alla Marchesa Maddalena di Ca­nossa, che l’aveva fatto abitare dalle sue 51 Suore di Carità dette “le Canossiane”dedite all’educazione delle povere fanciulle Veneziane … Altra brutta faccenda, e altra “bruta gatta da pelare”… I luoghi del Convento rimasero alle Canossiane, con disappunto e rassegnazione delle Monache di Santa Lucia rimaste senza casa … Finchè nel 1846 si iniziarono i lavori per la Stazione Ferroviaria, e si dovette demolire tutto.

 
Nel 1849 gli Austriaci bombardarono Venezia, e un colpo andò a incendiare proprio laScuola dei Morti di San Geremia… Immaginatevi solo per un attimo i Veneziani dell’ex Contrada … Che vita era ? … Forse peggio di oggi con la pandemia del Covid ?

E le Suore di Santa Lucia dove andarono a finire ?  … Nolenti o volenti, rimasero al Sant’Andrea della Ziràda… e fu così: “con buona pace di tutti … niente da fare.”

Suore: no … ma Santa: si … Il Demanio fece buttare giù l’ex Convento di Santa Lucia ma non la chiesa, concedendo per 62.000 Lire Austriache alla Società Ferroviaria Ferdinandea: “terreno con vasti scoperti con alberi da frutta, vigneti ed orto, un grande edificio ed altri minori, un oratorio, due chiostri, ed altri modesti cortili” … Il pagamento al Comune di Venezia sarebbe avvenuto in tre rate di Lire 90.000 ciascuna, e lo stesso Comune avrebbe potuto usufruire anche delle travature della ex chiesa … La somma sarebbe stata devoluta dal Comune per costruire la facciata mancante della chiesa della Pietà sulla Riva degli Schiavoni.

Che giri di soldi sullo scheletro della deruta Venezia !

Si fece allora la “Stazione della Strada Ferrata” ma non si demolì la chiesa dove si tornò ad ospitare le Reliquie della Santa Lucia… Le Suore Canossiane però vennero presto mandate a Sant’Alvise di Cannaregio nell’ex caserma della Guardia di Finanza “per la sorveglianza dei contrabbandi”, e si diede loro 60.000 Lire per restaurare gli ambienti, e altre 2.000 per pagare il trasloco.

La Fondamenta prospicente la sopravvissuta chiesa di Santa Lucia venne denominata: Nuova Fondamenta della Dogana Principale di Santa Lucia”: ogni tipo di merci entrava e usciva dalla Città Lagunareda quella parte ... Nella stessa occasione si provvide anche a sopprimere il Traghetto di Santa Lucia con la Fondamenta opposta di San Simeon Piccolo detto “delle Mozze” come quello limitrofo degli Scalzi. Si dicevano così per via del fatto che le gondole dei Traghetti di servizio erano senza “ferro”davanti a prua, e senza “Felze” coperto sopra ... Si provvide poi a costruire il ponte di ferro degli Scalzi aperto al pubblico passaggio il 29 aprile 1858: il Traghetto quindi non serviva più ... e fu miseria per i Gondolieri-Barcaroli rimasti disoccupati.

Meno di vent’anni dopo da tutti quei fatti, nel 1860, serviva assolutamente un ampliamento della Stazione Fer­roviaria, perciò: “Al Diavolo anche la Santa ! … Via anche la chiesa !” e si abbattè tutto vendendo ad Adria gli altari, soprattutto quello Maggiore della Cappella Mocenigo.... La Santa Lucia andò quindi ancora una volta in trasferta portandosi stavolta a San Geremia… Ed era l’11 luglio 1860 quando il Patriarca Ramazzotti con tutto il Clero e il Popolo Veneziano l’accolsero a San Geremia facendo un gran festone come fosse stato un gran dono venuto dal “Cielo e dalle Mille e una notte”… Ma festa di che?

Era tutta proforma e apparenza: quel che era stata Venezia stava cadendo pezzo dopo pezzo in ogni Contrada, e come sempre in tanti “facevano buon viso a cattiva sorte fingendo contentezza” quando in realtà c’era solo da deprimersi perché la Venezia di un tempo non c’era più.

Il Sacro Corpo della Santa Lucia comunque rimase sette giorni sull’Altar Maggiore in chiesa di San Geremia, poi venne posto su un altare laterale in attesa di costruirle qualcosa per ospitarlo adeguatamente ... Fu solo nell’1863 che il Patriarca Trevi­sanato tornò a San Geremia dove c’erano Don Giovanni Stella Piovano e Don Giorgio Rigo Cooperatore-Vicario per inaugurare una nuova Cappella per la Santa. Era stata costruita con i marmi di risulta e il materiale del Presbiterio della ormai demolita chiesa di Santa Lucia.

 

In quella che ormai da tempo era l’ex Contrada di San Geremia c’erano attive tre Spezierie da Medicine: “Li tre falconi d’oro”presso Manfrin, “Le due Colombine”, e “Le due Sirene d’oro”a San Girolamo ... Una levatrice risiedeva e operava in zona dove nacquero in un anno 156 fra bimbe e bimbe compensando 154 decessi … C’erano stati 36 Matrimoni ... Sempre nella stessa fetta di Venezia c’erano molte case e caxette con infisso in muro lo stemma dellaSchola Grande della Misericordia e della Scuola Grande di Santa Maria della Carità (l’Accademia per capirci) ...A San Geremia c’era la Scuola Maschile Pubblica Elementare presieduta da Don Susanni dell’Anzolo RaffaelEra frequentata da 122 ragazzi di cui 85 Cattolicie 37 Israeliti: 70 erano in I° inferiore, 34 in I° superiore, e 18 in classe II° ... Il numero di quelli che non sapevano né leggere, né scrivere, né far di conto era ancora altissimo.

Qualche curiosità nelle curiosità … Almeno dieci famiglie diEbrei risiedevano dentro a quelli che erano gli antichi confini della Parrocchia-Contrada … LaComunità degli Ebrei del Ghetto dava 10 ducati annui alla Parrocchia … un Ebreo offriva sempre a Natale e Pasqua 10 ducati per i poveri della stessa, e alla morte di ogni Ebreo del Ghetto di Cannaregio, la famiglia del Defunto era tenuta a corrispondere un’offerta ai Preti della Parrocchia di San Geremia… Incredibile !!! … gli Ebrei davano le offerte alla Parrocchia ? … Il Mondo era davvero rovescio a Venezia … ma funzionava così.

Sempre a San Geremia c’era Calle della Vérgola  Nella “Descrizione della Contrada di San Geremia pel 1713”, si ricordava che era domiciliato in Contrada un certo “Alessandro Zentilini Vergola affittuàl dei Nobilhomeni Priuli” ... Già secondo i Necrologi Sanitari Veneziani nel 1630 era morto in Contrada de San Jeremiaun “Marco de Gieronimo dalle Vergole o Vergola o Vergolèr”, cioè un fabbricante di Vergole ... Ed ancora un altro Artiere dell’Arte perduta delle Vergole abitava non lontano a Sant’Alvise, sempre a Cannaregio, dove c’era e c’è il Sottoportico Vergola: “Le Vérgole erano dei cordoni di seta avvoltolati su sottili rotoli di carta, o delle reticelle di ferro per capelli, che venivano adoperati per ornamento sui vestiti o sulla testa dei Veneziani che allo stesso scopo usavano anche talchi e fiocchi”… Ancora fino a qualche tempo fa era possibile sentire esclamare in giro per Venezia: “Mària Vergola !”

 


Erano anni di grande depressione economica … In zona San Geremia dove i proprietari degli stabili erano Giuspatroni della Parrocchia, su 6.000 residenti si contavano 1.845 “poveri che andavano in calàndo”(erano 2.860 tre anni prima: il 49% dell’intera popolazione della Contrada). 160 di questi percepivano dalle Fraterne Parrocchiali estensione della Commissione Generale di Pubblica Beneficenza attivata nel 1817, un sussidio giornaliero di 25 centesimi agli adulti, mentre ai fanciulli dai 7 ai 10 anni venivano dati: 15 centesimi, e 10 a quelli di età inferiore ... Esisteva nell’ex Contrada un nucleo di persone “provvedute e civili” che si obbligavano a pagare 2,30 lire annue impegnandosi a sovvenire i poveri e visitarli e provvederli a domicilio … In Parrocchia era ancora attivo anche un vecchio Ricoveroper 24 “povere vecchie” che si sosteneva soprattutto con antiche sovvenzioni dellaNobile Famiglia Da PonteSi mantenevano alcune donne sole chericevevano assistenza medica e 27,45 Lire mensili ciascuna … c’erano in Parrocchia anche altre 42 “abitazioni per poveri”   si distribuivano 10 Lire per il matrimonio delle ragazze indigenti della zona ... e “per gli aiuti” c’era anche l’Istituto di Assistenza delle Figlie di Carità“che insegnavano Dottrina alle fanciulle e s’interessavano di bimbi e persone come potevano”.

Ricordo tutto questo per dire che la “modernità”aveva portato anche a Venezia insieme al progresso e all’Industriaanche la fine di tante Arti & Mestieri di un tempo: “E per uno che s’ingegnava a fitàr batèlle in Canal Regio, c’erano tanti altri che potevano mettere a disposizione solo le mani come manovali e braccianti offrendosi al miglior offerente che talvolta o più che spesso passava.” ... La miseria era tanta: più del solito … Le donne poi: “Accanto alle maritate piene di figli che si sostenevano in qualche modo in fragili equilibri economici domestici, ce n’erano altrettante di diseredate, fragili, venute da fuori, abbandonate, sfruttate e vilipese alle quali non rimaneva spesso”secondo le segnalazioni della Questura Veneziana: “che di spalancàr le gambe dedicandosi al mestier più antico del Mondo, cercando qualche fortuna in qualche bettola o casupola sestierale in preda e balia di qualche scaltra vecchia mammona.”


Ancora a San Geremia verso San Giobbe, nacque la S.A.F.F.A.: la Società Anonima Fabbriche Riunite Fiammiferi e Affini… Fu Luigi Baschiera da Dominisia di Clauzetto di Pordenone a prendere in mano quella fascia di produzione e mercato sostituendosi alle due vecchie piccole fabbriche Veneziane preesistenti, e a investire in zona come uno dei principali azionisti. La fabbrica di fiammiferi e cerini sorse in quella zona di Cannaregio dove c’era già dal 1868 la Conteria Corinaldi, Sarfati & C. che “trattava perle di vetro, tirava canne e arrotondava margherite” ...  Niente era niente … Qualcosa era qualcosa: sempre lavoro era.

Nel 1871 a spese del munifico Barone Pasquale Revoltellasi realizzarono la facciata e il retro della chiesa di San Geremiarivolte rispettivamente verso il Canal Grande e il Rio di Cannaregio. Prima la chiesa possedeva un’unica facciata con un lungo portico laterale “che guardava sul Campo” a lato di Palazzo Flangini ... Si portò così a compimento il “grandioso disegno”del Prete Bresciano Carlo Corbollini iniziato sotto il Piovano Giambattita Spreafigi nel 1753 … Avanti e indietro … Avanti e indietro per anni e anni … Alcuni erano andati in giro per l’ex Contrada incaricati da Monache, Preti e Magistrato alla Sanità a raccogliere fondi e offerte in un’apposita cassella per rifare la chiesa … Erano trascorsi ben 78 anni, e i lavori non erano ancora terminati.

Nel 1895-1898, dopo essersi imposta sul mercato nazionale e internazionale, la fabbrica “dei fulminànti”, per colpa della gravosa crisi economica indotta dalle nuove imposte del Governo che intendeva finanziare la Guerra di Eritrea, si trasferì nei pressi della Stazione Ferroviaria trasformandosi in Luigi Baschiera & C.Lì rimase fino al 1950 quando si trasferì nella Zona Industriale di Marghera, e l'area di Cannaregio rimase morta nell’abbandono fino al 1980-2001 quando sorse il nuovo quartiere di oltre 160 appartamenti popolari che si arricchì di nuovi toponimi e nizioletti curiosi come: Campo Saffa; Calle de la Stala; Campiello de la Grana; Calle del Muschier; Corte e Calle del Camin; Calle de la Cereria; Corte del Bagarolo; Calle de le Altane; del Solfarin; de la Biscotela; de la Saponela; del Saon; del Tintor; dei Colori; de la Corda; del Scarlatto; de la Biancaria; del Verde e del Lavander.

Ultimi dati … A fine secolo nell’ex Contrada esistevano ancora tre Oratori Sacramentali Pubblico-Privati: Santa Veneranda e Orsoni e Beistegu in Parrocchia c’erano due Sacerdoti con quattro Seminaristi; all’Istituto Manin c’erano 6 Preti e 4 Suore di Don Orione, mentre 41 Suore dell’Istituto del Sacro Cuore accudivano la zona di San Geremia ridotta a 4.700 abitanti divisi in 1.150 famiglie … e c’era attivo anche un cinema saltuario di 100 posti ... e … si era già ormai in un altro secolo.

 

E ancora … Cronaca curiosa della costruzione della nuova San Geremia & Lucia a Venezia nel 1700 …

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#unacuriositàvenezianapervolta 247

 E ancora … Cronaca curiosa della costruzione della nuova                   San Geremia & Lucia a Venezia nel 1700 …

Zucchi-Lovisa nelle incisioni del 1720 inscenarono “la Caccia ai Tori in Campo San Geremia” che veniva ripetuta spesso in Contrada … Secondo la “Cicalata sulle Cacce di Tori Veneziane” composta e pubblicata a Venezia da Michele Battagia nel 1844, fu famosa quella a cui partecipò l'Ambasciatore Spagnolo, in cui il NobilHomo Girolamo Savorgnan: giovane nerboruto e d'alta statura, tagliò d'un colpo a due mani la testa a due tori d'Ungheria senza aver fatto loro segare le corna.

I Notatori del Gradenigo sono prodighi di note e notizie curiose sul rifacimento della chiesa di San Geremia voluta dal pievano Giovanni Battista Spreafigi: “Il 15 giugno 1753 s’incominciò a scoprire et a disfare la vecchia chiesa di San Geremia onde poi tutta rifabbricata da nuovo sul modello fatto da Don Carlo Corbellini Prete Bresciano che abita in casa del Piovano ... Nel febbraio seguentei Preti nella sfasciata chiesa in rifabbrica di San Geremia fecero doverose e grate Esequie al defunto Cardinale Querini Vescovo di Brescia loro benefattore … A fine aprile 1755, visto che languivano le offerte per il nuovo Tempio, venne esposto il Cristo Miracoloso di San Geremia per un ottavario legato ad Indulgenza Plenaria per la propria Salvezza … Intervenne gran popolo di Veneziani nonché numerose elemosine per la rifabbrica … Giusto un anno dopo, venne offerto da baciare ai Fedeli il Sacro Manipolo per 7 giorni sempre per il buon proseguimento della nuova fabbrica della stessa parrocchiale … Adesso l’edificio era ben avanzato mediante la continua carità dei Fedeli ... L’anno dopo ancora in maggio: il Pontefice per Grazia Speciale concesse per una settimana nuova Indulgenza Plenaria ad ogni Cristiano che visiterà la Parrocchiale di San Geremia dove venne di nuovo esposto a questo effetto il Miracoloso Crocefisso, da che intervenendovi molto Popolo di Veneziani vengano contribuite abbondanti elemosine onde sollecitare ulteriormente la gran fabrica di quel nuovo e sontuoso Tempio … Il 27 aprile 1760 la quasi chiesa venne benedetta non ancora terminata dal Patriarca Giovanni Bragadin …”


Il 06 ottobre 1761 scrisse ancora il Gradenigo negli stessi Notatori: “… a tempi più moderni il famoso Giacomo Palma dipinse un altare con la Vergine e San Magno che pone corona d’oro in capo ad una figura significante Venezia, e la provincia tutta beneficata con l’opera e col consiglio da lui providi insegnamenti …”

E tre anni dopo: “Ingresso sfarzoso del nuovo Piovano Don Francesco Girardini … secondato con le più vive rimostranze di stima in modo che in campo e le strade del vasto Cannaregio comparvero addobbate mai più tanto e … fu stampato il ritratto suo somigliantissimo in intaglio di rame da  mano virtuosa inciso …”

 

La nuova chiesa presentava orientamento inverso alla precedente in modo che la facciata principale prospettasse sul campo San Geremia, con l'ingresso preceduto da alta gradinata … L’interno a croce greca chiaramente ispirato al modello della Basilica della Salute, venne realizzato a bracci simmetrici terminanti con un'abside semicircolare … Il campanile è quello della vecchia costruzione ... La facciata fu pronta e completata solo nel 1871.

 





Cronache da San Geremia … ancora.

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                   Cronache da San Geremia … ancora.

Ci sarebbe di che perdersi a dire e scrivere dell’ex curiosa Contrada Venezia di San Geremia, così come delle altre in verità. Si trova di tutto sbirciando seppure superficialmente fra le note, i regesti, le Cronache Antiche Veneziane, nonchè nell’“Archivio di San Geremia”, e leggendo le sue "Constitutiones Sancti Hieremiae", gli "Inventari", lo"Status Animarum di San Hieremia”, i “Libri Canonici”e i tanti atti e vicende delle ben dodiciSchole ospitate in chiesa, e circa i Veneziani vissuti in Contrada lungo i secoli.

I confini della Contrada di San Geremia arrivavano in fondo fino a San Giobbe, dove c’erano le Chiovere e Chioverete di San Job o Joppo, e le Beccarie... Nel 1713 circa quel “luogo in fondo” in Calle delle Chioverette sulla Fondamenta di Cannaregio, si diceva: “Loco di Chiovere, Tentoria, campagna, horto, tezze, casa da statio, ed altre casette e botteghette, fondo dell'Illustrissimo Missier Contin Carara ove si fabbricano panni ad usanza di Olanda … Li sudeti stabili sono stati fabricati dal Consortio Carara, Cotoni, Pietro Comans, e Gabriel Berlendis, e l'horto suddetto delle Chiovere è posseduto dal suddetto Carara, et al presente il tutto è in lite senza affittanza”.

Chi non ricorda poi il Magazzino al Cavallo in Campo sull’angolo, o la Festa de Santa Lùssia con i banchetti in Campo ? … ma anche i Mobili Rogliani in Fondamenta verso San Giobbe, o il “Fitabatèlle”in Canal, e i tanti locali, botteghe e palazzi affacciati sulla magia del Canal Regio di fronte al Ghetto: “Casa su casa” sempre vivissimo e pieno delle tracce della fascinosa e trista epopea degli Ebreianche a Venezia … Ognuno di noi Veneziani ha dentro vivissime mille memorie … Questa è Venezia: un piacere starci dentro.

