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“SACCA SESSOLA … o l’ISOLA delle ROSE e GIARDINO J.W.MARRIOTT.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” - n° 175.

“SACCA SESSOLA … o l’ISOLA delle ROSE e GIARDINO J.W.MARRIOTT.”

Sacca Sessolaè una delle isole più grandi, e la più giovane in assoluto, l’ultima nata della Laguna Sud di Venezia, anche se è stata soggetta a diverse metamorfosi in poco più di un secolo di vita. E’ sorta su una secca naturale della Laguna: ilCodas di Reziol, un ramo ad ovest del Canal Rezzodi fronte a Malamocco, non lontano dalle isole di San Clemente e Sant’Angelo delle Polveri, e dall’ormai diventata di moda di recente la famosa isola diPoveglia. Come sapete, i “secchi e le sacche”come da costume secolare dei Veneziani sono sempre stati luoghi di discarica di rifiuti e soprattutto edilizia, da dove spesso sono nate nuove terre emerse “imbonìe e bonificàe”utilizzate in seguito dai Veneziani a scopo abitativo: vedi Sacca Fisola, Sacca Serenella a Murano, Sacca San Biagio e Sacca San Girolamo ... Nel caso di Sacca Sessola il Governo Austriacoche occupava Venezia decise nel 1860 di scavare i fondali e costituire una nuova Stazione Commerciale e Marittima a Santa Marta in fondo (o all’inizio se volete) del Sestiere di Dorsoduro(i lavori terminarono dieci anni dopo). Ne risultò perciò un cumulo di fanghi di scavo e risulta, e una serie di detriti e macerie che riempirono 16,03 ettari di Laguna. Sulla secca imbonita lungo il Canale denominatoSessolaper via della sua forma oblunga che richiamava quell’attrezzo“par seccàr a barca”dall’acqua, nacque così l'isola artificiale di Sacca Sessola... o forse fu la forma oblunga dell’isola a dare il nome al tutto e anche al canale.

Boh ? … Oggi comunque la si riconosce subito nella Laguna Sud per via di quell’insolita Torre dell’acqua, che la caratterizza e distingue dalle altre isole lagunari circostanti.




Nel luglio 1875 l’isola inizialmente di proprietà della Regia Amministrazione venne ceduta in convenzione al Comune di Venezia che adibì diverse parti a colture agricole con orti e vigneti, e ad area con capannoni per il Deposito Generale dei Petroli: l’attività continuò fino al 1892.
All’inizio del 1900, invece, Sacca Sessola venne trasformata in lazzaretto a causa dello scoppio del colera a Venezia. Tre anni dopo, nel 1903, iniziò un progetto per stabilire a Sacca Sessola un Ospedale per Malattie Contagiose endemiche, e l’anno seguente ancora alcuni capannoni vennero ristrutturati e convertiti ad uso ospedaliero. Le trasformazioni e i lavori proseguirono fino al 1909, e dal 1911 si decise di cambiare la destinazione dell’intera isola destinandola a: "Tubercolosario San Marco".



Nel 1913 si stava ancora lavorando: vennero costruite in stile romanico la Cavana per le barche, la Casa del Direttore, e si sistemò e ridistribuì ancora una volta la colonia agricola … L’anno seguente avvenne l’inaugurazione dell'Ospedale San Marco dovevennero trasportati i malati di tubercolosi ospitati da tempo nella vicina Isola delle Grazie(proprio di fronte, distante poche vogate). Durante la Prima Guerra Mondiale il Sanatorio venne chiuso, e riaperto in seguito a spese dell’Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Socialeche lo ricostituì nel 1920 come nuovo ospedale in stile architettonico RazionalistaFascista costruendo anche la chiesetta neogotica nel 1921. In quello stesso anno Pietro Bazzani figlio del celebre organaro Alessandro, intervenne per restaurare l’organo della chiesa, e si collocò dietro l’altar maggiore un organo Bazzani proveniente dalla Cappella dei Mori. Poi venne spostato per volontà del Patriarca La Fontaine, e rovinato dalla pioggia filtrata dal tetto venne smontato e deposto in magazzino dove se ne persero le tracce.



Nel 1923 si costruì un Padiglione Ricreativo, e quattro anni dopo il Comune donò l'isola ad un Ente Statale(il futuro INPS)affinchè si costituisse un nuovo ospedale capace di 300 posti: il Tubercolosario più grande di tutto il Nord Italia(anche di quello più famoso di Vittorio Veneto). La TBCla cui diffusa propagazione era dovuta forse alle scadenti condizioni igieniche personali e delle unità abitative e lavorative comuni, e chissà forse agli esiti imprevisti della prima Rivoluzione Industriale, era considerata “la Peste del 19° secolo”. Si ammalavano facilmente un po’ tutti: lavoratori di fabbriche di fiammiferi, cererie e Tabacchi, ortolani e contadini, Gondolieri degli Stazi e dei Traghetti, anche se secondo una statistica del 1911 redatta da Raffaello Vivante Ufficiale Sanitario di Venezia, fra 1900 e 1910, primi dieci anni di diffusione della TBC in Laguna, morirono 2.710 persone in prevalenza (2.485) donne tra i 15 e i 25 anni che vivevano soprattutto in casa e ambienti grami e superaffollati.


L’idea sanitaria prevalente di quell’epoca era che l’aria salmastra e umida con la brezza marina della Laguna, al pari dell’ “aria raffinata di Montagna”, fosse un’“aria buona e un toccasana” utile insieme a un’adeguata nutrizione per rallentare il decorso del morbo, e forse anche per guarirlo riducendone i danni polmonari. Era un’idea un po’ aulica ed empirica, poco fondata su dati e costatazioni scientifiche in verità, ma in mancanza di meglio si considerava “terapia efficace” anche: rimanere immersi e camminare a lungo nell’ombreggiato Verde Naturale. Non era sbagliata come intuizione, perché le Piante nascondono rimedi il cui potere neanche sospettiamo e immaginiamo. Basti pensare che anche molti farmaci odierni sono di diretta derivazione dai Vegetali ... ma forse serviva qualcosa di maggiormente efficace.

Si dice che al culmine della stagione di maggiore efficienza dell’isola quando possedeva strutture terapeutiche allora considerate all'avanguardia, con l’aria salubre continuamente spazzata e corroborata dai frequenti venti di Scirocco, e gli orti, il frutteto, il vigneto, le mucche al pascolo, l’acqua potabile e il forno da pane che la rendevano autonoma; fossero ospitati 800 addetti e ben 600 degenti, e Sacca Sessola era considerata un centro fra i più apprezzati di tutta Europa (addirittura ?).

Nel 1931 s’iniziò la costruzione moderna “ad ali simmetriche” del nuovo Ospedale Sanatoriale Pneumologico Achille De Giovanni capace d’ospitare 440 malati, che venne inaugurato in pompa magna nel 1936. All’inaugurazione presenziò il Re Vittorio Emanuele III(esiste un filmato dell’evento realizzato dall’Istituto Luce, e si pose nell’occasione una doppia Croce Lorena sull’ingresso della darsena più interna). Intorno ai padiglioni si realizzò il grande parco, una centrale termica, depositi, officine, stalle e orti, la torre idrica, gli alloggi per il personale sanitario, e il “Dopolavoro” col cinematografo (trasformato oggi in Ristorante)… Dieci anni dopo si costruì un altro edificio per il personale, per la cui edificazione vennero abbattuti alcuni padiglioni ancora funzionanti del vecchio ospedale.



Nel 1962 i posti letto in uso erano meno di 300, cioè: 190 per i maschi  e 100 per le femmine, con la possibilità di lunghe degenze, come da cronicario. Fino alla fine degli anni '70 Sacca Sessola era collegata a Venezia da un regolare servizio di linea con vaporetti A.C.N.I.L., e alla Giudecca esisteva un Padiglione Vitali Antitubercolare” con sette postiletto maschili che faceva riferimento e fungeva “da ponte” per la degenza in isola. Era gestito da sei Suore Francescane di Cristo Re con l’assistenza spiritualmente dei Frati Cappuccini del Redentore, che garantivano il Servizio Religioso anche nell’isola di Sacca Sessola.

Giunto il 1979, e a seguito della grande riorganizzazione del patrimonio sanitario insulare Veneziano e Nazionale, l'Ospedale di Sacca Sessola cessò la sua attività iniziando un progressivo abbandono e degrado in attesa di destinazione futura, che accadde solo nel 1981 quando la proprietà dell'isola venne ritrasferita al Comune col vincolo di destinarla ad usi indicati dall’USSL di Venezia.


Tradotto in pratica: non se ne fece niente, e fino al 1992 il Comune utilizzò l’isola come deposito di materiali per la Biennale d’Arte, pagando ditte di trasportatori che facevano la spola avanti e indietro con le Corderie dell’Arsenale e iGiardinetti sedi espositive della stessa Biennale. Solo più tardi  e cambiato il “vento politico”, il Consiglio Comunale di Venezia affidò l'isola in concessione all'Associazione Venice International Center for Marine Sciences of Tecnologies delle Nazioni Unite che si occupava di promozione e ricerca nel campo della Scienze e della Tecnologie Marine … Intanto passavano e imperversarono nell’isola i soliti vandali anonimi, che facevano manbassa di quanto rimasto, sgangherando del tutto la già rovinosa isola.


A poco servì che l'isola fosse presieduta giorno e notte da un guardiano dei Frati Cappuccini del Redentoreattorniato da un bel gruppo di cani furibondi … Né che per un certo tempo vi abitasse un certo Frate Policarpo che visse lì a lungo: “come un romìto” ...Qualche vecchio pescatore lagunare incallito parlando dell’isola diceva insolitamente: “la Sessola” per indicarla, e la ricordava come: “luogo de tutti e de nissun, pien de rovine, erba alta, e verde selvadego abbandonato a se stesso”.



E si giunse il 1990, quando ci fu un nuovo tentativo di ripresa della vita dell’isola da parte del Gruppo CIT che la comprò per realizzarvi un Grand’Hotel di lusso, la cui inaugurazione si fece con una grande festa in maschera affacciandosi sulla Laguna. Il gruppo finanziario però crollò ben presto lasciando un miliardo di euro di debiti, i lavori rimasero incompleti, e i luoghi arredati e decorati a metà, ma soprattutto l’isola tornò ad essere desolata e vuota.

Nel maggio 1995 ci pensò l'ufficio U.N.E.S.C.O. di Venezia in collaborazione con l'E.S.A.V. Regionale a far qualcosa, e si provvide alla manutenzione delle rive, e a salvare alcuni edifici effettuando urgenti interventi di restauro. Si preservò il patrimonio arboreo, e si evitarono per quanto possibile i saccheggi vandalici sempre incombenti: era vietato sbarcare sull'isola senza un regolare permesso.

Ma chi rimaneva o girava per controllare ?


Tutto questo proseguì fino al 2007 quando il Gruppo CIT venne rilevato per 120 milioni di euro tramite una procedura di liquidazione straordinaria da Soglia Hotel Group, assistita finanziariamente da Aareal Bank AG che da quel momento ne divenne proprietaria a tutti gli effetti. Iniziò così una certa ripresa col restauro dei diciannove edifici, che si concluse con l’apertura del 19 marzo 2015.


Da Sanatorio abbandonato l’isola è diventata albergo-ritiro-gioiellino di lusso a 5 stelle con ampio spazio rimasto aperto e accessibile al pubblico Veneziano e nonNel maggio 2016 l’Hotel è diventatoil primo hotel italiano e primo resort in Europa dall’omonima ed esclusiva catena alberghiera Americana: JW Marriott Venice Resort & Spao Isola delle Rosecome recita un insegna cubitale che ti si para davanti appena sbarchi nell’isola.

Che c’entrano le Rose con Sacca Sessola ? … Sembra che ai tempi della lotta antitubercolare, oltre agli annulli filatelici emessi per raccogliere fondi, si usasse vendere anche delle rose per finanziare quella specifica campagna di prevenzione contro la TBC.
La pubblicità dell’ Hotel recita: “Ritiro cioè Rifugio di lusso in isola privata per soggiorni romantici, lune di miele con tramonti suggestivi traboccanti di colori, o vacanza familiare dove fuggire dall'ordinario in posizione mozzafiato sulla Laguna.”… E’ proprio bella l’isola: “un po’ volutamente da fiaba”, contornata datamerici e salicornie come nella migliore tradizione Lagunare delle isole. Volendo e potendo è anche possibile trovare modica sistemazione da 283 euro a notte, fino aa occupare una super raffinata e lussuosissima sistemazione De Luxe RoomMarriott International Rewards dal costo di 3,430 euro al giorno.
Sono 32.000 mq quelli occupati dagli edifici interconnessi e abitabili: esistonocinque distinte esperienze di alloggio o “accomodation”in angoli appartati dell'isola: “l'Hotel, La Residenza, La Maisonette, L'Uliveto e Villa Rosa”. Ci sono poi 4 ristoranti con cucina internazionale e locale(Sagra, Dopolavoro, Giardini, Cucina Daily), 3 bar (Dispensa, Rose, Sagra), Sapori Cooking Academy, darsene con “marina house”, eliporto, chiesetta romantica chiusa al culto ma disponibile per ogni tipo di eventi e cerimonie private (anche una bella cenetta al lume di candela se fosse il caso in location inconsueta) … Ci sono ancora spettacolari terreni di aree verdi con un tripudio di piante tropicali e mediterranee, 6 orti (”l’Orto Albero, l’Orto Fiorito, il Quattro Q, l’Orto Solo, l’Orto Sinergico e la Serra”), giardini, roseti, prati tosati con cura e pettinati “all’inglese”, e l’Ulivetocon più di 100 piante che un tempo provvedeva alle esigenze del Sanatorio, e oggi produce ancora più di 100 litri d’olio annui. 

Ci sono ancora: club per bambini e famiglie, sport acquatici, massaggi, trattamenti rigeneranti nel centro benessere, piscina con vista panoramica a 360 gradi sullo skyline Veneziano e la Laguna, e fino a spaziare fino ai Colli Euganei se il cielo è limpido. La piccola cittadella dell’Hotel dispone di 266 camere e suite in stile contemporaneo progettate dallo studio italiano dell'architetto Matteo Thunche ha scelto per i restauri la tecnica “box in the box”, ossia di mantenere i vecchi muri a vista esterni, e di ricostruire agli interni con materiali autoctoni riciclati e creando nuove strutture funzionali arredata in stile moderno.
L’isola a pieno regime è capace di ospitare fino a mille persone fra clienti e i circa 400 dipendenti locali, Italiani e stranieri ... Non credo però che giunga spesso al tutto esaurito e al gran pienone … Chiuso d’inverno, il complesso viene aperto da marzo a novembre per ogni tipo d’evento: anche pic-nic, feste di compleanno, e perfino visite di scolaresche al parco in cui c’è Uliveto: l’unico rimasto dell’intera Laguna Veneziana.
L’isola si può raggiungere facilmente e gratuitamente in circa venti minuti con la navetta ormeggiata ai Giardinetti Reali a soli due passi, proprio due, da Piazza San Marco. Non è raro incontrare in isola dei Veneziani dediti al relax, a prendersi il sole e a rilassarsi passeggiando nel parco di Palme, Gelsi, Salici, Pini, Canfore, Cedri Atlantici, Larici, Bagolari, Ippocastani e molto altro ancora... Corrono le Lucertole sui muretti assolati, nugoli d’insetti si rincorrono es’“imbovolano” nell’aria profumata di salsedine. Intorno all’isola passano pigre barche spinte sui remi e qualche motoscafo lanciato all’arrembaggio della Laguna … In alto volteggiano rauchi Gabbiani diretti oltre il Lido sul mare aperto, mentre qualche Cormorano solitario spadroneggia intorno camminando e zampettando … anzi: quasi danzando sopra alle acque lisce come specchi della Laguna.

Infine … Esiste, tanto per cambiare, una diceria diventata per qualcuno ormai quasi leggenda Lagunare. La diceria racconta che l’isola di Sacca Sessola sia abitata d’inverno, cioè stagionalmente, da degli “Spiriti”… Mancando i clienti in quel posto così ben messo e accogliente, si pensa che abbiano piacere di andarci a vivere loro durante la brutta stagione ... Questo perchè lì se ne possono stare tranquilli, ben discosti da quel pressante casino che portano di continuo i sempre più asfissianti turisti.

Se ne dicono però tante sulla Laguna e sulle isole Veneziane … troppe forse … Buona parte di quanto si va dicendo risulta spesso essere solo “strambotti gratuiti”, ossia banali invenzioni fantasiose, infondate e prive di senso.

“Sacca Sessola di certo è un mondo a parte vinto dal silenzio.”… Questo è vero … Ci sono stato proprio ieri pomeriggio … ed è stata ancora meraviglia … Si prova quell’ebrezza tipica Veneziana, e ti sembra di riconoscere e di riappropriarti di qualcosa di particolarmente tuo, che stavi purtroppo quasi dimenticando.




“Una cruda lettera su quelli di San Marcuola nel 1820.” - (terza parte: la "macchina subliminale")

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“Una curiosità Veneziana per volta.” -  n° 176.

“Una cruda lettera su quelli di San Marcuola nel 1820.”

(parte terza: “La “macchina” subliminale dell'Archivio e delle Consuetudini della Contrada”.)

“Strutta strucca l’Archivio gèra piccolo e stretto: un pèr de armeròni strapieni de carte fin all’orlo ... Ma el gèra vivo !” mi diceva un Prete ormai tanto tempo fa.

Dopo aver provato a rendervi vagamente l’idea su com’erano alcuni “tipi” di quelli che sono stati i Preti dei Capitoli Veneziani, provo ora ad accennare ad alcuni strumenti che sono stati utilizzati per secoli dai Preti di Contrada… in modo particolare da quelli del Capitolo della “maxiContrada” unificata di San Marcuola nel Sestiere di Cannaregio. Credo che ora abbiate intuito come poteva essere, presentarsi e vivere quel Don Rado che ha scritto quella lettera al Patriarca Pirker nel 1820. Preti e personaggi come lui furono come la “dinamo, il cuore, l’ingranaggio di base e fondamentale” intorno al quale ruotò la vita e le storie delle Contrade Veneziane di un tempo.

Curiosamente nel mare dei documenti dell’Archivio di San Marcuola si trova accennato ed elencato anche un Legato del Piovano Don Giovanni Rado (il “caliente” autore della lettera al Patriarca Pirker), cioè un lascito e bel gruzzoletto economico perpetuo a favore del Capitolo dei Preti e della sua Parrocchia Contradariale di San Marcuola perché gli celebrassero un po’ di Messe di Suffragio al fine di agevolargli “la Pace Eterna in Cielo” ... Al di là di tutte le severe critiche mosse nella lettera alla Contrada di San Marcuola, Don Rado non doveva poi volere così male a quella sua “creatura”.

Una volta una di quelle “donnine tutte casa-cièsa”, ossia una di quelle vecchierelle “esemplari”della Contrada, quelle che parlano di continuo senza alcun filtro o remora nella testa dicendo e rivelando tutto di tutti, o più semplicemente raccontando tutto quello che passa loro per la testa, mi spiegò: “El Prete xe pèso de un Dottor … El sa tutto quèo che ti gha in pànsa: se ti xe gonfio, e quante volte che ti va in gabinetto … e se ti magni e se ti bevi, se ti gha debiti, preoccupaziòn e problemi … e se ti va in letto co to mugièr o con qualcun altro o altra, e come e che còssa che ti fa … El sa tutto de ti insomma ! Ogni sbaglio, desiderio, paura e speranza … El se come se ti te vardàssi in spècio: el te commenta, el te spiega, el te dise e sa, el te indica cosa far e come comportarte .. El fa: si e no, e decide el giusto col sbaglià …”

La donnina ha riassunto sinteticamente e bene quelle che erano le doti precipue dei Preti e soprattutto dei Piovani di Contrada, e mi ha fatto capire come costoro per davvero abbiano “governato le sorti” direttamente e in profondità, e “abbiano tenuto strette le redini” del destino di quasi tutti quelli che la abitavano e popolavano quella zona di Venezia.
Ancora in un documento dell’Archivio della “maxiContrada-Parrocchia allargata” di San Marcuola si può leggere alla data 10 maggio 1498: “… caso di Peste manifesta in Contrà della Maddalena appresso al Ponte dell’Aseo, la qual dove sia processa non se puol intendere, et havendovi a far in questa città la Fiera nei zorni prossimi della Assention, alla qual non solamente tutto el popolo della città concorre, verum etiam de molti altri luoghi si circonvicini, come lontani, gran parte de qual sono infecti da morbo, si come all’Offitio nostro è manifesto; et perché per el gran concorso de popoli veniriano ad essa Fiera, per la conversation, et pratica, facilmente potria metter in questa città grand’incendio, qual poi saria irrimediabile; siano necessario, et expediente per la universal salute, mediante lo auxilio Divino dar ogni opera in provveder a così manifestissimo et evidentissimo pericuolo, et far ogni debita e celere provisione:
L’anderà parte, che per l’autorità de questo Conseglio, la Fiera predetta solita farsi nelli giorni della Assentione, per li soprascitti rexpecti per questo prsente anno far non se debbi, et cussì proclamar se debbia su le scale de San Marco et Rialto, à notitia si de quelli della città, come de altri luoghi de fuora che fusseno per per vegnir cum sue robbe, et marcandantie, acciò untesa tal deliberation, niuno se metti a vegnir de qui cum damno, et incomodo loro.
Nella pubblication veramente che se haverà a fa, su le scale de Rialto del decretto predetto, se dichiari solamente questo farse per preservar questa città dalla contagion del morbo, che par sii nella Marcha, in alcun luoghi dell’Istria, et altri vicini a questa città nostra.
Et fu presa.
Ser Leonardus Grimani Sapiens terre firme. Vuol che acciò la presente materia sia più maturamente consulta, sia afferida ad un altro Conseglio. E non fu presa … Ser Phedericus Cornaro Procurator, Ser Antonius Grimani Procurator, Sapientes Consilii, Ser Petrus Duodo et Ser Hieronimus Leone EquesùSapientes terre fine, Ser Leonardus Marcello, Ser Angelus Trivisno et Ser Hieronimus Bono Provisore salutis …”

Come avete potuto leggere, è bastato “un colpo di Peste” per mandare all’aria per diverso tempo tutto il “marchingegno funzionale”dell’attività del Capitolo di San Marcuola & Contrade… Anzi: eventi come la Peste in quegli anni erano capaci d’“inceppare severamente” tutta Venezia insieme alle Isole dell’intera Laguna ... La Peste era la Peste: ogni svolta resettava tutto e tutti, sapeva cambiare fisionomie e contatti, nomi, volti, modi ed equilibri spingendo molti “grandi e piccoli” dentro alla fossa. Poi però, quasi per miracolo e incanto, come l’arcobaleno e il sereno si mostrano dopo la bufera o la tempesta, anche in Contrada ogni cosa tornava a girare e funzionare “purgata, risanata e riveduta” come meglio non si poteva: in fretta si sostituivano “i pezzi mancanti”, e tutto tornava a vivere e muoversi più o meno alla stessa maniera in cui s’era fatto sempre … e Venezia tornava ad essere Venezia, e ogni Contrada nel suo piccolo faceva la stessa cosa.

Quella Veneziana e delle Contradeè stata più volte una fiaba e Storia a lieto fine (ricordate l’immagine televisiva pubblicitaria di qualche decennio fa ? … Quella del: “Gigante … pensaci tu !”, che sapeva restituire la pace all’intera vallata?)… Ecco: la Storia di Venezia e della Laguna è stata più volte così: ogni volta ci si rialzava, e tutto continuava ad accadere e scorrere nella Laguna ... e i Preti del Capitolo di San Marcuola, come tutti gli altri delle Contrade, tornavano a riprendere “il controllo” indirizzando un po’ tutto e tutti.

Ecco il concetto di base e più significativo: “indirizzando e controllando tutto e tutti”, perché consenzienti tacitamente i Veneziani, iPreti del Capitolo di San Marcuola erano non solo “una potenza autorevole” all’interno del particolare tessuto urbano e sociale della “maxiContrada”, ma anche coloro che dettavano “le regole del vivere”, e vigilavano attentamente (quasi implacabilmente talvolta) perché fossero applicate e rispettate.

Al pari dei Capi Contradase non molto di più, i Preti del Capitolo di San Marcuola(al pari di tutti quelli degli altri 72 Capitoli delle Contrade Veneziane[****numero fluttuante: a volte le Contrade furono accorpate e sminuite, altre volte allargate e aumentate]) erano punto di riferimento obbligato per tutti: cioè tutti quelli della Contrada dovevano confrontarsi e rapportarsi di continuo con loro tramite un mare di: certificazioni, Atti pubblici, Fedi varie, istruzione scolastica, riconoscimenti di mendicità e bisogno, e raccomandazioni e presentazioni di ogni tipo e sorta … Non c’era scampo: il quotidiano di tutti doveva passare attraverso le mani, il “setaccio di verifica” e l’influenza dei Preti del Capitolo dal cui controllo non si poteva in alcun modo prescindere ed esimersi. Come avete potuto desumere e leggere fra le righe della lettera su San Marcuola scritta da Don Rado, il Capitolo dei Preti teneva strettamente in pugno la vita dell’intera Contrada.

E questa capillare e intensa “gestione” i Preti la realizzavano servendosi di alcuni strumenti specifici: l’Archivio, le Consuetudinie lo Schedario delle Anime di quelli di San Marcuola.

L’Archivio era collocato e distribuito in diverse sedi vicine e afferenti in maniera strettissima con la chiesa dei Preti del Capitolo di San Marcuola: Canonica, Sacrestia, Oratori e Schole limitrofi. L’Archivio era una specie di “porto di mare quasi sempre aperto e disponibile” dove ogni attività della Parrocchie e Contrada si riassumeva e rapportava venendo schedata, indicizzata e annotata con estrema puntualità e precisione. Niente della vita dell’intera Contrada sfuggiva alle valutazioni e all’attenta capacità di “registrare” del Capitolo dei Preti che si serviva di un notevole numero di apporti e “corrispondenti sui generis”: persone perfettamente inserite e integrate nella vita della Contrada, che fungevano da “satelliti, e occhi e orecchi dei Preti e dell’Archivio”Il Capitolo dei Preti di San Marcuola sapeva, era informato, e aveva profonda conoscenza di tutto e tutti, al pari di una moderna organizzazione d’Agenti Segreti 007 antelitteram, e forse anche di più: affittanze; patrimoni e rendite; istruzione; il lavoro gestito dalle Schole delle Arti e Mestieri cittadini; le varie forme di Devozione; le elemosine con le iniziative di Carità, Beneficienza e Previdenza; i Lasciti, i Legati, i Testamenti, le Mansionerie di Messe, i Suffragi e le Memorie per i Morti; e soprattutto le scadenze obbligatorie dei Sacramenti che segnavano l’inizio dell’esistenza col Battesimo, ne scandivano il calendario della crescita e maturazione tramite la Messa e la Comunione, la Confessione, la Cresima e il Matrimonio, ne decretavano il declino della vecchiaia e malattia con l’Estrema Unzione, e la conclusione col rito dei Funerali e il prolungamento mesto del Cimitero … Tutto filtrava, convergeva, confluiva e veniva passato per forza nella realtà Parrocchiale dei Preti, e perciò tutto veniva contabilizzato, soppesato e segnato e descritto attentamente fin nel dettaglio, come si faceva in ogni affidabile ed efficiente Azienda di famiglia che segnava con precisione le “entrate e uscite” del suo bilancio … In questo a Venezia si era da secoli Maestri: la Mercandia Venezia ce l’aveva nel sangue, nel DNA … e la Contrada veniva trattata dal Capitolo dei Preti al pari di una sorta di specialissima quanto preziosissima “Mercanzia umana” composta “d’Anime”... ma sempre una forma di Mercandia era ... sebbene di natura spirituale … mica tanto però.

Nelle obsolete, cupe e asfittiche sedi, e nei “bùsi scuri” dell’Archivio della Parrocchia e Contrada di San Marcuola passavano di continuo tutti quelli che abitavano la Contrada … e non solo loro. L’Archivio del Capitolo dei Preti di San Marcuola era come un insolito sportello sempre aperto e disponibile, una specie di balcone informatissimo perennemente affacciato e spalancato sulle sorti spicciole e grandi della Contrada. Il Capitolo dei Preti gestiva e controllava in nome di Dio e della Serenissima, ma “con discrezione”(ma neanche tanto, anche con una certa forza e veemenza diretta) il “bene pubblico e privato di tutti”.

Come avete potuto intendere dal tono e dal modo esplicito della lettera del Piovano Rado, i Preti del Capitolo di San Marcuola non si facevano scrupoli, né avevano reticenze e remore nell’intervenire direttamente sulla vita e sugli affari di tutti quelli della “loro” Contrada … Perché era proprio così: in un certo senso e modo, i Preti del Capitolo di San Marcuola sentivano che la Contrada “apparteneva” a loro, o perlomeno era fortemente soggetta alla loro autorità e guida onnipresente ... ed efficiente. La Contrada nel suo insieme era come “una figliolanza” dei Preti del Capitolo, che avvertivano nei riguardi dei Veneziani della zona una specie di sentimento protettivo e materno-paterno ... anche se qualche volta aveva un retrogusto un po’ da “matrigno”.

Nel realizzare questo “provvido controllo sociale” i Preti del Capitolo di San Marcuola (al pari degli altri Capitoli dei Preti Veneziani) non furono sempre equidistanti, avveduti e saggi, provvidi, superpartes e disinteressati, ma più che spesso procurarono il loro interesse economico (in primis) oltre che spirituale governando e amministrando “quelli della Contrada” con estrema costanza e determinazione.


Chi non era con loro era contro di loro … Chi non ci stava oppure dissideva: erano dolori e vita difficile, anche se tutto si realizzava quasi sempre all’insegna della gentilezza e del buon garbo, con eleganza e diplomatica dolcezza. Si veniva “tagliati fuori dal vivere sociale e della Chiesa” se non si era consenzienti, allineati e adempienti ... ed era un attimo: si finiva isolati, additati ed esclusi, relegati dall’altra parte della barricata, ossia quella dei non ben accetti, dei reprobi, degli inconfessi, dei “nemici dello Stato, della Chiesa e della Fede, e del benessere quotidiano della Contrada”… un po’ come si faceva con i Giudei, con i reprobi, gli inconfessi e gli infedeli… Diciamo che i Preti col loro efficiente entourage possedevano un potere neanche tanto occulto di “esorcizzare, demonizzare, isolare e ghetizzare” tutto quanto e chi non era coerente col loro filone logico-dottrinale-morale, e non familiarizzava a sufficienza con le sofisticatissime regole e consuetudini di comportamento a cui tutti dovevano rifarsi … come era stato indicato, ed era assodata Tradizione ormai da secoli.

Esisteva come un “malloppo storico”, una serie di dettami e tacite norme acquisite e assimilate da tutti a cui ciascuno doveva riferirsi senza esenzioni alcuna dalla nascita alla morte, e di cui tutto il quotidiano era necessariamente pervaso. Non era facoltativo aderire a quel modo d’essere: la vita a Venezia era stata organizzata in quella maniera per secoli, e quello era il “giusto equilibrio” politico-esistenziale-interiore e sociale in cui doversi riconoscere … Anche la Serenissima da parte sua si riconosceva legata a quei “validissimi e basilari principi: le colonne del Vivere” che riconosceva come fondanti e irrinunciabili anche per se stessa. In un certo qual modo: Parrocchia & Contrada si compenetravano e coincidevano formando un “unicum” inscindibile buono sia per la Serenissima che per la Chiesa. Potremmo dire che la Serenissima con le Leggi che sapeva sfornare, andava perfettamente a bracetto e d’intesa con quello che era “l’Opus”e il “Diritto Giuridico dell’Ecclesia”… Stato e Chiesa, Sacro e Profano erano facce diverse di una stessa medaglia Marciana, scopi complementari di un unico progetto di autoaffermazione Civico-Religiosa sostenuto da uno stesso scopo e fine che mirava al controllo del potere e dell’economia ... Tutto: “Cielo e Terra, e Vita e Morte” derivava e ruotava intorno a quella irrinunciabile finalità e dicotomia.

Di conseguenza lo Stato Veneziano (ieri come oggi, la storia non è cambiata più di tanto)è stato per secoli la: “longa manus e braccio secolare” del Clero e della Religione ... e viceversa.

Esisteva poco margine “d’inventarsi e di libera azione”per chi viveva a Venezia, in quanto tutto l’esistente era stretto e controllato e gestito in tutto e per tutto e fin nei minimi dettagli dalle Magistrature e Autorità della Signoria della Repubblica da una parte, e dai Capitoli dei Preti e dalle Autorità Patriarcali dall’altra. Ogni Veneziano veniva preso in consegna dalle une e dalle altre alla nascita, e condotto “passo passo”, giorno dopo giorno e anno dopo anno per tutta l’esistenza e fino al Cimitero, e anche oltre dalla “mano amorevolissima e solerte di Pastore” sia della Repubblica che dell’Ecclesia. Non c’era alternativa … era così: punto e basta ... prendere o lasciare … e lasciare, proporsi come diversi o in alternativa significava più che spesso: “finir male”.

Soprattutto con l’esercizio continuativo e incalzante dei Sacramenti, con la Confessione frequente tramite uno stuolo di Confessori quasi sempre disponibili, il Capitolo dei Preti fungeva da “padre-padrone”della Contrada esercitando uno stretto controllo sui sentimenti, le emozioni, le coscienze e i pensieri delle menti di tutti e ciascuno. Erano i dettami del Capitolo dei Preti di San Marcuola a saggiare e governare e vagliare e correggere gli atteggiamenti intimi delle persone ... I Preti di San Marcuola sapendo sempre “morte e miracoli” di tutti, dettavano dal pulpito della chiesa le loro condizioni e indicazioni durante le numerosissime Messe e Funzioni dalle quali era impensabile astenersi o essere assenti dal partecipare. Lì si dava di continuo indicazioni specifiche sul“come vivere e comportarsi” andando a toccare direttamente e in profondità “le corde più intime di ogni Animo”,e andando a influenzare e determinare le scelte spicciole di ogni persona: “Il Santo Gregge del Popolo di Dio a noi affidato va pascolato, protetto, difeso e indirizzato ...in quanto sono stati dati mandato e grazia a noi di guidarlo.”

Ai fedeli, cioè agli abitanti della Contrada, non rimaneva che seguire fedelmente e docilmente dalla nascita alla Morte senza sottrarsi quelle indicazioni e lasciarsi quindi portare da tutto quel “Sano e Storico e Santo fluire”(sarebbe stato possibile comportarsi diversamente ?).



Osservando, infatti, i Registri dell’Archivio della Parrocchia-Contrada si potrà scoprire, ad esempio, che all’inizio del vivere quando si registrava la nascita delle persone apponendovi il nome col Battesimo, erano più che spesso i Preti a dare indicazioni su quale nome scegliere e imporre al neonato/a. Era il gesto del Battesimo: “l’Atto e la certificazione del nascere”:tanti nomi non erano ammessi ed erano banditi, era consigliatissimo se non raccomandabile scegliere e utilizzare nomi dei Santi o della Madonna, e già che c’erano tanti Piovani e Preti aggiungevano per conto proprio un bel “Giuseppe” come secondo nome per i maschietti, o “Maria” per le femminucce … Ancora spesso veniva aggiunto: “Carmine o Carmela” nelle chiese della Madonna del Carmine, o “Ludovico e Ludovica”, o Antonio e Antonia… o perfino il nome personale del Piovano, e altro ancora secondo le circostanze, i luoghi, e il contesto e le Devozioni entro cui ci si trovava ad operare. Andate a sindacare e scoprire se ne avrete voglia perché qualcuno fin oltre la Seconda Guerra Mondiale si portava appresso anche nomi come Leopoldo o Ermenegildo, o Domitilla, o Eusebio/a… Non faticherete a trovare Piovani che portavano lo stesso nome, o erano particolarmente devoti proprio a quel Santo/a.

A qualcuno/a è stato a volte imposto dieci-quindici nomi diversi fra quelli imposti e quelli suggeriti con tanta modestia dalla famiglia; non sempre si trattava di richiamare un aulico blasone nobiliare e di casato. Già fin dall’inizio quindi, col Battesimo e l’imposizione del nome, accadeva come “un marchio”, l’applicazione di un’impronta di fabbrica, e l’imposizione di una “qualifica e indirizzo” ben precisi che avrebbero identificato e diretto quella nuova esistenza.

Credo di non esagerare nell’affermare che lungo i secoli è avvenuto un vero e proprio controllo subliminale da parte dei Preti del Capitolo su quelli della Contrada, anche se bisogna aggiungere che quasi tutti i Veneziani si sono ritrovati ad essere consenzienti e spontaneamente soggetti e partecipi a quella“logica di sudditanza indotta”in cui si ritrovavano inseriti fin da subito, fin dalla nascita, tacitamente.

Il Capitolo dei Preti di ogni Parrocchia-Contrada era in se un’unità locale funzionale ben precisa, ben formata, organizzata ed efficiente che seguiva precisi “principi e consuetudini”, al cui vertice erano posti tre-quattro Preti Titolati che possedevano autorità diverse “a scalare”… d’impegno, di responsabilità, e soprattutto di rendite, provvidenze e benefici … I Preti del Capitolo provvedevano ad esercitare il “governo spirituale”,e non solo quello, sulla Contrada. Serve precisare che non sempre quei Preti sono stati persone dotte, preparate, qualificate, disinteressate e totalmente dedite sinceramente alla causa … Anzi ! … La Storia Veneziana è tutta punteggiava di vicende e circostanze che dimostrano proprio il contrario (Ci sarebbe da perdersi nel soffermarsi a citare tanti esempi ... In fondo i Preti erano uomini con tutti i limiti e le debolezze dell’umanità, e quindi soggetti a ogni forma di comportamento espresso dalla comune esistenza).

Tutte “le regole e contenuti utili” che servivano a far funzionare e gestire quella “efficace macchina sociale”venivano precisate, desunte e richiamate dalle consolidate e tradizionali varie “Consuetudini della Contrada di San Marcuola … Santa Fosca, Santa Maria Maddalena e San Lunardo” puntualmente espresse, messe per iscritto ed elencate e registrate nei Libri e i Registri dell’Archivio della Contrada ... Non c’era nulla da inventare d’alternativo e nuovo o diverso nell’esercizio della vita e della Storia della Contrada. Le regole e lo scorrere della “cose e della vita di Chiesa”erano codificate: tutto era stabilito, detto, precisato e già fatto e ripetuto per secoli ... Si trattava solo di obbedire, prolungare, conservare e continuare … anzi: perpetuare e mettere in pratica l’esistente … cioè “le giuste cose” di sempre.

Il mandato gestionale, cioè l’investitura dell’autorità dei Preti del Capitolo della Contrada era scontato: da una parte c’era la nomina diretta del Vescovo poi Patriarca(emanazione quasi diretta dell’Autorità Divina-Celeste), spesso alla fine di veri e propri consueti “concorsi fra Preti” che valutavano: competenze, Dottrina, attitudini, Nobiltà e preparazione; dall’altra ci potevano essere l’indicazione e la proposta d’elezione del Piovano del Capitolo da parte dei Capifamiglia della Contrada che determinavano così il titolare della loro Contrada-Parrocchia (la scelta in ogni caso era sempre soggetta all’approvazione sia del Patriarca che della Serenissima).

Da parte dei Veneziani delle Contrade poi, esisteva sempre una docile disponibilità fattiva, una specie di tacita sudditanza, nei confronti del Capitolo dei Preti della propria Contrada che era quasi assoluta. Era come l’espressione di un DNA quello presente nella mente di quasi tutti i Veneziani, dal cui effetto ed esplicitazione quasi nessuno sapeva né voleva, né quasi mai avrebbe osato esimersi. Ne derivava, insomma, un formidabile apparato funzionale che lungo i secoli ha determinato una specifica mentalità e un modo di vivere e intendere che ha caratterizzato il modo d’essere dei Veneziani di tutto il Sestiere di Cannaregio, della Contrada (e … di tutta Venezia).

L’attività del Capitolo dei Preti poi si estrinsecava e esplicitava allargandosi ulteriormente venendo “corroborata” e aiutata da tutta una consistente schiera d’altri Preti e Religiosi che stazionavano direttamente nella Contrada abitando le varie Corti e Calli dei Preti, o pervenendo di frequente in Contrada dalla vicina ampia area Monasteriale di Cannaregio(strapiena di presenze Religiose di ogni sorta). Accanto a tutti costoro inoltre, esisteva anche un vero e proprio “esercito di personaggi di chiesa” affigliatissimi e ammanigliatissimi e completamente dediti alla causa, che fungevano da costante e preziosissimo tramite e tredunion fra i Preti del Capitolo e tutto il resto della pubblica realtà sociale della Contrada. Questa gente viveva radicata e infiltrata in ogni situazione del territorio, che era l’habitat esistenziale da dove facevano continua spola col Capitolo dei Preti che supervisionavano la Contrada ... Accadeva, insomma, un continuo andirivieni  e un intenso scambio di notizie e segnalazioni. C’era come un “ritorno costante” dalle spicciole circostanze esistenziali quotidiane della Contrada all’Istituzione Ecclesiastica del Capitolo dei Preti ... e viceversa. Era come se i Preti del Capitolo fossero stati presenti e attenti ovunque: in famiglia, nelle bettole, taverne, locande e osterie, al mercato, sulle Rive, nei Campielli e Corti, nei Palazzi dei Nobili, e in ogni angolo e situazione lavorativa e d’interscambio della Contrada ... Il Capitolo dei Preti aveva grandi occhi e grandi orecchi, e presso e intorno a loro si coagulava e unificava tutta la Contrada divenendo un tutto omogeneo e amalgamato da pascere, soppesare e governare di continuo.
Non voglio parlare di plagio dei Veneziani delle Contrade, ma di certo i Preti dei Capitoli hanno esercitato un continuativo e profondo controllo esistenziale ed emozionale di tutti quelli che vivevano in Contrada ... Per questo ho parlato di subliminale.

Un esempio fra i tanti possibili: nell’Archivio della Contrada e Parrocchia di San Marcuola esisteva perfino un Libro degli Annegati in Contrada. Quanti potranno mai essere stati gli annegati in Contrada ? … Migliaia ? … Non credo proprio … Eppure venivano tutti puntualmente annotati, catalogati ed elencati nell’apposito registro dell’Archivio precisandone dinamiche, nomi e situazioni fin nei più minimi dettagli. Questo a dire che “tutto, ma proprio tutto”veniva recepito e considerato, segnato e tenuto sotto attento controllo dai Preti del Capitolo ... Niente sfuggiva all’attenta, assidua osservazione dei Preti … Tutto interessava a loro … e ogni cosa o notizia dopo essere stata attentamente valutata, considerata e archiviata, provocava e riceveva una sorta di “risposta di rimando” da parte dei Preti, un “dovuto ritorno” fatto d’indicazioni, richiami, precetti e di un continuo rimando all’applicazione delle “buone regole etico-morali” imprescindibili per il “buon vivere” di tutta la Contrada ... Ogni occasione era utile per ribadire e confermare quei concetti e precetti di fondo con prediche, commenti e insegnamenti dall’altare o dal pulpito, o direttamente incontrando le persone a tu per tu durante le celebrazioni dei Sacramenti, i Funerali, i Matrimoni e tutto il resto.

I Preti poi compivano delle vere e proprie “ronde quotidiane” nel territorio della Contrada: entravano con autorevolezza nelle case e nelle singole famiglie, negli esercizi pubblici, e in tutti i posti dove accadeva l’esistenza della Contrada. Perciò andavano a controllare e verificare direttamente quanto veniva già loro segnalato puntualmente in precedenza: avevano si può dire proprio “le mani in pasta” nella vita della gente.

Per questo il Capitolo dei Preti sapeva fornire indicazioni sullo stile del lavoro, gli affari, la dipendenza lavorativa, sulle modalità della socializzazione, sulla convivenza familiare, sui divertimenti e la gestione del tempo libero, sulla moda, sull’educazione e la cultura, sulla gestione degli affetti coniugandoli descrivendoli in dettaglio fin dentro al letto matrimoniale, e perfino sulle diete alimentari da seguire … Decretavano, insomma, il “giusto modo” per intraprendere anche la malattia, l’infermità, l’anzianità, la miseria e la gestione finale della Morte e dell’Aldilà: l’intera vita della Contrada derivava dall’azione, dall’ispirazione e dal controllo ubiquitario e immancabile dei Preti del Capitolo che sapevano tutto di tutti. C’era però anche una reciprocità: cioè i Veneziani della Contrada si aspettavano dal Capitolo le indicazioni utili per il “corretto ed efficace vivere”, mentre la Serenissima del Leòn in parallelo annuiva, vigilava e confermava, faceva proprio e gestiva tutti quei frutti di quell’ingegnoso e attento sistema e apparato perseguendone (più o meno)gli stessi fini. Anche i Nobili col loro ricco, potente e influente apporto erano parte integrante della Contrada.

La gestione e il controllo del Capitolo dei Preti era un “meccanismo, un marchingegno” proprio solido, bel oliato, esperimentato, certo e collaudato, soprattutto: efficiente e funzionale ... del cui “ottimo funzionamento” il Piovano rendeva conto sia al Doge con le sue Magistrature di controllo, che al Patriarca con i suoi Vicari e rappresentanti.
L’Archiviodi conseguenza ha tratteggiato e sintetizzato per secoli (1400-1950) questo “modus operandi” del Capitolo dei Preti su tutte le esperienze della vita di “quelli della Contrada allargata di San Marcuola”. Il risultato è stato un consistente mare, una miniera, una montagna immensa di documenti, carte, schede compilate a mano (migliaia, con milioni di dati e informazioni dettagliatissime)… un database formidabile e copiosissimo: “L’Archivio della Contrada è un mostro sacro, una macchina stupenda ed efficiente, l’Animo, il riassunto e sintesi di tutto quanto accade dentro alla vita e alla storia della nostra Contrada ...”

Entrare e metter mano nell’Archivio di San Marcuola(come in quelli degli altri Capitoli dei Preti Veneziani) significava entrare in possesso di una plastica visione, un video antelitteram impresso nella carta degli accadimenti contradariali, e addentrarsi nelle vicende di vita spicciole e personali dei Veneziani di quella zona. Si trovava uno strumento ordinatissimo, pensato, “digitalizzato”, cioè perfettamente inventariato, alfabetizzato, rubricato e indicizzato che metteva in fila e ordinava chiaramente ogni accadimento e personalità. Qualsiasi  Prete del Capitolo di San Marcuola avrebbe potuto “metter mano” col consenso e l’aiuto del Piovano, e ritrovare senza gran fatica, orientandosi e muovendosi in quell’immenso datario, il famoso “ago nel pagliaio” inerente alla storia di tutti e ciascuno.

La data approssimativa della nascita di quel potente strumento dell’Archivio è collocabile circa verso il 1550-1555, anche se si provvide fin da subito a raccogliere, catalogare e integrare le notizie dei secoli precendenti spesso già alfabetizzate e rubricate in primitive raccolte. Come bagaglio, integrazione e fondo prezioso si aggiunsero tutte le pergamene e i documenti antichi (1100-1200) depositati in Parrocchia, così da ottenere maggiore spessore e profondità storica, e un’ulteriore ricostruzione del volto della Contrada: “L’Archivio delle storiche scritture di nostra chiesa è uno strumento principe ... è la concentrazione visibile dell’intero lavorio del Capitolo dei Preti della Contrada.”

L’Archivio suddiviso e collocato fisicamente spesso in locali distinti ma limitrofi come: la Sacrestia, la Chiesa, la Canonica e l’Ufficio Parrocchiale era perciò un resoconto storico meticoloso, una vera e propria serie di “radiografie particolareggiate e in successione” dell’accadere storico della Contrada Veneziana … A metà del 1600 si può leggere nel “Libro de´ Atti del Reverendo Capitolo di San Marcuola” che il Piovano Zuanne D´Angeli ottenne dal Capitolo dei Preti l´autorizzazione a: “far fare un armaro in Sagrestia nostra per registrare e collocare le scritture della nostra chiesa giacché l´armaro delle scritture fatto farre dalli antecessori era molto angusto essendo moltiplicate le scritture per l´occasion de liti, confuso et incomodo il loco per studiarle e difficile per trovarle et per questo alcune smarite …”

L’Archivio di San Marcuola comprendeva: "Ellenco delli fogli che rassegnano il Reverendissimo Pievano e molto Reverendo Procurator di Capitolo ... in obbedienza al venerato precetto di sua Eccellenza Reverendissima intitolato Motu proprio"… e conservava stese per scritto le “regole del gioco” di quell’azione efficace, e degli intenti del Capitolo dei Preti di San Marcuola: "Costitutiones di San Marcuola" ... "Exemplum consuetudinem ecclesie Sancotorum Ermagorae et Fortunati Venetuarum."(1513) ... "Consuetudini di San Leonardo." ..."Libro de Atti del Reverendo Capitolo di San Marcuola" (1694).

Si provvedeva a registrare l’immagine vera e propria della realtà dell’intera Contrada: "Libro delle Anime della Contrà della Maddalene fatto adì 14 aprile 1592." ... "San Leonardo: Libro di tutti quelli che sono nella Contrà." ... "Elenco delle famiglie catalogate dalla Fraterna dei Poveri dei Santi Emagora e Fortunato”(1855)“Libro dei Nobili della Contrada” dal 1506 al 1637: “Che da mo avanti alcuno nostro gentile non possi ne debi simbaptizari come ne cresimare tuor alcuno zentilhomo per compar soto pena de esser privati de tutti officii et beneficii regimenti et consegli per anni cinque et oltra ... et la medexima pena cazino quelli zentilhomeni nostri che fusseno chiamati et andesse ai baptizari prediti et siano tenuti li Piovani et altri Preti de questa nostra città che batizasse alcuno fiol over fiola de alcuno zentilhomo nostro sotto pena de perpetuo exillio de questa cità et desctreto venir subito a manifestarlo ali capi de questo Conselgio... et la presente parte sia publicata nel primo gran Conseio et li piovani et li rectori delle giexie sia obligati a tacarla nele loro sagrestie anuntiando a tuti et cetera …”

E ancora: “Siano tenuti et obligati li Plebani over Preti Curati de le Parochie che harano baptizati fioli in termene de zorni tre da poi el baptizar facto, vegnir a dar per nota alo offitio de li Avogadori nostri di Comun li fioli che harano baptizado [...] Tuti Plebani et Preti Curati ali quali sia expresse commesso et comandato che debino siaschaduno de loro tegnir uno Libro sopra del quale habino et debino notar quanto ut supra per la presente parte […] Piovani et Preti siano tenuti ... tegnir ne li Libri loro conto et notificar tuti queli, si queli che li havesseno dati in nota che nascesse, como tuti queli nostri zentilhomeni che morissseno ne le Contrade loro.”

Infine: “Notarò tuti Nobeli che morirà in la nostra Contrà de San Hermacora e Fortunato io Pre Alvixe Zio Piovan per observation de la parte prexa ut supra.” “Anagrafi e variazioni di abitazione Anime Parrocchia.”(1857-66)

La gestione, invece, del consistente patrimonio economico, delle Rendite e Capitali del Capitolo dei Preti di San Marcuola veniva attuata servendosi di un organo specifico denominato Fabbriceria. Tramite quell’organo di controllo, ma anche direttamente, il Capitolo dei Preti gestiva gli introiti provenienti dagli strumenti delle Commissariee delle Mansionerie di Messe: altri considerevoli Patrimoni “dinamici e fruttuosi” composti da numerosi apporti pecuniari suddivisi e annotati e distinti nell’Archivio sotto diverse “voci attive”: "Partite de Capitali in Zecca”"Capitali all'Officio del Proveditor agli Ori e Argenti""Capitali, entrade si di fuori come di Venetia, investiture, obligationi, livelli, eredità testamentarie, giri, censi stabili, legati privati, Mansionarie, Esequi, acquisti, Schole, memorie, rendite, polizze, fatture, carte contabili, atti, filze de riceveri et altro spettante alla chiesa di San Marcuola.”“Minute di elenchi di offerte”(1860-67) ... Tutto veniva rubricato e catalogato come “da mano” d’avveduto ragioniere contabile, un commercialista esperto dell’epoca: “Libro di Cassa del Capitolo di San Marcuola segnato e fatto da me Pre Francesco Mander, Terzo Prete Titolato et da altri Libri e carte in Archivio nel 1735”"Cassa della Fabrica della chiesa di San Marcola tenuta da me Pre Bortolomio Trevisan Pievano e Presidente della stessa chiesa"(1727-32)“Cassa della Fabrica della Capella del Santissimo tenuta da me Pre Bortolomio Trivisan Piovano in San Marcuola per ordine de Ser Bonavetura Temanza Cassier”.

Nell’Archivio si raccoglievano“Cronache”,Cronistorie” e “Memorie Storiche” scandendo e misurando il trascorrere del Tempo e della Storia della Contrada:“Memoriali, inventari degli oggetti di chiesa (compresi elenchi dei libri liturgici), punti di testamento, elenchi di Mansionarie, Corrispondenze, note delle Celebrazioni Liturgiche svolte, e liste di ricevute dell'Esercizio del Piovano nelle sue diverse funzioni”(fino al 1900)"Carte esaminate e trovate oziose"(1412-1621)… "Documenti antichi, memorie e scritti che possono servire alla storia della chiesa e Contrada" (1501-30)“Visite patriarcali”(con documenti dal 1581). A tal proposito le Visite Pastorali dei Vescovi di Olivolo-Castello prima, e dei Patriarchi di Venezia sono state degli eventi importantissimi in quanto hanno scandito e puntualizzato la Storia della Contrada, e soprattutto hanno rilevato e analizzato fin nel dettaglio: situazioni, persone e bisogni delle Contrade di Venezia. Erano un pratico, quanto analitico e completo strumento di controllo (la cui attuazione a volte richiedeva anche una settimana), un’attenta valutazione e supervisione del “meccanismo e del sistema”. Gli Atti riassuntivi di quelle verifiche sono ancora oggi delle vere e proprie “fotografie” di epoche, persone e situazioni.

L’ingente Patrimonio e Capitale del Capitolo è stato poi gestito e difeso con assiduità per secoli tramite un oculato uso di Processi, servendosi all’occorrenza come confronto, stimolo e risorsa delle esperienze e appelli occorsi agli altri Capitoli Veneziani. In diverse occasioni il Capitolo dei Preti di San Marcuola non ha temuto di raffrontarsi, confrontarsi e contrapporsi con chiunque altro per ribadire, proteggere e far valere i propri diritti e interessi: "Controversia del Reverendo Capitolo di San Leone (San Lio) contra il Reverendo Capitolo di Santa Maria Formosa per Battesimo somministrato dal Reverendissimo Pievano di Santa Maria Formosa ad un figlio del Signor Antonio Muttoni nato nella stanza di una casa.” (1751-53) ... "Ragioni della chiesa Parocchiale di San Giovanni Grisostomo sopra il Funerale della quondam Francesca Crescenzi in confronto delle pretese della Parochia di Santa Giustina."

Non solo mancate ovviamente le tentazioni, i vizi, e i casi d’avarizia ed esosità personale dei Preti, ma lo scopo di fondo di quelle azioni durate a volte secoli è stato sempre lo stesso: il Capitolo di San Marcuolasi è contrapposto, imposto e confrontato senza timore con tutti: pro e contro gli organi di Governo e le Magistrature della Serenissima, contro le Schole-Fraglie-Confraternite di Arti e Mestiere cittadine, e contro chiunque altro osasse rallentarne o ostacolare il cammino del Capitolo dei Preti con le proprie regole e convinzioni: “Processo relativo all´Officio della "Sagomarie Olei." (1539-49)“Processo tra il Pievano e Capitolo di San Marcuola e i Tessitori.” (1700-1816) … "Processi contro Eremite di San Marcuola."(1487-1685)"Processi per la Schola del Cristo" (1593-1764)“Instrumento tra il Reverendo Capitolo di San Marcuola e la Veneranda Scola del Christo per la fabrica del sottoportico"(1694-1764)“Processo tra Pievano e Capitolo di San Geremia ed eredi Broilo e Pievano e Capitolo di Santi Ermagora e Fortunato” (1467-68): “Nota che Messer Marcho Ruzini volesse far terrar el rivo che se vien da San Hieremia ale chase da Brolio et non poter per la contradition de i proprietarii parochiani de San Marchora et specialmente che le aque son di la giesia predita Sanctorum Hermacorae et Fortunati et la paludi como apar per sententia”...“Hieremie emolumentum"(1667-68): “Processo tra San Marcuola e San Geremia per la restituzione di emolumenti ricavati dal funerale del fu Giovanni Maria Lombardi”"Capitolo di San Marcuola contro Capitolo di San Zuanne Elemosinario di Rialto per ius parrocchiale di sepoltura con attestati de casi seguiti." (1711-20)"Reverendo Capitolo di San Marcuola contra Padri Serviti in merito a consuetudini delle liturgie funebri." (1671-87)"Processo e carte in una causa del Piovan di San Marcuola contro li Confratelli e Schola del Santissimo Sacramento per candelle."(1607 con documenti dal 1528 e seguiti fino al 1839)"Allegazione del Capitolo di San Marcuola contro i Signori Fratelli Donati ed Elena Dal Cortivo Motti." (1700) ..."Processo e sentenza dell´Eccellentissimo Magistrato de Cattaveri a favor del Reverendo Capitolo di San Marcuola contro gl´Hebrei." (1433-1699): contiene una causa intentata dal Pievano di San Marcuola contro gli Ebrei abitanti in Contrada con inserti, fascicoli e carte relative a una precedente causa tra San Marcuola e San Geremia circa la giurisdizione del terreno del Ghetto (1458), e un altro fascicolo: “Summario delle ragioni tiene la chiesa di San Marcuola nell'acque et paludi etc.” (1500)“Causa tra San Marcuola e San Geremia circa alcune case fabbricate da Costantino e Bartolomeo de Bruollo cittadini veneziani.”(1433-1633)“Dolfini Nobilhomeni controversia col Capitolo di San Marcuola per proprietà di due caxette poste in Contrà de San Marcuola." (1499-1595): sono allegate altre controversie con i Nobili Priuli(1615-66) ... "Documenti e concordati seguiti tra il Reverendo Capitolo di San Marcuola contro la Confraternita e Veneranda Schola di Santa Maria del Capitello detta dell'Anconetta." (1504-1783)“Per il Reverendissimo Piovan di San Marcuola e Antonio Fortunato Sebastiani” (1729-32)“Memoria defensionale nell'interesse degli attori consorti Martinengo Cavalli.”(1883-1901)“Processo tra il Monastero della Santa Croce e la Congregazione di San Marcuola per livello dovuto al Monastero secondo la Commissaria del quondam Andrea Laude” ...“Longato contro fratelli Giuseppe e Antonio Stringari detti Girardi."(1708-30)... “Processo relativo a pendenze debitorie degli Stringari a favore di Iseppo di Girolamo Longato in qualità di Cessionario del Reverendo Zuane Zanini Piovano di San Basso.” ...“Processo novissimo interesse Laude contro Chinoto.” (1705) ... “Processo tra Stella moglie di Vido di Cà del Berardi ed Ettore ed Adriano Nievi per l’eredità del quondam Giovan Battista Mozzo.” (1627-92).

Secondo la forma prescritta dai Sinodi Diocesani, nell’Archivio di San Marcuola “luogo di Venezia e frazione del Comune”, si tenevano registrati tutti gli Atti Sacramentalicioè i gesti d’“lnizio e fine Vita” di ogni persona residente nella Contrada: “Registro manuale del Batizàr o de Baptismi, e Squarzi e Scartafazi de Nati e Libro degli Atti Canonici di Nascita e Registri dei Battesimi segreti.” (registri tenuti ininterrottamente “incomincia dal 1566 more veneto” al dicembre 1965)“Dichiarazioni di nati illegittimi” (1860-71) .

Si curava di annotare la crescita e la progressione sentimentale e interiore “pubblica e privata” di ciascuno: il Prete-Piovano di San Marcuolaè stato a lungo anche Ufficiale del Comune di Veneziain quanto non esistevano le Anagrafi Civiche: “Liber Confirmatorum Paroeciae Sanctorum Ermagorae et Fortunati, ovverossia: Libro delli Cresimati o della Cresima della chiesa di San Marcuola o Santi Ermagora e Fortunato."(adì 11 novembre 1638 al dicembre 1921)"Libro delle Publicazioni degli Ordinandi (futuri Preti)"“Stride d’annunzio dirimenti di chiesa o delle Canoniche Pubblicazioni di Matrimonio.”“Indici, Registri, Repertori, Filze e Atti civili e Documenti delle Promesse di Matrimonio o Sposalici, o de Contrati, Contraddizioni e Processi Matrimoniali.” (dal 1577 more veneto … con seguiti ininterrotti al 1997)“Matrimoni dei Militari.”(1854-69)“Prescrizioni sul diritto di Matrimonio del Governo Austro-Ungarico.”

Il Capitolo dei Preti di San Marcuola si curava di considerare e attestare lo stato di Salute ed economico di “quelli di San Marcuola certificandone fosse caso la miserabilità, la malattia, l’impotenza e la Morte”: “Libro per nottar li feritti della chiesa di San Marcuola"(fin dal 1500)“Registri degli Infermi di San Marcuola” (dal 1631) ...“Libro dei Malati di Peste”(1630) “Istruzioni ... per provvedimenti sanitari nel caso dello sviluppo nella regia città di Venezia del cholera asiatico.”(1835) ...“Suma Morti o Liber Mortuorum ex forma praescripta a Rituale Romano e dai Sinodi Diocesani” ... “Libro o Registro Alfabetico dei Morti.” (suddiviso per mesi, si è iniziato a stenderlo fin dal 1565 e fino al 1944, realizzando appositi specchietti riassuntivi, e inserendo e chiosando puntuali registrazioni contabili di entrate a favore del Capitolo derivanti dai singoli Funerali) ... “Necrologi Sanitari della Parrocchia”: il Piovano di San Marcuola rilasciava e certificava gli Atti Civili di Morte in cui specificava: “Data e ora della morte, Cognome e Nome, età, Domicilio, nome del Padre e della Madre, Condizione del morto, nome dell'Assistente alla Morte, Conforti Religiosi ricevuti e data della relativa Tumulazione”.

Provate solo per qualche istante a immaginare “all’opera” quella cerchia dei Preti del Capitolo di San Marcuola dediti giorno e notte, per anni come grilli talpa sepolti nell’Archivio. Li “vedo” tutti intenti a inventariare, descrivere e segnare … Quasi per una vita intera chini ad aggiornare i dati su Vita e Morte, gli avvenimenti contabili, i meriti e demeriti di ogni Anima della Parrocchia-Contrada … Quei Libri e quei resoconti erano come un’anticipazione della Bilancia del Giudizio Finale di San Michele oltre la Morte.

L’organizzazione dell’Archivio della Fabbriceria dei Santi Ermagora e Fortunato, cioè San Marcuola era sofisticatissima: “Protocollo per l'Archivio Generale, Indici, Disposizioni superiori, repertori degli Atti Fabbricieriali""Inventari delle carte, degli Atti e Registri Fabbriceriali e consegne dei Fabbriceri cessanti."(1737-1830)“Disposizioni Autorità Civili ed Ecclesiastiche.” (1808-1900 con documenti risalenti al 1610)“Parrochi, Economi, Vicari, Fabbriceri, Sagristi, Organisti, Nunzi, Inservienti, Zaghi, Esattori, Collaboratori, Stipendiati e loro amministrazione.”(1807-87)“Articoli disciplinari per la direzione delle Cariche e delle funzioni da sostenersi ed eseguirsi dalli Devoti contribuenti a Suffragio delle Anime de' tumulati nel Cimitero di San Cristoforo.” (1821-1903)“Bilanci e consuntivi.”(1817-1930) "Giornale Fabbriceria San Marcuola." (1821-28)...“Repertorio degli Atti soggetti a Registro.”(1901-07)“Prospetti generali e parziali della sostanza fabbricieriale.” (1810-71)"Giornale di entrata e uscita per l'azienda della chiesa parrocchiale dei Santi Ermagora e Fortunato relativo alli esercizi camerali.”(1846-47)"Minute giornali di Cassa." (1861-66):  “Minute tenute da Luigi Morandini che in esso giorno assunse l'amministrazione della Fabbriceria della chiesa parrocchiale di Santi Ermagora e Fortunato di Venezia”"Affittuali della fabbriceria dei Santi Ermagora e Fortunato.” (1859-63)“Cassa Fabbrica San Marcuola da … usque … pegli anni"“Registro Cassa.”“Squarzo attività.”“Reso Conto Fabbriceria.” ... "Cassa contanti amministrazione Fabbriceria.”“Passività Fabbriceriali da Livelli affrancabili passivi.” "Cose risguardanti i preesistiti Capitoli delle chiese amministrate dalla Fabbriceria." (1564-1876) … "Carteggio per aver notizia del domicilio d'alcuni debitori verso la Fabbriceria."(1843-47)"Istituzione delle scuole infantili ed ingerenza relativa per parte della Fabbriceria."(1836-37) “Opere pie. Disposizioni comuni alle varie opere amministrate dalla Fabbriceria.” (1882-91)“Cassa della Schola del Santissimo Sacramento fino a ottobre 1826: conti uniti alla contabilità del Giornale della Fabbriceria”"Disposizioni sulle monete." (1823-24)“Spese per oggetti di cancelleria ad uso fabbriceriale comprese le stampe.” "Cassa San Gaetano."(1817-1848: introiti provenienti da Cassella Morti e delle somme trattenute dalla Fabbriceria)"Registro della Fabbriceria delle somme che vengono passate alla Sagrestia per la celebrazione di Messe."(1823-29)"Protocollo d'Atti della Fabbriceria.”(1822-1937).

La Fabbriceria di San Marcuola gestiva il “patrimonio allargato” dei beni delle quattro Parrocchie fra cui quelli delle tre “succursali” di Santa Fosca, Santa Maria Maddalene e San Lunardo producendo un continuo fiume di Atti patrimoniali e amministrativi fin dal 1523. Si rubricavano e catalogavano gli Atti e gli effetti di: Testamenti, Prospetti contabili di Mansionarie, Anniversari, Esequie e Legati , Certificati di Rendita, corrispondenze e carte contabili di vario tipo, estratti e resoconti … C’era, ad esempio, raccolto e archiviato il fenomenale mare spettacolare delle carte inerenti ai “Legati, Eredità e Testamenti spettanti alla Parrocchia”: uno strumento giuridico ricchissimo utilizzato dal Capitolo, registrato dall’Archivio e rimasto attivo, valido e soprattutto fruttuoso per i Preti fino alle porte del 1900.