Stavolta non voglio annoiarvi più del solito … Provo a farla breve, anche se non ci riesco quasi mai ... San Geremia con la sua Contrada è stata storia intensa d’affari, traffici e commerci tipicamente Veneziani … Giugno 1207 a Rialto: Giuliano di Erardo da Bologna ricevette a cambio marittimo su Durazzo da Tommaso Viaro del Confinio di San Maurizio100 perperi d’oro vecchi e pesanti, cioè di buonissima qualità …. Erano testimoni dell’atto: Dominicus Georgi che faceva il Prete-Notaio a San Geremia, e il Giudice Jacobus de Molino

Vent’anni dopo circa, Attone da Troia Mercadante del Confinio di San Geremia dovette presentarsi a deporre e rendere conto circa un furto di 24 pezze di drappo feltrino, una pezza di fustagno, e una pezza di “fiorentino”consegnatagli da Marin Grassello dei Frari e poi scomparsi … Come andò a finire ? …  e chi lo sa ? … Vent’anni dopo ancora in aprile, e sempre a Rialto: Pietro Pino Vescovo di Castellofece quietanza a Donata Badessa dell’Isola di San Giacomo in Paludo“del decimo” che le spettava dell’eredità di Diamante fratello di Marco Venier del Confinio di San Geremia diventata “Conversa”nel Monastero Lagunare … Rese giuridico l’atto: Marcus Nichola, pure lui Prete-Notaio della Contrada Sanctae Yeremie ...

Vado avanti ? … E siamo a metà secolo, a fine estate, e sempre a Venezia nell’Emporio Realtino diventato ormai internazionale e vispissimo. Davanti ai testimoni, Examinator, Judex e Notai: Jacobus Basilio, Iohannes Baduario e Marinus Prete dalla Contrada di Sant’Aponàl: Nicola Sirano del Confinio di San Martino in Gemini del Sestiere di Castello ricevette a prestito da Martino Gisidel Confinio di San Geremia Lire 200 “per commerciare ovunque dietro corresponsione di ¾ dell’utile” ... Quasi in contemporanea lo stesso Martino Gisi rilasciò anche quietanza di 100 Lire restituite da Marino Businago del Confinio di San Severo, prestategli da Geremia suo fratello “per commerciare ovunque sino a Pasqua dietro corresponsione di ¾ dell’utile” ... Era presente all’atto il Notaio Leonardus che faceva anche il Prete in Contrada di Sant’Angelo nel Sestiere di San Marco.

Potremmo andare avanti tantissimo … Sentite questa: nell’aprile 1268 a Rialto: Pietro Viarodel Confinio di San Maurizio vendette tre mansi con decima divisi in 10 terre e due altre terre site a Casièr di Trevisoad Agnese vedova di Ansuino di Caristo del Confinio di San Geremiadi cui aveva sposato Ziburga sua figlia. In cambio ricevette 1.000 Lire di Denari Veneti di fronte al Notaio Antonius Prete che viveva facendo anche il Piovano di Santa Sofia nel cuore di Cannaregio ... Poco dopo di fronte a un Notaio diverso: Johannes Flabanico che fungeva anche da Chierico nella chiesa di Santa Margherita a Dorsoduro, la stessa Agnese regalò di ritorno le stesse terre allo stesso Pietro Viaro ... Però: che fortuna !

Quasi cento anni dopo, Marco Bianco Alunno della Collegiata dei Preti San Geremiae, tanto per cambiare, anche Notaio presso l’Avogaria da Comun della Serenissima, divenne Vescovo di Jesolo, e rimase tale fino alla morte, ma continuando ad esercitare la stessa professione di Notaio a Venezia … la fame di soldi e di prestigio era tanta ... inesauribile, incontenibile … e Venezia si prestava benissimo per tutto questo.

Circa verso la metà del 1300 la Repubblica Veneziana dei Mercanti fece ampliare per comodità pubblica e beneficio di mercato la strada fra la Contrada di San Bartolomeo di Rialto col Fondaco dei Tedeschi e le botteghe-magazzini della limitrofa Contrada di San Giovanni Crisostomo e la lontana Contrada di San Geremia di Cannaregio, facendo abbattere alcune case e un campanile. Si stabilirono dei Commissari per ripartire costi e spese fra tutti coloro che avrebbero avuto un utile da quella operazione. Tutti gli abitanti residenti in Cannaregio si tassarono dalle Parrocchia di Santa Lucia fino a San Giovanni Crisostomo: chi beneficiava maggiormente pagava di più. Quelli delle Contrade di San Giovanni Crisostomo e Santa Sofia avrebbero pagato: 2 soldi, e 6 denari per ogni valore di 1000 Lire di loro proprietà … Quelli da San Marcuola a San Feliceavrebbero pagato una quota di 1 soldo e 6 denari, mentre quelli della zona più lontana di Santa Lucia-San Leonardo avrebbero dato 1 soldo ...  L’unica Contrada esentasse era quella di San Bartolomio di Rialto ... Così stabilì la Serenissima col suo Doge e le sue Magistrature.

Cambiamo argomento … La Contrada di San Geremia fu anche storia di botte da orbi, uccisioni, delitti e delinquenze ... come altrove d’altronde … Nell’estate 1592: Giovanni Angelo Veronese dalla Contrada di San Geremia e il Lucchese Giovanni Battista Barlari aspettarono in Calle delle Due Cortiil Samiter Marc'Antonio Visentin e lo uccisero …  e già che c’erano, ferirono gravemente anche Bernardina, e alla testa Orsetta moglie di Zanetto che erano state testimoni del feroce omicidio … Nel settembre 1600, invece: venne arrestata Cate da Cattaro, moglie di un certo Fiorina trovato morto e sepolto sotto il pavimento della cucina di casa sua in Contrada di San Geremia ... La donna venne torturate per bene perché rivelasse i nomi dei suoi complici ... E infatti li svelò: Daniel Danna e Santo Barbier, che però vennero rilasciati lo stesso giorno perché non c’entravano niente con l’uccisione ... Caterina da Cataro venne decapitata lo stesso mese … Nel maggio 1636, ancora, in anni tristi e difficili di Pestilenza: quella della Madonna della Salute per capirci, tre Frati-Padri Domenicani: due da Napoli e uno da Roma, andarono a supplicare e chiedere protezione e sostegno alla Serenissima per via delle molestie che subivano di continuo nelle chiese dove si presentavano a predicare: Santa Maria Formosa nel Sestiere di Castello, e a San Geremia e San Marcuola a Cannaregio … Ma che andavano dicendo tanto da far inviperire i Veneziani che li aspettavano fuori della chiesa per minacciarli e picchiarli ?

Boh ! … Non si sa …

Per terminare aggiungo ancora due parole circa le curiose vicende della “Traslatio” delle Reliquie della Santa Lucia, che è sempre stata un po’ il fiore all’occhiello della Contrada di San Geremia: una Santa davvero catalizzatrice di tanti Veneziani non solo di Cannaregio ... una Festa Veneziana sentita da tanti per secoli.

Si sa bene che il Corpo di Santa Lucia venne rubato dai Veneziani a Siracusa in Sicilia dov’era rimasto per diversi secoli dentro a una pomposa Basilica con tanto di Monastero sorto accanto e d’intorno … Ci sono vari racconti dell’accaduto: qualche cronaca dice che all’inizio, nel 1039, fu Ma­niace Generale degli Imperatori Basilio e Costantino di Bisanzio, che si portò via le Reliquie a Costantinopoli come preda-bottino di guerra ... Secondo altri, invece, fu: Feroaldo Duca di Spoleto a prendersi Siracusa col “Corpo Santo della Santa”portandoselo a Corfinio nelle Terre dei Peligni, e dandolo poi al Vescovo di Metz che se lo sarebbe portato via in Francia (?).

La tra­dizione racconta ancora che nel 1204 fu il Doge Veneziano Enrico Dandolo a saccheggiare Costantinopoli inviando di tutto a Venezia in Laguna, e aggiungendovi anche i “Corpi Santi di Santa e Agata” finito quest’ultimo nella Contrada di San Boldo o Ubaldo nel Sestiere di San Polo ... Altri documenti parlano, invece, delDoge Pietro Centranico, ma fu probabilmente un errore di copiatura dell’amanuense distratto, che lesse 1026 al posto di 1206 armonizzando il fatto col Doge dell’epoca … Poco importa.

La cosa più interessante è che i Veneziani “rubarono” i Santi Corpi-Reliquie per salvarli dagli Arabi… Per secoli spiegarono a quelli di Siracusa, che alla fine avrebbero dovuto essere contenti se i Veneziani s’erano portata via la Santa salvandola … Perché recriminarne tanto il Corpo ? … Gli Arabi avrebbero buttato nelle fiamme le Reliquie … quindi ?

Cosa più curiosa ancora … A Ve­nezia esisteva già fin dal 1167 e 1182 una chiesa dedicata a Santa Lucia… I Veneziani s’erano presi avanti in anticipo … In attesa forse di recuperare in giro per il mondo la Reliquia giusta, s’erano già costruiti la chiesa ... Succedeva spesso questa cosa a Venezia … Venezia era Venezia.

Il Corpo Santissimo della Luminosissima Santa Lucia giunse insomma a Venezia, e venne collocato a San Giorgio Maggiore di fronte a San Marco. Quello era uno dei luoghi celeberrimi di Venezia: il top dei topo della cultualità e della devozione Veneziana Religioso-Civica dell’epoca ... Ci fu subito un enorme flusso di Veneziani e Pellegrini che accorsero là dalle Lagune Veneziane e da tutta Europa, e l’annuale giorno della festa della Santa: il 13 dicembre, c’era un concorso di popolo di proporzioni impressionanti con un andirivieni d’imbarcazioni indicibile ... Fu il 13 dicembre 1279 che avvenne la disgrazia: alcuni Pellegrini non Veneziani, quindi poco abili a destreggiarsi con barche e acqua, morirono an­negati in seguito al capovolgimento delle loro imbarcazio­ni per colpa di un turbine improvviso accaduto sul Bacino di San Marco in Laguna ... Ci fu un enorme sconcerto a Venezia, perciò il Senato Serenissimo perchè non si ripetessero più tali incidenti, decise che il Corpo della Santa Luciafosse por­tato in una chiesa di città raggiungibile facilmente senza incorrere in tanti pericoli ... Si scelse Santa Maria Annunziata ossia “la Nunciata di Cannaregio” dove si traslocarono le preziose Reliquie il 18 gennaio 1280 con una ultrasolennissima processione acquea pomposissima e memorabile.

Nel 1313 si consacrò la nuova chiesa dedicata a Santa Luciasulla punta estrema di Cannaregio dalla Parte del Canalàsso, e le Reliquie della Santa finirono deposte definitivamente lì ... Una Santa sempre in viaggio, sempre in trasferta insomma ... in mezzo alle liti di Preti, Laici, Frati, Monache, Nobili e Contradaioli Veneziani per detenerla e ospitarla ... Vi risparmio i dettagli …

La “Santa degli òci” strada facendo perse un po’ i pezzi: nel 1579 l’Im­peratrice Maria d’Austria devotissima a Santa Lucia passò per Venezia … Il Senato Veneto per omag­giarla le regalò un pezzetto-Reliquia della Santa: fu il Patriarca Trevisan in persona a tagliarne una piccola porzione del lato sinistro del CorpoSanto, e a inviarlo all’Imperatrice … Altre Reliquie si trovano a Siracusaportate là nel 1556 da Eleonora Vega, che le ottenne a Roma dall’Ambasciatore Veneziano… altri“frammenti di braccio sinistro” vennero portati ancora a Siracusa da Venezia nel 1656. Fu il Frate Cappuccino Innocenzo da Caltagirone, pure lui straDevoto della Santa, a portarle là ... Altre Reliquie finirono a Napoli, Roma, Milano, Verona, Padova, Montegalda di Vi­cenza… e anche in altre chiese della stessa Venezia: a San Giorgio Maggiore, ai Santi Apostoli, ai Gesuiti di Cannaregio alle Fondamente Nove, e ai Carmini di Dorsoduro... Anche all’estero ci sono Reliquie di Santa Lucia: a Lisbona, ad esempio, provenienti da Venezia nel 1587; in Belgio dal 1676; a Nantes in Francia dal 1667 ...

Ultimo “prelievo” della Santa ? … Nel 1728, quando i Veneziani decisero di omaggiare anche Papa Benedet­to XIII, cioè Pietro Francesco Orsini da Gravina di Puglia, ennesimo devoto di Santa Lucia, diventato “da Monaco” Vincenzo Maria e poi Sommo Pontefice.

Mi fermo qua per stavolta …

 


“el Sant’Iseppo de Castèo.”

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 #unacuriositàvenezianapervolta 249

“el Sant’Iseppo de Castèo.”


 Era il 25 giugno 1512 quando il Senato permise con apposito decreto la costruzione di Chiesa e Monastero di San Giuseppe, cioè Sant’Iseppo in Venezian … o San Bèpi de Castèo … La popolarissima zona periferica era stata da poco bonificata e rubata alle acque della Laguna, ed era ancora ricca di secchi, fondamente, rii, ponti, campi e squeri ... Una larga area venne consegnata ad alcune Monache Agostiniane da Verona alle quali si assegnò anche un emolumento di Stato di 400 ducati annui oltre alle elemosine che avrebbe raccolte una Confraternita-Schola appositamente istituita per l’occasione … Venezia Serenissima era Venezia: funzionava sempre a suo modo.

Chiesone e Monastero sorsero quasi subito, e il Nobile Girolamo Grimani ci mise lo zampino facendo costruire a sue spese la Cappella Maggiore della chiesa che però venne laboriosamente completata e consacrata solo nel 1643 … cioè ben 130 anni dopo l’arrivo delle Monache di Sant’Iseppo.

 


Nella Contrada attorno intanto, in quella che ancora oggi è Corte Novello abitava Martin Novello che dichiaravaai Dieci Savi: “Mi atrovo havere una casetta posta in contrà de San Piero de Castelo, a Santo Isepo, ne la qual habito con la mia famegia”… Poco distante, invece, in Corte Sabbioncella,stava appunto: Giacomo Sabioncello Calafào dell'Arsenal: “me atrovo haver una meza caseta a pepian, fabricata sopra mezo teren, ne la qual habito co la mia povera famiglia già anni venti, la qual sono ne la contrà di San Piero di Castello a Sant’Iseppo, in una corte chiamata de Domenico Sabioncello”Domenico SabbioncelloMarangon dell'Arsenalera suo zio.

Sempre a e ancora là,in Corte del Prete Zoto stavolta, abitava Prè Francescoche era zoppo per davvero e non solo di nome, e poco distante risiedeva anche Pietro da Liesina Patròn de nave, che notificò agli stessi Savii nel 1566 di possedere tre case nel Sestiere di Castello: “una a Sant’Iseppo ove da 25 anni abito colla mia propria famiglia composta di dieci persone; l'altra pure a San Giuseppe; e la terza a Sant’Antonio: le due ultime le do a pigione.”... Pietro da Lièsina in realtà faceva di cognome Fasanich, e scandaloso fu il processo istituito contro sua figlia: Suor Deodata, che era Monaca proprio nel Sant’Iseppo di Castello al tempo in cui governava la Priora Cipriana Morosini… Oggi in zona Sant’Iseppo o San Giuseppe esiste ancora la Corte Piero da Lièsina.

 


Ed eccoci giunti al dunque: le Monache di Sant’Iseppo s’erano più che ambientate, inserite ed evolute nella nuova Contrada Veneziana … A dirla tutta: s’erano letteralmente scatenate.

Solito carogna mi direte, che va a mettere il dito sulle vecchie storie “delle piaghe” delle Monache Veneziane … Che c’era così di strano in fondo ? … In quell’epoca si costumava così un po’ ovunque in Italia e nel Mondo Europeo e oltre, per via che buona parte di quelle donne erano Monacature forzate … quindi certe storie …

Quindi no … racconto lo stesso … Venezia è Venezia, e la Storia è Storia così com’è accaduta … Nella primavera-estate del 1570 si portò a processo “Un Piovan de Venexia e so fradèo par visite clandestine alle Muneghe de Sant’Iseppo de Castèo …”

 


Al principio dell’anno seguente: Piero Ortolan de le Mùneghe, Agnolo Spendàno delle stesse, Domenico Barcarol e Donna Maddalena mugièr de Domenego, ed altre due donne dello stesso Monastero Agostiniano de Castello presentarono denuncia particolareggiata contro Cipriana Morosini Priora dello stesso Convento de Sant’Iseppo o Giuseppe, e contro il Confessore delle Monacheche aveva ricevuto dalla stessa: “… grandissima baldanza et grande dimestichezza … al punto che lo stesso andava in Monastero di hora et di stra hora insieme con Gasparo suo fratello … andar quando li ha piaciuto per il Convento et per le celle della Priora e della sua nezza, et di più essa Priora nel Confessorio di detto Confessòr dove esso sta et dorme quando le confessa a mangiar con lui insieme con sua nezza et anco quando esso Confessor è rimasto Arciprete della Congregazione, essa madre gli buttò le man al collo et lo basò in segno di allegrezza in presenza di tutte le Monache…”

Suor Dorotea aveva provato con lettera a denunciare la situazione al Patriarca e ai Provveditori da Comun della Serenissima, ma come risposta venne rinchiusa in cella fino a nuovo ordine. Al processo testimoniò: “… anchora di più in un giorno di Carnevale andò il Confessor e Gasparo in detto Monastero dove andava quando gli pareva anche per il passato … et sonavano di manicordo et le Monache ballavano travestite in presenza loro …”

Quella stessa volta quando un Murèr che abitava nelle vicinanze si avvicinò al Monastero, le Monache smisero di ballare e suonare e si recarono dalla Monaca presunta spia “con grandissimo impeto e furòr trascinandola in prisòn dove fu lasàda per mesi cinque per il solo fatto di aver detto: “… il Padre sòna nel Monasterio …”

Alla testimonianza della Consorella contro di loro le Monache punte sul vivo s’indignarono e reagirono: “… l’ho mai sentita se non a dir mal, et maledir l’anima di suo padre et sua madre …” dissero contro Suor Deodata screditandola e ponendola a sua volta contro i suoi stessi familiari … Tutto inutile: Monache e Confessore subirono il Processo, e l’anno seguente il Patriarca Giovanni Trevisan tuonò letteralmente contro tutte le Monache Veneziane ordinando: “… del mandato del Patriarca di Venezia sia commesso a tutte le Madre Abbadesse, Prioresse et Monache di cadaun Monasterio … che in virtù de Sancta Obbedienza et sotto pena de Escomunicatione debbino obbedir al mandato del Patriarca del 11 gen 1565 altre volte intimidatori, di non ammetter né permetter che nelli Parlatori si habbi a disnàr, né mangiàr per alcuna persona sii di che condizion e grado si voglia, né padre, né madre, né fratelli, né sorelle, né admetter maschere, buffoni, cantori, sonadori et de simili sorte persone sotto niuno pretesto, né modo, che immaginar si possa, né permetter che in essi Parlatori si balli, né si canti né si soni per alcuna persona sii che si voglia …”

Severo ed esplicito no ? … Le Monache dovevano essere Monache in fondo … e le Clausure: Clausure … pena la credibilità di tutto il sistema non solo Religioso, ma anche Civico Veneziano ... Tutto doveva rimanere almeno in equilibrio e consono con se stesso.