Tutto era quantificabile, aveva un prezzo, e costituiva un valore registrabile … anche “le cose dell’Eternità, dell’Anima e dello Spirito”… perfino le emozioni:"Riscossioni e spese della eredità Correr."(1736-82)“Testamento e codicillo di Francesco Biondi.”(1746-47)"Libro Cassa della Commissaria del quondam Reverendo Signor Don Paulo Salvadori." (1739-65)“Commissaria Spongaro.” (1874-1901)"Carte attinenti alla Commissaria del quondam Don Andrea Laude." (1737-82) ...“Registro Amministrazione di Mansionarie e Legati.”(fino al 1951 con notizie di documenti dal 1400: contiene gli importi raccolti per la celebrazione dei Legati di Messe e le sottoscrizioni d’avvenuta celebrazione da parte del Sacerdote celebrante)“Catastico di Legati, Mansionarie ed altre partite da rivendicarsi a beneficio della chiesa di San Marcuola, Santa Fosca, Santa Maria Maddalena e San Leonardo”“Registro improntato dal già Fabbricere Antonio Tagliaferri delle Mansionarie, Ufficiature ed altro riattivate nella chiesa parrocchiale dei Santi Ermagora e Fortunato colle inerenti attività e passività.” ... "Indice dei Legati e Mansionarie della Parrocchia."(1861 – 1863)“Elenco dei Legati appartenenti alla chiesa parrocchiale dei Santi Ermagora e Fortunato in Venezia.(1890) con inserite: “Minute delle tabelle dei Legati da esporsi nelle sagrestie delle tre chiese.”)“Eredità Giovanni Bellatin.”"Libro dei Legati: Lavoro del Fabbriciere Luigi Morandini.""Registro Mastro Legati Fabbriceria."“Legati della fabbriceria: data della ricevuta, destinazione, esecuzione dei medesimi”: importi ricavati da celebrazione dei Legati di Messe … "Esecuzione dei Legati di Fabbriceria della Parrocchia dei Santi Ermagora e Fortunato” (1932-51)… "Foglio pagatoriale Legato Fiordiben Nardelli, Zanchi Giovanni"(1861-79) … “Ricevute, Memorie. carte contabili e diffide di pagamento, Mandati di pagamento per Legati” (1852-1934)"Foglio pagatoriale Occioni Andrea" (1861-79)

Le carte e i Registri dell’Archivio distinguevano fra:Legati attivi”, “Legati in perdita” e “Legati inesigibili”…“Livelli perpetui attivi.” (1408-1845)"Legati delle Mansionarie del Reverendo Capitolo di San Marcola" (1738-55)“Prospetti dei Legati Perpetui e riduzione di essi concessi dalle Autorità Ecclesiastiche”"Fabbriceria: Nozioni intorno ai Pii Legati della chiesa parte dei Santi Ermagora e Fortunato e chiese aggregate. Deo adjuvante Tagliaferri opus 1828" … "Testamento di Costanza vedova di Giovanni da Ca' da Honor con cui, fra vari Legati, ne lascia uno di ducati 100 d'imprestiti alla Dogaressa Marina Foscari ed istituisce eredi residuari della metà della sua sostanza i poveri della Contrada”(1441)“Legati Perpetui Inesigibili lasciati alla chiesa di San Marcuola dalla soppressa chiesa di San Leonardo”: Giovanni Battista Moro, Giovanni Viaro, consorti Viaro, Orazio Marucelli, Marco Stenta, Francesco Parabin, e Elena Favra Olivo, Marina Grava, Domenico Griffon il vecchio, Don Leonardo Redicanal, Stefano Bianco, Pietro Bracchi, Maria Bracchi Nassini, Giorgio Bracchi, Elena Ca de Piero fu Sebastiano, Marco Calbo, Antonio Calegari fu Giovanni, Sante Carnelli … e avanti così.

Esistevano Legati offerti dai Nobili (che venivano privilegiati nell’esecuzione e applicazione in quanto di maggiore consistenza e valore economico): Taddea moglie di Ludovico Vendramin e MarcAntonio Vendramin, Giacomo Vendramin fu Michele, Sebastiano Contarini fu Nicolò, Agnese Vallaresso Gritti, Paolo Gradenico fu Pietro, Marina Callergi Grimani fu Vettore, Bonvicini, Querini del Procurator, Querini Pappozze di San Leonardo, Perina Bragadin del fu Angelo Querini, Lucrezia Tiepolo vedova Marcantonio Querini, Francesco Zustinian fu Angelo, Canala Dolfin, Lorenzo Pisani, Maria Berlendis vedova Pietro Schietti, Leonardo Emo fu Benedetto, Perina Colonna consorte di Bortolo Zen, Andrianna Correr …

C’erano Legati istituiti e offerti da Preti: Don Ferdinando Diana, Don Francesco Surbi, Don Giovanni Segati, Don Antonio Basilisco, Don Gaspare Altieri, Don Giovanni Olmo, Don Giovanni Bernetti fu Lorenzo, Don Giacomo Carioni, Don Orazio Licini, Don Giovanni D'angeli, Gualtier Parroco di Santa Fosca, Don Alvise Giraldon …

Legati lasciati da Artigiani e uomini dei Mestieri:Leonardo de Giorgi detto Varoter, Vincenzo fu Damiano Dentòr …

Legati “spettanti alla Parrocchia” voluti dai Parrocchiani qualsiasi residenti in Contrada: Tommasina Botulo, Bomadella vedova di Giacomo Martello, Dominica Danastasio, Margarita Garpiza Parasino, Angela Gastaldo, , Alessandro Girardini fu Bortolo, Maddalena Bonifaccio, Giovanni Girolamo Bonifaccio, Paolo Santini fu Andrea, Giacomo Colussi detto Manetta fu Pietro, Michele Pellatin, Alvise Geraldon fu Bortolo, Elena Rossi vedova Geraldon detto Bosio, Giovanni Bellatin fu Matteo, Anna Gerardini, Sante Colussi detto Manetta fu Giovanni, Teresa Bonaiuti, Agostino Ceresa, Giovanna Sirena ...

“Legati per una volta tanto lasciati alle tre chiese” nel loro insieme: Cristoforo Brombilla, Matteo Consolato fu Giovanni, Elena Loredan fu Giovanni Francesco, Caterina Zanchi Tasca, Giacomo Guerra, Giovanni Agugiano, Gaetana Luigia Maria Corner, Caterina Zampieretti, Maria Antonia Geraldon Raspoli, Elisabetta Battagia Goldini, Anna Maratti Coletti, Francesco Gritti, Bartolomeo Plebani, Giulia Rossi Vitlich, Giovanni Battista Cucchetti, Domenica Masolbello Pasqualotto, Maria Meratti Tasca, Antonio Miani fu Antonio, Maria Breda Scalabrin ...

“Un mare” quindi di richieste d’intercessione, di memorie, di suffragi e ricordi, e supplice, e passepartout “per un posto in Paradiso”. Solo chi ha avuto occasione di vivere in una Sacrestia e nei pressi di un Altare potrà intuire appieno il significato e il valore di quel continuo e quotidiano “lavorio celebrativo e propiziatorio” ininterrotto per secoli ... e accaduto in ogni Contrada e chiesa Veneziana: una vera e propria “messe” di chiamate e grida rivolte al cielo ... a pagamento s’intende, sebbene il più delle volte condite da parecchia Devozione.

E questa che ho appena tentato di descrivere è un’altra delle tante “voci e azioni” raccolte, segnalate e contenute negli atti della formidabile “macchina dell’Archivio”.

C’erano poi rappresentate e specificate fin nel dettaglio le maniere con cui quel formidabile patrimonio mobile e immobile raccolto dai Preti di San Marcuola veniva “portato a frutto”, investito, conservato e ulteriormente allargato a beneficio della Chiesa e a dividendo del Capitolo dei Preti della Contrada: “Patrimonio mobiliare e immobiliare, Sostanze attive e passive, Affittanze, Iscrizioni Ipotecarie, Prediali e altre Imposte.”“Stabili e fondi di proprietà della Fabbriceria dei Santi Ermagora e Fortunato in Venezia.”“Capitali e crediti di qualsiasi natura.”(1750-1879)“Sovvenzioni dal Comune e dallo Stato.”(1817-44)“Patrimoni Ecclesiastici.”“Certificati di rendita.”“Servitù Attive ossia danti annuo canone.”“Note d'iscrizioni ipotecarie e rinnovazioni ipotecarie.”“Case e beni fondi del Capitolo dei Preti di San Marcuola.”: stabili siti all'Angelo Raffaele, San Girolamo, Calle e Campiello del Magazzino e in Mestre … “Documenti e carte risguardanti la proprietà di campi 7 con casino in Mestre.”: proprietà sita in Carpenedo di Mestre fin dal  1491 … “Documenti e carte riguardanti la proprietà delle tre caxette in Campiel Lombardo.” (1824-36)“Case e beni fondi.”: relativi ai beni siti in Campolongo, San Donà e Villa Tora fino al 1847 con documenti dal 1510 … “Affittanze e tutto ciò che ad essi è relativo.”: beni in Mestre località Spalti, Lughetto distretto di Dolo, Zero Branco, Calle del Magazzino in Venezia … "Libro affittanze del Capitolo di San Marcuola.”

Si provvedeva alla manutenzione degli immobili: “Lavori e ristauri agli stabili all'Angelo Raffaele.” (1862-68)“a San Simeone.”(1810-33)“al casino e casa colonica in Mestre.”(1545-1842)“alle case a San Marcuola in Campiel Lombardo.” (1815-64)“alle case a San Marcuola nella Calle e nel Campiello del Magazzino.”(1803-65)"Progetto di vendita delle case ai Barri Parrochia di San Simeone Profeta." (1842-44) … “Carte relative a restauri di case in San Leonardo.” (1847) …

Così come si stilavano Catastici ed Inventari, e si realizzava la manutenzione e l’acquisto continuo “del fabbisogno della chiesa”: "Inventario di tutti li paramenti sacri ed altre cose mobili della chiesa di San Marcola."(1737-1804) ... "Inventari San Lunardo."(1630-1739) ... "Copia di tutto l'inventario della chiesa di San Lunardo, cioè Catastico delli beni di detta chiesa."(1592 con documenti in copia fin dal 1340) ..."Catasticum Ecclesiae Sanctorum Hermacore et Fortunati." (1584-1806 con notizie e pergamene risalenti fino al 1102 e documenti del 1250. Si precisava nell’“Incipit”: “Cartado il presente Catastico del 1584 agiontoni carte vintisei et in tuto carte n. 74 per mi Zuanmaria Nascimben Piovan de San Marcuola”Un altro Catastico del 1633 raccoglieva e riordinava di nuovo tutto il materiale antico: “a cura e spese del Guardiano e della Banca della Schola del Santissimo Sacramento di detta chiesa, e nell'occasione il Catastico suddetto fu presentato all'Officio della Sanità.”“Disposizioni perché sia rilevato se sussistono bisogni di riparazione sia nelle chiese che negli stabili amministrati dalla fabbriceria in causa di accidenti straordinari e perché ci sia provveduto o a mezzo della fabbriceria o del Regio Erario qualora si trattasse di chiese di Juspatrono Erariale.”“Acquisto degli ottoni per la chiesa di San Marcuola.”(1864-65)“Spese per cere, olio ed altre cose ordinariamente necessarie alle tre chiese.” (1822-37)"Concessioni di arche e lapidi."(1702-86)"Funzioni Sacre."(1738-1867) "Parafulmini." (1824-47)"Regolazione delle grondaie e coppi sporgenti." (1838)"Apertura della chiesa di San Girolamo come Sussidiaria della Parrocchiale di San Marcuola." (1810)“Soppressione della Processione del Corpus Domini.” (1810-21)“Inventari degli oggetti varii di chiesa e di Sagristia.”“Effetti preziosi.” (1715-1868)“Lampade, candelabri, bronzi ed altri effetti di metallo.”“Ornamenti e forniture di chiesa.”“Biancheria.”“Apparamenti.”“Messali ed altri Libri.”“Panche, scranne ed attrezzi varii di Chiesa e di Sagristia.”“Infissi in Chiesa e Sagrestia, dipinti, statue, monumenti e lapidi.”"Assicurazione contro gli incendi." (1910) … “Materiali in deposito per disfacimento altari, balaustre, monumenti ed altro.” “Foglio contabile delle Cere offerte per Natale.” (1871) ..."Stampe pei salari e compensi sul prodotto delle casselle."(1870)… 

Non potevano mancare nelle quattro Chiesa la cura e l’interesse per le Sacre Reliquie, che tanto lustro davano al Culto, ed erano a loro volta fonte d’attenzione, Pellegrinaggio e attività Indulgenziale per i Fedeli nonché per i “Forèsti”: “Sacre Reliquie.” (1817-65)"Indulgenze concesse alla Parrocchiale di Santi Ermagora e Fortunato e a Santa Fosca." (1500-1903)

La molteplice ricostruzione e abbellimento delle aule monumentali della chiesa: “Lavori e riparazioni nella chiesa di San Marcuola e nella aderente Cappella di Maria Vergine Addolorata detta anche del Cristo.”(1822-81)“Rifabbrica della chiesa di San Marcuola anno 1728-79.”“Rodolo per rinovare la chiesa.”(1677-1707)“Chiesa di San Marcola”: carte diverse relative al legato Garzoni a favore della Fabbrica con documenti in copia dal 1448 … “Disegni di altari.” (1845) ..."Documenti della consacrazione della chiesa dei Santi Ermagora e Fortunato eseguita da Monsignor Patriarca Giovanelli. Polizza di spese per la detta Consacrazione." (1779)"Legato Tornielli per facciata monumentale della Chiesa Parrocchiale." (1914-31)"Legato di lire 100.000 per facciata della Chiesa Parrocchiale disposto dalla Signora Emma Piccoli del fu Bortolo vedova Tiretta."(1928-36)“Polizze varie restauri chiesa Santi Ermagora e Fortunato.” (1860-62)


Il campanile: “Carte relative alla cessione dell'area occupata dal vecchio campanile di San Marcuola.” (1885-86)“Demolizione di una gran parte dell'antico campanile di San Marcuola e disegno fabbisogno per la sua ricostruzione.” “Nuovo campanile “alla romana” nella Chiesa Parrocchiale.” ...“Campane ed orologio.” (1834-41) “Campane, organi, orologi, restauri.”“Cassa campanile.” (1813-82) …

L’attività delle Schole-Sovvegni-Suffragi-Confraternite e Fraglie delle Contrade: “Capitoli e costituzioni del Venerando Sovvegno de soli Sacerdoti. Sovvegno di San Pietro apostolo.”(1756-95)“Prospetto degli oneri delle antiche Fraterne dei Poveri.”“Registro Cassa Sovvegno San Pietro Apostolo.” (1817-22)“Messe per la Compagnia delle 40 ore.”(1744-1818)“Registro iscritte alla Congregazione delle figlie di Maria.” (1850)“Regolamento Normale per la Confraternita del Santissimo Sacramento.”(1833-70) …

Le case di residenza dei Preti: “Lavori e ristauri alla Canonica del Parroco.” (1809-26) ...

Le tasse da pagare al Vescovo e allo Stato: "Incartamento tassa manomorta." (1866-1909)"Imposta di ricchezza mobile." (1898-1933)"Iscrizioni ipotecarie in vigore." (1862-1939)… “Prediali.” (1840-76)“Tassa d'equivalente d'imposta.” (1874)“Imposta ricchezza mobile.” (1862-89)"Repertorio degli atti soggetti a Tassa Registro."(1812-30)“Ricevute di quanto segue cioè dell'eseguimento dei Legati in genere, del pagamento dei Livelli, del pagamento delle rate dei patrimoni ecclesiastici.” (1823-59) ... “Rendiconti dell'amministrazione.” (1809-1903)“Prospetti dimostranti le rendite e spese annuali.” (1830-67)

Si registravano le attività delle Opere Pie, e l’elargizione di Grazie Dotali alle nubende della Contrade: “Opera Pia Leonardo Nobile Grimani: Patrimonio Sacro di L. 562.962”“Opera Pia: grazia dotale offerta da Viganò Giacomo con rendita Lire 123.”“Opera Pia: grazia dotale offerta da Palazzo Don Giovanni con rendita di Lire 260.”“Opera Pia Sebastiano Contarini ed altri: Patrimonio Sacro e rendita di Lire 148,46.”“Opere Pie.” (1884-1926)"Affranco canone per patrimonio ecclesiastico a carico Pia fondazione Elena Vendramin Calergi vedova Valmarana di Noventa Padovana."(1936-37)… “Congregazione di Carità e Opere Pie.”(1869-75)

Si teneva puntuale“Giornale e Registro delle Messe e delle Sagre Funzioni”:le Messe come si sa erano una delle voci più cospicue delle Entrate e delle attività dei Preti e delle Chiese:Registri Giornale delle Sante Messe manuali e dei Celebranti.” “San Marcuola: Messe Feriali”“Santa Fosca e Santa Maria Maddalena: Messe Festive.”“Avanzi di Messe.”“Anniversari ed Esequie in San Marcuola, Santa Fosca, Santa Maria Maddalena.” ...“Giornale delle Messe.”"Firme dei Celebranti"(fino al 1925)“Indice delle Mansionarie che si officiano in chiesa di San Marcola” (con notizie di documenti, attività, elargizioni e contratti di locazione dal 1482) ...

Tutto questo immane carteggio fornito di un gran numero di circolari e stampe era inoltre“condito” da una fittissima attività di Corrispondenza fra il Capitolo dei Preti, il Piovano, la Fabbriceria e le competenti Autorità Locali Religiose e Civili, nonché con i donatori e i Parrocchiani (fino al 1937). Pressappoco a quella data tutto sembrò come rompersi e paralizzarsi: è successo “qualcosa d’invisibile e tacito” che è stato capace d’interrompere e “guastare irreparabilmente” quella macchina mirabile ed efficiente dell’Archivio della Parrocchia: “Corrispondenza del Piovano.” (1872) … “Corrispondenza suddivisa per mittente: Polizia, Intendenza di Finanza, Tribunale Provinciale Penale, Pretura Urbana.”(1858-71) Corrispondenza con Istituti di Carità.” (1855-65)“Corrispondenza col Municipio.”(1868-70) ...

Ovviamente una delle attività precipue dei Preti di San Marcuola e Contrada era la Scuola e l’Istruzione della Dottrina Cristiana. Con insistenza e puntualità, quasi con ossessione (non poteva essere diversamente), la Dottrinafiniva col sovrapporsi, integrarsi, identificarsi e talvolta perfino sostituirsi alla Cultura. Anche dopo l’epoca napoleonica la gestione della “Scuola o Educazione Scolastica”venne affidata al Capitolo dei Preti di San Marcuola che fungevano un po’ da chiave utile-necessaria per affacciarsi ed essere introdotti al vivere sociale della Contrada … o per esserne esclusi. Il “non saper leggere e scrivere”precludeva dalla partecipazione economica e induceva a quella sudditanza che diventava quasi passivo affidamento “a chi conosceva Principi e Regole, e sapeva gestire e guidare il “Bene Comune.”“Documentazione del Regio Ispettorato in capo alle Scuole Elementari inviata al Parroco nel ruolo di Direttore delle Scuole Minori”“Prospetti degli iscritti.” (1834)“Direzione Scolastica di San Ermagora e Fortunato di Venezia.” (1821-37).  Secondo le disposizioni del “Regolamento per le Scuole Elementari.” del 1818 e 1821, il Piovano aveva il ruolo di Direttore delle Scuole Minori della Parrochia di cui deteneva gestione, controllo e organizzazione rapportandosi con gli Ispettori Capo, Provinciali e Distrettuali dello Stato. A tale riguardo l’Archivio del Capitolo di San Marcuola conservava regolarmente tutta una serie di circolari, fascicoli e stampe, e corrispondenze con le autorità civili: Municipalità Provvisoria, Congregazione Municipale, Commissione Generale di Pubblica Beneficenza e Regio Ispettorato Scolastico … “Libro Cassa della Dottrina Cristiana in Santi Ermagora e Fortunato.”(1843-45)“Dottrina Cristiana. Ordinazioni Patriarcali, carteggio etc …”(1852-59)… Il Capitolo dei Preti, insomma, gestiva il “fatto culturale” della Contrada.

Nell'Archivio della "maxiContrada allargata di San Marcuola" pervenivano e si concentravano notizie e contenuti di tutto quanto accadeva e veniva redatto negli "Archivi distaccati" di San Lunardo, Santa Fosca e Santa Maria Maddalena. Anzi, c'è stato un momento preciso in cui fisicamente ogni cosa dei singoli Archivi è stata trasportata e assommata nell'unico Archivio centrale e unificato depositato nella Fabbriceria di San Marcuola(al tempo del Canonico Giovanni Gueranna nel marzo 1825) ... L’Archivio della Maddalena, ad esempio, aveva raccolto e recepito annotazioni proprie fin dal 1416 quando i vari Piovani: Prè Leonardo Della Valle (divenuto poi Arcidiacono del Capitolo di San Pietro di Castello); Prè Giulio Domenico de Faventia; Prè Pietro de Rubeis; Prè Tomaso e Prè Francesco Venier avevano iniziato a compilare sistematicamente i Registri delle Anime  e della vita della loro specifica Contrada: "Status e identità della Contrada." ... "Description della Contrà." ... "Libro delle Anime della Contrà della Maddalena." ... "Decritione del stato delle Anime della Contrà di Santa Fosca." ... 

Battesimi: "Libro dei Battezzati della chiesa di San Leonardo.” (dall'anno 1565)… "Libro di Battizzari et Matrimoni tenuti per mi Pre’ Francesco Piovan … Liber Baptismorum Sancti Leonardi … Batizi ... Libro de Battezati sotto Pre Piero Bertolini Piovan ... Libro de Battezati nella chiesa di San Lunardo nel reggimento di me Giovanni Segati Piovano.”… "Squarzo terzo … quarto, quinto, sesto, settimo de' Battizzi in San Leonardo.” (fino alla soppressione della parrocchia: nell’aprile 1808) ... "Libro de Battezzati della Maddalena."(fino al febbraio 1809)"Liber Baptizatorum ... Libro de Batizi di Santa Fosca”.

Matrimoni: "Libro de' Matrimoni della chiesa di San Leonardo": “Che il libro de Matrimoni et proclame sia appartato dal Libro di Batizari et che sia tenuto nota de proclama seguendosi et non seguendosi il Matrimonio, et che se noti de che Parochia sia il sposo, et non si facci Contrato de Matrimonio sel sposo è de altra Contrà senza ... che sian state fate le Proclame nella sua Parochia.” ..."Liber Matrimoniorum sotto Pre Gerolamo Segato Piovan in detta chiesa … Squarzi de Matrimoni … Libro delle Proclame de Matrimoni sotto del Reverendo Antonio Bertolini Piovano … Libro delle Stride, delle Pubblicationi, delle Contraditioni de Matrimoni … Matrimoni San Leonardo sino alla soppressione della parrocchia."...“Libro e Filze delle Pubblicazioni dei Matrimoni e dei Contratti Matrimoniali e de' Ordinandi della Maddalena.”"Sponsalium Liber … Matrimoniorum Liber … Filze e Atti Matrimoniali … Libro delle Stride o Pubblicazioni di Matrimonio e Contratti Matrimoniali di Santa Fosca."(fino al  1810).

Morti: "Morti San Leonardo.”(dal settembre 1584) … “Libro de' Morti sotto Pre Giovanni Segato Piovan in detta chiesa … sotto Pre Giovanni Batista Ughetti Piovan di San Lunardo.”: “De mandato delli eccellentissimi Signori Proveditori et Sopraprovveditori alla Sanità et cometemo a voi Reverendo Piovano di San Lunardo che dobiate immediate portar nota all'Officio nostro delli Medici et Barbieri destinati all'Officio nostro per la cura delli infermi della vostra Contrada et ciò esequirete subito in penna ad arbitrio nostro.”… “Libro de Morti … scrive io Vicenzo Pacifico li 6 marzo 1651.”... “Liber Mortuorum productum per Reverendum Dominum Angelum Gambarum Plebanum ... die lunae 16 mensis ianuarii 1673.” ... “Morti sino tutto febbraro 1784 more Veneto."… "Libro de' Morti in San Leonardo fino alla soppressione della parrocchia: 18 aprile 1808.”: “Si avverte che nel seguente alfabetto le numerate carte 81 sino 180 inclusive non sono registrate coi nomi per esser solo gl'amalati del tempo della peste. I morti della nota stessa sono segnati a suo luoco e nell'alfabetto presente. Il numero secondo è il numero delle carte dove sono segnati come ammalati.”“Libro de Morti … Mortuorum Liber …Fedi di Morte della Parrocchia di Santa Fosca.”

E ancora qui continuarono i Registri d’Amministrazione, gli Inventari e Catastici: “Registri di Amministrazione … Inventario di tutti li beni di Fabriva, mobili, stabili della Piove e Collegiata ... Inventario della chiesa et prime Reliquie, delli arzenti, de Procuratori ... Quaderni della Mansionerie, Anniversari, Esequi, censi, Messe Solenni, torcie etcetera di Santa Maria Maddalena.” con puntuale registrazione contabile delle entrate e uscite relative ... "Elenco Confraternite presenti in chiesa, e dei nomi de Mastri di Schola, della "Comare (Levatrice)" e dei Chierici di chiesa della Maddalena." ... Inventario delle robbe della chiesa di Santa Fosca."... Copia del Catastico nostro di chiesa havuto da Monsignor Illustrissimo Patriarca Trevisano et consignato a me Giovanni Battista Araneo Piovan havendo Prè Baldo Antonio Piovano mio precesseor smarito l'autentico.”... "Libro Registro de la Cassa della Fabbrica … Quaderno Capitali in Zecca, e Livelli e Legati Testamentari della chiesa Parrocchiale e Colleggiata di Santa Fosca."

Solo la storica “spazzolata liberatrice e livellatrice” di napoleone è riuscita alla fine a rompere quel bel “giocattolo Contradariale e Parrocchiale. Il francese in breve ha realizzato il suo intento: ha disautorato il Capitolo di San Marcuola, ne ha depredato le risorse, destituito delle facoltà, prerogative e determinazioni, e ha così messo fine di fatto a tutto quell’intenso influsso sociale dei Preti, che però in qualche modo ha continuato a sopravvivere anche dopo, quasi per inerzia, e soprattutto per quello spontaneo affidamento ai Preti delle coscienze dei Veneziani che non è mai cessato … almeno per un altro secolo ancora, e forse di più.
“… allorquando nel 1825, 7 agosto al sottoscritto fu tolta l´ingerenza e amministrazione delle rendite che godeva il Capitolo di San Marcuola, molti libri e carte di questa ragione vennero prelevate dal Fabbricere Tagliaferri ad oggetto di vendicare le azioni che incombevano alla Fabbriceria ed il sottoscritto disse allo stesso Fabbricere di prevalersi del restante che teneva appresso di se: così fu fatto.”



E ora spendiamo qualche ultima parola sull’altro preziosissimo “strumento principe” utilizzato dal Piovano di San Marcuola (così come da molti altri Piovani Veneziani):lo“Schedario del Piovan”. Molto spesso questo speciale strumento-documento è andato perduto o distrutto, o il Piovano l’ha portato via con se “come dote personale” al momento del suo trasferimento ad altro ufficio.Lo Schedario era come una specie di “Sancta Sanctorum del Piovano”, qualcosa di riservatissimo e supersensibile dotato di una sua singolarità e unitarietà. Era così prezioso e confidenziale che veniva spessotenuto sotto chiave, e il più delle volte nascosto e tenuto “fuori dalla portata di mano e d’occhio” anche degli altri Preti del Capitolo in quanto conteneva giudizi e notizie sulle persone che sarebbero potute diventare compromettenti o forse utilizzabili come “arma impropria” da chi non fosse stato sufficientemente accorto e prudente.

Durante la mia esistenza mi è capitato di vedere e consultarne più volte qualche esemplare di questo curioso “oggetto”. Si trattava di una sorta di estensione e prolungamento scritto delle conoscenze del Prete-Piovano in cui raccoglieva le sue sensazioni e note circa le persone e le situazioni della Contrada che “governava”. Dal tenore, dalla puntualità e dall’originalità dei contenuti era evidente che il Piovano si sentiva investito, responsabile e tutore del destino della Contrada e dei singoli che la componevano ... Scrutando incuriosito certe annotazioni chiosate sulle carte posso dire che nello Schedario del Piovano era censite e segnate “cose impensabili e inimmaginabili” su alcune persone, e contenuti che avrebbero per davvero potuto nuocere, o divenire “esplosivi” qualora fossero divenuti di pubblico dominio ... Certi Schedari aggiornatissimi e fornitissimi di ogni tipo d’informazione sono stati come dei piccoli capolavori: un’opera sublime “dell’Arte del Piovano”, quasi dei sofisticatissimi database da moderno agente Segreto … da 007 … Un lavoro certosino e continuativo, completo e significativo molto di più di una normale Anagrafe Comunale ... Lo Schedario del Piovano era quasi un Confessionale messo su carta.

Sui bordi delle pagine o delle schede dello Schedario del Piovan sulla Contrada ho potuto a volte leggere annotate cose insolite e strampalate:perfino ricette da cucina, annotazioni sui patrimoni e le disponibilità economiche dei singoli e delle famiglie, credi politici, abitudini e stili di vita, educazione e cultura, hobby, manie, malattie e preferenze sessuali ... Pareva quasi che i Piovani si divertissero e sbizzarrissero a chiosare certi dettagli analizzando la Contrada.

Ricordo che su qualche scheda c’era scritto a margine:“avaro !” … “prostituta” … “ateo”… “nullatenente”… “inconfesso o impenitente”… “ebete” … “conservatore, progressista. moderato” … “ladro, bandito, malvivente, sobillatore, maldicente” … “carcerato”… “Giudeo”, “usuraio”… “indebitato” … “migrante”… “anticlericale” … “concubino/a”… e molto altro ancora.

La citazione nella lista e la qualifica d’“inconfesso”, ad esempio, a noi di oggi dice ben poco.Invece, in certi tempi era sinonimo della“sconfitta e fallimento dell’operato dei Preti”, era cioè uno dei “punti dolens” della Parrocchia-Contrada, uno dei temi su cui il Patriarca era maggiormente esigente, e sui quali richiamava i suoi Preti con fermezza e decisione durante le Visite Pastorali additandoli addirittura come motivo di demerito e d’incapacità pastorale su cui bisognava assolutamente riflettere e correggersi. Se le liste dei Lasciti, dei Legati, della Mansionerie, delle elemosine e della partecipazione alla Dottrina figuravano come “cose buone” della vita della Contrada, allo stesso modo la lista degli “inconfessi”era di certo indice di “cose cattive” assolutamente da: “correggere, pascere, redimere, ammonire et gubernare” il più possibile. Diciamo che spesso un Prete-Piovano “valeva” quanto il numero dei suoi “inconfessi”: più ridotto era quel numero, più meritoria ed efficace era l’opera, l’attività e la presenza di quel Prete-Piovano.

Paradossalmente ogni Piovano era chiamato a “farsi fattivamente prossimo” ai peggiori della Contrada: violenti, ubriaconi, viziosi, giocatori, usurai e malviventi in genere erano al pari degli “infermi e i miseri” della Contrada le mete abituali delle sue“visite” periodiche ... anche se spesso, dopo tanto insistere, provare, correggere, e “indurre a redimersi e cambiare”, molti Piovani si rassegnavano a certe “cronicità inguaribili”, e finivano letteralmente col depennare certi casi e persone dai loro interessi e cure bollandole nei loro Schedari come: “irrecuperabile”.

Ricordo che quando “professavo a Venezia da giovane Pretino”nelle liste delle mie quotidiane Visite alle Famiglie per Benedirle a nome del Piovano inspiegabilmente mi mancava qualche numero di “casa da visitare”… Nella mia busta mancavano delle schede (tratte dallo Schedario del Piovan), si saltavano dei numeri di qualche domicilio, sebbene notassi che quelle case esistevano ed erano abitate da qualcuno. Inizialmente non capivo il motivo, pensavo fosse una banale distrazione e dimenticanza del Piovano, che non mi suggeriva nulla al riguardo … Poi, invece, compresi: si trattava delle schede e delle case di quelli considerati “impenitenti e irrecuperabili” dal Piovano dopo anni e anni di tentativi e approcci nei loro riguardi. Andando, infatti, a frugare ad insaputa del Piovano dentro al suo Schedario, li ho ritrovati tutti, e quando chiesi conto al Piovano su quella “epurazione” mi rispose candidamente: “E’ tempo perso avere a che fare con quelli là … Sono incorreggibili, persi, andati ... Sono persone recidive, crude e più dure della pietra … Soltanto Dio potrà occuparsi di loro e provare a cambiarli, non di certo noi … Sono come dei bubboni incancreniti dentro al tessuto della nostra Parrocchia, delle presenze che non si vorrebbero, che però ci sono e non si possono escindere … Lasciarle perdere è la cosa migliore da fare ... Ecco perché non vado più neanche a sollecitarle e visitarle … Dopo tanti anni ho pensato che con loro “è una battaglia persa”.

Accanto ai Preti Titolati del Capitolo della Chiesa-Contrada esisteva anche tutto un corollario di altri Preti a sostegno, che in qualche modo contribuivano a sostenere e amplificare l’attività dei Preti del Capitolo della Contrada. Erano i così detti “Preti Ascritti alla Parrocchia” che risiedevano in Contrada dando qualche apporto pastorale alla Parrocchia (molte volte no, era come se abitassero altrove: mai visti ! … avulsi del tutto.)La categoria dei “Preti Ascritti” indicava spesso “dei liberi battitori”che vivevano “per gli affari e per conto proprio” in case di proprietà o nelle tante Corti o Calli o Campielli dei Preti adoperandosi saltuariamente come “Preti Altaristi da Messe e da Mansionerie Perpetue”, o presenziando (sempre a pagamento ovviamente) a Funerali, Matrimoni, o Riti e scadenze Liturgiche della Parrocchia-Contrada. Era una piccola folla Clericale eterogenea, che talvolta viveva un po’ allo sbando e allo stato brado lasciati a se stessi. Qualche volta si comportavano “liberamente”dismettendo l’abito e le movenze usuali da Prete, e pellegrinando fra Monasteri, Santuari, ed esperienze “esotiche ed alternative” a quelle tradizionali,o viceversa infrangendo le regole del loro stato,  frammischiandosi quotidianamente “in Vita e Morte” con la gente della Contrada fino a commerciare, giocare e intrattenersi con loro fino a convivere, bevendo, mangiando, litigando e simpatizzando politicamente in bettole, taverne e locande della zona … e chi più ne ha più ne metta …Sarebbe interessante raccontare di tante cronache ed aneddoti … ma non è questo il contesto giusto.

E anche tutto questo è accaduto fra i Preti della “Contrada allargata di San Marcuola”… e ci sarebbe molto altro ancora da raccontare, che forse Internet & C non basterebbero.



Fine della terza parte/continua nella quarta: “Chiese, Oratori, Sacre Reliquie e Schole della Contrada”.


“Rissa e bastoni sotto al Portico di San Marcuola.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” -  n° 177.

“Una cruda lettera su quelli di San Marcuola nel 1820.”
(parte quarta: “Rissa e bastoni sotto al Portico di San Marcuola.”)

Dopo il discorso un po’ cervellotico e “bibbiòso” sull’Archivio di San Marcuola esull’effetto “subliminale” dell’azione dei Preti del Capitolosu quelli della maxiContradadi San Marcuola, torniamo a spalancare gli occhi e fissarli sulla concretezza della vita della Contrada parte centrale, quasi“il cuore”del Sestiere di Cannaregio.

Vi sembrerà forse impossibile, ma avvenne una vera e propria rissa con frase veementi, spintoni e nodosi bastoni in mano nella chiesa di San Marcuola: era il marzo 1637. Trecento persone della Contrada divise in due fazioni contrapposte, forse ancora esasperate dalla situazione appena provata dagli anni della Grande Pestilenza Veneziana(quella della Madonna della Salute)accorsero disposte a tutto, anche a “darsele di santa ragione”. C’era di mezzo l’elezione del nuovoGuardiano della Schola del Crocefissodi San Marcuola, e da una parte c’era chi voleva fare le cose per bene, secondo coscienza e giustizia vedendo in quell’opportunità un’occasione per far“dell’autentico bene”all’intera Contrada; mentre dall’altra c’erano … sapete chi ? … i Preti del Capitolodi San Marcuola, tanto per cambiare, insieme ai loro “affecionados”che non intendevano perdere un’altra buona occasione per far soldi alle spalle dei Parrocchiani della Contrada. Insomma: trecento persone finirono per azzuffarsi in chiesa per questo, e dovettero intervenire i Provveditori da Comunche rimisero “con forza tutti inpace”, disapprovando d’Autorità e richiamando tutti, ma senza risolvere per davvero quell’annosa situazione e questione ... Alla fine tutti vennero mandati a casa, e si stabilì che la nuova elezione del Guardiano della Scholasarebbe stata effettuata da un numero ristrettissimo di persone: quelle più assidue … e quelle con qualche incarico all’interno della“gouvernancedella Schola”, cioè i Confratelli della così detta: Banca della Schola”.


Nell’occasione però i Provveditori da Comundella Serenissimanon mancarono di andare a pescare e riprendere anche ilPiovano di San Marcuola, causa insieme aiPreti del Capitolo di San Marcuoladi “certe vecchie ruggini”con quelli della Schola e della Contrada. Gli dissero di far proprie e rispettare senza limitazioni ed esitazioni quelle che erano le decisioni del Capitolo della Schola: “che era autorizzata a mantenere il proprio altare sotto al portico della chiesa …” e ad effettuare “la propria Processione il 3 maggio di ogni anno, e con la stessa solennità e pompa usata ogni Venerdì Santo” ...

I Provveditori da Comunaffermarono queste cose con un certo tono … altrimenti …

Tutto sembrò risolversi … merito della Serenissima… stavolta.

Dico “stavolta”perché la storia del bisticcio fra la Schola del Crocefisso e ilCapitolo dei Pretiera vecchia e lunga “più de un Passio”… Tutto era iniziato nel 1623 quando il Nobile Alvise Minotto(che fra l’altro non abitava neanche nella maxi Contrada di San Marcuola)diede ordine a sue spese di “far serrar con tavole” un’immagine del Cristo Crocifisso e Redentoreappesa sul muro esterno del campanile di San Marcuola (che oggi non esiste più).

“E’ miracoloso quel Cristo Nero !”si diceva in giro per la Contrada di San Marcuola:dalle Guglie fino al Rio de Noale”… Era un CristoNero: sì … come la Peste ! … e ne venne fuori subito una nuova Schola-Confraternita di Devozione, con la gente della Contrada che correva, andava e ritornava a venerare quel Crocefisso, a chiedere grazie e salute … e faceva a gara come sempre per offrire elemosine e donazioni.

La cosa inizialmente sembrò funzionare bene, linearmente e con semplicità: i Provveditori da Comun approvarono la novità, e tutti sembravano essere felici e contenti come nelle fiabe … sia i Preti del Capitolo di San Marcuola che percepivano ovviamente la loro parte “del tutto” ospitando “nel loro portico della chiesa quel Cristo Benedetto”; sia quelli della Schola che misero su Mariegola, fecero pagare una Benintrada d’iscrizione di soldi 12 ai nuovi associati, iniziarono a pagare per celebrare Messe su Messe di Suffragio per i loro Morti davanti al Crocefisso, e a ritrovarsi obbligatoriamente in chiesa ogni primo venerdì del mese pagando una quota mensile di soldi 2 a favore della Schola ... Istituirono perfino un “cassellànte” autorizzato dalla Schola che andava in giro per tutta Venezia a questuare per i “buoni scopi della Schola del Cristo Nero de San Marcuola.”… e di soldi ne raccattava … e parecchi.

Tutto bene insomma ? … Macchè !



Il Capitolo dei Preti di San Marcuolainiziò a storcere il naso: “Volete troppe celebrazioni e Messe in chiesa ! … Ve ne concederemo solo una quotidiana ... e già che ci siete e potete, fate mettere su nel campanile una nuova campana “per sonàr Messa” a vostre spese …” dissero a quelli della Schola.

“No problem per la campana !” risposero quelli della Schola,“Ma in cambio ci lascerete costruire in muratura le pareti della nostra Schola sotto al portico della chiesa togliendo quelle vecchie assi del nostro “recinto di legno”.

“Affare fatto !” risposero i Preti del Capitolo, “A patto che non pretendiate di avanzare diritti e pretese su quella specie di Cappella esterna del Cristo che è proprietà della Chiesa.”

“Va ben !” risposero ancora quelli della Schola … e il Patriarca“quasi a sancire la bontà di quella cosa”, permise alla Schola di dotarsi di un proprio Cappellano che avrebbe assistito ogni manifestazione e funzione dei Confratelli … “Però metteremo una lapide sul Portico della chiesa di San Marcuola e della Schola, con su scritto che tutto quanto è stato fatto è stato eseguito a spese dei Confratelli e con le elemosine dei Veneziani ... e vi elencheremo anche tutti i nomi dei Benemeriti.”

“Mmm …” conclusero i Preti del Capitolo di San Marcuoladisapprovando l’idea … ma la lapide si fece e la si mise su in parete.

Due anni dopo perfino il Papa Urbano VI si scomodò ad applaudire il “nobile e devoto gesto” di quelli della Schola del Crocefisso di San Marcuola, e per l’occasione elargì loro un “Solenne Privilegio”: “Chiunque parteciperà ogni venerdì e nell’Ottava dei Morti alle Celebrazioni della Schola del Crocifisso sul suo altare, potrà lucrare buona Indulgenza alle solite condizioni (Confessarsi, ascoltare la Messa, recitare certe orazioni, e fare buona elemosina).”… e i Veneziani attenti e dalle orecchie lunghe accorsero ancora di più: “Certi aiuti sono sempre buoni per affrontare agguerriti e pronti il Mistero dell’Aldilà” si dissero pressappoco … e aumentarono così anche le raccolte di offerte ed elemosine, tanto che ne nacque subito un rognoso conflitto per le spartizioni fra quelli della Schola … e con chi secondo voi ? … Avete pensato giusto: i Preti del Capitolo di San Marcuola.

Quelli della Schola e della Contrada “una tantum” decisero di non soprassedere, e così si andò a processo contro i Preti del Capitolochiedendo di annullare ogni accordo preso con loro in precedenza.

Si attivarono allora i Provveditori da Comun che bocciarono l’iniziativa: “Tutto deve rimanere com’è !” risposero … “e niente rogne in giro per Venezia !” aggiunsero probabilmente … altrimenti …. Anche il Patriarca(scocciato perché aveva ben altro a cui attendere e dedicarsi) rispose a quelli della Schola schierandosi dalla parte dei suoi Preti: “Insomma !  Accontentatevi di una Messa al giorno ! … e dividete tutto da buono fratelli.”

Facile a dirsi … ma difficilissimo a farsi, perché era risaputo che i Preti di San Marcuola non erano bravi a far le giuste ripartizioni … Non sempre le divisioni degli introiti andavano a buon fine … Certe elemosine venivano “magicamente incamerate” dai Preti e basta, e sparivano senza lasciare traccia, e senza soprattutto che si vedesse qualche effetto di quelle donazioni … Ed eccoci allora alla rissa e alla baruffa in chiesa quando giunse il momento di scegliere un nuovo Gastaldo della Schola: era candidato uno che era fin troppo dalla parte e del modo di fare dei Preti ... Quelli della Contrada e buona parte dei Confratelli non lo vedevano di buon occhio … e siccome le parole non erano bastate, si pensò bene di passare alle vie di fatto e alle maniere più risolute.

“E no !” disse la gente della Contrada uscendo per strada insieme a buona parte degli iscritti: “Con le buone o con le cattive: la Schola dovrà essere la nostra Schola !”, e spuntarono i bastoni in mano, e certe grinte focose proprio da contradaioli che misero in subbuglio tutta San Marcuola e metà Sestiere di Cannaregio.

Ve li immaginate solo un attimo ? … Fra Calli e Callette … lungo le Fondamente e i Rii di San Marcuola ? … fuori dai palazzi, dalle bèttole e dalle caxette … Un gran subbuglio insomma.


Nel 1640 però tutto sembrava essersi risolto: i Preti del Capitolo di San Marcuola continuavano ancora a brontolare: “Se volete andare avanti con la Schola: gli iscritti potranno godere dei benefici spirituali ed economici dell’assistenza … ma solo dopo aver versato contributi per almeno sei mesi … e poi non vogliamo che vengano iscritti Moribondi alla Schola per approfittare dei Funerali gratuiti … Chi vuol morire come Confratello dovrà pagare almeno 10 ducati a parte … e solo allora potrà essere accompagnato alla tomba dalla Processione dei duecento Confratelli vestiti in Cappa e dai Preti del Capitolo con i tòrsi (candelotti) accesi … Faremo eccezione solo per gli Annegati Sconosciuti e senza nessuno, che potranno essere sepolti a spese della Schola ... anche se sarebbe meglio che venissero sepolti senza spesa alcuna da quelli del Priorato della Misericordia.”

Che “ticchignòsi e aspri” che erano quei Preti del Capitolo di San Marcuola ! … proprio antipatici.

Non fu di certo un caso se ne venne fuori la pubblica voce che alcuni di quei Preti erano dei “miscredenti eretici e simoniaci”… In qualche maniera il popolino devoto e minuto e alcuni Nobili della Contrada dovevano pur rifarsi nei loro confronti … Quello dei Preti del Capitolo più di qualche volta, in effetti, era un sopruso, un infierire forte, invadente e forse anche presuntuoso sulla sensibilità e la disponibilità di quelli della Schola e della Contrada.

“Il Piovan di San Marcuola è Eretico Quietista !” si cominciò a dire in giro per Venezia, e quel “dire” si fece di giorno in giorno più forte alla fine degli anni ’70 del 1600 fino a diventare denuncia presentata sul tavolo dell’Inquisizione di Venezia

“Oibò ! … Che stanno combinano quei Preti a San Marcuola ?” si chiesero quelli del Santo Offizio, e così si mossero passi ufficiali nei loro confronti, e s’iniziò ad indagare su: “… parole, fatti, e anche persone dei Preti di San Marcuola”.


Come potete immaginare praticamente non se ne fece niente … tutto andò “insabbiato” o ritenuto irrilevante, anche se qualche Prete del Capitolo deve aver sudato parecchio freddo, perché a Venezia … Prete o non Prete … prima ti davano un bel tiro di corda di tortura … tanto per scaldarsi …  e poi s’iniziava a interrogare.

Non ho trovato in giro “condanne esemplari” contro i Preti di San Marcuola … quindi ?

I Confratelli della Schola del Crocefisso da parte loro approfittarono dell’occasione e della transitoria fragilità del Capitolo dei Preti, perciò realizzarono quelle pareti in muratura tutto intorno al Portico di San Marcuola(che oggi non esiste più) la cui esecuzione era stata “baruffa dopo baruffa”rimandata di continuo“in saecula saeculorum … Amen”.

“Guardata che in ogni caso non potrete avanzare nessun diritto su quel luogo ! … Neanche se rifarete tutto e amplierete l’intero Portico.” ribadirono presto e ancora una volta i Preti del Capitolo ripresisi prontamente … Il Consiglio dei Dieci, invece, si schierò dalla parte della Schola: “Essendo Schola antica, Matrice, meritoria e numerosa d’iscritti, la Schola del Crocefisso di San Marcuola dovrà avere la precedenza su tutte le altre Schole in tutte le Processioni … eccetto che sulla Schola del Venerabile Santissimo ovviamente.”

Quelli della Schola “s’impongàrono”(si inorgoglirono) di certo a quelle parole … e anche il Patriarca in quell’occasione si “commosse e fece più benevolo un pochetto”: viste le buone intenzioni di quelli della Schola, concesse loro di aumentare a quattro le loro Messe “sotto al Portico di San Marcuola”… ma solo il giorno della Festa del Crocefisso però ! … e avrebbero potuto aggiungere un’altra Messa nella “domènega ordinàda” ... ed eseguire Esposizioni del Santissimo ogni terza domenica del mese, e nelle due Feste dopo Natale nel luogo della Schola.

“Meglio che niente !”, pensarono di certo quelli della Schola che ottennero negli stessi anni anche d’essere aggregati alla famosissima Arciconfraternita della Morte di Roma: un privilegio “super” per quell’epoca ! … La Schola della Contrada finì quindi col contare tantissimo non solo a Cannaregio, ma in tutta Venezia … Venne autorizzata perfino: “… a sfilar con almeno 100 Confratelli schierati in Cappa Solenne” ... Fu di certo una goduria e una grande soddisfazione sia per quelli della Schola, che per quelli della maxiContrada... anche se per assistere a questo ciascun Confratello doveva versare la quota supplementare di lire 2 da destinare al pagamento di un’ulteriore Messa di Suffragio: … “E dàghea co sti schèi da pagàr de continuo !” … ma allora le cose funzionavano così a Venezia, e non solo in Laguna ... e si andò avanti come sempre e con buona pace di tutti …


E invece no … Si mise di mezzo col suo bellicoso “Guardiano”una Schola della Contrada di San Geremia, appena oltre il Ponte delle Guglie sul Canal Regio delle Guglie che fungeva da confine della maxiContrada allargata di San Marcuola. Quelli del Suffragio dei Morti di San Geremianon volevano saperne di concedere precedenze di alcun tipo a quelli di San Marcuola: “Non se ne parla proprio … Prima San Geremia !” dicevano, anche loro mostrando una certa concitazione e uno strano prurito alle mani.

Intervenne allora il Consiglio dei Diecidella Serenissima: “E basta ! … Se il Suffragio di San Geremia non riconosce il diritto di precedenza della Schola del Cristo di San Marcuola: venga multato di 500 ducati, e vengono applicate altre eventuali multe a giudizio dei Capi dei Dieci !”

Il 13 novembre 1674, infatti, il Guardiano della seguitissima e frequentatissima Schola-Suffragio dei Morti di San Geremiavenne multato ufficialmente per aver violato il diritto di precedenza della Schola del Crocifisso di San Marcuola: dovette pagare e dare 10 libbre di buona cera ai Frati Cappuccini, e altrettante ai Frati Riformati di San Bonaventura di Cannaregio

Qualche anno dopo ancora, nel 1679, si presentò pure un Fante dei Capi del Consiglio dei Dieci che intimò sia ai Preti del Capitolo di San Marcuola, che alle Reverende Madri Heremiteche abitavano sui tetti della chiesa di San Marcuola (che stavano dalla parte del Capitolo dei Preti), che al Guardiano della Schola del Santissimo di San Marcuola(la Schola numero uno della Contrada come importanza):“di non azzardarsi a toccare e compiere nulla di nuovo sotto al Pòrtego de San Marcuola … anzi: di demolire quanto era stato fatto per impedire il passaggio di quelli della Schola nel Sottoportico del Crocifisso.” ... gli ambienti della Schola del Crocefisso furono quindi salvati, liberati e aperti, e quelli della Schola indubbiamente si ritrovarono a gongolare del fatto d’aver il Doge e la Signoria dalla loro parte.

Finito tutto ? … Non ancora.


“La chiesa sta cadendo !” se ne vennero fuori i Preti del Capitolo di San Marcuola: “Serve rifarla di sana pianta ! … Perciò: via tutti ! … abbatteremo quell’inutile Portico esterno … Rifaremo il tetto del tutto: perciò via anche le Romite che vi abitano nelle soffitte e sui còpi de la cièsa …” precisò il Piovano Bartolomeo Trevisan, “L'Architetto Giorgio Massari è già all’opera … e ricopriremo l'intera facciata di candido marmo ... Dal Pòrtego ricaveremo una nuova bella Cappella ...”

In realtà tutto era già stato pensato ed elaborato già da un pezzo, perché fin dal 1716 i Preti del Capitolo di San Marcuola avevano concessero a quelli della Schola del Crocefisso di costruirsi una nuova sede su di un terreno di loro proprietà, proprio accanto alle case dove abitavano … “a patto però che venga rimossa quella benedetta lapide del 1635 che decantava fin troppo i meriti di quelli della Schola …”

Si costruì allora la nuova sede della Schola del Crocefisso (visibile ancora oggi) proprio di fronte alla chiesa di San Marcuola … e la famosa lapide del 1635 venne finalmente rimossa.

Vent’anni dopo però il nuovo Guardiano della Schola: Bonaventura Barcella insieme a tutta la Banca dei Confratelli ritornò ancora una volta alla carica presso i Preti del Capitolo di San Marcuola: “Vogliamo ricollocare la lapide del 1635 della Schola !”

Ancora ? … Si … No … Si … No … I Preti del Capitolo di San Marcuola andarono a protestare perfino davanti al Consiglio dei Dieci riassumendo tutte le vicende e gli abusi che secondo loro la Schola aveva compiuto dal 1623 in poi ... Niente lapide insomma ?

Non lo so … La Schola del Crocifisso era considerata meritevole dai Veneziani, frequentatissima dalla gente della maxi Contrada di San Marcuola: ogni volta che la Schola organizzava una Via Crucis Solenne, la gente della Contrada accorreva in massa … e lo faceva per almeno 14 volte l’anno ! … La Schola del Cristo aveva un “buon giro di Messe annuali”, a volte anche fin 8 al giorno … Curavano l’Esposizione del Santissimo in San Marcuola, e si preoccupavano“con grazia” delle “agonie dei Moribondi”… tanto da meritarsi più volte il plauso della gente qualsiasi della Contrada e anche quello più roboante e importante dei Provveditori da Comun della Serenissima.


Ultimi lampi: … ancora nel 1791, proprio allo “scadere”della Repubblica Serenissima, quelli della Schola del Crocifisso di San Marcuolaproposero ancora una volta ai Provveditori da Comun una lista di trenta Nobili e Onorati Mercanti desiderosi d’iscriversi nella Schola … Quando, invece, “affondò del tutto e per sempre la Serenissima”, e ogni cosa, iniziativa, istituzione venne vessata, cancellata, quasi strappata e divelta dai francesi … “quelli della Schola del Crocifisso Santo e Miracolosode San Marcuolache apparteneva a tutti quellidella Contrada” consegnarono mestamente le chiavi dei locali con i “sacri arredi” dell’Onoratissima Schola ufficialmente soppressa al Piovano di San Marcuola … Lo fecero ricordando e dichiarando quasi in un’ultima puntata d’orgoglio che: “ … al pian terreno ci sono ben undici quadri inchiodati, e uno nella “stanza piccola”, mentre nell’Albergo Superiore della Schola e perfino su lungo le scale ci sono altri ventuno quadri, e altri tredici incassati nel soffitto.”

Poi tutto si spense … come se si fosse scritta l’ultima pagina di un Libro: tacquero i Preti del Capitolo di San Marcuola “gran baruffanti”… tacquero i Confratelli della Schola“ai quali le lagrime inutilmente rigavano il volto di fronte a quel portone chiuso da dove erano stati malamente buttati in strada”… tacquero gli uomini e le donne della Contrada di San Marcuola che sentirono di aver perso una parte preziosa di se stessi … e tacquero perfino i Morti.

“I Morti ?”, direte: “Ma quelli tacciono sempre !”… E, invece: no … “Anche i Morti avranno gridato grandemente perché pure loro vennero privati indebitamente di tanta supplica e suffragio devoto per le loro Anime da parte dei tanti della Contrada, che per secoli avevano provato a lenire quel loro periglioso quanto misterioso destino eterno …”

Sono flebilissime, quasi insignificanti le vicende di quel che rimaneva della Schola in epoca moderna: … libreria, controverso centro culturale … casa provvisoria per sfrattati … magazzino, e altro ancora … Ma poco importava: la Schola del Crocefisso di San Marcuola non esisteva più.


Se andate a passeggiare oggi in quella che è stata la maxiContrada di San Marcuola, e vi addentrerete senza fretta da quelle parti indugiando dalla Strada Nova per la Calle e Rio Terà del Cristo potrete vedere quanto rimane ancora oggi della Schola del Crocefisso di San Marcuola: sul pilo portagonfalone in pietra ancora esposto appena fuori dell’edificio potrete ancora leggere la data 1668 … e osservare in facciata la scritta: “D.O.M. SCOLA DEL SS.° CROCIFISSO AGGREGATA A QUELLA DELLA MORTE DI ROMA – FONDATA L’ANNO MDCXXXXIIII.” collocata sotto al Cristo Nero in pietra esposto poco sopra.


Il maestoso edificio oggi “morto, chiuso e obsoleto”di certo non riferirà al primo sguardo quel che è stata la sua illustre storia … ma sarà girando e vagabondando nei suoi pressi che si potrà abbandonare alla fantasia e all’immaginazione quasi inseguendo lungo le tortuose Calle della Pagia, Calle del Luganeghèr, Corte Mosto, Calle Soranzo o Correr e Calle del Magazen le voci quotidiane degli antichi abitanti della Contrada … Potrete ancora leggere sui numeri romani di quelle antichissime porte di “caxette a schiera … a ruga” le tracce di quei Contradaioli uomini e donne, vecchi e giovani che si spingevano fuori con grinta e bastoni per recarsi nella chiesa e sotto al Portico di San Marcuola per difendere “la bontà, e i bòni scopi e intenzioni”della loro Schola del Cristo Miracoloso… e ancora, girando e rigirando come una trottola mai stanca fra le pieghe di quella parte “genuina e popolare” di Venezia, potrete anche leggere sui muri i “Nizioletti”: Corte Calle e Ramo Primo e Secondo dei Preti, cioè i luoghi dove abitavano e quasi si sovrapponevano a strati uno sull’altro quei Preti e quel Clero di San Marcuola che la Storia ci ha rivelato così spesso interessato, avido di guadagni, esoso e facinoroso ... ma anche qualche volta voglioso in qualche maniera come il PiovanoRado della lettera di cercare a modo proprio “il bene” di quelli della sua Contrada.


Ci saranno riusciti ? … Avranno reso almeno raccogliticcio, disponibile e devoto quello spicchio del popolo Veneziano … O forse no ? … O avranno forse istigato quei Preti a ribellarsi, a contrapporsi, ad arrabbiarsi e schifarsi per quella loro premura “da scadente pastore” che leggevano nella loro vita e nel loro atteggiamento “molto Preteresco e poco Sacredotale”…Anche se alla fine bisogna ricordare che quel Piovano della Contrada se l’erano scelto proprio loro, ed era stati sempre loro a proporlo al Patriarca per essere eletto.

Mi piacerebbe a volte poter leggere dietro alle note storiche di quello che è stato il modo di sentire e pensare di quei Veneziani qualsiasi di ieri … Purtroppo di loro sono rimaste fin troppe effimere tracce ... e solo qualche eco assopita impressa o nascosta sui muri e nelle ombre delle calli della Contrada.


“Còssa ti vol farghe ? … Venezia xè cambiada … Non a xè più quèa che ti conti nostalgico … Ancùo a xè tutt’altra ròba.”

“Sì è vero … Però rimane quella sorta di trasparenza, di velina in controluce e di filigrana che non si deve mai smettere di raccontare … Sono come i versi di una vecchia filastrocca tanto gustosa quanto curiosa che meritano d’essere dette e ridette, quasi cantate e fatte girare come un’arcana trottola senza mai stancarsi … E noi Veneziani siamo a volte come dei bambini divertiti, che di fronte a tante storie non siamo capaci se non di dire: “Ancora ! … Ancora !”

Fine della quarta parte/ continua con la quinta: “Chiese, Oratori, Sacre Reliquie e Schole della maxiContrada di San Marcuola.”




“L’isola di San Clemente: da Santa Casa a Isola dei matti, a Hotel a cinque stelle.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 178.

“L’isola di San Clemente: da Santa Casa a Isola dei matti, a Hotel a cinque stelle.”

Non c’è molto altro da spiegare e da aggiungere: è tutto riassunto in questo titolo … E’ stato questo in sintesi il destino di un’altra delle perle della collana preziosa che è il nostro Isolario Veneziano.


Ad essere più preciso dovrei aggiungere: da Romitorio Lagunare della Madonna di Loreto dei Padri Camaldolesi di Monte Rua, a Prigione per Preti e Frati, reclusorio per Nobili malandati, soprattutto donne abbandonate dai mariti e internate per lasciar spazio a qualche aitante giovane amante … Poi Manicomio Pubblico fino alla Legge Basaglia del 1978 quando con un colpo di spugna si sono“cancellati i matti”… ma non per questo si è cancellata la malattia, né il disagio esistenziale vivo più che mai in questa nostra epoca: “Prima i Matti era evidente che erano quelli “dentro oltre il muro” … Oggi non si sa più dove sono e chi sono, o forse il mondo intero è diventato un grande Manicomio. Chiudendo i reclusori si è di fatto tolta un’attenzione, che pur nelle sua crudezza considerava il problema … Adesso si attende che accadano i disastri, e quando s’interviene spesso è già troppo tardi …”

Il Problema si sa, è delicatissimo … Ci sarebbero tante cose da dire … ma non è questo il luogo … San Clemente dopo la parentesi manicomiale ha vissuto una stagione di grande depressione e abbandono, poi è rinata come una “Fenice”dalle sue ceneri ed è tornata ad essere Paradiso Lagunare: il San Clemente Palace Kempinski isola di lusso per convegni d’importanza internazionale, scenari romantici, matrimoni da favola, e altro ancora … zanzare comprese, che ti assaltano nei vialetti e fin sul bordo della piscina azzurrissima … ma con eleganza e con un certo garbo, con un “savoir faire”: che è quasi un piacere lasciarsi pungere e “beccare”… Sembra un altro optional compreso nel prezzo del divertimento … L’isola è davvero bellissima: oggi non le manca proprio niente: forse non è mai stata così bella e curata lungo tutta la sua secolare storia.


Quando oggi vi approdi ogni angolo sprizza meraviglia, curiosità e senso estetico: vedute mozzafiato a 360° sulla Laguna Sud di Venezia: Sant’Angelo delle Polveri, Poveglia e il Lazzaretto Vecchio da una parte con Malamocco e gli Alberoni dietro … San Lazzaro degli Armeni dall’altra e ancora il Lido sullo sfondo … e poi l’isola di Sacca Sessola a ovest … San Servolo a est … e l’isola della Madonna delle Grazie(altro “paradiso perduto” lasciato nell’abbandono più assoluto) … Infine oltre la distesa scintillante delle acque in cui si specchia sfacciatamente il cielo, e sui cui galleggia un’effimera “città di Alghe”, e guizza un popolo recondito di Pesci e Molluschi di ogni sorta, si stende tutta Venezia con la GiudeccaSan Giorgio Maggiore… e lo Sky Line Veneziano cioè la folla dei campanili, le cupole ... e tutto ciò che conosciamo bene.


E questo è solo il contorno perché l’isola a vederla è tanto di più … Per chi ha le tasche giuste c’è tutto lo sfarzo possibile, la comodità e la raffinatezza, le rifiniture di lusso e i servizi: campo da Golf, piscina, il boschetto ricco di oasi, canneti, laghetti e tutto quanto t’immagini di poter trovare … Al posto delle vecchie casupole dei Monaci Eremiti di un tempo ci sono villini immersi e sprofondati nel verde: un verde bellissimo pure quello, pettinato e tirato a lucido dove oltre alla sapiente azione della forbice del Giardiniere vedi all’opera lo spettacolo tripudio sa offrire sempre Madre Natura ... Si può passeggiare nel silenzio fra Uccelli e Uccelletti che zufolano fra le fronte e ti zampettano attorno facendoti sentire davvero“beato fra le fresche frasche”… Quasi ti perdi nell’attraversare i solenni corridoi foderati di luminescenti vetrine ricche di lussuosi reperti e amenità … e ti sembra quasi di disturbare quando passi accanto alle suggestive suite dai nomi esotici … Colori, drappeggi, dettagli sistemati con gusto e fantasia … Ti pare di stare in un posto senza Tempo … o meglio: in un posto che riassume tutto un Tempo, una Storia e un modo d’essere e di vivere “fuori dal mondo”.


E’ quasi un’emozione indugiare in giro per l’isola di San Clemente … Passa quasi in secondo piano l’idea che è stata a lungo il reclusorio mentale … anche se sei costretto a pensarlo quando intravedi i cortili cinti di robuste sbarre … o la cinta invalicabile delle mura … San Clemente deve essere stata proprio una prigione: “dello Spirito” per qualcuno,“della Mente e del Corpo”per altri … Un luogo di privazione in ogni caso, sia dei bisogni primari, che delle sensazioni dell’esistenza.

Chissà come avranno vissuto in isola tanti Veneziani e Veneziane … Chissà che cosa avranno provato, pensato, patito, avvertito e sentito sia i Matti, ma anche i Monaci della Santa Casa… E’ un po’ da brivido (secondo me ovviamente) entrare in quel che rimane dell’antica chiesa di San Clemente col suo adiacente chiostrino … E’ da brivido immaginare chi ha popolato per anni quel posto … Da brivido ripensare le sensazioni fortissime interiori, gli apici spirituali che hanno saputo raggiungere lì dentro certe persone … Da brivido ripensare ai tanti fatti di cronaca accaduti e riassunti fra quelle anguste e cupe mura … Da brivido pensare a chi è finito col morire e finire “in fossa Comune” in quel luogo cinto dall’acqua marina della nostra magica Laguna, che ieri come questa sera si distende sotto lunghi e silenziosissimi tramonti impastati di un’esplosione di luci e colori … Non mancano Storie e Poesia in San Clemente … anche se fa un po’ anacronistico vedere chiesa e Sacrestia ridotti a dorata romantica location in cui intrattenersi a cenare al lume di mille candele mosse dalla brezza lagunare …“de gustibus …”


L’isola di San Clemente in sintesi è meno di 7 ettari emersi dalle acque … e la più antica notizia storica che la riguarda racconta di Pietro Gattilesso o Getalesso o Gatilosoricco Mercante che nel 1131 volle realizzare in quella selvatica terra emersa un Ospizio cioè un luogo d’ospitalità, “uno Spedàle” con chiesetta per Pellegrini e Soldati diretti o di ritorno dalla Terrasanta … Più di vent’anni dopo, l’isola venne ceduta in perpetuo dal Vescovo di Castello Giovanni III° Polanoal Patriarca Enrico di Grado che prima forse si recò a remi a consacrare quella primitiva Cappelletta Lagunare, e dieci anni dopo ancora v’insediò un gruppetto di Canonici Regolari di Sant’Agostino il cui Priore all’atto della nomina doveva offrire al Patriarca un letto nuovo ! … Proprio così: un letto ! … Solo nel 1337 si pensò di cambiare quella strana abitudine tramutandola in quattro ben più pratici ducati d’oro.

Comunque la presenza dei Monaci in isola non era abbastanza per valorizzare quel posto fuori mano che rimaneva fin troppo anonimo. Si pensò allora di provvedere alla solita maniera in cui si agiva in quell’epoca: cioè portando dall’Oriente nel 1288 delle “Buone e Sacre Reliquie”. Erano quelle di Sant’Aniano d’Alessandria:“amico-compagno-discepolo dell’Evangelista San Marco”… quindi “ròba di casa, giusto da Veneziani”… Perciò Sant’Aniano divenne immediatamente Patrono dei Caleghèri (calzolai)Veneziani... e non solo.


Narrava la leggenda che San Marco viaggiando dalla Cirenaica giunse fino ad Alessandria in Egitto dove fu costretto a cercare un calzolaio perchè gli si era rotto un sandalo. Trovata la bottega entrò da Aniano che si punse un dito con un grosso ago mentre stava lavorando, e se ne venne fuori con una bella esclamazione, cioè (non essendo ancora diventato Santo) tirò una bella “saràcca” (un bestemmione): Heis ho Theos !”(Dio è uno !) ... San Marco capì subito che quell’uomo aveva bisogno di lui, e non perse l’occasione per annunciargli la novità del Vangelo Cristiano… e già che c’era gli guarì prodigiosamente la mano bucata.

“Adesso si che si comincia a ragionare !”avranno detto di certo i Veneziani sempre entusiasti e devoti di allora (ma anche altrettanto determinati, interessati e furbi, non creduloni quindi) quando videro arrivare in Laguna quell’ennesimo carico di preziose Sante Reliquie … e l’isola da Ospiziodivenne soprattutto Monastero.



Dopo qualche secolo, nel 1432, quando nei pressi dell’isola di San Clemente funzionava il Mulino delle Bèbbe  e gli addetti alla pesatura forse abitavano nell’isola, Papa Eugenio IV cioè il Nobile Veneziano Gabriele Condulmer, visto che erano calate le rendite e i lasciti per San Clemente tanto da indurre gli Agostiniani ad andarsene, diede in usufrutto l’isola ai Canonici Lateranensi della Carità, che forniti di ricchezze e lasciti proprio provvidero subito ad ampliare il Convento costruendovi il chiostro e a restaurare la chiesa rifacendogli la facciata servendosi dei Tagiapiera e degli Scalpellini della bottega dei Lombardo ... L’isola divenne così bella e accogliente che la Serenissima la utilizzò come luogo di prestigio dove ospitare i suoi ospiti più illustri … anche se in verità un po’ languiva visto che i Canonici vi celebravano solo una “Messetta domenicale”.

Forse fu in quella stessa epoca che San Clemente divenne adatta ad ospitare Veneziani affetti da malattie infettive … e non solo. L’isola più che un Lazzaretto vero e proprio divenne come un nosocomio di lusso, un luogo riservato dove andate a rinserrare pagando ai Monaci qualche buon vitalizio qualche persona squilibrata, o magari soltanto scomoda … Si dice, infatti, che anche in San Clemente alcuni Nobili Veneziani abbiano “scaricato e alienato a pagamento”qualche figlio o familiare, o parente e conoscente affetto da disagio mentale o handicap, o talvolta qualche moglie scomoda e magari “un po’ passata” ... Non mancherebbero le storie da raccontare al riguardo.



Giunse più tardi il 1629-1630, che fu un’annata terribile per Venezia in quanto non solo infuriava ancora una volta la Peste(quella del Voto della Madonna della Salute), ma si aggirava in continuità per tutto l’Arcipelago Veneziano una massa montante e incontrollabile di poveri e miseri ... Inutilmente il Patriarca di Veneziaesortò tutti i Religiosi a soccorrere quella folla di bisognosi, e a poco servirono i 4.000 ducati e successivi 2.000 stanziati dai Provveditori alla Sanitàdella Serenissima: i miserabili divennero sempre di più … prima almeno 5.000 ...  e si tirarono fuori ulteriori 5.000 ducati per nutrirli … Risultato ? … I poveri divennero 5.350 … Venezia e la Laguna attiravano i miseri come le Alpi sul miele … Si provò a sistemarli e distribuirli in luoghi diversi, anche nell’isola di San Clemente ... Nell’aprile 1629 fra l’Ospizio di San Clemente e gli altri ricoveri e Lazzaretti Lagunari si ospitavano quasi 6.000 contadini soprattutto di provenienza Friulana e Trevigiana… Il mese dopo divennero: 7.000 in condizioni igienico-sanitarie sempre più pietose. Il Senato allora designò tre Nobili Provveditori perchè gestissero la situazione … Si acquistarono ancora altre 6.000 staia di miglio e grano, e si raccomandò di nutrire al meglio tutta quella gente provando poi a rispedirla il più presto possibile a casa loro per accudire i terreni lasciati nel frattempo incolti e improduttivi ... Una storiaccia insomma !

Poi tutto sembrò acquietarsi … Nell’ottobre 1631 al Lido erano rimasti attivi a seppellire cadaveri solo sei funesti Pizzegamorti col loro tremendissimo capo … Nei Lazzaretti Vecchio e Nuovo e nell’isola di San Clemente si ospitavano ancora 585 persone fra ammalati e convalescenti, compresi altri 12 Pizzegamorti in contumacia ... A metà novembre si riprese a seppellire i morti nelle chiese Veneziane di Contrada, e a fine mese “un po’ forzando la mano” secondo le Cronache, la Serenissima dichiarò finalmente terminata quell’ennesima ondata di terribile Pestilenza.

Dopo la potente “buriàna” della Pestilenza, l’isola di San Clemente era ridotta a rovine, a “un cesso”, perciò la SignoriaVeneziana autorizzò i Canonici Lateranensi della Carità ad andarsene e a vendere tutto ... L’isola così passò di nuovo di mano e iniziò una nuova gestione: stavolta venne acquisita dagli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona provenienti dal Monastero di Monte Rua sui Colli Euganei(esiste ancora oggi più vivo e vispo che mai: attenti però ! … che l’accesso è precluso ancora oggi alle donne.) ... Accadde proprio in quell’epoca che spinti da “nuovo impulso interiore” si provvide a costruire all’interno della chiesa di San Clemente la Cappella della Santa Casa a imitazione di quella del Santuario Marchigiano di Loreto ... Fu un voto propiziatorio o qualcosa del genere.


In quel significativo ripristino della chiesa di San Clemente ci mise lo zampino e soprattutto i soldi anche Prè Francesco Lazzaroni Piovano della Contrada di Sant’Angelo nel Sestiere di San Marco di Venezia: si prolungò l'abside della chiesetta ingrandendone il transetto seguendo la sapiente regia e il gusto di Baldassare Longhena e di Giusto le Court(lo stesso progettista e costruttore, e lo stesso scultore dell’Altare Maggiore del Tempio della Madonna della Salute a Dorsoduro sulla Punta della Dogana da Mar) ... Nel luglio di quasi vent’anni dopo si stava ancora lavorando e rivestendo la facciata della chiesa: si collocarono un paio di statue di San Romualdo e San Benedetto con due Angeli, e una“Santa Casa con la Beata Vergine”nel timpano superiore. Stavolta furono i Nobili Morosini del Ramo della Sbarra di Santa Maria Formosa a pagare tutti quei lavori ... La facciata divenne come una specie di “album delle memorie di famiglia”, perché vennero collocate oltre allo stemma del Casato, anche delle iscrizioni e dei rilievi che ricordavano le imprese del Senatore e Capitano di Galea Francesco Morosini, e del figlio Tommaso Morosini Capitano di Galeone morti (1618 e 1647) durante la Guerra di Candia e sepolti proprio in chiesa di San Clemente. Il complesso progetto dei lavori venne commissionato ad Andrea Comminelli Tagiapiera e Architetto con bottega in Calle dei Cerchieri in Contrada di San Barnaba ... La spesa prevista fu di 840 ducati pagabili per metà in contanti e per metà in farina o vino buono, con un anticipo di 100 ducati e successive rate mensili di 30 ducati ciascuna.



Nel 1670 i lavori interni alla chiesa stavano ancora proseguendo guidati dal Tagiapiera Antonio Moreschi e dal Murèr Francesco di Majno Sardifratello di Antonio e padre del famoso Giuseppe Sardi … e intanto altri soldi continuarono a fluire a favore dell’isola. Un esempio fra i tanti: nell’ottobre 1678 il Nobile Antonio Barbaro che si era già fatto rappresentare con tutta la famiglia nella facciata di Santa Maria Zobenigo (la Madonna del Giglio) poco distante da Piazza San Marco spendendo più di 30.000 ducati, lasciò “pro Anima sòa” un ingente somma di denaro per celebrare 200 Messe nella stessa chiesa e una Messa quotidiana perpetua, altre 150 Messe alla Madonna del Rosario,150 Messe dai Frati Minori di San Francesco della Vigna, 150 Messe dai Carmelitani dei Carmini, e 150 Messe dai Padri Camaldolesi di San Clemente in isola ... costava indubbiamente caro “il visto-salvacondotto” per accedere all’Eternità.



Più di trent’anni dopo, nel luglio 1716 e poi ancora nel settembre 1729, si stava ancora costruendo e ricostruendo in isola e nella chiesa, visto che il Proto Andrea Tirali rilasciò una“scrittura per 169 ducati” per la rifabbrica dei muri perimetrali del Monastero, e un’altra per la costruzione di una lavanderia e di una libreria per una spesa di 1.040 ducati ... Nel 1740 il Monastero di San Clemente possedeva una rendita annuale di 50 ducati provenienti dall’affitto di alcuni immobili siti in Venezia ... Tre anni dopo secondo una scrittura rilasciata dal Proto Giovanni Scalfarotto si restaurò la Santa Casa di Loreto dell’Isola di San Clemente mangiata dall’umidità e dalla salsedine spendendo 1.000 ducati, e si provvide poi a una pomposa inaugurazione e riconsacrazione da parte del Patriarca Alvise Foscari… Da quel momento l'isola divenne anche Penitenziario per Preti Reclusicolpiti da gravi sanzioni e pene Canoniche (nel gennaio 1769, ad esempio, si provvide a processare e carcerare proprio un Padre Eremita Camaldolese di San Clemente accusato “per mal costume”), mentre una parte dell'isola venne adibita a Casello Militare di Polveri della Serenissima (la Polveriera rimase in servizio fino a metà 1800).



Nel giugno 1769 un Decreto del Senato della Serenissima applicato dal Nobile Alessandro Duodo realizzò la riduzione dei 16 Ordini dei Regolari del Veneto e la soppressione di 127 Conventi ... I Monaci da 5.799 vennero ridotti a 3.380 in 295 Conventi, di cui 108 fra Veneto e Friuli ...Anche i Camaldolesi di Monte Corona vennero colpiti da quelle riduzioni, subendo una riduzione della popolazione Monastica da 110 a 76 membri. I Monasteri Venetifurono costretti a diventare autonomi interrompendo i contatti e le collaborazioni anche economiche con quelli esteri, e l’Isola di San Clemente divenne la sede principale dei Camaldolesi dove si teneva il consueto Capitolo Generale dell’Ordine ogni tre anni.

Poi … come sapete meglio di me, con la caduta della Repubblica arrivarono i “liberatori”francesi, e tutto venne soppresso, annientato e brutalmente saccheggiato, incamerato e indemaniato: 4 libri pregiati dei 3.115 del patrimonio librario della Biblioteca dei Camaldolesi Eremiti di San Clemente vennero concessi alla Biblioteca Marciana, mentre altri 3.111 insieme ad altri 14.000 della Biblioteca dei Somaschi della Salute, e ai 3.500 dei Frarilibri stimati lire 9.745 in tutto, furono venduti come scarti l’8 aprile 1814 a un certo Vianello che li pagò maggiorati, ossia: 13.000 lire.



I dieci Monaci Camaldolesi Eremiti rimasti nell’isola di San Clemente, “… pur dichiarando l’impossibilità di deporre l’abito da Monaci non per ragioni di principio ma in quanto mancanza di mezzi economici per provvedersi abiti civili.”vennero ugualmente mandati via “quasi in mutande”… Ne rimasero solamente due “per prestare soccorso in caso di burrasca ai naviganti e ai bastimenti d’acqua dolce che transitavano per la Laguna di Venezia”.

Con l’arrivo degli Austriaci, invece, l’isola di San Clemente divenne Caserma e Presidio Militare ... Venne accordata “dalla sovrana munificenza con apposito aulico dispaccio” al Rettore della chiesa dell’isola di San Clemente che abitava a Venezia una somma lire 600 ... e si provvide anche a un piccolo aumento della quota “dovendo lo stesso assoldare ogni volta un gondoliere che lo trasbordasse dall’isola a Venezia e viceversa per celebrare in isola 144 Messe Perpetue e 6 Anniversari” si pagò poi un’altra sovvenzione di 400 Franchi annui a un Sacrestano-Custode ... e l’isola venne infine affidata ai Frati Cappuccini del Redentore rimanendo ugualmente un “Ritiro e Reclusorio per Sacerdoti” gestito fino al 1855 da un Rettore con apposito Regolamento ... Nel solo 1834 vi furono reclusi “per cause politiche” 12 Sacerdoti“sospesi dalla Messa” provenienti da varie Diocesi Venete ... Risalgono al 1810-58 alcuni documenti e pratiche relative alla fondazione e all’amministrazione della Casa di Ricovero del Clero di San Clemente: “Regolamento interno … Rendiconti economici periodici … Finalità della Casa … Progetto di rifondazione o temporanea sospensione o definitiva soppressione dell’Istituto.” così citano i titoli dei faldoni dell’Archivio di San Clemente… Del 1826-56 sono, invece, alcune carte sciolte di San Clemente con fascicoli disposti in ordine alfabetico relativi ai “Reclusi di San Clemente”.



Dal 1855 lo stesso Governo Austriaco decise di destinare l’isola di San Clemente a Manicomio Centrale Femminile delle Provincie Venete, e per far questo tre anni più tardi s’imbonì una parte della Laguna circostante ottenendo nuovi spazi coltivabili utili all’autonomia dell’isola, si demolirono tutti gli edifici compreso il Casello da Polvere ad eccezione della chiesa e del chiostrino, e si ricostruì tutto realizzando “un moderno Frenocomio” ... Dal 1873 si trasferirono in isola tutte le donne “malate di mente” promiscuamente ospitate nella vicina isola di San Servolo… pure lei Isola Manicomiale… Le chiamavano: le Isole Dolorose”: “San Clemente è un luogo vasto, arioso e pulito: gli scienziati ci studiano e le pazze ci stanno in buona salute. Alle loro grida rispondono, oltre l’acqua, quelle dei pazzi di San Servolo, lugubre riscontro. Che cosa sentono i poveri maniaci nella quiete radiosa della laguna? Tra i sussulti, gli stordimenti, le inquietudini delle povere menti sconvolte, che azione ha quello spettacolo che rapisce gli spiriti sani? Da lungi il sole illumina i palazzi di Venezia e le belle navi che salpano verso l’immenso mare libero e le gondole in cui la gente libera, passa, senza badare a qualche viso sbiancato dalla reclusione, contratto nella fissità di un pensiero schiacciante…”



Nel 1880-1881 giunsero a Venezia 76 Suore di San Vincenzo de’ Paolidelle quali 18 sbarcarono andando a risiedere stabilmente a San Clemente per gestire il Frenocomio Femminile Veneto … Sarebbe tristissimo raccontare la lunghissima sequenza di storie vissute da tante donne Veneziane e Venete sopravvissute a se stesse, e “non vissute” nel Manicomio dell’isola.


Fra le tante ci fu una storia clamorosa che si provò in ogni maniera a nascondere e insabbiare: fu quella di Ida Irene Dalser e di suo figlio Benito Albino nato nel 1915. Erano rispettivamente l’amante fin dal 1913 (e poi sposa segreta a cui il Comune di Milano rilasciò un sussidio di guerra riconoscendola come moglie legittima), e figlio di Benito Mussolini(riconosciuto dal padre che gli diede il cognome e s’impegnò a partecipare alle spese per il suo mantenimento). Inizialmente la donna sostenne l’ascesa politica di Benito Mussolini finanziando a proprie spese la fondazione del giornale “Il Popolo d’Italia” di cui lui era direttore … Mussolini intanto ebbe altre donne, e venuto a conoscenza mentre era al fronte che Ida Dalser era incinta di lui, preferì sposare civilmente Rachele Guidi a sua volta incinta di una sua figlia.

I ritardi nel pagamento dell’assegno per il figlio, e la rabbia per l’abbandono e la perdita del patrimonio economico investito indussero la donna a intraprendere scenate e richieste pubbliche d’aiuto allo Stato. IdaDalser non ebbe paura: fece nomi, date e cifre sia personali che del Fascismo, e rivelò perfino certi finanziamenti occulti forniti dalla Francia al giornale gestito da Mussolini. Vennero avviate anche indagini su Mussolini, che lui, visti i tempi, eclissò abilmente, mentre la donna venne screditata, dichiarata dalla stessa Polizia: “delirante, esaltata e vendicativa”, e piantonata in casa col figlio a Sopramonte di Trento.

Ad un certo punto fu Arnaldo il fratello del Duce a fare il gesto definitivo di “dichiararla incapace d’intendere e volere”… Quando nel 1926 Ida Dalser cercò d’incontrare il Ministro della Pubblica Istruzione in visita a Trento, su ordine del Prefetto Guadagnini venne arrestata e soggetta a urgente ricovero manicomiale in gran segreto senza far trapelare la notizia in pubblico. La richiesta del ricovero coatto rilasciata da un Otorinolaringoiatra e da un Medico Generico membri entrambi del Direttivo del Partito Fascista di Trento certificava: “donna pericolosa per sé e per gli altri” (dopo alcuni giorni ricusarono inutilmente la diagnosi, il danno ormai era stato fatto). Qualche giorno dopo lo stesso Arnando Mussolini andò a recuperare il figlio di Ida Dalser e Mussolini nella sua casa di Sopramonte, e il figlio non rivide più sua madre … e qui la storia della donna scomodissima al Fascismo si fece avventurosa e trista: racconta di ripetute degenze e fughe nel Manicomio di Pergine Valsugana di Trentodove rimase per nove anni, alternate da altre nell’Isola di San Clemente da dove non era affatto facile fuggire. Lì, infatti, Ida Dalser finì per morire ed esservi sepolta in “Fossa Comune” nel 1937.

Quando venne trasferita a San Clemente la diagnosi recitava: “Sindrome paranoidea in soggetto nevropatico”… In più occasioni la donna scrisse e ricordò di come l’internamento in San Clemente l’angosciasse incutendole orrore e spavento … Le scarne cronache ricordano come pregasse di continuo chiunque incontrava d’essere portata via da lì: “… il 19 luglio mi hanno trascinata a Venezia nell’isola dei matti, dove gemo tuttora sottoposta a tutti i supplizi … Quale arbitrio poliziesco è questo? Dichiarare pazza la madre per rapire il figlio? Ed infliggere pure alla creatura innocente orrori inauditi ! … L’internamento mio si spiega con la necessità di lasciare la verità in fondo al pozzo della dimenticanza …”

Infatti così accadde … Nel 1935 dopo la morte dello zio Arnaldo Mussolini, Benito Albino figlio di Mussolini venne prima affidato al Fascista Giulio Bernaldidi cui assunse anche il cognome, poi venne internato pure lui nel manicomio di Mombello di Milano dove morì nel 1942 a soli 26 anni.


Secondo le consuetudini di quell’epoca, bastava a volte essere solamente delle ragazze o donne taciturne, fin troppo riservate, depresse o chiuse, magari riluttanti al sesso e a sposarsi facilmente, o ragazze esuberanti, troppo solari e irrispettose, disobbedienti e poco inquadrabili, “dallo strano o ridotto contegno”… che si finiva recluse in isola insieme ad alcoliste, donne violente, disadattate, vecchie mendiche da strada, prostitute sfatte, o donne disperate che cercavano di suicidarsi: “ ... Vivendo recluse a San Clemente se non eri pazza lo diventavi, e molto spesso le donne rimanevano costrette a vita nell’isola fino alla morte.”… Se si va a spulciare gli scenari e le storie descritte nelle Cartelle Cliniche del Frenocomio Femminile si scoprirà che sono sempre quelle, molto simili fra loro: mal di testa, “melanconia”, dolori sparsi per il corpo, “imbecillità morale”, “furore” con convulsioni e crisi epilettiche che a volte giungevano a ripetersi anche più volte al giorno … ma si troverà anche: “Pellagra, Mania e Nevrastenia, Isterismo e Acciacchi Neurogeni”… Di certo si faceva “di tutto un brodo” anche mettendo insieme Autismo ed Handicap facendo trovare facilmente spazio in isola a tutte quelle donne la cui cura fu spesso l’isolamento, l’estraneazione e la preclusione dalla “normale vita familiare e sociale” verso la quale erano considerate: “peso e pericolo”.

C’erano poi le cure, cioè le terapie tipiche dell’epoca: Idroterapia nelle dodici vasche d’acqua calda a 35° o fredda in cui si veniva tenuti forzatamente immersi anche per dodici ore nel Reparto Idroterapico, Contenzione con cinture e catene, Elettroterapia con la corrente elettrica soprattutto contro la Schizzofrenia, Terapie Convulsivanti, Farmacoterapia, Shock Insulinici ... e nei casi più composti e tranquilli: Ergoterapia cioè attività lavorativa nelle sale da lavoro, e più raramente negli orti e giardini, o al massimo nella lavanderia dell’isola.


Nell’isola di San Clemente c’erano oltre ai Refettori, le case degli ortolani, i numerosi alloggi del Direttore, del Cappellano, dei Primari, dei Medici Aggiunti, i dormitori del Personale Sanitario e degli Inservienti, le Sale Adunanze, quelle della Musica, le Sale da Lavoro e da Ricreazione, l’Ufficio Sanitario, quello della Direzione, l’Economato, Guardaroba, Ghiacciaia, Lavanderia, Forno-Panificio … e poi ovviamente le Infermerie con i Reparti di Degenza: “Reparto per le Suicide”, “Reparto Convalescenti”, “Reparto Dozzinanti”, “Reparto Agitate” con 14 stanzette d’isolamento, “Reparto Clamorose”… e le “Sale Anatomiche con la Cella Mortuariadove dopo aver cercato inutilmente dentro alle teste le alterazioni dovute alla malattia, si passava di certo a migliore e più serena vita”.

Nel 1930 la Provincia di Venezia provvide a restaurare arredi e dipinti della chiesa ... e circa trent’anni dopo l’isola ospitava 580 donne ossia la metà circa dei degenti manicomiali gestiti insieme a San Servolo. Intorno a queste due isole “ronzava” quotidianamente una folla assistenziale composta da 24 medici, 2 farmacisti, 372 infermieri e 71 addetti ai servizi, mentre più di altre 100 persone di Venezia provvedevano ogni giorno a rifornire e alla manutenzione delle due isole, che erano:“le due piccole cittadelle Lagunari dei Matti”.


La “Legge Basaglia” n°180 del 1978 chiuse di fatto le porte dei Manicomi d’Italia, ma solo nel 1992 l'Ospedale-Istituto di San Clemente diretto da Domenico Casagrande venne chiuso del tutto prospettando già un vago riutilizzo turistico dell’isola. In realtà da allora tutto venne lasciato a se stesso, e cadde in preda a vandalismi e ruberie di ogni sorta ... Si traslocò l’Archivio e Biblioteca di San Clemente in quella di San Servolo, e il Comune di Venezia diede in concessione l’isola all’Associazione Dingo come “Ricovero per gatti randagi”.



E avvenne così il fattaccio … Nell’indifferenza più assoluta, dei ladri esperti si sono su commissione letteralmente accampati e accomodati in isola prelevando chirurgicamente e asportando ogni cosa di valore esistente: la chiesa di San Clemente soprattutto, piccola miniera d’opere d’Arte e Storia venne saccheggiata brutalmente ... Pensate che per lavorare più comodamente a quell’asportazione i ladri si costruirono perfino un apposito impianto elettrico con tanto di generatore per poter lavorare più comodamente.

Provate ad osservare attentamente le vecchie foto: vedrete ancora le lampade e i fili volanti rimasti istallati dentro alla chiesa …


In quell’occasione si fece “man bassa” di tutto. Scomparvero: “Cristo fra Marta e Maria” del Diziani;“Riposo dalla Fuga d’Egitto,“Visita dei Re Magi” e “Tentazioni di Cristo” di Gregorio Lazzarini; “San Romualdo accoglie nella regola un Patrizio Veneto” e “San Romualdo e l’Imperatore Ottone”, “San Romualdo e l’Imperatore Enrico II”,“San Romualdo e Papa Sergio IV” di Giustino Merescaldi; “Cristo in Gloria con San Tommaso, San Francesco Saverio e San Bernardo di Pietro Ricchi o Ricci; “Ultima Cena” di Giambattista Pittoni; “Madonna di Loreto e Santi Romualdo, Agostino, Benedetto e San Giovanni Evangelista di Francesco Ruschi; una “Madonna di Loreto” in legno, un “San Pietro”, “San Paolo”, una “Fuga d’Egitto”, “Deposizione”, “Annunciazione”, “Presentazione al Tempio”, un “Incontro con la Cananea” di Scuola Veneta del 1600-1700; un “San Michele Arcangelo sconfigge il Demonio con la Vergine e il Bambino in Gloria di Antonio Zanchi; un “Transito di San Giuseppe” di Giovanni Segalla della Scuola di Pietro Vecchia; un “Cristo caccia i Mercanti con Vergine e Santi” e “Sposalizio della Vergine”della Scuola del Malombra; “Sacrificio di Abramo” di Domenico Tintoretto; “Madonna con i Santi Giovanni, Giuseppe e Antonio” del Licino; “San Romualdo veste dell’abito San Pietro Orseolo con un altro Senatore” del Padovanino ossia Alessandro Varotari; “Traslazione dalla chiesa della Carità a quella di San Clemente” di Giuseppe Enzo; “Adorazione dei pastori”alla maniera del Bassano; e un “San Giovanni Battista” di Maffeo da Verona.



Che ve ne pare ? … La chiesa di San Clemente era un vero e proprio Museo d’Arte ... abbandonato a se stesso. 


Per fortuna che buona parte di quelle opere in seguito vennero in un modo o nell’altro recuperate, e risultano, infatti, restaurate a spese dello Stato fra il 1967 e il 1987... Molte risultano oggi depositate in gran parte alle Gallerie dell’Accademia … altre, invece: Puff ! … Svampate nel nulla !



Il resto da dire sul San Clemente è praticamente storia attuale: il recupero e i possenti restauri da parte delle varie cordate imprenditoriali che si sono alternate nella gestione dell’isola: nel 1999 la Compagnia Finanziaria d'Investimento S.p.a. di Gilberto Benetton che comprò l’isola per poco più di venti miliardi di lire … Poi fu il turno nel 2000 dell’acquisto per trentuno miliardi da parte della Società Beni Stabili e del Gruppo Alberghiero Turin Hotels International… e fra un restauro e una riqualificazione e l’altra si giunse al 2003 con la sistemazione definitiva e attuale del San Clemente Palace Hotel e Resort Kempinski a cinque stelle con duecentocinque camere e suite che ho intravisto qualche giorno fa attraversando in punta di piedi la Laguna spingendomi a godere ancora una volta della bellezza significativa di San Clemente in Isola.



Qualche ora più tardi ho lasciato l’isola, ammaliato, quasi frastornato da tanta suggestiva bellezza ritrovata … Siamo stati riportati dondolati e cullati sulle acque fin sull’antico Molo di San Marco dove ci siamo immersi di nuovo nella solita esplosione da bazar e da kasbah della nostra Venezia invasa dall’ondata ossessiva dei turisti. Il silenzio ovattato e rappacificante di San Clemente è rimasto là in fondo, oltre la distesa delle acque della Laguna … Per qualche istante ho provato già nostalgia di quella visione quasi onirica e inebriante provata a San Clemente… L’ho preferita di molto al ritmo caotico e pressante di Venezia … Ma è stato solo un attimo … e mi sono subito ributtato sui soliti passi a cavallo della quotidianità ... Mi è rimasta però la solita voglia immutata di continuare alla prossima occasione ad andare, “volare”, cercare, vedere e curiosare dentro alla nostra inesauribile Venezia Serenissima e Lagunare ... trapuntata anche di isole.


“L'Isola dell'Anconeta o di Santa Maria della Drezzaglia.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 179.

“L'Isola dell'Anconeta o di Santa Maria della Drezzaglia.”

Qualche notte fa un amico di Facebook mi ha inviato la foto di un dipinto di Francesco Guardi che rappresentava un’isoletta Veneziana a me praticamente sconosciuta di cui si sapeva soltanto un nome o titolo generico: “Isola dell’Anconeta o de la Madonèta”.

Inizialmente ho pensato: “Non la riconosco … Non l’ho mai vista né sentita ! … Sarà forse un “capriccio” del Guardi(cioè una di quelle scene pittoriche inventate dalla fantasia secondo un genere stereotipo spesso usato dai pittori … come, ad esempio: “Rovine”, “Notturni”, “Marine” o generiche: “Veduta Lagunare Veneziana”) ... Stavo quasi per rispondere all’amico: “Boh ! … Non saprei che dire … forse quell’isola non c’è mai stata.”

Senonchè sbirciando e “grattando” un poco in giro incuriosito … ho notato che anche il nipote di Francesco Guardi: Giacomo Guardi ha realizzato dei disegni praticamente identici. Quella veduta dell’Anconeta era fin troppo uguale a quella dello zio … Non era quindi un’invenzione fantasiosa del pittore, ma doveva corrispondere a una reale veduta Veneziana Lagunare ... L’Isola dell’Anconeta o de la Madoneta rappresentata dai Guardi circa verso la fine dell’epopea storica della Serenissima doveva essere stata per davvero in Laguna.


Infatti è stato così: l’isola c’era sul serio sul bordo della periferia lagunare fra Mestre e Venezia, anche se oggi quel sito non esiste più.


E’ esistita un’isoletta della Madonetta o dell’Anconeta per la precisione verso Marghera e la “Torre Margària” (più verso San Giuliano rispetto all’attuale Marghera), che è finita in seguito inclusa nell’area di Forte Marghera durante il 1800 divenendo parte integrante del Forte posto sulla gronda Lagunare nei pressi di quella che era stata la Cavàna di San Zuliàn del BuonAlbergo o de la Palada.

Andando a sbirciare, infatti, su una vecchia stampa della Laguna di Venezia gelata il 30 dicembre 1788, la location dell’Anconetaè venuta fuori distintamente, e assomigliava in tutto e per tutto ai dipinti e ai disegni realizzati dai Guardi(in verità l’isoletta l’hanno rappresentata davvero “in serie” considerata da diverse prospettive).

Se osservate la parte cerchiata della stampa settecentesca, potrete notare chiaramente l’Isola dell’Anconeta o Madoneta contrassegnata da una lettera “d”… posta proprio sulla sinistra della vecchia Torre di Marghera o Margàriada cui prese in seguito nome l’intera zona della limitrofa Terraferma.


“Eccola qua l’Isola dell’Anconetta !”mi sono detto … E da qui sono poi spuntate fuori altre piccole note … Ancora sulle carte della zona si segnava durante il 1800 insieme all’Anconeta anche l’omonima Fossa e i Ghebbi dell’Anconeta o Madoneta… Per secoli si doveva navigare obbligatoriamente per lì per recarsi fino a Mestre da Venezia e viceversa.

Si trattava quindi di una zona di transito e passaggio, quasi di transizione fra la Laguna di Venezia e la Terraferma di Piazza Barche di Mestre frequentata da pescatori, Soldati, “campagnoli, braccianti e fadiganti”, e da commercianti grandi e piccoli, overossia Mercanti che scaricavano e caricavano merci provenienti o diretti all’entroterra Padano per le vie fluviali, o all’ultra Alpino e Montano dei territori Salvi e Allemanni ... Quella dell’Anconetta era una zona naturale depressa fra paludi, canneti e “musàtti e pennelli di barena”, poco distante dalle barene di Campalto in Strata, dall’antico Porto del Bottenigo sull’antica strada Romana: la Via Orlanda che andava per Terzo, Quarto, Texaria e Altino in direzione Aquileia e Concordia e oltre. Quella dell’Anconetta era dunque un’area viva anche di controllo del Contrabbando, pedaggio e confine di chi andava o veniva da Venezia, tanto è vero che nelle mappe erano segnate anche le: “Case e Caserme de Zaffi” e le “Palade di Dogana” … Era quindi una zona seppure miserrima e desolata, molto frequentata e popolata da numerose basse barche a remi e a vela di passaggio, da pesanti chiatte, zattere e burci che scendevano e salivano i fiumi verso l’entroterra Padano e Friulano e verso le Montagne del Cadore ... Era ed è ancora tutt’oggi la direttiva Mestre-San Giuliano-San Secondo-Punta San Giobbe di Cannareggio su cui transitano buona parte dei commerci e dei rifornimenti alimentari diretti a Venezia. Su questa linea di navigazione commerciale lagunare passavano farine e macinato, prodotti agricoli, vino, merci in genere, e soprattutto animali e carni da macellare dirette a Cannaregio nell’area in cui sorse in seguito anche il Macello Venezianodi San Giobbe (oggi sede Universitaria distaccata di Cà Foscari).   



Si sa bene che fin dal lontanissimo 1152 e fin ben oltre il 1500, nell’isola di San Giuliano de la Palada o San Zulian del Buonalbergo poco lontano dall’Isola dell’Anconetta sorgeva un "Ospizio-Hospitale", cioè un Priorato per viaggiatori e Pellegrini affiancato in seguito da un piccolo quanto spartano Conventino Francescano collocato anch’esso nei pressi delle "Torre de San Zulian e Torre Margaria (che già verso la fine del 1500 era ridotta a rudere probabilmente dopo la Guerra di Cambrai)" ... Quella serie di Torri apparteneva a una catena d’avvistamento e difesa che punteggiava tutto il contermine lagunare e Serenissimo da Chioggia a Caorle… Durante tutto il Medioevo l’intera zona palustre dell’Anconetta fu un isolotto attrezzato anche come pontile di sbarco-imbarco, e posto di sosta e ricovero di fortuna per i naviganti di quella zona Lagunare, e anche area abitata e adibita a culto locale in quanto vi sorgeva la documentata chiesetta di Santa Maria della Drezzagna.

Anconetta e Drezzagna ?… Anconetta: è facile il significato … viene da Icona-Ancona, cioè un’immagine religiosa, un quadro da venerare.

Ma Drezzagna o Drezzaglia ?

Quella dell’Anconetta era considerato uno dei tanti Dossi della Laguna Superiore … Ce n’erano tanti altri in Laguna … da cui derivò anche il nome di un intero Sestiere Veneziano: Dossoduro … Dorsoduro… I Veneziani conoscevano un Dosso alle Porte Grandi del Sile,  un Dosso sul Canal del Caligo dove c’era l’omonima Torre di Guardia e avvistamento, un Dosso sull’argine della Piave Vecchia, un Dosso del Cavallino, un Dosso di Lido Maggior o Lio Mazòr C’erano due Dossi a Lio Piccolo, un Dosso a Falconera, il Dosso delle Mèsole, il Dosso di Saccagnana… Dall’altra parte della Laguna Veneziana c’era il Dosso delle Vignole, il Dosso dell’Osellino sulla Terraferma di Mestre, e il Dosso dell’Anconettacon la Casa degli Zaffi e la Palada(poi finiti compresi nella Fortificazione di Marghera)… C’era ancora un Dosso del Moranzano a Fusina… e un Dosso di Lugo nella Laguna così detta Inferiore … un Dosso di Fogolana, un Dosso a Conche, e altri Dossi divisi in più parti: detti di San Zuanne e di Valdirio, ad esempio, ed altri ancora fra i Canali Lombardo e della Madonna, e un Dosso di Brondolo presso Chioggia.

I “dossi” quindi secondo l’antico Lessico e Dialetto Veneto e Veneziano venivano detti anche: “Drezze”... Scriveva Fabio Mutinelli nel 1852 nel suo “Lessico Veneto: che contiene l’antica fraseologia volgare e forense.”: “Una Drezzagna o Drezzagno erano un corso dritto di canale, laonde, a modo di esempio, troviamo Santa Maria della Drezzagna prope Margariam, e ciò per essersi ivi tolta alcuna tortuosità al canale, che metteva a Marghera, indi a Mestre.”“Dressa”era da considerarsi allora come una “treccia”: indicava qualcosa d’intrecciato e contorto … in questo caso una zona palustre ingarbugliata, dai bassi fondali, malnavigabile, dove era insidioso procedere: la zona dell’isolotto diSanta Maria della Dressaglia cioè della Madonna dell’Anconetta.

Quindi sul Dosso difficilmente navigabile, piena d’asperità, insenature, secche e impervietà che limitavano grandemente la libera navigazioneverso Mestre-Venezia, sorgeva l’Anconetta di Marghera cioè la chiesetta di Santa Maria di Drezza o Santa Maria in Drezzaglia o di Dressagna:“L’Anconetta era piccola isola, circondala di basse paludi, vicina alla terraferma verso Mestre. Aveva una Cappella, e vi prosperavano Pini, Abeti ed alti Cipressi ... Aulicamente appellavasi Sancta Maria della Drezzagna, ed era Anconetta come l’altra chiesuola posta in Venezia nella Parrocchia dei Santi Ermagora e Fortunato di Cannaregio eretta da alcuni pietosi giovani affin di collocarvi un’immagine della Vergine Madre di Dio, e perciò (intendendosi per Ancona un quadro grande da altare)detta Anconetta ... Nel giorno 22 di febbraio dell'anno 1652 fu ricevuta in protezione della Signoria, acciocché continuandosi il governo della chiesa, e Schola da persone laiche, proseguissero nella loro Divozione, con accrescimento di merito, decoro della città, et esaltazione del culto divino …”



Circa Santa Maria della Drezzagna o della Madonetta o Anconetta de Marghera, così come circa una San Daniele Lagunare, e circa Sant’Eurosia delle Vignole si diceva nel 1795: “… sono chiesòle della Convicinità  buone solo per far qualche orazione di passaggio e udir qualche Messetta, come si dimostra chiaramente dalla Chiesa di Santa Maria della Drezzagnache diciamo l'Anconetta o di Malgherra.”  “All’Anconetta di Margaria c’è sempre un lume, o faràl o cesendèlo impisàdo de notte a segnar el canal che va in Mestre”… e da tradizione il Cappellano-Rettore dell’Anconeta o della Drezzaglia veniva investito del titolo “per annulum”, ossia indossava un apposito anello che ne certificava la titolarità e una certa vaga dignità ... Nel 1528 il Patriarca Girolamo Querini investì “per annulum suum in digito Prè Vicenzo de Balletis come Cappellano della Rettoria di Santa Maria dell’Anconetta chiamata della Drezzagna prope Margariam.” Santa Maria della Drezzagna per quanto poco era anche una chiesetta soggetta a Decima e Oblazioni, tanto è vero che a un certo punto della Storia, nel dicembre 1697, il Vescovo di Treviso(che in quell’epoca esercitava il suo diritto su tutta Mestre e Marghera fino al margine Lagunare) dispose che le rendite e offerte raccolte nel misero Beneficio dell’Anconetta così come quelle di San Biagio di Bavèr venissero destinate ad integrare le scarse rendite del Seminario di Treviso. Il provvedimento vista la sua pochezza venne revocato nel febbraio 1707... e in seguito l’intera zona di Mestre passò nuovamente ad essere “Zona Foranea” del Patriarcato di Venezia.

Furono i Francesi circa nel 1810 a scavare fra le barene il nuovo "Canale di San Giuliano detto Canale Militare"(il cui nome finì con lo scalzare e cancellare l’antico toponimo originale dell’Anconeta) unendo strategicamente in maniera rettilinea il Forte Marghera e il Posto di Finanza di San Zulian de la Palada col Canale di San Secondo che portava dritto a Cannaregio, cioè a Venezia.

Un Foglio Militare 37b dell’epoca rileva nella stessa zona palustre di Mestre-Marghera una Batteria dell'Anconetta collocata su di un’omonima Località denominata Isola dell'Anconetta” definita nello Stato di conservazione”come “scomparsa”:“L’Isola di San Zuliano è lunga 350 metri e larga al massimo 60 metri e minimo 35 con un ridotto di terra all’estrema punta cinto da stecconata orizzontale e coperto alla gola da una Caserma Difensiva armata da 16 bocche da fuoco a guardia del Margine della Terraferma insieme al Forte Manin ... Presidiavano Marghera e le adiacenti opere 1.400 militi, 200 di Fanteria della Marina, già Soldati Italiani d’Austria, 400 Artiglieri ed altri 300 tolti all’occasione dai Battaglioni di Volontari, esercitati a servire i pezzi in poco più di un’ora pur sotto il fuoco nemico …”
L’intera zona venne fatta saltare in aria dai Veneziani durante i moti del 1848-49, e praticamente quasi distrutta dalla grandiosa esplosione immortalata nei dipinti di Luigi Querena.

Nel 1841-46, invece, si costruì il nuovo Ponte Ferroviario Lagunare… Nel 1840, Giovanni Milani nel suo “Progetto di una strada a guide di ferro da Venezia a Milano” scriveva fra l’altro cercando d’individuare l’itinerario più adatto per costruire una Ferrovia che giungesse fino a Venezia: “Dalla Laguna viva di Venezia sorgono delle isole: molte al nord dove la Laguna è più larga, poche al sud dove si restringe. La maggior larghezza della Laguna viva è tra il Porto del Lido e le spiagge di Marghera.… Il canale per cui si entra dal porto del Lido piega a sud, poi all’est. Dopo non lungo cammino si dirama in tre, due alla destra, uno sulla sinistra; quello sulla sinistra prende il nome di Canal Orfano e va al Porto di Malamocco; dei due a destra il primo, il Canal dei Marani s’apre fra le due isolette della Certosa e Sant’Elena; il secondo, il Canal di San Marco muove ad ovest dell’isola di Sant’Elena. Il Canal dei Marani fa un grand’arco a nord, poi volge a sud-est, passando tra le due isole di Murano e di San Michele, indi piega ad est, ma poco dopo si divide in due rami minori: il sinistro, il Canal delle Sacche, va per un tratto a sud-ovest, poi corre dritto dritto ad ovest alle barene di Marghera radendo l’isola di San Secondo, e giungendo a Marghera, ora pel Canal Militare artefatto, e prima per una fossa tortuosa detta dell’Anconetta. Il destro chiamato Nave, indi Tortolo inclina a nord, e si parte in più rami, alcuni dei quali giungono al continente, altri si perdono nella laguna ... Il Canale di San Marco continua per buon tratto solitario, poi anch’esso in due si divide. Il ramo a sinistra, ch’è il maggiore prende il nome di Canale della Giudecca; quello a destra chiamasi Canal Grande. Il Canal Grande dopo un cammino assai tortuoso sbocca in un terzo detto Colombola che va da sud a nord, e lo unisce a sud col Canale della Giudecca, a nord con quell0 dell’Isola di San Secondo, e proprio nel luogo ove si sbocca l’altro detto delle Sacche … Dal Canale della Giudecca diramano gli altri tre: Tresse, Fusina, Contorte: tutti volti alle barene e al continente …”

Curiose le vicende della costruzione della linea Ferroviaria Veneziano-Mestrina ... Innanzitutto il costo dell’opera in se era notevolissimo, così come quello dei materiali da utilizzare: il legname e le pietre per costruire ponti sulle acque e sulle barene … Si voleva perfino realizzare un ponte girevole sul Canale della Colombola ...  Esisteva inoltre anche un problema logistico nell’attraversamento proprio della zona del Canale dell’Anconetta ... Infatti il Colonnello Von Teyber Direttore delle Fortificazioni del Circondario Lagunare non fu affatto entusiasta di quell’iniziale progetto e ne chiese la completa revisione: si dovette spostare la realizzazione della futura linea ferroviaria più a nord, a 220 metri di distanza dall’Isola di San Secondo, e a 340 metri dall’Isolotto di San Giuliano… mentre sul bordo iniziale della Terraferma si dovette passare con due ponti ad archi in legno proprio sul Canale dell’Anconeta accanto alla testa di ponte fortificata dei bastioni e delle tre batterie d’artiglieria del Forte di Marghera raggiungendo così l’abitato di Mestre:“Il nuovo Ponte Ferroviario in caso di bisogno dovrà essere a tiro di mitraglia di Forte Marghera …”

Si obiettò che uno dei principali problemi da risolvere era proprio il passaggio sul Canale dell’Anconetadove i ponti in legno sarebbero stati presto mangiati dalla salsedine richiedendo manutenzione e spese continue … La linea ferroviaria in alternativa avrebbe dovuto seguire curve e controcurve su zone barenose ugualmente instabili e insicure ... La vicinanza poi della linea al Forte Marghera avrebbe poi potuto trasformarla in un’ipotetica linea di trincea pericolosa se caduta in mano di un ipotetico nemico … Alla fine intervenne l’Arciduca Giovanni, e la linea ferroviaria si costruì dov’è adesso … e scomparve così del tutto il Fosso dell’Anconetta con la sua chiesòla.

Scriveva Giuseppe Spinelli nel 1854: ... Intendiamo oggidì per Laguna di Venezia in particolare, la parte di mezzo delle Lagune, ossia quella porzione degli Estuarii in grembo dei queli Venezia è posta: la qual Laguna è guardata a levante a un di presso dai Lidi di Sant’Erasmo e di Malamocco, e che s’insinua più verso il continente dalla parte dove sono Santa Maria della Drezzagna oggidì l'Anconeta et Malghera, ove per decreto del 19 decembre 1209 fu stabilito: “… quod Malgariae turris statuatur”, come si legge nel vecchio Capitolare degli Avvogadori al cap. 53, e il luogo detto Ad Nonum, che si crede il Mistria o Mestre, così nominato, perchè distante 9 miglia da Altino … In questa laguna tra gli altri entrava fino dai tempi più rimoti il fiume Brenta o Medoaco, che da Tito Livio s'appella Praealtus, sia questo un nome proprio, o più veramente ...”

Infine nel 1920 s’iniziò a utilizzare Marghera come area industriale… Del 1931 è il Ponte Automobilistico Translagunare… e del 1957 la costruzione dell’Aeroporto di Tessera e del Cavalcavia di San Giuliano sulle stesse zone paludose e barenali della Laguna di San Zulian de la Palada e di Campalto usate fino agli anni ’60 e ‘70 come discarica dei rifiuti industriali (tossici)di Marghera. Oggi nella stessa area parzialmente bonificata sorge il “Salutare Parco di San Giuliano: polmone Verde e d’aria buona per Venezia e Mestre”, mentre a pochi metri esistono ancora alcune zone cintate e precluse dove “sbrodano”ancora liquami e percolati sospetti con concentrazioni rilevate fino a dieci volte superiori al massimo consentito e accettabile per la salute … Ma non è bene parlarne, meglio tacere e dimenticare il tutto ... Quella volta il Sindaco & C di Venezia pensarono bene di coprire e asfaltare “sapientemente” ogni cosa costruendovi sopra strade e piste d’Aeroporto.

Beh … in ogni caso, quelle rimarranno lo stesso le antiche zone dell’Anconeta e de la Drezzaglia.
  



“La “tòsta” visita del Patriarca Ladislao Pirker alla maxiContrada di San Marcuola nel 1821.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 180.

“La “tòsta” visita del Patriarca Ladislao Pirker alla maxiContrada di San Marcuola nel 1821.”
(parte quinta)

Quasi a risposta e come conseguenza della lettera segnalatoria e descrittiva di Don Rado circa il “quadro”della maxi Contrada allargata di San Marcuola inviata al Patriarca Ladislao Pirker nel 1820, l’anno seguente … quando si provvide a interrare il Rio dei Santi Ermagora e Fortunato che s’incontrava in zona col Rio dei Do Ponti “antica Comenzaria de Cannaregio”immettendo in due Fondamente distinte: Fondamenta Querini a destra, e Fondamenta San Leonardo a sinistra che portava all’omonima chiesa da dove tramite Fondamenta Barzizza ci si affacciava sul Rio di Cannaregio ... il Patriarca si presentò in Visita Pastorale.

Il 31 di luglio incontrò e interrogò Canonicamente lo stesso Piovano Don Rado, il giorno seguente interrogò il Vicario Don Milani e i due Preti Cooperatori; il 2 agosto incontrò e interrogò i Fabbricieri di San Marcuola: Don Grigato, il possidente Martinolli e il Nobile Venier; infine il 3 agosto incontrò, sentì e interrogò i laici: Giovanni Battista Manfrè di anni 41 di professione:“Cartèr” e Giovanni Battista Tonini di anni 38 di professione: “da merci”.

Il Patriarca volle sapere per filo e per segno la situazione della Parrocchia e della Contrada “allargata” di San Marcuola che riassunse in un apposito Quadro Ragionato della Parrocchia, controllò degli elenchi dei Preti e delle Schole fatti preventivamente stilare, verificò l’Archivio e gli Inventari, partecipò alle sedute della Dottrina Cristiana verificando e interrogando i presenti e richiamando gli assenti, lesse e considerò certe lettere dei Preti, e infine rilasciò delle disposizioni con un apposito Decreto Dispositivo PatriarcaleConclusivo.

Sono interessantissime e curiose (almeno per me) le considerazioni e le costatazioni del Patriarca e del suo staff contenute nella relazione finale circa San Marcuola. Da queste si può desumere un’ulteriore immagine dei Veneziani e di quel che è stata la zona di San Marcuola, Santa Fosca, la Maddalena e San Lunardo nel Sestiere di Cannaregio nel 1821.

Innanzitutto sono interessanti alcune note di circostanza circa lo stesso Piovano Don Rado(che non doveva essere molto simpatico al Patriarca … e non soltanto a lui): “Rado Don Giovanni di anni 58, Parroco-Piovano di San Marcuola, nativo di Cattaro in Dalmazia nel Dominio Veneto e residente a Venezia fin dal 1789, Canonico, Dottore in ambo le Leggi o Diritti, Patrizio di Ascoli, Cavaliere, ex Superiore dei Padri Somaschi … Gli manca un certo grado di moderazione per essere esimio, anche se possiede in special modo il talento di predicare in cui si esercita con genio ad ogni momento … Soccorre col suo i Preti ammalati … Secondo taluni è troppo facile nel rivelare le commissioni avute dalla Superiorità; secondo altri: “Non siamo degni d’averlo.”… Possiede come Rendita la Casa Canonica e una Congrua eccedente alquanto la normale … Vorrebbe imporre agli Ebrei, che dovrebbero essere costretti nel Ghetto, una tassa “pel pregiudizio che ne risente la Parrocchia”, e considera abuso il fatto che diversi domestici Cristiani prestano servizio nelle case degli Ebrei.”

In quegli anni la Colonia Ebraica Veneziana contava circa un migliaio di residenti, e in giro per Venezia la si considerava causa di molti disordini notabili e immoralità ... Don Rado Piovan di San Marcuola era noto per essere uno dei maggiori accusatori e denigratori dei Giudei, mentre in realtà gli Ebrei si dedicavano a una pacifica convivenza mista e al proficuo scambio commerciale spicciolo che li aveva caratterizzati da sempre.

Il Patriarca a proposito dell’ipotetica “tassa sugli Ebrei” gli rispose:“Non sarà mai che la Chiesa con i suoi Ministri debbano abbisognare di tali sussidi … Sarebbe imporre ai nemici di Gesù Cristo di concorrere col proprio alla Gloria di Gesù Cristo.”… e circa i domestici accasati presso gli Ebrei: “… generalmente gli Ebrei sono molto tolleranti nel permettere l’osservanza delle pratiche religiose ai Cristiani, e che d’altronde l’Autorità Politica non riuscirebbe ad abolire intieramente quell’abuso.”

Ancora su Don Rado alla fine dell’analitica Visita del Patriarca su San Marcuola si precisò e osservò nell’ottobre 1821: “… [Don Rado] Giustifica la non frequente amministrazione della Comunione fuori Messa per una più seria e rispettosa Devozione Eucaristica: biasima i Devoti più della Pisside che del Sacramento, e certe impudenti “Sacerdotesse” che si fanno gioco dei Sacramenti: le definisce “Sante senza licenza del Paradiso” perché fanno poca preparazione … Difende tuttavia il suo Clero dalle accuse mosse da qualcuno durante la Visita … Per quanto riguarda i rapporti con gli Ebrei: esclude che Preti della sua Parrocchia (Don Beggio in particolare) si rechino in Ghetto a far da Maestri … Ammette però che da tutte le plaghe van Preti in Ghetto a far da Maestri, e in particolare un forestiero singolarmente scandaloso che va a far scuola tutte le domeniche e si fa vedere a rispettare il loro Sabato … [Don Rado] nota il contrasto tra la Legge Civile che obbliga il Ghetto ad andar dai Preti (accogliendo gli Ebrei nelle pubbliche scuole), e quella Canonica che proibisce ai Preti dall’andare in Ghetto come Maestri.”

Ma non è solo del Piovano Don Rado che si occupò il Patriarca Pirker in quella circostanza … Sono interessanti le specifiche seppure sintetiche annotazioni che sintetizzò sulla Contrada Veneziana di San Marcuola: “Gli abitanti sono circa 4.000, in maggioranza della classe dei Macellai e Venditori di Carnami, non mancano alcune famiglie Nobili ed Agiate … è sparsa di famiglie Israelitiche essendo situata vicino al Ghetto … In Contrada operano 2 o 3 levatrici, eci sono Scuole Pubbliche e alcuni “Maestruzzi” privati … Alcuni muoiono senza ricevere i Sacramenti: uno ad esempio ha ricevuto solo il Sacramento della Penitenza, ma non il Viatico né l’Estrema Unzione … In Contrada ci sono alcuni bestemmiatori e alcuni diffusori di massime irreligiose … Ci sono alcuni concubinati: soprattutto tre fra un Ebreo e una Cristiana, e frequenti relazioni illecite tra Ebrei e Cristiane i cui figli sono educati all’Ebraismo … Alcuni Matrimoni sono andati separati … A volte accadono gravi inconvenienti morali in chiesa a causa del protrarsi delle Funzioni fino a tarda serata: bisognerebbe chiudere la chiesa al tramonto del sole … Due Osterie vicine alla chiesa in particolare sono occasione di scandali e tumulti: bisognerebbe chiuderle nelle ore in cui s’impartisce la Dottrina Cristiana.”

In San Marcuola si teneva la Scuola della Dottrina o Istruzione Cristiana specificatamente finalizzata e ordinata "per i 300 putti-alunni"ma anche per gli adulti che erano tenuti alla frequenza continuativa almeno settimanale. La Scuola della Dottrina era “sotto l’egida” di un Prete-Capo detto Priore della Dottrina coadiuvato da due Assistenti o Correttori, da un Segretario-Scrivano, da due Sacrestani, due Portinai, e perfino da un Infermiere …. nonché da un SottoPriore laico alla testa di 50 “Persone Devote” che fungevano da Maestri … Alla fine di ogni anno oltre alle valutazioni di presenza e merito segnate in apposita “pagella”, si tenevano delle vere e proprie "dispute o discussioni pubbliche, o esibizioni sulla Dottrina e sulle conoscenze perfette dei sani principi della Chiesa” che fungevano anche da spettacolo per quelli della Contrada che correvano ad assistere e applaudire in gran numero. Ai più meritevoli era abitudine attribuire encomi solenni, diplomi e medaglie di riconoscimento … Tutte le Scuole locali e Contradariali di Dottrina Cristiana sono state soppresse dai decreti napoleonici del 1807, che hanno introdotto l'uso di un unico Catechismo Nazionale Unificato. Nel 1818 il Patriarca Francesco Maria Milesi tentò flebilmente di riattivarle, e il suo successore appunto il Patriarca Giovanni Ladislao Pirker ribadì nel 1821 che la Scuola di Dottrina Parrocchiale doveva essere: "assidua e opportuna … oltre che numerosa come frequenza e ben regolata.”

Comunque nonostante tutte quelle buone intenzioni, ormai quel particolare “Ente Dottrinale” aveva di fatto concluso la sua stagione e fatto il suo tempo ... rimasero nelle Parrocchie delle Contrade Veneziane alcuni di quei luoghi angusti, asfittici e cadenti riciclati come Patronati in cui i fanciulli continuarono ad assieparsi andandovi più che altro a giocare.
Erano tempi molto diversi dai nostri: i cui alla “Scuola e all’insegnamento dei Santi Principi, Valori e Dottrine” si associava tutto un mondo fatto d’infinite storie, giaculatorie, fervorini, e aneddoti di Santi e Madonne … Ho personalmente fatto a tempo durante la mia prima infanzia nella mia recondita isoletta di Buranoa partecipare anch’io alle ultime edizioni di quelle “manifestazioni Dottrinali”, e conservo ancora gelosamente il Diploma con la Medaglia dorata che mi è stata assegnata “al merito” in San Basso di Venezia da un pomposo Monsignorone del Capitolo dei Canonici di San Marco.   


Tornando ancora sulla Visita Pastorale a San Marcuola, Don Rado spiegò ancora al Patriarca: “I poveri della Contrada sono un quarto dell’intera Parrocchia … Data l’incuria colla quale per tanti anni è stata lasciata questa massa importante nell’ignoranza della Religione, e si è guardata come la feccia Parrocchiale e come il rifiuto della Natura, anzi che come un’importante porzione dell’ovile della Chiesa … L’immoralità non è proporzionata al fermento, che avrebbe potuto portarla ad ulteriori eccessi …”

L’Istituzione Parrocchiale messa a dura prova dai fatti napoleonici del 1808 si trovava a presentare un bilancio economico passivo nonostante le entrate del Fondo Pubblico, le Questue, le offerte raccolte in chiesa durante le Funzioni, e le offerte per i Funerali: la “macchina”della Chiesa-Parrocchia-Contrada non girava più come una volta, e a fatica si riusciva a coprire le spese basilari per il Culto.

Quel che più sorprende però nella lettura della relazione del Patriarca sulla Contrada di San Marcuola (sempre a mio giudizio ovviamente), è la descrizione dello “Status” dei Preti e del Clero di San Marcuola e dintorni. E’ un’analisi tanto cruda ed esplicita quanto quella della lettera iniziale di Don Rado da cui siamo partiti.

Lo stesso Don Rado precisava circa i “suoi” Preti: “In complesso mentre il Popolo dei Veneziani è religiosissimo, il Clero all’incontro è tutt’altro … che divoto: cerimonie storpiate, riti ignorati, uffiziatura non curata, dottrine dai più abbandonate, sono i più piccoli disordini che si veggono … Causa di tale generale depressione Sacerdotale sarebbe la facilità con cui si effettuano le Ordinazioni Sacre, e il carattere Collettizio del Clero.”

La relazione del Patriarca circa i singoli Preti di San Marcuola iniziava col riassumerne innanzitutto la quantità: erano sorprendentemente ben 47 i Sacerdoti che in qualche maniera facevano capo, “ronzavano”, gravitavano o perlomeno si definivano e catalogavano come “ascritti” alla chiesa Veneziana di San Marcuola.Si trattava di un numero elevato di Preti (non dissimile in realtà da quello di altre realtà Veneziane), anche se si precisava che non tutti risiedevano per davvero nelle case, Calli e Corti dei Preti della Contrada, ma vi facevano solo riferimento tornandovi più che spesso come alla “casa d’origine o abase di partenza, quasi fossero una figliolanza andata altrove in trasferta dalla Contrada di San Marcuola” con la quale in qualche maniera continuavano a dipendere, surrogare, interagire … e anche guadagnare.

Tutto questo valeva, ad esempio, per Don Giovanni Bossato di anni 55 ex Canonico di Piove che risultava “ascritto” a San Marcuola ma era domiciliato e risiedeva fuori Diocesi a Bovolenta nel Padovano. C’erano poi: Don Domenico Busato di anni 56, Don Carlo Gaggini di anni 57 e Don Pietro Predenzon di anni 40 che vivevano a San Marcuola ma andavano a risiedere saltuariamente ed esercitare come Preti Altaristi e Mansionariincaricati di celebrare una lunga serie di Messe a pagamento rispettivamente a Maerne di Treviso, a San Vito di Concordia e a Peseggia. Don Giampaolo Cappelli di anni 42, invece, e Don Paolo Giosan di anni 42 erano entrambi Cappellani a Quinto di Treviso; Don Clemente Carnera di anni 36 era Piovano a Toppo di Udine; Don Giovanni Durello di anni 68 era Parroco a Spineda sotto Treviso;  Don Giuseppe Manfrin di anni 53 era Cappellano a Muson di Trevignano sotto Treviso; Don Giuseppe Rizzi di anni 60 era Parroco a Mogliano; Don Giacomo Rosa di anni 48 era Piovano a Sant’Urbano di Monselice presso Padova; Don Paolo Rossi di anni 54 era Parroco a Veternigo di Treviso; Don Antonio Zane di anni 34 era Economo a Santa Maria di Sala di Treviso… Infine c’era anche Don Pietro Cristoforetti che apparteneva alla Diocesi di Trento ma abitava ed era presente in continuità a San Marcuola (era sprovvisto, probabilmente per ignoranza, delle necessarie autorizzazioni da Prete: il Celebret o il Discessitrilasciati dalla Curia di Trento). Alla Visita comunque Don Cristoforetti venne ritenuto: “Prete di condotta irreprensibile”.

Esisteva quindi questa schiera di Preti Pendolari che facevano la spola fra le loro “residenze pastorali di Terraferma”e la loro “Sede Matrice di San Marcuola”.

C’erano poi i Preti che per davvero risiedevano stabilmente nella maxi Contrada allargata di San Marcuola.Oltre all’ormai risaputo e più che citato Piovano Don Rado, c’erano il suo Vicario ossia il Secondo Prete del Capitolo di San Marcuola, che era Don Felice Milani di anni 53;Cooperatori-Confessori cioè Terzo e Quarto Prete del Capitolo di San Marcuola erano: Don Pietro Grigato di anni 49 e Don Pietro Zanatti di anni 50 … Erano costoro ad occuparsi “in primis” della Contrada. Erano cioè i Preti che esercitavano quella specie di “azione e influsso sublimnale” tramite gli strumenti dell’Archivio, delle Consuetudini e dello Schedario a cui accennavamo nei post precedenti ... Anche se dall’ispezione del Patriarca risultò che il famoso Archivio in quel momento era ridotto “in fasci e rovine”, e la maggior parte dei Registri dei Morti, deiBattesimi e dei Matrimoni erano: da regolarizzare perché incompleti e privi d’indicazioni e opportune firme” ... In chiesa inoltre operava “il giovane” Don Filippo Salvaregodi 36 anni che aveva l’incarico di Prete-Sacrista ... Il giudizio del Patriarca sui PretiCooperatori di San Marcuola fu parecchio severo: “Sono tanto di ottima condotta altrettanto di mediocre idoneità” … e fu duro anche nei riguardi di Don Salvarego il Sacrista: “è accusato da alcuni di scarsa diligenza nel suo Ufficio di Sacrista: abbandona anche le persone che si vogliono Comunicare.”

Accanto e insieme a questo gruppetto ristretto dei Preti del Capitolo presenziavano ed erano attivi in Contrada anche: Don Antonio Bariletto di 47 anni che era uno degli undici Confessori di San Marcuola ma fungeva soprattutto da Rettore dell’Abbazia della Misericordia (che era di fatto già chiusa); Don Cesare Strel di anni 60 Rettore del Cimitero Comunale, e altri Preti residenti che esercitavano ufficialmente come Confessori Incaricati della Parrocchia: Don Carlo Gidini di anni 40 ad esempio, e Don Pietro Giannelli di anni 49: “di “ottima condotta e idoneità opportuna”… Costui era anche un distinto studioso di Musica, autore di una “Grammatica ragionata della Musica”, e di un “Dizionario di Musica Sacra e Profana”, e delle “Biografie degli Uomini Illustri della Musica”. Era inoltre considerato: “eloquente predicatore e valente autore di opuscoli spirituali”. Scrisse infatti: “Divoti esercizi da praticarsi tutti i giorni dell’anno in onore dei Sacratissimi Cuori di Gesù e Maria”, e: “Regole Cristiane per ben vivere in ogni stato con alcuni affetti al Santissimo Sacramento”, “Dialogo tra un Missionario e un Peccatore sul modo di ben confessarsi, comunicarsi ed ascoltare la Santa Messa”… e fu pure autore di un opuscolo sull’isola di San Tommaso dei Borgnoni di Torcello pubblicato a Venezia nel 1812, e di un altro inedito su Torcello … Un uomo-Prete estroso insomma, ma famoso soprattutto in Contrada “per le sue dicerie e le sue numerose mormorazioni”.

Qualche altro Prete che abitava poco distante dalla chiesa di San Marcuola era disposto a celebrarvi saltuariamente qualche Messetta (In San Marcuola si celebravano solitamente circa 1.583 Messe Perpetue Annuali di cui 730 erano di Pubblica Sovvenzione e 503 Messe Avventizie.), altre volte partecipavano alla recita dell’Ufficio inCoro, o a qualche Processione o Funerale… a pagamento s’intende ovviamente. Erano: Don Antonio Beggio di anni 61; Don Valentino Gusato di anni 54; Don Antonio Milani di anni 66, e Don Giorgio Tornielli di anni 51.

Don Rado relazionava ancora al Patriarca: Ogni domenica e nei giorni Festivi i Maestri impartiscono l’Istruzione, mentre i Preti provvedevano a confessàr e a salìr sul pulpito dove tengono conciòni e prediche a volte anche dialogate con i presenti, dando soprattutto direttive esistenziali a tutti quelli della Contrada ... Un tempo si cantava la Messa anche nei giorni feriali, la si è sospesa per scarsezza di Religiosi e molteplicità d’impieghi …”

Alcuni di quei uomini-Preti aggregati alla Contrada erano giovani o giovanissimi: Don Alessandro Piegadi aveva solo 27 anni; Don Federico Giannelli ne aveva 35; Don Marcantonio Serafini aveva 37 anni, e Don Francesco Molin ne contava 48.

Altri Preti erano, invece, anziani come: Don Valentino Bedin che aveva 73 anni; e Don Valentino Raspolo che ne aveva 70. Qualche volta c’era qualche Prete un po’ “còtto” come Don Carlo Panà di anni 76: “che è vecchio cadente …e non ha mai saputo leggere, né è mai stato capace di cantare una Messa … Ha appigionato una casipola a donne equivoche.”

Alcuni Preti erano impegnati e dediti all’Insegnamento nella Pubblica Scuola di San Marcuola: Don Annibale Bozzoli di anni 46 oltre ad essere Confessore in San Marcuola era anche Segretario dell’Ispettorato Generale delle Scuole Elementari tenute in Contrada; Don Matteo Guadagnin di anni 37 era Pubblico Maestro delle Elementari Minoricome Don Andrea Casatutta di anni 38, e Don Giovanni Antonio Zampieri di anni 50, mentre Don Angelo Rizzi di anni 28 era Insegnante nel Imperial Regio Liceo; e Don Salvatore Dal Negro di anni 55 era Professore e Insegnante di Fisica Sperimentale all’Università di Padova.

Altri Preti ancora pur risiedendo e presenziando in Contrada di San Marcuola coprivano incarichi altrove in giro per Venezia: Don Pietro Pianton di anni 46 era Confessore ma anche Canonico di Torcello e Imperial Regio Censore; Don Giovanni Piloni di 66 anni era Prefetto (cioè Direttore) del Ginnasio di San Giovanni in Laterano … In Contrada risiedevano diversi Sacerdoti che in realtà erano ex Religiosi-Monaci-Frati cacciati via dai loro Conventi e Monasteri durante le epurazioni e le soppressioni napoleoniche realizzate a Venezia: Don Angelo Palazzi era un ex Frate Minore Francescano Riformato: “anch’esso segnalato per i pettegolezzi e le mormorazioni soprattutto fuori del Confessionario a cui serve … Come e il perché lo sa Dio … Di Chiesa non vuol saperne … è imbarazzato da traffici, da litigi, e logora le scale del Foro, ma non tocca gli stalli del Coro…”; Don Pasquale Cressoni di anni 43 era un ex Padre Carmelitano Scalzo; Don Luigi Cimarosti era un ex Frate Cappuccino; Don Luigi Scattagliadi anni 70 era un ex Monaco Camaldolese.


Ad essere “tasto dolens” dell’intera situazione della maxiContrada era però il Cavaliere Prè Giovanni Guarana di anni 51 Rettore della Succursale Santa Fosca … Si era dovuto scrivere alla Curiauna lettera che denunciava un suo abuso amministrativo arbitrario con una spesa di lire 2.336 non opportunamente giustificata: Don Guarana è un vero e proprio caso di malcostume clericale.”… Il giudizio della Visita Patriarcale su di lui fu molto pesante: “Abusa delle insegne Canonicali di Torcello … si fa ridicolo per la Parrocchia …Veste talora anche in modo secolaresco … Crea un muro di divisione tra chiesa Parrocchiale e Succursale sparlando del Parroco e dei Fabbriceri … E’ una lingua d’Inferno: dice parole ingiuriose e bestemmia …”

Il Piovano Rado fu severissimo nei riguardi di Don Guarana davanti al Patriarca: “E’ scandaloso nel vestire … violento di carattere, fa arbitri nell’amministrazione … è sfrontato nel suo bestemmiare continuamente … è destro in commercio, atto a far denaro per ogni via ... Andrebbe ammonito giuridicamente.”

Mamma mia che brutti giudizi ! … Quel Don Gaurana sembrava proprio un vero Prete bandito ottocentesco ! … Per il buon andamento di San Marcuola Don Rado propose al Patriarca di proibire ogni Funzione nella Succursale Santa Fosca, eccetto Funerali, Battesimi ed Esequiali, e chiese di affidare l’amministrazione alla Fabbriceria di San Marcuola togliendola a Don Guarana.