 


Trascorsero vent’anni … e niente … non era cambiato granchè nel Sant’Iseppo di CastelloNel 1593 fu la volta del Patriarca Priuli d’intervenire, che alla Visita decretò di allontanare i cani personali delle Monache dal Monastero entro tre giorni ... Le Monache vennero anche richiamate per il fatto che nel Refettorio si tendeva a sedersi con amiche e parenti invece di rispettare il previsto ordine di anzianità ... Le Monache anziane lamentavano ai visitatori: “… la gioventù non porta quel rispetto alle vecchie che bisognaria …”

Durante la Visita emerse anche il fatto che“… tre Monache inquietano grandemente il Monastero …” Erano Suor Marietta Dolfin, Suor Dorotea Sforza, e Suor Mansueta Pase. La Dolfin era arrivata a condividere il letto con una Conversa Lorenza di estrazione inferiore. Le Monache vennero anche accusate di frequentare scarsamente il Coro, e di distinguersi per la vanità del vestirsi: “… quelle che sono più vane delle altre sono le sopradette … che a detta Dolfin sono stati trovati belletti, zoccoli alti, e porta calze di seda con merletti dorati…”

Il Patriarca a fine Visita avvampò di nuovo: “… in virtu’ di Santa Obbedienza non dovessero più praticar né parlar insieme se non in luoghi comuni alla presenza di altre Monache, per cose necessarie, sotto pena di esser prive d’andar alli Parlatorii per un anno e d’altre pene arbitrarie …” Dalla relazione dei Visitatori del Patriarca si evince che la comunità del Sant’Iseppo era divisa in gruppetti per età e lignaggio: il gruppo giovanile era incrementato e sostenuto dalle 17 Educande: “le fiòle a spese” tenute a convitto: “… alcune di queste giovane et altre stanno insieme nelle celle particolari fino sei hore di notte con finta di lavorare e si fanno dei strepiti et altre cose, che non stano bene…”

 


Alla Visita del Patriarca Vendraminal Sant’Iseppo di Castello del 1618 si contarono: 67 Monache “da Coro” di cui 35 Nobili Patrizie… Il Monastero prosperava: era fra quelli più rinomati e famosi di tutta Venezia e la Laguna …. Nel Monastero si ospitavano anche 22 Converse non Nobili chiamate spregiativamente: “Mùneghe da scàfa”, e 30 “fie a spese”: le Educande …  Franceschina Littegato aveva diverse amiche nel Sant’Iseppo che incluse tra le quattro chiese Veneziane in cui desiderava fosse celebrata “una montagna” di Messe dopo la sua morte “per la salvezza de la so Anema” ... Morente, nominò due Converse del Sant’Iseppo: Suor Anna e Suor Caterina conferendo loro l’incarico di vestire la sua salma percependo per quel compito un ducato a testa oltre al costo dell’abito.

Nel 1626 quando ormai in Laguna incombeva la Peste della Madonna della Salute, le Monache del Sant’Iseppo scrissero ben tre lettere ai Provveditori sopra i Monasteri tramite le quali si lamentavano che il Calabrese Prè Verruccio loro Confessore aveva modi talmente rozzi con loro, che molte donne non si consideravano nello stato appropriato per ricevere la Comunione dopo essersi confessate da lui. Il Confessore fino a pochi anni prima aveva esercitato “da bravo”, e a ricordo di quella sua mansione portava ancora la spada al fianco. Le Monache del Sant’Iseppo ricordavano e facevano appello al loro Status Sociale:“… siamo pur nate del proprio sangue di cotesta Repubblica, et quelle ancora che non son Gentildonne ma hanno ancora la loro Anima per la quale il Signor Iddio sie venuto di Ciello in Terra …”

 


In quello stesso annoil Patriarca ordinò un’indagine sulla sospettatissima Monaca Suor Fiorenza:“… se essa sia mai trovata con Suor Elena et con Suor Chiara ne Parlatori et haver le còtole alzate et le mane in brachesse ed da chi et se si baciavano et altre simil sporchezzi ...”

E piovvero Processia raffica dell’Inquisizione Veneziana e della Serenissima sul Sant’Iseppo: “Processo per cattiva fama di quel Confessore”; “Processo per pranzo di un Secolare con quattro Monache”; “Processo per le Monache che invitano a pranzo un Prete”; “Processo per colloqui di un Patrizio con due Suore”; “Processo per due Secolari trovati in Parlatorio”… e altro ancora.

Nel 1632 le Monache da Coro erano ancora 64, le Converse: 20, e “le fie a spese”: 26 … la vita scorreva “normale” nel Sant’Iseppo: non era successo niente ? … Clamoroso testamento di Angela Caristo nel 1644, che fece spettegolàr mezza Venezia: l’esecutrice testamentaria e principale beneficiaria di tutti i suoi beni risultò Suor Fede Priuli del Sant’Iseppo di Castello ... In quegli anni il Monastero non se la passava male economicamente, anche se riceveva comunque dalla Repubblica 20 staia da “elemosina di grano” ... Madonna Clara Buttacalice Priora confessò ai Provveditori sopra i Monasteri che tutte le loro risorse dipendevano dalle Educande: “… se non fossero queste, non s’avrebbe da vivere…” e Suor Paola Gabrieli ripetè: “… vivemo, si può dire, di tener fiole a spese…”

Nel 1653 però, malgrado le entrate delle numerose e pingui Mansionarie di Messe e le rette dell’Educandato, le uscite del Monastero superarono le entrate a causa delle feste dispendiose che ne prosciugavano le casse dandogli in cambio la fama “di Claustro irrequieto e turbolento”. La Badessa convocata confessò davanti a Doge, Patriarca e Signoria: “… purtroppo … questo Carneval vi sono state maschere a disturbar il Monasterio … ma “pezzi grossi” che bisogna tàser et haver patientia …”

Si trattava del figlio del Provveditore Foscarini, del NobilHomo Tribuno Memmo, e dei due fratelli Barbarigo di Barberia delle Tole che mesi dopo dipinsero un cartello vergognoso sulla parete del Parlatorio dedicandolo proprio alla Badessa Madonna Clara Buttacalice.

La Serenissimaintera in tutte le sue figure istituzionali rallentò di fronte a quei nomi, e si finì con l’allestire solo un “vago processo per scandali in Parlatorio per opera di persone ignote”… I Nobili Veneziani con i loro figlie e figlie erano troppo importanti: si dovevano preservare, e non si dovevano né toccare nè importunare in alcun modo ...

 


Nel 1655: sul Rio dei Vecchidi fronte allo stesso Monastero di Sant’Iseppo, abitava il giovane Prete Bortolo Viani, scostumato e manesco, impiegato poco distante nella Cancelleria del Nunzio Apostolico rappresentante del Papa a Venezia. Aveva fatto aprire di proposito nella propria casa due finestre prospicienti certe altre grandi del Convento dalle quali poteva giorno e notte conversare con le Monache. Una certa Suor Marietta Dolfinsu tutte le altre … Ancora lei !!! … “indossava indumenti di gran lusso e alla moda, anche belletti e profumi con i quali impregnava le lettere dirette a Prè Viani”.

Ripresero a scorrere i Processi: per un anno intero si andò avanti a processare Monache e Patrizi per “Visite frequenti di otto secolari, fra' quali alcuni Nobili ai Monasteri dell’Umiltà, Corpus Domini, San Daniele, Sant’Iseppo e la Celestia”… poi:“per pratica scandalosa di un Prete con una Monaca”; “per visite frequenti di un Secolare”; “per atti scandalosi di un Prete”... e via così.

Nel marzo 1683 Suor Maria Catterina Bellotto Abbatessa del Monastero della Madonna dei Miracolidi Cannaregio attestò con ricevuta il versamento di 25 ducati in elemosina al Monastero da parte di Missier Pietro Basadonna ... Musico.  Era stato condannato a multa pena il bando da Venezia per non essersi presentato alle prigioni dei Capi del Consiglio dei Dieci accusato di aver suonato nella sera dell’Epifania senza permesso e dopo le ore concesse al Sant’Iseppo di Castello e nel vicino Sant’Anna“insieme a Don Paulo: Musicho corneto e violin … et altro basso ed uno a suonar la tromba.”

 


La Musica per un verso o per l’altro era sempre “di casa” nel Sant’Iseppo … Una Cronaca Veneziana di cinque anni dopo, del 1688, racconta: “… si vide nobilissimo apparato nella vaga e ricca chiesa dedicata al nome di San Giuseppe di Castello … e si godè una musica gratiosa, cantata sotto la mano maestra del Signor Don Paolo Biego (organista a San Marco dal 1687 al 1714, e Maestro di Coro dei Derelitti dal 1688 al 1698), da quantità di voci trascelte fra le più disciplinate di questi dotti cantanti, rifiorita dal tasteggiare tiorbe, con un sotto coro d’instrumenti da arco, con trombe e cornette, che riuscì con piena sottisfatione della Nobiltà concorsa … e di tutto il Popolo di Venezia…”

Nel 1692 il Patriarca Badoer in Visita non mancò di rimproverare ancora le Monache del Sant’Iseppo:“… nel tempo dell’estate …vestivano senza maniche et con abiti trasparenti con scandalo dei secolari et vilipendio del sacro abito … abusano di tener nelle celle argenti et altri monili di valore … indumenti di gran lusso e alla moda … anche belletti…”

Davvero incorreggibili le Monache … Erano vivissime e davano libero sfogo a tutte quelle che erano le prerogative del loro Status Nobiliare … seppure segregato.

 


A inizio 1700 il Monastero di Sant’Iseppo aveva ancora rendite annuali da beni immobili posseduti a Venezia per più di 200 ducati: le Monache tranquillamente vendevano, compravano e affittavano … Secondo la relazione dellaVisita Barbarigo del 1717: “… a Carneval le Monache giocano a carte e si fanno mascherate … ”… davvero impenitenti: facevano la loro vita, se ne fregavano delle indicazioni sulla morigerazione da qualsiasi parte arrivassero ... Si rifabbricarono sotto il controllo e la direzione del Proto Andrea Tirali i muri perimetrali del Monastero spendendo a più riprese 660 e 3.799 ducati … e altri 2.000 ducati ancora tramite il Perito Giovanni Pastori Si fecero sei tavolette d’argento per gli Altari della chiesa, e si eresse il campanile dando lire 9.579 per i lavori al Murer Briatti Bastiano decurtati prima a lire 7.914 dal Proto Antonio Mazzoni,  e poi ridotti ancora a 5.467 ducati dal Proto Giovanni Scalfarotto.

Nel 1771 e 1772 Bonaventura Furlanetto e Baldassare Galuppi musicarono alcune cerimonie di vestizione di Monache Professe per il Monastero Agostiniano di Sant’Iseppodi Castello fra cui quella della Nobilissima Patrizia Bernardo… Ancora tre anni dopo l’architetto Pietro Checchiastese l’elenco dei lavori di restauro di cui abbisognavano il Monastero e gli edifici adiacenti per le spese di lire 982, poi di altri 700 ducati, e di ulteriori altre lire 915 di piccoli ancora.

 


Infine nel 1801 “cadde il Cielo su Venezia”, e le Monache del Sant’Iseppovennero espulse dal loro Monastero, e trasferite-concentrate al Sant’Alvise e Giuseppe di Cannaregio dove confluirono anche le Monache del Santa Caterina di Cannaregio ... Fino alla definitiva soppressione anche del Sant’Alvise s’affollarono nel Monastero 64 Monache in tutto.

Al Sant’Iseppo di Castello intanto, al posto delle Agostiniane sfrattate, s’insediarono le Suore Visitandine francesi di San Francesco di Sales cioè le Suore Salesiane dedite secondo i canoni asburgici-austriaci ad opere di utilità sociale e all’educazione delle Nobili Donzelle con la cui attività si automantenevano ... In pochi anni le Visitandine dell’Educandato di San Giuseppe di Castello raggiunsero il numero significativo di 57 … 61 nel 1880, quando vennero soppresse e gli edifici vennero concessi in uso al comune di Venezia.

 


Fine della storia del Sant’Iseppo di Castèo.

 


 

 

 

L’Arte dei Fruttarioli a Venezia.

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#unacuriositàvenezianapervolta 250

L’Arte dei Fruttarioli a Venezia.

Pietro di Quero Marangon a cui era stato amputato un piede per una ferita riportata a bordo della Cocca di Mercato di Ser Pietro Badoer, si concesse “in maniera specialissima” nel 1353 di tenere alla Giudecca: “bottega de Fruttaria, Speciaria, Casaria ed Herbe”.

Ugo Benci Spezial, invece, venne multato pesantemente perché aveva fatto mettere in botte e in bolletta della Tavola del Dazio tre migliaia di Datteri… In sua assenza i suoi famigli ne avevano aggiunto altri 1900 … Sapeva niente ? … Lo sapeva ? Aveva provato a imbrogliare ? … Poco importava: multa e sequestro … e fine del discorso.

Era il 1460, invece, e mancava ancora una cinquantina d’anni perché venisse scoperta l’America al di là degli Oceani così da cambiare un po’ gli equilibri di tutto il Mondo di allora, compreso anche quello Venetico e dei Veneziani. 

Da metà settembre fino al 1 marzo le Rape in Erbaria, nelle botteghe e banchi di Rialto si vendevano a peso e a quattro per fascio quelle grandi, otto le mezzane e dodici le piccole al prezzo di 1 Denaro ... 100 Rape valevano 1 Grosso, 100 fasci: 7 Soldi, 3 libbre di Rape sciolte o “desgranelàe”costavano: 1 Denaro ... 100 Rape piccole: 28 Piccoli, mentre i Raponi o Navoni: 2 libbre e mezza per 1 Denaro e 100 per un Grosso ... Chi comprava 25 libbre o più di Raponi o Navoni le pagava 100 Soldi ... Mi sono già perso in mezzo a tutti questi prezzi: in novembre 200 Rape costavano 10 soldi, e per assumerle e mangiare si usava a Venezia amalgamarle e combinarle con Droghe e Spezie che non mancavano di certo a Rialto.

Bàcari, Osterie, Magazèni, Furatole, Malvasie, Bastioni e tutti gli altri luoghi di commercio, assaggio e vittuaria non sono stati inventati di certo ieri a Venezia ... I Veneziani spesso vivevano in strada dall’alba al tramonto, erano di bocca buona, amavano la buona cucina, e mangiare e bere bene in buona compagnia ... Ieri come oggi.

Dicevo nel 1460 … Nel Mercato-Emporio Realtino: Cappucci e Verze e Verzotis grandi o piccoli che fossero non dovevano costare ed essere venduti a più di 3 Denari l’uno ... La Lattuga andava a Soldi 14: un torso 1 Soldo … mentre la Lattuga di pregio dell’Orto delle Canonchesse Bianche di San Daniel di Castello andava a 1 Soldo … e quella buonissima dell’Orto dei Monaci Benedettini dell’Isola di San Giorgio Maggiore di fronte a San Marco costava ancora di più.

La Sallatiziis” si vendeva a Soldi 19 ... i “Radizibus Thamaralibus” a 1 Soldo come un manipolo di Zyrpholio, le Carote, i Capùssi” o un cofano di Borragine... Per 4 cofani di Spinaccie si spendevano: Soldi 6 … la “Figadèla”andava via a un Piccolo, un fasciculos di Bruscandoli costava 2 Soldi, un mazzetto di 8 Agli e un fascio di Porri, o 2 Rafani… come i Cavoli in certe stagioni valevano: 8 Soldi in tutto.

Per due manipoli di Prezzemolo si pagava 2 Soldi, come per 4 fascetti di Asparagi che prima di Pasqua però ne costavano 4 di Soldi.

A maggio la Bieta in foglia andava a 2 Soldi … e sempre a maggio nel 1339 le Ciliegie primaticce si dovevano vendere a 3 Piccoli la libbra: non di più ... Sei Fruttaroli Veneziani vennero multati per averle vendute a 4 Piccoli ... Si fece eccezionale sul prezzo solo durante la Guerra di Chioggia, quando com’era ovvio il prezzo delle Ciliegie quasi introvabili schizzo in alto a Lire 12 !

1 libbra di Capperi dall’Egitto costava Soldi 10 … 8 o perfino 5 se c’era eccedenza sul Mercato … Una quarta di Cece Rossa valeva Soldi 7, 3 quartaroli di Ceci: 14 Soldi … 3 quartaroli di Zenzero o Zizerum: 1 Soldo … 4 Soldi se era di “qualità Rupho”.

I comuni Fasiòli Grossi venivano smerciati: ¼ a Soldi 6 … e andavano a 4 se c’era abbondanza ... a 8 per 2 quarte, o anche a 6 secondo della stagione ... La Fava Franta si vendeva a Soldi 5 la quarta, 8 per 2 quarte … la Fava Fresca, invece: a Soldi 3 … 2 libbre di Pisellia Soldi 4 a maggio, 3 Soldi a giugno.

I Pomi Calimanorum costavano 1 Soldo la libra a marzo … 3 libbre di “Pomi prestanti”: 7 Soldi … quelli dolci: 10 … 3 libbre d’Uvain maggio costavano 5 Soldi … Uva Crispina e Spina: Soldi 6, Marzeminaa 10 … se non ancora matura: andava a 2 come l’Uva di pergola… mentre l’Uva Fresca a novembre si vendeva a Soldi 2 ... “Ottimi Peri belli da vedere e succosi da mangiare” a luglio costavano 2-3 Soldi … 40 Prugne 1 Soldo … 3 grossi Fichi: 1 Soldo … 7 per 2 … I Fichi d’Arbe costavano Soldi 2 … quelli piccoli erano a Soldi 6 la libbra.

A settembre sui banchetti di Rialto: 1 libbra di Nespole costava 1 Soldo.

A ottobre: 4 Meloni “peponizzi” si vendevano a 4 Soldi … 7 Melonidi cui 4 piccoli e 7 Anguriette: a 12 Soldi in tutto, mentre ad agosto: 2 Meloni piccoli: 4 Soldi e un’ottima Anguria si pagavano a 2 soldi … 10 Anguriette Ferraresi valevano Soldi 12.

Ci siete ancora ? … O avete chiuso tutto e vi siete spostati in cerca di altro ?

Se siete ancora qua, e continuando ancora un poco quasi fossi un Fruttarolo di Rialto del 1460: una Zucca la prendevi per un Soldo … 3 Citriolia 3 Soldi, 15 Limoni a 4 Soldi … C’era poi la Frutta Secca: un quartiere di Noci costava 4 Soldi … Fichi Secchipiccoli: 10 Soldi la libbra … 6 la libbra quelli “eletti” … i Fichi Illirici: 8 Soldi “per 2 reste”… Venivano spediti a Venezia dentro a botti e avvolti in stuoie o “storòli”.

Uva Passa a 4 soldi … Zibibbo 8 soldi per 3 libbre, ottima Uva “Cimbibalium” a 2 Soldi … buone PrugneSecchea 3 Soldi … Amandorle a 2 Soldi, Marroni a 1 Soldo, Datteri venduti soprattutto dagli Speziali: da 4 a 6 Soldi la libbra secondo la stagione ... Ottimo era il Coriandolo e Zucchero, che si potevano comprare dagli stessi Speziali a 14 Soldi.