Nella Succursale di Santa Fosca “dove si celebravano tutte le Novene della Madonna, si predicava il Quaresimale, e c’era una delle due sezioni femminili di 180 fanciulle della Dottrina Cristiana “in cui le fanciulle venivano educate alla Fede da 40 Pie Donne Maestre Delegate” (l’altra sezione aveva sede nell’Oratorio dei Morti di San Marcuola), c’era come Confessore anche Don Giovanni Palazzi di anni 45 che era anche Cappellano del Re delle due Sicilie (diverrà Piovano di San Marcuola nel 1832).

Infine era Confessore alla Maddalena Don Antonio Ciscotto di anni 70.


Di molti di questi Preti la Storia ha lasciato detto quasi niente, a volte soltanto un nome o un incarico: sono stati personaggi fluttuati via passando e presenziando e vivendo fra le pieghe e gli eventi della maxiContrada Veneziana senza lasciare grandi tracce. Il Patriarca comunque sottolineò nella sua relazione che esisteva una vistosa quanto importante conflittualità in quella folla di Preti residenti in San Marcuola: “… manca l’armonia tra il Clero per il permanere dei tre Capitoli nelle rispettive chiese, e l’autonomia perseguita dalla Succursale che è fiaccola di scisma perpetuo, vero flagello dell’intera Parrocchia …”

Nell’insieme i Preti di San Marcuola non hanno fatto una gran bella figura alla Visita Ispettiva del Patriarca Pirker ... Forse hanno meglio figurato le persone Veneziane qualsiasi che abitavano nella Contrada.

Continua nella sesta parte.

“Clamoroso furto in Contrada di San Marcuola nell’aprile 1815.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 181.

“Clamoroso furto in Contrada di San Marcuola nell’aprile 1815.”

La maxiContrada allargata di San Marcuola non si riduceva ad essere solo operoso associazionismo d’Arte e Mestiere, e quell’intenso “sentimento casa-chiesa”onnipresente dettato di continuo da Preti-Frati e Muneghe che scandivano i principi e le regole della vita di tutti … Quello che prevaleva in realtà sul palcoscenico della Contrada era piuttosto la concretezza della vita spicciola qualsiasi delle persone comuni: uomini e donne col loro destino, cioè Veneziani che stavano, abitavano, lavoravano e realizzavano fra Calli, Ponti, Fondamente e Campielli e tutto il resto ... La Storia a volte è fatta anche di “tante briciole” oltre che di eventi eclatanti.

Veniamo però subito al fatto in questione: uno dei tanti capitati in Contrada … Un episodio che non mancò di suscitare un bel clamore e incuriosire, interessare, e “saltare di bocca in bocca” per diversi giorni di tutti quelli di San Marcuola e Cannaregio.

Quasi come nelle fiabe … C’era un certo Mercante Eusebio Cartolani quondam Nicolò oriundo Trentino, che abitava in fondo alla Calle dello Squeroin Contrada di San Marciliàn sulla Fondamenta degli Ormesini giusto dove col Ponte finiva e iniziava il Ghetto e la Contrada di San Marcuola. Il nome non altisonante del Mercante non ci confonda: era un uomo che sapeva il fatto suo e conduceva con arguzia e con un certo successo i suoi affari: “… sono da 30 anni circa domiciliato in questa città, e in questa casa abitante, per cui pago d’affitto annualmente 120 ducati. Sono Cristiano Cattolico d’anni 54 ... Presso la città di Trento ho alcune poche terre di mia proprietà. Qui fo il negoziante di pelli e di altri generi di commercio, essendo la mia Dita assai nota in questa Piazza ... Sono ammogliato, ho un figlio d’anni 22 che presentemente si trova a Milano per affari, e una figlia d’anni 17, nubili, che meco convivono oltre alla moglie ... Ho poi al mio servigio da vari anni Antonio Bila Trentino e Maddalena Motta Veneziana, persone fidate e onoratissime a tutte prove, che abitano in questa mia casa …”

Il 26 aprile 1815 costui mandò il suo “Giovane de Mezzà”: Vicenzo Sartori a ritirare una considerevole somma di denaro nel Ghetto di Venezia presso il negoziante Ebreo Jacob Amorino col quale era in affari anche per un credito di varie pezze di tela di Germania. Samuel Grinaglia cassiere del negoziante (Nella deposizione al processo si descrisse: “Sono figlio del vivente Marco, Ebreo di Religione, nativo Veneziano d’anni 32, abitante in Ghetto Novissimo al n 538 … Sono Cassiere di Amorino che mi stipendia … e fo anch’io qualche negozietto per mio conto mantenendo tra una cosa e l’altra la mia famiglia consistente nella moglie e tre figli.”) contò e consegnò nelle mani del Sartori: “547 ducati d’argento, 310 mezzi ducati, e 18 sacchetti in tela gialla di soldoni mettendo il tutto in un saccone di tela bianca.”… Una bella sommetta, insomma, un piccolo tesoretto.

Alla consegna del denaro era presente lo stesso Ser Amorino che ricevette regolare ricevuta di tutto da parte del “segretario” del Mercante Cartolani.

Fatto questo, lo stesso Vicenzo Sartori(“uomo egualmente onorato” certificò il Mercante suo datore di lavoro e denunziante il furto)aiutato da un facchino del negoziante Ebreo portò la pesante somma fin sulla Riva del Ghetto Novo, e chiamò un barcarolo qualsiasi in servizio in quel momento sulla riva per trasportarla fino alla casa del suo padrone … Il trasporto venne fatto subito senza problemi, e il barcarolo portò sulle spalle la somma fin su: “nel mezà” del Mercante Cartolani depositando e chiudendo il sacco dentro a “un burò”(uno scrittoio) posto fra due finestre ... Ricevette come premio per la sua fatica una mancia di 30 soldi da parte del Mercante, e se ne andò per i fatti suoi.


Durante la notte seguente tre uomini in barca … tre ombre anonime … attraccarono nella penombra notturna alla Riva nei pressi di Calle dello Squero: uno rimase seduto in barca a vigilare pronto a fischiare in caso di pericolo, mentre gli altri due scesi a terra si diressero alla porta di strada della casa del Mercante Cartolani.

Estratto da una borsa “un succhio da fabbro” (una trivella, una grossa “verìgola”)i due forarono più volte il portone fino a produrre un buco (i Periti Giuseppe Vicenzino Fabbro e Domenico Marcol Legnaiolo entrambi di San Marcilian chiamati a investigare sul posto insieme ad Antonio Bergamo Fabbro e Vicenzo Cordella Rigattiere: “tutte persone cognite e probe di questa Contrada”, precisarono: “una rotturadi figura ovale nell’imposta stessa in altezza da terra d’un braccio e mezzo circa sopra il chiavistello della maggior lunghezza d’una quarta”) largo tanto da farci passare una mano ... Infilataci poi dentro un braccio, fecero scorrere il catenaccio interno aprendo la porta.

Entrati quindi nel portico terreno della casa e salite le scale interne di pochi gradini, gli stessi due sollevarono “dai gangheri”(cardini) un portoncino chiuso facendo leva con un pesante scalpello … e aperta l’ulteriore“porta dei Mezzadi chiusa col solo saliscèndolo”penetrarono nell’ufficio-studio del Mercante, trovando al buio il burò collocato tra due finestre … Subito: “ne scassinarono la ribalta sforzandola con tre marcatissime impressioni larghe circa un dito e mezzo” … prelevarono il saccone con tutto il denaro, e già che c’erano anche altri oggetti di un certo valor trovati lì conservati … e udito latrare improvvisamente un cane che credettero fosse dentro alla casa … si diedero a fuga precipitosamente perdendo stradafacendo un cappello: “nero tondo di panno fino quasi nuovo foderato di zendalo verde con un marchio della Fabbrica stampato ed incollato in fondo portante il segno “LD+” del Cappellaio di San Lio … che me l’ha venduto già quindici giorni per lire 22”.

Sul posto rimasero abbandonati anche alcuni attrezzi: “uno scalpello di ferro lungo tre quarti di braccio, e un coltello di lama lunga otto dita traversi, larga due e mezzo, con manico d’osso nero, con veretta d’ottone presso la lama.”… I due fuggitivi poi salirono in fretta sulla barca che li stava aspettando, e indisturbati vogarono via per il Rio della Sensa scomparendo dentro la notte Veneziana.


Nessuno reagì e udì niente … Il Mercante raccontò il giorno seguente: “… i luoghi terreni della casa mia e il primo piano superiore de’ mezzàdi non sono abitati, stando tutta la famiglia a dormire negli appartamenti sovrapposti … Tutta la famiglia mia si ritirò a dormire verso la mezza notte, essendomi poco avanti io partito dal mezzà dov’era stato a scrivere.”

Tutto era sembrato filare via liscio per i tre ladri … che si erano portati in barca fino a un magazzino di San Giobbe di proprietà di un fratello di uno dei malviventi, e lì si erano spartiti il bottino dando a uno dei tre “una parte superiore” perché era stato l’ideatore del furto e quello che aveva messo a disposizione il battello.

Si fece poi l’alba del giorno seguente, quando ciascuno dei tre provò a tornare alle proprie solite occupazioni e in giro per Venezia fingendo noncuranza, mentre Silvestro Bertoldi detto Meo Battellante (“Sono figlio del defunto Lodovico, Veneziano, di Religione Cristiano, di anni 40 ... Abito in Campiello dei Trevisani a San Marcilian, ho moglie e un figlio d’anni 15, e fo il mestiere del battellante avendo un battello mio proprio con cui lavoro, essendo di posto ai Servi)fu il primo ad accorgersi del furto con scasso avvertendo la famiglia del Cartolani: “ … sul far del giorno di venerdì prossimo passato io era impegnato quella mattina di andare a Mestre a vogar nella barca di Ignazio Secco di San Giobbe, il quale dovea capitare nel Rio della Sensa alla Riva di certi Signori Ortari.”

Il Mercante allora denunciò prontamente il furto alla Serenissima, cioè a Vincenzo Goito Capo Contrada di San Marcilian: “Questa mattina (27 aprile 1815) sul far del giorno fu suonato il campanello  della mia porta di casa da un tal Silvestro Meo battellante di posto a San Marcilian, il quale avvertì il mio servitore che accorse alla finestra sopra la Calle dello Squero, che la porta della mia casa era aperta, che vi si scorgeva fatta una rottura, e che ciò indicava manifestatamente esserci stati i ladri ... A quell’avviso discese tosto il mio servitore, ed assicuratosi dai segni che la Giustizia stessa ebbe motivo di rilevare, ch’era appunto succeduta una disgrazia, cominciò a gridar per la casa come un disperato, e tutta la Famiglia s’alzò dal letto, e fu meco testimonio del furto che purtroppo soffersi la scorsa notte ...”

Il Capo Contrada non perse tempo, e informò immediatamente gli organi superiori della Serenissima: “Per debito del mio Uffizio io sottoscritto Capo Contrada di San Marcilian denunzio qualmente la scorsa notte s’introdussero i ladri con la rottura della porta di strada nella casa del Mercante Ser Eusebio  Cartolani quondam Nicolò posta in Calle dello Squero di questa Contrada al numero 3467; indi levata la porta della scala, e saliti in un Mezzà in primo piano, apersero a forza con uno scalpello un burò, e rubarono: 547 ducati d’argento effettivi, 310 mezzi ducati, 18 sacchetti di soldoni, un paio di fibbie da scarpe d’argento, un paio di fibbie piccole d’argento da centurini, un cordòn d’oro spagnoletto da collo del peso di caratti 38 ...”

La Giustizia Veneziana avviò altrettanto immediatamente l’indagine inviando il Giudizio Criminale a caccia dei colpevoli … “e fortunatamente spuntò fuori uno sperato testimone del notturno furto con scasso.” … Si trattava di Batista Federici soprannominato Malacarne: un barcarolo che abitava giusto in una caxetta prospicente sulla stessa riva di Calle dello Squero lontana pochi passi dalla casa del Mercante Cartolani: “… sono Veneziano, Cattolico, d’anni 38, abita in Calle dello Squero a San Marcilian presso la riva del Rio della Sensa sopra il quale ho diverse finestre della casa … Fo il mestiere del barcaruolo e servo presentemente l’Ebreo Polacco in Ghetto … Ho moglie da dieci anni circa, e due figli maschi: e tengo una mia sorella nubile d’anno venticinque … L’altra sera ho incontrato li battellanti Vicenzo Merlo detto Sabào e Antonio Frizza detto Canola … Salutai il Sabào dicendogli: “Zenso caro !” … ed egli mi corrispose: “Zenso !” … Essi proseguirono sulla Fondamenta di San Marcilian e io andai a casa a cenare colla mia famiglia ... Circa a mezza notte tutti i miei andarono a riposo. Si diede poi la combinazione che mia moglie fu soprappresa da dolori di ventre, per il che chiamai in sua assistenza mia sorella Anna; e però ci convenne stare svegliati per quasi tre ore sinchè i dolori fossero cessati ... Poteva essere circa un’ora dopo la mezza notte quando sentii un po’ di romore alla riva della Calle contigua alla mia casa, e qualche parola non ben intesa da cui compresi che v’era una barca alla stessa riva ... Mi venne curiosità di vedere, e però discesi dal letto, e nella cucina ch’è a pian terreno e che ha tre balconi, due verso il rio e uno sopra la riva: apersi piano quest’ultimo e col favore d’un po’ di chiaro di luna vidi un battello dentro il quale stava seduto a puppa un uomo che non conobbi, e altri due in piedi alla riva che parlarono brevemente sottovoce a quell’uomo in modo che non potei capire, avendo solamente sentito che uno di quelli disse la parola: “si” ... Poi staccatisi dalla riva questi due nel passar dinanzi alla finestra dov’io era, in distanza d’un braccio e mezzo circa, li riconobbi senza equivoco per li due battellanti che ho sopra indicato cioè Vicenza Merlo Sabào e Antonio Frizza Canola che s’internarono nella calle … Ritornai nella camera superiore dove la mia consorte continuava coì suoi dolori; e tre quarti d’ora dopo parendomi di sentir qualche botta alla riva, discesi nuovamente in fretta, e andato al pertugio della finestra rividi quell’uomo seduto al solito luogo in battello … Da lì a quattro credi ritornarono infatti il Sabào e il Frizza, e vidi che questo teneva sotto il braccio sinistro un fagotto non molto grande, ed era senza cappello in testa, e diede il fagotto all’uomo del battello: che tutti due rimontarono, e tosto il battello s’allargò dalla riva, e si diresse verso Cannaregio val dire verso la parte di Sant’Alvise o San Girolamo.”


Testimonianza illuminante … che fu più che sufficiente … I “Birri della Giustizia”partirono subito per metter in atto una “Visita Giudiziale alle Case degl’incolpati”… Circondarono le case di Vincenzo Merlo detto Sabào, di Antonio Frizza detto Canola e di un loro conoscente: Agostino Verona: “Fatte allora accendere due torce a vento il Giudizio Criminale fece prima irruzione atterrando la porta e catturando il Sabào nel primo piano di casa sòa mentre cercava di calarsi giù in camicia da notte da una finestra posteriore verso un orto … Salendo tre scale della casa, invece, sulla Fondamenta di San Girolamo al numero 3468 abitata dal battellante Antonio Frizza, lo catturarono standosene egli ammutolito e mostrandosi avvilito senza opporre alcuna resistenza ... Il Capo del Satellizio Giudiziario provvide inoltre ad arrestare entrambi, e a perquisire attentamente sia gli imputati che ogni angolo e ripostiglio delle relative case … Contemporaneamente si provvide anche a circondare un’abitazione ai piedi del Ponte di San Giobbe dalla parte del Ghetto dove allocava in un letto a fitto un certo Agostino Verona lavorante Fabbro, che però non venne trovato … Se ne perquisì la stanza, e si andò a controllare anche a casa della sua moròsa di nome Vicenza Bergamo figlia d’un battellante a San Giobbe abitante in Calle del Figo al numero 739 (in Contrada dei Santi Apostoli) ... Nella casa consistente in due stanze terrene una delle quali serviva di cucina, si trovarono due donne: Anna moglie di Batista Bergamo, e la figlia Vicenza di anni 17, e non si rinvenne nullaltro.”


Spulciando gli Atti dell’indagine e del processo si può conoscere qualche altra notizia sul terzo degli indagati:“Agostino Verona Lavorante Fabbro in Fondamenta degli Ormesini è un giovine d’anni 22 circa, di statura mediocre, bruno di faccia, di viso tondo, collo lungo, naso schiacciato, con un neo peloso sul mento a parte destra, ha i capelli neri e lunghi con coda.”

Sembra quasi una foto segnaletica messa in mano alla Polizia e Carabinieri di oggi: “Dalla Relazione del Capo del Satellizio risultò di non aver potuto arrestarlo per essere già fuggito la mattina da Venezia per il Friuli imbarcandosi in una peotta diretta alla Fossetta … La sola cosa che si riuscì a sapere di lui da notizie di confidenti fu che aveva uno zio materno a Corbolòn sotto Motta del Friuli del quale tante volte aveva parlato ... Contro di lui si spiccò un Ordine d’arresto spedendo Requisitoriali al Capitano Provinciale del Friuli, ed al Giudizio Criminale della Motta … Inoltre si decretò il sequestro giudiziario dei due battelli dei detenuti ponendoli sotto custodia di Michele Tini Capo Contrada di San Marcuola.”


Sia presso la casa del Sabào, che presso quella del Frizza, che nella camera dell’assente Verona, si riuscì a recuperare gran parte della refurtiva:“… 4 ducati d’argento e due mezzi ducati furono trovati nella saccoccia della giacchetta di tela del Sabào, di cui fu rivestito colle braghesse corrispondenti … Dentro al pagliaccio del letto del Frizza si rinvennero in un sacchetto di tela grossa bianchiccia: 178 ducati d’argento, 100 mezzi ducati, e 6 sacchetti di soldoni in tela gialla … e sopra un tavolino nella stessa camera uno scalpello di ferro lungo mezzo braccio che il Frizza disse appartenergli … Nella stanza da letto del Verona affittatagli da Anna Visentin si aprì con un fabbro una cassetta chiusa a chiave che conteneva parte del denaro sottratto al Mercante Cartolani e alcuni cenci inconcludenti lasciati sul posto … Mancarono all’appello dell’intera refurtiva: 79 ducati per lire 632, e 48 mezzi ducati per lire 192 ossia un totale di lire 824 … Alla fine si posero i sigilli alle stanze, si protocollò la visita, e il Guardiano Capo Custode prese in consegna Vincezo Merlo detto Sabào e Antonio Frizza detto Canola richiudendoli rispettivamente nella prigione n° 4 e prigione n° 11 … Si provvide poi ad allestire subito il processo (“per direttissima”) a carico dei tre: Vincenzo Merlo detto Sabào, Antonio Frizza detto Canola e Agostino Verona: scomparso.”

Curiosissime le descrizioni dei tre individui messe agli Atti “secondo il Giudizio Criminale e in adempimento del paragrafo 373 del Codice Penale”: “Vincenzo Merlo detto Sabào è uomo di statura bassa, di corporatura scarna, viso tondo, naso aquilino, bocca grande, occhi mero e vivace, ciglia arcuate e vellose, mento rilevato, bianco di carnagione, di capelli neri alquanto ricci e tagliati all’uso dei barcaroli, barba simile alquanto folta e rasa con cicatrice che apparisce di taglio sul mento a parte sinistra della lunghezza di due dita traverse. Vestito con giacchetta e calzoni lunghi alla marinaresca, calze di filo bianche, scarpe di vacchetta allacciate di cordella nera, con berretta di cendalo nero in mano … Essere il Merlo di complessione robusta e perfetta per quanto apparve, dimostrossi riguardo al suo carattere morale impetuoso e collerico, di spirito fervido, ma vario, e incoerente nel suo discorso, disordinato e irriflessivo …”

Presentandosi al Processo da carcerato qualche giorno dopo, Vincenzo Merlo Sabàodichiarerà: “Sono figlio del defunto Antonio di anni 24 compiuti, son Veneziano nato nella Contrada di San Pietro di Castello ed abitante in questa città in Contrada di San Marcuola nella Calle delle Monache di Sant’Alvise in un appartamento superiore di due camere che mi vengono subafittate per ducati 15 annui da Vicenzo Arquino che sta sotto di me, e che ha tutta la casa in affitto ... Fui in prigione per due anni essendo altrettanto tempo che ne sono uscito, a motivo d’una impostura datami da un malevolo, d’aver tolto un paro di manini d’oro a una certa Signora che sta a San Cancian in Calle Stella ... S’immagini lei s’io son capace di queste malegrazie !”

Si capisce subito che Sabào era un uomo “che la sapeva lunga”, smaliziato e avveduto. Si sente che era già stato in prigione in precedenza, e che sapeva bene come funzionavano le cose in quelle circostanze: “Oh … la Giustizia s’inganna se mi crede capace di queste baronate … Non è vero niente, e nessuno potrà provarmi ch’io sia colpevole di questo fatto: insomma son innocente.”… Dai verbali si nota che nega ogni addebito: “Queste monete le aveva ritrovate dieci giorni avanti ai Bari presso le case nuove in un gatolo, in un dopo pranzo per accidente sulla strada, e non le ho rubate a nessuno.”… Non è furbo però il Sabào, perché si contraddice: in un primo interrogatorio aveva affermato che quelle monete: “… le aveva guadagnate da tanto tempo, e che voleva conservarle per memoria del Governo vecchio”.

Interrogato, nega anche d’essersi recato col Frizza e il Verona due ore circa dopo la mezzanotte del giovedì nel magazzino preso in affitto da suo fratello portandovi la refurtiva e dividendosi il bottino: “Chi mai ha detto queste panzane alla Giustizia ? … Non è vero niente ch’io vi sia stato … Non mi reco lì da almeno 15 giorni … Ci tengo lì qualche roba in una cassa … Io era a letto, a letto … a letto ... La Giustizia è mal informata: chi mai le ha detto queste fanfaluche ?”

Quando gli vengono messi davanti i soldi della refurtiva trovata sotto al letto del Frizza, sequestrata nel magazzino e nella cassetta della stanza dove dormiva il Verona: “Il Sabào diventò tutto rosso in faccia, ed affettando franchezza rispose a mezza voce: “Ben sarà, ma io non so niente ... Che Frizza risponda lui: in questa io non c’entro … Se Frizza è reo ha fatto benissimo a confessare: ma non per questo egli doveva imposturarmi ... Egli ha fatto aria da me lontano, ma non avrà cuore di mantenermi le cose in faccia … Se le sosterà io lo stimo assai bravo … Se questa è roba del Verona, bisogna dimandarne a lui: io non so niente.”


Chiamato a deporre il battellante che per primo scoprì il furto con scasso, testimoniò circa il Sabào e il Frizza: “Conosco moltissimo Vicenzo Sabào ed Antonio Frizza perché fanno essi pure li batellanti … Benchè non abbia con loro la minima relazione, spesse volte mi trovai con essi nel magazzino di San Felice (rivendita di vino) a bere … Moltissima amicizia passava tra essi e lo deduco dal vederli quasi sempre in compagnia sia per istrada, sia a mangiare nel magazzino … Un tal Verona giovine del Fabbro sulla Fondamenta degli Ormesini lo conosco, perché appunto lo vedeva in unione al Sabào ed al Frezza nel magazzino, e mi pareva che fosse egualmente amico loro … L’ultima volta che lo vidi con gli altri due fu la sera del giovedì prossimo scorso ad una tavola separata dal magazzino suddetto. Io entrai in quel luogo dopo l’Avemaria, e ci stessi sin le ore tre Italiane, ed essi vi erano ancora là che bevevano, e discorrevano insieme senza che potessi sentirli … Il Sabào essendo stato altra volta in prigione, e condannato per ladro, fu sempre di pessimo concetto in questa materia ... Del Frizza non ho mai sentito dir male, e così neppure del Verona ... Del loro carattere poi non sono informato ...”

Al Processo inoltre spuntarono fuori e si racimolarono altre accuse e altri particolari e dettagli contro Sabào e Frizza che ne confermavano la reità. Venne convocato, ad esempio, e si presentò prontamente: Mario fratello del Sabào“uomo fatto di tutt’altra pasta … E’ battelliere, e va a vogar anche nelle barche di Mestre ... E’ miserabile ma mi pare onorato non avendo mai sentito dir male di lui.”

Il giorno seguente la notte del furto aveva ricevuto stranamente dal Sabào un’insolita generosa donazione: “… sono Mario Fratello dell’arrestato Merlo Sabào ... figlio del defunto Antonio, mia madre è pure morta … Sono Veneto d’anni 26, Cattolico, ammogliato da 5 anni con Lodovica Castelli Veneziana, e non ho figli ... abito in Sottoportico Scuro a San Giobbe in una casa di cui non mi ricordo il numero della porta, che consiste in un magazzino terreno e in due camere nel primo piano superiore. Fo il mestiere del battellante avendo un battello mio proprio con cui lavoro di posto a Santi Apostoli … Non entro niente negli affari di mio fratello, cioè non ho parte nelle cose che lo rendono responsabile di Giustizia … Ero amico come lo son tuttavia di mio fratello, ma lo vedevo di raro essendo egli di posto al Ghetto ed io a Santi Apostoli, l’un dall’altro lontano ... Sono circa due mesi che avendo io un magazzino terreno in casa mia che m’era superfluo, egli me lo dimandò in affitto per lire 20 all’anno, senza dirmi la ragione per cui volesse adoperarlo; ed io vi acconsentii volentieri. Egli si fece fare la chiave della porta, e di quella della strada onde poter entrarvi liberamente senza disturbare la mia famiglia ... Nella notte del giovedì prossimo scorso alle ore due dopo la mezza notte stando in letto sentii ad aprirsi la mia porta di casa, poi quella del magazzino suddetto. M’immaginai che fosse mio fratello, ma non sapeva pensare cosa a quell’ora insolita fosse venuto a fare ... Sentii anche qualche parola, e compresi ch’erano in più d’uno con mio fratello ... Io stetti quieto nel mio letto, e la mattina dopo verso le ore 10 lo stesso mio fratello venne a Santi Apostoli al Sottoportico presso al magazzino dove mi trovavo al mio posto, e prendendomi in disparte mi domandò se aveva soldi ... Gli risposi che non ne aveva uno, come era vero ... Ed egli estraendosi di saccoccia mi mise in mano sei ducati d’argento dicendomi: “Tiò che si marendarà de gusto” ... Gli dimandai come avesse quelle monete che sono rare presentemente, e mi rispose: “Tira de longo caro ti, e non badar, magna e tasi.” … E così dicendo seguitò per la Calle del Magazzino che può condurre verso Piazza non sapendo dove andasse … Sospettai che quei danari li avesse rubati e ch’egli fosse colpevole del furto del quale intesi discorrere dalla voce pubblica quella stessa mattina … Colgo l’occasione per iscaricare la mia coscienza e per presentare li sei ducati d’argento Veneti ch’egli mi ha donato …” e li presentò involti in una carta straccia sottolinea e chiosa il verbale.

Vincenzo Merlo Sabào sollecitato dalle dichiarazioni del fratello rispose subito: “Io non diedi cos’alcuna a mio fratello Mario … Se mio fratello dice questo è un buffone, non è vero niente … Di queste cose me ne rido; io non capisco niente: stimo che la Giustizia crede queste chiacchiere…”

Sempre lo stesso Sabào provò anche a darsi un alibi per la notte del furto e per il giorno seguente giustificandosi col dire che era stato in quella sera-notte a casa della sua Comare, e il giorno seguente a lavorare col battellante Silvestro Bubo detto Stanca.

Gli inquirenti provvidero il 3 maggio seguente a convocare entrambi: “Esame di Angela Sprea Fracasso: “… Sono figlia quondam Melchiore Sprea moglie da 5 anni di Pietro Fracasso barcarolo, abitante con mio marito in Calle della Bissa sotto San Bartolamio, Cristiana Cattolica di anni 24. Ho due figli piccoli maschi e vivo col lavoro di mio marito ... Vincenzo Merlo detto Sabào è mio Compare avendomi tenuto già due anni alla fonte battesimale il secondo de’ mei figlioli di nome Vincenzo … Sarà più d’un mese che venne egli una sera a cercare di mio marito a casa mia, ci stette fermato un quarto d’ora e partì ... D’allora in poi non l’ho più veduto …”

La donna firmò con una croce la deposizione davanti a due Assessori e due Consiglieri che fungevano da testimoni.
“Sono il battellante Silvestro Bubo detto Stanca quondam Silvestro, Veneziano, Cattolico d’anni 38, fo il mestiere di battellante avendo un battello in mia proprietà con cui lavoro di posto ai Santi Apostoli ... Abito a San Felice in Calle del Forno al numero 4388, son ammogliato da 12 anni circa e non ho figli … Lavoro insieme col fratello di Sabào, e sono due anni circa che lavorai con lui una volta nel Canal della Giudecca a trasportar barili di sardelle da un bastimento a un magazzino di San Trovaso. E questa fu l’unica volta che fui in sua compagnia … Venerdì ultimo scorso lavorai a trasportar dieci carra di legne col mio battello dalla Dogana ai Santi Apostoli per un signore che mi diede tre lire …” e si sottoscrisse pure lui alla fine della deposizione.

Gli alibi del Sabào risultarono quindi essere inconsistenti, cioè Sabào aggiunse ulteriori falsità alle sue negazioni: la Comare non lo vedeva da più di un mese, e il collega barcarolo da più di due anni.

Si chiamò a testimoniare anche Alberto Pena figlio del defunto Achille: “Sono Veneziano, Cattolico d’anni 53, conduttore del Bastione o Magazzino da Vino a San Felice, ammogliato e con due figli che attendono essi pure alle cose mie …” L’Oste oltre a confermare di conoscere i tre imputati, precisò che erano stati da lui sia il giovedì che il venerdì: “… quando mangiarono pesce per 12 lire in punto dando sei pezze di nuovo stampo dette Provinciali da lire 2 l’una, e che pagò insolitamente per tutti il Sabào.”

Si convocò a processo perfino la moglie dello stesso Sabào: Vicenza figlia del defunto Marco Malatesta, Veneta Cristiana di anni 21, da tre anni moglie di Vicenzo Merlo detto Sabào ... Si rifiutò d’essere esaminata apponendo un segno di croce sulle carte davanti a testimoni, e si limitò a dire: “Ho un piccolo figlio d’anni due … Io non voglio esaminarmi sopra mio marito. Egli è stato messo a torto in prigione, ed è uomo onorato ...”

Il Barcarolo Antonio Frizza raccontò, invece: “… la moglie del Merlo l’aveva pregato per Amor di Dio di non fare baronate, se non voleva vedere l’esterminio delle sue creature, ma ch’egli le dimenò un pugno per farla tacere, dicendole: “Cogiòna ! … Deboto saremo ricchi”
Vincenzo Merlo Sabào non perse l’occasione di tacere, e saltò su subito: “Io rispondo che costui fa la commedia, e se la fa e se la dice a sua posta, e s’inventa a capriccio delle cose ... Insomma non è vero niente, e il Frizza è un biricchino ...”


Fra le tante persone che si presentarono al processo, si ascoltò e interrogò di nuovo: Vincenzo Sartori (“impiegato fin da 8 anni circa come Scritturale o Agente, o Giovine di Mezzà del negoziante Sior Eusebio Cartolani figlio del vivente Andrea, Veneziano, Cattolico, d’anni 32 ... Abito nella Corte del Basegò a Santa Margherita … Tengo la scrittura doppia del suo negoziato; scrivo e registro le lettere di corrispondenza, e vado per suo conto spesse volte a riscuotere o a pagar del denaro … Vivo e mantengo la mia famiglia composta da moglie e di due figlioli col salario che mi da il Cartolani [40 fiorini al mese, e gl’incerti, colle mance ch’esso mi da fra l’anno, saranno poco più poco meno di 10 fiorini al mese] e con qualche aggiunta di utilità incerte che derivano da tale occupazione non avendo alcun altra rendita ... Mio padre vive da me separato.) Sartori non mancò di accusare a sua volta Vincenzo Merlo detto Sabào: “Il battellante Vincenzo Merlo Sabào era alle Rive del Ghetto Novo, e abita in Calle delle Monache a Sant’Alvise … E’ di condizione miserabile … Per quanto mi è noto è vizioso, ed abbia fatto capo con qualche altro della sua indole per commetter il furto … Aggiungo però quest’aneddoto, venendomi per avventura qualche sospetto nella mente, che il battellante il quale sapeva dov’era stato riposto il danaro, possa essere reo o complice in qualche modo del furto ... Ora mi sovviene, che portato appena il sacco del danaro in battello, un altro battellante ch’era sulla riva del Ghetto Nuovo domandò al Sabào: “Cossa gastu là dentro ?”, e il Sabào gli rispose: “Gnente gnente” … la quale risposta così tronca può forse essere stata maliziosa per non darmi ombra; e però mi nasce ora il sospetto che quell’altro battellante (era Antonio Frizza) possa essere uno de’ complici del furto ... Costui lo conosco soltanto di vista, ma non so come si chiami ... E’ di statura alta, scarno di corporatura, lungo di faccia, e moro in viso, ed aveva un cappello tondo e nero in testa … Mi veniva risposto dagli altri battellanti ch’era al magazzino a bere… Così conchiusi che fosse un uomo vizioso e dedito al vino, e che quando guadagnava quattro soldi andasse subito a beverli …”

La figura di Antonio Frizza, invece, emerse diversa dalle supposizioni del Sartori. Innanzitutto confermò ogni addebito, confessò tutto e raccontò “… e descrisse distintamente l’andamento dei fatti”.

“Sempre secondo il Giudizio Criminale in adempimento del paragrafo 373 del Codice Penale si analizzò essere il Frizza: “Giovine di statura alta, magro di corpo, di facci oblunga, di carnagione bruna, capelli castagni e tagliati sino alla nuca, mostacchi e poca barba sul mento rasa, occhio azzurro, guardatura torva, ciglia raggiunte e rare di pelo, naso rincagnato, bocca grande , denti piccoli bianchi e radi, mento appuntato, collo lungo … vestito di giacchetta di panno verde, logora, gilè di tela galla, braghesse lunghe di tela verde, calze bianche di canape, scarpe di vacchetta allacciate con cordella nera … Si dimostrò sempre uguale nelle sue asserzioni, e sincero, placido, e fermo di carattere, e pentito del fallo commesso … Si rinvenne a casa sua la maggior parte della refurtiva e uno scalpello di ferro strumento non verosimile per la sua professione di battellante … Piange e singhiozza nel testimoniare e accusarsi e incolpa Merlo Sabào come causa e “pietra di scandolo di tutto”.”

Circa la personalità del Battellante Antonio Frizza, il Tribunale andò il 30 aprile a sentire il parere sia del Reverendissimo Pievano di San Marcuola: “Prè Alvise Benasutto quondam Vincenzo, Veneziano d’anni 59, da 10 anni Piovano di San Marcuola, abitante nella canonica parrocchiale… “, che l’opinione del Curato di San Marcuola.

Il Primo Prete di San Marcuola convocato precisò: “Lo conosco moltissimo essendo mio parrocchiano, abitante da circa due anni sulla Fondamenta di San Girolamo. E’ giovane d’anni 18, fa il Battellante al Ghetto, e sento dir con mio dispiacere che sia stato posto in prigione come correo di furto insieme ad altri miei parrocchiani: Vincenzo Merlo detto Sabào Battellante che fu retento, ed Agostino Verona Fabbro che parimenti conosco … Frizza è un giovane di buonissimo carattere, un po’ vivo, che non fece mai (ch’io sappia) male azioni, e che contro il costume di molti del suo mestiere dava indizi di vita cristiana col farsi vedere alla chiesa e con confessarsi regolarmente ogni mese dal mio Curato ... Io lo attesto per averlo tante volte veduto in chiesa, e per aver di lui una perfetta cognizione. Dirò anzi che sentito l’arresto e la sua incolpazione io esitava a crederla sembrandomi quasi impossibile che così ad un tratto avesse declinato dalla buona via; per lo che non ho tra di me dubitato che non fosse stato traviato da cattivi compagni … Vincenzo Merlo detto Sabào, invece, è un uomo stato altra volta carcerato per ladro, di mal concetto nell’universale in materia di furti; ed aggiungerò poi che per quanto mi risulta dalle voci comuni è uomo vizioso, dedito al vino, al giuoco, e piuttosto all’ozio che al lavoro; che non si vede mai a fare le cose da Cristiano, e che insomma conduce una vita cattiva … (secondo il Prete Curato: “… conduce una malavita viziosa, senza far i doveri del Cristiano, essendo dedito al gioco e alla crapula, e facendo anche stentare la sua famiglia com’ebbi ragione di rilevare da sua moglie la quale alcune volte si lagnò meco della cattiva condotta di suo marito ... Anzi una volta già un mese circa avendo incontrato per istrada il Sabào, lo presi in disparte e rimproveratolo della sua malavita senza nominargli la moglie, lo corressi ammonendolo a far le cose da Cristiano. Egli parve alla mia ammonizione compunto: ma per quanto ne so continuò secondo il solito, e nessun effetto ritrasse dalle mie parole.) … Del Verona non intesi generalmente dir male, e qualche volta l’ho veduto a Messa nella mia chiesa ...”

Il Reverendo Curato Don Basilio Basili figlio quondam Alvise, Prete d’anni 42, Veneziano e da 4 anni Curato a San Marcuola abitante nella canonica del Reverendo Piovano dichiarò ancora: “... Frizza detto Canola Battellante al Ghetto ed abitante sulla Fondamenta di San Girolamo in casa d’un certo Amolo Barcaruolo lo conosco moltissimo essendo anche nato nella mia Parrocchia ... Suo padre sta da qualche anno colla di lui famiglia alla Giudecca, e conosco poi il detto giovane perché da circa un anno vien da me a confessarsi … Della sua condotta io non posso dirne che bene: è giovane di buon costume, che si confessa da me ogni mese, che s’accosta alla Santissima Comunione, e che vive bene essendo libero e senza impegno di famiglia, che coll’utile del suo mestiere può benissimo mantenersi.”

Il 2 maggio, visto che Sabào sfidava il Frizzi a confermargli e dirgli in faccia certe accuse, si provvide a metterli a farli incontrare e mettere a confronto … Sabào negò ancora d’aver incontrato Frizza al magazzino insieme al Verona: “Se il Frizza è matto vada a farsi legare … Io non potrò mai dir queste cose perché non sono vere.” ... Frizza, invece, precisò ulteriormente circa il Verona: “Nel magazzino da vino mi ha detto: “Gran bezzi che ga sti Mercanti: bisogneria cavarghe sangue” … Merlo Sabào ha risposto: “Magari: come se podaria far ?” … e il Verona: “Co una merda de gnente: andargheli a robàr … Za ti si sa dove che i xe” .. e Merlo Sabào mi disse ancora: “Se ti ga cuor Toni, questo xe’l momento.”… e mi fece coraggio dicendomi che la cosa restava occulta, che il Verona aveva una trivella e uno scalpello ed altri ordigni opportuni a tal uopo … che avremmo fatto un buco nella porta, aperto il catenaccio per di dentro, che la Famiglia Cartolari abitava nei superiori appartamenti, e nessuno avrebbe sentito, e che il bottino era riguardevole, e ci avrebbe arricchiti …”

Tanto per non cambiare, Merlo Sabào replicò subito “con isdegno” al Frizza: “Io dico che costui è un calunniatore, che vuol importunarmi, e che ha detto delle bugie tanto fatte … Che tu sia maledetto ! … Anche questo hai avuto cuor di deporre ? … Dunque, io fui quello che t’ha sedotto a fare una tal baronata ? … Sei un mentitore !” … Poi insorgendo con impeto e disprezzo ancora contro il Frizza: “Tu dici della panchiane ! … e non è vero niente: briccone e barone che sei ! … Ladro e indegno che sei tu  ! … Io lo nego e negherò tutto in eterno ...”


Antonio Frizza continuò a confessare e deporre: … che per strada abbiamo incontrato il Barcarolo Malacarne salutandolo, e che il Sabào l’aveva accompagnato fino ai Santi Apostoli cercando di convincerlo sull’affare, mentre Verona li stava già aspettando a casa del Sabào preparando gli attrezzi … e che poi avevano portato il battello in Rio della Sensa un’ora dopo mezza notte … che il Verona era rimasto a bordo all’erta, e che in caso di contrattempo avrebbe dato un fischio per avvisarli ... Poi che con Merlo Sabào avevano usato la trivella per il buco, e lo scalpello per far leva sulla porta interna della scala sollevandola dai gangheri … e che compiuto il furto e impauriti da un improvviso abbaiare di un cane che sembrava essere in casa lasciarono in fretta il luogo lasciando alcuni oggetti e perdendo il cappello nel portico … e che risalendo in barca la trivella fu gettata nel rio … e che s’erano poi diretti al magazzino in Sottoportego Oscuro a San Giobbe dalla parte del Rio, sito riservatissimo, dove si accese una candela di sevo col battifuoco, e si fece la spartizione della refurtiva avendo il Merlo Sabào una parte maggiore per aver ideato il furto e messo a disposizione il suo battello … Poi si mise il resto in una cassa, e Merlo Sabào uscì per andare a dare alcuni soldi a suo fratello … Ci lasciammo che era quasi giorno … Io nascosi  il denaro nel pagliericcio eccetto due ducati che la mattina seguente portai in elemosina alle Cappuccine di San Trovaso onde pregassero Dio secondo le mie intenzioni, che non mi succedesse alcun male … Salutai il Verona che era nella sua bottega a lavorare agli Ormesini, e sulla riva del Ghetto incontrai Sabào allegro che tintinnò i soldi in saccoccia ... Poi andammo a mangiare bene pesce a San Felice dove Sabào pagò per tutti lire 12 ... Sentimmo qua e là alcuni discorsi, e la notte ultima scorsa fui sorpreso dalla Giustizia e arrestato scoprendo il deposito del denaro nel mio pagliericcio …”

Frizza pareva un torrente in piena, e alla fine firmò la deposizione-confessione anche lui con una croce prima d’essere “restituito alle carceri”.

Il 5 maggio il Giudizio Criminale restituì contro ricevuta al Mercante Cartolani quanto rimaneva dei suoi denari e degli effetti di sua ragione come da quanto costituito agli Atti … Il 9 maggio 1815 seguente, il Primario Medico Carcerale visitò Merlo e Frizza in carcere trovandoli quanto alla loro fisica costituzione d’ottimo robusto temperamento, non attaccati da morbo alcuno, e in conseguenza atti entrambi a soffrire tutti gl’inasprimenti voluti dal Codice dei Delitti: cioè la berlina, il pubblico lavoro, il digiuno ed i colpi di bastone …Perciò il 16 maggio 1815 si propone per Vincenzo Merlo detto Sabào la pena di 10 anni di Carcere Duro coll’inasprimento dell’esposizione alla berlina e colle regole prescritte dal canone 19 del Codice Penale, mentre per Antonio Frizza detto Canola si proposero: cinque anni di carcere duro (ridotti poi a due), “riservata la facoltà all’Imperial Regio Tribunal Superiore di minorargliela siccome può farlo al senso del 441 ...”

La Sentenza definitiva dell’Imperiale Regio Tribunale d’Appello Generale fu deliberata il 26 maggio 1815, e letta a chiara e intelligibile voce a parola per parola dal Segretario del Tribunale agli imputati e condannati il 30 maggio seguente …Lo stesso giorno venne notificata anche al Soprastante alle Carceri.

Quelli e quelle della Contrada di San Marcuola, ma anche gli altri delle Contrade Veneziane, nonché quelli del Mercato di Rialto, di Piazza San Marco e dei Moli Marciani ebbero per un bel pezzo di che dire e raccontare …

Sono stato ieri pomeriggio ad osservare dal vivo quelle Calli, quelle Rive e quei posti … Sono trascorsi due secoli, e non sembra essere cambiato quasi niente ... Tendendo l’orecchio sembra ancora di udire certi brusii, e certe mormorazioni notturne … e forse anche lo sciabordio di certe acque mosse nottetempo da certi remi furtivi di una barca leggera occupata da tre ombre scure.




“Le quattro cose che sappiamo tutti sulla maxiContrada di San Marcuola.”

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Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 182.

“Le quattro cose che sappiamo tutti sulla maxiContrada di San Marcuola.” - (settima parte)

E’ per amor di completezza che continuo a dire e precisare ancora sulla maxi Contrada allargata di San Marcuola … L’ho scelta qualche tempo fa “un po’ per caso” a partire dall’incontro con la curiosa lettera del 1820 di Don Rado Piovan di San Marcuolascritta al Patriarca Pieker, e mi ritrovo ancora qui a dire e ridire ... e non ho ancora terminato. Venezia lo sapete è inesauribile, è come una matrioska vestita da Gondoliere dentro alla quale ce n’è sempre una in più da aprire e scoprire: sembra non si possa mai arrivare a vedere l’ultima.

Provando allora un po’ a ricapitolare e dirla un po’ “tutta”ricordo brevemente quelle cose comuni che di solito sanno tutti i Veneziani sulla maxiContrada allargata di San Marcuola ... la cui titolazione e dizione completa del nome sarebbe: “Sant’Ermagora e Fortunato Martiri”, sintetizzata “alla Veneziana”in: “San Marcuola”… così com’è toccato al nome di San Trovaso: concentrazione dei nomi: “San Gervasio e Protasio”, e a quello di Sant’Eustachio diventato: “San Stàe”, o di “San Stìn”: crasi di Santo Stefano piccolino, cioè San Stefanin ... Venezia è sempre Venezia.

Vi dicevo che San Marcuolaè stato “il polo centrale e il punto di convergenza”di tutta la grande Contrada allargata di questa parte del Sestiere di Cannaregio. Quasi tutti i Veneziani sono stati per secoli “zènte de cièsa”(chi più e chi meno), perciò trovava sbocco nelle quattro chiese della maxiContrada la loro devozione personale e comune: San Marcuola, Santa Maria Maddalena, San Lunardo e Santa Fosca ... come “un unicum” correlato insieme.


San Marcuolainizialmente si chiamava Santa Maria Assunta, ed è stata fondata di sicuro qualche secolo prima dell’anno 1000 probabilmente in concomitanza con l’arrivo in Laguna dei profughi reduci dalle invasioni dei Longobardi in Terraferma. Il nuovo titolo dato alla chiesa, infatti, tradisce l’origine del loro posto d’origine, perché Ermagora e Fortunato erano Martiri Aquileiesi. Il titolo cioè di San Marcuola fu inizialmente un richiamo forte alla primitiva provenienza di quelle persone.In ogni caso, San Marcuola fu di certo una delle prime Contrade Veneziane a costituirsi come prolungamento ed espansione del cuore commerciale dell’Emporio Realtino e Marciano in una zona depressa di Venezia che era ancora in parte palustre e in fase di bonifica denominata forse: Lemenèo (fangòso ?), soggetta di frequente anche agli effetti d’incendi e calamità naturali. I documenti del 1070 parlano di un: “… palus Sancti Hermacorae … que iacet inter Lechi et rivum de strop(pie) [?] …” una palude, “un palùo fra le stòpe”: fra le canne insomma, su cui si costruì la Contrada e la nuova chiesa.

Fin da subito sembra ci siano stati in zoma dei boss”socio-commerciali e quartierali unificanti che guidavano e tenevano in mano le sorti del posto: i Nobili Lupanizza e Memmo, che: fecero far un palazzo a San Marcuola, e lì abitavano …”(secondo il Caroldo: nel 1230 alla visita a Venezia dell'Imperatore Federico, il Palazzo dei Memmo di San Marcuola era fra le case più nobili, famose e belle: “… allora stimata più grande et meglio adornata delle altre”. In seguito passò in proprietà ai Martinengo che rifabbricarono il palazzo in proporzioni più modeste).

Intorno e insieme a costoro si coagularono e andarono a risiedere fin da subito con le loro attività, magazzini e laboratori anche alcuni Artieri e Commercianti: soprattutto Linaroli e Tessitori ... e anche gli Ebrei… Fu da allora che San Marcuola divenne non solo Paròcia” e Collegiata di Preti con la gente del posto che si eleggeva il proprio Piovano, ma anche: Chiesa Matrice” cioè di riferimento per i Veneziani di buona parte dell’area Sestierale di Cannaregio ... Giuridicamente però la chiesa era soggetta al Vescovo di Olivo o Castello che risiedeva dall’altra parte di Venezia: nella Contrada del Vescovo a San Pietro di Castello. Era lui, infatti, a confermare e immettere nel loro ruolo i Piovani di San Marcuola.

Aggiungendo qualche altra nota, c’è da dire che lungo i secoli la chiesa di San Marcuola si arricchì di ben nove altari: le pareti del Presbiterio dell’Altare Maggiore vennero abbellite e decorate da due superbe opere del Tintoretto: “L'Ultima Cena” e “La lavanda dei piedi”… e accanto a queste non mancò l’apporto artistico dei vari: Palma, Leonardo Corona, Paolo Farinato, Domenico Gimnasio, Ermanno Stroisi e del Tiziano che dipinse: “Il Bambino Gesù con Sant’Andrea e Santa Caterina”, di Giuseppe Camerata che realizzò un “Cristo sale al calvario”, di Giovambattista Crosato che dipinse: “Cristo alla colonna”, Nicolò Bambini: una “Crocefissione” per la Cappella del Crocefisso, un’“Annunziata” e un “San Giuseppe” del Padovanino, due quadri bislunghi di Francesco Migliori sopra il pulpito, una “Salita al Calvario” di Carlo Loth, e un’“Orazione nell’Orto” e una “Cattura del Cristo” di Alvise Dal Friso(opere per la maggior parte oggi raccolte nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia).

Che ve ne pare ? … Insomma San Marcuola era un bijoux, una piccola galleria d’Arte quasi del tutto tappezzata da pitture e coloratissimi teleri: era la famosa Biblia Pauperum appesa a disposizione e per l’apprendimento dottrinale e catechetico dei Veneziani ... che analfabeti in buona parte, entravano in chiesa e “vedevano, capivano e imparavano”.



La chiesa della Maddalena, invece, mi è sempre stata simpatica per la sua storia e le sue vicende, oltre che per la figura singolarissima dell’enigmatica e controversa Maddalenache non poteva non essere presa in considerazione dal nutrito Santorale Devozionale Veneziano.

Anche la chiesa della Maddalenaha origini incerte simili a quelle di San Marcuola: la sua primitiva presenza è collocabile intorno alla stessa epoca iniziale ... Flaminio Corner prima e Francesco Sansovino poi spiegarono che era già presente nel 1222 come Oratorio privato della Nobile famiglia Baffo (che faceva parte del Maggior Consiglio della Serenissima e abitava in Contrada in un palazzo con torre che divenne il campanile della chiesa della Maddalena. Una Cecilia Baffo forse dodicenne, venne fatta prigioniera con suo padre nel 1500 dal pirata Khai al Din detto Barbarossadurante un viaggio commerciale. Portata nel Serraglio e convertitasi all’Islam col nome di Nur Ban: “Principessa della Luce”, divenne la favorita del Sultano Selim II, moglie legittima e madre di Murad III che governò i Turchi fino al 1595. Di sicuro influenzò la politica Ottomana a favore di Venezia.)

I primi Piovani ad officiare la Maddalenadivenuta anche lei piccola Contrada furono: Prè Francesco Bevilacquae Prè Daniele Vendelino… ma solo diversi secoli dopo, nel 1701, col Piovano Prè Giovanni Marchioni“persona erudita molto coltivata”, si diede inizio al rifacimento settecentesco della chiesa che vediamo oggi. E’ stato Prè Francesco Ricciardi Prete Titolato e poi Piovanodella Maddalena a rifare in marmo i vecchi altari di legno, a far innalzare ulteriormente l’antica torre-campanaria dei Baffo, e a demolire quasi del tutto la vecchia chiesa. Il progetto affidato a Tommaso Temanza(finito sepolto in chiesa) prevedeva un’originale rifabbrica a pianta circolare (esagonale in realtà) con cupolino emisferico e lanterna. Serve ricordare che essendo quell’epoca quella“Illuministicae della Ragione” si pensò bene di apporre sul frontone in facciata un “Occhio Mistico Trinitario” con due iscrizioni: “Sapientia Aedificavit sibi Domum” e “Post tenebras spero lucem”, che diedero atto per secoli a illazioni e spiegazioni le più disparate e improprie possibili.

Fin dall’antichità il simbolo dell’“Occhio”ha sempre significato la volontà di conoscere e comprendere il valore misterioso del Malee del Bene, oltre che la consapevolezza dell’Onniscienza di Dio: “che vede tutto e tutti”. L’occhio era inoltre simbolo della volontà dei Fedeli di considerare e osservare il Soprannaturale, cioè di cercare un’illuminazioneossia una Porta, un accesso al Cielo e alle Res Coelestis. L’impronta dell’occhio quindi posta sulla facciata della chiesa non aveva niente a che fare con i Massoni, ma indicava un orientamento interiore e una propensione intellettuale tipica di quell’età storica Veneziana.

In ogni caso la ricostruzione della Maddalena fu travagliatissima oltre che molto partecipata dai Veneziani della Contrada come racconta curiosamente Pietro Gradenigo nei suoi “Notatori”: “… si raccolsero elemosine per rifabbricare di nuovo la chiesa ... Poi si restaurarono muraglie e soffitto della chiesa della Maddalena a spese del NobilHomo Abate Filippo Donà e sotto la direzione industriosa di Alvise De Preti Maestranza dell’Arsenale ... Il Massari disegnò un progetto non accettato per il prezzo troppo caro e la difficile realizzazione ... L’anno dopo si indì nuovo concorso a cui partecipò il Massari nuovamente bocciato perché il suo progetto oscurava la luce del vicino palazzo Molin, e avrebbe reso angusto il passaggio pubblico in fondamenta ... Si scartò anche il progetto di Giovanni Vettori scegliendo quello del Temanza dopo debita approvazione di Giovanni Poleni noto fisico, erudito e critico di Padova …”

Aggiungeva e scriveva ancora nel luglio 1760: “… oggi fu esposto un moderno modello per del tutto rifabbricare il povero tempio della Maddalena, sperando il Pievano nella Provvidenza …  Nel maggio 1763 s’iniziò il cantiere della nuova chiesa posando la prima pietra e apposita lapide a cura del Patriarca Giovanni Bragadin che offrì 100 ducati ... L’esecuzione dei lavori conobbe varie traversie e fu più volte sospesa e ripresa fino all’ultimazione da parte di Giannantonio Selva allievo del Temanza ed amico del Canova e del Piranesi ... Atterrate certe torri e canali si dilatò la Contrada e finalmente da elemosine da essa raccolte si rifece il tempio per la diligenza del Sacerdote Francesco Riccardi che per merito divenne Piovano …”

Non è ancora tutto … perché ancora nel maggio 1765, sempre negli stessi “Notatori” il Gradenigo si continuava a raccontare: “… invito “al Sacro Manipolo” (bacio devoto della stola sacerdotale “da braccio” associato all’offerta di un’elemosina) per le seguenti tre feste delle Pentecoste per profittare delle Indulgenze recenti quei tali che con le loro elemosine ad onore di Dio assisteranno l’incremento della nuova fabbrica che si va erigendo cioè la Parrocchiale di Santa Maria Maddalena in Cannaregio, dove sta esposto il moderno modello…”

“Quando Dio volle”i lavori furono terminati (quasi)… eterni … e si celebrò finalmente la riconsacrazione della chiesa della Maddalena a cura del Patriarca Federico Maria Giovannelli nel settembre 1778: “Fu quasi come un travagliato parto per tutti quelli della Contrada, e non soltanto per loro ... I tempi e lo spirito degli Animi stavano di certo cambiando, e anche il Popolo e i Nobili della Contrada non sembravano essere più gli stessi”.

Nel 1790 in verità, quand’erano trascorsi ormai 27 anni dall’inizio della ricostruzione, si stava ancora costruendo, e si finì completando la chiesa senza collocare sul davanti “un pronao a modo di Phanteon” com’era previsto dal progetto ... Intorno e nei pressi della chiesa della Maddalena in quegli stessi anni vivevano 514 persone, di cui 175 fra 14 e 60 anni abili al lavoro, mentre i Nobili “dalle mani fin troppo delicate per sprecarsi a lavorare” rappresentavano il 30% della popolazione residente in Contrada.

L’anno seguente all’inaugurazione s’introdusse nella chiesa l’altare dell’Arte dei Finestreri, due anni dopo Gaetano Callido realizzò un organo (opera 309) collocandolo nell’abside dietro all’altare maggiore, e il parapetto della cantoria venne decorato con un: “Cristo che resuscita Lazzaro” e una “Maddalena”dipinti dal Bonifacio … Nel “poggio”(cioè il Pulpito ?) si pose inoltre una “Visita dei Re Magi con un ritratto.” come ricordato da Vincenzo Zanetti… mentre la Cronica del Pacifico ricorda che: “… Filippo Bianchi fece due istorie sopra il Loggiòn dell’organo, una è: “la Nascita di Nostro Signore” e l’altra: “la Crocefissiòn” con alcune figure sotto il soffitto…”

Un’altra bella chiesa Veneziana insomma … l’ennesima di Cannaregio.



Storia un po’ diversa, invece, quella della chiesa diSanta Fosca Vergine e Martire l’uso improprio della cui Canonica di recente è assurto all’attenzione delle Cronache Veneziane … Racconta tuttoggi la Cronaca-Leggenda di Santa Fosca: “Come fu alta la notte, alcuni Marinai cristiani involarono i corpi delle due Martiri Ravennati e li trasferirono in Sàbrata, città d'Africa nella provincia Tripolitana, dove in sotterraneo sepolcro li seppellirono. Molti anni appresso, passò Sàbrata sotto pagana dominazione, e fu desolata ... Iddio, che volea togliere da quella profanata città le Sante Reliquie delle sue Martiri inspirò a un Veneziano chiamato Vitale di fare un viaggio per Sàbrata. Il buon servo veleggiò subito per colà, e pervenutovi prosperamente trovò dietro divino lume i Corpi di Fosca e Maura, e trasferitilli in Torcello isola un dì Vescovile … Questo avvenne prima dell'undecimo secolo della Chiesa. Erettovisi un elegante tempietto contiguo al Duomo sotto il titolo di Santa Fosca, si collocò il Sacro Pegno sotto alla mensa dell'unico altare. Ma nel giorno nono d'aprile 1247 fu da di là tratto, e posto sopra l'altare da Stefano Natali Vescovo Torcellano ... Manca d'una tibia il Corpo di Santa Fosca, perché donata alla Chiesa di Santa Fosca in Venezia dal Vescovo di Torcello e poi Patriarca d'Aquileia, Antonio Grimani ai 13 di settembre del 1592 ... Altre Reliquie di questa Santa si venerano in Bologna nella Chiesa di Santo Stefano, come asserisce il Masini nella sua “Bologna illustrata” ... E qui termina colla divina grazia la breve Leggenda di Santa Fosca Vergine e Martire incominciata in nome d'Iddio, Uno e Trino, a cui sia Gloria ed Onore per tutti i secoli dei secoli. Amen.”



Curiosa leggenda … Le cronache storiche tramandano di una primitiva fondazione della chiesa di Santa Fosca risalente al 783, per volontà di Crasso Fazio Vescovo di Olivolo-Castello a cui era affiliata la chiesetta contradariale di Santa Fosca. Qualcun altro, invece, presume e colloca la costituzione Parrocchiale e Contradariale verso il 1000 a cura della Nobile quanto ricca e potente famiglia Grimani, sempre in concomitanza con la traslazione da Tripoli a Torcello delle Sante Reliquie del Corpo di Santa Fosca. In ogni caso la chiesa venne presto ricostruita dopo un violento incendio del 1150, e poi più volte restaurata (soprattutto col radicale intervento del 1753 dopo il gravissimo incendio del 1720) … l’ultimo abbellimento risale al 1847.

Infine, nell’altro angolo e confine estremo della “maxiContrada allargata di San Marcuola”, giusto a poche remate o passi dal Rio spartiacque di Canal Regio, sorse verso il 1025 la chiesa di San Leonardo o San Lunardo Eremita eretta forse a spese e con i contributi della famiglia Crituazioo Curtazio… Di certo nel 1089 venne redatto un documento che accennava indirettamente all’esistenza di quella chiesa, che come tante altre chiese Veneziane era di Juspatronato Laico: cioè erano i CapiFamiglia(oppure i “Viciniores”titolari degli immobili) della Contrada a scegliersi il loro Piovanoe proporlo per l’elezione ufficiale da parte del Vescovo di Castello.

Interessantissimo notare e sapere, che fin dal 1260 la chiesa di San Lunardodi Canal Regio funse da prima sede della Schola-Confraternita di Santa Maria della Carità, quellache divenne poi una delle Sette Schole Grandi di Venezia(San Marco, San Teodoro, Santa Maria della Misericordia, San Maria dei Carmini, Santa Maria della Carità, San Rocco e San Giovanni Evangelista) quando si trasferì presso i Canonici Regolari Lateranensi della Carità(attuale Galleria Accademia). Per secoli quelli della Scuola Granda della Carità si recavano ogni anno in Processione fino a San Lunardo de CanaRèjoattraversando mezza Venezia nel giorno della festa per visitarne e omaggiarne la chiesa. Immaginatevi solo per un attimo una Processione con centinaia di persone che attraversava mezza Venezia cantando, suonando e pregando … Doveva di certo essere un gran spettacolo.



Numerose volte San Lunardo venne riedificata e riconsacrata: come nel maggio 1343, ad esempio, quando risultava essere a forma basilicale a tre navate con alto campanile ... Venne riconsacrata da Fra Marco Morello Carmelitano Vescovo di Dimoco in Tessaglia e da Fra Francesco Vescovo di Alzechenacon licenza del Vescovo di Olivolo-Castello Nicolò Morosini… Nell’agosto 1595, invece, dopo un crollo (del campanile ?)che compromise parte dell’edificio e trasse al suolo 12 case vicine uccidendo 10 persone, si ricostruì di nuovo la chiesa ma senza campanile … poi venne ancora rivista e ritoccata alla fine del 1700 quando l'Architetto Bernardino Maccaruzzi le conferì la forma e l'orientamento visibili in parte ancora oggi … Nel novembre 1761 il solito Pietro Gradenigo annotava nei suoi “Notatori”: “…[in San Leonardo] di notabile si vede il quadro del Redentore risorto dal monumento di meravigliosa attitudine dipinto dal pennello di Antonio Aliense …”(opera oggi andata perduta).

Mestissima infine, fu la destinazione di San Leonardo a deposito di carbone nel dicembre 1807 dopo la soppressione napoleonica con la chiusura e la cacciata dell’ultimo Piovano Prè Michele Epis ... Nel gennaio 1811 Giacomo Concolo spendendo lire 37 si comprò i quadri dell’“Orazione nell'Orto” e un “Cristo sale il Calvario con la Veronica” dipinti da Bonifazio De' Pitati detto Bonifazio Veronese che erano posti a decorare le pareti del Presbiterio di San Lunardo(oggi le due opere sono ospitate alla Galleria dell’Accademia)… Ancora nel gennaio 1815: “… il Locale della chiesa di San Leonardo ed annessi con l’attigua stanza ad uso della Scuola del Santissimo al n° 1659 di Cannaregio erano compresi nella Lista delle vigne, orti, beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezia nei giorni d’asta 12 e 16 febbraio seguenti”… Nel 1851 un altare di San Leonardo venne usato e riciclato per integrare la chiesa di Santa Maria del Pianto sulle Fondamente Nove riaperta da Don Daniele Canal… In seguito quel che rimase di San Lunardo divenne magazzino di mobili, poi sala prove della Banda Municipale di Venezia, e dopo lunga chiusura e abbandono, oggi San Leonardo è: “Sala Polivalente della Municipalità adatta ad ospitare conferenze, incontri pubblici e del Consiglio di Quartiere, concerti, esposizioni e rappresentazioni teatrali” ... Insomma dell’ecclesiastico e devozionale iniziale non è rimasto più niente: San Lunardo ha chiuso bottega !

Come gran parte delle chiese piccole Veneziane, anche San Lunardo deve essere stata davvero carina e ricca d’opere d’Arte, cioè molto diversa dall’ambiente asettico e quasi spoglio che vediamo oggi. In una descrizione del 1784, pochi decenni prima della devastazione napoleonica, si annotava e diceva di un soffitto decorato con un “Incoronazione della Vergine” dipinta da Giovanni Battista Canal; e di nove altari “foderati tutti di bei marmi”: quello dedicato a San Vincenzo decorato con una pala di Alessandro Longhi… quello della Madonna decorato da una tela di Girolamo Monaco… C’era poi l’Altare Maggiore cioè quello del titolarissimo San Leonardo, eretto a spese della Schola Granda de la Carità su cui troneggiava un “Cristo con San Carlo” di Domenico Tintoretto (andato perduto). Sull’altare della Beata Vergine del Parto fatto costruire a spese dell’omonima Scholae decorato nel 1764 si appose una pala eseguita da Antonio Molinari ... Sul soffitto del piccolo Presbiterio della chiesa c’era dipinto un gran “Simbolo della Carità” realizzato da Francesco Galimberti, mentre le pareti laterali  del piccolissimo Coro dei Preti del Capitolo di San Lunardo(due Preti in tutto) erano abbellite da un’ “Orazione nell'Orto” e da un “Cristo sale il Calvario con la Veronica” dipinti da Bonifazio De' Pitati venduti nel 1811 a Giacomo Concolo... Ad abbellire ulteriormente le pareti della chiesa erano ancora appese: una “Risurrezione di Cristo” dipinta da Antonio Aliense(andata perduta), e un: “Santi Lorenzo, Nicolò’ e Antonio” (di autore sconosciuto) ... Anche in Sacrestia il soffitto era decorato con un “Simbolo della Carità” dipinto dal Novello, e c’era un piccolo altarolo col “Miracolo di San Valentino su un bambino”dipinto da Domenico Lampanoni.(Per fortuna gran parte di questo sontuoso arredo artistico interno di San Lunardo non è andato disperso del tutto, ed è conservato ancora oggi alle Gallerie dell’Accademia di Venezia).

Altra nota curiosa su San Leonardo “de Strada Nova” doveva essere la realtà Confraternale più antica e significativa della maxiContrada, e forse dell’intero Sestiere di Cannaregio ospitata proprio là: cioè la Schola di San Leonardo o Lunardo Protettor dei Schiavi e de Prigioni”. Già nel giugno 1368, infatti, un gruppo di Veneziani solo maschi ma devotissimi fece erigere la Schola in Cannaregio: “pro salute animarum”, ma soltanto trent’anni dopo il Piovano di San Lunardo “solus ad officiandum” decise di “aprire” la partecipazione anche alle donne: “Le elemosine delle nuove iscritte finanzieranno la presenza di un altro Prete Coadiutore in chiesa” ... “Laus Deo e di San Leonardo fu renovada la presente Mariegola da Misier Giacomo del quondam Bortolamio Zen Biavariol e Guardiano di detta Scola"... ed era il 1487 quando si provvide a scrivere compiutamente i 39 Capitoli della Mariegola con le consuete prescrizioni di riti, processioni, addobbi, Festa Patronale, elemosine e tutto il resto ... Nel novembre 1546 si aggiunse: “… per la Solennità della Festa de Messer San Lonardo, Messer lo Gastaldo non possa spender più de un ducato per li sonadori … se non a suo conto … o se la Banca è consenziente … acciò che la Schola non patissa et non venga in povertà et al manco.” … Quasi duecento anni dopo, nel 1739, la Schola de San Lunardo de Cannaregio risultava ancora: attiva, viva e vegeta e calamitava l’attenzione di una significativa parte dei Veneziani di Cannaregio.

Diciamo adesso una paroletta sul curioso capitolo delle “Sante Reliquie”: cioè le “Mirabilia di San Marcuola” !


Venezia nei secoli è stata “un mare di Reliquie di ogni sorta”… Quasi tutte le chiese Veneziane ne possedevano qualcuna, ed erano di certo un “valore aggiunto” averle perchè le Reliquie contavano tantissimo, ed erano il vero e proprio tesoro di ogni chiesa … Per secoli migliaia di Pellegrini si recarono a Venezia da ogni angolo d’Europa diretti o di ritorno dalla Terrasanta. La città lagunare si presentava come “un’anticipazione dei Luoghi Santi”, anzi: a volte una vera e propria “sostituzione e alternativa” a tutto ciò che si sarebbe potuto trovare recandosi al di là del “Periglioso Mare Mediterraneo”… A Venezia non mancava nulla di tutto quanto era “Santo” e si sarebbe potuto trovare a Gerusalemme … Venezia era come una “copia perfetta”, una Gerusalemme in miniatura, e possedeva come un vero e proprio “riassunto” di tutto ciò che era accaduto lungo “la Via Dolorosa della Passio Crhisti”.… Tanto è vero che molti Pellegrini giunti a Venezia, espletavano ed esaurivano in Laguna il loro Viaggio-Voto-Pellegrinaggioe poi se ne ritornavano direttamente a casa loro senza recarsi per davvero fino in Palestina.

Venezia con le sue chiese e le numerosissime Reliquie, gli innumerevoli Riti, Ostensioni, Sollecitudini, Processioni e Opportunità che li contornavano era per davvero una “Novella Terrasanta Lagunare”: “[A Venezia] … si poteva percorrere, pellegrinare, sostare e indugiare sulla Strada Veneziana della Passione costituita dalle chiese di Venezia tempestate d’autentiche Reliquie, e vivere così le più meritevoli e intense esperienze spirituali che si andavano cercando ... Ogni chiesa Veneziana era considerata una “Statio della Via Crucis” capace di rappresentare e ricostruire tutta quella che era stata la “Via Dolorosa del Cristo” percorsa sul Calvario della Terrasanta, nonché si mettevano a disposizione i Reperti Insigni della Strada storica coperta dal Sangue dei Primi Martiri: luminosi esempi della Chiesa Primordiale ... a Venezia, insomma: c’era tutto !”

“Anche San Marcuola con le limitrofe Santa Fosca, Santa Maria Maddalena e San Lunardoerano perfettamente inserite in quel magistrale circuito delle Reliquie, e non pativano il confronto con le altre chiese Veneziane costituendo nell’insieme un vero e proprio Paradiso-Arsenale di Reliquie a disposizione dei Veneziani e soprattutto dei Pellegrini in transito o in sosta a Venezia...”

Pensate ! … La chiesa della maxiContrada Veneziana di San Marcuola era in grado di presentare più di trenta Santissime e Buonissime Reliquie riuscendo a creare e offrire un’aura di mistica spiritualità e venerazione a cui i Pellegrini “calamitati” non sapevano resistere … Quello delle Reliquie poi si traduceva anche in un notevole giro di elemosine e concessioni di relative Indulgenze… e quello è stato un’altra delle voci “d’entrata” dei bilanci economici conseguiti e segnati per secoli dal Capitolo dei Preti di San Marcuola.

Ecco il “Menù delle Reliquie”delle quattro Chiese di San Marcuola che veniva indicato ai Devoti e Pellegrini presenti in Venezia … Era come attirare Api sul Miele: “Legno della Santa Croce” in San Marcuola e altra “Reliquia della Santa Croce” alla Maddalena … Un altro “Santo Legno della Croce” in San Lunardo; i “Corpi e l’Ampolla del Sangue del Santo Martire Fortunato provenienti da Roma”, il “Santo Dito Destro di San Giovanni Battista” portata da Sebaste al Vescovo di Castello nel lontano 1109 (era il dito con cui il Battista indicava in Riva al Fiume Giordano: “Ecco l’Agnello di Dio”). C’è inoltre la prestigiosa Reliquia di Santa Memmia; un “Santo Dito di Sant’Ermagora”; un altro di Sant’Andrea Apostolo; la “Santa Testa di San Serino Martire”; la “Santa Mano di San Teodosio Vescovo e Martire”; una parte del “Santo Braccio di San Crescenzio Martire”; la “Santa Coscia di San Fausto”; il “Corpo di San Pio Martire”; il “Braccio e ossa di San Pantaleone”; un “Dito della Santa Maddalena”; un “Osso della testa di Santa Giustina Vergine e Martire”; un “Pezzo d’Osso di San Liberale Vescovo e Martiire” … le Reliquie di Santa Fosca; una “Gamba e Santo Dito di San Leonardo”; un “Pezzo del Cranio di San Benedetto”; un “Pezzo della Santa Veste e Camicia di San Carlo” …” e chi più ne ha più ne metta.

Solo nel 1803 alla Visita del Patriarca Flangini si provvide a sospendere la Devozione verso la “Reliquia del Capo di San Barnaba” perché ritenuta non sufficientemente sicura e provata poco come autentica ... C’era stato solo qualche secolo d’indecisione al riguardo, durante i quali … Beh: una Santa Reliquia in più non giastava … No ?

Niente male comunque come Patrimonio Reliquiale della Contrada … Vero ?

Un Pellegrino Tedesco di passaggio per Venezia scriveva: “Ogni volta i Pellegrini impazziscono di gioia e meraviglia entrando nelle chiese Veneziane … Tutte quelle Nobili e Sacre Reliquie sono una vera delizia e gratificazione per lo Spirito, potenti segni della Redenzione, e occasioni di lucràr grandi Indulgenze e Perdonanze per il proprio futuro.”

Pensate che ancora oggi il Patriarcato di Venezia vanta di possedere una delle più insigni “collezioni”di storiche Santissime Reliquie e Venerabili Corpi di Santidell’intera Cristianità. Nella dorata Basilica Marciana oltre al super famoso “Corpo di San Marco Evangelista” viene conservato il meno illustre e conosciuto “Corpo di Sant'Isidoro di Chio”… Nella Basilica di Santa Maria e San Donato di Murano si ospitano i “Corpi di San Gerardo Sagredo Vescovo e Martire e di San Donato di Eurea”; il “Corpo di San Giovanni Elemosinario”presso la chiesa di San Giovanni in Bragora nel Sestiere di Castello dove si venerano anche alcune “Sante Reliquie di San Giovanni Battista”.

Il “Corpo di San Lorenzo Giustiniani ProtoPatriarca di Venezia” si trova ancoa oggi in San Pietro di Castello Basilica Vescovile prima e Patriarcale dopo di Venezia … il “Corpo di Sant'Elena Imperatrice madre di Costantino”è conservato nella chiesa di Sant'Elena o Santa Lena di Castello affacciata di fronte al Lido di Venezia dove in San Nicolò si conservano le “Reliquie di San Nicola di Myra”… C’è poi e ancora il “Corpo di San Rocco”nella splendida Schola Grande omonima decorata splendidamente dal Tintoretto... Nella splendida chiesa di San Zaccaria dove c’era il Monastero femminile più potente e insigne di tutta Venezia c’erano, e ci sono ancora accolti e venerati i “Corpi di San Tarasio e San Zaccaria”e le “Sante Reliquie di Sant'Atanasio d’Alessandria” giunte alle Monache di San Zaccaria dopo diverse e lunghe controversie con le Monache di Santa Croce della Giudecca… Il “Corpo di Santa Fosca” si trova nella “chiesetta rotonda” dell’omonima chiesa nel cuore dell’amena isola di Torcello dove in Santa Maria Assunta si conserva il “Cranio di Santa Cecilia”… Al di là dell’acqua, nella chiesa di San Martino di Burano e in apposito Oratorio si ostentano tuttoggi le “Reliquie di Santa Barbara Vergine e Martire da Nicomedia” Patrona di Artiglieri, Bombardieri e Pompieri, pervenute a Burano dopo la chiusura, soppressione e distruzione del Conventino di San Giovanni Evangelista di Torcello ... Presso la chiesa di San Felice di Cannaregio si conservano ancora le “Sante Reliquie di San Trifone”… anche se la Schola di San Giorgio e Trifone sorge dall’altra parte di Venezia: a Castello presso l’ex Contrada di Sant’Antonin nei pressi della Bragora … 

Nella chiesa di San Geremia dello stesso Sestiere è conservato il contesissimo “Corpo di Santa Lucia”, eternamente ambito dai Siciliani di Siracusa ... Discorso a parte meriterebbe il “Corpo di Santo Stefano Protomartire” presente nella chiesa omonima non lontana da Piazza San Marco sempre ambito dai Monaci Benedettini dell’isola di San Giorgio Maggiore che avevano speciale predilezione per quel “Primitivo Santo ProtoMartire”… A tal riguardo, non si sa come e perché, il “Cranio di Santo Stefano Protomartire”è finito presso il Duomo di Santo Stefano di Caorle(meglio non sapere se entrambi i “corpi” ad un’eventuale ricognizione presentassero ciascuno un proprio capo) ... E ancora nella Terraferma Veneziana esiste e viene conservato nella Parrocchiale di Santa Maria Concetta di Eraclea: il “Corpo di San Magno Vescovo di Oderzo ed Eraclea”… un “Santo Braccio di Santa Margherita di Antiochia”è conservato e ostentato ancora presso il Duomo di Caorle insieme alle “Sante Ossa femorali di San Gilberto di Sempringham” ... L’avete capito insomma: potremmo andate avanti fino a domani ad elencare presenze di Reliquie: il mondo Veneziano era pieno zeppo di queste“cose tanto Particolari quanto Sante e Speciali” cercate e ambite da moltissimi per secoli.



Infine, sperando di non annoiarvi e perdervi del tutto, vi butto là un quadro riassuntivo, come un’immagine sintetica di quel che è stato l’Aggregazionismo Religioso e Devozionale e di Mestiere che è stata capace di ospitare e promuovere lungo i secoli la maxiContrada allargata di San Marcuola.

In Santa Fosca esisteva una Schola e Confraternita del Venerabile e Santissimo Sacramento presente in chiesa fin dal 1587. Secondo la Mariegolae i "Libri de Capitoli e di Cassa” la Schola faceva celebrare una Messa Ordenaria ogni terza domenica del mese … faceva pagare una tassa di “Benintrada”all’iscrizione, e una “Luminaria” annuale per tutte le spese di ceri e candele utilizzati durante l’anno nelle funzioni e durante i Funerali … dando “pan et candela benedetti” in cambio ... Il Guardianoe il Nonzolo della Schola questuavano mensilmente andando porta a porta e in giro per tutta la maxiContrada allargata di San Marcuola, e avevano anche il compito di provvedere alla sepoltura di tutti i Confratelli Morti in Contrada ... Nel febbraio 1759, secondo i soliti Notatori del Gradenigo: “… in questi tempi fu molto propriamente et elegantemente rimodernata la Cappella Maggiore di Santa Fosca dalla Confraternita del Sacramento. Vi si posero quadri di Bonifacio Veronese, di Vittorio Carpaccio e Giacomo Palma. (tutti andati perduti).” … Alla Visita Flangini del 1803 la Schola del Santissimodi Santa Fosca dichiarava ancora di gestire: “tre Legati per pagare l’olio della Lampada del Santissimo di cui uno risalente al lontanissimo 1299.” ... Quel che è interessante notare, è che si è scritto anche che la stessa Schola si preoccupava di coordinare il Culto del Sacramentonelle chiese di San Felice, San Leonardo e della Maddalena organizzando le Processioni del Corpus Domini e del Giovedì Santo che si realizzavano spettacolarmente per buona parte delle strade di tutta la Contrada di Cannaregio … La stessa Schola finanziava la celebrazione di un Esequiale e di dodici “Messe Piane” usufruendo dei Lasciti testamentari delle Commissarie:Cappello, Viviani e Zanetta Torre quondam Anzolo per la cui gestione la Schola portò avanti una causa-controversia-processo e giudizio col Piovano di Santa Fosca che durò nei secoli dei secoli … tempi immemori.

Sempre in Santa Fosca, erano attive “abusivamente”dal 1717 e dal 1736 (cioè senza esplicita autorizzazione delle apposite Magistrature della Serenissima):  una Schola o Compagnia della Madonna del Rosario, e una Compagnia di Devozione di San Francesco di Paola che alla Visita Flangini dichiaravano ancora di finanziare un Esequiale da celebrarsi in Santa Fosca … C’era poi la Fraterna dei Poveridella Contrada… e un “Pio Aggregato per il Sollievo delle Povere Anime del Purgatorio Derelitte” fondato nel 1755 … un Sovvegno di Santa Caterina del 1764 … la Schola d’Arte e Mestiere dei Gondolieri del Traghetto di Santa Fosca… una Schola della Beata Vergine della Consolazione fondata nel 1621una Schola di San Felice… una Schola e Sovegno di Devozione e Carità titolato alla Beata Vergine Assunta fondata nel maggio 1624, mentre nel febbraio 1642 era sorta un’altra Schola di Devozione dedicata a San Giuseppe: entrambe ancora presenti e attive alla Visita Flangini del 1803 finanziando la solita celebrazione degli Esequiali, e organizzando anch’esse continua questua per la Contrada per favorire e mantenere la Devozione alla Beata Vergine del Rosario.

In un curioso Inventario del 1529 redatto in Santa Fosca si elencavano ben “18 vestiti della Madonna” ... mentre in un altro del 1663 risultavano presenti in chiesa “gli abiti di Santa Fosca vestita, e 17 vesti della Beata Vergine in Cappelletta” ... Alla Visita del Patriarca Badoer del 1698 c’erano ancora le due stesse immagini lignee vestite che stavolta possedevano “un corredo di 16 abiti” ... E nel 1718 si segnalava la presenza di: “… una Madonna del Rosario col Bambino vestita con 16 abiti e ori, e sedente sopra una carena di legno intagliato e dorato sotto la quale c’era un cassòn grando con portelle dipinte.” ... Nella stessa chiesa di Santa Fosca esistevano sia una Madonna della Natività che una Madonna del Rosarioentrambe veneratissime: ce n’erano per tutti i gusti ... Nel 1736 gli abiti della Madonna di Santa Fosca erano 16 per quella del Rosario, e 10 per quella della Natività… mentre nel più recente 1843 gli abitini della “Madonna Coronata” erano diventati soltanto sette … Che fine avranno fatto tutti gli altri ? … Venduti probabilmente per autofinanziamento della Schola … o dei Confratelli forse.

Tutto questo per accennarvi solo parzialmente a tutto un mondo, un’attenzione, e un interesse sfuggente che erano però vivissimi nei Veneziani che abitavano la maxiContrada di San Marcuola ruotando attorno alle sue quattro chiese.

Ma non c’era soltanto questo … La Scuola del Santissimo di San Lunardo, ad esempio, nacque nel 1581 su iniziativa del Primo Guardiano: Piero della Moneda che provvide a redigere la relativa Mariegola della Schola. Le raccomandazioni per i Confratelli erano più o meno sempre le stesse: “Feste Patronali del Santissimo”cioè: Corpus Domini e Giovedì Santo … in cui:“… la Banca dovrà dare al Capitolo dei Preti di San Lunardo: due candele da un oncia ciascuna, ed una candela al Piovano per la ricognizione della Festa”Altra prescrizione dettata dal Codice della Mariegolaera: “Messa in Canto con organo, canti, cere, orazioni e Processione attorno al Campo di San Lunardo al suono delle campane ogni prima domenica del mese considerata “Ordinaria” … per la conservazione della Santa Chiesa, della Repubblica di Venezia e delle Anime dei Confratelli.”

Interessante notare l’accento dei Devoti Veneziani posto anche sulla “salvaguardia della Repubblica Serenissima”… I Veneziani andavano in chiesa per pregare non solo per se, ma anche per il “bene comune della Nazione”… Altro che oggi ! … anche se non si potrà non notare che per concretizzare quelle“buone intenzioni” i due Preti di San Lunardo volevano percepivano “per cantare le Domeniche Ordinarie, le Processioni della Settimana Santa, e la ricognizione delle cose adoperate: 3 ducati oltre all’offerta di un soldo per ogni Confratello presente a Messa in chiesa” ... Niente male ! … Spuntano fuori come sempre i soliti Preti esosi e interessati.

Sempre secondo Mariegola, altrettanto si faceva la seconda domenica dopo la festa del Corpus Domini, quando si prescriveva: “Si celebri a spese del Guardiano e della Banca della Schola un’altra Messa Solenne in Canto con concieri di chiesa, Processione in chiesa e per la Contrada, e conveniente uso di cere, musici e cantori.”… Ovviamente in quelle occasioni tutti i Confratelli e “quelli della Contrada” erano tenuti a partecipare lucrando in cambio molte “Sacre e Sananti Indulgenze”concesse dai vari Papi (a pagamento d’elemosina s’intende)… Gli iscritti alla Schola che pagavano 16 soldi di tassa di Luminaria ricevevano “un Santo piccolo”, mentre chi pagava 20 soldi (soprattutto i Compagni della Banca della Schola) ricevevano “un Santo grande”… sempre di giro di soldi, offerte ed elemosine alla fine si trattava.

Ancora nel 1722 sono ricordate presenti e attive in San Leonardo: la “solita”Fraterna Parrocchiale dei Poveri… e una Schola di Sant’Antonio da Padova con suo “Libro Cassa della Schola de Sant’Antonio” che si chiude, completa e interrompe giusto nell’anno 1805 … Per tradizione a Venezia si diceva che il famoso San Carlo Borromeo fosse passato a celebrare Messa proprio in San Lunardo di Cannaregio, perciò non mancò di nascere nella stessa chiesa nel maggio 1611 un’apposita Scholaovviamnete titolata a San Carlo Borromeo che più di cento e venti anni dopo era ancora attiva e pimpante ... Il 4 novembre di ogni anno gli iscritti della Schola di San Carlo uscivano in Processione dalla chiesa di San Lunardo e si spandevano lungamente intorno percorrendo tutte le Fondamente della Contrada e di Cannaregio, e “tanto per cambiare” secondo il Capitolo 14 della Mariegoladi San Carlo: la Schola era tenuta a pagare per far celebrare ai Preti de San Lunàrdo: una “bòna Messètta” ogni quarta domenica del mese.

Sempre in San Lunardo c’era fin dal 1699 un Sovvegno di Devozione ed Assistenza della Santissima Trinitàfondato nel 1708 e soppresso nel luglio di esattamente cento anni dopo ... In precedenza c’era un altro Sovegno di Devozione e Carità di Gesù, Maria e San Giuseppe ... Esattamente un secolo prima, nel 1599, il Patriarca Priuli aveva concesse a un gruppo di giovani entusiasti d’erigere una Schola-Confraternita de Devozion Mariana”dedicata alla Beata Vergine del Parto ... Solo quindici anni dopo però ottennero la licenza da parte del Consiglio dei Dieci “che gèra refrattario a conceder nova licenza de vèrser Schola” ... A Venezia ce n’erano fin troppe di Schole … che a volte davano anche parecchi problemi di gestione … I giovani entusiasti di Cannareggio comunque non si scoraggiarono, e giunsero a firmare un accordo d’ospitalità con il Piovan di San Lunardo, realizzando la Mariegola della Schola, la Festa Patronale il giorno della Sensa, utilizzando “l'Altar de a Madonna” ai piedi del quale realizzarono un’Arca per seppellire i Confratelli, e gestendo due cassèlle per l'elemosina, e un bancone multifunzionale in chiesa … Due anni dopo il Guardiano della neonata Schola del Parto fu costretto a richiamare al rispetto degli accordi stipulati il Piovano di San Lunardo dalla memoria fin troppo corta: “aveva promesso tanto e concesso poco” si trova scritto nella cronistoria della Mariegola ... La Schola della Beata Vergine del Parto, invece, funzionava bene secondo quelli della Contrada, tanto è vero che nel 1679 i Proveditori da Comun approvarono l’iniziativa dei Bottegai e Biavaroli della Contrada di trasformare la stessa Schola della Madonna del Parto in Sovvegno con medico e medicine"(una specie di ente di Previdenza per la malattia e la vecchiaia di quelli della Contrada) Curiosamente però, esattamente cento anni dopo, gli stessi Proveditori da Comun minacciarono la soppressione del Sovegno(unica realtà Confraternate rimasta attiva nella Contrada)“perché soggetto a scadente gestione nonostante i versamenti degli iscritti” ... napoleone poco dopo segnò la fine e la conclusione definitiva di tutto quel microcosmo nel 1807 quando, ben si sa, ogni Ente e Associazione Religiosa subì l’avocazione dei beni da parte del Demanio, e venne di conseguenza soppressa a favore dell’istituzione di una nuova Congregazione d’Assistenza Ospedaliera e di Carità Urbana… Alla fine dell’agosto 1807 scriveva il Vicerèin una Sovrana Risoluzione: “… sono perciò vietate le Confraternite e Società Laicali perché indisciplinate … Sotto il titolo della Religione introducono frivolità, bigottismo, spirito di fazione … Saranno permesse soltanto le Confraternita del Santissimo Sacramento con dipendenza dai Parroci, uniche in ciascuna Parrocchia …”

In Santa Maria Maddalena, viceversa, oltre alla già citata Arte dei Finestreri e ai Gondolieri del Traghetto, e all’immancabile Fraterna dei Poveri, si ospitava anche una Compagnia di Devozione del Carmine attiva ancora alla Visita Flangini del 1803 quando pagava puntualmente una somma ai Preti del Capitolo della Maddalena per far celebrare il solito Esequiale... Risaliva, invece, al 1622 l’istituzione della Schola e Sovvegno di Santa Maria Elisabetta e della Visitazione. Nel luglio dello stesso anno, si proibì di: “… prorompere in detta Schola in imprecazioni strepitose o scandalose sotto alcun pretesto né bestemmie, né parole oscene.”Nel 1641 ebbe fondazione l’immancabile istituzione della Schola del Santissimo Sacramento della Maddalena detta anche Compagnia del Corpo del Signore o del Corpus Domini d’ovvia ispirazione Boromaica e post Tridentina, mentre di poco seguente, ossia del gennaio 1659, fu la fondazione del Sovvegno di Devozione e Assistenza di San Liberale… Sempre alla Maddalena, dalla fine del 1600 e fino a tutto il 1764, oltre a una Schola-Sovvegno de Preti devoti a Sant’Antonio da Padovasorta abusivamente nel 1687 (gli associati di questa Schola Piccola tipicamente Veneziana si curavano dell’omonimo Capitello e Ponte dedicati a Sant’Antonio a soli due passi dalla Maddalena per il quale fecero dipingere daFilippo Bianchiun’aerea icona all’aperto); c’era anche una Schola devozionale dedicata alla Madonna del Rosario che alla Visita Badoer risultava vestire il simulacro ligneo della Madonna con almeno 26 preziosi abiti ed ori (alla successiva Visita Barbarigo gli abiti preziosi risultarono essere meno di 17… e gli altri 9 ?).

D’inizio 1700 era ancora un altro Sovegno “abusivo” di Preti Devoti a Santa Maria Maddalenadel marzo 1707 un Sovvegno di Devozione e Assistenza titolato a San Gaetano da Thiene… e dell’ottobre 1708 un Sovvegno di Devozione e Assistenza dedicato a San Pietro d’Alcantara… quasi tutti erano anche primordiali forme di previdenza e sussidiarietà sociale ... Nel 1761 infine, sorse ancora un’altra Devozione o Suffragio, sempre abusivo e non autorizzato, dedito stavolta ai Defuntiseguito tre anni dopo da una vera e propria fondazione di una “sezione cittadina” della famosa Compagnia di Sant'Adriano o di Sant’Ariàn de la Bòna Morte, che rimase attiva come tutte le altre 22 Compagniesimili e omonime fino alla fine del gennaio 1785: “… quando per gli abusi e le intemperanze degli iscritti il Magistrato le abolì tutte non permettendo più l’accesso all’isola di San Ariàn in fondo alla Laguna …”

Nella stessa chiesa di San Marcuola, invece e in conclusione, secondo quanto scritto nel 1841 da Pietro Gaspare Morolin nel quarto volume della sua: “Venezia, ovvero il quadro storico della sua origine”: “… c’era la Schola de lo Santo Ermacora e Fortunato di San Marcuola” risalente al 1403, e aveavi la Schola della Beata Santa Vergine Maria delle Grazie (fondata nel 1596 con licenza del Patriarca Lorenzo Priuli da parte di alcuni giovani del Sestiere sul Ponte degli Ormesini, oganizzava una Solenne Processione lungo la Fondamenta dei Servi e il Rio Terà il 29 novembre di ogni anno con luminaria, canti e suoni, e col Capitolo dei Preti di San Marcuola e 4 Suddiaconi che portavano in chiesa il quadro della Madonna ponendolo sull’altare. Quella tradizione fu prolungata fino al 1805 ... Nel Capitolo 20 della Mariegola curiosamente si legge:“la Festa della Beata Vergine del Carmine sarà solennizzata per tutto il mese di settembre e ottobre per comodità dei Cantori ... Il Gastaldo un mese prima convocherà il Capitolo e sottoscriveranno tramite apposito “ròdolo” quanto ciascuno vorrà per organizzare la festa una ventina di giorni prima. La Schola darà dei suoi denari per la festa 3 ducati col patto che se la festa verrà spostata ancora di altri due mesi si multerà il Gastaldo di 2 ducati, il Vicario di 1 ducato, lo Scrivano di 1 ducato che andranno a beneficio della stessa Schola.”); quella di San Giovanni Battista; e tre delle Arti cioè dei Lavoratori di Lana sotto il titolo del Redentore (dal 1621), de Testori da Tesa e panni di Lino sotto il titolo di Sant’Elena (dal 1442), e dei PartiOro e Soprastanti ai lavori in Oro e Argento sotto il titolo di San Gaetano da Thiene (I primi erano operai fonditori d'oro e dell'argento; i secondi gli Officiali con sede a Rialto dove si rilasciavano le licenze per i lavori di fusione supervisionandone l'esecuzione. I Capitolari di quest’Arte e Mestiere Veneziano sono antichissimi: risalgono al 1278-1297); di più aveavi il Suffragio del Crocifisso.”

Non so spiegare perché, in Contrada di San Marcuola il culto popolare verso la “Santa Reliquia della Santa Mano del Battista” era sentitissimo e partecipatissimo, perciò sorse in chiesa nel giugno1413 una Schola di San Giovanni Battista che celebravaogni anno “in pompa magna” la Festa di San Zuanne Battista nel mese di giugno con Vespro della Vigilia, e Messa con Litanie alla Festa, e l’immancabile “Processiòn pi+na de zènte con candele accese come nei Giorni Ordinadi de la Schola ogni seconda domenica del mese” ... Il Piovano di San Marcuola riceveva ogni anno un ducato dalla Schola, 48 soldi di piccoli annui per le Messe che celebrava ogni lunedì, e le solite “regalie” ricordate nel 1550 dal Guardian Anzolo Foian, cioè: “… lire 6 e soldi 4 per le còncie della chiesa; i denari delle Messe da dire il giorno della Festa ossia lire 2 e soldi 12; lire 18 di piccoli per i Sonadori e le còncie del Portego per la Festa ... e i denari per le spese ordinarie delle cere, dei Santi e dei “pani benedetti”... Il Capitolo 354 della Mariegola della schola del Battista de San Marcuola recitava testualmente: “Se qualche persona vogli ammettere l’Anima di padre o madre o altra persona ai Benefici della Schola e della Fraternità … che il Gastaldo li possa ricevere pagando d’entrata soldi 20 di piccoli ed 1 grosso e 2 candele per far cantare una Messa Piana in San Marcuola.”Non era un caso se nel 1661 la Schola pagava alla Serenissima una tassa di 9 soldi: possedeva parecchio, anche rendite annuali di 20 ducati da beni immobili posseduti in Venezia, che divennero 52 ducati nel 1740.

Merita un breve discorso a parte l’immancabile presenza in chiesa della "Veneranda Schola del Santissimo Sacramento o del Venerabile in Santi Ermagora e Fortunato"fra le cui carte spuntano insieme al "Libro Cassa della Veneranda Schola del Santissimo Sacramento in San Marcola tenuta da me Giovanni Battista Asinelli Guardiano(1705-90)dal Cassiere Giovanni Baroni (1871- 1881)anche: “punti di testamento del fu Nobilhomo Filippo Corner quondam Piero”(1726)… gli “Atti di Giovanni Antonio Generini Nobile Veneto … con certificati di Zecca della Schola.” (1797)… e la “Rubrica alfabetica per cognome degli iscritti e le registrazioni di Cassa della Schola.”(1869-1900).

Fondata e autorizzata con apposito decreto dai Capi del Consiglio di Dieci il 10 luglio 1506, la Schola contava ancora 103 iscritti nel 1924 prima di concludere la sua attività nel 1951. Per secoli ha seguito il solito obbligo di celebrare una Messa Granda in Canto con Processiònogni prima domenica del mese, una Messa de Suffragio par i Morti ogni giovedì: “… al nonzolo della Scuola del Santissimo in San Marcuola spetti sostituire persone a portar le mazze de’ cataletti, quando però non v’intervengano personalmente gli altri Nonzoli di detta chiesa.”(1741), e la Festa della Confraternita la prima domenica di settembre ... L’iniziativa più eminente della Schola del Santissimo di San Marcuola fu forse la committenza della decorazione della Cappella Maggiore del Santissimo, per la quale si fece costruire nell’agosto 1547 “al tempo de Miserer Polo Morante et Compagni”:“banchi in noghèra, cancello et quadro” cioè l'"Ultima Cena" comissionata a Jacopo Tintoretto che stava dipingendo per la Schola Grande di San Rocco ... Dopo la metà del 1700, invece, quando un altro pittore: Giandomenico Tiepolo chiese d’essere esentato dalla carica di Vicario della Schola a causa dei suoi numerosi impegni, si costruì un nuovo altare per il quale il Confratello Carlo Rossi, Tagiapiera di professione, realizzò un sontuoso tabernacolo di marmo.

Accanto alle grosse e significative Confraternite residenti in San Marcuola, ce ne furono molte altre di piccole e transitorie … c’era perfino, paradossalmente, una Scuola della Nazione degli Ebrei (!) pur essendo tanto bistrattati e sconsiderati da quelli della Contrada e soprattutto dai Preti del Capitolo … Durante il 1770, nel 1765 per la precisione, si fondò la Schola dei Centocinquanta Devoti del Crocifisso… Dieci anni prima s’era istituito un Sovvegno di Devozione, Carità, previdenza e soccorso dei preti ammalati denominato Sovvegno dei Sacerdoti di San Pietro Apostolo ... Dal 1800 sorse anche una Pia Unione e Devozione a San Luigi Gonzaga.



Fu molto curiosa e interessante la considerazione di cui godeva anche a Venezia la figura “bianca ed emaciata” di San Luigi Gonzaga fin nel secondo Dopoguerra e oltre: era sinonimo del Veneziano modello, del giovane “da bene”, pulito, onesto, obbediente, rispettoso, ligio alle leggi e alle regole precostituite. Una persona candida fino ad essere titubante, modesto,“riguardìn” e vergognoso del sesso che era considerata realtà nascosta e pudica che faceva arrossire … I “Luigini”(iscritti alla Devozione-Schola di San Luigi Gonzaga) erano tutti buoni propositi, sincerità e devozione a Dio e verso la Patria, preghiere, digiuni, moritificazioni, elemosine e Sacramenti … facevano la giusta scelta Politica come veniva loro consigliato dal pulpito delle chiese e dalla casa di chi guidava e comandava “la cosa pubblica” ... Il “Luigino”era uno che si fidava e affidava: rispettava e applicava le Leggi, pagava le tasse fino all’ultimo centesimo, amava la buona famiglia, e si sforzava di vivere secondo i sani Principi e interpretando i Valori immutabili di Dio e della Chiesa, che in fondo risultavano essere la stessa cosa … Era un buon Fedele, insomma, una docile pecorella del Gregge del Popolo Cristiano, e parimenti un buon cittadino dello Stato.

Quella era ancora un’epoca piena di maschietti tutti dediti ad essere: “Soldati di Cristo”, “Angioletti”imberbi, “Fiamme Bianche, Verdi e Rosse”, e di femminucce: “Beniamine, Angioline, Bernardette e Figlie di Maria” che pensavano “candide e pure” a vivere da Zitelle o soprattutto a figliare ed essere spose fedeli, madri intrepide e “Angeli del focolare” tutta dedizione e castità ad imitazione della Madonna. I Veneziani dell’epoca vivevano immersi dentro a questi stereotipi comuni che a tutti sembravano: “cosa normale e quasi dovuta”… Dai pulpiti delle chiese si gridava sulla folla che continuava ancora a correre in massa al suono di ogni campana: “Votate: Croce su Croce … la Croce Scudata !”… e così accadeva nel segreto delle urne ... L’essere “Bianchi, Crociati e di Chiesa”sembrava quasi “un unicum” ovvio e inevitabile intrapreso al grido intramontabile di: “Dio lo vuole !”… Quei tempi sembravano l’ennesimo capitolo di un’unica “Storia Crociata e Cristiana” fatta tutta di conquiste e missionarietà senza fine: naturale “continuo” di tanta Storia antica già trascorsa fin dal Medioevo e dai Primordi della Chiesa, che coincideva e riassumeva la Storia di tutti  e di tutto il Mondo … C’erano poi “al di là e aI di fuori” i “Rossi”e i “diversi”, cioè: i cattivi e i“nemici della Fede”, i “senza Dio”, i “MagnaPreti” condannati alle fiamme dell’Inferno come gli Atei, i Comunisti mangiabambini, e quelli che deportavano nei silenzi bianchi della Siberia e nei lager i dissenzienti descritti da Aleksandr Solženicyn fra 1958 e 1968 … Accanto a tutti questi c’era ancora e inoltre la “Fraterna per il sollievo dei Poveridella Contrà di San Marcuola esistente fin dal lontanissimo 1294. Fin da tempi antichi veniva imposta una vera e propria "tassa volontaria”alle persone benestanti residenti in Contrada-Parrocchia, ed esistevano due “Visitatori della Fraterna”soprannominati comunemente:“i Fiscali delle miserie” coadiuvati da un “Cassièr”che giravano per la Contrada “con cassella e sacco del pan” costatando lo stato di ciascuno, e distribuendo viveri e medicinali, portando soccorso agli infermi e ai poveri, censendo le famiglie degli indigenti, e verificando le situazioni di malattia e bisogno presenti in Contrada.

Alla fine compilavano un apposito “Elenco o Catalogo de Povericon nota de Capifamiglia da sussidiare e assistere in cui si distingueva curiosamente fra: Poveri Vergognosi”, “Infermi”, “Invalidi” e “Mendicanti”ai quali veniva rilasciata apposita “Licenza di Mendicare” o “Patente o Fede di Povertà”... Fin dal 1608 la Fraterna giunse per Statuto a stipendiare un Medico e un Chirurgo che provvedevano alla cura dei poveri, e all'assegnazione di medicinali gratuiti ... Infine nel 1869-1900 esisteva in San Marcuola anche una Confraternita di Devozione del Sacratissimo Cuore di Gesù … e una Compagnia di Devozione della Beata Vergine Addolorata che possedeva nella Cappella del Crocefisso di San Marcuola una Madonna Addolorata in legno dipinto del 1700 posta sopra a un “Solèr” in legno dorato per trasportarla processionalmente (Quella era stata una donazione del 1810 da parte dei Padri Serviti di Santa Maria dei Servi che la cedettero gratuitamente a quel che restava della Fabbricieria di San Marcuola).


Beh … Basta per questa volta … queste quattro notizie comuni su San Marcuola le abbiamo credo riassunte.

(fine della settima parte/continua ancora.)

“Quello che forse non si sa della maxiContrada di San Marcuola.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” -  n° 183.

“Quello che forse non si sa della maxiContrada di San Marcuola.” - (ottava parte)

Stavolta “vi butto in pasto”curiosità pure, cioè notizie che non conoscevo affatto circa la maxi Contrada allargata di San Marcuola… e inizio subito seguendo il corso della Storia: quella importante scandita dai giorni del calendario nell’antica Contrada Veneziana.

Nel febbraio 1224 Henricus Trevisanus del Confinio di Santa Fosca presentò fidejussione per Carmannus Conversus Santo Jacobo per l’acquisto di una miliaria d’olio diretta a Treviso ... Il mese seguente a Rialto: Stefano Viaro dal Confinio di San Maurizio vendette per lire 675 di denaro Veneto ai nipoti Pietro quondam Giacomo Viaro e Pietro quondam Tommaso Viaro dal detto Confinio: una terra e casa nel Confinio di San Maurizio(confinante col Rio di San Maurizio e la calle comune, il Rio di Santa Maria Zobenigo e la calle comune, e con le proprietà di Pietro e Marchesino Da Mula).  Furono testimoni dell’atto: Johannes Bonus Preteet Plebanus di Santa Maria Matris Domini, e il Notaio Raineirius Delfinus Iudex Examinator... Nel giugno dello stesso anno si procurò una copia di quell’atto, e vi furono impressa le firme di Donatus Sanctae Mariae Matris Domini Prete et Notarius e di Leonardus Vendelino Prete, Plebanus e Notaio di San Lunardo de Canal Regio.

Eccolo qua ! … Uno di Cannaregio e della Contrada proprio limitrofa a San Marcuola … e siamo appena agli inizi del 1200 !

Solo quattro anni dopo, nel 1228, il Doge Pietro Ziani lasciò una sua “ruga di case in Confinio de San Ziminiàn”alle Sette Congregazioni del Clero di Rialto fra le quali c’era elencata anche quella di San Marcuola ... Due anni dopo ad Aquileia, Guido Vescovo di Equilo(Jesolo) nominato Giudice in una lite fra il Monastero di San Danieledi Venezia e il Vescovo di Cittanova (Eraclea) circa la chiesa di San Martino di Tripoli fece procura al riguardo a Mastro da [...] Piovano di San Ermagora di Venezia, mentre Gerardo Vescovo di Cittanova ne fece un’altra per se a Mastro Paganino.

E riecco di nuovo presente “la nostra” San Marcuola …

Nel marzo 1234 a Rialto col permesso del Doge e di fronte a Pangracius Dauro Judex et Examinatortestimone, Giorgio Mengolo del Confinio di San Ermagora(San Marcuola) prese a prestito da Pietro Viaro del Confinio di San Maurizio: “lire 70 di Denari Veneti per commerciare ovunque sino alla prossima festa di Pasqua con tre parti dell’utile”. L’Atto venne ricopiato nell’agosto seguente dal Prete Notaio di San Marcuola: Leonardus Alberto… Nel novembre 1253 e sempre a Rialto alla presenza del Notaio Bartholomeus Prete e Piovano dei Santi Apostoli: Frate Vincenzo Priore di Santa Maria dei Crociferi (i futuri Gesuiti delle Fondamente Nove) fece quietanza a Daria vedova di Leonardo Totulo del Confinio di Sant’Ermagora(San Marcuola)delle masserie legate dal defunto al Monastero … Era presente all’Atto il Prete-Notaio Johannes Bonus de San Jacobi de Luprio(San Giacomo dell’Orio).

E a quel tempo ormai si faceva un continuo parlare e citare la Contrada o Confinio di San Marcuola.

E siamo al 1300 … quando nel giugno 1332 la chiesa contradariale di San Marcuola venne riconsacrata nella domenica dopo il Corpus Domini dal Vescovo di Castello Angelo Dolfin insieme a Marco Morello Vescovo Domocense e Tommaso Foscarini Vescovo di Tine dedicandola al titolo dei Santi Aquileiesi, della VergineAssunta, e di San Giovanni Battista… Esattamente nel settembre di sette anni dopo, il Maggior Consiglio graziò Marco Tagjapiera della Contrada di San Salvador, Pasquale e Diamonte Teutonico di quella di Sant’Ermagora, e Margherita Boltremo del Confinio di San Marcilian tutti condannati dagli Ufficiali del Dazio del Vinper non aver pagato interamente la tassa sul medesimo prodotto venduto a Mestre … In quegli stessi anni (1342) i Veneziani della Contrada si ritrovarono a pagare una tassa per ampliamento con l’abbattimento di alcune case e del campanile della strada pubblica fra San Bartolomeo di Rialtocol vicino Fondaco dei Tedeschi e San Giovanni Crisostomo. Alcuni Commissari della Serenissima stabilirono la ripartizione dei costi: tutto il Sestiere di Cannaregio ne avrebbe tratto beneficio, perciò tutti i residenti delle Contrade-Parrocchie da Santa Lucia a San Giovanni Crisostomosarebbero stati tassati. Per quelli di San Marcuola e San Felice la quota da pagare era di 1 soldo e 6 denari, mentre quelli di Santa Lucia e San Leonardoavrebbero pagato soltanto: 1 soldo ... Solo i residenti nella Contrada di San Bartolomeo di Rialto sarebbero stati esentasse.

Giusto nel 1350: Cristoforo quondam Stefano Lanarius residente nella Contrada di Sant’Ermagoraacquistò un manso di 36 campi ossia quasi 18 ettari a Casale sul Sile nel Trevigiano: “… cum una domo magna murata de cupis …” e altri edifici adiacenti che diede in affitto per 24 staia annue di frumento (ossia 20 quintali) e metà del vino prodotto.

Alla fine del 1300 quando s’interrò la “Piscina di Santa Fosca”, e si era al tempo del Doge Andrea Contarini e degli “Imprestiti dei Veneziani allo Stato”per la guerra contro i Genovesi che presero Chioggia, Pietro Spirito di famiglia Cittadina venne eletto Prete del Capitolo di San Marcuola: la Contrada che si distinse offrendo lire 73.750 alla Repubblica e in cui risiedevano ben 14 famiglie Nobili. Fra costoro primeggiarono nel contribuire: Sier Antonio Honoradi che mise a disposizione 6.000 lire, e Sier Marco Memmo che diede 10.000 lire ... Dopo e insieme a costoro, c’erano in Contrada anche altre 23 persone “abbienti” che potevano essere ugualmente significative nella contribuzione, fra costoro c’erano: Antonio Nave di professione “Bechèr” che offrì lire 1.000; Andrea Catanio di mestiere “Pancuògolo” che diede lire 600; Bortolo Spicièr che offrì 800 lire; Filippo “barca” che diede 2.800 lire; Greguol “Partidòr”: lire 500; Gerardo dalla Mottà “Spicièr”: lire 800, e Pasqualin “Murèr” che trasse di tasca lire 300 … Viceversa nello stesso tempo nella vicina Contrada di San Leonardo che contribuì nel suo insieme per lire 23.400, emergeva un solo NobilHomo: Andrea Cancani(che offrì 8.000 lire), mentre la Contrada della Maddalena offrì lire 28.200. In essa i più generosi nell’offrire furono una Nobildonna e otto NobilHomeni fra i quali Sier Piero Emo si dimostrò il più generoso di tutti offrendo 15.000 lire, ossia più della metà del totale donato. Insieme al Nobile Emo, alla Maddalena c’erano anche altri quattro contribuenti abbienti, e anche da Giacomo Grotte e Nicolò Furlà, entrambi Bechèri, si ricevette un contributo rispettivamente di lire 400 e di lire 500.


Per quanto riguarda, invece, la Contrada di Santa Fosca, lì le cose sarebbero dovute andare ancora meglio perché vi abitavano 23 Nobili e una Nobildonna. Fra loro primeggiarono: Sier Tamdo Lippo che diede 20.000 lire, e Sier Marco Donà e fratelliche contribuirono con 10.000 lire. Ci furono inoltre diversi contribuenti abbienti fra cui: Marco e Nicolò Cievolo che versarono lire 750 e lire 1.000, Donna Marita Caldiera che offrì lire 2.000, e le Case di San Giovanni di Torcelloche contribuirono per 5.000 lire ... Per diversi di costoro quella fu l’occasione per assurgere “per merito” al titolo di Nobili Veneziani … e la Contrada di Santa Fosca nel suo insieme si distinse per aver offerto unitariamente: lire 121.550 nella sua totalità.

Nel luglio 1356 poi, al tempo del Piovano Domenico, Venezia stipulò la pace con Genova proprio il giorno di Santa Maria Maddalena.
Perciò il Senato decretò che quello fosse un giorno di festa“a perpetua memoria”.  Sansovino scrisse infatti: “… dopo lunghi travagli dall’una parte e l’altra, e con molto spargimento di sangue, si fece la pace sotto il Principato di Giovanni Gradenigo, che visse l’anno 1355 … la qual pace conchiusa con Bernabò Visconte Signore di Genova, il primo luglio fu pubblicata e gridata il giorno della Maddalena. Alla cui chiesa i Genovesi prigioni che furono al numero di duemila, usciti dalle carceri … andarono divotamente insieme con una candela accesa in mano per uno; onde la memoria di quel giorno rimase perpetua …”

Ancora lo stesso Sansovino ricordava un’altra notizia curiosissima e singolare forse andata quasi dimenticata del tutto a Venezia. Cioè che la chiesa della Maddalena,suffraganea della Cattedrale di San Pietro di Castello che ne nominava l’unico Prete-Piovano, era l’ultima di Sette Chiese Veneziane che secondo la tradizione ogni Veneziano doveva visitare in successione la sera di ogni Venerdì Santo: “La Maddalena era il luogo che stava a ricordare il ravvedimento evangelico vissuto dal personaggio della Maddalena: simbolo e invito ad emulazione da parte di ogni Cristiano”.

Alla fine di gennaio 1388 era Piovano di San Leonardo Prè Giovanni Foscarini che venne ucciso nottetempo da un ladro ... L’anno seguente, invece, Prè Matteo Cavallario era Piovano della Maddalena quando il Banchiere Piero di fu Zane Benedetto fece rogare dal Notaio Pietro de Compostellisl’emancipazione dalla patria potestà del figlio Zannino donandogli 200 lire di grossi cioè 2.000 ducati d’oro “in mera libertà”. Due giorni dopo lo stesso Zannino formò davanti allo stesso Notaio una Compagnia Commerciale insieme ad altri due giovani suoi amici facoltosi: Marco figlio di Andrea Condulmer di Santa Maria Maddalena emancipato pure lui, e Jacobello quondam Lorenzo Zane di Santa Maria Materdomini. Ognuno dei tre contribuì con una somma di 2.000 ducati in pecunia numerata o con merci approvate dai contraenti, e si proposero lo scopo d’investire l’ammontare sotto l’oculata supervisione del Banchiere Piero Benedetto stabilendo d’agire: “… in Venezia e altrove, per terra e per mare, per il periodo di almeno un anno ed oltre finchè uno non disdicesse la sua adesione, dividendo in parti uguali danni e lucro” ... Dieci anni dopo, al tempo del Piovano Prè Basilio Darvasio si provvide a interrare il Rio della Maddalena, e nell’agosto 1410 agosto crollo il campanile di Santa Fosca giusto il giorno di San Lorenzo per colpa di un turbine violentissimo che arrecò danni a Venezia per 60.000 ducati ... Fu allora che il campanile di Santa Fosca venne rialzato con la cupoletta e le piccole guglie-edicolette angolari.

Quattro anni prima intanto, nel 1406 precisamente, il Prete-Notaio Biagio Catena Piovano di San Leonardodi Cannaregio venne accusato d’infedeltà e d’essere spergiuro perché aveva fatto condannare un innocente al suo posto. Scoperto, venne privato del Piovanato e condannato dal Consiglio dei Dieci a bando perpetuo da Venezia e da tutti i suoi territori ... Nella stessa occasione si condannò insieme a lui anche Clarino Contarini ritenuto sodomita che i Notai Maffeo da Fano e Giovanni Loredan Primicerio di San Marco testimoniarono falsamente essere Chiericoper sottrarlo al braccio secolare ... Rifugiatosi quindi a Roma presso la Corte Papale, Biagio Catena divenne prima Vescovo di Trebisonda, poi andò a risiedere a Ferrara, e da lì ottenne dallo stesso Consiglio dei Dieci un salvacondotto “per poter andar e venir de continuo da Venezia onde poter curàr i propri interessi”… La Giustizia di Venezia a volte zoppicava vistosamente.

Nel 1461 il Patriarca Andrea Bondumiervisitò tutte le Contrade di Cannaregio, e nel 1493-1495 il Patriarca Tommaso Donàfece altrettanto … Nel 1503, invece, Jacopo De Caimoni Prete del Capitolo di San Marcuola venne promosso ad Arcidiacono del Capitolo della Cattedrale di San Pietro di Castello, e cinque anni dopo, Girolamo Gabriel Patrizio Venetoimparentato coi Contarini, lasciò per testamento a Prete Alvise suo figlio naturale e a Paola Paradiso sua cugina, gli stabili posseduti nella Contrada di San Marcuola che dopo la loro morte sarebbero dovuti pervenire al Monastero del Santo Sepolcro(in Riva degli Schiavoni) col patto di celebrare due Messe quotidiane “per l’Anema del testatore”… Nel 1535 Nicolò Liburnio: uomo letterato e autore della “Spada di Dante” e di altre opere significative, fu posto a reggere come Piovano la chiesa di Santa Fosca: “Morì nel 1557 e venne sepolto in un'arca in Santa Fosca, sopra il coperchio della quale scorgevasi intagliata in marmo la di lui immagine, che Pietro Gradenigo da Santa Giustina fece disegnare dal Grevembroch perché non se ne perdesse la memoria.”… Giunto poi l’agosto dell’anno 1542: “… el Curato de Santa Fosca: Prete Agostino, xe acusà de bestemia e gioco ... condanà a la pena de la cheba ... overo apeso al campanil de San Marco in cheba (gabbia) a una altesa tal da poder eser colpio da spui e da tuto quelo che el popolo riteneva giusto tirarghe ma abastansa in alto da no poder eser liberà ... dopo el vien esilià dalla Serenissima ... e lu el ga scrito na poesia: “Mi porgono il mangiar per un sol buso con l'acqua che mi dan 'nvece de vino, or con ragion il mio peccato accuso; e più mi duol che ogni sera e matino, da meggiodì e a tutte quante l'ore mi chiamano i fanciuli: o Prè Agostino? … Mi danno alcune volte tal stridore che son costretto da pissarli addosso per isfogar alquanto il mio dolore.”… Non una gran bella figura mi sembra … Secondo la Cronaca del Barbo rimase chiuso nella“cheba”fino alla fine di settembre di quell’anno, poi venne condannato a trascorre un anno intero nella “Prigion Forte”, e finalmente venne bandito in perpetuo da Venezia e da tutto il suo Dominio.

Nell’agosto 1549 proprio di faccia alla chiesa di San Marcuola sul Canal Grande, tre fratelli: Tristano, Nicolò e Giovanni Savorgnan aiutati dai loro domestici, uccisero a schioppettate da una gondola il Conte Luigi Dalla Torre ferendo pure il Conte Gian Battista Colloredo e altri uomini imbarcati. Perciò nello stesso mese venne bandito Tristano fuggitivo e puniti gli altri caduti in mano della Giustizia Veneziana. Sembra che il Dalla Torre sia stato sepolto nella cassa di legno sospesa in parete della chiesa dei Frari sopra alla porta dove si passava nel Chiostro ... Quattro anni dopo in ottobre morì in Contrada-Parrocchia di San Marcuola dove abitava, il Veronese: “Sier Bonifatio depentòr fo de Sier Marco de Pitatis Veronese amalà lungamente”… era proprietario di alcuni campi e di una caxetta con brolo a San Zenone sotto Asolo.


Da un Inventario del 1555 della chiesa della Maddalena, al tempo in cui Prè Andrea de Aecordis de Martinengosmise di fungere da Piovano sostituito da Prè Battista Coppo, si evince che in chiesa esistevano fra l’altro: “… una Santa Maddalena vestita, una Madonna piccola sotto l’organo, e una Madonna Grande col Bambino che possedeva 8 abiti per essere pure lei vestita.” ... In quegli anni nella Contrada della Maddalena vivevano quasi 700 persone, la Parrocchia pagava 4 ducati annui per l’organista, dava 2 ducati annui al Maestro degli Zaghi, spendeva 10 ducati e più per pagare cantori, strumentisti, concieri e per “far pasto alli Preti” il giorno della Festa della Maddalena ... Più o meno la stessa cosa capitava dieci anni dopo a San Marcuola dove il Capitolo dei Preti pagava 7 ducati annui all’organista, spendeva 8 ducati per la Festa di San Giovanni Battista; 4 ducati per la Festa di San Marcuola; altri 4 ducati per la Festa di Natale, Pasqua Granda, Pasqua de Mèzo ed altre spese e relative acconciature per la chiesa … Nel 1569 San Marcuola venne rifabbricata dopo un altro incendio quando nella stessa Contrada abitava anche Madonna Olimpia Malipiero d'anni 24 figlia di Leonardo “che scrisse alcune rime eleganti, e che assai immaturamente venne da morte rapita essendo amalata di febre già da 10 giorni …”

Nel 1570 a San Marcuola abitava anche Andrea Calmo scrittore bizzarro e attore di commedie. Parabosco ne parlava: “… egli col suo recitare dava quel giocondissimo e nobilissimo piacere a tutta Venezia ch'ella maggiormente desidera.”… Nel 1578, invece, Prete Antonio Baldo Dottor e Letor e Prete Nicola Colichò de Arbe Grammaticoinsegnavano nella Scuola Sestierale di Cannaregio.

La storica e famosissima Visita Apostolica mandata da Roma giunse a San Marcuola il 14 giugno 1581. La Parrocchia Collegiata contava 8.392 abitanti con 3.000 Comunioni ... C’erano in servizio in chiesa: il Piovano, tre Preti Titolati, un Diacono, un Suddiacono e un Prete Sacrista che percepivano nell’insieme 180 ducati e usufruivano di case proprie per abitare. C’erano inoltre in San Marcuola altri nove Chierici che percepivano 81 ducati annui, mentre la Fabbriceria gestiva entrate per 12 ducati annui. In chiesa si celebravano 11 Mansionerie di Messe percependo 232 ducati … C’era l’Oratorio dell’Anconeta poco distante dalla chiesa, e sopra il Portico e i tetti di San Marcuola c’era un “romitaggio” dove abitavano prima tre, e poi sei donne che seguivano la Regola di Sant’Agostino (possedevano un piccolo Oratorio consacrato nel 1610 da Girolamo Porzia Vescovo d'Adria, ma minacciando di rovinare giù la chiesa di San Marcuola si trasferirono nel 1693 in Contrada di San Gervasio e Protasio dove divennero le Eremite di San Trovaso).

Pure San Leonardo era Parrocchiale e Collegiata sebbene con soli due Preti che percepivano 60 ducati annui e l’uso di due case: erano il Piovano e un altro Prete supportati da un Sacrista e da due Chierici e dalla Fabbriceria che aveva “un giro d’affari” di soli 5 ducati annui.
Attorno a San Lunardo abitavano circa 600 persone di cui la metà si accostava alla Comunione … In chiesa dove c’erano gli Altari di San Lunardo, del Santissimo, della Madonna, del Crocefisso, di San Giovanni Battista, San Sebastiano e dell’Assunta, si celebravano 5 Mansionerie di Messe che procuravano 83 ducati annui ... Alla Maddalena, invece, abitavano 671 Anime e 1.000 ce n’erano a Santa Fosca, ma solo 180 di una e 700 dell’altra si accostavano alla Comunione ... In Contrada abitavano però molte prostitute … Il Piovano della Maddalena percepiva 50 ducati annui e l’uso di una casa, c’erano inoltre altri due Chierici, e la Fabbriceria gestiva 27 ducati annui … In chiesa sugli altari della Madonna, del Santissimo, di San Giovanni Battista, del Crocefisso, della Madonnina e di Santa Maria Maddalena si celebravano 5 Mansionerie di Messe del valore di 111 ducati … Il Capitolo dei Preti di Santa Fosca contava il Piovano con altri tre Preti: un Diacono, un Suddiacono e un Sacrista che percepivano 35 ducati annui e l’uso di una casa. C’erano ancora sei Chierici in supporto, e la Fabbriceria di Santa Fosca gestiva entrate per 24 ducati annui celebrando 8 Mansionerie di Messe del valore di 83 ducati sugli altari di Santa Fosca, Santa Cristina, della Madonna, San Giuseppe, del Santissimo e del Crocefisso.



Il Visitatore Apostolico da Roma fu severo e attento nella sua ispezione, e contestò il Fonte Battesimale sporco di Santa Fosca, ordinò a San Leonardo di tenere con maggiore cura le Sante Reliquie che fossero d’origine documentata e sicura, e di rilegare bene i libri di chiesa per il canto; invitò San Marcuola a togliere bandiere e casse da morto esposte in chiesa, e fece processare e condannare Prete Domenico De Andregis detto Torta “per gravi irregolarità carnali, patrimoniali e vizi di gioco”.

Verso fine secolo, quando la popolazione della Contrada era scesa a circa 6.394 persone, Prete Bevilacquainsegnava nella Scuola Sestierale Clericale di San Marcuola a un numero variabile di scolari fra 36 e 40 di diversa età fra i quali c’era un putto di 6 anni “che imparava tutto a memoria”. Ogni Contrada-Parrocchia era tenuta a partecipare pagando la “Texa (tassa) praeceptoris Sexteriis Canalis Regii” di 74 ducati annui in totale: San Marcuola contribuiva ogni volta con 8 ducati, San Leonardo ne pagava 4 come Santa Fosca, e la Maddalenacol Piovano Prè Evaristo Pinea pagava pure lei 4 ducati.

Celebre divenne nell’ottobre 1607 il Ponte dei Pugni e Bastoni di Santa Fosca dove si tenevano “le battagliole” fra Contradaioli, perché proprio lì nei pressi ai piedi dei suoi gradini avvenne il tentato omicidio del Padre Servita Paolo Sarpi Teologo e Consultore della Repubblica che stava rientrando al suo Convento di Santa Maria dei Servi distante ancora pochi passi. Cinque furono i sicari visti dalle donne affacciate alle finestre, e a dire di tutti a Venezia il mandato fu probabilmente: “Papale e di Stile di Roma” … oppure poteva essere stato il Nunzio Apostolico residente a Venezia a ordinare quell’agguato, o presumibilmente qualcuno della Corte e Curia Romana ... poco cambiava ... Frate Paolo Sarpi rimase solo gravemente ferito da tre stilettate: “… due nel collo et una nella faccia ch'entrava all'orecchia destra, et usciva per appunto a quella vallicella che è tra il naso e la destra guancia, non havendo potuto l'assassino cavar fuori lo stilo per haver passato l'osso, il quale restò piantato e molto storto... L'assassino hebbe prima comodità di colpire, e gli diede più di quindici colpi di stile, come fu veduto da alcune donne ch'erano alle finestre, e se ne vedevano i fori nel cappello, nel cappuccio, e nel collaro del giuppone, ma tre soli lo ferirono ... Il Padre si contentò che quello stile fosse appeso a piedi di un Crocefisso nella chiesa dei Servi con l'inscritione: “Dei Filio Liberatori".  

Giusto nel maggio di vent’anni dopo “in tempo di Peste”, al tempo del Piovano della Maddalena Prè Isidoro Moretti e del Piovan Prè Gerolimo Pennello di San Marcuola, Giacomo figlio del defunto Segretario del Senato Pietro Bartolichiese un consulto alla Signoria per aver conferma di un Livello di 1.050 ducati lasciati nel 1606 da suo padre, spesso fuori Venezia a servizio della Repubblica, ai Preti della Maddalena senza chiedere il beneplacito dei Pregadi ... Ma guarda te se quel padre snaturato doveva lasciare i soldi di famiglia ai Preti invece che ai suoi figli ! … e non era l’unico a farlo in Venezia ! … Visto allora quell’incessante serie di donazioni e lasciti a favore dei Preti della Maddalena, il Patriarca Giovanni Tiepolo autorizzò il Piovano della stessa chiesa ad accettare le donazioni elevando però la Collegiata del Capitolo a quattro Preti Titolati.



Fra 1629 e 1663 il Reverendo Piovano di Santa Fosca Monsignor Girolamo Melchiori o Marchiori(sepolto poi in chiesa) pagava di tasse alla Serenissima: soldi 7,00 e denari 11. Era anche Canonico Ducale e Arciprete della Congregazione di San Marcuola, inoltre era molto considerato negli ambienti degli artisti e dei pittori Veneziani, tanto che Francesco Valegio gli dedicò una stampa della Crocefissione del Tintoretto dipinta per San Rocco, e Bernardo Strozzi lo nominò suo esecutore testamentario. Era proprio un fanatico dell’Arte Prete Marchiori o Melchiori, tanto da farsi ritrarre nella pala “Trinità con cinque Santi” dipinta da Filippo Bianchi, e possedeva in casa dipinti di Carletto Caliari, Tintoretto, Hans Rottenhammer e Veronese fra cui anche: l’“Apparizione della Madonna alla figlia del Re di Francia con le mani mozzate” ... Faceva però anche il furbetto Prè Girolamo, perché quand’era Cappellano delle Monache di Santa Caterinasulle Fondamente Nove commissionò a spese delle Monache una tela a Tiberio Tinelli, di cui possedeva ben dieci opere (soprattutto ritratti), e s’impossessò di un quadro di Bassano il Vecchio: “l’Oratione nell’Orto” sempre di  proprietà delle stesse Monache del Santa Caterina, che provò a vendere per 200 ducati tramite trattativa segreta spedendolo fuori Venezia. Prè Marchiori o Melchiori s’intromise talmente negli affari e nelle scelte delle Monache che queste, persa la pazienza, lo denunciarono al Patriarca Federico Corner:“per convivenza con una donna”, e venne così sospeso dall’esercizio dei Sacramenti intimandogli ufficialmente di non compiere più ingerenze nel governo del Monastero di Santa Caterina ... Avvalendosi però del suo titolo di Canonico Ducale, il Marchiori-Melchiori ribadì di non dover sottostare alla Giurisdizione Patriarcale ricorrendo al Doge … Gli venne perciò ritirata la sospensione, e si mise una bella pietra sopra a tutta la faccenda.

Gli anni intorno al 1620-1630, come ben sapete, furono piuttosto turbolenti ancora una volta per tutta Venezia: c’era ancora la maledizione della Peste che stavolta mietè come un campo di grano maturo tutta la gente della Laguna. I Necrologi Sanitari Venezianierano implacabili nella loro essenzialità: “il 30 ottobre 1630 presso la Calle degli Ormesini in Corte della Specchiera moriva Betta Specchiera de anni 39: di sospeto.”… cioè: eccone un’altra ! … L’ennesima della Contrada dei Santi Ermagora e Fortunato a morire … In San Leonardo negli stessi anni esisteva una Madonna “vestita” con 28 abiti preziosi, mentre sempre nello stesso interno c’era anche una Santa Agnese “vestita” con 5 abiti donati sempre da quelli della Contrada … Tutto quell’offrire generoso e devoto sembrava però non bastare, non serviva a nulla perché si continuava a morire inesorabilmente a grappoli come l’uva matura … In giro per Venezia c’era grande esasperazione e poca speranza, e tre Padri Domenicani “troppo faciloni e ottimisti”: due da Napoli e uno da Roma, vennero indotti a supplicare la protezione e il sostegno della Serenissima per fuggire alle molestie e le ingiurie loro inflitte di continuo nelle chiese parrocchiali Veneziane in cui si recavano a predicare: Santa Maria Formosa, San Geremia e San Marcuola di Cannaregio ... “Non c’era tutta quella Provvidenza e quella Benevolenza che piovevano giù dal Cielo sopra Venezia, né la Chiesa era così amprevole come diceva d’essere.” dicevano alcuni Veneziani ...  In ogni caso quelli furono casi sporadici, eccezioni, perchè Laura quondam Giuseppe Sandrin Linariol beneficò per testamento negli stessi anni la chiesa e i Preti della Maddalena lasciandole 500 ducati … e sempre un Prete della Maddalena presentò una supplica alla Signoria chiedendo l’approvazione e la conferma di una donazione di 24 campi nel Trevigiano regalati alla stessa chiesa Veneziana.

Nel 1642 dopo la stagione buia della peste, in Contrada di San Marcuola si contavano 5.409 abitanti e più di 130 botteghe erano state riaperte fra cui due Pistorie: quella Ai Do Ponti” che consumava 5.627 stara di farina, e l’altra in Rio Terrà che ne consumava 3.228 … Attorno e nei pressi di San Lunardo risiedevano e lavoravano altre 500 persone, e funzionavano altre 20 botteghe con un inviamento da forno ... A Santa Fosca se ne contarono, invece, più di 30 in attività … Tutto sembrava andare ed essersi ripreso per il meglio. Infatti fece grande scalpore in Contrada alla fine d’ottobre dell’anno seguente la notizia di Zuanne Campelli di anni 36 che: “… colpito da febbre e mal di mazuco per il qual mal si ha butato in acqua et se ha negato essendo 5 giorni che se ha butato in letto con sudeto male … in Cale del Amigoni …”

Alla Redecima del 1661 anche i Preti vennero regolarmente tassati dalla Serenissima per i loro beni e rendite: il Reverendo Piovan e il Capitolo dei Preti di San Marcuola pagarono soldi: 4 e denari 1, mentre il Piovan della Maddalena: Prè Melchiorre Bempo o Banpo pagò: soldi 3; il Secondo Prete della Maddalena: soldi 5 e denari 5, e la chiesa della Maddalena “in se” un’ulteriore tassa di soldi 1 e denari 2.

Cambiato il secolo e giunto il 1700, giusto nel primo anno i “Giuspatroni di San Marcuola”, ossia i proprietari degli stabili presenti in Contrada scelsero ed elessero il loro nuovo Piovano votandolo in 389 … Nello stesso anno s’iniziò a ristrutturare Santa Fosca in forma “classica”, e i restauri finanziati e guidati dal Nobile Filippo Donà si protrassero per trent’anni fino a mostrare il prospetto della chiesa che si vede ancora oggi. A poco valse però tutto quell’intenso lavorio, perché pochi anni dopo la chiesa prese fuoco e crollò perfino il soffitto: si dovette rincominciare tutto da capo, e si era nel 1741 come è dettato in facciata. La riconsacrazione di Santa Fosca avvenne soltanto nell’agosto 1753 a cura di Girolamo Fonda Vescovo di Nona in Dalmaziainviato dal Patriarca Alvise Foscari ... Intanto in Calle del Zavater ai Santi Ermagora e Fortunato Donna Giustina Campioni possedeva una casa-bottega da Zavatter affittata a Giovan Battista Torre che vi lavorava appunto da Zavatèr… Nell’ottobre 1719 presso i Provveditori Sopra ai Banchisi fece una “Scrittura di Compagnia” della durata di 4 anni su un negozio di merci di seta appartenente a Isabetta Madasco vedova di Valentin Barcellae a Giovanni Maria Gaspari di Antonio. Il capitale investito era di 11.500 ducati, e il nuovo negozio aperto fu quello “All’insegna dell’Amicizia” situato ai Due Ponti in Fondamenta San Leonardo… Nel 1745 Giambattista Tiepolotassato di lire 8 dalla Serenissima come Pittore, passò ad abitare dalla Contrada di San Silvestro dove spendeva 100 ducati annui d’affitto, alla casa già abitata dal Marchese Sanvitale di Parma in Contrada di Santa Fosca andando a pagare 170 ducati annui ... Il successo era successo, e permetteva alle persone di concedersi di più.

Fra 1728 e 1736 sotto il Piovano Prè Bartolomeo Trevisan toccò alla chiesa di San Marcuola d’essere rifabbricata dalle fondamenta ad un’unica navata ... L’antico Portico prospicente venne trasformato in Cappella, si demolì l’antico campanile pericolante, e l'Architetto Giorgio Massari intendeva ricoprire l'intera superficie della chiesa in candido marmo. Tutto, invece, rimase esternamente spoglio e incompleto come lo vediamo oggi, anche se la nuova chiesa venne riconsacrata nel settembre 1779 dal Patriarca Federico Maria Giovannelli originario della Contrada.