A maggio a Rialto si vendevano le Olive “ammanite col Finocchio” a 2 Soldi la libbra, mentre una scodella di Olive normali costava un Soldo … I Cappucci si condivano e commerciavano salati con Senape, Anice, Zinziberis o Aceto Odorifero.

Basta: mi fermo … Vi ho detto tutto questo solo per farvi un’idea: quasi per far una foto di un mondo antico di Mercato di Frutta e Verdura Veneziana che non esiste più … Altra epoca di una Venezia perduta indietro nel tempo.

A Venezia però non si poteva fare incetta di prodotti. Ad esempio: non si poteva comprare una barca intera di Verze per 100 Soldi, perché “Hoc inducit penuriam in terram”. La Serenissima era sempre attenta, si opponeva al monopolio, e calmierava i prezzi di Frutta & Verdura: “Fruttivendoli, Rivendugoli e Venderigoli”non dovevano fare Compagnia insieme, e soprattutto non dovevano giocare al rialzo sui prezzi ... Poiché i Fruttaroli di San Marco e Rialto“commisero multa turpia et inepta cercando di evadere le Gabelle, si vietò loro di comprare direttamente all’ingrosso i prodotti da maggio a settembre … pena 25 lire e un mese di carcere” ... Era proibito ai Fanti degli Uffici di Sorveglianza di ricevere frutta e verdura in omaggio dai Fruttaroli.

Una Legge del 1347 vietava l’acquisto di frutta ed erbaggi all’ingrosso da Grado a Cavarzere e in tutta la Marcha Trevigiana per poi rivenderli al minuto nelle botteghe, canali e rii senza il controllo della Serenissima. Tre Saviappositi vigilavano perché certe combricole non provocassero la Carestia …I contravventori prendevano un punto di penalizzazione per ogni inadempienza ... Chi assommava tre punti di penalità in un anno veniva estromesso dall’Arte dei Fruttaroli, e non poteva esercitare più il Mestiereper 3 anni: nè lui, né figli, né fratelli, né moglie, né nipoti, né chi abitasse con lui pena una sonora multa di 10 Lire di Piccoli e un anno di Carcere … Come sempre non si scherzava tanto su certe cose a Venezia.

Secondo le Regole imposte dai Giustizieri Vecchi e Nuovi, dagli Ufficiali al Cattaver, e dagli Ufficiali al Levante e Sopra Rialto, e secondo le indicazioni date ai Capi di Sestiere e ai Capitani che vigilavano sulle “poste” di vendita: chi portava Rape, Cappucci e Verzòtos a Venezia non le poteva vendere e portare in giro, ma solo direttamente alle rive dei Mercati di Rialto e San Marco dove veniva rilasciata apposita bolletta ... pena multa di 40 Soldi per volta e sequestro di barca o burcjo ... Il Dazio del Quartarolo o di Rialto su tutto ciò che veniva condotto a Venezia si poteva saldare a settembre o un po’ per volta: su ogni Erbaggio e Frutta, sul Pane e Legnasi doveva preventivamente pagare un Dazio prima d’aver libero accesso a botteghe e Rii e Canali Veneziani ... Anche Zucche, Cocomeri (Angurie)e Poponi coltivati “fin in antico nelle Isole” non si potevano vendere direttamente nelle botteghe o banchi o scanni di San Marco e Rialto.

Solo i Chioggiotti potevano acquistar Frutta e Legumi ed Erbaggi freschi prodotti a Chioggia e portarli in barca a Rialto e Piazza San Marco a Venezia ... e l’antico Commercio della Pomaranciaall’ingrosso e al minuto era permesso ai Marinai che le tasportavano in nave fino a 12 miglia da Venezia ... Poi sarebbe stata competenza esclusiva di quelli del Mestiere e Arte dei Fruttaroli, che provvedevano a rifornire Venezia, e anche ad esportare nella Terraferma: Così si sarebbe avuta maggior abbondanza”.

Secondo le Cronache Veneziane, ieri come oggi i Fruttaroli Veneziani dietro “all’aria bonacciona e modesta da semplici Campagnoli hanno sempre fatto fortuna giocando fra prezzi e qualità delle loro ròbe bòne provenienti dalle Isole e da Sant’Erasmo dove venivano prodotte secondo le scadenze e cadenze degli antichiCalendaji Veneti dei Campi”.

Insomma: quello dei Fruttaroli ed Herbaroli era in ogni caso un laborioso “Mestiere Fortunato” che corrispondeva di sicuro a buoni se non lauti guadagni.

Lo Statuto dei Fruttaroli Veneziani risale al 1433, mentre la loro Mariegola “la Mare di tutte le Regole”è del 1483. Immaginatevi però se un Arte del genere poteva non esserci prima in città … I Fruttaroli-Herbarolici sono stati da sempre nell’Arcipelago Veneziano: probabilmente fin dall’inizio della sua storica epopea.

Ancora a fine 1700 a Venezia si contavano sparse in tutta la Città Lagunare: quasi 400 botteghe, una decina di posti chiusi e quasi 250 fra inviamenti e banche all’aperto o in posti barca attraccati alle rive o in giro per i Rii e Canali. Dentro a quei luoghi a volte provisori agivano 383 CapiMastri, 48 Garzoni e 58 Lavoranti-Coadiutori dell’Arte ...Venezia era piena di Corti e Calli del Fruttarol: se ne trovano nel Sestiere di Cannaregio, San Marco e Castello ... Intorno all’Arte dei Fruttaroli gravitavano quasi 1.250 persone fra Associati-iscritti, collaboratori e stretti simpatizzanti.

Era curiosa per non dire strana, inclusiva, polivalente ed eterogenea a fine 1500 l’Arte-Mestiere dei Naranzeri, Erbaroli e Frutarioli di Veneziaperché anche i Marinai-Barcaroli che trasportavano i prodotti, e i Pescatori della Gastaldia di San Nicolò dei Mendicoli e dell’Anzolo Raffael avevano licenza di vendere frutta e verdura all’ingrosso oltre che di vendere e piazzare Uova non tenendone in deposito più di 300, nonchè Vetri, la cui vendita era prerogativa dell’Arte degli Stazonieri.

La maggior parte però delle merci di Frutta & Verdura si vendevano come il solito “al minuto” a San Marco e nei bassi magazzini a “piè pian e a volta” del Palazzo dei Camerlenghi dell’Emporio Rialtino dove si pagava il Dazio alla Serenissima.

Dalle notizie storiche, era il 1414 quando il Civico nella figura del Consiglio dei Dieci concesse ad alcuni Veneziani “que vocetur de Arte Frutarolorum”, reduce da vari vagabondaggi fra le centrali Contrade di San Paternian, Sant’Apollonia ai Santi Filippo e Giacomo e la periferica Contrada del Vescovo a San Pietro di Castello, di poter costruire per la loro Schola una “sede de muro", lasciandole facoltà di sceglierne la locazione ... Si decise infine per la vispissima Contrada di Santa Maria Formosa nel Sestiere di Castello dove già c’erano ospitate storiche e attivissime Schole come quella dei Casselleri, dei Bombardieri e dei Manganeri, oltre a una delle prestigiose Nove Congreghe Cittadine del Clero Urbano di Venezia.

Quella di Santa Maria Formosa non era una Contrada qualsiasi di Venezia in quanto la sua chiesa era una delle cinque leggendarie ProtoChiese Matrici Veneziane fondate da San Magno. Da Santa Maria Formosa dipendevano ed erano affiliate ben 9 Parrocchie-Contrade: Santi Apostoli, San Felice, San Zuane Crisostomo, San Giovanni ossia San Zuane Novo o in Oleo, San Lio o Leone Papa, Santa Maria Assunta o Nova, Santa Marina, San Procolo o Provolo e Santa Sofia… Per antica consuetudine il Piovano del Capitolo dei Preti di Santa Maria Formosa offriva annualmente a Pasqua buzzoladi ai Piovani e ai Preti dei Capitoli delle chiese filiali …Santa Maria Formosa probabilmente era stata in origine anche una delle mitiche Sante Marie delle Lagune insieme a Torcello, Murano, Eraclea, Grado e forse Caorle: più antiche dello stesso Vescovado di Olivolo-Castello… Santa Maria Formosa era vivissima come chiesa-Contrada: le ronzavano intorno come Api di continuo non meno di una trentina di Preti di cui quattro fungevano da Capitolo Piovani-Contrada.

L’Arte dei Fruttaroli comprendeva “Naranzèri venditori d’Arance e Limoni, Erbaioli e Frutarioli”, che s’aggregavano e congregavano sotto l’egida direttiva della Banca della Schola composta da: Gastaldo, Vicario, Scrivano e da due ViceGastaldi o “Officialesper frutta fresca e secca” controllati dai Soprastanti ai Mercati che calmieravano prezzi e controllavano incette, vendite, guadagni ed eventuali contraffazioni e monopoli.

Quando i Fruttaroli decisero di mettere su nuova sede a Santa Maria Formosa, erano reduci da un’intensa stagione travagliata durante la quale avevano litigato e lottato non poco fra loro. Il motivo di fondo risaputo da tutti i Veneziani era l’eccessiva esosità di molti Fruttaroli: “troppi soldi e troppi guadagni in ballo facevano troppa gola a tanti, che diventavano più che spesso disposti a tutto anche a spese e discapito degli altri Confratelli”.

Ci pensò il Michele Steno: Dogedal 1º dicembre 1400 al 26 dicembre 1413, a redimere saggiamente quella cronica contrapposizione fra Fruttaroli … Per questo si meritò una buona ricompensa “in Meloni”... E così da quella volta, nel primo anno di governo di ogni Dogei Fruttaroli rinnovarono quel gesto-consuetudine di stima andando in agosto ad omaggiarlo in corteo a Palazzo Ducale con grande sfoggio di addobbi, costumi e musici ... La chiamarono “la Processione dei Meloni”.

Giunti davanti al Doge nella Sala dei Banchetti, Gastaldo, Vicario e Fruttaroligli consegnavano consistenti doni: porchette, lingue salate, prosciutti, formaggi, ciambelle e vino moscato in un tripudio cerimonioso di discorsi e fiori. Il Doge ricambiava e contraccambiava a sua volta l’omaggio offrendo: "due barili di vino, sei lingue salmistrate, sei prosciutti, sei soppresse, cento buzzoladi da zuppa, cento pani, sei forme di formaggio pecorino, ventiquattro formaggiette" che andavano a riempire di nuovo le quattro "corbe" portate in omaggio al Doge dai Fruttaroli.

Nella tradizionale coreografia codificata della Processione dei Fruttaroli dal Doge, aprivano il corteo sei Mazzieri con bastoni verdi filettati d'oro e con l'Arma del Dose in carica, quattro con trombe e tre tamburi, e cinque Gonfaloni dell'Arte. Nel mezzo dei Gonfaloni stava quello della Gastaldia di San Nicolò dei Mendicoli il cui Gastaldo indossava: “una ducale rossa e calotta nera in testa". Quelle prime figure processionali introducevano un baldacchino o Solàro con l'immagine del Santo Josaphat Patrono dell’Arte inghirlandato di fiori con lo stemma del nuovo Dose e l'ornamento di variopinte bandiere sorretti da quattro facchini. Facevano poi seguito quattro "gran còrbe"dipinte e argentate piene di Meloni, sostenute su grosse mazze da robusti facchini in costume teatrale. Seguivano ancora due fanciulli nerovestiti con mazzi di fiori su vassoi d'argento: “l’uno col Sonetto e l’altro col Maccetto da presentarsi a sua Serenità”. Seguiva ancora “l’Interveniente Gastaldo dell’Arte de Fruttaroli che farà lo Officio a sua Serenità”, poi il Gastaldo Grande di San Nicolò “tenendo alla dritta il Gastaldo dell’Arte dei Fruttaroli ed alla sinistra il Vicario dell’Arte … Susseguiranno il resto poi della Banca verranno dietro a due a due e cioè a quiete e pace reciproca i Fruttarioli con meloni in piatti d'argento e cesta dorata, e altri 80 Fruttaroli Compagni con flauti e pifferi tutti “vestii a festa” con casacche e berretto di tela stampati a fiori rossi con piatti e cesta argentata.”



Il corteo rituale dei Fruttaroli partiva dalla
 Fondamenta di Santa Maria Formosadove c’era la Schola dell'Arte, e avviandosi verso Campo San Lio passava poi per Campo San Bortolomio, attraversava le Mercerie di San Salvadore e San Zulianarrivando infine in Piazza San Marco e a Palazzo Ducaledove il Dose li accoglieva in veste ducale e berretta a tozzo" nelle stanze dove si riuniva di solito la Signoria ... Al ritorno il corteo tornava alla sede della Schola seguendo l’itinerario più breve passando attraverso il Campo de la Guera, mentre il Doge a Palazzo distribuiva a sua volta alle varie Magistrature buona parte dei donativi ricevuti dai Fruttaroli.

Le stesse Cronache Veneziane chiosavano concludendo la descrizione: “Li Bancali e Principali dell’Arte chiudevano la festa sagiamente, assicurandosi che avrebbero fatto un sontuoso pranzo all’Osteria per magnificare quella storica giornata.”

Viste allora nel secondo decennio del 1400, che nonostante l’apporto del Doge Steno i Fruttaroli non smettevano baruffe e contrasti tra loro, la preziosa autorizzazione d’erigersi la nuova sede per la Schola venne “messa in ghiaccio” e revocata dopo otto giorni “per gravedines” proprio perché gli Ufficiali della Banca della Schola imponevano esosissime Tasse di Benintrada e Luminaria ai Fruttaroli poveri obbligatoriamente iscritti all’Arte ... Chi non pagava non poteva esercitare in Città e in Laguna.

Il Consiglio dei Dieci tenne “in standby” i Fruttaroli Veneziani per ben quattro anni: solo dopo concesse il nulla osta per la loro riorganizzazione … La Tassa d'istituzione-iscrizione dei Fruttarolo sarebbe stata quindi equa o addirittura volontaria in certe occasioni: “zaschùno del dito mestier vi potrà entrar liberamente senza algun pagamento”...Patrono dei Fruttaroli sarebbe stato San Josaphat Re dell’India… Perché mai proprio lui ? … Uno Santo così insolito fuori dal tradizionale alveo Devozionale ? … Strane connivenze fra Oriente e Occidente.

La Festa Patronale di San Josaphat cadeva il 14 novembre, e i Preti di Santa Maria Formosala celebravano ogni volta con un gran Messone Cantato “in terzo”... E sorse quindi la sede della Nova ScholaNel 1425 I Fruttaroli Veneziani della Schola presero finalmente accordi col Capitolo dei Preti di Santa Maria Formosa ottenendo il permesso d’erigere: "una casa tanto erta quanto a lor fosse piaciuto, tanto in fuore quanto fosse quello della Madonna Santa Maria Formosa et de tanta longhezza quanto è quella ch'è pure messa appresso della dicta chiesa possendo stroppar la fenestra appresso la porta Sancta".


Sempre “da contratto”, i locali della Schola dovevano rimanere aperti il 2 febbraio di ogni anno: giorno Titolare della Chiesa dedita alla Purificazione della Vergine Santa Maria Formosa, e“per la venuta della Serenissima Signoria per la Festa e le Funzioni della Candelora". L’idea della festa era probabilmente d’origine gallicana, e si richiamava di sicuro anche a una concettualità liturgico-Cristologica dell’Yppapante d’origine Orientale e Bizantina ... Sempre secondo le indicazioni della Mariegola, oltre agli usuali obblighi riguardanti le Funzioni di Chiesa, i Fruttaroli nel giorno di Santa Marina dovevano offrire al Capitolo dei Preti 25 Meloni, ai quali si aggiunsero dal 1517 anche 17 mazzi “de spàresi” (Asparagi) e 104 “articiòcchi” (Carciofi)… La Schola venne inoltre autorizzata a costruire tre arche” dove poter tumulare i Compagni Fruttaroli Morti collocate sotto al Portico della chiesa (demolito nel 1542 per allargare la navata). Il piccolo edificio della Schola dei Fruttaroli condiviso in seguito anche con la Schola dei Casseleri per ridurre le spese, sorse in Fondamenta Santa Maria Formosa fra chiesa e campanile: “Sopra l'entrata di destra era murato un bassorilievo del 1497 raffigurante il Santo Patrono Giosafat Re dell'India che respinta la Corona Terrestre riceveva dagli Angeli quella Celeste ... L'interno al pianterreno era decorato da bei quadretti leggiadri realizzati da Alvise dal Friso che raccontavano “Vita e Passione del Christo Santo”.

Curiosamente, oltre alla Schola si costruì in Corte dei Fruttaroli nelle vicinanze di Santa Maria Formosa anche un insieme di caxette e un vero e proprio Ospiziocon 19 camere date gratuitamente “Amore Dei” ai Fruttaroli bisognosi … Si conservava infine in Contrada di San Piero de Castèo in Fondamenta de San Gioachin e Sant’Anna una specie di ampia dependance con Ospizio della stessa Schola dei Fruttaroli.

 


Ho quasi finito …

Nel 1551 ci si lamentava che a San Marco presso il Ponte della Paglia“ci fosse la bruttezza e disconcio di quell’honorato locho dovuto alla presenza di certe botteghe, casupole e tezze di tavole di Piazza affittate a Herbaroli et Hortolani … che fra quelli della Giudecca e Venezia assommavano a ben 33 ai quali andavano aggiunti anche i venditori di polli e d’altro.”

A inizio ottobre 1576, invece: i Provveditori alla Sanità ordinarono di mettere sotto sequestro i tre Sestieri de qua da Canal cioè: San Marco, Castello e Cannaregio ... Le famiglie furono invitate a far scorta di vettovaglie per almeno otto giorni, e i commercianti in particolare: Pistori, Fruttaroli e Luganegheri ad assicurare un tempestivo rifornimento di tutte le botteghe e della popolazione interessata ... Stava diffondendosi il contagio della Peste a Venezia e in Laguna.

1599: si tenne un Processo portando a condanna GiovanBattista Bonacini Frutariol che aveva venduto di frodo due botti di vino fatto in casa.

Dopo il 1697 la Schola dei Fruttaroli Veneziani che possedeva diversi beni immobili sparsi in tutta Venezia da cui traeva una rendita annuale superiore a 150 ducati, si trasformò e riorganizzò in Sovvegno dei Fruttaroli assumendo maggiore indirizzo di soccorso caritativo–assistenziale-previdenziale con cassa comune. Ogni iscritto versava una cifra prestabilita e in caso di malattia riceveva: sussidio, visite mediche e medicine. Ai poveri della Sovvegno veniva rilasciata una “Tessera di Carità per far spese di bisogno con una pera dei Fruttarioli stampata da un lato e San Josafat stampato sul retro”.

Il Capitolo dei Preti di Santa Maria Formosa come sempre non rimase ovviamente a guardare. Non perse l’occasione di contrattare “come d’uso” col neonato Sovvegno dei Fruttaroli per la spesa di una Messa Solenneogni terza domenica del mese, alcune Messe di Suffragio per i Fruttaroli Morti, nonché l’uso a tal scopo di “Banco e Altar proprio”in chiesa … Sarebbe stato l’Altar del Crocifisso dei Fruttaroli. 