Nel maggio di quello stesso 1728 venne emesso un singolare divieto a Venezia: “Vietato a Speciali manipolare e vendere le “Pillole del Piovan”, secreto particolare della Speciaria in Campo Santa Fosca, tanto sotto la stessa denominazione e ricetta, quanto sotto alcun’altra forma …”
L’inventore di quelle speciali Pillole e di altre pillole Purgative e per la Blenorrea di cui deteneva l’esclusiva era Giovanni Girolamo Zannichelli da Spilamberto di Modena gestore della Spezieria all’Ercole d’Oro di Santa Fosca: Erbarolo, autore di prontuari e ricette di medicamenti, studioso di Chimica, Paleontologo, Zoologo nonchè Botanico della Laguna Veneziana … Morì proprio in quell’anno per i postumi di una caduta da cavallo patita durante un’escursione sul Monte Cavallo nelle PreDolomiti Venete.

Nel 1745 il Pittore Domenico Grandi abitava con moglie e figli in Contrada di San Marcuola in Calle della Madonna pagando 12 ducati annui d’affitto ... Nella maxiContrada erano ormai attive 207 botteghe … Nell’aprile 1760 venne pubblicata una curiosa, insolita ma innovativa inserzione nella Gazzetta Veneta: “Casa da affittar a San Marcuola al Ponte dell’Aseo a ducati 22 annui. Chi la vòl parli con lo Spezial da Medicine appresso in Calle … Ce n’è un’altra in Campiello del Remer sora al Canal Grande: si paga all’anno 80 ducati. Le chiavi sono nel detto Campiello … Un’altra ancora all’Anconeta: da pagarsi all’anno 34 ducati: chiavi dal Marangon in Calle dello Squerariol.” … Le Agenzie Immobiliari Veneziane avevano imparato a farsi pubblicità.

Il penultimo giorno di luglio 1774 sempre presso i Provveditori sopra ai Banchi venne redatta un’altra Scrittura di Compagnia della durata di cinque anni fra Carlo Pasinetti quondam Francescoe Giovanni Giacomo Pasini quondam Fioravante circa una fabbrica di sapone investendo un capitale di 8.000 ducati. La fabbrica affittata dal NobilHomo Vendramin divenne il Saponificio Pasini “col bollo della Colomba”sito in Santa Fosca in capo alla Fondamenta del Forner… Attorno a Santa Fosca c’erano allora 44 botteghe aperte, e vivevano 760 persone di cui 193 abili al lavoro fra 14 e 60 anni. I Nobili erano il 29% della popolazione presente in Contrada-Parrocchia, ma per loro il lavoro era un capitolo che non esisteva.



E siamo finalmente al 1800 … quando nella maxiContrada funzionavano ben tre Spezierie da medicine: “La Sacra Famiglia” al Rio Terrà di San Marcuola, “Li sei Gigli” a San Leonardo, e le “Le due Sirene Scapigliate” alla Porta del Ghetto gestita da Domenico Bozzato. Per disposizione dei CapiCotrada, lì fin dal 1770 si trovavano gli strumenti inservienti al ricupero “de sommersi”… Alla fine del settembre 1803 giunse in Contrada la nuova Visita Pastorale del Patriarca Flangini: il quadro che emerge dalla sua relazione è perlomeno curioso se non molto interessante: “Nei pressi di San Leonardo abitano 700 persone “detratti gli Ebrei e i soldati”, e sono funzionanti gli Oratori di Ca’ Labia e di Ca’ Grimani dove c’è un Abate incaricato ... La Fabbriceria di San Leonardo è significativamente indebitata perché a fronte di lire 125,19 d’entrate segnala uscite per 310 lire, mentre il Capitolo dei Preti a sua volta è indebitato per 15.688 lire a causa della ricostruzione di una casa in Contrada per la quale è stata accesa anche un’ipoteca di 6.200 lire ... Stranamente il Primo Prete di San Leonardo va a celebrare nelle Scuole dei Gesuiti “per arrotondare”, ma possiede entrate per 1.498,06 lire provenienti da affitti di sei case e due botteghe nonché da un buon Livello ... Nella chiesa di San Lunardo in ogni caso esercitano nove Preti fra cui un Padovano, l’Abate di Ca’ Grimani, un altro che va a fungere da Sacrista nella chiesa del Monastero del Corpus Domini, un ex Padre secolarizzato Dalmata, e un Prete Altarista e Mansionario che va ogni giorno a celebrare nell’Oratorio del Cristo di San Marcuola. C’è inoltre un Chierico “di buone speranze” che si comporta bene … In chiesa si celebrano 1.167 Messe Perpetue restando in sospeso da celebrare altre 917 Messe già pagate … si fanno questue per le Messe di Suffragio e per i bisogni della chiesa, si predica in occasione di Ottavari e Tridui, e si tiene la Dottrina Cristiana per le putte della Contrada.”

Circa San Marcuola e l’ Oratorio del Santissimo Crocefisso, invece, il Patriarca fece scrivere:“Qui vivono 6.000 abitanti tra i quali ci sono parecchie famiglie Ebree e alcune levatrici … Ci sono diverse Schole ospitate in chiesa, la Congregazione del Clero Urbano cioè una delle Nove del Clero Cittadino Veneziano, e la Scuola per la gioventù tenuta dai Preti … La Fabbriceria di San Marcuola funziona ancora discretamente bene, percepisce: 1.701 lire di rendita da doti di Mansionerie di Messe, Legati, Livelli, contributi di Schole ospitate in chiesa, e metà affitto di una proprietà di campagna ... In chiesa si spendono 1.777,10 lire, di cui 200 per il vino da Messa, 148 lire per l’olio delle lampade, e 272 lire per candele e cere varie ... E’ la Sacrestia di San Marcuola a dichiarare di possedere entrate “curiose” per 157,08 lire più gli “incerti di stola”. Le entrate sono costituite dalla metà dell’ottava parte delle offerte dei Matrimoni, dalla quinta parte dei due terzi delle offerte dei Battesimi, dalle elemosine fissate di volta in volta per i Funerali Solenni, e dai 12 soldi solitamente pagati per ogni Funerale Ordinario, dalle elemosine raccolte durante la benedizione delle case della Contrada (sottratte 20 lire per ciascuno dei 2 Preti benedicenti, 12 lire che vanno ai Chierici della Parrocchia, e 6,4 lire che spettano al Piovano) ... In compenso le spese dichiarate dalla Sacrestia sono perlomeno singolari: 76 lire per carta da scrivere, penne e inchiostro e stampati per i Battesimi, Morte e Matrimoni, certificati di Vita e Povertà e Passaporti ...”



Altrettanto interessanti si dimostrarono essere i Redditi della Mensa Capitolare dei Preti di San Marcuola: “… 4.183,18 lire di cui 2.356,18 da rendite di stabili siti in Venezia; 662,16 lire da rendite di campagne di Terraferma e delle Isole, e da Legati vari e contributi di Schole, mentre le uscite del Capitolo dei Preti consistevano in: 3.600,18 lire di cui 670,12 per pagare Decime e Imposte; 652,10 per pagare la celebrazione di Messe Esequiali e Messe Anniversarie; 732,16 lire per spese forensi; 930 lire per pagare i debiti dei restauri della chiesa, e 563 lire per i restauri che sono ancora in corso … Il Piovano di San Marcuola percepisce di rendita: 495,8 lire e gli “incerti di stola” provenienti dalla metà delle offerte per i Matrimoni, del terzo sui Battesimi, della quarta parte di ogni Funerale, della quinta parte delle offerte per le Messe Esequiali e delle collette varie raccolte in chiesa e in Contrada, dal ricavato integrale delle cere offerte per i Battesimi e i Matrimoni, dalla quarta parte del ricavato delle cere offerte ai Funerali e dalla quinta parte netta delle rendite degli stabili e delle campagne possedute dalla Parrocchia ... Le uscite e le spese del Piovano consistono in 1.471 lire di cui 142 per pagare la celebrazione delle “Messe pro Populo” a cui è obbligato, spende 832 lire per mantenere i Preti Curati, e 414 per le cere consumate in chiesa ...”

Si passò poi ad analizzare gli introiti degli altri Preti di San Marcuola: “Il Primo e il Secondo Prete Titolati del Capitolo dei Preti di San Marcuola usufruiscono della casa di residenza, di una quinta parte degli affitti di tutti gli immobili posseduti dalla Parrocchia in Venezia, di una quarta parte della metà delle offerte per i Matrimoni, della quinta parte dei due terzi dei Battesimi, della quarta parte dei Funerali, della quinta parte delle Collette raccolte in chiesa e in Contrada, della quarta parte delle cere offerte nei Funerali, della quinta parte delle offerte ricevute per celebrare Messe Esequiali, o per assistere alle Agonie e alle Sepolture … Il Terzo Prete del Capitolo dei Preti percepisce come gli altri, solo che non ha diritto alla casa di residenza perché è stata impegnata per sanare un debito della Fabbrica fatto nel 1755 … Il Prete Diacono del Capitolo ha diritto alla metà dell’ottava parte dei Matrimoni, alla quarta parte dei due terzi dei Battesimi, alla metà della quarta parte degli affitti degli immobili della Parrocchia, alla decima parte delle offerte per gli Esequiali, alla decima parte delle Collette raccolte, e a 4 soldi per ogni ducato raccolto per i Funerali Solenni o 6 soldi se capitavano Funerali di bambini … mentre il Prete Suddiacono riceve la ventesima parte di ogni Matrimonio, 2 soldi ogni ducato ricevuto per i Funerali Solenni e 3 soldi per i Funerali dei bambini … Il Secondo Prete Suddiacono riceve solo 40 lire e le percentuali stabilite di volta in volta per i Funerali Solenni … per questo quell’incarico rimane spesso vacante.”

La Parrocchia di San Marcuola era conosciuta fra i Preti di Venezia perchè possedeva ben 18.876,44 lire annuali provenienti dalla rendita di Messe da celebrare ... 6.496 erano, infatti, le Messe Perpetue, e 180 di media gli Esequiali e gli Anniversari, 931 le Messe Avventizie ... Probabilmente per questo ben 33 Preti “ronzavano” intorno alla chiesa oltre a quelli Titolati del Capitolo che erano tenuti a risiedervi stabilmente. C’erano diversi Preti Altaristi e Mansionari di Messefra cui un Padovano e un Palermitano, diversi Alunnidi Chiesa che andavano di solito a celebrare in altre chiese vicine: alla Misericordia, alla Maddalena, alle Cappuccine di San Girolamo, ai Santi Simeone e Giuda e a San Zàn Degolà… Alcuni erano domiciliati fuori città, a: Mirano, Treviso, Maerne e Castelbaldo,e facevano i pendolari con Venezia … un Prete era ritenuto come “maniaco”nell’isola di San Servolo ... e c’erano anche sette Chierici fra cui un Suddiacono e nove Confessori autorizzati ... e i Preti Curati ricevevano un’ulteriore mancia dalla liberalità del Piovano nelle date di Capodanno e nel giorno della Sènsa o Ascensione.

Oltre alle “fiera delle Messe”, in San Marcuola si celebravano le Esposizioni delle 40 ore, si esponeva il Santissimo ogni seconda domenica del mese, si celebrava un’ulteriore Messa Solenne per la Festa della Trinità, del Rosario, per San Valentino, San Michele e San Pietroquando la chiesa di San Marcuola riceveva come le altre l’omaggio di un candelotto dalla Cattedrale di San Pietro di Castello ... Si esponeva inoltre Solennemente la Reliquia della Santa Croce e quella della Santa Mano del Battista, e si benediva con le Sante Reliquie in tutte le Feste della Madonna… Non si mancava di celebrare l’Ottavario dei Morti, la Novena del Natale con Rosario mettendo lampade e candele al Crocefisso in mezzo alla chiesa … Si utilizzavano i denari di 4 Legati per acquistare arredi sacri, si questuava ogni giorno per i bisogni della chiesa … Si predicava tutto l’anno, si davano istruzioni per la Comunione e la Quaresima, si teneva la Scuola della Dottrina Cristiana per i putti ben frequentata e assistita direttamente dal Piovano e da tutti i Chierici disponibili … Dai giorni dell’Epifania di ogni anno si effettuava la benedizione porta a porta delle case della Contrada, anche se le offerte che si raccoglievano in quell’occasione erano sempre più scarse.

Circa la Maddalena il Patriarca Flangini verbalizzò: “Alla Maddalena ci sono 500 abitanti senza alcuna levatrice, e i proprietari degli stabili sono Juspatroni che eleggono il Piovano … Le rendite della Fabbrica, della Mensa Capitolare dei Preti Titolati provengono dall’affitto di sei case, cinque botteghe e un magazzino e sono ridotte come le uscite per le piccole spese ... esiste un Legato specifico per acquisto di suppellettili di chiesa la cui riscossione è sospesa … In chiesa le Rendite da Mansionerie di Messe ammontano a 1.167,2 lire, e si celebra anche una Mansioneria particolare pagata coi redditi di quattro campagne … Si celebrano inoltre 1.500 Messe Perpetue; 23 fra Esequie ed Anniversari, 40 Messe Avventizie, e una Messa Solenne e Cantata in Terzo per tutte le Feste … Si tiene ancora l’Esposizione del Santissimo la prima domenica del mese per la quale esisteva un apposito Legato la cui riscossione è stata sospesa … Si predica e recita il Rosario ogni domenica e il sabato sera … Si organizza l’Istruzione per la Prima Comunione i martedì di Quaresima mentre la Dottrina Cristiana non c’è perché non si è mai costumato, anche se il Parroco ne tenta l’istituzione ma non viene alcuno ... Ci sono inoltre altri otto Preti ascritti alla chiesa, e alcuni Chierici di cui il Piovano si dice contentissimo anche se talvolta mancano alla recita dell’Ufficio della Madonna ... Secondo altri dovrebbero essere ammoniti perchè fanno unitamente la Comunione nelle domeniche e nelle feste principali … C’è poi Don Durello già Secondo Prete della Maddalena e ora Parroco a Spinea che non ha mai voluto rendere conto della sua amministrazione: ha contratto 2 debiti di 1.600 ducati e 750 ducati all’8% senza alcun permesso, e pur dichiarandosi creditore di 100 e più ducati ha ottenuto dal Parroco ulteriori 491 lire …”

Ancora secondo gli appunti del Patriarca Flangini: “Vicino e nei pressi di Santa Fosca e dell’Oratorio di Ca’ Cattaneo vivono 700 Veneziani accuditi e sostenuti da una levatrice e dai servizi offerti dalla Speziaria da Medicine dell’Ercole d’Oro di Santa Fosca ... La Fabbriceria della chiesa è fornita di poche rendite: 129 ducati da affitti di alcune caxette e da due Legati, e gestisce poche uscite-spese per 94 ducati di cui 155 lire per consumo d’olio e 62 lire per le candele dell’antica Festa della Purificazione … Piovano e Preti del Capitolo di Santa Fosca possiedono le solite rendite e la casa di residenza … Diciotto Sacerdoti e due Chierici sono presenti in chiesa (uno è ammalato, non recitano l’Ufficio della Madonna ma ascoltano la Messa tutti i giorni e frequentano con profitto la Dottrina a San Felice) ... Predicazione annuale, Quaresimale, Novene, Istruzioni, Dottrina Cristiana per le putte della Contrada … 3.792 sono le Messe Perpetue che costituiscono 11 Mansionerie Quotidiane Ridotte finanziate da due Lasciti risalenti al 1400, da sei Lasciti del 1500, quindici del 1600 e dodici del 1700 ... Messa Cantata il giorno di San Barnaba … funzione del Giovedì Grasso, dell’ultimo giorno dell’anno, funzione mensile in onore di San Francesco di Paola … Tre legati per l’olio della lampada del Santissimo di cui uno risalente al 1299 … Questua per finanziare la Devozione alla Beata Vergine del Rosario, e questua per il Suffragio delle Anime del Purgatorio …”

Sette anni dopo la Visita Flangini, nel 1810, la chiesa della Maddalena venne prima declassata ad Oratorio Sacramentale e poi chiusa del tutto al culto. Il Piovano venne trasferito in Contrada di San Geremia, mentre Santa Fosca divenne Rettoriale: si sospese ogni attività pastorale e parrocchiale, e l’ex Piovano Don Giovanni Giacomuzzi succedendo a Don Antonio Borgato divenne Parroco di San Marcuola alla cui cura vennero tolti i “circondarii di San Girolamo, Sant’Alvise e Rio della Sensa” che vennero affidati alla Parrocchia di San Marziale.



Nel 1836 la popolazione della maxi Contrada di San Marcuola era davvero in flessione e depressa economicamente: in Contrada c’erano 2.900 persone di cui 1.994 dichiarati poveri, ossia il 69% ... Gli uomini della “Fraterna Parrocchiale”, estensione contradariale della Commissione Generale di Pubblica Beneficenza istituita a Venezia dal 1817, visitavano e censivano “i miseri” cercando di “supplire e provvedere a condizioni civili d’esistenza”... Quel che rimaneva della Fabbriceria di San Marcuola gestiva poche lire provenienti da affitti spesso  morosi o soggetti ad atto giudiziario, e dai quattro campi ancora posseduti a Campocastello frutto del testamento Tomadello-Martello del lontanissimo 1432 … la Cassella delle Anime in chiesa procurava introiti incerti … la sovvenzione statale a favore di San Marcuola non venne più riscossa in quanto inglobata e destinata al restauro del campanile cadente di Santa Fosca di cui non si potevano più suonare le campane … Gli Oratori Sacramentali privati delle famiglie: Cagliachi, Casatuta, Correr, Giovannelli, Grimani, Pozzati, Torniello e Vendramin Callergi vennero uno dopo l’altro chiusi e dimenticati.

Nel 1853 il Calendario delle scadenze del Capitolo dei Preti della Contrada di San Marcuola ricordava e prevedeva: “Ogni sabato alle ore 12: Coroncina dell’Addolorata … Tradizione dei “Nove mercoledì” in preparazione alla Festa di San Vincenzo Ferreri del 5 aprile … Durante la Quaresima predica quotidiana del Quaresimale come in altre 37 chiese di Venezia … Domenica delle Palme: inizio della Solenne Adorazione delle 40 ore … 13 giugno: Festa di Sant’Antonio da Padova con Messa Solenne e benedizione sull’omonimo Ponte di Sant’Antonio alla Maddalena ... 21 Giugno: Festa di San Luigi Gonzaga. Al mattino Messa Solenne con panegirico, canto dell’Inno del Santo al pomeriggio e spesso Prime Comunioni alle ore 8 del mattino ripetute nelle 6 domeniche successive dedicate ugualmente al Santo. Tutti i Comunicandi sono tenuti a iscriversi alla Compagnia di San Luigi: i giovinetti dovranno presentarsi con nastro bianco al braccio, e le bimbe col velo candido in testa. Per tutti sarà d’obbligo la Comunione frequente e la pratica della Castità e della Purezza: principali virtù dello stesso Santo.”

“Alla Visita alla Contrada del Patriarca Domenico Agostini prima e del Patriarca Aristide Cavallari poi si contarono ogni volta 4.500 Anime da Comunione distribuite in 1.050 famiglie … ma l’aria che tirava in Contrada era cambiata perché appesantita purtroppo dalla presenza di circa 2.500 Inconfessi inutilmente pressati dai tre Preti rimasti in San Marcuola famelici come segugi scodinzolati ... ma senza più denti capaci di mordere.“... Nel 1881 si decise finalmente di atterrare la cadente antica torre-campanara dei Nobili Baffo posta ancora in mezzo al Campo della Maddalena. Venne sostituita da un “aereo campaniletto alla romana collocato sui còppi della cièsa”… il Campo della Maddalena venne così liberato dopo secoli su secoli di Storia … S’era proprio conclusa un’epoca.



Fine dell’ottava parte/continua.

“San Marcuola a “luci rosse” nel 1500.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 184.

“San Marcuola a “luci rosse” nel 1500.”
(nona parte)

Nella maxiContrada di San Marcuola composta da Nobili “lucidi e tirati”, da un Clero totipotente e soverchiante, spesso anche esoso e  pieno di se, nonché più che spesso impenitente e rissoso; oltre alla grande folla degli Artieri e della gente comune Veneziana che viveva e lavorava, non mancavano le figure talvolta “maliziose e basse” delle Prostitute,cioè delle “Signorine” che per vivere o sopravvivere intraprendevano il “lavoro più antico del mondo”.

Dalla solita lista del 1500 già conosciuta, estrapolo alcune singolari presenze ridotte quasi sempre a un solo nome fugace, che però hanno di certo “marcato” la storia della Contrada con la loro “fattiva presenza e attività”.


Nel labirinto di caxette che sorgono tuttora accanto al Ponte de Noàl proprio sul bordo estremo della Contrada allargata di San Marcuola, che va poi “a guardare” sul Canal Grande da quella parte, c’erano: Amabile Verzotta padrona di se stessa, che esercitava “a un soldo”: cioè per quella che pareva essere la “cifra equa” di quel tempo. Vicino a lei abitava: Elena Senese che viveva con sua madre chiedendo due soldi a prestazione, e Franceschina Verzotta, probabile sorella dell’altra, che andava ad utilizzare per i suoi appuntamenti la vicina casa di Mastro Zorzi Tesadòr de Panni e forse suo “tutòr”… Esisteva inoltre una seconda Franceschina disponibile sempre allo stesso prezzo, che abitava nella zona“in casa Dentòn”… e ce n’era pure una terza di Franceschina: quella “di Giacesi”, che costava però il doppio, e gestiva i suoi affari sempre lì: “sòra al magazèn de queo che vende vin”.


Poco più addentro nella Contrada, nelle calli sconte e torte del Traghetto della Maddalena che tragittava a San Stàe, abitavano ed esercitavano “a un soldo”: Andriana, Betta e Franceschina chiamata: “la Barcaròla” in casa di una certa Cate detta “la Schiavona”. Poco distante, sempre nella Contrada della Maddalena, c’erano ancora: Attallante disponibile quasi sempre “a un soldo” presso il Ponte Storto in casa di Costanzadove c’erano anche: Violante Senese “a quattro soldi”, ed Elena Da Canal che di soldi ne pretendeva giusto la metà rispetto la collega.

Pochi passi oltre ancora, nei pressi del Ponte della Nobilissima Cà Marcello, risiedeva “nel Portego scuro”: Franceschina “paròna de se stessa a un soldo”… A Santa Fosca nelle “case della Carità” gestite dai Preti abitava da sola e “ospitava a un soldo”: Andriana Zen in concorrenza con Andriana Schiavonetta “donna maridàda”, che praticava a casa di sua madre “che le faceva da ritornello”. Sempre là presso sua madre Caterina, c’era anche Cornelia Schiavonetta “sconsigliatissima ! … perché donna da pericolo di cariòli” … forse per questo si dava a un soldo solo.

Giù del Ponte dei Servi, poco distante dal famoso Convento di Fra Paolo Sarpi, andava ad appostarsi e “lavorare”: Antonia Spagnuola che utilizzava per il suo “servizio amoroso di lusso da sei soldi” la casa della sua massèra.Poco distante dallo stesso ponte, in casa di sua madre, abitava anche Elena la “Rossa” accessibile facilmente per ½ soldo.


Nella Contrada vera e propria di San Marcuola, vivevano affacciate sull’omonimo Rio: Anzola e Laura dall’Isola di Muranoche si potevano contattare pagando un soldo e andando a picchiare il bataòr del portone di Donna Medea ... Sempre in Contrada riceveva in maniera tranquilla e riservata, cioè “per quattro soldi”: Marietta Grega che però veniva contattata dall’altra parte di Venezia tramite Lucrezia che abitava a San Zuan in Bragora a Castello.

Ci doveva essere poi un vero e proprio bordello e postribolo in Calle dell’Aseo, sempre a San Marcuola, una specie di piccolo quartiere a luci rosse, giusto nel cuore della maxi Contrada, proprio a pochi passi dalla superfrequentata chiesola dell’Anconetta che pareva farle proprio da antipode e contraltare. Bastava andare a bussare alle singole porte della “Calle del piacere”, e c’erano lì concentrate e quasi sempre disponibili in attesa: Chiaretta Padovana che si poteva contrattare direttamente tramite sua madre “a offerta libera”, e Giulia Balbi che di soldi ne voleva due “trattando”a casa di sua madre che “le teneva tèrzo” cioè la favoriva ... Accanto a loro stava: Giulia Stravacina, sempre a un soldo, che intratteneva in casa di Marietta Baffo ... Poco più avanti nella Calle verso il Ponte dell’Aseo, stazionava in casa della sua massèra Caterina: Cecilia “zòtta” pronta a “compagnia per due soldi”, e Chiaretta Pisana che sapeva intrattenere anche cantando e suonando per un soldo “a casa de so màre (madre)”: Orsa ... Ancora lì sul Ponte c’erano: Ippolita Padovana con la quale serviva accordarsi in anticipo, ma in ogni caso sempre per non meno di quattro soldi, e Marietta “Bombardona” che già il nome era tutto un programma(lavorava “a due soldi” in Corte de Cà Lezze nella casa della sua massèra de famègia) ...Sempre come conglomerate là vicino al Ponte dell’Aseo, c’erano infine: Paolina Padovana “a quattro soldi”, che abitava insieme a Maria Visentin, e “Siora” Paola Pisana “tuttofare a dieci soldi in casa de so màre … bòna donna anca èa”.


Seguendo poi la stessa calle e superato il Ponte sopra al Rio della Misericordia, e seguendo la Fondamenta degli Ormesini giusto sul confine della Contrada,procedendo ancora un poco oltre si entrava nella zona della cintura periferica dei Monasteri di Sant’Alvise, deiRiformati, della Madonna dell’Orto da una parte, e di San Gerolamo, delle Cappuccine, e di San Giobbe dall’altra. Non che lì fossero tutti “santi e sante”, perché anche lì abitava da sola giusto sulla Fondamenta del Ghetto: Antonia “la zòtta”che “ci sapeva fare per soldi quattro” come Ipolita “Zudèa” sulla Fondamenta della Misericordia, che voleva la stessa cifra ...Poco più avanti, sulla Fondamenta di San Girolamo, stava in casa da sola disposta ad “interagire”: Anzola, che di giorno faceva la “Becchèra” (macellaia), e di notte “arrotondava” a un soldo, e Marina Vespa “più carotta: a sei soldi” in una delle case di proprietà di Cà Moro.


Sempre in quella stessa zona e Contrada, risiedeva e “lavorava”una “delle più preziose”: Giulia Festina, che non si scomponeva per meno di quindici soldi contattata da Donna Chate che di professione faceva la “mèttimassere”(procuratrice di massaie, domestiche di casa … e altro) in Campo Santa Margherita in Calle del Forno ...  Primeggiava su tutte poi: Livia Azzalina a San Marcilian in Corte de Cà Bàdoer al Ponte dei Sassìni. Era la “più preziosa di tutte” perché voleva venticinque soldi“a bòtta” ospitando in casa delle sorelle Maria e Meneghina Visentincon le quali spartiva il ricavato. Poco distante c’era, viceversa: Betta “donna di garbo a sei soldi” nelle vicinanze della Madonna dell’Orto dove c’erano anche “la Vienna” a sei soldi sistemata nella casa della sua massèra … e la “riservata” Cornelietta che viveva da sola a Sant’Alviseprestandosi per un soldo.In prossimità c’era un’altra casa di proprietà dei Nobili Zustiniàn tenuta dalla stessa mammana, mezzana e ruffiana Cate Schiavona del Ponte de Noal, dove esercitava di solito: Giulia “Fornèra” prostituta “d’alto bordo”, di livello superiore rispetto le altre, che valeva dieci soldi “per volta”.


Eccole quindi elencate tutte … più o meno … Insomma non mancavano in Contrada di San Marcuola “le occasioni”, e c’era di “che divertirsi” all’occorrenza e a volontà … Inutilmente i Preti del Capitolo di San Marcuola tuonavano dal pulpito della chiesa, così come i Patriarchi ad ogni Visita Pastorale: “… erano come tuoni e fulmini a ciel sereno che lasciavano il tempo che trovavano” perché a Venezia anche allora la vita scorreva così … Punto e basta.



“IL TESORETTO NASCOSTO DELL’ULTIMA SERENISSIMA.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 185.

“IL TESORETTO NASCOSTO DELL’ULTIMA SERENISSIMA.”

Se ne dicono tante a Venezia e su Venezia, anzi: tantissime … Buona parte delle cose vengono sparate soprattutto sui Social per accalappiare l’attenzione di “amici”, clienti o ipotetici lettori, turisti, curiosi o compratori, e ne vengono perciò fuori “prodotti e notizie pseudoseri” con l’intento soltanto di far effetto.

Fra le tante voci che circolano ce n’è una che mi pare più curiosa e meritevole d’attenzione di altre. E’ quella che riferisce di un fantomatico “tesoretto”della Serenissima nascosto dai Veneziani poco prima dell’arrivo degli invasori Francesiall’inizio del 1800, cioè proprio negli ultimi giorni della sua illustre Storia, in quei momenti in cui intuì che ormai tutto era finito e perduto. Penso sia una voce eh ! … o poco più … Ne è però rimasta l’eco, anche se priva di oggettivi riscontri … Tutti quelli che per un motivo o per l’altro si sono dedicati alla caccia e scoperta di quell’ipotetico tesoro non ne hanno mai ricavato nulla, né sono mai riusciti ad andare oltre la pura e semplice illazione e supposizione.

Quasi a cavallo con la leggenda, si vociferava a Venezia che Doge, Signoria e Nobili consapevoli del loro “tristo destino imminente”, avessero raccattato buona parte delle loro sostanze e delle consistenti preziosità che ancora possedevano andando a nasconderle e sotterrarle lì dove mai si sarebbe potuto provare a cercarle e rinvenirle. Si diceva ancora che l’agonizzante Serenissima avesse deciso questo gesto dopo aver passato puntigliosamente al setaccio ogni chiesa e Monastero di Venezia e della Laguna appropriandosi con un ultimo gesto inconsulto di ogni bene prezioso rimasto: denaro contante, preziosi, oreficeria soprattutto, cioè “cose di sicuro valore” buone per essere messe da parte per magari finanziare un’ipotetica “rinascita o ritorno”sullo scenario Lagunare, Veneto e internazionale.
Non sarebbe potuto succedere ? … La speranza è sempre l’ultima a morire: di ribaltoni nella Storia se ne sono visti sempre.

Si sussurrava quindi che buona parte di quella “refurtiva di Stato” fosse stata poi fusa in Zecca e fatta sparire nottetempo senza lasciare traccia alcuna, non registrandola affatto sui secolari e puntigliosi Libri di Palazzo. Da quel momento fu tutto un fantasticare e ipotizzare su quelli che potevano essere i “rifugi segretissimi” in cui poteva essere stato raccolto e celato quel fantomatico tesoretto.

Io penso in realtà che tutto questo non sia accaduto e sia soltanto una storiella da mercato e da osteria … Comunque al riguardo in seguito se ne dissero e inventarono un po’ di tutti i colori. Si disse anche che qualcuno avesse messo a bella a posta in giro delle voci fasulle per depistare e confondere gli invasori nuovi arrivati e i soliti avventurieri curiosi. Si vociferarono mille location diverse del tesoretto, a volte le più improbabili e adatte per confondere le idee. Per qualcuno il “Tesoretto della Serenissima” era stato nascosto dentro alle storiche tombe dei Nobili Veneziani… oppure dentro alle Cappelle Funerarie di Famiglia… Altri dissero che era celato dentro ai Monumentali tumuli Funerari appesi alle pareti delle chiese di Venezia. Fra tutti il più quotato fu forse l’esoterica tomba del Canova a forma di piramide presente in chiesa ai Fraricon quella sua porticina sospetta e misteriosa, qualcuno disse: “creata ad arte per accalappiare i curiosi”.


Poi le voci si sovrapposero e sprecarono: qualcuno formulò l’ipotesi che il tesoretto fosse stato occultato in qualche isola della Laguna, magari in una insospettabile … A tal riguardo non si mancò di fare tanti nomi: sotto e dentro alle fosse comuni degli Appestati di Sant’Arian o sotto al Monastero Eremitico e le cripte della Certosa di Sant’Andrea di fronte al Lido, posto che era carissimo ai Veneziani  … o ancora: sotto e dentro alla cripta di San Zaccaria comodamente raggiungibile e presente solo a due passi da Palazzo Ducale … o sotto alla cripta di San Simeone Piccolo, o in quella chiusissima e sconosciuta di San Giovanni Elemosinario di Rialto: proprio nel cuore della città e soli due passi dall’Emporio Realtino … O ancora: nell’isola di San Clemente sotto la Santa Casa, nell’Isola di San Giorgio Maggiore dei potentissimi Monaci Benedettini dove s’era creato anche il nuovo Papa all’inizio del 1800 … o a Torcello: nella cripta “stranamente divenuta piccola” posta sotto all’antico chiesone … e chi più ne aveva più ne metteva e diceva ... e più ne inventava.


Sta di fatto, che quando arrivarono in città sia i Francesiche gli Austriaci, entrambi forse sulla scia di tutti questi discorsi si misero a disfare e distruggere … e probabilmente a cercare. I Veneziani, forse anche un po’ divertiti per tutto quel girare a vuoto, spiegarono che tutto quell’abbattere, sventrare e sgretolare non era affatto dovuto alla cancellazione delle tracce del vecchio regime della Serenissima, ma era proprio un continuo tentativo di andare alla caccia, scovare e dissotterrare quel famoso tesoretto di cui tanto si vociava in giro.


Sembrava, infatti, quasi impossibile a tutti che la tanto blasonata e ricca Venezia non avesse lasciato nulla, e avesse finito la sua illustre Storia in quel modo così dimesso e con le casse dello Stato completamente vuote. Buona parte dei conquistatori pensò bene e credette a lungo che ciò non fosse stato possibile, che Venezia non poteva essere così squattrinata, e che quindi fosse fondata la storia dell’esistenza del tesoretto, e che da qualche parte dovesse per forza essere celato qualcosa.

In tanti, infatti, giustificarono quel continuo radere a terra sistematico e quasi ossessivo di intere chiese e Monasteri da parte dei Francesi … vedi l’isola della Certosa, ad esempio, completamente cancellata fino alla fondamenta … o il Monastero di San Giorgio Maggiore di fronte a Piazza San Marco sventrato in lungo e largo con la scusa di ricavare nuovi alloggi per i Militari … In molti spiegarono che erano gli effetti della caccia al fantomatico tesoretto.


Si disse anche sempre a tal proposito, che i Francesi non si siano fatti scrupolo di torturare a fondo anche vecchi Nobili e tutto il personale della Segreteria Ducale a caccia di qualche straccio d’informazione che potesse risultare utile a tal riguardo … Si disse ancora che per giorni e giorni una speciale squadra Francese abbia passato palmo a palmo a setaccio tutte le pareti di Palazzo Ducale bussandole palmo a palmo a caccia di una qualche rientranza o porta segreta che desse accesso a qualche sala dove si fosse potuto occultare sapientemente quel famigerato tesoro.

Un’ulteriore leggenda metropolitana racconta di un Monaco Camaldolese“uomo fidato” dell’ultimo Doge, suo Confessore e depositario di alcuni suoi segreti, che lasciò nottetempo le Lagune Veneziane portandosi dietro “nella mente” la collocazione segreta di quel “tesoretto Serenissimo” ... Si dice ancora che abbia vagabondato nel Veneto spostandosi di continuo di Monastero in Eremo e Convento passando per l’Eremo di Monte Rua sui Colli Euganei, l’Abbazia di Praglia poco distante, l’Isola di Barbana a Grado, San Francesco del Deserto, l’Abbazia di Santo Stefano a Bologna e quella di Pomposa portandosi dietro quelle notizie così preziose fino a portarsele in una sperduta Abbazia posta ancora oggi sulle Alpi del Delfinato dove andò a morire. Qualcuno ha concluso che si portò con se nella tomba quelle indicazioni … Altri, invece, hanno continuato a supporre e sostenere che in punto di morte il Monaco abbia tramandato a un altro Abate quel segreto come “retaggio prezioso da tramandare”… Insomma: c’è in giro ancora oggi qualche Abate che conosce la segreta collocazione di quel fantomatico quanto prezioso tesoro.

Chissà ?


E’ curioso ancora ricordare, che “gratta gratta” qualcosa i Francesi finirono per trovare: poche briciole però, non quello che andavano cercando … Trovarono qualche piccolo patrimonio nascosto da qualche Nobile o Monaco la cui carriera era giunta alla conclusione … ma niente della ormai “moribonda”e cadente Serenissima. Qualche camera segreta a dire la verità fu scoperta, qualche armadio finto, qualche libreria scorrevole e qualche porta occultata venne aperta e qualche forziere scassinato … Non emerse però la sorpresa che tanto si andava sperando, cercando e ipotizzando … Più di qualche vignetta d’epoca dipinse e ritrasse i nuovi conquistatori Francesi e Austriaci come dei cani segugi affamati intenti a “raspare” inutilmente nel fango della Laguna … e qualche Veneziano se la rise di gusto.


Non si trovò mai nulla … Neanche le congetture più insolite, astruse e raffinate portarono mai a qualche risultato. Inutilmente anche nel secolo scorso si dice che alcuni Militari abbiano più e più volte fatto scandagliare, rovistare e ispezionare palmo palmo tutte le isole e “terre incerte” della Laguna continuando ancora la caccia a quel fantomatico e “quasi certo” tesoro Veneziano. Ho letto che a un certo punto quella ricerca divenne quasi un’ossessione per un Generale che si dedicò anni su anni a cercare e ricercare … Niente.

Si sostiene infine ancora oggi in qualche pubblicazione, che tale mitico tesoretto oltre ad essere esistito veramente, possedesse un accesso protetto da enigmatiche chiavi e protezioni … e si continua ancora a sostenere che sia stato occultato talmente bene dagli ultimi uomini dell’antica Repubblica Serenissima … da rimanere ancora oggi sepolto da qualche parte: introvabile, “posto lì dove è stato messo” in attesa di un ipotetico quanto improbabile “risveglio di un Nuovo Leone”.



“INCONFESSI, SCOMUNICATI E INSORDESCENTI ... A SAN MARCUOLA”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” –  n° 186.

“INCONFESSI, SCOMUNICATI  E INSORDESCENTI 
... A SAN MARCUOLA”
(decima parte)

Già nelle precedenti Visite Pastorali si era messo a verbale che nella Contrada di San Marcuola c’era la presenza inquietante di alcuni “Inconfessi, Scomunicati e Insordescenti”… Stavolta il Piovano alla Visita del 1821 del Patriarca Pirker se ne stava seduto a capo chino e composto di fronte a “sua Eminenza” in visita, e sottovoce terminò di elencare e dire: “… e in più ci sono cinque o sei prostitute che vivono in Contrada, con forse una decina d’Inconfessi …”  

Lo disse però quasi con un sussurro, e come con un senso di liberazione finale.

“Quanti ha detto Reverendo ?” replicò prontamente il Patriarca austerissimo osservandolo impassibile da sopra gli occhialetti dorati che teneva appollaiati sul naso.

“Sono tre o quattro Eminenza … forse una decina in tutto.” ripetè di nuovo a mezzavoce il Piovano avvampando in viso … Stavolta il numero parve un lamento.

“Così pochi ? … Ma li ha per davvero contati Signor Arciprete ?”

“Lei dovrà scusarmi e compatirmi Eminenza Reverendissima, ma credo sappia già quale sarà la mia risposta …. No … Non li ho contati … Anzi: è da un bel po’ che non riesco ad annotarli … Mi limito solo a qualche pubblico avvertimento o richiamo di qualcuno per strada, ma non so affatto quanti siano gli “Inconfessi” e gli “Scomunicati” che vivono della mia Parrocchia e nostra Contrada …”

“E neanche il numero degli “Insordescenti” … immagino conosca …” aggiunse stavolta il Patriarca togliendosi l’occhialetto e appoggiandolo sul tavolo mostrando uno strano sorrisetto enigmatico. Poi lasciò per un attimo d’osservare le carte dei verbali sulla Contrada, lasciò anche di guardare il Piovano e i Preti che gli stavano seduti accanto … e andò a perdersi con lo sguardo lontano … fuori dalla finestra aperta.

Là nello spazio esterno della Contrada le Rondini gridavano in cielo tutta la loro disperazione … o forse era una sguaiata risata ? … mentre quasi con prepotenza l’intenso odore dei Gelsomini che riempiva Venezia come un’invisibile nube onnipresente entrò dentro alla stanza spingendosi fino a solleticare le stimatissime quanto preziose narici dell’Illustrissimo Prelato in Visita Pastorale a San Marcuola. Non visibili ma poco distanti si avvertivano anche il chiacchericcio pettegolo delle donne per strada, e l’allegro vociare dei bimbi e delle bimbe della Contrada che si rincorrevano e giocavano fra calli e campielli.

Quell’attimo col Patriarca impietrito a guardar fuori sembrò durare un’eternità … Pareva che il tempo si fosse fermato. Poi improvvisamente l’Eminenza Patriarcale si riscosse da quella specie di trance inconsueta, e percorso come da un brivido scrutò di nuovo il Piovano che gli stava seduto di fronte ancora a testa bassa. Poi di nuovo con un filo di voce che non sembrava neanche la sua gli disse con una smorfia disgustata della bocca: “Capisco Reverendo ... Sapesse quanto la intendo … I tempi sono repentinamente cambiati anche in questo angolo di Venezia … Il Gregge come i Pastori sono abbacchiati e confusi … E’ troppo grande da compatire e comprendere il ribaltamento che sta vivendo questo nostro mondo concluso … Se sono poi incerti e smarriti i Pastori … figuriamoci le pecore ! … Ritengo che ormai da tempo il Lupo diabolico e invisibile stia tessendo le sue trame facendo man bassa su quelli che sono stati i nostri secolari pascoli … Non vedo più di guardia i mastini determinati di un tempo … Vedo solo staccionate divelte e ovili deserti … e invano sento voci rauche gridare al vento richiamando chi ormai se n’è andato altrove forse irrimediabilmente … Non credo che stavolta ci sarà un altro ritorno del Figliol Prodigo …”

“Sono mortificato Eminenza … Questa nostra attuale condizione …”

“Lasci stare Reverendo … Non si crucci nel cercar spiegare cose e situazioni più grandi di lei … Lei non ha particolari colpe, né è diverso da tanti altri … E’ questo nostro mondo che si è rovesciato … e quell’Albero, quella Quercia robusta e antica che credevamo imbattibile e capace di resistere a tutto e tutti, forse adesso sta mostrando al sole le sue radici che non sanno più trattenerlo al suo posto di sempre … Sono: “Mala Tempora” Reverendo … Mi creda: Mala Tempora …” e per un attimo il tono del Pastore di tutti i Veneziani sembrò quasi trasformarsi in un singhiozzo … Ma fu solo una sensazione transitoria perché il volto del Prelato tornò subito ad essere ieratico, impenetrabile e dall’aspetto di pietra ... lo sguardo quasi torvo e minaccioso. Fu come un attimo d’incertezza e d’inattesa debolezza, e il Patriarca tornò subito ad indossare l’immagine “determinatissima e fiera” di sempre.

“Il prossimo autunno Reverendo lascerà a qualcun altro la cura di questo povero gregge e di questa Contrada sfortunata.” sibilò come in un alito liberatorio il Patriarca senza alzare a sua volta lo sguardo e tornando per un attimo a guardare fuori e lontano. Poi, detto questo, con un gesto quasi irritato chiuse bruscamente il registro ricoperto di cuoio dorato che gli stava davanti … abbandonò sul ripiano del tavolo penna e calamaio, s’alzò di scatto allontanando la sontuosissima sedia posta dietro e sotto di se, e inseguito dal piccolo seguito “scondinzolante”dei suoi, uscì dalla stanza senza attendere che qualcuno gli aprisse la porta … “Sparato”poi, quasi volando a qualche centimetro da terra, scese lesto le scale buie dell’Archivio di San Marcuola addobbato a festa per l’occasione, e si precipitò in strada e poi subito dopo in chiesa per un’ultima visita conclusiva di San Marcuola.

“Deo gratias !” mormorò fra se e se il Piovano asciugandosi il sudore che gli colava copioso dalla fronte con un fazzoletaccio intriso, appallottolato e consunto ... anche sulla schiena sentiva scorrere un rivolo bagnato ... Fu però solo un brevissimo attimo liberatorio il suo, un misto di soddisfazione, emozione e smarrimento insieme, perché si ritrovò subito a rincorrere il Patriarca e i suoi riprendendo a sfoderare ancora una volta il suo migliore sorriso, e mostrandosi compiaciuto a tutti i parrocchiani che gli si paravano di fronte. La gente di San Marcuola alla vista del Patriarca per strada si prostrò immediatamente in ginocchio baciandogli riverenti la mano anulata, mentre quelli del seguito non smisero un attimo di pararsi intorno impettiti, e l’ultimo della fila “non visto dall’Eminenza”, non smetteva un attimo di far segno a tutti di applaudire al passaggio del loro Pastore. Ne venne fuori come un continuo applauso strozzato e incerto, quasi rubato, fatto come da pochi dentro a un teatro vuoto … ma non aveva importanza: la Storia stava facendo ugualmente il suo corso, e sopra a tutto e tutti continuava a sovrastare quello stridore intenso delle Rondini, festose pure loro, mentre in lontananza si distinse chiaramente nell’aria e giunse all’orecchio di tutti il suono della collana d’improperi e “saràcche”provenienti da un gruppo di Gondolieri del vicino Stazio e Traghetto in riva intenti a litigare fra loro e con un improvvido e prepotente passeggero da traghettare.

“Buon Dio !” esclamò uno di loro concitatissimo … “Ghe xe el Patriarca ! … Tasè fradèi ! … Ch’el ne spedisse tutti all’Inferno !”

Il Patriarca bonario finse di non udire nulla e sorrise amabilmente salutando tutti con la mano … I Gondolieri e la piccola folla del Traghetto si assieparono a salutarlo a loro volta aprendosi e collocandosi parte a parte del passaggio del Pastore. Tutti si tolsero di testa il cappello di testa in segno di rispetto … Quasi tutti si segnarono devotamente quando il Patriarca impartiva “a raffica” le sue benedizioni tagliando a fette l’aria di continuo prima verticalmente poi orizzontalmente: “Viva el Patriarca !”gridò una voce femminile sporgendosi da una finestra spalancata in alto sopra nella calle.

“Viva el Pastor de Venessia !” tuonò un Gondoliere del gruppo facendosi forza … e stavolta scrosciò per davvero l’applauso, mentre il Patriarca s’infilò senza fermarsi dentro alla porta della chiesa di San Marcuola, che non mancò di cigolare e sventolare sui cardini quasi fosse stata la porta di un Saloon da Far West.

Il potente “uomo rossovestito e immerlettato” non fece a tempo a entrare in chiesa, che l’organo di San Marcuola riempì subito l’aula della chiesa con le sue solennissime, rotonde, virtuose e possenti melodie … Trombe, trombette, tromboni, corni e pifferi soffiarono all’unisono, mentre i bassi potenti dei pedali fecero vibrare l’intero edificio del Sestiere di Cannaregio… Allo stesso tempo le campane si ribaltarono in gruppo su nell’esile campaniletto “a vela” piazzato sull’angolo del tetto della chiesa … e in ogni angolo della Contrada ci fu di nuovo tutto un accorrere, un ciabattare e un intenso trafelato correre su e giù per i ponti e per le calli per convergere dal Patriarca che stava portando finalmente a conclusione la sua Visita alla Contrada durata più di una settimana.

“Andèmo … Andèmo alla benedisiòn del Patriarca ! … El ne darà l’Indulgenza, el Perdòn Grando.” gridò letteralmente come da un moderno altoparlante una delle solite zitelle ossute e nerovestite … “Quanta Gràssia Sant’Antonio ! … San Pancràssio !” le fece eco un’altra donnetta allampanata e consunta che pareva “la Morte in vacanza”.

“Dai ! … Andèmo in cièsa dal Patriarca !” sgomitarono fra loro due zaghetti sbrindellati di strada intenti a giocare … “Cusì dopo el Piovan ne darà a mancia …”sghignazzò uno dei due ... Le Rondini intanto avevano ripresero di nuovo il loro gridare sovrastate da un paio di Gabbiani che gridavano rauchi sopra alla scena e alle teste di tutti.

“Andè voàltri … che mi gho altro da fàr.” borbottò uno dei Gondolieri dello Stazio di San Marcuola perplesso … Da tutti era conosciuto come uno degli “Inconfessi-Scomunicài”della Contrada ... Era un rèprobo, un zàrlatàn, un concubin impenitente, un Insordescente risaputo da tutti ... e per questo un po’ messo da parte.


Che parole strampalate e fuori moda ! … “Inconfesso, Scomunicato, Insordescente”… Sono parole che forse oggi ci fanno in gran parte sorridere un po’ tutti … Ci sembrano contenuti ormai obsoleti, dizioni fuori luogo, soprattutto riferimenti ad “armi spuntate” divenute finalmente innocue … Ed è qui che volevo portarvi col mio discorso.

Un tempo nella considerazione dei Veneziani della maxi Contrada allargata di San Marcuola (come in tutte le altre Contrade di Venezia) non era affatto così. Quelle parole possedevano un “peso”, uno “spessore” e soprattutto un “senso”davvero importante, quasi incredibile. Non credo di esagerare nel dirvi che: facevano tremare i Veneziani e le Veneziane.

“Inconfesso”, “Scomunicato” e “Insordescente” non erano affatto: “Ròba de cièsa” e vocaboli dizioni solo da Preti, da Sacrestia, e da fanatici bigotti, ma erano terminologia comune usata da tutti i Veneziani … Erano parole che generavano di certo un certo spavento, e forse erano anche sinonimo di qualche maniera penosa di vivere che metteva in apprensione gli abitanti della Contrada: uomini o donne, vecchi e giovani che fossero.

“Esagerato !” vi verrà forse da dirmi … Può darsi, perché credo abbiamo ormai perso la memoria di certi significati … Ma ascoltate un poco quanto sto per dirvi.

“Inconfesso”, “Scomunicato” e “Insordescente” riassumevano in un certo senso un intero mondo e modo di vivere che coinvolse per generazioni su generazioni i Veneziani … credenti e no … per secoli su secoli.

Non credenti ? … Beh … oggi l’indifferenza verso la Religione ci potrà sembrare una cosa un po’ ovvia e scontata … normale … Una volta non era affatto così: in certe stagioni storiche non fu affatto facile essere “non credenti”perché tutti lo dovevano essere ... Non esserlo poteva diventare un grosso rischio, oppure indurre a vivere un’esistenza piuttosto scomoda e travagliata. Per diversi secoli Venezia, come buona parte dell’Europa, fu perfettamente Cristianizzata fino alle midolla … e non c’era respiro che non fosse “benedetto”, suffragato dall’azione e dalla presenza e dalle Dottrine della Chiesa. Non accadeva nulla nella società che non fosse secondo i dettami e le regole della Chiesa ... (della Chiesa eh ! … Non ho detto del Signore e del Vangelo, ma lasciamo perdere …)

Tutti insomma, e tutto il vivere personale e sociale erano come “etichettati e bollati” dal“timbro” invisibile e visibilissimo della Cristianità, e non c’era gesto comune quotidiano che non finisse con l’essere considerato un “gesto devoto” compiuto secondo i Precetti della Chiesa ... che corrispondevano anche, spesso e più che volentieri con quelli dello Stato… e infine pure del Padre Eterno.

Viceversa, non esisteva gesto “fuori norma e inadempiente delle Regole” che non venisse considerato come “Peccaminoso” e meritevole di condanna. Tutta l’esistenza veniva vissuta all’ombra incombente del apocalittico Giudizio Finale che riassumeva “In bene e in male” ogni cosa, e nascere, crescere, vivere e morire si declinavano e finalizzavano soltanto in attesa dell’Eternità e di un “dopo o Aldilà” che poteva significare esclusivamente: Paradiso, Inferno e Purgatorio… Si viveva tutti come con una mannaia incombente sopra alla testa che accompagnava dalla nascita e fino alla morte … e anche dopo … Non si scappava: tutto il vivere sociale era organizzato in quel modo: precetti, Regole da rispettare, e la lunga lista delle inadempienze, delle mancanze o peccati distinti fra “veniali o mortali”… Tutta la vita e in ogni luogo e circostanza erano come “tappezzati”da quella specie di consapevolezza incombente … Tutto poteva essere occasione buona per peccare e meritarsi il “Castigo o il Premio Eterno”.

Era un mondo intriso e pervaso da intenso fanatismo Cristiano… Vedete … Non è cambiato niente: il fanatismo di un colore o di un altro è sempre esistito nella Storia, così come la voglia di perseguire gli inadempienti, i “diversi”, gli Infedeli e i Pagani … L’Umanità non ha mai imparato dai propri errori.

Era così insomma … I Veneziani erano chiamati a vivere “devotamente”, ed erano talmente assuefatti a quella maniera d’essere, che non ne avvertivano l’estrema pesantezza, né sentivano il bisogno impellente di vivere diversamente … Anche perché non c’era alternativa: si doveva essere così per forza ... Si rischiava la vita …. e così, infatti, fu praticamente dall’anno 313 d.C., nel Medioevo, e via via fin quasi ai giorni nostri.

Ci sono stati in particolare alcuni secoli: il 1500-1700 maggiormente, soprattutto dopo “la stretta morale, dottrinale e socio-politica” del Concilio di Trento, in cui s’inasprì e radicò ancora di più e forse del tutto quel certo modo d’essere e di vivere … Certe “prescrizioni” divennero ancora più assillanti per la società e i singoli, quasi un’ossessione ... e: “Inconfesso”, “Scomunicato” e “Insordescente” furono “paroline” adatte a “marchiare e individuare” il grave stato d’inadempienza che vivevano certe persone verso la Legge della Religione.


Si arrivò perfino a un’epoca, i cui Preti dei Capitoli e Piovani delle chiese e Contrade furono tenuti a registrare nei Registri dello Stato d’Anime la coerenza o meno delle singole persone che stavano sotto la loro tutela. Ossia ad ogni Veneziano e Veneziana corrispondeva un giudizio scritto e aggiornato di “idoneità o meno” circa la sua condotta Cristiana. Preti e Confessori in genere erano dei veri e propri “Vigilantes dell’Intimità e dello Spirito” autorizzati e deputati a “segnare lo status dell’Animo di ciascuno” ... La Comunità Ecclesiale, insomma, e nella fattispecie la vita di ogni singola Contrada Veneziana dovevano essere “l’anticipazione e l’immagine terrena” di quel che sarebbe stato il futuro Paradiso-Inferno e Purgatorio che ciascuno si sarebbe in seguito meritato  … In Contrada cioè, si veniva iscritti fra i“Beati e i Santi” oppure fra i “Condannati e Reprobi” valutando e soppesando attentamente lo stile di vita che si perseguiva interiormente e nelle azioni spicciole della vita quotidiana.

A differenza di oggi, tutta la “comunità sociale” era soggetta a continua e stretta “verifica” tramite lo strumento della Confessione davanti a Preti e Frati a cui tutti erano tenuti di frequente … Ma vi dirò ben di più: in certi tempi (secoli)dall’esito di quella Confessione spesso veniva a dipendere l’andamento di tutto il resto della propria esistenza. Passare indenni attraverso il Confessionale divenne come una “Forca Caudina, una password obbligata” che permetteva più o meno di poter vivere decentemente e serenamente.

Per chi non superava indenne “lo sbarramento” della Confessione, spesso poteva iniziare un incubo.

Sapete meglio di me come per secoli: Papi, Vescovi, Preti e Frati hanno esercitato un controllo pressochè totale sulla società, quasi spasmodico, avvalendosi spesso dell’aiuto della “mano o braccio Secolare-Civico”. Non si viveva, né lavorava, trafficava né tutto il resto se non si possedeva “l’Imprimatur”e l’approvazione della Chiesa. Il destino di tutti era soggetto al rispetto delle sue regole per poter agire e vivere ... Sottrarsi diventava non solo un grande problema, ma poteva portare anche a grandi turbamenti personali, fino a risoluzioni estreme ... pensate a coloro che vennero considerati Eretici o Streghe: bene che fosse loro andata sarebbero finiti internati a vita nei Manicomi dell’Inquisizione … “Peccato e Diversità” venivano considerati alla stessa stregua “di una malattia tanto inguaribile quanto perniciosa … come una Peste, un bubbone da estirpare, un untume da epurare con fuoco”.
Tramite il Santo Uffizio dell’Inquisizione e l’apparato giurisdizionale dei Vescovi e dello Stato tutti erano perfettamente sotto controllo e osservati attentamente in ogni istante della loro esistenza. La “Dottrina e i Precetti erano: la Dottrina e i Precetti”: non era permesso “sgarrare” e atteggiarsi diversamente, e ciascuno poteva venire indagato assiduamente fin nel più intimo della coscienza, e fin dentro alle mura domestiche dove si arrivava con vere e proprie fisiche irruzioni per controllare, indagando fin nei dettagli più spiccioli e personali del vivere quotidiano di ciascuno … La Chiesa governava strettamente tutto e tutti: perfino influendo dentro alle scelte concrete dentro al letto di ciascuno.

Dal Concilio di Trento in poi, furono soprattutto un paio gli argomenti che sembrarono stare maggiormente “a cuore” negli interventi legislativi e repressivi della Chiesa: l’Eresia e il controllo dell’Unione Matrimoniale ovverossia la “sacralità e legittimità”dell’attività sessuale delle persone. Incredibilmente dall’elenco di queste “fisse”della Chiesa rimasero fuori argomenti scottanti come l’usura, ad esempio, ma anche molti altri significati importanti come potevano essere l’Onestà, la Verità, la Carità, la Povertà, la Sinceritàe molto altro ancora ... forse perché erano le cose in cui la Chiesa si ritrovava maggiormente inadempiente e compromessa.

Sembrava che certi principi per la Chiesa potessero essere considerati secondari, mentre altri vennero considerati come irrinunciabili ed essenziali, quindi meritevoli di “grande forza” nell’esigerne l’assoluta applicazione e rispetto, nonché meritevoli di persecuzione in caso di palese inadempienza.

La Chiesa e lo Stato, infatti, non si accontentarono solo di un lavoro di mera concettualità astratta giuridica e legale, ma s’impegnarono lungamente e assiduamente per vigilare“prepotentemente” sulle proprie “pecorelle”giungendo a inventarsi meccanismi sofisticatissimi e repressivi che portarono a un controllo sociale esasperante e quasi perfetto.
Usando parole più esplicite: chi non rispettava fino in fondo nella propria vita i dettami della Chiesa veniva “tagliato fuori” da tutte le opportunità del vivere sociale. Si diventava quindi dei veri e propri esclusi, dei reietti estromessi dalla società Civile e Religiosa, si veniva privati della possibilità di un vivere “normale”. E questo era un grosso guaio perché si arrivava a perdere il lavoro, la famiglia, la possibilità di rapportarsi con gli altri, di esercitare una qualche attività, e di godere di considerazione e rispetto come persona dalle altre persone.

A differenza del nostro vivere societario moderno di oggi in cui chi vive in un condominio spesso non sa dopo trent’anni chi gli vive di fronte sullo stesso pianerottolo, un tempo si viveva molto “insieme, di fuori e per strada”. La convivenza sociale e la capacità spicciola di condividere e rapportarsi con i vicini e gli altri, cioè “quelli della piazza o della corte o campiello” era “un po’ tutto” anche a Venezia. Si viveva in un modo un po’ obbligato, spalla a spalla e nel confronto-incontro-scontro continuo … la propria era come una carta d’identità e una patente pubblica necessaria per vivere: si era conosciuti, e si faceva parte di un certo ambiente ristretto come la Contrada e la Chiesa.

Visto poi che non ci si muoveva più di tanto dal posto o dalla Contrada in cui si nasceva, e dove spesso si finiva per trascorrere gran parte se non tutta l’esistenza, l’esserne privati, banditi ed espulsi era la peggior cosa che potesse capitare a qualcuno/a.

Ecco allora il significato pregnante di “Scomunica”: cioè l’essere estromessi, lo “star fuori dalla Communio del vivere”non solo religioso da Messa e banco di chiesa, ma dalla totalità dell’opportunità sociale: era una grandissima disgrazia insomma. Chi veniva escluso o espulso era come un’anticipazione della Dannazione Eterna, si diventava rifiuti umani privati di ogni diritto e di ogni affidabilità … Non doveva essere affatto un bel vivere ... Per qualcuno poteva diventare “la fine e il fallimento”della propria esistenza.

Comprenderete quindi la grandissima valenza di quell’imposizione e di quel controllo di cui era capace la Chiesa: poteva “segàrti la vita” da un momento all’altro seguendo l’antica logica del dettame “Chi non è con me è contro di me … Chi non è con me: disperde … Chi non è con me è destinato alla Damnatio Aeterna.”… Da brividi ! … pensando che c’erano in gioco le vite e il destino delle persone spesso ignare, inermi e indifese ... oltre che innocenti molte volte.

Precisato questo credo vi potrà sembrare forse più chiaro, o perlomeno più intuibile quanto fosse “pesante” il valore del marchi: “Inconfesso”, “Scomunicato” e Insordescente”… Quando a qualcuno/a veniva affibbiato quel titolo da Piovani o uomini e donne della contrada … si era nei guai, se non peggio.


Mi spiego meglio ancora: c’è stato un tempo in cui si è addirittura giunti a indurre le persone a confessarsi di frequente dai Preti e Frati per poter esplicitare pubblicamente il proprio stato di fedeltà ai Precetti della Religione. Ciascun Confessore, pur mantenendo il “Segreto Confessionale” sui particolari di quanto ascoltavano circa le Coscienze, rilasciavano alla fine un Atto Confessorio, cioè una Patente scritta d’Assoluzione senza della quale non si poteva accostarsi a ricevere la Comunione … Proprio così: chi risultava “affetto” da certi peccati gravi che non poteva “lavare e togliere” tramite la Confessione veniva “disabilitato” al vivere sociale … Ed era plateale per tutti quella situazione, perché all’interessato non veniva permesso di accedere alla Comunione … Niente Patente di Perdono… niente Comunione pubblica in Chiesa … Bastava andare a guardare chi era ammesso o meno alla Comunione per sapere chi era in regola o meno con la Giustizia Divina e con la Comunità … Dietro al rifiuto di concedere il permesso di far la Comunione da parte della Chiesa ci poteva essere di tutto: un “Inconfesso” poteva essere un ladro, un mentitore, un eretico, un concubino, un perverso e chissà cos’altro ancora.

Certi “peccati gravissimi” poi erano anche “riservati”al Vescovo, cioè “non assolvibili” dal comune Confessore: aborto, convivenze clandestine, omicidio e altro ancora … Chi non veniva assolto in Confessionale poteva aver combinato di tutto, ed essere quindi particolarmente inadatto al “vivere sociale” oltre che Ecclesiale … Lo spartiacque del Giudizio di solito stava a Pasqua quando si era tenuti all’obbligo del Precetto Pasquale… Chi non otteneva la Certificazione del Confessore da presentare previamente al Piovano: “era fuori”. Chi “faceva Pasqua” in Chiesa, invece, “era dentro” cioè poteva vivere e agire tranquillamente, era considerato persona attendibile e onesta, per bene …

Immaginatevi se una famiglia vedeva il promesso sposo di sua figlia“non ammesso” alla Comunione Pasquale … Gliela avrebbe ancora concessa in sposa secondo voi ? … Quello era di certo un delinquente o qualcosa del genere ... e quindi succedevano casini, e non pochi.

I “non ammessi a far Pasqua e alla Comunione” poi, finivano spesso col diventare: “Scomunicati” cioè estromessi per motivi diversi dalla Comunità Sociale e soprattutto Ecclesiastica … cioè venivano privati anche della possibilità di conseguire la Salvezza Eterna nella Vita Futura ... Sapete meglio di me quanto timore avessero gli antichi dell’Aldilà, e come facessero celebrare infinite Messe e Suffragi per potere “Salvare la loro Anima”… A differenza di noi di oggi, quelli e quelle di ieri, Veneziani compresi, avevano un vero e proprio terrore di questa cosa. Essere privati dell’Aldilà era qualcosa di pestifero e mortale … era un po’ come morire in anticipo e per sempre, visto soprattutto che si “Viveva di qua” in prospettiva e meritandosi l’Aldilà… La vita era considerata come trampolino di lancio, l’occasione per meritarsi “l’Aldilà”, cioè il “dopo Vita”, che si pensava essere l’unica cosa che contava per davvero … Oggi siamo più “possibilisti”, e abbiamo forse una visione delle cose un po’ più elastica e speranzosa.

Non era quindi un giochetto quella volta l’essere esclusi … Si trattava proprio di una questione “di Vita e di Morte”.

C’è stato quindi un tempo in cui in certi luoghi il Nonzolo-Sacrestanoo l’addetto della chiesa e del Confessore passava o non passava casa per casa per consegnare o meno i Certificati di Abilitazione alla Comunione ... e di rimando al vivere e guadagnarsi l’Aldilà … Immaginate ancora una giovane donna che non avesse ricevuto quel “salvacondotto”… Come sarebbe stata considerata dalla Comunità  e dalla sua famiglia ? … Che cosa avrà combinato di nascosto ? … Erano drammi … O pensate a un bottegaio non ammesso alla Comunione: di quale colpa “immonda” si sarà forse macchiato ? … Era forse un disonesto, un imbroglione, un indemoniato ? si chiedevano in Chiesa tutti curiosi ad indagare davanti all’altare … E la vita della Contrada viveva spesso anche di queste “novità”.
Pensate poi e ancora agli “Inconfessi, Scomunicati e Insordescenti” che non potevano ottenere l’accesso alla sepoltura nei Cimiteri nè tantomeno nelle Chiese e nei Chiostri … Non si sapeva più dove andare a collocare i “Morti Scomunicati” ! … Ho letto di alcuni casi in cui dei Veneziani non sapendo più dove andare a collocare i loro Morti ormai in avanzata decomposizione, risolsero col bruciarli nottetempo disperdendo le ceneri in Laguna.

Di certo non fu facile per molti vivere in quella maniera … Si era sempre all’erta, “sul chi vive” ... Qualsiasi cosa, tutto, poteva diventare un problema … A volte bastava anche una “comune” bestemmia o improperio per finire “fuori e al margine”, o se si era protagonisti di un’accusa di: “Propositi Ereticali” si poteva incorrere poi chissà in quali pene e fino alla scomunica ... Bastava a volte sparlare un attimo in qualche Osteria o sotto ai portici di un mercato, o dimostrarsi irrisori e denigranti verso le Dottrine della Chiesa e verso il Clero, che si veniva etichettati subito come “conniventi con Male”, e assimilati agli Eretici e agli inadempienti: si era cioè “correi di peccato” ... qualcuno che approvava atteggiamenti e modi di vivere sbagliati ... meritevoli di indagini, punizioni e tutto il resto.

Non pensate poi che si trattasse solo di saltuarie accuse o banali e rare delazioni e denunzie: piovevano le accuse, e poi le indagini, le pene e le condanne … Eccome che fioccavano ! … e la loro entità e applicazione non erano affatto banali e insignificanti … Si viveva indubbiamente in un clima di paura e talvolta di terrore, perché bastava un niente per essere denunciati e additati ai Preti. Si finiva così negli elenchi dei sospetti, dei “richiamati e ammoniti”, e dei possibili “emendabili”. Immaginate quindi in quale clima si poteva vivere nello “stretto” di una Contrada Veneziana, o più ancora di un’isola o paesetto da dove spesso si finiva col muoversi quasi mai. Se ci si giocava per qualche motivo perdendola la carta e l’immagine della “Credibilità Onestà” si finiva col compromettere l’intera esistenza o gran parte del proprio futuro.