Il primo febbraio 1761 Pietro Gradenigo raccontò nei suoi “Notatori”: “… nel Campo di Santa Maria Formosa fuori della Schola dell’Arte dei Fruttaroli, essi esposero, secondo consuetudine un sontuoso confalone dell’anno 1602, dipinto da ambo le parti con famoso pennello, esprimente al vivo l’immagine di San Giosafat e li originali e ritratti di alcuni principali loro Gastaldi e Confratelli che allora fiorivano; et in oltre un ornamento di ogni sorte de Frutti et Herbaggi di stupenda imitazione …”

Sei anni dopo si diffuse per Venezia la precisazione: “Solo i Veneziani possono commerciare in Arance, Limoni, Pomi d’Adamo e Melograni.”… L’Arte già vacillava: si stava ormai affacciando anche sul Mondo Lagunare la Modernità dei Tempi.

Nell’agosto 1789 l’Associazione dei Fruttaroli Veneziani allestì e realizzò mestamente la rituale e tradizionale Processione dei Meloni in omaggio dell’ultimo Doge Lodovico Manin a cui donarono 480 meloni "della maggior grandezza e della miglior qualità".



Poi cadde la Repubblica Serenissima, quando ormai l’Arte Cittadina e la Schola-Sovegno dei Fruttaroli erano in crisi da un pezzo avendo sospeso anche le sovvenzioni per i “Fradèi Malài”. L’Arte di Vittuaria dei Fruttaroli venne soppressa e definita“da aprirsi e regolamentarsi in quanto soggetta a schiavitù” ... I loro beni residui vennero incamerati dal Demanio del Nuovo Governo, e la loro vecchia sede-Albergo fra chiesa e campanile a seguito a un violento incendio che l’aveva distrutta completamente venne ricostruita a spese dei Fruttaroli e della Parrocchia incorporandola fino a farla scomparire del tutto nel Nuovo Oratorio della chiesa di Santa Maria Formosa.

Giunto il 1803, alla Visita-Censimento del Patriarca Flangini si relazionò: “il Sovegno-Schola d’assistenza dei Fruttaroli finanzia ancora ai Preti di Santa Maria Formosa e in Città la celebrazione di 132 Messe, di altre 12 Messe Cantate nella quarta domenica di ogni mese, un Esequiale nell’Ottava dei Morti, e i Vespri Solenni nella vigilia della Festa di San Giosafatt.”

Ancora nel 1804 Giacomo Alberti, GiovanMaria Meneguzzi, Pietro Carrer, Clemente Bottazzi e Pietro Rocchi portavano il titolo di “Cinque agli Agrumi della Naranzeria di Rialto”.

Oggi ?

Rimane ancora visibile nella Corte del Frutariol nei pressi dei luoghi dell’antica Casseleria di Santa Maria Formosa, l’insieme degli edifici e caxette dell’Ospissio e Oratorio “per i compagni Fruttaroli poveri e ammalai” edificato nel 1599 con un mascherone sopra alla porta. Lì è visibile un'iscrizione su patera rotonda col simbolo dell'Arte dei Fruttarolo con le iniziali del Santo Patrono "IO" cioè: Josaphat, decorate da una corona … un simbolo simile si può notare nel Sotoportego del Frutariol della stessa Corte.

Sono segnacoli, briciole e input muti del tanto che esisteva un tempo a Venezia, ed oggi non c’è quasi più … C’è forse da ripensarci quando andiamo qualche volta col guanto a scegliere un anonimo frutto o ortaggio sugli scaffali dei nostri moderni supermercati ormai privi diFruttaroli.

  


 

“Una Madonna in Orto …”

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#unacuriositàvenezianapervolta 251

“Una Madonna in Orto …”

La Madonna dell’Orto e San Cristoforo di Cannaregio: aneddoti e curiosità di un angolo di Venezia tanto suggestivo e vissuto quanto trapassato e smarrito nel Tempo.

Lo sappiamo noi Veneziani: la zona di trova dietro alla Fondamenta de la Sensa al di là della Sacca della Misericordia dove c’era la potentissima e ricca Abbazia con l’Ospedaletto e la Grande Schola della Valverde famosa fin dal 1200 per i suoi antichi Flagellantie poi per i suoi Telaroli e Samiteri… zona del Sestiere di Cannaregio ricca di specchi d’acqua, zattere e legnami, e di Contrade di squeri e di Veneziani qualsiasi e de altro ancora ...

La Madonna dell’Ortoè quella col campanile rosso in cotto a cupolotto in cima: Il più stimabile dei campanili di Venezia per singolarità di disegno, e regolarità di costruzione, si deve riputare quello della Madonna dell'Orto, finito nel 1503: anno segnato sopra una cassetta di piombo scopertasi con varie Reliquie nella cupola vecchia, ed ora riposta nella nuova.”

La Madonna dell’Ortoche in verità si chiamava San Cristoforo di Cannaregio venne fondata, abitata e officiata dai Frati Umiliati fin dal 1365 nella figura di Tiberio de’ Tiberi da Parma Priore e colto Padre Generale dell’Ordine, che aveva già fondato a Padova un altro Monastero simile. A Venezia acquistò un terreno paludoso e acquitrinoso in zona periferica ancora mezza bonificata e scarsamente abitata di Cannaregio, e dedicò appunto a San Cristoforo tutto il nuovo complesso religioso … Se ne morì probabilmente soddisfatto sei anni dopo: nel 1371.

Gli Umiliati spuntati a Venezia erano una specie di ordine-movimento insolito istituito da Giovanni Meda a Milano verso la fine del 1200. Erano un Ordine formato soprattutto da Laici ma anche da Monaci dell'area Lombardo-Piemontese che come indole avevano qualcosa a metà fra Penitèntes che contestavano l’ormai cronica rilassatezza dei costumi Ecclesiastici ... un po’ alla San Francesco d’Assisi per capirci … e un po’ erano normali Lavoratori e Commercianti della Lana. Papa Innocenza III li riconobbe e approvò probabilmente per tenerseli buoni, quindi fu logico che adocchiassero Venezia come luogo adatto a insediarsi ed espandersi. Cannaregioera un’area commerciale interessante per via dei traffici e delle connessioni Lagunari e con la Terraferma Veneziana, nonché col resto del Golfo di Venezia, cioè con le Vie del Levante e Ponente Adriatico … Quando nel 1355 Fra Marco Tiberio de Tiberi giunse a insediarsi a Venezia, era il XIII Maestro Generale dell'Ordine, cioè il “capoccione” di tutti gli Umiliati.

Non fu un caso quindi se tre anni dopo un gruppo di Mercanti Veneziani chiese agli Umiliati di congregarsi in Fraterna o Scholaproprio da loro chiedendo di poter costruire accanto alla chiesa una loro nuova sede-Schola ... Avrebbero aiutato gli Umiliati anche a finanziare la costruzione e l’ulteriore abbellimento del nuovo chiesone e convento … Ne nacque quindi una proficua intesa, un connubio che durò a lungo approvato anche dal Consiglio di Diecidella Serenissima nell'aprile 1377Se andate a vedere i pilastri del portale in facciata della Madonna dell’Orto troverete da ambo le parti in parallelo alla “palma con la X”monogramma di San Cristoforo, anche lo stemma di Frà Tiberio de’ Tiberi: il Priore della piccola cittadella Veneziana degli Umiliati.

Pochi sanno che gli Umiliati tirarono su e misero in piedi un gran bel chiesone con facciata, pareti interne e soffitto totalmente ricoperti da eclatanti affreschi realizzati da ignoti artisti. Ne rimangono oggi solo poche tracce, mentre il soffitto verso la metà del 1500 venne ingolfato da un pesante controsoffitto decorato che poi per fortuna venne in seguito rimosso … Ai Veneziani di Cannaregio inizialmente piacevano gli Umiliati, tanto è vero che anche la Schola affiliata a loro ebbe notevole incremento e successo ... e come sempre giravano offerte e soldi … e tutto “ruotava e filava”secondo l’idea primaria degli Umiliati.

E arriviamo così alla vicenda della “Madonna in orto”.

Fatalità e caso ?  … forse anche no … Faceva parte di quella vispa Schola dei Mercanti associati agli Umiliati anche un certo Giovanni de Santi, figlio di Andriolo, Scalpellino-Scultoreoriginario della Contrada di San Severo poco distante da San Marco… Abitava vicino agli Umiliati: nella Contrada di Santa Fosca, solo qualche ponte e calle più in là rispetto il nuovo chiesone.

Il Piovano di Santa Maria Formosa aveva commissionato all’artista una statua della Vergine Madonnain pietra tenera di Vicenza, ma al momento di pagarla, forse perché insoddisfatto dell’opera, o perché era rimasto senza soldi, non volle accettarla. L’artista allora prese la statua e la collocò in fondo all’orto di casa ... E qui entrò in gioco sua moglieche iniziò a raccontare in giro per la Contrada d’aver visto la statua mezza ricoperta d’Edere e rovi amicarle, emanare improvvisamente strani bagliori notturni, ed emettere di giorno esotici profumi corroboranti … “Miracolo !” gridarono tanti Veneziani: “Un’altra Madonna Odorifera Miracolosa !”… Il Piovano refrattario di Santa Maria Formosa che non aveva apprezzato il lavoro di suo marito: era servito … ma non solo lui ... La notizia si diffuse e fece il giro di tutta Venezia, e la “Madonna in orto” divenne subito meta di pellegrinaggi, e ovviamente di ulteriori miracoli … Esplose la venerazione dei Veneziani … e altrettanto ovviamente iniziarono a fioccare le offerte.

Che tutto quell’ambaradàn potesse tornare utili per gli scopi e interessi della Schola dei Mercantie degli Umiliati ? … e magari forse dello stesso artista con sua moglie quasi squattrinati ? … Anche si.

Giovanni Piacentini Vescovo del Duomo di Venezia, cioè di Olivolo, cioè di San Pietro di Castello non piacque molto quella trovata … Che si fa ? … Una chiesa in Orto, un Orto-Chiesa  ? … Un’altra Madonna Odorifera degli Articiòcchi, dei Pomodori e delle Melanzane … dell’Erba Menta o delle Pratoline ? … Anche no … A Venezia c’era già ogni tipo di Madonna che serviva per tutti i bisogni dei Veneziani: la lista era lunghissima … Ordinò allora all’artista Giovanni de Santi di tenersi la sua statua della Madonna in casa, oppure, se proprio doveva, che andasse a collocarla dentro a una chiesa.

Si scelse allora “l’opzione chiesa”… e si spostò quindi con una solennissima Processione la Madonna Miracolosa dell’Orto nella Cappella di San Mauro a destra dell’Altare Maggiore di San Cristoforo: la vicina chiesa degli Umiliati ... disponibilissimi … Si sarebbe così messo fine a quell’ennesima forma di devozione incontrollata e impropria.

Diciamola tutta però … gli affari erano affari … Lo Scultore De Santi vendette la Statua ormai “certificata come miracolosa” agli Umiliati, che l’acquistarono nel 1377 coadiuvati nella spesa dalla Schola dei Mercanti. I Mercanti di San Cristoforo avrebbero sborsato all’artista la buona cifra di 150 ducati d’oro, mentre i Frati Umiliati avrebbero pagato la loro parte “in Messe quotidiane per l’Anima dello Scalpellino e della sua famiglia” che sarebbe stato sepolto a proprie spese ai piedi della “statua miracolosa” ... e si venne a formulare  e mettere nero su bianco l’accordo … Tanto per non dimenticare, lo Scultore scolpì l'obbligo della Messa in un cartiglio tenuto in mano dal Santo Bambino in braccio alla Madonna, e sull'architrave della porta della Cappella di San Mauro che un tempo collegava chiesa e Monastero scolpì sulla pietra la scritta: Abie in mente Fra de dir ognio di una Mesa per l’Anema de quelo che mese mia Mare qua.”, cioè: “Ricordatevi Fratelli di dire ogni giorno una Messa per l'Anima di quello che qui mise mia Madre … la Madonna." ... Ogni volta che i Frati attraversavano quella porta erano costretti a ricordarsi l'obbligo intrapreso con lo Scultore ... Era un monito … in ballo c’erano le pene dell’Inferno … situazione scomodissima per gli inadempienti.

Pervenuta quindi la statua in chiesa, come probabilmente previsto, accadde un notevolissimo incremento sia del flusso delle persone devote in chiesa, che delle graditissime offerte … Si decise perfino di confezionare ed apporre per conservarle un’apposita cassa-forziere a doppia serratura, che venne posta davanti all’immagine della Santissima Vergine Miracolosa ... Una chiave l’avrebbero tenuta gli Umiliati, e un’altra ovviamente i Mercanticon soddisfazione di entrambi ... o quasi, o forse: no … perché iniziò fin da subito tutta una serie di contrasti fra Monaci e Mercanti per le spartizioni e la gestione del denaro … Eccoci qua come il solito: il denaro radice ipogea di quasi ogni forma di Religiosità … purtroppo.

La cosa comunque crebbe … I Veneziani ingenui, semplici, o in buona fede incrementarono la devozione e il culto a quell’ennesima Madonna, tanto è vero che dopo un bel po’, nel 1414, il Consiglio dei Dieci concesse a malincuore perfino di cambiare il titolo della chiesa di San Cristoforo anteponendogli quello di "Madonna dell'Orto" ... A malincuore: si ... perché San Cristoforo Martire era da un bel pezzo un Santo carissimo alla Serenissima Repubblica Veneziana. Era il Protettore dei viaggiatori, dei traghettatori, e di chi andava a mercanteggiare per le vie d’acqua e per mare ... Insomma quel Santo riassumeva bene la vocazione mercantile e marinaresca di Venezia. Secondo la sua Leggenda: Reprobo, il futuro San Cristoforo, era l’uomo forzuto che aveva portato sulle spalle il Santo Christo traghettandolo dall’altra parte di un turbolento e vorticoso fiume divenendo così: Cristoforo, in greco: “il Trasportatore del Cristo”. Quel Santo era un po’ sinonimo del Destino di Venezia, che era disposta ad attraversare coraggiosamente ogni tipo d’acqua e situazione in nome di Dio … oltre che a nome proprio e del proprio profitto… Andate a vedere: nella Laguna di Venezia c’è l’Isola di San Cristoforo verso Murano, oppure andate a saggiare la forza espressiva delmuscoloso San Cristoforo del Doge dipinto a Palazzo Ducale da Tiziano in cima a una scala dei suoi appartamenti ... Questa però è un’altra storia che ci porterebbe lontano.

Insomma nella chiesa diventata della Madonna dell’Orto si pose sull’Altare Maggiore durante il 1400 una grande statua di San Cristoforo alta più di cinque metri … Certe cose non si dovevano dimenticare a Venezia … e Niccolò di Giovanni Fiorentino collocò un’altra statua di San Cristoforo in cima al bel portale della chiesa … e un’altra ancora venne posta sulla porta della Schola dei Mercanti ... Venezia accadeva e continuava: in perfetta continuità e coerenza con se stessa.

E siamo allora alla Leggenda del Portale di San Cristoforo-Madonna dell’Orto: altra Storia curiosa !

Ovviamente furono gli Umiliati a commissionare nella prima metà del 1300 a Mastro Paolo dalle Masegne famoso ed apprezzato Tagjapiera e Scalpellino l’incarico di decorare con dodici statue di Apostoli la facciata in cotto della chiesa a tre navate piena di nicchie, pinnacoli, edicole, cuspidi e ghirigori secondo lo stile tipico dell’epoca ... Secondo l’abituale iconografia scultorea, San Mattia doveva venire preferito a San Giuda, che Santo non era perché era il reprobo-traditore morto suicida impiccato all’albero secondo la tradizione evangelica-Cristiana, con i famosi trenta denari sparsi attorno.

Secondo il nocciolo della Leggenda vecchia credenza popolare Veneziana, si raccontava che Paolo Delle Masegne essendo da sempre un macabro gran devoto del Demonio, non intendeva perdere l’occasione per trasformare la chiesa di San Cristoforo in palcoscenico e scenario di un eclatante quanto storico gesto satanico … Nessuno sapeva niente … neanche lo stesso Delle Masegne probabilmente, del tutto ignaro della faccenda ... Era il Demonio in persona ad operare tramite lui: gli aveva consegnato le famose 30 monete di Giuda e del tradimento del Cristo, una delle quali doveva essere inserita nella statua del Giuda che avrebbe scolpito e collocato in facciata ... Si sarebbe celebrato così in eterno inciso nella pietra della facciata della chiesa il successo di quello storico tradimento Diabolico.

Per completare l’opera però serviva un’apposita Messa Nera-Demoniaca con cui inaugurare e benedire, cioè maledire, quell’idea Satanica di San Giuda degli Umiliati… Suonava perfino bene quell’idea: sarebbe stata proprio uno scherno se portata a compimento.

Sior Dalle Masegne quindi, mezzo conscio e mezzo no, si accordò con uno dei Frati Umiliati per stabilire la data di quella strana quanto insolita Messa ... che venne a cadere nella Settimana Santa del 1366 ... Meglio di così ? … La Settimana culmine della Cristianità !

All’inaugurazione della maestosa e bella facciata della chiesa accorsero tanti Veneziani. Tra gli altri non potevano mancare anche i Nobili Contarini che abitavano in Contrada a pochi passi dalla chiesa-convento. I Contarini della Sacca della Misericordia annoverarono Diplomatici, Cardinali e Umanisti insigni, e avevano comprato dagli Umiliati ben sei arche-sepolcri costruendosi una Cappella Funeraria di Famiglia in chiesa dove intendevano farsi seppellire e suffragare senza sosta ... Fra i Contarini c’era anche la dodicenne Isabella Contarini considerata "bambina prodigio" da tanti Veneziani … Qualcuno secondo una costumanza e una certa lungimiranza tipica di allora, l’aveva già candidata addirittura come Santa … Si diceva che fosse una ragazza superdotata: capace di dialogare con l`Aldilà, e di leggere il futuro guardando l`aura e gli occhi delle persone.

Insomma, nel bel mezzo della solennissima cerimonia che segretamente s’intendeva trasformare in Satanica, la Contariniimprovvisamente spiritata andò a fissare negli occhi il Dalle Masegnesmascherandolo e indicandolo davanti a tutti come adepto del Demonio ... Aiutomamma ! … Cadde il programma Satanico, e venne alla luce il fosco disegno Demoniaco … Scoppio un parapiglia in chiesa: lo Scalpellino si scagliò contro “la Santa”, ma fu lesto un Chierico presente a innaffiarlo immediatamente con l`Acqua SantaPaolo Delle Masegnecadde immediatamente a terra mezzo accoppato e svenuto, si spensero tutte le candele in chiesa, mentre fuori su Venezia si oscurò il cielo, e la Città Lagunare venne investita da un inatteso quanto potente turbine che scoperchiò tetti, fece volare tegole e camini, e rovesciò e affondò barche nei canali. 

Poi tutto com'era incominciato si quietò di nuovo in un baleno ... Il Delle Masegne si risvegliò dimentico di tutto ... e la statua del finto San Mattia che era in realtà San Giudarimase lì in alto dov’era al suo posto … dov’è ancora oggi … In realtà quindi non accadde niente: il Giuda di pietra rimase in alto sulla facciata insieme agli Apostoli … “E’ cosa normalissima.” si disse ridacchiando in giro: “Ci sono sempre stati tanti Giuda in mezzo a tanti Santi … uno più o uno meno ? … Che cosa cambia ? … Nella vita di tutti i giorni convivono da sempre buoni e cattivi insieme, alleanze e tradimenti … E’ la Storia del Mondo e dell’Umanità, dove dentro a ciascuno c’è sempre un miscuglio fra Male e Bene … Niente da meravigliarsi quindi … Giuda e Mattia potranno benissimo convivere sulla facciata del chiesone degli Umiliati.”… e fin qua: un’altra Leggenda.

E poi … quel San Giudaassomigliava anche a quei Frati Umiliati che abitavano dentro a quel Chiesone-Convento ... Non erano più quelli di un tempo, dell’inizio … Erano cambiati … Lì dentro i Frati ne facevano troppe: di tutti i colori: “erano litigiosi et vitiosi, dissoluti, licenziosi, immorali, dediti ad ogni piacere, privi d’ogni astinenza, e inosservanti degli obblighi monastici … ma soprattutto: s’appropriavano indebitamente delle offerte della Madonna Miracolosa.

Era la verità … C’era stata anche una querela nel 1433 da parte dei Mercanti della Schola di San Cristoforo presentata a Papa Eugenio IV ... E ancora nel 1452 la Serenissima provò ad informare Papa Pio II col suo entourage della situazione che perdurava, anzi: peggiorava. Visto però che quelli di Roma fingevano di non capire, in quanto erano più o meno della stessa risma dei Frati, Venezia sistemò la cosa da secacciando via gli Umiliati dalla Laguna e dal Territorio Veneto facendo intervenire il suo Vescovo di Olivolo-Castello… Chiesa, Convento e Madonna Miracolosa vennero dati allora ai Frati Francescani Minori… ma siccome anche con loro “la musica non cambiò più di tanto”, si perdonarono gli Umiliati riaccogliendoli … Poi di nuovo nel 1461 vennero cacciati via definitivamente per gli stessi motivi  della prima volta … e stavolta si diede “il tutto” alla Congregazione Veneziana dei Canonici Regolari dell’Isola di San Giorgio in Alga: cioè quella detta dei “Canonici Turchini”seguaci di San Lorenzo Giustiniani primo Patriarca  di Venezia… e la questione sembrò risolversi definitivamente.

Quante cose accaddero ancora in quel Claustro che era stato dei Frati Umiliati ! … Di là è passato, ad esempio, il celebre pittore Jacopo Tintoretto che abitava ed aveva atelier proprio là in zona, a soli due passi: in Campo dei Mori, in Fondamentain un appartamento appartenente ai Nobili Mastelli… Come dicevamo, il chiesone degli Umiliatiun po’ per volta era diventato un tipico scrigno Veneziano: un luogo singolare di Bellezza pieno di capolavori, oltre che di misteri per quella sua aria un po’ gotica e noir che sa dare spesso Venezia. Se andiamo ad adocchiare la chiesa ancora oggi, rimaniamo immagati davanti alle tante opere di pregio di Palma il Giovane, Cima da Conegliano, Paris BordoneAntonio Rizzo e altri ... C’era anche una bella Madonna del 1478 dipinta da Giovanni Bellini rubata più volte, e ancora una volta il primo marzo 1993, e mai più recuperata ... Fra le opere c’erano e ci sono ancora in parte soprattutto ben dieci tele di Jacopo Robusti appunto il Tintoretto dal mestiere che già faceva suo padre: Tintòr de professiòn” ... Alcuni suoi teleri dall’insolita forma a cuspide vennero realizzati nel 1562-63, quando nel Monastero viveva una ventina di Monaci colPriore Padre Jsidoro da Leonico, e c’erano i Padri: Antonio, Onofrio, Giuseppe, Cherubino, Clemente: tutti da Brescia, e i Padri originari di Venezia: Gasparo Re (in seguito Priore), Lazzaro Di Conti, e Daniele che era Procuratore del MonasteroTintoretto dipinsedei teleri colossali: quindici metri di altezza e sei di larghezza, e per il suo attaccamento alla chiesa-parrocchia se li fece pagare solo cento ducati: neanche il prezzo di tela e colori…

Pensate che per la portella d’organo con la “Presentazione della Vergine al Tempio”posta sopra la porta della Sacrestia, l’artista ricevette 30 ducati e 11 Soldi a rate fino al 1553, oltre a una botte di vino da 6 ½ bigonzi, 2 stara di farina e 5 scudi d’oro già ricevuti nel 1548 ... Era strambo ed estroso Tintoretto … Si fece seppellire proprio là in chiesa "alla Madonna dell'Horto" insieme ai figli Domenico e alla trentenne Marietta musicista e “pittrice di ritratti e cavalieri alla maniera del padre”, nell’arca realizzata da suo suocero Marco de Vescovi ... Tintoretto fu “un numero d’uomo”:artista furbotto, scaltro e fiero, scorbutico perfino con Enrico III dal quale rifiutò il Cavalierato ... Fu capace di rispondere per le rime perfino a quella lingua lunga e perfida dell’Aretino ... Venezia intera era piena di vicende e aneddoti che riguardavano quel Mastro Tintòr ... E si raccontava, inventava e fantasticava anche su sua figlia: “Venne il tempo per Marietta di fare la Prima Comunione predisposta nella Cappella del Convento della Madonna dell’Orto dove i bimbi si recavano come da consuetudine ogni mattina per dieci giorni a ricevere la Sacra Ostia. La prima mattina Marietta Tintorettoincontrò una vecchia che le chiese dove fosse diretta.

“A fare la Comunione” rispose la bambina.

“Dì, vuoi diventare come la Madonna?”, l’incalzò la donna.

“E’ impossibile!” replicò la piccola.

“No, se farai come dico io ... Invece di fare la Comunione, tieni la particola in bocca, poi nascondila a casa in un posto sicuro ... Quando ne avrai dieci tornerò, e vedrai che bella sorpresa”.

Per qualche giorno la bimba fece come la vecchia le aveva detto. Per timore che qualcuno scovasse le particole, le nascose in una scatola in giardino in prossimità di un piccolo ricovero dove il padre teneva un paio di maiali e un’asina. Incredibilmente una mattina le bestie s’inginocchiarono di fronte all’abbeveratoio: non vollero saperne di alzarsi, nemmeno a bastonate … La bimba in lacrime allora confessò a Tintoretto il suo segreto ... Tintoretto uomo di fede conosceva le pratiche della Cabala e della Magia, e sapeva in quale modo ingannevole le vecchie Streghe “reclutavano” donne più giovani per farne loro seguaci ... Decise allora di non far parola con nessuno dell’accaduto, e giunta la mattina del decimo giorno, istruì la figlia: una volta ritornata a casa avrebbe lasciato salire la vecchia ... La Strega, infatti, non tardò, e Marietta andò ad aprirle. La donna non fece a tempo a varcare la soglia del salone al piano superiore di casa Tintoretto, che l’artista pittore l’aggredì con un grosso bastone ... Dopo le prime legnate la donna si trasformò velocemente in Gatto, e in tale forma iniziò a correre e arrampicarsi lungo le pareti, sui mobili, sui tendaggi, dappertutto ... Alla fine, vistasi perduta, lanciò un ultimo grido acutissimo, s’avvolse in una nube nera, e si scagliò con tale violenza contro una parete che la sfondò uscendo all’esterno e lasciando un foro sul muro ... Nessuno la rivide mai più ... Perché la Strega non potesse più rientrare da dov’era fuggita, Tintoretto fece murare a guardia delle pareti domestiche un rilievo d'Ercole con una clava visibile in parete ancora oggi.”

E bravo Tintoretto !

Tornando ai Canonici di San Giorgio in Alga piazzati alla Madonna dell’Orto, rimasero là fino al 1668, quando vennero a loro volta soppressi da Papa Clemente IX ... Fu sempre conflittuale il rapporto tra quei Monaci Veneziani e il Papa di Roma che non li voleva considerare “normali” ma “Monaci ribelli resistenti alle riforme e alle Regole del Clero ... un po’ come era accaduto con i Cavalieri Templari un tempo ... a lui, e non solo a lui, facevano gola le ricchezze che erano in mano ai Canonici Turchini.

Nel 1569, infatti, giunse da Roma l’ordine di “normalizzare i Canonici Turchini di San Giorgio in Alga”in quanto non recitavano la Professione e l’Obbedienza, e non risiedevano stabilmente nel Monastero come avrebbero dovuto. I Canonici Veneziani oltre ad essere ricchi e Nobili, erano anche intellettuali, umanisti colti, ed erano abituati a muoversi liberamente di città in città per tutta l’Italia ... Vivevano soprattutto delle sovvenzioni dei Canonici più abbienti di Bologna e Roma … Secondo il comune considerare: “Erano uomini di solito coscienziosi e seri rispetto ad altri Monaci, senza amanti e concubine, e i loro Monasteri erano solitamente poveri e spogli … I Canonici di Venezia erano molto rispettati per aver vissuto religiosamente, senza dar scandalo …”

Alcuni dei Canonici di San Giorgio in Alga preferirono lasciare l’abito piuttosto che pronunciare il voto d’obbedienza a Roma … fino al 1570: quando si arresero alle richieste di Roma, come amava ricordare “tronfio d’ardore”Giovanni Antonio Facchinetti Nunzio Apostolico-Papale residente a Venezia... I beni dei Canonici Turchini di Venezia erano in realtà l’obiettivo del Papa e della stessa Serenissima … Vennero infatti incamerati subdolamente dalla Repubblica d’intesa col Papa per provvedere alle spese dell’interminabile Guerra col Turco ... Particolare curioso: la pala d’altareSant’Agnese che resuscita Licinio”dipinta appunto dal Tintoretto, mostra Angeli col manto azzurro: allusione ai Canonici Turchini di San Giorgio in Alga, che indossavano abiti e mantelli azzurri ...  Convento e Chiesa della Madonna dell’Orto quindi, vennero vendutialla Congregazione dei Monaci Cistercensi provenienti dal rovinoso Monastero di San Tommaso dei Borgogni dell’Isola di Torcelloaffiliati alle Abbazie Lombarda ed Emiliana di San Bernardo di Crema e di Santa Maria del Cerreto.

Altro particolare curioso … Nel 1442 alla Madonna dell'Orto abitava anche Bartolomeo Buono o Bon: l’Architetto della Porta della Carta di Palazzo Ducale: “Mastro Bortolo Tajapiera alla Madonna dell'Orto, figlio di Giovanni quondam Bertuccio, il qual Giovanni testò il 25 marzo 1442 in atti Tomaso Pavoni, ordinando sepolcro ante introitum ecclesiae Sanctae Mariae ab Horto, sive Sancti Christophori”.

Altra nota ancora … Nel 1566 in Corte del Cavalloalla Madonna dell'Orto nelle case dei Roberti, abitò anche il celebre pittore Mastro Paris Bordone, che secondo i Necrologi Sanitari del 19 gennaio 1570: “nel medesimo sito cessò di vivere d'anni 70 da febre un mese ... Visità dal Longhi a San Marzilian” ... Quattro anni dopo la Schola di San Cristoforo dei Mercanti si unì e consociò con la Schola della Madonna e San Francesco dei Mercanti di Campo dei Frari nel Sestiere di San Polo, che era a sua volta in rotta con i Frati Minori della Cà Granda dei Frari per antiche ruggini e dissidi.

Nel 1714 invece, si avviò non lontano dal Ghettodi Cannaregio, appunto in zona Madonna dell’Orto, una fabbrica di tessuti di ràsse per tende da galèa, e per vestiario da detenuti la cui fornitura venne appaltata direttamente o tramite prestanomi alla famiglia Ebrea dei Gentili ... A inizio secolo la fabbricazione avveniva ad Azzano Decimo in Friuli, poi venne traslocata a Venezia dove in 15 locali diversi con 32 telai s’impegnavano 1.000 operai Veneziani ... Il Deputato alle Fabbriche Giacomo Gradenigonel 1769 relazionò al Senato della Serenissima, che quell’attività era una delle poche rimaste attive a Venezia producendo su 24 telai battenti: “coperte di schiavine e felzade e ràsse ottenite con lane di scarto... Altri 5 telai producono tessuti leggeri come scòtti e flanèlle, e dei tàlled o scialli all’uso Ebraico” Nel settembre 1777 accadde, invece, l’ennesima “ricondotta degli Ebrei Veneziani” che vietò loro l’esercizio di ogni attività manifatturiera in Laguna. All’inizio dell’anno seguente quindi, 90 famiglie Veneziane si lamentarono d’essere rimaste senza lavoro e guadagno, non si capì se era perché la Ditta degli EbreiGentili aveva abbandonato l’attività, o perché se era forse trasferita altrove.

Nel 1745, secondo i dati delle Visite Pastorali, i Cistercensi della Madonna dell’Orto risultavano inadempienti nella celebrazione di 14.300 Messe di cui avevano ricevuto regolare pagamento ... Ahia ! … “I soldi sparivano … ma le Messe non salivano al Cielo come avrebbero dovuto.”

Nell’aprile 1759 si creò la Società dei Fabbricatori di Sapone riunendo sei ditte superstiti dello stesso settore. Si proponeva di assumere in proprio l’onere di appaltare il Dazio del Consumo dell’Olio fabbricando saponi per 10 anni. Lo Stato Serenissimo avrebbe contribuito mettendo a disposizione 38.860 ducati ... L’intera produzione del sapone venne affidata a Giovanni Battista Ronzoni Direttore della Compagnia, che avrebbe gestito tutta la merce fabbricata lavorata dalle singole aziende presso il magazzino consortile sito presso la Saponeria di Sebastiano Fava alla Madonna dell’Orto. Ogni socio si sarebbe impegnato a consegnare alla Compagnia10.000 libbre di Sapone Bianco e Verde per ogni caldaia in funzione producendolo secondo gli standard qualitativi prescritti, e con una stagionatura di almeno 15 giorni.

Dieci anni dopo, i Cistercensi della Madonna dell’Orto criticarono apertamente il Senato della Serenissima per le conseguenze economiche negative dovute alla soppressione delle Abbazie di San Tommaso di Torcello e di San Bernardo di Crema. Criticarono soprattutto il fatto che la Nobile Famiglia Trevisan ne avesse avuto per lungo tempo il Giuspatronatoincontrastato sfruttandone ogni rendita … La cruda risposta del Senato Venezianonon si fece attendere: il Cenobio Cistercensedella Madonna dell’Orto con i suoi quattro ultimi Monaci rimasti, di cui uno infermo: venne soppresso, e ogni rendita incamerata dallo Stato Serenissimo ... Quello che rimase del complesso conventuale venne venduto ai Conti di Caporiacco ...Alvise Tiepolo Aggiunto Sopra ai Monasteridispose qualche anno dopo che passassero alla Libreria Marciana i migliori libri, i 6 incunaboli, e il manoscritto rimasti nella Biblioteca della Madonna dell’Orto.

Travalichiamo un ponte … Sapete meglio di me che in Calle, Campo, Ponte, Fondamenta e Corte dei Mori alla Madonna dell'Ortoci sono incastonati nei muri delle case tre statue d'uomini vestiti alla orientale. Uno è nominato da sempre dai Veneziani: Sior Antonio Riòba”… Sul Rio della Madonna dell’Orto, invece, c’è un uomo in costume orientale che guida un cammello. Antiche credenze popolari Veneziane dicono che sono gli avanzi di un antico Fondaco dei Mori-Saracenia Venezia … Niente vero … Quegli edifici, invece, vennero costruiti dalla FamigliaMastelli dei tre fratelli Riòba, Sandi e Afani tornati a Venezia dalla Morea e per questo detti: Morei o Mori ... Le statue li rappresentano: Negli anni del Sig.re MCXII tre fratelli Greci: Rioba, Sandi et Afani, per le seditioni civili fuggitisi dalla Morea, ove possedevano molte giurisditioni, si ricoverarono con grandi averi in Venetia, et edificarono l'abitationi loro molto honorevoli appresso il Ponte dei Mori, così detto per le figure dei tre sopradetti fratelli, che nei angoli della fabbrica insieme coi nomi loro si veggono scolpite […] Veggonsi oggidì le antiche abitationi della casa Mastelli appresso Santa Maria dell'Orto, et specialmente le rovine d'un sontuoso edificio, negli angoli del quale sono collocate tre grandi figure di marmo d'uomini vestiti alla Greca, i quali sostenendo tutto l'edificio, tengono sopra le spalle un fardello, a guisa d'una valigia, per dimostratione forse delle ricchezze da loro portate in Venezia, nelle quali sono scolpiti i nomi dei tre primi autori di questa casa, et per questa cagione il Ponte ivi vicino, che attraversa il Canal della Misericordia, viene chiamato dei Mori.”

La Famiglia Mastelli partecipava in tempi antichi ai Consigli Veneziani, partecipò nel 1202 alla Crociata condotta dal Doge Enrico Dandolo, e dedicandosi in seguito alla Mercatura, aveva a Cannaregioun Fondaco di Spezierie all'insegna del Cammello” alludendo forse a quello infisso in facciata del loro palazzo in Rio della Madonna dell’Orto ... Più tardi nel Tempo comprarono dalla Signoria, riconvertendosi in parte nella loro attività commerciale, la giurisdizione sul Passo del Moranzàn sul Brenta gestendone i Dazi per la Serenissima, e procurando profitto per se stessa fino al 1620, quando la Famiglia si estinse in Antonio figlio di Gaspare Mastelli e Laura Turloni, che non ebbe figli.

Pietro Gradenigo nei suoi “Notatori” racconta che nel 1757, quando il Palazzo col Cammello era passato in proprietà al Notaio Pietro Prezzato, si udirono per più sere consecutive suonare alla stessa ora all’unisono tutte le cinque campanelle interne delle stanze. Ci fu molta paura, svenimenti di donne e “cavate di sangue”, e si giunse perfino a chiedere la benedizione del Piovano della Madonna dell’Orto che non portò a nulla, quindi si convocò a palazzo il Cappellano della Schola di San Fantin considerato da tutti il migliore Esorcista di Venezia, perché cacciasse i presunti Spiriti Maligni che infestavano la casa … Si dice che gli Spiriti oggi sono ancora là a contrastare fra loro, e con le Anime di Riòba, Sandi e Afani imprigionate nei muri delle case poco distanti.