Vi lascio intendere e immaginare poi quale influsso possono avere avuto in quel contesto le invidie, le attese, i pettegolezzi, le vendette e sentimenti simili capaci di far pervenire all’orecchio attento della Chiesa certe insinuazioni e denunce. La maggior parte delle volte si riusciva a mettere in moto quel meccanismo di sospetto e indagine che portava ad essere inquisiti, ridotti in carcere, torturati, processati e condannati … Il resto poi veniva da se: se andava bene ci si salvava, altrimenti …

Giunti al 1603 si giunse a peggiorare ulteriormente la situazione arrivando a un vero e proprio inasprimento di quell’ “atteggiamento indagatorio e punitivo” della Chiesa: si avviò una vera e propria caccia scatenata contro Concubinato ed Eresia sotto ogni forma.

Per essere più esaustivo e rendervi l’idea: per la condotta di Bestemmia, “sospetta Eresia”, o “Propositi Ereticali”(che non significava pronunciare Dottrine contro la Fede, ma anche solo contro i dettami della Chiesa), si poteva finire con la lingua perforata, e poi condannati a multe, carcere per anni, o voga in Galea ... Che provassero poi quello/a con la lingua perforata a dire e spiegare le proprie ragioni !

La condanna, invece, per il Concubinato-Convivenza, cioè le prestazioni sessuali prematrimoniali “more uxorio” (come da maritati), e per l’adulterio delle donne era sempre esemplare: da pesantissime pene pecuniarie a pene corporali (a seconda delle finanze della famiglia), al carcere, e a spettacolari rasate di testa con esposizioni a ludibrio pubblico davanti alla chiesa di domenica all’ora della Messa, e con un “cappello d’urinale” in testa … Chissà perché le donne erano sempre loro le “adultere” perseguibili, mentre per gli uomini si reputava sempre che fossero indotti a seguire una loro pulsione istintiva e ingovernabile ?

Capite allora come a tante donne furono arrecati danni indicibili: per molte fu la fine viste le scarse risorse che possedevano e la ridotta capacità di difendersi e imporsi su un meccanismo così consolidato e formidabile.

Infatti, correndo ancora gli anni, s’inasprì ulteriormente la pena per la convivenza e per l’attività sessuale “impropria” soprattutto da parte delle donne ... Leggendo i documenti storici si ha come l’impressione di trovarsi di fronte a una grande mente contorta e bacata, affetta da turbe maniacali … Dal 1563 la scomunica delle donne portò al loro immediato bando dalla Societas: il Braccio Secolare le accompagnava fino al confine dello Stato e le espelleva malamente … E’ quasi inutile ribadire che la Chiesa si è dimostrata essere sempre estremamente maschilista lungo i secoli, applicava due pesi e due misure nel condannare maschi e femmine. Sembrava nutrisse una certa acredine e gusto vendicativo nei riguardi delle Donne e della Femmina ... Forse perché Eva(la donna) era “la colpevole” della perdita del Paradiso, la “causa prima d’ogni male” … Alle donne veniva inferto più facilmente e con grande umiliazione la “Scomunica” con la cacciata fuori della Contrada, della città o della Diocesi in cui viveva. Il peso e la considerazione di cui godevano l’onore e la figura delle donne erano proprio modesti … Più di qualche volta finirono con l’essere considerate tutte alla stregua di prostitute.

L’uomo, il maschietto laico o Religioso che fosse, invece, se la cavava con molto meno: innanzitutto gli si concedeva un annetto per ripensare e ravvedersi dalle sue colpe lasciandolo “come in sospeso” e in ripensamento … A lui era concesso d’incorrere in una debolezza, di sbagliare … Fino ad oltre il 1547 bastava astenersi da rapporti sessuali, ad esempio, per quattro-sei mesi uscendo da una qualche “relazione impropria o pericolosa”, che tutto diveniva “perdonabile” visti i buoni propositi. I Governatori Spagnoli, ad esempio, dividevano sempre le coppie clandestine che individuavano, cacciando via e lontano uno dei due partner: la donna di solito … mentre permettevano all’uomo di tornare alla vita di prima, o di rifarsi o dedicarsi a un’altra esperienza consona con la Legge.

Se “irredenti” e peccatori “incallito e impenitenti” radicati nel proprio status e ruolo, si arrivava in seguito allora vera e propria condanna di Scomunica ... E se uno o una, alla fine, si disinteressava e rimaneva indifferente anche di fronte a quella, allora veniva definito: Insordescente, cioè: sordo e refrattario a tutto, irrecuperabile, perso che più perso non si poteva.

Ecco spigato allora anche l’altro termine: l’Insordescente... cioè il Peccatore Cronico inguaribile, quello che vive di qua con già un piede dentro all’Inferno dell’Aldilà.

Ma la gente di Venezia come si atteggiava e reagiva di fronte a questi veri e propri “gravi soprusi” esercitati dalla Chiesa con la connivenza dello Stato ?


Semplice … La Storia racconta che nella maggior parte dei casi “i rei”, Nobili o Popolani che fossero, se ne fregavano altamente dei Precetti della Chiesa … Anzi: continuavano a vivere la loro vita secondo il loro stile, e mantenevano le loro convivenze di sempre rimanendo “inconfessi e nello spregio della Religione”. A conti fatti servì ben poco che le donne venissero etichettate come “Concubine”, nè assimilate a Prostitute o Meretrici pur non essendolo affatto ... Erano reiette ufficialmente si ... ma fino a un certo punto. Diciamo che a Venezia quel meccanismo così fiscale e severo non fece mai presa né trovò mai abbastanza consenso … Anzi: iniziò ben presto “a far acqua” da ogni parte: molti Veneziani di ogni categoria e classe sociale vissero la loro esistenza “in barba ai precetti della Chiesa” (per fortuna mi verrebbe da dire).

Servì ancora meno segnare i “peccatori inadempienti”nei Registri e negli Elenchi della Parrocchia nonché segnalarne la “scomoda presenza” nei verbali delle Visite Pastorali. Non che questa segnalazione non avesse esito … perché quelle indicazioni diventavano spesso terreno fecondo per l’azione indagatoria e repressiva della Santa Inquisizione ... In conclusione potremmo giungere a dire che per vari motivi quel “mirabile progetto e organismo perfetto” finì col l’incepparsi e smettere di funzionare come avrebbe voluto.

Primo fra tutti i motivi: Preti, Frati e Piovani s’impegnarono davvero in maniera “soft” ad applicare fino in fondo quelle “esclusioni” e successive “sanzioni”che avrebbero dovuto imprimere. Non si applicarono soprattutto perché loro stessi non navigavano in “buone acque”, ossia avevano loro per primi molto da farsi perdonare nel loro comportamento. Il Clero di Venezia, nella fattispecie, non era affatto “esemplare e coerente”nel suo stile di vita, perciò non poteva pretendere che altri: Nobili o Popolo che fossero, rispettassero prescrizioni difficilissime che lui stesso non viveva né considerava a sufficienza.

Preti, Frati, Monaci e Monache Lagunari e Veneziani furono, infatti, famosi per secoli per le loro “impenitenze, intemperanze, scappatelle e marachelle”… Non erano affatto nè Santi nè Sante … anzi ! … Furono proprio tut’altro.

Un paio di esempi a caso: nel lontanissimo luglio 1288 a Murano negli Atti di un processo contro Prete Zano della chiesa di Santa Maria di Murano si legge di come abbia brutalmente violentato una domenica la giovane Girardina quindicenne figlia della fu Contarina. Durante una festa di nozze con un pretesto la adescò portandola in un luogo solitario … e qui vi risparmio i dettagli di quanto raccontato dai protagonisti negli atti del processo, perché ne verrebbe fuori un racconto pornografico a luci rossissime.

Ci fu poi quel famoso Prè Agostin del 1300, quello sospeso nella “chèba”(la gabbia)appesa al campanile di Piazza San Marco. Famosissima oltre alla sua condanna e pena fu anche la derisione e il ludibrio pubblici a cui venne sottoposto: i bimbi, gli adolescenti e i Veneziani in genere andavano a insultarlo e deriderlo tirandogli addosso di tutto … e lui denudato e indifeso dentro alla gabbia non trovava altro modo di allontanarli se non pisciando loro addosso dall’alto … Non una gran bella figura di Prete messa in mostra … Poi pietosamente le Monache di San Zaccaria provvidero caritatevoli a farlo coprire, e ancora rimase lì sospeso a gridare nel vuoto e chiamare soccorso quando tentò di evadere dalla gabbia calandosi con una fune improvvisata tratta filo dopo filo dal suo “gabàn” ... Aveva calcolato male le misure per scendere di sotto … La corda era risultata troppo corta, e perciò era rimasto bloccato a penzolare nel vuoto dalla parete del campanile … Un altro capitolo di un’unica storiaccia insomma, un Prete e uomo impenitente capaci delle peggiori cose, che la Serenissima si affrettò prima a spedire in prigione e poi a bandirlo da tutti i suoi territori.

Potrei andare avanti a raccontarvi molto altro ancora, ma mi fermo … Intendo solo dirvi come Preti e Piovani di Venezia non furono affatto in grado per il loro comportamento di imporre controlli severi alla vita dei Veneziani ... Pochi Veneziani e Veneziane, infatti, giunsero ad essere scomunicati ufficialmente e altrettanto pochi subirono le angherie dell’Inquisizione soprattutto per motivi di Concubinato, Adulterio e “Inconfessione, Scomunica e Insordescenza” ... Ci fu solamente qualche “caso esemplare” ogni tanto e lungo i secoli … ma fu quasi niente a confronto con altre realtà Italiane e Europee … Preti e Piovani Veneziani avevano come tutto il resto del Popolo di Venezia “le loro belle gatte da pelare e proteggere”, perciò la maggior parte delle volte non si attivarono fingendo di non vedere e sapere … Soprattutto tacquero e registrarono ben poco ... e denunciarono all’Inquisizione, al Patriarca, al Dogee alle Magistrature della Serenissima ancora meno. Al massimo, come vi dicevo, giunsero a rispondere genericamente al Patriarca di fronte alla domanda diretta circa il numero degli “Inconfessi, Scomunicati e Insordescenti”presenti in Parrocchia-Contrada ricordandone l’approssimativo numero ... Tanti Piovani tacquero poi del tutto al riguardo … Avevano problemi di memoria al riguardo.

La Serenissima poi, sapete meglio di me quanto con i suoi Nobili e nei suoi Vertici di Governoè stata tutt’altro che integerrima e poco in regola circa l’osservanza dei “Precetti della Chiesa”… Anzi: fra Nobili, Doge e quelli che contavano di più a Venezia capitò di tutto e di più ... Figuriamoci quindi quanto si fu più che propensi a chiudere un occhio o tutti e due su tante “scappatelle” dei Veneziani e delle Veneziane in barba ad ogni principio Etico e Morale, Laico o Religioso che fosse  … A Venezia, ad esempio, esisteva l’abitudine che una volta firmato il Contratto di Matrimonio e stabilita la Dote fra famiglie contraenti davanti a un Notaio, i nubendi potevano liberamente convivere del tutto fra loro “more uxorio”(come marito e moglie) in attesa della celebrazione pomposa e ufficiale della festa del Matrimonio che poteva accadere diverso tempo dopo per motivi logistici e di gestione dei patrimoni ... anche anni dopo.

A Venezia non si è mai avuta alcuna paura delle scomuniche e degli anatemi del Papa e della Chiesa ! … La Chiesa, invece, fu indirettamente costretta ad adeguarsi e correre ai ripari nei confronti dell’atteggiamento dei Veneziani. Un po’ arrampicandosi sugli specchi, iniziò, ad esempio, a distinguere giuridicamente le configurazioni del peccato della Convivenza Abusata suddividendolo in: “convivenza stabile a tempo indeterminato”, e “convivenza transitoria” in attesa del Matrimonio … La prima era considerata “peccato gravissimo contro Dio e la Chiesa”: inassolvibile e imperdonabile, mentre la seconda era considerato un “peccato meno pesante, quasi più veniale” per non dire quasi accettabile, di fronte al quale la Chiesa poteva “portàr pasiènza e seràr un òcio … al massimo fàr pagar una bòna elemosina”.

Finchè alla fine certe limitazioni e proibizioni vennero ignorate ed evitate del tutto e di continuo un po’ da tutti … Si sa bene poi, come la Serenissima nel suo insieme riuscì quasi sempre “ad imbrigliare e limitare”le azioni tendenzialmente sempre “prepotenti ed eccessive” della Santa Inquisizione Veneziana … Sappiamo poi di come Venezia scelse sempre“sapientemente”di persona e fra i suoi Nobili più meritevoli il suo Vescovo-Patriarca, e di come pretese sempre dal Clero Veneziano“la giusta morbidezza e tolleranza” verso tutti i Veneziani, così come Doge e Patriarcain mille occasioni si sono affrettati a difendere e proteggere il “buon nome” del Clero e dei Regolari Lagunari … Più e più volte si finse di non sapere e riconoscere, e si evitò di smascherare apertamente diverse inadempienze soprattutto dei figli e delle figlie dei Nobili … Perché infierire ?

A Venezia quindi le temibilissimi definizioni di: “Inconfessi”, “Scomunicati” e “Insordescenti” ebbero poca considerazione e scarso effetto finendo con l’essere quasi sempre un numero di approssimativa statistica o poco più. Solo in sparuti casi a Venezia gli addetti della Parrocchia e ei Confessori passarono di casa in casa per consegnare “Patenti di Confessione” adatte a poter conseguire la Comunione Pasqualina… Così come ben poco i Piovani Veneziani si spinsero a dichiarare le persone di Venezia “a posto e in regola” con i precetti di Dio, della Chiesa e della Società o viceversa. 

Non accadde a Venezia, salvo qualche raro caso episodico, l’applicazione pedissequa e ossessiva di quel truce “meccanismo ecclesiale” repressivo come avvenne, invece, in altre parti d’Italia dove si suscitarono veri e propri vespai. Famose furono, ad esempio, le sollevazioni dei Nobili contro il Clero e i Vescovi a Siracusa nel 1588, quando s’insorse in massa contro le decisioni e le azioni del Santo Uffizio ... Famoso fu anche il contesto di Napoli dove i Preti conosciuti per le loro superstizioni e per stare facilmente a cavallo fra càbala, stregoneria, uso di “libri proibiti”, pratiche magiche e sortilegi di ogni sorta ... a trent’anni dalla celebrazione del Concilio di Trento convivevano tranquillamente con donne sopportati senza replica alcuna da parte di gran parte dei Napoletani.

Sempre a tal proposito, vanno ricordate, invece, le “rampogne”e i pesanti richiami a cui furono sottoposti certi Vescovi rei d’ospitare nel loro territorio donne e uomini “Inconfessi, Scomunicati e Insordescenti”espulsi dalle loro città d’origine ... Secondo i dettami dell’Inquisizioneil bando e l’esclusione dovevano essere il più totali possibile: non doveva bastare travalicare un ponte, un monte o un fiume entrando in una Comunità-Diocesi diversa per poter tornare a vivere quasi “normalmente”.

“L’Inconfessione, la Scomunica e l’Insordescenza debbono sempre essere Peccati che gridano e richiamano la vendetta di Dio come di tutti gli uomini e le donne di buona volontà.” ebbe a scrivere un giudice dell’Inquisizione Veneziana … Ma chi lo ascoltava ?

Di Venezia, invece, si ricorda soprattutto il fatto di un Patriarca che per ben due anni negò il diritto alla sepoltura di “un sconfessato”appartenente a una famiglia Nobile. Il Papa si decise alla fine a richiamare lo stesso Patriarca inducendolo a soprassedere al problema e “… concedere così quell’estremo gesto dovuto a una persona umana oltre che a una Nobile Famiglia che per generazioni s’è sempre dimostrata essere di buoni credenti rispettosi delle volontà e dei principi della Santa Chiesa”.

Infine i numeri degli “Inconfessi, degli Scomunicati e degli Insordescenti”a Venezia divennero “pesanti”: cioè in certe epoche risultarono esserci centinaia di “Inconfessi e Impenitenti” per ogni Contrada, tanto che si vennero a creare veri e proprio “partiti” di persone contrapposte: “quelli di Chiesa-Confessati e abilitati alla Pasqua” e quelli esclusi: “Inconfessi, Scomunicati e Insordescenti”tagliati fuori dalla vita della Comunità Ecclesiale oltre che da quella sociale … La Serenissima dimostrava di gradire sempre meno che si levasse l’indice accusatorio contro tanti dei suoi sudditi … Diversi Veneziani e Veneziane perciò continuarono a fare la loro vita, a conservare le loro convivenze, e a protrarre le loro scelte mantenendo “i loro stili di vita particolari”… Chiesa e Stato avevano altro a cui pensare.

C’erano poi nelle Contrade molti uomini e donne qualunque che “giocavano”di continuo a ricredersi e pentirsi per non incorrere nelle severità della Chiesa: promettevano d’abbandonare le loro situazioni “fuorilegge” in occasione delle Confessioni Pasquali, ma poi riprendevano a vivere le loro situazioni come sempre senza che in realtà nulla cambiasse … Esisteva insomma un intero mondo di persone borderline e doubleface, sempre “dentro e fuori e sul confine” che vivevano un continuo “saliscendi” nei riguardi della Chiesa e delle sue prescrizioni … e questo valeva molto anche per tutto il variopinto mondo degli Ecclesiastici e dei Religiosi.

C’era a volte come un rispetto “a tempo di certe prescrizioni, regole e indicazioni di vita in funzione di Pasqua e Natale: date spartiacque temibili ricchi d’inquietanti e minacciose prescrizioni e conseguenze da evitare il più possibile ... L’anno soprattutto nelle chiese e nei Monasteri ruotava ufficialmente intorno soprattutto alla cesura di Pasqua, e c’erano i “Pasqualini in regola”, cioè coloro che “ce l’avevano fatta a superare l’ostacolo della Confessione-Comunione” conservando il loro “buon stato”: “Costoro erano come una schiera di “puri” provvisori che sopravalevano gli “impuri” per qualche tempo.”

A Venezia però tutto fra calli e campielli finiva alla fine coll’incrociarsi e confondersi … e ogni volta era agevole ricominciare sempre tutto da capo … Pasqua dopo Pasqua ... Venezia era Venezia insomma … una specie di monumento storico alla duttilità e alla tolleranza, un posto dove tutti potevano convivere pacificamente e bellamente insieme finendo talvolta in un cacciaroso, quanto spensierato, libero e gaudente Carnevale … L’importante a Venezia era vivere e sopravvivere … Credere e considerare Dio, la Chiesa con i suoi precetti supportati dallo Stato Serenissimo … serviva, era utile, ma veniva dopo.

Concludo comunque ricordando come certi retaggi sociali legati ancora a certi atteggiamenti comportamentali distinti e riconosciuti dalla Chiesa sono sopravvissuti incredibilmente almeno fino agli anni ’90 del 1900.

Avete capito giusto: anni ’90 del 1900, quando ancora ho visto con i miei occhi le raccomandazioni scritte da parte dei Piovani Veneziani che certificano il “buon comportamento e la buona condotta” di qualche giovane parrocchiano o parrocchiana da presentare al Direttore di qualche Bancao Istituzione di Stato o privata che intendeva assumerlo/a.

Forse adesso e oggi questi atteggiamenti sono finalmente trascorsi e sono “acqua passata” ?  ... Mah ? … forse.

Alla Visita del Patriarca Domenico Agostini nel 1888 alla maxiContrada allargata di San Marcuola, così come a quella successiva del Patriarca Aristide Cavallarinel 1902 si contarono in Parrocchia: 4.500 “Anime da Comunione” distribuite in 1.050 famiglie … Il numero però degli “Inconfessi, degli Scomunicati e dei Insordescenti” risultò essere diventato “uno sproposito”: 2.500 ! … quasi metà dell’intera Parrocchia e Contrada … e non accennava affatto a diminuire … Era meglio smettere di contarlo.

Evidentemente un intero mondo e modo d’essere e fare dei Veneziani era di fatto indubitabilmente “scoppiato”, e s’era ormai spenta un’epoca e una maniera di vivere irreversibilmente … per fortuna !


(fine della decima parte/continua)

“Una curiosità Veneziana per volta.” – extra.

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Ho dimenticato di riportare nella mia ultima "curiosità" un dettaglio secondo me parecchio curioso circa il trattamento riservato in certi secoli da alcune tradizioni e comunità Ecclesiastiche nei riguardi degli “Inconfessi, Scomunicati e Insordescenti” appena Morti privati del diritto alla sepoltura per le loro presunte colpe ... Pensate: il Prete si presentava davanti alla bara dell’ “Inconfesso e Reprobo abbandonato da Dio” e per manifestare plasticamente il rifiuto nei suoi confronti dell’intera Comunità Civico-Ecclesiale percuoteva a bastonate davanti a tutti la bara del defunto come segno di ripulsa, spregio e “messa in fuga” di quell’entità malefica … Si faceva di solito così con gli importuni, i sacrileghi e i ladri che venivano presi a sassate e randellate nelle campagne e nelle città ... Curiosa la cosa ... e anche un po’ trista.

**** Jerome Bosch: “Le Concert dans loeuf” realizzato circa fra 1453 e 1516.

“Due Fiolèri di Santo Stefano de Muran del 1300.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 187.

“Due Fiolèri di Santo Stefano de Muran del 1300.”

Oggi portandovi in Fondamenta dei Vetrai o di San Giovanni dei Battuti, o andando per Viale Bressagio, o in Riva Longa a Murano, o ancora andando in Rio Terà San Salvador, in Via San Mattia o in Ramo della Pescheria, in Calle del Paradiso piuttosto che in Calle delle Conterie, in Calle Marco o Quirizio da Murano, e in Calle San Giuseppe, in quella del Cristo, di San Cipriano o in quella “drio gli Orti”, “dell’Artigiano”, “del Convento o del Cimitero”… o se proprio vorrete spingervi fino al “fondo”di Murano in Sacca Serenella, conterete ancora quasi 130 nomi fra Aziende, Società Vetrarie, Botteghe Artigianali antiche o nate solo da qualche decennio. Diverse le vedrete sorte su siti e Fondamente e Calli di Murano che portano ancora oggi i nomi delle illustri famiglie Nobili Muranesi: Venier, Manin, Navagero, Colleoni, Radi, Santi, Da Mula, Miotti, Bigaglia, Vivarini o Baroviero… e tutte affermeranno di vendere Vetri d’Arte al dettaglio o all’ingrosso, essendo: Vetrerie, Fornaci, Cristallerie, Bigiotterie e produttrici di Murrine e Lampadari quasi tutti fatti a mano e secondo le antiche tradizioni vetrarie originali Muranesi.

Tutto vero ? … Vetro vero ? … Vero vetro ? … Chissà ?

“Bisogna vèdar ed “bollin” … informàrse ben, e aver un certo òcio …”mi ha detto qualche giorno fa un carpentiere che ha lavorato “per una vita intera” nell’isola di Murano.
“Murano non è più l’Isola del Vetro di una volta,” mi ha raccontato ancora, “Le è rimasto soltanto il nome e la fama, perché adesso la “Cittadella del Vetro” è morta e sepolta: è solo un fantasma di quel che è stata … Non è più quella che fino alla nostra infanzia dava ancora lavoro con le sue fornaci, vetrerie e  conterie a tanti uomini e donne Veneziani, Muranesi e Buranelli … Adesso è rimasto solo lo scheletro di quel che è stata per secoli: sono rimaste solo sei-sette nomi attivi per davvero … Il resto sono solo “mostre”, perché le attività vere sono state trasportate fuori, altrove nelle Terraferma … Io lo so bene, perché per anni e anni ho provveduto alla costruzione e riparazione di tante fornaci e fabbriche … Ne ho viste nascere, crescere, deperire e tramontare più di qualcuna … Ho partecipato a costruirle, ne ho fatto i tetti e le vasche … Poi, un po’ per le spese di gestione, un po’ per le leggi Europee che vogliono certi parametri contro l’inquinamento e per la sicurezza, è convenuto praticamente a tutti andare a mettere in piedi un bel capannone moderno in mezzo ai campi della Terraferma lasciando morire o agonizzare i vecchi posti di un tempo dove si è fatto il vetro per i secoli dei secoli.”

“Murano però è rimasto ancora famoso per il Vetro e le sue fornaci ... Vengono da tutto il mondo per vederle, e per osservare curiosi come si fa il Vetro … e anche per comprarlo.”

“Sì … E’ rimasto lo spettacolo del Vetro: c’è almeno una decina di posti in cui si fa vedere a pagamento come il Vetro viene fatto, e ci sono le esposizioni scintillanti per i turisti ... Ma non ci sono più i vetrai all’opera come un tempo: l’attività lavorativa del Vetro a Murano è ormai morta e sepolta da un bel pezzo.”

“Ho sentito, infatti, che costa cinque-sei euro entrare a vedere come s’inventa il Vetro.”

“Sì … E’ come ti dicevo: è rimasto solo lo spettacolo … Murano è un cinema-teatro del Vetro ... ma le Maestranze non ci sono più.”

“I Fioleri ?”

“Chi ?”

“I Mastri Vetrai di un tempo … I Verièri … Li chiamavano anche: Fiolèri.”

“Ah si ? … Mai sentìo … Gho sempre sentio parlar de Bocche da Forno, Vetrai da Conterie, da Specchi e tutto el resto … ma sto nome no o gho mai sentìo.”

“Eppure è stato quello il nome con cui i Vetrai Muranesi hanno fatto la Storia ... Una Storia millenaria, se non di più … Ho sentito dire di famiglie storiche di Vetrai che per secoli si sono battagliate e fatte concorrenza in isola per poi andare a vendere vetro in tutta l’Europa, e perfino in Cina e anche in America … in tutto il mondo, insomma …”

“Adesso il Vetro lo comprano solo i ricchi possidenti Russi o Mediorientali … Qualche Australiano o Amaricano ricco … quelli delle armi o del petrolio ... Il Vetro è un prodotto di nicchia e di valore, un’opera unica e firmata … Vale quasi quanto l’oro.”

“Murano nei secoli passati era piena d’attività e di famiglie di Fioleri …”

“I Verièri … i Vetrai.”


“Sì … Ho letto che nel maggio 1224 il Doge e il Minor Consiglio hanno imposto il bando a 30 Fiolèri rei di aver violato gli obblighi assunti giurando sul Capitolare dell’Arte rivelando i segreti del mestiere ... Fra quei Fiolàri c’erano: Leonardus frater de Viviano de Peraga, Gracianus de Galera e Iohannes de Vigonca … In seguito però vennero perdonati e riammessi in Laguna …”

“Certe cose le so anch’io … So che si distinguevano fra Verieri, Specièri e  Stazionieri, che erano quelli che di mestiere provvedevano a distribuire e vendere in giro gli oggetti di vetro … I Verieri Suppialume e i Perlèri stavano nell’isola di Murano dove avevano la loro Schola d’Arte e Mestiere di San Nicolò dei Verieri in Contrada di Santo Stefano de Muran.”

“Esatto: almeno fin dal 1255, giusto giù del ponte davanti alla chiesa di San Pietro dei potenti Padri Domenicani rimasta in piedi ancora oggi … L’Arte dei Specchieri, invece, stava a Venezia, a parte … e provvedeva alla “spianadùra e lustradùra” delle lastre di vetro dando lavoro indotto anche a Battiloro, Indoradori e Corniciai … Fatalità, ho letto proprio in questi giorni di due Fiolèri di Santo Stefano de Muran del 1300: uno fortunato … e uno parecchio sfortunato …”

“Do Verieri antichissimi !”

“Già … Ho letto un paio di quei documenti curiosi che sembrano essere forse qualche decina in tutto ... Sono come dei “lampi” dal Passato, dei scenari originalissimi, dei “Colpi di vita” che raccontano dei Vetrai e dei Muranesi di ieri … Il Fiolèro-Vetraio Muranese di ieri “fortunato, cioè benestante” era Guglielmo Deolài (Dio l’aiuti) detto “da li Verisèli”, che nel maggio del 1325 fece chiamare presso di se Marco Arpo Prete Notaio di Santo Stefano di Murano e suo Piovano per redigere col suo aiuto il proprio testamento ... Qualche anno prima Giovanni Deolài figlio di Guglielmo l’aveva lasciato in isola a Murano trasferendosi a Venezia in Contrada di Santi Apostoli, dove aveva aperto per conto proprio una nuova fornace “de verisèi e vetri colorati per finestre” (gemme di vetro) poco distante dalla chiesa di Santa Maria dei Crosichièri (Gesuiti delle Fondamente Nove) ... Guglielmo Deolài era “un nome”, ed era già conosciuto negli ambienti della Podesteria di Murano perché in precedenza era già stato convocato negli ambienti del Consiglio della Comunità dell’Isola per rendere conto di una partita di Allume di Siria che non aveva pagato … Anche lo stesso Prete Notaio Arpo era dell’ambiente dei Vetrai Muranesi, perché pure la sua famiglia era quasi tutta di Fioleri e proprietari di fornaci.

Guglielmo, insomma, dichiarò di proprio pugno di ritrovarvi infermo a casa sua nella Contrada di Santo Stefano di Murano: zona di riferimento e di concentrazione della maggior parte dei Fiolèri Muranesi … Disse e scrisse: d’essere vigile e sano di mente, cioè in pieno possesso delle sue facoltà, e per prima cosa nominò propri Esecutori e Commissari testamentari i figli Zane e Leonardo insieme a Donna Viola sua moglie ... Poi per seconda cosa ordinò di compiere “dòe caritade” (due distribuzioni di viveri: pan, vin e carne ai poveri della Contrada), e per terza dettò che intendeva lasciare alle figlie Cecilia, Donata e Tomasina 5 soldi di grossi ciascuna, ribadendo che se fossero rimaste vedove senza possedere casa propria avrebbero sempre potuto trovare ospitalità in casa sua “vita natural durante”... Per quarta cosa lasciò 3 soldi di piccoli ciascuno ai figli e alle figlie della sua figlia Caterina che fu moglie di Mafio Placito, cioè a: Donato, Benedetto, Margherita e Bartolomea; così come lasciò ai figli e alle figlie di Donata: Antonia, Beatrice e Maddalena altri 5 soldi grossi ciascuna in caso si fossero maritate ... Come quinta cosa decise ancora di lasciare a Pierina, figlia di sua figlia Tomasina e a Francesco suoi nipoti: 5 soldi grossi da corrisponderle quando si fosse maritata.

E ancora come sesta cosa, scrisse di lasciare “per l’Anima mia” alla chiesa di Santo Stefano di Murano: 10 grossi per far confezionare una “stricta” (stola, càsula, pianeta da Messa ?) e una dalmatica da far indossare ai Preti tenuti a pregare per lui ... Inoltre donò alla chiesa di Santa Maria di Murano altri 5 grossi per far ricostruire il serramento di una finestra nel Corpo di Cristo (la Cappella del Santissimo)… Lasciò alla sua “Schola dei Fioleri de Muràn”: 10 soldi di piccoli per sovvenire ai poveri infermi secondo come sarà sembrato giusto ai suoi Commissari … Lasciò alla Congregazione dei Preti di Murano: 2 grossi per essere ricordato fra i suoi benefattori … Altri 12 grossi alla Congregazione di San Luca di Venezia … sempre “per l’Anima mia”, e a tutte le Congregazioni di Venezia altri 20 soldi di piccoli per essere sempre ricordato ed essere partecipe dei loro “Benefici Spirituali” … Altre “due carità” dovevano inoltre andare agli ammalati di San Lazzaro … e lasciò da celebrare in Murano: mille Messe “per l’Anema mia” (mille ! … Cavolo ! … Non erano mica poche: un piccolo capitale)“distribuite secondo come sembrerà ai miei Commissari … Si debbano poi ancora far celebrare altre due Messe ai Frati Minori, e altre 100 agli Eremitani di Santo Stefano di Venezia … Altre 200 Messe, sempre “per l’Anema mia”, debbano essere celebrate in San Mattia di Murano.” […] Lascio ancora alle figlie di mio figlio Leonardo: 10 soldi di grossi ciascuna, e 5 a suo figlio … ai figli di Zane: 10 soldi per ciascuno … e agli stessi miei figli lascio la mia casa posta in Contrada di Santo Stefano di Murano (spartendola nelle parti e camere dalla parte della fornace e della calchèra (fossa della calce), e confinante da una parte con la casa vuota che fu di Cà Traenanti data in gestione ai Procuratori di San Marco, e dall’altra con la casa di Thomadello Balestra e fratelli … col Rio comune di Santo Stefano dove c’è l’entrata ensida, mentre dall’altra parte c’è la palude e il Lago di San Cipriano di Murano dove sta l’entrata “en caglasòn” ... Lascio la casa a condizione di non venderla, né d’impegnarla, né di donarla, e di lasciarla di erede in erede alla famiglia. Se non si saranno eredi, verrà allora affittata spartendo il ricavato in tre parti: una per restaurare le chiese di Murano, cioè: Santa Maria, Santo Stefano, San Salvador, San Martin, San Matia e San Mafio ... La seconda parte sia spartita allo stesso modo con i Preti Secolari delle stesse chiese perché possano sempre “commemorare e rendere partecipi dei suoi Benefici Spirituali, sia me che quelli di casa mia” … La terza parte, infine, dovrà essere data ai poveri bisognosi della Contrada di santo Stefano di Murano perché preghino anch’essi sempre “per l’Anema mia et de li miei” … e morti che siano i miei Commissari, voglio che siano miei Procuratori i Preti di Santo Stefano e Santa Maria … Lascio ancora a mio figlio Zane la mia terra  vacua che possiedo in Cà Marisusto (o Marigiusto) in Contrada di Santa Maria di Murano alla condizione che lui debba pagare e soddisfare tutto quanto ho ordinato in questo mio testamento, e debba trovare un Prete disposto a celebrare le Messe che ho detto ... e che doni a Santo Stefano di Murano un doppiere da 6 libbre ogni anno per 3 anni per illuminare “lo Corpo dei Cristo” e far carità come sembrerà meglio a loro … Lascio a mio figlio Leonardo la mia acqua (peschiva)  “de chavo de Rio” che possiedo in compagnia con Thomadello e fratelli … Voglio e ordino ancora che se mia moglie vuole rimanere in questa casa debba avere sempre ospitalità e mantenimento fino a un anno … Voglio e ordino che dopo la mia morte i miei figli Zane e Leonardo spartiscano fra loro pacificamente, e che quanto rimane della dote di mia moglie sia dato a Leonardo senza che Zane recrimini niente …Voglio che tutto ciò sia scritto secondo gli Statuti e gli Ordini di Venezia, e che qualora non fosse così sia modificato fino ad essere coerente con essi … Che queste mie volontà siano perpetue … e che chiunque osi infrangerle e cambiarle incorra nell’ira di Dio Onnipotente …”

Sul documento seguono le firme dell’interessato e dei testimoni: Prete Nicola di Santa Maria di Murano e Marco Pitato Prete di Santo Stefano di Murano.

Ve lo immaginate quell’uomo ? … Quel Vetraio o Fiolèro “Fortunato” ?… Chissà quale volto avrà avuto … e quale Storia avrà vissuto fino a mettere insieme quella fortuna fondata sul Vetro ?


La seconda storia, invece, quella del “Fiolèro Sfortunato”, è accaduta in precedenza … precisamente nella primavera del 1291.E’ la vicenda di un altro Fiolario che ha lavorato tutta la vita intorno al Vetro e sempre a Murano: tale Negro… morto: “desordinatus”, cioè in miseria, e lasciando in giro crediti e debiti da sistemare. Toccò al Notaio Antonio della Curia del Podestà di Murano Marco Zeno porre rimedio a tutta la faccenda ricevendo e sottoscrivendo la lista dei nomi verso i quali Negro era debitore, e soprattutto le cifre pretese da ciascuno: “qui debent recipere a Nigro Fiolario”.

La lunga lista racconta che si presentarono ad esigere quanto loro spettava: Dominus Andrea Pentolo del Confinio di San Giovanni in Bragora di Venezia che avanzava 12 denari di grossi; poi fu la volta di Stefano che dichiarò di avanzare: 5 denari di grossi e altri 3 per aver lavorato tre mesi e diciotto giorni in una fornace di Murano per lo stesso Negro ...Fu poi la volta di presentarsi davanti al Notaio del Fiolario Jacobus Longovardo che dichiarò di avanzare da Negro: quattordici libbre di denari grossi e ventotto di piccoli per un affare che aveva intrapreso con Jacobo Ferro insieme allo stesso Negro.

Dopo comparve ancora: Armelina vedova di Bertaldo, che affermò di avanzare dal solito Negro altri nove denari grossi … e venne: Margherita Donna Greca, che dichiarò di aver consegnato a Negro un barile da mezzo bigoncio, e un altro da una quarta, e due denari di grossi.

Comparve: Giovanni di Paganoto del Confinio di San Mafio di Murano dicendo che Negro gli doveva restituire dodici denari di grossi che gli aveva prestato … e: Giacomo Costantini della Contrada di San Canciano di Venezia, che avanzava venticinque soldi di piccoli … Tiziano “bancharo” di Santa Maria Formosadisse che Negro gli doveva dare 53 grossi … Giovanni (Rubeus) Rossi, Leonardo Celegino e Zanino Bisogno dissero insieme che Negro doveva loro: 7 solidi e 3 grossi per del legname che gli avevano venduto … Si presentò ancora il figlio del defunto Martino Choa per esigere 8 denari di piccoli in quanto era stato a lavorare nella fornace di Negro … e Gerardoche affermava d’avanzare 18 grossi …

Infine, viceversa e come unico caso, il Notaio Antonio ricevette da un Fiolario Padovano: 14 denari di piccoli che Negro avanzava da lui.

Una riga tirata in seguito sopra ciascun nome della lista farebbe pensare che ciascuno dei citati sia stato depennato al tempo del relativo pagamento della somma che gli spettava … Sembra anche d’intravvedere una dizione scritta riconoscibile come: “date” accanto alle singole cifre elencate.

Tutto saldato e sistemato ? … Forse ? … Chissà ?

In ogni caso, alla fine del documento si è scritto ancora che si è provveduto a vendere al miglior offerente i beni ch’erano stati di proprietà del Morto, e col ricavato si è pagato anche l’affitto arretrato di un anno della casa appartenente al Nobile Veneziano Pietro Venier in cui Negro aveva abitato.I soldi che avanzarono, infine, furono messi nelle mani di Ser Luca Maseràn noto proprietario di fornace di Murano, e in seguito affidati a Benvenuto Camerlengo di Murano al tempo del Podestà Nicolò Zorzi.
Come sarà stato quest’altro Fiolèro Muranese ? … Me lo immagino scarmigliato e con la barba incolta, mal in arnese e dall’aria preoccupata durante gli ultimi giorni della sua vita … Non ci citano nel documento: né moglie, né figli, né parenti, né amici … Che sia rimasto da solo con i suoi debiti e i suoi quattro averi ? … Non si fa neanche accenno alla Schola dei Vetrai di Santo Stefanoche era punto di riferimento per tutti i Vetrai Muranesi … Né a Preti, Frati e Monache … né ai poveri e ai Muranesi … Non lasciò niente a nessuno: neanche“un bèzo matto”… Forse era uno di loro … Era proprio un libero battitore ? … Un Vetraio solitario ? … Chissà ?


I Vetrai o Fiolèri Muranesi si distinguevano in due grandi categorie: i “Paròni de Fornàsa” che si riunivano a Santa Chiara, e i “Mastri da Vèro” che facevano capo e avevano Schola a Santo Stefano Protomartire in Contrada di Rio di fronte a San Pietro. Ciascuno si aggregava, votava e agiva per conto proprio decidendo le sorti del Vetro e dell’isola di Murano che da lui dipendeva in tutto e per tutto. Secondo gli originari Statuti e la "Mariegola Phioleri de Muran" del 1271, i Fiolèrisi distinguevano in 4 Colonnelli o sottocategorie: i Verieri da lastre, da Rulli (da finestre legati col piombo) e Quari, i Verieri da gòti e suppiadi o da buffaria, e i Fioleri da Canna e da Smalti.

Murano un tempo era diversissima da come possiamo immaginarla, e soprattutto completamente diversa da come è oggi. Era un’isola difficile, turbolenza, a tratti anche violenta … Non era facile vivere là. Fin da subito la Serenissimavi pose un Podestà con un Consiglio di 25 uomini per tenere l’Ordinee la Giustizia … La grande attività produttiva del vetro portava tanti a tentare la fortuna e ad investire: e c’erano prestiti, debiti, gioco, azzardi e successi di chi s’arricchiva col Vetro … ma anche tanto sudore, lavoro “bruto”, miseria, e alti e bassi di fortuna … che portavano in isola a far succedere un po’ di tutto.

Per secoli “la Cavàda” o spegnimento dei forni di fine luglio segnava con una gran festa in isola l’inizio della pausa lavorativa estiva che giungeva fino all’autunno inoltrato (novembre). Nel periodo di tempo estivo si celebrava il rito del “Comparto”, cioè la Schola dei Vetrai in accordo con la Magnifica Comunità Muraneseassegnava i forni autorizzati e il lavoro per la stagione seguente.

Nel 1387 diversi vetri lavorati a Murano venivano esportati in Germania … poi nelle Fiandree in Inghilterra… Venti anni dopo un Mercante di Pisa venne catturato dai pirati mentre trasportava da Venezia verso la Sicilia 47 casse di Vetro di Murano… Nel marzo 1438 fra le merci portate a Costantinopoli dal Mercante Giacomo Bàdoer c’è una partita di bicchieri di Murano buoni per far regali e per essere venduti ai bottegai della città Anatolica, e da lì partire per il Medio e lontano Oriente Asiatico e l’Africa.

Per secoli a Murano tutto ruotò intorno all’imprenditoria e alle economie dei grandi nomi delle Famiglie Vetrarie Muranesi che furono  quasi sempre le stesse: i Ferro“All’insegna del San Giovanni Battista”, i Zanetti, i Bertoni o Berton della Fornaza al Liofante D’oro, i Tarlà, i Bigaglia: “Al Campanile”, i Motta, Seguso, Ziminian, Mestre “All’insegna dell’Aquila”, i Molinari “All’insegna della Luna”, o i Santi e Santini “Al San Bonaventura”, e i Dalla VeneziaAll’insegna della Madonna del Carmine”, i Schiavonetto, Sodezzi, Calura, Barovier “All’Anzolo”, i Seguso della Fornàsa dell’Annunziata, i Tòso, i Bortoluzzi della Fornàsa “All’insegna della Nave”… e ancora: iMazzolà, i Morelli della Fornàsa “All’insegna della Colombina Bianca”, i Rossetto della Fornàza “Al segno del San Giuseppe”, i Raddicon la Fornàsa “All’insegna della Pace Trionfante”, i Barbini, i Marinetti della Fornàsa “Ai Do Mori”, i Gazzabin della Fornaza “All’insegna del San Sebastiano”, Fuga, Briati e Miottidella Fornaza “All’insegna del Gesù”… e tanti altri, che sarebbe lunga nominarli tutti ... Fra una crisi economico-commerciale e l’altra, diversi si associavano fra loro per rafforzarsi sul mercato, mentre altri riuscivano ad accentrare su di se buona parte della produzione senza averne tuttavia mai l’esclusiva ... che era prerogativa della Comunità Muranese e monopolio della stessa Serenissima.

Ancora durante il 1700 non si poteva lavorare a Murano il giorno delle feste di San Donato Patrono di Murano e di San Nicolò Patrono dei Fiolèri-Vetrai… Sempre nello stesso secolo, le fornaci restavano accese di continuo per 44 settimane l’anno, e gli operai si alternavano di 6 ore a partire dalla mezzanotte facendo 2 turni al giorno, ossia lavorando 12 ore. Il riposo era solitamente di domenica, eccetto che per i Furlàni (Friulani) che mantenevano accesi i forni ... Le fornaci muranesi godevano del diritto di prelazione su ceneri, manganese, antimonio, ossido di piombo e tutta la “zàffera” che giungevano sul mercato veneziano. I produttori di pietre tenere veronesi (detti pozzi e galtelle) con le quali si costruivano le parti centrali della fornace, non potevano coalizzarsi per accrescere il prezzo ... I Burchieri dell’Adige dovevano eseguire solleciti il trasporto a Murano dei materiali senza abusare sul nolo, e ugualmente dovevano inoltrare via fiume lastre e vetri sia in salita che discesa per Venezia ... Solo Bergamo, Brescia e Verona potevano disporre di fornaci per lastre da finestre e potevano rifondere i vetri rotti raccolti … Nel 1731: il Consiglio dei Dieciintervenne prontamente su delle barche che trasportavano dall’Istria sabbia silicea verso Mantova, Milano e Trieste attraverso le bocche del fiume Po.

Anche nel 1725 il giorno di San Nicolò si distribuirono 590 pani ai Mastridelle 30 Fornaci ancora accese (quelli riconosciuti e autorizzati erano 180, e 35 erano i “sopranumerari”autorizzati a vendere vetri in giro per Venezia e la Laguna), e si fece “bòna regalia de cristalli al Doge” al quale ogni fornace solo per poter esistere e lavorare pagava 4 denari di grossi di Dazio ... Da antichissima tradizione Muranese certificata già nel luglio 1312 sulla Promissione Ducale del Doge Giovanni Soranzo, era previsto che i Fiolarii di Murano offrissero ogni anno il 2 febbraio “ad festum Sanctae Marie Scolarum”, 100 bottiglie grandi, 100 piccole e 200 bicchieri … Nel 1797 alla fine della Serenissima quando ancora le Fornaci versavano all’Arte un ducato per ogni “vaso o padella” accesa, e i Maestri una giornata di lavoro per i Mastri inabili al lavoro, gli iscritti alla Schola di San Nicolò dei Verieri de Muran erano ancora 560 fra: Suppialume, Capimastri Negozianti, Capimastri Operai o Vetrai, semplici Lavoranti o Serventi Fornasieri da Vèro, Paròni de Fornàsa, Maestranze Soprannumerarie e Allievi o Garzoneti o Serventini e Forcelanti. Molti Muranesi entravano in fornace a 10 anni lavorando gratis per 5 anni e poi altri 5 come Garzoni pagati ... In genere si guadagnavano 40 ducati annui pagati in 3 rate: Natale, Pasqua e primo di ottobre lavorando tutto l’anno con la pausa dei due mesi estivi. Lo stipendio a volte sembra venisse pagato anche in vetri, cenere, drappi e tele ed altri materiali utili per la lavorazione che venivano rivenduti … e tutto avveniva, si condensava e aggregava e ricapitolava soprattutto intorno e dentro alla Contrada di Santo Stefano di Murano.



L’antica chiesa del Protomartire della Contrada di Rio de Muran risaliva probabilmente al mille, era ricca di Confraternite, e ospitava soprattutto la Schola di San Nicolò dell'Arte dei Vetrai e quella frequentatissima dai Muranesi dei Santi Pietro e Paolo istituita nel 1529.
La storia di Santo Stefano di Muranoè caratterizzata da un continuo battibeccare dei suoi Preti con quelli della chiesa di Santa Maria per la supremazia e la dipendenza l’una dall’altra.

Nel gennaio 1152, ad esempio, si tenne a Rialtoun apposito Sinodo Provinciale indetto da Giovanni III Polani per indurre il Piovano e il Clero di Santo Stefano di Murano a prestare ossequio alla chiesa Matrice di Santa Maria e Donatorecandosi a partecipare all’Uffizio Solenne nella notte dell’Epifania, mentre  a sua volta il Piovano di Santa Maria con i suoi Preti dovevano portarsi in Santo Stefano il giorno del Titolare: “mangiando seco lui e bevendo mela et vino in buona pace e carità” ... Un’altra sentenza di Enrico Dandolo, invece, prevedeva l’ossequio della filiale di Santo Stefano verso la Matrice Santa Maria e Donato nei giorni di: Natale, Epifania, Domenica delle Palme, Ascensione, Pasqua, Assunta, e di mandare “otto giorni avanti la Festa della Purificazione le solite onoranze, e venir ad invitarlo (il Piovano), acciò si porti a cantar il primo Vespro osservando il tutto conforme la vigilia di Santo Stefano …”
E si andò avanti così per secoli su secoli di Storia … Il luogo adiacente la chiesa di Santo Stefano di Murano godeva del privilegio “dell’immunità ecclesiastica”: chi si rifugiava là aveva diritto “al rispetto” da parte della Giustizia Civile … Sempre nella stessa chiesa di Santo Stefano di Murano ogni anno il giorno di Santo Stefano dopo Natale si prolungava la tradizione Veneziana che prevedeva che il Doge a Natale donasse alle Famiglie Nobili più importanti della città alcune “Anitre selvatiche di palude dalle zampe rosse” di solito cacciate in Laguna: “le Osèle”. Prima della metà del 1500, al tempo del Doge Antonio Grimani, quando le Anitre furono più difficili da reperire e acconciare per regalarle, vennero sostituite dal conio in numero ridotto (meno di un centinaio) il giorno dell’Ascensione(la Sènsa) di alcune monete-medaglie d'argento (del valore di un quarto di ducato) e d’oro (valevano lire 88 venete cioè 4 zecchini) che presero lo stesso nome degli uccelli assumendo significato di prestigio, esclusività e privilegio. Murano portò sempre avanti quell’antica tradizione delle Oselle offerte al Doge, e costui a sua volta le regalava ai Nobili Veneziani, e al Podestà, Camelengo, Cancelliere, Giudici, Giustizieri, Comandadori e agli uomini del Consiglio Muranese. Le Oselle erano sempre contornate da iscrizioni beneauguranti e segnate con l’anno d’emissione, portavano lo stemma del “Gallo Ardito con la Serpe nel becco”della Magnifica Comunità di Murano da una parte, e del Doge o del Podestà o del Camerlengo di Murano dall’altra ... e diventavano utili per essere incastonate in oggetti, o venivano portate al collo inserite su collane.

Ancora nel 1707 il Commerciante Muranese Zuanne Cimegotto di 67 anni ordinò che gli fossero celebrare 100 Messe il giorno del suo Funerale lasciando una bella cifra di denaro ai 26 Preti afferenti alla chiesa di Santo Stefano di Murano, la cui Contrada-Parrocchia contava 4.200 abitanti quasi tutti impegnati nel lavoro del Vetro e delle fornaci ... La maggior parte delle donne lavorava bottoni di seta e di filo, ed “impiràva” conterie ridotta in perle, o impagliavano i “lavori di Vetro” da spedire altrove.

In quegli stessi anni quando un’epidemia falciò via quasi il 70% dei bambini dell’isola di Murano, avvenne un generale rifacimento della Contrada di Santo Stefano di Murano. Si demolirono circa 70 vecchie case cadenti e diroccate, di cui 20 al Ponte Longo, altre 14 fra San Zuannee il Bressàgioche appartenevano: 2 ai Seguso, 4 ai Marinetti, 8 ai Dal Moro; e ancora altre 28 al Ponte di Mezzo vicino alla Pescaria... Ben 39 famiglie di Vetrai Muranesi, quasi tutte della stessa Contrada di Santo Stefano, si trasferirono dall’isola non solo a Venezia ma in tutt’Italia: Roma, Ferrara, Vicenza, Torino, Este, Riminie persino all’estero a Gratz in Austria dove avviarono quasi sempre nuove attività vetrarie ... Anche l’antica chiesa a tre navate divisa da colonne in marmo, con sette cappelle e Battistero “conzati per le feste con tappezzerie di valore” venne ritoccata e rimessa a posto perchè malridotta. Si rifece la facciata, il pavimento, il soffitto, le decorazioni, e l’intero Altare Maggiore.

Nel 1725 morì Bortolo Dalla Motta detto MorattoGuardian Grando della Schola di San Zuanne de Muran: “che trasmise un congruo lascito ai Preti di Santo Stefano” ... L’anno seguente venne ucciso Antonio FerrèCapo Contrada di Santo Stefano di Murano, di 65 anni, gestore del Bastion da vin di San Piero in Pescariaper una ferita al fianco sinistro che lo fece sopravvivere ancora 3 giorni … Nel 1749, invece, morì l’eminente Vetraio Zorzi Miotti quondam Vincenzodi anni 68, e il Piovano ne seppellì la salma in Santo Stefano provocando l’ira dei Frati Domenicani di San Pietro al di là del ponte, che ricorsero subito al Magistrato alla Sanità ottenendo che venisse dissepolto il cadavere e portato da loro in San Pietro. A sua volta il  Piovano Morelli di Santo Stefano fece un controricorso urgente al Consiglio dei Diecidella Serenissima che gli diede ragione, perciò di nuovo il cadavere del Vetraio fece un altro viaggio di ritorno nella chiesa di Santo Stefano dall’altra parte del ponte: “Avanti e indrìo … Che bel divertimento !” commentarono i Muranesi della Contrada.

A metà del 1700 quando venne eletto Doge Francesco Loredan, lo stesso Consiglio dei Dieci decretò che il Piovan di Santo Stefano di Muran nella persona di Don Darduin dovesse dare la precedenza nelle Processioni e in tutte le manifestazioni dell’isola a quello di Santa Maria e Donato che era Don Calura… eravamo ancora alle solite … Nel 1753 Don Piero Ziminian quondam Ziminian di anni 27 Prete di Santo Stefano venne eletto Maestro di Scuola dell’isola ... Gli si contrappose Prè Andrea Mestre quondam Vettore sempre dello stesso Clero di Santo Stefano di 69 anni, e dotato di grande prestigio ... Tira molla, tira e molla … Il Prete vecchio alla prima votazione perse per un solo voto, ma qualche mese dopo lo scarto fra i due fu di ben 69 voti, e Prè Andrea dovette rassegnarsi a pensionarsi.

Verso fine secolo, nel 1783 precisamente, il Santo Uffiziodi Venezia intentò un processo contro due Preti di Santo Stefano di Murano: Don Giobatta Andreotta e Don Andrea Pizzocaro denunciati “per eresia” da Paolina Ongaro:“una pia donna che abitava presso il ponte di Santa Chiara”. La donna andò a dire agli Inquisitori che Don Andreotta aveva detto: “… che le Indulgenze non giovano punto ai Morti perché la facoltà che ha ricevuto il Papa si estende ai Vivi e non ai Morti del Purgatorio … e parlando del Perdon per li Morti lucrato nelle chiese dei Francescani: che erano di poco conto, perché erano bolle de li moderni Pontefici, e che contavano solo quelle degli antichi …”

Figurarsi ! … L’Inquisizione Veneziana si sparò subito nell’isola ad accalappiare immediatamente i Preti.

L’ultimo giorno dell’anno 1799, quando ormai la Serenissima era decrepita e caduta, il Piovano di Santo Stefano di Muranoannotava nei suoi diari: “… in questa notte fu rubbata l’argenteria di nostra chiesa e parte dei veladi con galloni d’oro. Ma il primo giorno dell’anno fu portata la nuova consolante che si era ritrovata in Venezia in Barberia delle Tòle a Santa Maria Formosa posta in un sacco da una certa figliola, che era andata per cercare il gatto quale sentendo l’urto chiamò il proprio padrone ch’era Capo Contrada…”

Poco dopo anche nell’isola di Murano tanto venne disperso, quasi tutto: i celebri organi di Santo Stefano e dei Battuti di Murano andarono svenduti altrove, e perfino “le ossa dei Santi vennero sparpagliate”Chiesa e Portico di Santo Stefano vennero ridotti prima ad Oratorio, e poi a rudere e giardino: pitture e statue realizzate all’interno dai principali artisti Veneziani vennero disperse e in parte salvate altrove. (Oggi molte opere di Santo Stefano di Murano [almeno una quindicina] sono conservate nei depositi delle Gallerie dell’Accademia di Venezia).

In Venezia esistevano altre Associazioni o Schole d’Arte, Devozione e Mestiere legate al Vetro: la Schola dei Verieri Stazionieri e Buttigleri si curava, ad esempio, della sola vendita dei Vetri. Lo stazio dei Verieri” poteva essere anche un semplicecasotto in legno posto e assegnato su una riva, in una calle o in un campo dove venivano smerciati i prodotti realizzati a Murano: soprattutto bicchieri, bottiglie e vuoti a rendere … Attività indipendente e regolata a parte era, invece, la vendita degli ambulanti.


La Schola degli Stazionieri di Venezia possedeva tutte le classiche prerogative delle Schole Veneziane: la Mariegola, l’iscrizione col pagamento della tassa di Benintrada, la distribuzione del "pan et candela", la partecipazione ai Capitoli, l’elezione del Gastaldo e della Banca dei Confratelli, gli obblighi verso i Confratelli Defunti, e la partecipazione alle Funzioni Religiose e Processionilungo tutta la Contrada con Penèlode la Schola (gonfalone) e l’Alboro(asta) infisso nel campo per appenderlo il giorno di San Sebastiano Protettore della Schola ... Durante il 1438 il Capitolo Generale degli Stazionieri del Vetro venne ospitato in chiesa di San Zuane de Rialto da dove decisero di passare nella chiesa di San Polodove si costruirono un altare in legno titolato a San Sebastiano, e delle proprie Arche funebri per i Confratelli Morti ... Litigato poi col Capitolo dei Preti di San Polo per via dell’altare collocato troppo in disparte, l'Arte degli Stazionieri si trasferì nella chiesa di Sant’Anzolo nel Sestiere di San Marco portandosi dietro da San Polo: banchi, altare, addobbi e tutto il resto … perfino le ossa dei Morti, che vennero deposti in nuove Arche costruite insieme a un nuovo altare in marmo … Qualche anno dopo, nel 1671, lo stesso altare venne venduto per 225 ducati dagli Stazionieri in crisi economica alla Schola di Sant’Antonio da Padova ospitata nella stessa chiesa, e ancora per risparmiare sulle spese di mantenimento della sede della Schola, gli Stazionieri andarono a farsi ospitare nei locali della vicina Schola dei Zòti (Zoppi)... Ancora nel 1773 gli Stazionieri da Vèro attivi in Venezia erano 18 ripartiti in 14 Casotti o Stazi. 

Altra Categoria a parte ma sempre legata al Vetro lavorato a Murano, era quella dei Margheriteri, Cristalleri,fabbricanti di perle o Perlèri, o di Conterie e Paternosteririuniti in apposita Fraterna e Sovvegno di Arte e Mestiere sotto la protezione di Sant’Antonio Abate. Avevano sede, ma anche abitavano e lavoravano nella zona di San Francesco della Vigna (nei chiostri del Convento avevano la sede della Schola), in Salizada e Contrada di Santa Giustina e Santa Ternita nelle estreme periferie povere del Sestiere di Castello di Venezia.
Si trattava di Artigiani che almeno fin dal 1284 producevano e vendevano oggetti semplici in cristallo di vetro, come bicchieri, vasi, cofanetti, croci bottoni e lenti per gli occhiali. I Paternostreri facevano evendevano: Rosari, collane e fiori in perle di vetro distribuendoli in un mercato che arrivava fino a Costantinopoli, Aleppo, Tripoli, Londra e Lisbona ... Nello stesso anno iI “due terzi” di quanto veniva incassato con le multe inflitte a chi si recava a lavorare abusivamente fuori di Venezia era destinato ai poveri dell’Arte e alla sepoltura dei Morti della Schola ... Nel 1611 l’Arte dei Cristalleri e Paternosteripagava 700 ducati annui per mantenere la flotta veneziana, e nel 1672 l'Arte dei Perlèri non era affatto cosa da poco: si divideva in “due Colonnelli”, cioè “da ferrazza” e “da spiedo”, contava ben 194 CapiMastro, 140 Lavoranti, 228 Garzoni e 85 figli di CapiMastro attivi in 11 “mezzàdi o negozi” e in 26 fornaci dove fabbricavano all’anno: 2,2 milioni di libbre sottili di Conteria, e 200.000 libre di Cannette e Rosette “non soggette al fuoco” del valore di almeno 240.000 ducati ... Nel 1720 si quantificò che l’intera produzione dei Margariteri e Paternostrieri poteva avere un valore di circa mezzo milione di ducati … Ancora nel maggio 1788, l’Arte concedeva medico e medicine, e un sussidio di 14 lire settimanali ai Confratelli malati per i primi 3 mesi di malattia, andando poi decrescendo. Ai vecchi impotenti delle Maestranze inabili al lavoro si concedevano fino a 7 lire settimanali. Erano esclusi dai sussidi: “… quei che co’ loro disordini e colle sregolatezze del vivere si fossero acquistati i mali che li travagliano … feriti in risse volontarie…chi non fosse in regola con pagamento delle quote.”Nel 1809 con la soppressione della Schola la pala di Sant’Antonio Abate dei Paternosteri e Perleri che si trovava su un altare di legno nella sede della Schola venne venduta a una Parrocchia di Verona.



Murano col simbolo del Gallo con in groppa una Volpe che tiene nel becco una Serpe, era un’isola straordinaria per diversi motivi: oltre che per il Vetro, per le Oselle, e per il Libro d’Oro delle maggiori famiglie Muranesi che vantavano il privilegio di potersi imparentare con quelle Nobili Veneziane … Per secoli le Fabbriche da Vetri, Cristalli, Candelabri, Lastre, Bottiglie e Lampadari, o le Fabbriche da Margaritaio o da Smalti ad oro e argento o colorati per Mosaici, Calcedonie, Filigrane, Avventurine, Porpore e Canna per Conterie e Perle rimasero attive sparse un po’ ovunque per le Contrade dell’Isola di Murano: San Salvatore, San Matteo, San Giacomo, San Martino, in Riva Longa, San Bernardo, San Giovanni e in Rio dei Vetrai… Fu verso la metà del 1800, quando Murano aveva ancora 4.000 abitanti, che la presenza degli Opifici Vetrai precipitò velocemente da 120 a una quarantina di cui quasi tutti lavoravano “ margheritine”, e subito dopo le fabbriche attive rimasero una ventina in tutto … S’era chiusa definitivamente un’epoca, di cui per altre due secoli rimasero tuttavia “la coda” e le tracce dell’attività.

Se tornate di nuovo a visitare Murano Isola dei Vetri, recatevi alla chiesa di San Pietro… valicate il ponte accanto alla chiesa, e appollaiatevi da qualche parte ai piedi della“Torre dell’Orologio” in quello che è stato il Campo di Santo Stefanodi Murano ... Aguzzate un attimo lo sguardo, e vedrete che accanto e dietro alla torre, sulla destra oltre certi capanni, esistono ancora i ruderi di quella che è stata la chiesa e l’Oratorio di Santo Stefano dei Fiolèri Muranesi.


Poi provate a chiudere gli occhi un attimo … soltanto uno … e pensate un poco a quanto è accaduto in quel Campo Muranese, e come lì per secoli sono convenuti in massa e di continuo uomini e donne dell’isola tutti indaffarati intorno alle sorti del Vetro … Pensate a quanti volti e fisionomie, a quanti bimbi in braccio, e a quanti visi scuriti dal fumo e cotti dalla vampa dei forni … Pensate alle Oselle … pensate che lì si è fatta tanta Storia di Murano … e di Venezia di rimando ... e godetene di questa cosa da buoni Veneziani.



“Quella delle Nove” … le penultime su San Marcuola.

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#unacuriositàvenezianapervolta 188

“Quella delle Nove” … le penultime su San Marcuola.
(undicesima e penultima parte)

Rimarrete delusi se leggendo di “quella delle Nove” avete pensato istintivamente a bell’incontro galante con una fascinosa e misteriosa “donnina delle nove” della maxiContrada di San Marcuola in Venezia … Non ho niente di tutto questo da raccontarvi, perché si tratta, piuttosto, di un contenuto sicuramente meno stuzzicante e “appetitoso”, ma tipicamente Veneziana … perciò, secondo me, sempre interessante.

Anche se oggi quasi non se ne parla, le “Nove” furono delle singolarissime Istituzioni Veneziane che godettero per secoli di notevole considerazione e prestigio nella nostra città Lagunare, soprattutto per la loro ricchezza e la loro indiscussa influenza. Quella di San Marcuolaè stata fin dall’antichità una delle “Nove Congregazioni del Clero Cittadino o Urbano di Venezia” (la maggior parte fu fondata già durante il 1200 quando Piero Enzo della Contrada di San Moisè lasciò alcuni beni alle allora cinque Congregazioni dei Preti Veneziani di Rivo Alto: Sant’Angelo, Santa Maria Materdomini, Santa Maria Formosa, San Luca e San Marcuola… Alcune sono nate forse anche prima).

“Eccolo qua !” mi direte, “con la solita ròba da Preti: le preghiere, le Dottrine, Messe, Litanie, Processioni … le solite cose un po’ bibbiose.”

Si … questo è vero, perché i Preti sono sempre stati “i Preti” con le loro solite “aggeggerie ed esosità”, ma le “Cieresìe dei Preti” di Venezia, chiamate così per secoli dai Veneziani di città e di buona parte della Terraferma Veneziana, sono state in realtà molto e molto di più. 

Ve ne parlerò brevemente (sara mai ?)… però a modo mio … Perciò mettetevi comodi, e provate a seguirmi un po’.
Immaginatevi insieme a me una scena di quasi un paio di secoli fa … C’erano due Preti Veneziani che doveno incontrarsi fra loro nella solita chiesa della maxiContrada allargata di San Marcuola nel cuore del Sestiere di Cannaregio … a Venezia ovviamente.


Probabilmente era una mattina pigra di un maggio Veneziano, in cui si andava come sempre incontro all’estate: entrambi i colli dei due Preti presenti in chiesa erano sudati per via del solito collare candido azzimato e adeso che imprigionava soprattutto la papagorgia dell’Arciprete che stava celebrando la Messa del Mattino su un altare secondario laterale della chiesa … L’altro Prete, invece: era Don Luigi Piccini: Cassiere della Congregazione dei Preti di San Marcuoladal 1847 al 1858 … Per entrambi portare la tonaca nera in quella stagione iniziava ad essere un sacrificio non da poco, perché quel tonacone lungo fino a terra impediva la giusta circolazione dell’aria soprattutto dove ci sarebbe stato maggior bisogno … Quanto invidiavano certi barcaroli e fadiganti Veneziani che se ne andavano in giro in barca “sbragàti”, scalzi e a torso nudo: “Loro sì che se ne stanno freschi !”… D’inverno era tutt’altra cosa, ma d’estate ? … Era una “Caldàna”certa ! … L‘Arciprete perciò era “surriscaldato” imbottito nei paramenti dell’altare, e voltandosi verso il Popolo a metà della Messa per regalare un “Orate fratres !” ai suoi pochi fedeli, individuò subito nella penombra del fondo della chiesa la presenza dell’amico Prete che l’aspettava … “Eccolo là !” disse a se stesso … “Me l’ero quasi dimenticato … Oggi è mercoledì … Fra poco devo ricevere e ascoltare Don  Luigi … Quello non sgarra mai di un pelo, neanche se venisse giù il cielo … Pioggia o vento, neve o nebbia o acqua alta: puoi star certo che lui c’è sempre lo stesso … Sarà bene che mi sbrighi con ‘sta Messa … Così anche queste quattro Babbe sedute a chiacchierare qui davanti sui banchi della chiesa, potranno uscire in strada a dar ulteriore libero sfogo ai pettegolezzi della loro lingua maledetta e biforcuta ... Che ridicole che sono ! … Però se non ci fossero loro, la chiesa stamattina sarebbe del tutto deserta … Meglio loro che niente.”

Così pensando si rivoltò di nuovo verso l’altare, e accellerò l’andatura delle parole del Sacro Rito lette dal Messale Liturgico in Latino … e in quattro e quattr’otto mandò tutti a casa proferendo il conclusivo fatidico: “Ite Missa est !”