Nel 1797 alla caduta della Repubblica, i Francesi si portarono a Parigi la famosa pala Sant’Agnese risuscita il figlio del Prefetto Romano” prelevandola dalla Cappella Contarini della Madonna dell’Orto dov’era collocata ... La chiesa divenne Oratorio Sacramentale succursale della vicina San Marziale che ne “incamerò i Fedeli”… Stessa cosa con gli Austriaci, ma si pensò bene nel 1810 che l’antico Chiostro-Convento degli Umiliati sarebbe stato più utile comedeposito militare di legname, paglia e vino, e come magazzino di risulta di vecchie lapidi e pietre tombali … Nel luglio 1819 un uragano rovinò la cupola del campanile che venne rinnovata … Dieci anni dopo un altro fulmine lo colpì di nuovo rovinandolo malamente ... Dal 1841 al 1855 l’intera chiesa venne considerata pericolante, mantenuta chiusa, e usata saltuariamente come magazzino ... Nel 1843 si collocarono nelle cinque edicole in alto della facciata rimaste vuote le statue delle Virtù Cardinali di Prudenza e Temperanza”, e le Virtù Teologali di “Carità, Fede e Speranza” provenienti dalla demolita chiesa di Santo Stefano di Murano.

Sorte peggiore subì il vicino edificio dell’antica Schola dei Mercantidi San Cristoforo: vero e proprio scrigno di dipinti ed opere d'Arte. Quando lo si svuotò di tutto trasformandolo in Caserma-Stazione di Polizia, vennero asportati ben 92 dipinti di Paolo e Benedetto Caliari-Veronese, Antonio Vassillacchi l'Aliense, Jacopo e Domenico Tintoretto, Cima da Conegliano, Palma il Giovane e diversi altri ...  Diverse opere andarono disperse: alcune finirono al riparo dagli insulti della soldataglia”alla Schola Grande della Misericordia, altri vennero smembrati, tagliati e suddivisi in parti … di altri non si seppe più nulla come per “il Castigo dei Serpenti" dato in deposito alla chiesa di Breonio di Verona, o il "Mosè che fa scaturire le acque"di Domenico Tintoretto spedito nel 1852 a Leopoli per le chiese povere di Bucovina”... Una “Natività di Mariadi Jacopo Tintoretto sembra essere riapparsa all'Hermitage di San Pietroburgo, mentre la “Madonna e San Cristoforo” dello stesso collocata al pianterreno è riapparsa nel 1926 ad Alzano Lombardo o Maggiore proveniente probabilmente dalla Pinacoteca di Brera di Milano… Triste storia di un immane saccheggio.

Nel 1864 in vista di una nuova riapertura della chiesa della Madonna dell’Orto, l’intero ambiente subì un restauro considerato distruttivo da parte del Meduna. Venne cambiato il pavimento collocando l’attuale a quadrati di marmo bianco e rosso di Verona, si eliminò l’organo, si rimossero e spostarono lapidi, statue e altarini, e si dipinsero i capitelli delle colonne d’oro e azzurro … In quegli stessi anni in zona esisteva una Fabbrica Riunita che produceva canna di vetro e smalti “con quattro tubi di rotondamento”occupando nel lavoro 15 operai Veneziani.

Nel 1875 un decreto del Patriarca Giuseppe Luigi Trevisanato dichiarò la Madonna dell’OrtoParrocchia sostituendola a San Marziale, che divenne Vicarialeinsieme a Sant’Alvise e Santa Maria Madre del Redentoredelle Monache Cappuccine. Il tutto venne affidato stavolta alla cura della Pia Società Torinese di San Giuseppe fondata nel 1873 da San Leonardo Murialdo dei Padri Giuseppini che la gestiscono tuttora.

E’ bello sapere per concludere, perché non se ne parla mai purtroppo, che nel 1872 i Giuseppinidella Madonna dell’Orto, patrocinati e supportati dai Veneziani della Contrada e di Cannaregio, aprirono nel Patronato una scuola per lavoratori con mensa serale associandola a due piccoli laboratori di falegnameria e calzoleria. In quell’opera sicuramente meritoria a favore dei Veneziani di Cannaregio che vivevano di sicuro una dura stagione di depressione economica e sociale, i Giuseppini non furono molto assecondati e sostenuti, né tantomeno finanziati, sia dall’apparato Civico che da quello Religioso ...  Otto anni dopo comunque, gli stessi Giuseppini aggiunsero anche una Scuola serale di Disegno, una Società di Ginnastica e una Banda Musicale ... Niente era niente … Qualcosa era qualcosa … Di certo era evidente il loro buoncuore disinteressato a favore di chi era più fragile in quella zona di Venezia … Nel 1890 istituirono in accordo con la Classe Operaia di Cannaregio anche la Cassa Operaia Cattolica di Risparmio obbligatorio di San Giuseppe con intento di assistere gli operai e le loro famiglie in difficoltà finanziarie. Si trattava di una “cassa” interconfessionale e interparrocchiale che intendeva porsi concretamente oltre lo schieramento prettamente Politico e Religioso: “Il bisogno non ha colori, né schieramenti, ha il volto di tutti e di chiunque.”

Nel 1900 “la cassa” si trasformò in Unione Cattolica di San Giuseppe: U.C.S.C. affiliandosi alla Federazione delle Casse Operaie Cattoliche della Diocesi di Veneziacostituita da Don Luigi Cerutti, che riunì 13 Casse Operaie Cattoliche esistenti sul territorio Veneziano. Rimase attiva fra mille difficoltà fino al 1930, mentre i Giuseppini furono costretti a chiudere la loro scuola dal Governo Veneziano già nel 1912 ... Durante la Prima Guerra Mondiale una bomba Austriaca cadde rovinosamente in Campo dei Mori distruggendo una casa e uccidendo 13 persone proprio a due passi dalla Madonna dell’Orto ... che stavolta non si produsse però nell’urgente Miracolo di cui c’era bisogno … Non sto dissacrando, ma solo ricordando … Ripensiamo e respiriamo tutte queste cose quando andiamo ad aggirarci e perderci fra Campo dei Mori e la Madonna dell’Orto ... Sono posti “che respirano”, soprattutto per noi  Veneziani ... ma per chiunque se sa scoprirli ed entrarci in qualche modo dentro.


 

Sul Rio dei Mendicanti … dentro e fòra de San Zanipolo

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#unacuriositàvenezianapervolte 252

Sul Rio dei Mendicanti  … dentro e fòra de San Zanipolo

Quando si estraevano le “balle de a Tombola” in giro per i Campielli e le Corti Veneziane, e usciva il 23, si diceva e faceva: “piàvolo o piàvola … o spànder acqua, pissàr o far pipì a San ZanePolo o Zanipolo” ... San Giovanni e Paolo era chiaro e distinto nella mente di tutti i Veneziani.

Lì all’inizio, tanto tempo addietro, c’era tanto per cambiare un gran “palùo”, cioè un’area paludosa acquitrinosa della zona-Contrada di Venezia che era prima di Santa Marina, e poi finì con l’essere diSanta Maria Formosa… Ma a prevalere su tutto c’era quel gran chiesone dei Frati di San Giovanni e Paolo … che ancora oggi: “Xè l’Ospeàl Civil”.

Di quel vecchio “palùo”è rimasto comunque il ricordo in qualche toponimo segnato sui Nizioleti impressi nei muri, o nelle carte Veneziane conservate un po’ ovunque … Al tempo della Guerra di Chioggia si legge: “Nicolò de Buora offerse al Comune di Venetia una sua casa nella Contrà di Santa Marina, sopra el palùdo, et che il Comun la venda come cosa sua, et non à denari, né altro da poter dare, et è vecchissimo, non puol andar su l'Armada come voria, ma, come buon cittadin, dà ciò che può”.

Tralascio di dire le Storie e le Dinamiche della Schola Granda di San Marco: avete per caso qualche giorno intero per parlarne a sufficienza ? …  Ricordo allora un po’ “di corsa”, solo “uno spizzico” di ciò che accade sulla riva del Rio dei Mendicanti di Cannaregio: giusto di fronte, a poche vogate di remo, dalle celeberrime Isole di San Michele e San Cristoforo di Murano che emergono dalle acque proprio lì.

Affacciato sulla Riva e sul Campo c’erano e ci sono ancora mura, chiesa e Convento dei Domenicani: una vera e propria piccola cittadella dei Frati un tempo col Cimitero di Sant’Orsola a fianco.Secondo alcune Cronache Veneziane antiche: “Grande esempio di Frati Perfettissimi Conventuali e Urbani, caratterizzati dal rallentamento delle Discipline, delle Regole, della Predicazione e Assistenza a favore dello Studium Universitario, l’Inquisizione, il Giuridico, la Missione in un contesto monumentale … Un gran Cenobio simile a San Domenico di Bologna e Santa Maria Novella di Firenze.”

All’inizio, nel 1234, la comparsa di quell’ensamble di Frati sembrò la concretizzazione di un’altra Leggenda Veneziana. Fu lo stesso Doge Jacopo Tiepolo a sognarne l’inizio vedendo fiorire quell’acquitrino di Cannaregio fra inebrianti profumi e volute d’incenso come amabile prato sul quale volteggiavano candide colombe col simbolo della Croce in fronte … Come in tutte le classiche Leggende: una Voce Divina spalancò il Cielo annunciando: “Questo è il luogo che ho scelto per i miei Predicatori” ... Si trattava dei sopraggiunti Padri Domenicani insediatisi a Venezia consenziente l’intero Senato della Serenissima che votò a favore della loro presenza in città, e della donazione di quel posto ... Ne nacque un connubio Civico-Religioso che durò secoli, e a suggello di quella scelta iniziale sorse il possente chiesone Gotico ancora visibile tuttoggi insieme all’altrettanto imponente Convento trasformato da secoli ormai in Civico Ospedale Veneziano.

Non mi perdo ad annoiarvi e contare le opere d’artisti illustri che arredano e decorano la grande Basilica: Lorenzo LottoPaolo Veronese, Giovanni Bellini ... un grandioso finestrone gotico a vetri policromi di Mastri Vetrai Muranesi… Il chiesone è Phanteon Dogale e di numerosi personaggi illustri della Storia della Serenissima: Vettor Pisani, Sebastiano Venier, Marcantonio Bragadineroe di Lepanto ... e c’è dell’altro: come il solito di che perdersi a Venezia.

Provo a farvela breve: a metà 1300 nacque il movimento di riforma degli Ordini Mendicanti in contrapposizione agli Osservanti. La cosa coinvolse e interessò ovviamente anche i Domenicani. L’idea era di ripristinare la Vita intorno al Chiostro, la Meditazione e la Regola, e si parlava di Conventi piccoli, di povertà, rifiuto dei benefici, e di dedizione allo studio … Tante belle cose … Ma come sempre fra dire e fare c’era di mezzo un mare … e che grande mare !

E ferveva quindi la Storia anche a Venezia, e anche in quel luogo che non era più pantano … Dietro a San Zanipolonel 1355 il Doge Marin Falier andò a riunire mercanti riottosi, e alcuni Veneziani turbolenti disponibili a tramare contro la Repubblica per prendersi il potere con un colpo di Stato ... Non se ne fece niente: Falier & C venne scoperto, riconosciuto come traditore, e decapitato mettendogli la testa tra le gambe in sepoltura ... Venezia era così fin dall’inizio: un miscuglio di Giustizia, veleni, teste spiccate, annegati con la pietra al collo, impiccati, mozzati e squartati … e avanti così … La cosa sembrava funzionare.

Incontrollabili paure popolari quindi, dicevano che ogni notte il corpo senza testa di quel Doge Mortovagava intorno a San Zanipolo in cerca del suo capo ... Le stesse dicerie aggiungevano che quello stesso fantasma del Falier era cercato e inseguito di notte in notte da quello “senza pace” del Doge Enrico Dandolosupereroe, conquistatore, massacratore e saccheggiatore di Costantinopoli durante la Quarta Crociata del 1204 ... Uno era un Veneziano d’Onore, l’altro un Reprobo Traditore da castigare in eterno … Si stavano allora cercando ed evitando …  La Leggenda metropolitana diceva che il fantasma del Doge Dandolo era un vecchio cieco con due tizzoni ardenti al posto degli occhi, e con una spada affilata impugnata per la lama che lo faceva di continuo sanguinare a ricordo del tanto sangue versato ... Che connubio ! … Un senza testa e un cieco sanguinante: davvero un orribile spettacolo che faceva rintanare ogni notte i Veneziani della Contrada dentro alle loro più o meno misere casupole.

Viceversa i Frati Domenicani dentro al loro Conventone erano gente eruditissima, mica frataccioni sempliciotti e bigotti da quattro soldi ... Il Monastero era ricco, anzi: di più … Non erano di certo i soldi quelli che mancavano dentro al San Giovanni e Paolo abitato di solito da circa 85-100 Domenicani … Fra l’altro pagavano 50 ducati annui ai Cantori del Canto Figurato”, e altri 50 ducati li davano al Maestro di Musica e a quello di Grammatica per i loro Fratini... Il Convento possedeva fra l’altro 40 campi affittati a Ronchi di Loreggiasotto Camposampiero dati per un certo tempo a Mastro Antonio Gardane Libraro Veneziano che pagava “in natura”dando ai Frati: 36 stara di frumento ... I Frati, diciamolo dai … erano uomini arguti e affaristi, solo un poco “di chiesa”: affittavano perfino “il luogo del fumo” a Mastro Tommaso e Zammaria Zonta; e un magazzino sotto al Refettorio a Mastro Ottavian ScotoLibraropure lui, che pagava 14 ducati annuali ... Ogni occasione era buona per i Frati per concretizzare buoni affari, e buona parte dell’imponente commercio Librario e dell’Editoria Veneziana passava o faceva capo proprio a San Giovanni e Paolo ... Un immenso business che s’allargò a macchia d’olio in tutta Europa.

Nel 1393 il San Giovanni e Paolo cambiò identità passando all’Osservanza. Lo fece a modo suo però: buono nell’intento, ma non nella realizzazione, e non fu per niente costante nel perseguire quel disegno-progetto. Nel secoli seguenti il MegaConvento dei Domenicani fu soggetto a vicende alterne ... Nel 1416 venne circondato da un possente muro verso la strada … e progressivamente la Vicaria Veneta di San Domenico con le sue due Case Grandi dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia, e Sant’Agostino di Padova racimolarono sotto alla loro ala protettrice ben 16 Conventi-Filiazioni tali da sminuire la potentissima Provincia Lombardadei Domenicani che fino ad allora aveva controllato quasi tutta l’Italia Settentrionale. Da San Zanipolo di Venezia dipendevano: San Nicola di Treviso, San Domenico di Cividale, San Giovanni di Portogruaro, Santo Stefano di Monselice, San Pietro Martire di Udine, Santa Maria delle Grazie di Este, Sant’Antonio Abate di Rovigo, San Lorenzo nella Terra di San Vito, Santa Maria delle Grazie di Legnago, San Rocco di Marostica, il Vicariato di Salvaterra e quello di Castelbaldo … e Santa Maria del Popolo di Cittanova in Istria e San Domenico di Capodistria …

Niente male davvero ! … I Domenicani Veneziani si davano parecchio da fare.

E quindi di pari passi arrivò lo splendore e il successo di quel tipo di Frati Veneziani, ma subito dopo venne anche una precoce decadenza spirituale, intellettuale e anche morale del grande Cenobio Lagunare. In breve i Frati si autopraticarono lo sconto su tante cose essenziali del loro “Status”: si dispensarono dalla mensa comune, dal Coro, dal Dormitorio, dalla comunanza dei beni, e derogarono su tanti altri voti fondamentali con relativo rilassamento dei costumi, secolarizzazione, progressiva licenziosità, eccessi vari e corruzione ... I tempi chiamavano così … e non solo a Venezia e a San Zanipolo: era l’intero sistema ad essere bacato in quel modo.

Nell’ottobre 1516  Marcantonio Michiel raccontò nei suoi “Diari” dei disordini accaduti nel Santi Giovanni e Paolo Veneziano: “A dì 6 detto era venuto el General delli Frati Conventuali di San Domenico mandato a chiamar, ovver sollicitato, dalli Signori Capi del Consiglio di Dieci, però che li Frati di San Zane Polo erano in gran risse tra loro, et haveano date diverse querele un contra l'altro alli Capi, et massime Fra Francesco Colonna havea querelato contro 4 o 5 de li primarii, et accusavali, inter cetera, de sodomia (suppresso tamen nomine) ... Il General Caietano venne et cominciò ad inquisir. Fra Francesco Colonna (non si trattava del celebre Frate Architetto Polifilo, ma di un omonimo), o ch'el dubitasse non esser scoperto, et che fusse conosciuta la mano sua, essendo venuta la querela in le man del General, o per conscientia, essendo essi accusati innocenti, andò a confessar, et scoprir la calunnia, facendosi reo, et chiedendo perdono al General, el qual volse ch'el dimandasse perdono al Capitolo. Li Frati accusati, intendendo l'autor della loro accusatione, fulminarono diverse querele contra di lui, et massime ch'el avesse sverginata una putta, et provorno il tutto, per il che il Generale el bandì de Venetia, et lo confinò a Treviso in vita, e ch'el non potesse più dir Messa, né confessar, et bandì molti altri: chi per anni 5, chi per 10 … fra gli altri Frà Zanfior et Frà Martin dal Naso.”

Venezia iniziava a decadere: forse vittima di se stessa … Infatti: un altro fantasma iniziò a vagare di notte “senza requie” lamentandosi e piangendo fuoriuscendo dal Phanteon Dogale dei Santi Giovanni e Paolo. Era quello del Doge “Profeta” Tommaso Mocenigo, che morendonel 1423 annunciò la rovina di Venezia qualora si fosse eletto Francesco Foscari come suo successore ... Neanche da Morti stavano tranquilli i Dogi Veneziani … Si dice che morendo abbia detto: “E se voi, Dio non voglia lo farete Doge, vi troverete ben presto in guerra ... E chi ha diecimila ducati se ne ritroverà mille soltanto, e chi ha dieci case ne avrà solo una, e chi ha dieci vestiti, mantelli o camicie avrà difficoltà a trovarne una” ... Il Doge aveva “visto”giusto: la sua profezia s’avverò ... e a lui toccò di vagare muto e inquieto, reo d’aver vaticinato quella gran disgrazia per la Serenissima. Nell’immaginario fantasioso popolare il suo fantasma vagava tenendosi in bocca il pesante e lungo cartiglio con la sua “verità”, che gli scendeva poi sul davanti fino ad attorcigliarsi alle gambe facendolo inciampare e cadere di continuo ... Un fantasma rovinoso che ogni notte capitombolava in giro per San Zanipolo e dintorni ... e i Veneziani ancora una volta a chiudersi e tapparsi in casa … non si sa mai.

Poi, come più che spesso capitava a Venezia … quasi come una specie di ping pong virtuale, ambientale. sociale e mentale … Appena al di fuori del microcosmo chiuso di quel Mondo pingue e smodato di Frati, ne esisteva un altro di diverso fatto di Veneziani qualsiasi … Sembravano identità apparentemente contrapposte, ma in realtà erano complementari: come facce diverse della stessa preziosa “medaglia Veneziana”… Accanto al chiesone e conventone, anche la Contrada Veneziana vivissima respirava giustapposta ai Frati.

Era di sicuro Vita diversa quella dei Veneziani qualsiasi … Era appena l’alba di ogni giorno quando il Primo Compagnodei Barcaroli del Traghetto dei Santi Giovanni e Paolodel turno del mattino provvedeva a rifornire d'olio il cesendèlo” che baluginava ancora un poco infilato sulla parete del Ponte del Cavallo davanti al Capitello della Madonna dei Barcaroli realizzato nel 1615.

Il Ponte Cavallo si chiamava prima Ponte di Mendicanti per via dei Frati Domenicani Mendicanti ... che tanto mendicanti poi non erano. Il nome Cavalloderivò dal fatto che salendo i gradini del ponte si vedeva progressivamente il monumento equestre realizzato da Andrea Verrocchio nel 1496. Il monumento visibile ancor oggi era stato dedicato alBergamasco Bartolomeo Colleoni Generale dei Venezianiper 21 anni, morto nel 1475 nel suo Castello di Malpaga. Il Monumento inscena una solita furbata tipica da Veneziani: il Colleoniaveva lasciato gran parte del suo patrimonio in eredità alla Repubblica che di fatto glielo aveva fornito, col patto che gli fosse innalzato un monumento in Piazza San Marco ... Piccolo inghippo: si ai lasciti alla Serenissima … No, invece: al monumento in Piazza San Marco perché era proibito a chiunque monumentalizzarsi secondo gli Statuti di Venezia: solo la Serenissima contava … i singoli venivano dopo, compresi i loro interessi … Di conseguenza venne il Monumento al Colleoni venne realizzato in Campo dei Santi Giovanni e Paolo in faccia alla Schola Granda di San Marco… nel luogo-Phanteon Dogale… Non era quello che aveva voluto il Condottiero, però in qualche modo l’avevano accontentato ponendolo in un luogo di grande rilevanza per tutti i Veneziani.

La Fraglia dei Barcaroli-Gondolieri del Tragheto di San Zanipolo… Un’altra di quelle microrealtà associative curiose di Venezia: ce n’era un’infinità: ciascuna ricchissima di Storie, personaggi e consuetudini … Il Traghetto era unico, e confinava col Rio dei Mendicanti e il Rio di San Zanipolo ... aveva Stazio in Rio dei Mendicanti, e utilizzava come approdo l'ampia scalinata prospiciente il Campo di San Zanipolo e il Ponte Cavallo ... Quello del Traghetto era “un servizio da paràda De Fòra” (passaggio verso l’esterno di Venezia) con 16libertà (diritto acquistato o ereditato di esercitare il mestiere di Barcarolo-Gondoliere) destinato soprattutto alle isole di fuori della Laguna Nord: Burano, Murano, Sant’Erasmo, Torcello, San Michele e Cristoforo ... Prestando saltuariamente anche servizio per le zone interne di Venezia, era anche un Traghetto “de Dèntro”, inoltre prestava anche barche-gondole a nolo … però sempre senza prestare  servizio notturno.  

Immaginatevelo per un attimo … in un giorno qualsiasi di un’epoca qualsiasi … Intorno al Traghetto fervevano le attività: c’era chi andava e veniva, chi comprava e vendeva, chi lavorava e raccontava … Chi cuciva e tesseva spontaneamente a diversi livelli, ma tante volte in semplicità il tessuto sociale della Venezia di allora … Erano in tanti a frequentare e animare la vita del Traghetto: un formicolare incessante dall’alba al tramonto … Anche quella era Venezia che respirava … Sulla Riva dei Mendicantiper tradizione si benediva gli Ulivi contro il pericolo delle acque e dei temporali … Un rametto beneaugurante stava forse infilato in qualche angolo delle barche … o chissà: forse nella balza del cappello di qualche Gondoliere del Stazio dei Mendicanti.


La
 Mariegola della Schola del Traghetto dei Mendicantiè tardiva: se ne conserva solo un frammento del 1611 molto danneggiato in quanto nel 1637 venne rubata al Gastaldo della Schola Giacomo detto Andreache l’aveva abbandonata in barca mentre era intento a lavorare a terra. Venne quasi subito ritrovata anche se sgualcita e rovinata, perciò in quello stesso anno venne di nuovo iniziata principiandola con una pomposa invocazione alla Trinità e alla Madonna del Rosario Patronimico della chiesa-Convento che ospitava la Schola con i suoi Barcaroli.


Che connubio stridente fra Barcaroli-Gondolieri e Frati Domenicani Predicatori e Inquisitori: il giorno e la notte … ma forse anche no ... Sociale e Religioso finivano sempre col sovrapporsi e amalgamarsi … seppure assecondando obiettivi e interessi diversi di ciascuno.

Per tradizione ogni Giovedì Grasso i Barcaroli del Traghetto entravano e s’aggregavano a cantare l’intero Rosariodentro alla Basilica, mentre i tori impazzavano nel cortile di Palazzo Ducale e nei principali Campi Veneziani come San Polo, Santo Stefano, Santa Margherita, Santa Maria Formosa e altri.


Nel frammento sullaMariegola si scrisse ancora che i Compagni che avessero bestemmiato o pronunciato "male parole nefande" sarebbero stati multati con giusta pena … Si stabilì inoltre d’intesa con i Frati Domenicani di San Zanipolo che il primo di agosto di ogni anno si sarebbe dovuto celebrare 12 Messe all'Altare della Croce della stessa chiesa ospitante ... Anche gli affari destinati al Cielo: erano affari … perciò andavano adeguatamente certificati … e pagati.



I
Signori di Nottenel 1502 emisero sentenza “contra Alvise Benedetto popular stava a San Zanipolo, il quale costringeva la propria sposa a prestarsi per prezzo alle altrui voglie,et il guadagno teneva scripto in libro et con chi … Decretossi ch'el detto beccho sia vestido de zalo, e con una corona con corne in testa, su un aseno, sia menà per la terra a noticia di tutti, e cossì fu fatto”.

I Frati nel Convento, intanto, dall’altra parte del Mondo Veneziano di San Zanipolo impazzavano e si davano “alla bella Vita sprezzanti della Regola e del giusto Vivere”.

Solo verso la fine del 1531 intervenne finalmente Papa Clemente VII in persona intendendo unificare la Provincia Veneta con quella Osservante della Lombardia mettendo così fine alla stagione libertina dei ConventualiVeneziani… I Domenicani del Santi Giovanni e Paolo rifiutarono la proposta Papale-Romana, e si presentarono dal Doge e alla Signoria per chiedere protezione e il ripristino del loro Maestro Provinciale destituito da Roma: “…per niente voleno soportar, più presto se fariano lutherani ...” gridarono davanti al Doge che li riprese e rimproverò per il linguaggio e gli eccessi non proprio da Frati.

Venezia allora mandò un suo Ambasciatorea Roma insieme al Frate Domenicano Leonardo da Udine portavoce dei Frati per difendere gli interessi dello Studio Veneziano“in cui c’erano solo pochi Frati discoli da correggere mentre gli altri sono honesti”.… Il Papa cincischiò e temporeggiò … Poi si decise: in ogni caso entro due anni i Domenicani Veneziani dovevano diventare Osservanti … E inviò a Venezia lo stesso Frate Leonardoda Udine “ben trasformato e investito della carica di Vicario di San Domenico”col compito di ridurre all’Osservanza i Frati riottosi della Serenissima ... Che gli avrà detto e fatto il Papa per convincerlo e fargli cambiare così prestamente idea ? … Non si saprà mai.

La Serenissima non si scompose neanche di un pelo: costrinse il Frate ad abbandonare il suo incarico … Uno pari: e palla al centro di nuovo … Venezia ha sempre mal subito e non sopportato le ingerenze Papali in Laguna … “Vi faremo tornare a fare i Salinari !” aveva esordito rabbioso un Papa contro un Ambasciatore Veneziano secondo lui insolente. Quello senza scomporsi aveva immediatamente replicato: “Non prima che voi Santità siate tornato alla pesca e alle reti come faceva San Pietro.”

Comunque anche i Domenicani Veneziani insorsero contro Roma … e l’anno seguente Clemente VIIcedette sollevandoli dalla condizione subalterna dalla Provincia Lombardaconcedendo loro un proprio Vicario Eletto… Venezia ribolliva di pericolose novità intanto: imperversavano malumore e storie … Venne arrestato e processato un Maestro Falegname Antonio della Contrada di San Giacomo dell’Orio considerato Eretico e per questo condannato a carcere perpetuo ... Al processo emersero anche delle predicazioni sospette di Fra Zaccaria e Fra Damiano: due  Frati Domenicani di San Zanipolo che avevano a lungo predicato pericolosamente alla Trinità di Dorsoduro, alla Favae nella stessa Santi Giovanni e Paolo… Risultò ancora che un Maestro di scuola, un forestiero di 25 anni “gran luteran”, alcuni Tedeschi e alcuni Toscani erano in possesso di pericolosi scritti di Lutero, Bibbie in volgare, e dei Gravamina Nationis Germanicae ... Costoro sparlavano ereticamente di Confessione, Purgatorio, Libero Arbitrio, Papa, Giustificazione, Quaresima, Culto dei Santi e della Madonna ... C’era di che accendere roghi.

Nella Città Lagunarec’era un’enorme tensione: l’anno seguente, durante il Carnevale, una maschera urtò un Frate dei Santi Giovanni e Paolo che bighellona in giro in compagnia di “bone femmine”. Ne seguì una rissa e un parapiglia perché venne fuori che sotto alla maschera c’era un altro Frate suo Confratello dello stesso Convento ... Partirono allora nuove denunce per il Papa di Roma ... Come scriveva a Roma Girolamo Varallo Nunzio Apostolico residente a Venezia, che aveva provato ad intervenire in più sedi per quietare gli animi: “… il Convento è ai limiti della legalità: donnacce albergano intra moenia, i Frati non obbediscono ai Superiori … E si batteno et voglian cavar gli occhi tra loro, fino a tendersi agguati notturni per ammazzarsi fra loro, a tal punto che sarebbero più sicuri in un bosco che lì in Convento … Quei veri Diavoli de Frati … che vivono da perfetti mondani …”

Da Roma dove si sapeva già tutto su Venezia e sul Convento dei Domenicani già noto “per qualche lutheranità”, giunse l’ordine di soprassedere e lasciar perdere ignorando l’intera faccenda ... Venezia respirò … Si spense qualche furore e fuoco mentale ... e anche s’assopì l’ossessione di qualcuno.

Ancora nel 1566 divenne Priore del Santi Giovanni e Paolo: Fra Remigio Nannini da Firenze fuggito dai Conventuali di Santa Maria Novella invasa dal Duca Cosimo I ... Si chiamò per predicare il Quaresimale a Venezia il Domenicano ex francescano Sisto da Siena esempio di conformità recuperata, ma considerato eretico dieci anni prima e condannato all’esecuzione capitale ... Lo salvò in extremis Michele Ghisleri futuro Pio V, portandolo all’interno dei Domenicani ... Come diplomatico segno di adesione e allineamento del San Giovanni e Paolo alla Riforma Ecclesiastica Romana si pubblicò a Venezia l’opera: “Bibliotheca Sancta”, che divenne la principale opera dell’intera “Controversia” del 1500 … ma si provvide anche ad epurare il Convento dai “Cattivi soggettiincorreggibili ed apostati”, che venivano considerati come morti metaforicamente e scritti nell’”Emortuale” compilato dal Domenicano Urbano Urbani.

Proprio così: chi non era connivente e sostenitore dedito di certe Regole Ecclesiastiche: veniva considerato come Morto, e per questo iscritto su apposita lista … Incredibile !

Nell’elenco figurava un Frate Domenicano nel 1567, due c’erano in lista l’anno seguente, quattro nel 1571, sei nel 1572 fra i quali “Fra Domenico Luciano, considerato morto. E’ fra i ricercati dell’Inquisizione  il 07 novembre 1579, e faceva il Pievano in territorio di Treviso” … altri due nel 1573, tre nel 1574, altri tre nel 1575, sei nel 1576.

Mai domi, i Domenicani Veneziani continuarono a “ribollire, fermentare e fervere in proprio per secoli”… Ancora nel 1743 Girolamo Zanettiraccontava: “… per far loro onore al loro Provinciale venuto a Venezia per occasione del Capitolo in cui deesi eleggere uno nuovo, i Padri Domenicani tennero in chiesa pubblica conclusione di Teologia per 3 giorni consecutivi. L’apparato fu nobile, magnifiche le stampe delle tesi e copiosi gli argomenti e gli uditori. Oggi v’intervenne il Patriarca Alvise Foscari cui è dedicata essa conclusione e si disputò sopra l’eternità delle pene infernali … Il primo maggio: si continuò difendendo Padre Lettore Ermanno alcune tesi sopra l’argomento di ieri … Il 3 maggio si difesero 3 tesi a cura del Padre Mariani dello Studio dei Domenicani di Padova: De Phitinyssa Saul, de libro Job quod sit canonicus, de salutis Salominis … ”

L’anno seguente gli stessi Domenicani dei Santi Giovanni e Paolo vennero trovati inadempienti della celebrazione di 16.400 Messe ... Per carità … Anche i Cistercensi della Madonna dell’Orto erano inadempienti per 14.300 Messe di cui avevano intascato il prezzo … Mal comune: mezzo gaudio … o forse anche no.

Torniamo di nuovo fuori dal Convento in Riva dei MendicantiNel 1772 il Ponte Cavalloconi suoi mascheroni e stemmi crollò sotto il peso della gente che si era affollata per seguire le esequie del Cancelliere Grande Giovanni Colombo Qualche anno dopo napoleone scalpellò via il Leone Marciano dello stesso Ponte, che a fine secolo venne completamente ricostruito e allargato fin quasi a due metri a seguito dell’apertura della nuova via Giacinto Gallina.

E ancora un ultimo personaggio notturno vagava tremulo nei pressi di San Zanipolo e del Ponte… Era il fantasma del massiccio e alto Campanaro di San Marco dalle mani grandi come pale, che abitava nella prima metà del 1800 in Corte Bressana ai San Giovanni e Paolo ... Notato alla fine di una Messa domenicale in Basilica di San Marco dal Direttore-Professoredi un istituto scientifico veneziano, fu invitato da costui a promettergli per iscritto di lasciargli il proprio scheletro in morte per collocarlo a guardia con una campanella in mano alle sue collezioni anatomiche … Convinto che il vecchio professore sarebbe morto prima di lui portandosi nella tomba quello strampalato accordo, il Campanaro accettò ricevendo in cambio una buona cifra di denaro che si affrettò ad andare a spendere in una vicina Osteria ...  Fu proprio lì dentro che il Campanaro arricchito andò di continuo a sedersi per qualche giorno, e non aveva ancora finito di spendere il suo denaro quando fece un colpo apoplettico che lo lasciò stecchito sul tavolo ... Lo scheletro, come da copione, passò in proprietà del professore che, come stabilito, lo mise di guardia in una teca con una campanella in mano ... Ancora oggi lo scheletro del Campanaro di San Marco si trova nel Museo di Storia Naturale di Venezia sito nell’ex Fondaco dei Turchi a San Stàe sul Canal Grande ... Ogni notte verso mezzanotte si ridesta e torna a salire in cima al Campanile di San Marcoper battere dodici rintocchi sulla Campana Granda: la Marangona... Poi ciondolando si avvia in giro per le calli veneziane suonando la campanella diretto a casa sua ai Santi Giovanni e Paolo ... Da secoli ormai chiede qualcosa ai passanti sperando prima o poi di ricomprarsi il suo corpo e la libertà da quella sua avida ossessione ... ma senza riuscirci finora.


Si lavorava e viveva quindi in Riva e in CampoSan Giovanni e Paolo… e dentro e fuori dallo stesso Convento di San Zanipolo… Anche in tempi relativamente moderni sulla riva del Rio dei Mendicanti si batteva il Baccalà,  e si alternava il lavoro col vivere e con le cose di tutti i giorni come facciamo pure noi di oggi ... Si mangiava e beveva spesso per strada e nelle Osterie nella Venezia di ieri, e ci si intratteneva giocando più che spesso a mora, dadi, bocce o borèle, e a carte … a volte, e più di qualche volta più del levito, e fino a “rovinàr famègie”Celebre fu una disfida a bocce finita male proprio in Campo San Zanipolo nella primavera 1745 ... Due popolani della Contrada di San Severo patrocinati dal Nobile Anzolo Contarini di Santa Maria Formosa si contrapposero ad altri due di Santa Giustina patrocinati a loro volta dal Nobile Piero Bragadin. In palio c’era una cena all’“Osteria al San Marco… dai vini navigati.

Iniziata la partita a punti in Campo, e presi dagli errori e dall’agonismo del gioco, si venne prima a parole e poi alle mani. Missier Bragadin ovviamente tifava per i suoi, mentre Missier Contarini, perso il controllo, lo colpì più volte in viso con un bastoncino. Bragadin fece allora di peggio: afferrò uno stiletto che si portava dietro, e colpì più volte l’amico-avversario ... Poi fuggì lungo la Fondamenta dei Mendicanti e verso le Fondamente Nove da dove fece perdere le sue tracce …Contariniferito, invece, venne soccorso nel vicino Convento dei Domenicani di San Zanipolo. Il Consiglio dei Dieci non si fece attendere nell’intervenire: bandì Bragadinfuggitivo nel Mantovano affibbiandogli una taglia di 500 ducati se si fosse ripresentato in Laguna … In seguito lo stesso Contarini guarito presentò istanza di grazia per quello che era stato a lungo suo amico, ma solo due anni dopo il Consiglio dei Dieci concesso al Nobile bandito un salvacondotto valido per 50 anni ... Che gli servisse da lezione ! … e che fosse da monito anche per tanti altri.

La Mariegola dei Barcaroli dei Santi Giovanni e Paolo a tal proposito era esplicita, recitava chiaro: “Non si giochi in alcun modo ! … Chi bestemmia dovrà essere penalizzato con due libbre di cera da pagare alla Madonna dei Barcaroli, mentre chi parla male dovrà dare una libbra d’olio …”

Il 22 novembre 1638 i Gondolieriscrissero ancora sulla Mariegola: “Dovere d’accompagnare i Compagni Morti al loro Funerale”… e nel 1768, poco prima della soppressione del Traghetto: “E’ Legge del Traghetto che ognuno dia un soldo al giorno per chi xè ammalà, il quale sarà aiutato solo se terrà ferma la barca, e non farà lavorare altri a suo nome.”… I furbetti c’erano allora come oggi.

Infine ogni sera al tramonto quando si allungavano le ombre inerpicandosi sui muri dorati della Schola Granda, della Basilica, del Ponte e riverberando dentro al Rio dei Mendicanti, l’Ultimo Compagno andava ad accendere “il cesendèlo” ai piedi della Madonna dei Barcaroli per concludere un’altra giornata Veneziana … Ci avrebbe pensato lei di notte a vegliare su tutto e tutti, e su ogni tipo di presenza arcana … e Venezia sarebbe stata ancora Venezia per un’altra notte ancora ... di notte in notte fino a noi di oggi … e poi ancora così ... come adesso.

 


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