“Deosgràssia” risposero immediatamente, quasi riconoscenti e liberate, le donnette sedute sui banchi della chiesa … e provvidero subito ad alzarsi riprendendo a spettegolare “a mitraglia” e a voce alta su tutto e tutti … A niente valse il richiamo del Sacrestano-Nonzolo della chiesa che sbucò fuori subito dopo da un suo abituro seminascosto della chiesa. Provò a zittirle con un sonoro: “Ssssssssss ! … Fate piano: che siamo in chiesa !”

Non ne sortì alcun effetto … Anzi … Anche lui sapeva già che non sarebbe funzionato … Si trattava solo di una specie di segnale per far capire alle donnine che pure lui si sarebbe aggregato volentieri alla loro combriccola per recarsi a prendere un buon caffè nel baretto di fronte alla chiesa … Con loro c’era sempre una montagna, una cascata generosa di notizie, commenti, supposizioni e dicerie “nuove di zecca” da condividere. Le donnine, infatti, non se ne ebbero per nulla a male del richiamo del Sagrestano … semplicemente lo ignorarono, e con ampi gesti e issandosi per un’ultima volta il velo scuro“da Messa” sui capelli candidi della testa, gli fecero cenno di sbrigarsi a raggiungerle e seguirle: “Dai Arturo ! … Datte una mossa ! … Fa  presto … che xe tardi !” gli sibilò la Tersillapiegando il ginocchio artrosico a metà simulando una mezza genuflessione devota di saluto al Crocifisso di San Marcuola.

“Movite Arturo ! … Che ti xe un vècio mècco e fiàppo … Càvite quèa sgnàggnara che ti gha sempre intorno !” lo canzonò anche l’Elvirasegnandosi in faccia un ultimo triplice segno di Croce imbrogliato da sinistra a destra e viceversa: “Meglio farne più di qualcuno, e dritti e rovesci” pensò, “Non si sa mai … Speremo che me porta ben e Fortuna farli.” … e concluse il gesto scaramantico “sparando” un doppio bacio in direzione dell’altare in basso, e del Cielo in alto.

“Ciò ? … Tibaldòne de vècie tabaccòne ! … Non stève minga permètter !” le apostrofò divertito il Sagrestano Arturo, “E no ste minga rompèr i tòtani de mattina presto !” aggiunse prendendole entrambe confidenzialmente a braccetto.

“Tazi succòn de Nònsolo ! … Parla ben !” reagirono le donne, “Che semo ancora dentro in cièsa … Ti dovaressi saverlo ben … ch’el xe el to mestièr …”

“Sta sìtta spròtta ! … Che no ti capissi niente come sempre … Andèmo fòra che xe mègio !” concluse Arturo ridendo divertito.

“Xe sempre a stessa storia: col gatto manca i sòrzi bàgoa (i topi si divertono) … Ti gha visto el Piovan impegnà col solito Prete de a Congrega … e subito ti ne approfitti per sgataiolàr fòravia e andàrte a bèver un’ombra.”

“Tàsi insulsa ! … Che quando capita quel Prete ghe xe sempre bòni affari in vista par tutti … Quando ghe xe lù: i Preti xe tutti contenti e soddisfatti ! … Ghe xe schèi (soldi) che gira, e no i vede più tutto el resto … Al Piovan no ghe passa neanche par l’anticamera del sarvello de saver dove che so, e cosa fàsso mi …”

“Co ghe xe i bèssi de mezzo i Preti e i òmeni non capisse più niente.” rise ironica una delle donne.

“Sta sita ! … Femmena blasfema e danàda ! … Che i Preti no te sènta ! … Quei xe bòni de spararte subito dritta all’Inferno !”

“Eh ! … Che Inferno e Inferno ? … Prima de mandarme mi i dovarà mandarghe qualcun altro … Forse lori stessi … Andèmo a tòr sto caffettìn va ! … Che xe mègio, e che ormai xe quasi mezza mattina … Po dovarèmo darse da fra … Ch’el sol magna e ore … Lassèmo da parte i Preti, gavèmo altro da pensàr e da dir …”

“Ma dai ? … Chi lo gavarìa mai ditto ?” sghignazzò Arturo … e s’infilarono tutti dentro all’Osteria da Nane.

Terminata la Messa intanto, Don Luigi, il Prete Ragionato, si portò camminando lentamente fino alla Sacrestia di San Marcuolafingendo di non sentire né veder passare quella “genia de veccie squaqquaròne” che impestavano con i loro pettegolezzi estate-inverno … ma anche autuno e primavera, cioè quasi sempre … ogni chiesa di Venezia … Don Gigi procedette in punta di piedi attraverso tutta la chiesa per non far scricchiolare le sue scarpe nuove sul lucido pavimento in cui quasi ci si specchiava … Le stesse donnine di prima trascorrevano pomeriggi interi a lucidarlo e pulirlo … e a chiacchiarare in compagnia, perciò splendeva quasi come uno specchio … A Don Gigi sembrava di camminare leggero quasi volteggiando in aria come un Angelo a qualche centimetro da terra … Poi entrò finalmente in Sacrestia dopo essersi devotamente genuflesso chiudendo gli occhi davanti all’altare del Santissimo dove c’era una lampada rossa perennemente accesa, e dopo i solito convenevoli e saluti ossequiosi molto composti e contenuti ma gentilissimi, finì col l’abbracciare l’amico Arciprete: rosso in volto e tutto accaldato per via dei pesantissimi paramenti che aveva indossato per tutta la Messa.

“Sta Pianèta (l’abito da cerimonia del Prete) xe pesante come una coràssa ! … Non capisso perché quell’èbete de Arturo non me prepara qualcosa de più leggero da metter indosso co sto caldo … Oh ! … Bondì paròn ! … Come stàlo ? ” esordì l’Arciprete togliendosi di dosso l’abito ricamatissimo e arzigogolato di ricami, creme e lustrini dorati.

“Paròn a mi ? … In realtà el paròn de tutto xe lu Sior Arciprete …”rispose ironico Don Luigi il Prete Ragionato,

“Sto ben amico caro … E lu ?”

“Dai … Non xe màl … Se tira avanti a carretta come sempre …Da poveri Preti vèci.”

“Eh … Sempre che ti te lamenti e che ti te piànsi addosso … Se ti ti xe vècio e povero … Che còssa dovaria dir staltri ?”

“Se fa pàr dir ! … Ti xe sempre el solito pignòlo … No ti làssi scampàr neanche una parola ... Andèmo de sora in Canonica dai ! … Andèmo a farse una bòna colasiòn ! … Che sarìa anca ora e tempo de magnàr qualcosa: so a digiuno da ieri sera.”

“Cossa ti vol che sia … A vardàrte ti me par ben messo e in forma … Non ti me sembri per niente deperìo … Anzi ! … Ti xe più tondo del solito … Un fià de digiun te faria più che ben.”

“Minga tutti pol essere magri incandii come ti … Magari podesse anca mi !”

“Beh … Se solo ti magnassi a metà de queo con cui ti te ingòssi de solito …”

"Vàrda sto qua ! … Ma se so un penitente morigerato come un Pellegrin !”

“No se diria ! … Varda che pànsa che ti gha là … Ti me pàr una partoriente.”

“Esagerato !”

“Esagerato mi ? … Va a vardàr a lista delle spese che fa la to Governante … Par che a debba sfamàr un intero esercito, mentre in Canonica se soltanto in tre quattro in tutto.”

“Ti xe el solito criticòn … Se non fosse che sèmo amici da sempre …”

In effetti si conoscevano ed erano solidissimi amici da non meno di quarant’anni, fin dal tempo degli anni di studio e formazione Sacerdotale nel Seminario. L’unica differenza fra loro era che l’Arciprete pur essendo più giovane aveva fatto carriera fra i Preti divenendo: Piovano, Monsignore, Arciprete, Canonico de San Piero de Castèo e ProVicario del Patriarca, mentre Don Gigi era rimasto solo Archivista e Ragionato della Congrega dei Preti de San Marcuola, e s’accontentava d’esercitare quella “nobile mansione” arrotondando qualche volta quando poteva con qualche piccolo guadagnato andando a dir Messa … e a far quattro ciacòle ben fatte … con le Muneghe de Clausura de Santa Croxe de la Giudecca.

Quella mattina comunque, Don Luigi “prelevò” l’Arciprete in chiesa, e subito dopo salirono insieme al piano speriore della Casa-Canonica andandosi a sedere nel salotto davanti a un tavolo che la premurosa Perpetua aveva imbandito per la colazione con caffè, latte e biscottini fatti in casa … Quando la Perpetua li vide salire li accolse entrambi con un sorriso tuttodenti e cordialissimo: “Mi vizia questa Santa Donna !” si profuse subito in complimenti l’Arciprete sorridendo a sua volta verso la donna: “Questa ha delle mani Sante … E’ come un Angelo scappato giù dal Cielo in ogni senso … giusto per me.”

La donna Perpetua arrossì in volto, e abbassò lo sguardo modestamente fino a terra asciugandosi le mani nella larga travèrsa che indossava ai fianchi … Non riuscì ad aggiungere neanche una sola parola ... Poi scomparve in un’altra stanza ciabattando su se stessa, e sussurrando appena all’orecchio dell’Arciprete passandogli accanto: “S’el gha bisogno … So de là.”

“Se non avessi lei ?” aggiunse l’Arciprete inseguendola con lo sguardo.

“Ti sarìssi de certo più magro … Vàrda che trippa che ti gha messo su !”lo prese di nuovo in giro il Prete Ragionato.

L’Arciprete rubicondo, quasi paonazzo, non si offese affatto per la nuova canzonatura dell’amico, anzi: picchiandosi il prominente pancione enfio e teso come la pelle di un tamburo, s’abbandonò sul suo seggiolone infilandosi in una fessura della tonaca un candido tovagliolo, e iniziando a servirsi dalla tavola imbandita. Subito dopo, i due si misero a parlare fitto fitto fra loro in un linguaggio quasi criptico che per loro era consueto. Pareva quasi degli iniziati, anche se in realtà stavano solo prendendo in considerazione tutto quanto concerneva la gestione della Congregazione dei Preti di San Marcuoladi cui erano rispettivamente il Capo e l’Amministratore principale.

Don Luigi, infatti, aveva raggiunto l’Arcipretecome faceva sempre circa ogni quindici giorni. Quell’incontro serviva ad entrambi ogni volta per fare il punto della situazione: Don Gigi riferiva puntualmente circa le ultime registrazione e i resoconti più recenti delle ultime operazioni o movimenti economici intrapresi dalla Congrega dei Preti di San Marcuola ... mentre l’Arciprete dal suo punto di vista: prendeva atto, commentava, approvava o bocciava le varie iniziative e le relazioni presentate dal suo Prete Ragionato.

“E allora Don Gigi ?” aveva iniziato il discorso l’Arciprete versando a Don Gigi del the bollente profumatissimo in una tazza decoratissima che gli stava di fronte, “Che cosa “bolle equamente in pentola” stavolta ?”

In realtà l’Arciprete Rado conosceva già in anticipo per filo e per segno “ogni respiro” di quella che considerava “la sua” Congregazione dei Preti… Trascorreva per conto suo intere ore a spulciare, leggere e controllare dentro ai registri della Congrega, ma amava essere sempre aggiornato da Don Gigi, perché quell’uomo sapeva essere lungimirante e aveva la visione d’insieme delle cose … Solo con i suoi resoconti provava la sensazione d’avere saldamente in mano e in pugno tutta la situazione della Congrega dei Preti: “... un’infernale e secolare macchina da soldi”, pensava sempre, anche se mai avrebbe avuto il coraggio di definirla così con nessuno … Neanche con lo stesso Don Luigi.  

Don Luigi ogni quindici giorni, prima di recarsi sopra alla Sacrestia di San Marcuola a lavorare in un locale dove dentro a diversi vecchi armadi scassati e polverosi e a un gran cassone si tenevano tutti i Libri e gli Atti della Congregazione di San Marcuola, passava puntualmente a rendicontare all’Arciprete. Don Rado l’Arciprete ci teneva tantissimo a quella sua funzione di Capo della Congrega dei Preti, e si mostrava sempre interessatissimo ad ascoltare la persona abile, puntuale, attenta e agguerrita dal punto di vista economico che era il suo amico Don Luigi: “Con lui sono come in una botte di ferro.” pensava, “Posso per davvero dormire sonni tranquilli sulla mia Congregazione.”

Allo stesso modo, anche Don Luigi sapeva d’essere molto stimato e apprezzato dall’Arciprete oltre che da tutti i Confratelli Preti della Congrega di San Marcuola per le sue notevoli doti … Non era mai riuscito a far carriera come Prete, ma non si sapeva mai nella vita. Quella sua funzione avrebbe potuto prima o poi … chissà ? … Forse diventare un validissimo trampolino di lancio per essere promosso a qualcosa di superiore … Tutto poteva sempre essere possibile dentro ai meandri sorprendenti della Chiesa ... Intanto per le mani di Don Luigi ogni giorno passavano fiumi di denaro, rendite ed elemosine … e lui faceva puntualmente registrare tutto e tutti come voci delle “Entrate e Uscite” nel monumentale Archivio della Congregazione… Nessuno aveva mai avuto niente da ridire sul suo operato … Ma era rimasto sempre fermo lì, non si muoveva da quella sua situazione, mentre gli anni passavano inesorabili … Lui era fermo in quella Congrega de Preti come una gondola screpolata e quasi vecchia che il gondoliere dello Stazio ormeggiava in un angolo usandola solo ogni tanto, ma sempre di meno, preferendone altre meno usurate.

Quella continua sensazione non lo lasciava mai: era il suo cruccio, la sua insoddisfazione … Non era proprio un tarlo o un’ossessione della sua mente, ma Don Luigi sperava sempre di più di potersene liberare … Anche se poi non ci pensava più, lavorava sodo per la Congrega, e per questo anche quel giorno era tornato là dall’Arciprete a rendicontare come il solito.

Don Gigi allora prese e aprì con la sua proverbiale lentezza la borsa di cuoio che si portava sempre appresso. Era logora come lui, e come la palandrana che indossava passata di Prete in Prete, lasciatagli in eredità da un Monsignore morto. Dalla borsa trasse un plico di carte e un grosso registro, e iniziò a raccontare e sintetizzare tutto l’andamento delle economie della Congrega all’Arciprete, ma soffermandosi in realtà nei più minimi dettagli.

Ah … dimenticavo di dirvi: il Monsignore Defunto aveva lasciato a Don Luigi anche tutta una serie di abiti pomposissimi da cerimonia: fasce, rocchetti e soprarrocchetti, mantelline, fiocchi e controfiocchi, pon pon rossi, cappelli, scarpe rosse con la fibbia dorata, e croci su croci di diverse misure e fatture … un guardaroba intero: cassoni su cassoni di vestiti e roba … ma neanche un soldo. Aveva lasciato tutti ai suoi “diletti nipoti” ... “Diletti ?”… Che disdetta ! … Aveva tenuto in piedi tanta amicizia e confidenza con quel illustre Monsignore per una vita intera … e in cambio ? … Alla fine non aveva ottenuto nulla: solo un mucchio di stracci colorati … Il Destino era stato davvero avaro con lui … Anzi: un vero e proprio tiranno ! congetturava Don Luigi … anche perché quello stesso Monsignore aveva lasciato tutti i suoi beni alla Congregazione di San Marcuola… E ne possedeva non pochi ! … I soldi lasciati ai “diletti nipoti” in realtà erano solo delle briciole del suo ingente patrimonio che era soprattutto di natura immobiliare … Comunque era stato giusto così, perché quei nipoti del Monsignore erano dei “senza Dio moderni”, ben lontani dalla sensibilità dello zio Prete, e da tutti quei contenuti “di chiesa e dottrina” che quel Monsignore aveva così tanto amato e prediletto … Quand’era ancora vivo avevano usato quel loro zio Monsignore come un conto corrente di banca sempre aperto, una linea di credito infinita dove andare sempre ad attingere a piacimento … Era stato fin troppo buono quello zio Monsignore con loro … Di recente Don Luigi aveva rivisto e riconosciuto uno di quei nipoti del Monsignore defunto in Piazza San Marco: “Che squallore ! … Il nipote del Monsignore era un spudorato libertino impomatato e azzimato che non aveva altro in mente che correre dietro alle gonnelle delle turiste e delle donne Veneziane per poi portarsene in gondola, al Casinò a giocare a carte, o a casa sua per far loro ben di peggio … Povero quello zio Monsignore ! … Si starà rivoltando di certo in tomba … Se solo avesse saputo che i suoi sudati risparmi erano finiti nelle tasche bucate di quel gaudente avventuriero e giramondo !”

Ma era meglio non pensare a certe cose … Per fortuna c’era l’altro nipote del Monsignore, che sembrava un giovine più a modo, un commerciante serio e posato, che sapeva tenere dignitosamente moglie, figli e famiglia, circondarsi di buoni amici, e godere di una certa pubblica stima … Peccato che lo zio Monsignore non l’avesse preferito ritenendolo un giovane aspro e acerbo e di ridotte speranze … “Vedi com’è la vita a volte ! … Si finisce col riporre fiducia in chi non la merita e nelle persone sbagliate … Si prende fischi per fiaschi, e si scambiano lucciole per lanterne … Ma siamo fatti così … Non c’è nulla da fare.” concluse fra se e se Don Gigi mettendo da parte quei foschi pensieri.

Poi inforcò sulla punta del naso gli occhialetti cerchiati d’oro, si grattò la testa che gli prudeva giusto sulla chierica appena ritagliata, e iniziò a dire e ridire all’Arciprete attingendo dai dati e numeri segnati dentro al librazzo spalancato che aveva davanti.

“Non ho niente di speciale da raccontarle stavolta Sior Arciprete”esordì Don Gigi assumendo un tono professionale, “E’ accaduto il solito tran tran usuale … Non ci sono grandi novità, né gravi problemi da risolvere ... Stavolta trattiamo della consueta amministrazione, a dire il vero: fin troppo ordinaria … Ci sono le solite cause e i processi che abbiamo intrapresi con la Congregazionde dei Preti, come lei sa bene, da parecchio tempo … Sono sempre la solita rogna senza fine: dalle ultime note evinco che abbiamo trovato un accordo con i Nobili Zorzi e i Dada … e che è ancora in corso quell’Atto Extragiudiziale dei Baldan contro il Clero, cioè contro di noi e la nostra Congrega.”

L’Arciprete, quasi acciambellato come un gatto nel suo seggiolone imbottito, continuò ad annuire osservando distrattamente il fondo della tazza della colazione ormai vuotata e ruotandoci dentro un cucchiaino sporco: “Non c’è altro ?” aggiunse improvvisamente.

“Si … Ci sarebbe da prender nota dei processi e delle cause storiche in atto praticamente da sempre … Quelle sembrano non aver mai fine … Sono sempre le stesse: la Causa del Clero con i Nobili Foscarini, Michiel, Donà e Zustinian, le consorti, e i Luochi Pii legatari Mocenigo contro il NobilHomo Zuanne Nani … sempre per la Commissaria Mocenigo … Il vecchio Nani con i suoi figli non demordono, non mollano mai … Vorrebbero averla vinta su quell’eredità … Ma sono e rimarranno dei poveri illusi: non gliela concederemo mai. Non vinceranno mai quel contenzioso … La vittoria prima o poi sarà comunque nostra, se non altro perché da secoli ormai stiamo usufruendo delle rendite dei beni per cui si discute senza fine.” ricordò ancora Don Gigi, “Poi ci sarebbe la solita causa contro …”

E qui l’Arciprete che fingeva nonscalance avendo iniziato a sfogliare distrattamente il gran foglio del giornale appena arrivato in Canonica, quasi si riscosse, come se Don Gigi avesse toccato un tasto più interessante ... Piegò in quattro il giornale, inforcò pure lui gli occhialetti cerchiati d’osso di tartaruga sul naso, si concentrò sul Ragionato, e gli disse:“Ho capito … E le case, invece, come vanno ?”

Se lui, l’Arciprete era l’estremo propugnatore, il mentore, il fautore, ma anche “la chioccia” della causa della Congregazione dei Preti di San Marcuola… che era “la sua creatura”, Don Gigi ne era, invece, come l’Anima nascosta, l’anonimo macchinista e timoniere che la sapeva abilmente condurre per le “rotte giuste” godendo della sua massima considerazione e approvazione.

“Vanno bene … Anche se c’è qualche problema …”

“Come problema ? … Non pagano puntuali … Come vanno gli affitti ?”          

“No … Venezia gira bene … Paga … Poco, ma paga … La maggior parte delle “case” paga … Pagano le case e le botteghe di San Marcuola, di San Barnaba, di San Zuliàn e de San Martin, e tutte le altre … Solo quelle di San Simeon brontolano un poco per via di un muro in comune che sta andando giù … e quelle di San Silvestro segnalano qualche problema col tetto con l’acqua che gli cola dentro quando piove.”

“Beh … se è tutto qua: sistèmaghe una bòna volta quei còppi e quel covèrto … e fa buttar sòso quel muro rifasèndolo de nòvo … E che a sia finia … Che còssa ti vòl che el ne vegna a costàr ? Un patrimonio ? … Non credo proprio … E dopo ? … Ghe xe qualcos’altro che devo savèr ?”

“No … Innanzitutto se stà bòna roba aver messo in funsiòn e averse inventà la figura dell’Esattor Laico e Secolàr con fideiussiòn …”

“Ah: sì ! … A proposito … Come vallo … Come se comporta Giuseppe De Marchi ?”

“Diria: ben … Funziona ! … Il Sior De Marchi sa far il so dover: se presenta a riscuotere puntualmente e con autorità … La gente lo teme e rispetta …”

“Benòn ! … Così ci siamo tolti e scrollati di dosso quella solita figura da Preti esosi e comandoni che passavano di casa in casa a batter cassa e chiedere soldi di continuo … Meglio così … Se passa l’Esattor noi rimaniamo più defilati e sullo sfondo, in seconda fila … e tramite lui potremo azzardare anche di più in futuro … Potremo chiedere agli inquilini senza che lui possa essere considerato direttamente il responsabile di tutto a cui contestare in prima persona … Questa è stata una bella pensata: la Congregazione dei Preti in questo modo è diventata come un fantasma invisibile, distante, e quasi irragiungibile ... Con l’Esattor non possono far niente se non brontolare un poco … Se vogliono aver a che fare direttamente con noi doranno farci causa in Tribunale … E non tutti se la sentono di percorrere quella via … Se non altro per paura di tutte le spese che dovranno intraprendere … Perciò: meglio così … Andiamo avanti in questa maniera.”

“Ghe saria, invesse, qualche complicaziòn e problema con le case de Campagna e Terraferma: la Direzione delle Ferrovie dello Stato ci chiede di alienare un pezzo di terreno per completare passando per quel posto una parte del tronco ferroviario di Mestre-San Michele del Quarto … A Carpenedo, invesse, i ne gha chiesto una pezza de terra per far un Cimitero Militare e una strada de raccordo … Non savaria … Per fortuna però che tutto il resto xe in regola … Mestre, Zelarìn, Salzàn: pàga anca lòri, e anca tutti gli altri … I ghe mette sènto anni, ma i pàga in una maniera o nell’altra … Percià gli affari anche in Campagna continuano lo stesso ad andare bene: gli introiti sono gli stessi, e sèmo in regola.”

“Capisco … Sarà spese e perdite lassàr i terreni per la Ferrovia e il Cimitero … Che sia il caso di procrastinare o rinviare del tutto l’inizio dei restauri delle case previsto a Venezia ? … Potremmo rinviare i lavori sia qua il Laguna che dei Casòni di Terraferma … Non so se ne convenga vendere qualcosa in questa occasione per recuperàr … Che possa servir aumentare le pigioni di tutte le case de città ?”

“No … Meio de no … Ci renderebbe altamenti impopolari … Sarebbe come buttar acqua sul bagnato, e sollevaressimo de certo un polveron in tutta Venessia … Ancora una volta risulteremmo essere i soliti Preti esosi e avari, magnaschèi … Meglio a mio parere lasciar perdere, e seguire una condotta più bassa, sotto traccia, che dia meno nell’occhio ... Temporeggemo … e vedemo che cosa succede … Quanto verremo a perdere a Mestre, per esempio, con tutti sti cambiamenti e lavori.”

“Mmm … Me par che no ti gàbbi torto … Spetèmo allora.”boffonchiò l’Arciprete addentando rumorosamente un altro biscotto croccante della Perpetua rimasto sulla tavola: “Toh ! … Ciàpa qua ! … Senti che bòni !”si rivolse verso Don Gigi porgendone un altro ... “E senti quanto che xe bòn e delicato sto Vermout … Un’ambrosia celeste! … Bevi anca questo !”

“Alla nostra salute …”

“E a quella de tutta la Congrega !”


A quel punto si sentì un morbido e lieve bussare alla porta del salotto che finì con l’interrompere la fitta quanto profiqua conversazione.

“Bussano ?”

“Avanti ! … Che c’è ?” rispose a voce alta l’Arciprete.

“Ghe xè Madèo Verzòtto: un Gondolier de la Contrada ... Monsignòr … El voria parlar co vu … Se fosse possibile.”annunciò la Perpetua.

"Ah si !” se ne venne fuori l’Arciprete, “Va bèn ! … Ch’el vègna avanti … Questo qua spera e aspetta sempre che muioia una zitella novantenne lasciando libera la sua caxetta qua di fronte.”“Fallo entrare ! … Fallo entrare !”  disse rivolto alla Perpetua che era rimasta in attesa sulla porta col solito grembiule in mano pieno di piselli che stava sbucciando.

“Madonna ! … Ma ti senti che profumo che gavèmo in casa ? … Questa xe a pevaràda (peperonata) de a me Perpetua ! … Me vien l’acquolina in bocca solo a sentirne l’odor.”

“Ti xe proprio incoregibile … Un giorno o l’altro ti finirà col scoppiàr … E allora: addio Arciprete … e povera Congregaziòn !”

“Eh ! … Non sta ciamàr disgrassie … Penso che debba ancora nàsser quello che sarà el mio sucessòr …”

“Cala ! … Cala Arciprete ! … Cala soprattutto la trippa !”ed entrò cappello in mano il Gondoliere di mezza età, non più giovanissimo.

“Bondì Reverendi, scusè el disturbo … Savè zà ben che son venùo ancora una volta a peroràr a me causa … Savè anche che voria maridarme presto … e speraria dalla vostra clemenza che podeste affidarme in affitto quea benedetta caxetta poco distante dalla nostra cièsa.”

“Questo, caro Don Gigi, xe un galantòmo … un giovane proprio da ben … un bòn lavoradòr … Solo che nol gha fortuna … Quea vècia sembra non dover morire mai … Pare che sia eterna, e che a vògia viver mille anni.”

“Ch’el fàsa una Novena a San Vincenzo Ferreri: el Santo Destrigaletti !” suggerì sornione Don Luigi, “El vadarà ch’el vegnarà ascoltà presto ... in breve tempo el sarà miracolà.”

“El Destrigaletti ?” chiese l’Arciprete, “Cosa xe sta storia ? … Che non la so.”

“Nol sa del Santo Destrigaletti Arciprete ? … Me meravegio de Vu ... A Venessia tutti sa che una bona Novena, qualche orazion detta ben e una bona elemosina a San Vincenzo porta a desbrigàr certi letti cronici e infermi che sembra non volerse liberar mai e poi mai ... El me scòlta mi Siorètto ! … El prega, el fàssa elemosina, e el spera in San Vincenzo … El vedarà che funzionarà … Ch’el se ciamarà contento … E che el podarà andar sicuro.”

“Se lo dìse lu Reverendo … Le gho provàr tutte: provarò anca questa.” rispose sorridendo e sparanzoso il Gondoliere, “Un franco in scarsèla per fortuna no me manca … Doman ghe portarò in ciesa un bel candeòtto a sto San Vincenzo Destrigaletti … e vedarèmo.”

“Ghe provedarò mi e orasiòn da recitàr Sior … El prova … El prova … El deve far però una Novena de nove zòrni consecutivi … Ogni giorno in cièsa col tòrso, la preghiera e l’elemosina … Se no: no val ! … Non funzionarà.”

Le Rondini intanto urlavano fiondandosi disperate in cielo fuori dalle finestre del salotto della Casa dei Preti di San Marcuola, e un profumo inebriante di Gelsomini, ieri come oggi, riempiva l’aria di tutta la “maxiContrada” Veneziana di San Marcuola.

Mettiamo però adesso da parte quell’immaginaria quanto idillica ma verosimile “scenetta storica”, e portiamo la nostra attenzione sui dati reali e storico del fenomeno della Congrega o Congregazione dei Preti di San Marcuola.

Come vi anticipavo, si trattava innanzitutto di un tipico fenomeno Veneziano, di una formidabile “macchina da soldi” che gestiva un notevole patrimonio mobile e immobile tenuto insieme, incrementato e tradotto a suon di Messe, frequentazioni, celebrazioni … ma anche un ampio giro di affari, compravendite, scossioni e molto altro … i cui profitti finali venivano spartiti e consegnati annualmente ai singoli Preti iscritti alla Congrega di San Marcuola.

Quella di San Marcuola era “una” delle Nove Congregazioni del Clerosparse in giro per Venezia, ma interlacciate fra loro. Vennero dette anche: Pia Opera della Nove del Clero, e furono un ente ecclesiastico Veneziano praticamente indipendente, che si rapportò abilmente per secoli sia col governo del Patriarcato di Venezia, che con la gestione laica e civica della Repubblica Serenissima nota per aver saputo supervisionare e controllare tutto e tutti in ogni epoca.


Per essere espliciti, le Congregazioni dei Preti ruotavano intorno alla spartizione del mitico “Partidòr” annuale: una convocazione particolare di stampo celebrativo-conviviale in cui si consegnava ai singoli Preti parte del denaro ricavato dalla movimentazione economica dei capitali della Congregazione.

Si … Va bene … Qualcuno obietterà subito che alla radice di tutto non ci stavano i soldi e il patrimonio, ma la devozione riconoscente dei fedeli Veneziani che offrivano generosamente e liberamente a Dio per il “bene” delle loro Anime e come gesto di sincera Carità.

Vero … ma vero anche che tutto quel “ben di Dio” messo insieme generò da parte dei Preti un immenso lavorio economico che andò ad impinguare non poco le loro personali tasche … Sempre devotamente s’intende.

L’ingente Patrimonio dei Beni della Congrega dei Preti di San Marcuola venne suddiviso in Parti … da cui deriva anche il nome di “Partidòr” che ne era come la “conseguenza finale”. Alcune “Parti” erano di esclusiva spettanza e pertinenza dei soli Preti di San Marcuola, mentre altre “Parti dei Beni” erano di proprietà comune, quindi andavano spartite equamente anche fra le altre Nove Congreghe dei Preti di Venezia. Cioè una cospicua parte dei “cespiti o proventi” erano soggetti ad ulteriori suddivisioni e spartizioni interne prima d’essere devoluti ai singoli Preti di ogni Congregazione.

Tralasciando di raccontarvi nel dettaglio proprio tutto, potrei accontentarmi di dirvi, che secondo i “Registri d’Amministrazione dello Stato Fondiario delle Rendite"tenuto, redatto e proposto dal Sindico Maggior Primo della Congregazione di San Marcuola, le “attività e passività” provenienti daiBeni immobili di “Parte VI” comprendevano: la proprietà di alcune case in Contrada di Sant'Aponàl date per secoli in affitto.(Nel 1192 erano state concesse alle sei Congregazioni del Clero insieme a un Legato di terreno da Giacomo Ziani figlio del defunto Doge Sebastiano… Erano state citate e confermate di nuovo da Pietro Falier nel 1221 …  integrate con un ulteriore casa nel 1286 da Viviano da Natale… e affittate ininterrottamente ancora dal 1640 al 1796 restaurandole su indicazioni dei Periti Antonio Mazzoni e Francesco Bagnolo nel 1751). Sempre la stessa“Parte VI” comprendeva la gestione di alcune case in Contrada di San Vidal(I “Beni di San Vidal”consistevano fin dall’inizio in un nucleo di cinque caxette con terreno donati alle sei Congregazioni dei Preti di Rialto nell’agosto 1224 da Armirota Zusto per volontà del marito Giovanni … Nel 1317 il Clero fece ricorso contro Giovanni Rulico che voleva impunemente fabbricare sul terreno di proprietà delle Congregazioni … Nel 1449 l’Ufficio dell'Esaminator esaminò ancora alcuni testimoni circa il possesso delle cinque caxette da parte delle Congregazioni del Clero … Nel 1840-43 l'Ingegnere Sanfermo presentò un progetto di rifabbrica delle caxette e del terreno ancora affittati realizzato solo fra 1933 e 1938) e la casa con bottega in Campiello dei Sansoni in Contrada di San Silvestronel Sestiere di San Poloaffittata ancora nel 1900.

Secondo, invece, le indicazioni dei “Registri d’Amministrazione degli affittuali dei Beni di Parte VII” redatti dal Sindico Maggior Terzodella Congregazione dei Preti di San Marcuola, la “Parte”comprendeva una casa in Contrada di Santa Marinanel Sestiere di Castello(Risultava già donata al Clero nel 1233 ... Sulla stessa si fecero spese nel 1640-43 come segnato dal Sindico Magior e dal Sottomasser Tommaso Zappi, e fu restaurata ancora fra 1904 e 1907).Di “Parte VII” erano ancora alcune case con un magazzino e una bottega site in Calle del Clero a San Nicola da Tolentino nel Sestiere di Santa Croce (Comprate dal Clero da Pietro Rizzoli verso il quale si obbligarono a pagare “annuo livello”, e locate ancora fra 1895 e 1941)… Nel Circondario di San Giminiano nel Sestiere di San Marco in Calle Fiubera c’erano inoltre i “Beni Fiubera”, cioè: una fabrica o ruga de caxe nove con botteghe posta in Calle delli Fauri(Già donate ai Preti nel 1254, furono ricostruite una prima volta sotto la supervisione e direzione del Protto (Architetto) Svizzero: Bernardin Contin dell'Officio de Proprio nel febbraio 1578 … Rifabbricate di nuovo nel primo 1700 con ingenti spese secondo le “sottoscrizioni di mano del Proto Alessandro Trimignon”, la gestione di quelle case diede parecchio filo da torcere al Clero tanto che dovette procedere più volte legalmente contro i Nobili Zen e i Salvioni e Peretti durante il 1600, contro Pietro Occhiararo nel 1625, contro il Nobilhomo Andrea Dolfin nel 1668-69 … e “senza fine” dal 1581 al 1751 contro le “rognòse” sorelle Poli, Nicolò Ravenna e Marco Galibelli, e contro Domino Francesco Plebani “cessionario” di Domino Andrea Pace nel 1786 ... Fu davvero tribolata la gestione dei “Beni di San Ziminiàn”).

Erano considerati ugualmente e ancora “Beni di Parte VII” quelli dati “a Livello” in Contrada di San Pantalòn acquisiti dai Preti fin dal lontano maggio 1207. (In quell’occasione Pietro Marin figlio di Manassefirmò una “Carta d’Obbligazione” che l’induceva a pagare ogni anno alla chiesa di San Pantalon: libre sei e mezzo d'olio per via della rinunzia da parte della stessa a recepire la donazione di un ulteriore tratto di terra con casa ... In seguito: nel 1301, le Congregazionidel Clero Urbano concessero in uso una delle case di San Pantalon a Don Giacomo Bertaldo, e dal 1336 al 1345 a Don Nicolò Zancani di San Pantalon per il quale venne firmata apposita e regolare quietanza da parte delle otto Congregazione del Clero per i versamenti degli affitti riscossi … Quietanza simile venne rilasciata anche nel 1418 a Don Andrea Gattuso, mentre fra il 1526 e il 1750 vennero emesse più volte dopo controversie interminabili alcune Sentenze da parte del Magistrato del Proprio contro i Nobilhuomini di Cà Michiel, le loro vedove e Iseppo Patronio che avevano abusato sulle stesse case di San Pantalon: esclusiva proprietà delle Nove Congregazioni del Clero).

Erano, invece, considerati “Beni immobili di Parte VIII” quelli siti nel Circondario di San Zuliànnel Sestiere di San Marco restaurati ancora nel 1950. (A seguito del testamento del giugno 1253 di Marco Ziani fu Pietro, le otto Congregazioni del Clero vennero immesse nel possesso di sei case di San Giuliano … Secondo il “Libro delle Ricevute delli denari contati”, nel 1690-92 le case di San Zulian vennero ridotte a quattro “caxe nove”: “Havendo io Domenico Rosi dissegnato per fabricare le case di ragione Cel clero al Ponte dei Feralli in San Zulian come se vede dal deto disegno ballotato del primo giugno 1690, et essendomi anco adoprato nell'assister alla fabrica.” Nel 1764 quelle stesse case divenute tre erano segnate ai numeri: 415 e 416 della Contrada di San Zulian, e non furono esenti da conflitti, difficoltà, processi e accordi gestionali che si protrassero fino al 1792 ... Nel 1926 l’Opera Pia delle Congregazioni dei Preti di Venezia trasferì proprio in quel posto la propria sede trasocandola dai locali della Sacrestia di Santo Stefano).

Sempre di “Parte VIII” erano gli immobili del Clero che si trovavano nelle Parrocchie e Contrade di San Simeone Profeta o Grande dove c’erano: nove case lasciata ai Preti in virtù di un testamento di Marino Belloni del maggio 1255. (Nel 1546-47 la proprietà era sempre la stessa, ma nel 1903-04 subì una grossa alienazione che la ridusse ad un’unica casa con magazzino)… Sempre di “Parte VIII” erano le case poste “tra Calle e Rio Terà del Cristo in Contrada di San Marcuola”(Restaurate, anzi quasi rifabbricate insieme agli stabili di San Vidal nel 1840-63)… Ancora di “Parte VIII” erano la casa con bottegain Calle Lunga San Barnaba, la casa in Calle dei Cerchieri in Contrada di San Trovaso alla quale si fece: “Imprestanza di dinaro per spese”nel 1598. (Risultava ancora locata nel 1941 e oltre) e pure di “Parte VIII” era una campagnanel Territorio Veneziano nella Frazione di Prozzolo nel Distretto di Dolo che vennevenduta nel 1873.

Beni immobili delle Congreghe dei Preti di “Parte IX” erano quelli in Contrada di San Martino di Castello(Serie di case e una bottega acquisite da Luce Dalla Grana Dragan nel lontano 1349 e locate ancora nel 1895-1941. Furono integrate a più riprese da ulteriori lasciti testamentari alle Nove Congregazioni nel 1407, 1414, 1474, e da parte di Lorenzo Salamon nel 1507 ... Il Clero delle Congregazioni entrò diverse volte in conflitto giuridico per loro: “per una delle case al n. 13 della Contrada di San Martino” dal 1736 al 1781 contro Maria Ogniben Fornasieri“per un pozzo” in Calle della Grana dal 1744 al 1752 … contro Zuanne Ruberti nel 1762, e contro Paulo Spazziani dal 1791 al 1796)… Di “Parte IX” erano anche gli immobili in Parrocchia di Santa Maria del Carmineal Ponte dei Turchi di San Barnabanel Sestiere di Dorsoduro(I “Beni di San Barnaba” confinavano con gli stabili di Andrighetta Boccon, e costavano in: case, un magazzino, una bottega e una casa-bottega forse da Spezier con riva. Entrarono nelle facoltà delle otto Congregazioni del Clero nel marzo 1317 ... Furono restaurate nel 1334 su intimazione dell’Ufficio dell’Esaminadoral falegname Trevisan e contro Pietro Corbo … Nel 1436 Giovanni Barbo a nome di Maria Barbuza ottenne una ricevuta di 150 ducati per aver venduta un’ulteriore “possessione in San Barnaba” alle stesse Otto Congregazioni del Clero … Di nuovo nel 1681-82 vennero restaurate e rifabricate, e una delle case venne affittata a Bravi fino al 1700 … Dopo un contrasto con dei vicini di casa per un muro comune nel 1903, si evince che le stesse case furono ancora locate insieme a un’altra sempre in Parrocchia di Santa Maria del Carmelo dal 1911 al 1932 e oltre.)

Sempre e ancora di “Parte IX” erano alcune “Proprietà di Beni di campagna” situate a Mestre nelle Frazioni di Carpenedo e Zellarindove c’erano anche dei “Casini di campagna del Clero” risalenti al 1432. (Le stesse proprietà erano ancora gestite e si parlava e trattava di loro ancora nel 1923-24 quando vennero attentamente ispezionate dall'ingegner Pier Angelo Fossati che ne trasse disegni e copie acquarellate e a penna, da destinare al Catasto ... Il Clero di Venezia locò quel terreno di campi a Nicolò Saorino nel 1450, e poi a Prè Francesco Beneficiato di Sant'Angelo in Venezia, e a Matteo quondam Lorenzo da Treviso nel 1459 ... L’anno seguente si produsse una “Convenzione fra Clero di Venezia e Giuliano Zetino per la fabbrica di una tèza nei beni di Carpenedo”: due anni dopo ricevette regolare ricevuta per i lavori eseguiti e dei soldi riscossi … Dopo aver restaurati gli stabili nel 1840-63, si provvide ad alienare e vendere i “casini” sia di Carpenedo che di Zelarino nel 1865-90 per i quali s’erano sempre percepiti “fitti”, ma si mantenne la proprietà dei terreni coltivabili ... Travagliata fu la vicenda delle terre dell’Opera Pia site “in quel di Zellarino” nella Frazione di Trivignano, perché fra 1910 e 1933 anche lì si dovette cedere una parte per costruire un accesso alla Strada Castellana).

Di “Parte IX”e dei “Beni di Campagna” erano le proprietà di Maerne nella Frazione di Zigaraga, e quelle in Villa di Salzano nella Frazione di Toscanigo. (Si trattava di altre terre “con appezzamenti e case coloniche” restaurate secondo “Polizze del speso governar case et casoni del Clero di Venetia” nel 1681, 1755 e nel 1768 ...  Fin dal 1327 erano entrate a far parte degli “Affittuali di Campagna del Clero di Venezia” e dei “Beni di fuori in Trivisana sulla Strada Vicinale detta dei Poiesi”… Erano ancora affittate nel 1904 … Dal 1821 al 1940 sono, invece, i Contratti e le Annotazioni d’affittanza degli: “Appezzamenti con stabili di case coloniche, campagne, chiusure e possessioni di terreno nel Distretto di Mirano in Villa di Salzano”… i contratti dei siti ancora affittati nel 1960 in Rio San Martino di Scorzè… quelli in Santa Maria di Sala affittati ancora nel 1972 … e quelli delle tre pezze di terra con casoni posseduti insieme a quelli di Taierolifin del 1327 nel Distretto di Mestre in Maerne di Martellago sulla Strada Vicinale della Frazione di Zigaraga. In precedenza quei stessi beni erano stati venduti da Pietro Manzini di Zigaragaad Antonio Strazzarol da Padova, che li aveva venduti a sua volta a Nicolò e Zaurino Zucchello, che a loro volta ancora li avevano dati alla Congregazioni dei Preti di Venezia … Stessa cosa fece il Nobile Giovanni Contarini per altri cento campi in Villa del Contò che finirono in mano a Prè Nicolò Piovano di San Canciano di Venezia nel 1344-46 e al Nobile Marco Pesaro nel 1395 ... Dopo la morte del Piovano di San Cancian, l'Ufficio del Procurator emise nel 1354 una sentenza di legge che affidò i beni dello stesso Piovano al Clero di Venezia ... Nel 1408 lo stesso Ufficio del Procurator emise un’altra sentenza in una lite tra le Congregazioni dei Preti e Giacomo Soligo per uso dell’acqua in Zigaraga … Nel 1433 i Beni del Clero vennero affittati a Giacomo e Bartolomeo Marson e a Tommaso di Nicolò Rida… Poi vennero restaurati più volte: nel 1550 e 1733, e affittati ininterrottamente dal Clero Veneziano fino al 1911 e oltre).

Non è ancora tutto … Il Clero di Venezia possedeva ulteriori affittanze di terreni, fondi, beni immobili e case coloniche nella Terraferma Veneta in Provincia di Venezia e nel Mestrino dove si provvide a una Licitazione Scaramuzza nel 1949-56 ... Lo stesso Clero possedeva altri beni a Palazzetto di Mestre affittati ancora nel 1973 e oltre … a Marghera dove i Preti spesero ancora per lavori di manutenzione e ampliamento fino al 1964 … a Gambarare di Mira, dove possedevano terreni ed edifici rurali soggetti a Perizia nel 1961-63 … nel Padovano in Cadoneghe, in Comune di Camposampiero affittati ancora nel 1966 e oltre … a Pianiga affittati ancora nel 1930 … a Trebaseleghe affittati ancora nel 1937 … in Santa Eufemia di Borgoriccoaffittati nel 1937 e oltre, e una casa colonica in San Michele sempre di Borgoricco affittata nel 1939 … a Campodarsego e Villanova affittati ancora nel 1936 quando si eseguirono delle nuove planimetrie di tutti i terreni … Il Clero aveva “Beni in Torresino di Cittadella di Padova verso il Terraglio” venduti nel 1520 dall'Ufficio delle Acque a Gerolamo Grimani e poi fatti pervenire alle Congregazioni del Clero … Nel 1463 le Congregazioni del Clero vennero immesse in possesso di nove campi a Camponogara di Piove di Saccogià segnati nel 1388 sulla Carta di dote di Angela Caotorta, lasciati loro da Don Andrea Avanzago Piovano di Santa Margherita, e comprati insieme ad altri otto campi in Villa di Brozzuol presso Padova dai beni del fu Domenico Guizzolotti… Nel 1476 per altra Sentenza dell'Ufficio del Procurator si stabilì come proprietà delle Congregazioni del Clero di Venezia anche quella di quattro ulteriori campi di terra in Pronzuol lasciati ad esse dallo stesso Don Andrea AvanzagoSecondo i Registri d’Amministrazione del Sotto Masser Secondo delle Congregazioni dei Preti”: i Beni di Terraferma delle Chiesùre di Camponogara affittati ancora nel 1875, erano parte integrande dei beni di Parte VIII del Clero Veneziano”.

C’erano poi ulteriori beni in Provincia di Treviso: campi a Moggian acquistati nel 1650 e 1700 … altri beni in Moglianovenduti da Gaspare Pasini a Don Giovanni Pietro Perla nel 1573 … e beni a Martellagodove nel 1862 si provvide a vendere un pezzo di terreno per fare una ghiacciaia che si continuò ad affittare e locare fino al 1975 … C’erano beni a Brugnee Spineaaffittati ancora nel 1927 …  beni nel Distretto di Castelfranco nel Comune di Riese in località Vallà affittati ancora nel 1939. Poi nel 1955-56 si procedette a vendere una cesura scambiandola con un’altra di Dolo ...Molti di quei fondi agrari e rustici “affittati ad inquilini di campagna illustri come il Cavalier Boran”, ad esempio, vennero venduti o dati in permuta dall'Opera del Clero fino al 1973 ... Secondo i "Quaderni del Clero delle Nove Congregazioni"redatti alla fine del 1700, alcune affittanze degli stabili e campi di Spinea, Maerne, Salzano e Martellago erano destinate alla “Parte Infermi” del Clero, oltre che alle “Parti da VI a IX” del Partidòr del Clero.


I Registri del Clero di San Marcuola sono interamente costellati di documenti e certificazioni d’affittanza di case, casoni, campi e terreni, e delle relative cause e processi intentati per le conseguenti spettanze, riscossi e debiti: si affittò ad Antonio Lugato nel 1443 … Nel 1477 l’Ufficio di Petiziòn sentenziò a favore del Clero contro l’affittuale Bartolomeo Bon e contro gli affittuali Zamiro e Bartolomeo Tomaele… I beni in Villa di Contò vennero dati in affitto a Tommaso Massaro e Nicolò Bertiglinel 1543, e poi a Domenico e Antonio fu Tomaso fino al 1552 … Del 1569 è un’altra Intimazione dello stesso Ufficio di Petiziòn rivolta a Nicolò e Giacomo Marsoni che dovettero pagare alle Congregazioni del Clero di Venezia: 30 stara di frumento … potremmo continuare a citare a lungo.

Infine sempre secondo i “Libri Partidori e i Partitari d’Attività e Passività", erano ancora di “Parte o Pertinenza dei Reverendissimi Piovani” i beni in Venezia in Parrocchia e Confinio di San Pietro di Castello.(Si trattava di una casa e bottega simile a un’altra costruita presso Sant'Antonio di Castello ... Erano dette fin 1513 e ancora nel 1788: “Case de Signori Pievani”, ed erano utilizzate e mantenute a spese dei Preti, Plebani e Rettori delle chiese di Venezia come “instrumento per ospitare i Preti o Religiosi che servivano e avevano cura delle Anime delli infermi durante le epidimie di peste … “in tempore morbo”)… Sempre con lo stesso scopo e con le stesse pertinenze,  erano gli stabili in Corte Martin Novello in Contrada di San Iseppo ancora nel Sestiere di Castello restaurati nel 1860-85, e affittati ancora nel 1937.

C’erano perfino dei Beni destinati ad essere iscritti, inseriti e conteggiati nella “Cassa Funerum o di Deposito Funerali riservata ai Reverendissimi Arcipreti delle Congregazioni del Clero”.

Insomma, tutto questo per elencarvi, sottolineare e precisare che quello delle Nove Congregazioni dei Preti di Veneziaera un vero e proprio “Mondo Finanziario ed Economico a parte”, un piccolo microcosmo curiosissimo e complesso presente e attivo per secoli dentro al tessuto urbano e sociale della nostra Venezia Serenissima ... così come quello un po’ più piccolo ma non meno limitato, ricco ed influente della Congregazione del Clero di San Marcuola la cui Contrada d’influenza c’interessa ormai da diverso tempo.

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Giunti fin qua … Se la vostra curiosità messa a dura prova non si è ancora esaurita, e la noia non ha preso il sopravvento dentro di voi … Beh … allora aggiungo qualcosaltro qui sotto … Così che potrete “dilettarvi” a leggere e cogliere ancora ulteriori aspetti di quella che è stata “l’identità” delle Cieresìe dei Preti Veneziani, e in modo particolare di quella dei Preti di San Marcuola.

Vi confido che anch’io a suo tempo sono state parte integrante delle Nove Congregazioni del Clero di Veneziaconoscendone le regole, ed esperimentandone il metodo di governo, le scadenze e le frequentazioni. Fino al 1987 sono stato uno dei Preti Sodales della Congregazione del Clero di San Salvador, ho partecipato alla spartizione del “Partidòr”di quella Congrega, e perciò ho avuto modo di conoscere dall’interno le caratteristiche, gli scopi e i modi di quell’antica Istituzione Preteresca:parte integrante … ultima nata e aggregata … delle Nove del Clero di Venezia.

Per vostra curiosità, il sodalizio della Congregazione dei Preti aggregati in San Marcuola esiste ancora tuttoggi anche se in forma decadentissima, ridimensionata e molto disertata. I Preti Veneziani sebbene rimasti in pochi ed anziani, ed evoluti nella mentalità (non troppo) non hanno comunque ancora perso la loro verve secolare, e conservano ancora la propensione alle “buone merende”, alla convivialità da buongustai, e la disponibilità alla spartizione di buoni utili ... Esiste ancora qualche buon “Partidòr” annuale da suddividere in compagnia, anche se di entità di certo più modesta rispetto a quella che è stata un tempo.

Vi butto là altre note e considerazioni secondo me ancora “curiose” sulle Congreghe dei Preti Veneziani cioè le “Nove del Clero”,o il “Collegio delle Congregazioni del Clero Urbano di Venezia”il cui simbolo era una croce contornata da nove Cherubini: Sant’Angelo, Santa Maria Formosa, San Silvestro, San Marcuola, San Luca, Santa Maria Materdomini, San Canciano. San Polo e San Salvador.

Come dicevo, le “Nove dei Preti”, di cui quella di San Marcuola era parte, erano erano considerate in città un’Istituzione con la “I” maiuscola, una vera e propria potenza Ecclesiastica ed economica con un ingente ed esteso patrimonio frammentato in mille rivoli … Per secoli la Congregazione dei Preti di San Marcuola si è riunita a celebrare le sue scadenze e funzioni nei locali attigui o compresi alla chiesa di San Marcuola, o nell’adiacente Oratorio del Cristo prospicente la stessa chiesa, e i suoi oggetti processionali e di culto insieme al “generoso” Archivio venivano conservati in una grande stanza soprastante la Sacrestia di San Marcuola.

Dal punto di vista organizzativo, la Congrega era soggetta a un intenso lavorio gestionale meticolosissimo attraverso il quale si registrava ogni attività: “Quando ci sono tanti soldi da spartire c’è poco da scherzare … Bisognava essere sempre molto precisi, saper rendere conto, controllare, e soprattutto far “girare bene la baracca” perchè renda e frutti a dovere, così che niente vada sciupato e perduto.” mi spiegò chiaramente un tempo uno degli Arcipreti delle Nove del Clero.

Nei Libri della Congregazione, infatti, si registrò di tutto, a partire dalle “Sentenze” e dalle “Correzioni”dei Vescovi e Patriarchi di Venezia inerenti ai Preti, e cmpresi agli “Ordinamenti”delle Congregazioni del Clero: “Constitutionum quae admodum Francisco Zane ecclesie Sancti Matthaei plebano et Congregationis Massario mandante a Ioanne Maria Bevilaqua ecclesie Sanctorum Hermagore et Fortunati Presbitero, esiudemque Congregationis fratri susceptae ac conscriptae tandem Sancto Riccio ecclesie Sancti Pauli Presbitero Titulato ac nostre Congregationis Massarii munere fungente, confecte atque absolute fuerunt”… Per secoli fu tutto un redigere, segnalare e attestate infinito: Verbali, Parti, Cataloghi, Appendici, Matricole compendiate, Repertori di notizie, Giunte di libri e scritture, Notatori, Registri degli Atti, Istituzioni, Discipline, Ordinamenti, Statuti, Modificazioni e Abolizioni: “Certum est quod is committit in legem, qui legis verba completens contra legis nititur voluntatem.”… La Congrega “navigava” talvolta anche in maniera burrascosa in un vero e proprio “mare di carte” talvolta non districabile.

Di continuo i Preti provarono ad ordinarsi e perfezionarsi formulando apposite: Costituzioni e Matricole-Mariegole... Per regolarsi al meglio nell’ottobre 1509 la Congrega di San Marcuolasi diede un nuovo Statuto-Matricola(Mariegola) suddiviso in quattro Libri e con 39 Capitoli che riassumeva tutte le “Costitutiones”, cioè le consuetudini e le tradizioni di quella parte del Clero Veneziano Congregato in San Marcuola raccogliendole e ordinandole fin dai suoi lontani inizi:“Proemius ... In sanctissimae Trinitatis Dei maximi optimique nomine Congregationis matricula divis martiris Hermarcorae et Fortunato consecratae”… Come avet di certo intuito si trattava di “cose da Preti”, cioè in quelle note funzionali ci si riferiva soprattutto a celebrazione di Anniversari ed Esequie che venivano celebrati a seguito di testamenti e “pie elargizioni” rilasciate dai fedeli e vincolate alla celebrazione di Messe di Suffragio per i Morti ... La Congregazione dei Preti di San Marcuola poi, si occupava di partecipare “in pompa magna”(così come facevano le altre otto Congreghe dei Preti Veneziani) alle massime manifestazioni, festività e Processioni Cittadine: la Festa di San Marco avanti tutto, quella del Corpus Domini, di Santa Lucia, le Feste Votive della Madonna della Salute, del Redentoree di Sant’Antonio da Padova. In quelle occasioni le Nove dei Preti indossavano le famose “Stole ricamete d'oro”, e si schieravano ordinatamente secondo una secolare lista di “diritto di precedenza” ponendosi ciascuna dietro al suo altrettanto prezioso “Pennello Processionale”(gonfalone) dipinto quasi sempre da artisti illustri.

A tal proposito, la Congregazione di San Marcuola possedeva anche un’altra serie di “Stole”indossate dai Preti dette “di Media o Ordinaria o Feriale”. Si tattava anche stavolta di preziosi tessuti in velluto cremisi bordati e ricamati d'oro, e decorati con tre croci e due ovali in cui erano raffigurati iSanti Ermagora e Fortunato, cioè i due Santi sintetizzati nell’unico nome di San Marcuola: “Per lo sbilancio di Cassa, e non potendo da verun fonte ritrar denaro, fu proposto e preso di alienare le Stole Medie (meno due per l'Arciprete e il Masser), essendosi rese inservibili e superflue tutte le altre.”… e si era nell’ottobre 1796.

E’ sufficiente spulciare superficialmente e a caso fra i tantissimi titoli dell’Achivio della Congrega del Clero di San Marcuola per farsi un’idea di ciò che “bolliva”all’interno del “pentolone” dei Preti Veneziani: “De residentia titulatorum”“Repertori relativi ai Sindaci Maggiori e ai Cassieri del Collegio e Presidenza delle Nove Congregazioni”“Scritture varie alla Presidenza concernenti operai ed affittuali”“Breve di Leone X al Vescovo di Cremona, al quale il Papa delega la causa del Patriarca e Canonici di Castello contro il Clero circa l'elezioni dei titolari”“Breve di Clemente VII in difesa dei Privilegi del Clero, approvato dal Senato della Repubblica di Venezia” (1525-31)“Scritture con capitoli de gravami che riceve il Clero dalla Corte Patriarcale” (1650)“Nomine dei Reverendissimi Arcipreti” “Circa l'elezione dei membri del Collegio”"Disposizioni d'ordine: Elezioni di cariche ed Ufficiali per il Clero"“Decreta seu Constitutiones Matriculae Congregationis Sancti Martiri Hermagorae et Fortunati”“Supplica del Clero di Venezia a sua Serenità” (1649) ... “Decisioni Patriarcali e terminazioni della Signoria” (1735-92)“Vertenza Congregazione di San Marcuola – Presidenza”(1871-1928) “Regolamento interno e Riforma dello Statuto”(1904)“Ricorso al Tribunale Ecclesiastico”(1915)Deliberazioni della Presidenza relative alle annuali Processioni”“Processione Votiva al Tempio di Maria Vergine delle Salute il 13 giugno: giorno di Sant’Antonio”“Processione Votiva al Tempio del Redentore nella terza domenica di luglio”“Processione nel dì del Corpus Domini”“Processione solenne nel trasporto del Corpo di Santa Lucia dalla chiesa omonima alla chiesa Parrocchiale di San Geremia Profeta”“Funzioni straordinarie: Funerali dei Patriarchi, Solenni Esequie per il defunto Pontefice Pio IX e Feste centenarie per l'elezione fatta a San Giorgio di Pio Papa VII”.

I Preti ammessi alle Congregazioni erano i così detti “Fratres o Sodales”tenuti ad assumere e rispettare certi obblighi comportamentali fra loro: si dovevano reciproco rispetto, e riverenza ossequiosa verso le Cariche Superiori. Avevano l’obbligo o “prassi” della partecipazione alle “funzioni e ai raduni associativi nelle Calende di ogni mese”, dell’assistenza dei Confratelli Preti in caso di malattia e morte, della partecipazione all’agape annuale quando si spartiva il “Partidòr”, di recitare i Salmi Penitenziali in determinate circostanze, di ricordare nella Messa ogni Confratello Defunto per almeno 30 giorni dopo la sua morte, e di frequentare gli incontri settimanali nella “quarta e quinta Feria” celebrando ulteriori Messe per gli stessi Confratelli Defunti.

Sempre per secoli inoltre, i Preti Congregatiin San Marcuola hanno praticato Carità e Beneficenza, provveduto a una rudimentale forma di “Previdenza” degli associati, all’assistenza durante la vecchiaia, e curato assiduamente la celebrazione del Suffragio dei Preti Morti giungendo perfino a litigare e contrastare fra loro per inscenarlo e promuoverlo “in maniera degna” seguendo le antiche regole, gli esempi, le scadenze e le logiche della più genuina tradizione Veneziana riassunte in vari documenti conservati nel loro Archivio: “Esequio Cavalli”(1600 con documenti risalenti al 1472)“Dalmatia in Causa Funerum Clero”“Decreto del Signor Cardinale in materia delli Sacerdoti che portano li torzi dei Morti”(1650)"Processi in materia di Funerali contro San Moisè”(1745-46)“Causa Funerum contra Regulares Theatinos (i Padri Tolentini)(1665-1750) “Decreto del Serenissimo Doge per li Parrochi nell'accompagnare li Defonti” (1750) “Documenti di quali servirono di base per la regolazione delli Esequii”(1795-1801)“Esequi et altre funzioni del Clero”(1797-1847).

I Preti di San Marcuola in diverse occasioni si dimostrarono particolarmente attenti nel recepire e far propri anche usi e consuetudini utilizzati dal “Clero estero”, di Padova e Verona ad esempio, e perfino di quello Francese: “Allegazione nella quale si dimostra che le Parrocchiali di Venezia possono terminare la sua Funzione nella chiesa delli Regolari in occasione di portarsi in quelle a seppelire li defonti” (1688)... A proposito di Francesi: le “Nove del Clero” furono capaci di superare quasi indenni la grossa e grave bufera napoleonica, tanto che ancora nel 1855 la “Congregatio Sanctissimi Hermagorae et Fortunati Martiri” era composta da venti “Sodales” regolarmente Associati e Congregati.

Un tempo i Sodales della Congrega di San Marcuola erano arrivati ad essere 36 di numero, cioè 20 Preti “a parte intera”, 8 Preti “a mezza parte” (in riferimento alla spartizione dell’annuale “Partidòr”ovviamente), e 8 Preti “ad orazione” ossia già prescelti e in attesa d’essere ammessi a pieno titolo a godere dei privilegi e obblighi della Congregazione. C’era inoltre anche un numero vario e vago di Preti “in buona spe” ossia speranzosi e desiderosi di aderire e d’entrare a far parte prima o poi della rinomata Istituzione: “I Preti Veneziano hanno sempre appetito e ronzato con insistenza intorno alle Congregazioni del Clero come Api sul miele.” mi spiegava ancora uno dei vecchi Arcipreti delle Congreghe Veneziane … Anche ai miei tempi quasi tutti i Preti di Venezia desideravano di riuscire in una maniera o nell’altra: per mezzo di appoggi, conoscenze e raccomandazioni, di entrare a far parte di una o dell’altra delle Nove Congregazioni del Clero Urbano di Venezia … Si faceva a gara furbescamente fra noi per sopravalere gli altri in attesa, e si auspicava, neanche tanto segretamente, che uno o l’altro dei “Preti Vèci” tirassero serenamente “le cuoia” per rilevare prontamente il loro posto all’interno dell’ambita Congrega.

A puro titolo d’esempio, nello stesso 1855, l’Arciprete della Congregazionedel Clero di San Marcuola(cioè la massima autorità all’interno dello specifico Sodalizio dei Preti) era Don Antonio Cicono Piovano dei Santi Apostoli, Cubicolarius Papale, Dottore in Teologia e Decanus… Insieme a lui erano consociati della Congrega dei Preti: Don Luca Antinovich Rettore dei Santi Giorgio e Trifone(cioè della Schola di San Giorgio degli Schiavoni); Don Pietro Contro; Pre Antonio Corona Piovano di San Geremia Profeta; Prete Francesco Gidoni Rettore di San Samuele Profeta; i Cooperatori Parrocchiali: Don Aloysius(cioè Alvise) De Gobbis, Don Alvise Mazzocchi, Don Pietro Missiaglia, Don Alvise Poli, Don Alvise Rosada e Don Giovanni da Venezia ... C’erano ancora: Don Matteo Guadagnin; Don Tommaso Ludovico Manini Parroco di San Marcuola; Don Vincenzo Moro Protonotario Apostolico, Cavaliere dell’Ordine della Corona Ferrea, Canonico Arcidiacono Metropolita della Basilica Patriarcale di San Marco(che fosse un Nobile Veneziano secondo voi ?); Don Giovanni Pasetti Vicario di San Fosca e Ratiocinator delle Nove Congregazioni del Clero Urbane; Don GiovanniBattista Pisani Piovano di San Marziale e Sexvir Syndicus Maior della Congregazione; Don Giacomo Rota “Ab actis” nel Patrio Liceo; Pre GiovanniAntonio Vedova e Don Giuseppe Zanetti “Aedituus”… il ventesimo posto della Congregazione in quell’anno era vacante.


L’Archivio della “Ragioneria” della Congregaera lo strumento con cui la Congregazione dei Preti sintetizzava, raccoglieva e registrava meticolosamente tutto quanto concerneva la sua vita e le sue attività. Nelle carte e pagine dell’Archivio venivano scritte e raccolte le Memorie dei Preti, si sottolineavano gli accadimenti della Storia Veneziana, si raccoglievano a propria informazione i decreti delle Autorità Civile in quanto i Preti, bene o male, avevano a cuore il destino di quel che rimaneva della Repubblica Serenissima: Riassunto di documenti sullo stato delle Nove Congregazioni del Clero di Venezia”“Memorie storiche” (1750)“Progetto del Clero per prestanze alla cessata Repubblica”“Stampa di Santa Dottrina”“Publica regolazione per Feste de' Santi Giovanni e Paolo, Santi Vito e Modesto, Santa Giustina e Apparizione di San Marco e dell'Ascenzione al Lido”(1700)  … “Giudizio destinato dall'Eccelso Conseglio di Dieci a favore del Collegio”(1750)“Istituzione dell'erario e degli annui depositi”(1751)“Per il Collegio delle Nove Congregazioni de Sacerdoti Secolari”“Decreti di Autorità Ecclesiastiche e Civili e memorie storiche”(con note risalente al 1130)“Dottrine diverse e simili per città e Dogado” “Sinodi”“Nota sulle Parrocchie”.

Monsignor Silvio Tramontin a lungo mio (graditissimo)Professore di Storia e Latino al Liceo e negli anni dei miei Studi di Teologia, studiò e inventariò per diverso tempo l’intero Archivio della Congregazione del Clero dei Santi Ermagora e Fortunato di Venezia collocato ancora nella grande cassa posta nella stanza sopra la Sacrestia di San Marcuola, così come studiò attentamente l’intero Fondo delle Nove Congregazioni Urbane del Clero di Venezia. Dalla sua attenta analisi dei documenti si evince che soltanto negli ultimi due secoli l’attività della Congregazione dei Pretimostrò una progressiva tendenza a diminuire: si ridussero i Lasciti dei Veneziani nei confrotni dei Preti con relativo numero delle celebrazioni che erano loro abbinate, e di conseguenza rallentarono gli investimenti e le rendite prodotte dal sempre consistente capitale della Congrega depositato e investito nella Zecca di San Marco.

L’attività dell’Archivio serviva “a non perdersi” e sistematizzare e organizzare in maniera efficiente e funzionale l’intera consistente attività economica oltre che Religiosa. Per secoli i Preti provvidero a redigere: “Catasticum omnium scripturarum, bonorum, ac iurium cleri Venetiarum, seu novem Congregationum” o "Index omnium scripturarum Reverendi Cleri Venetiarum"… cioè s’industriarono alacremente a indicizzare e catalogare ogni cosa e affare della Congrefa muovendosi con disinvoltura dentro a una montagna di documenti prodotti dal 1100 fino ad oltre la metà del 1900, e in qualche caso ancora fino ad oggi ... Come vi dicevo: le Congregazioni del Clero di Venezia sono ancora vive e vegete ! … compresa quella di San Marcuola.

Insieme all’aspetto prettamente economico, non si mancò di raccogliere gli “Elenchi e le Serie dei Monsignori Arcipreti delle Congregazioni” nonché tutti i nomi e i dati personali dei Preti Iscritti alla Congrega … In ogni Capitolo o Convocato” si stendevano dei verbali, così come ad ogni “Elezione dei Confratelli di Mezza Parte, di Parte Intera, e degli Ufficiali della Congregazione” quando venivano eletti: il Massaro, i Sindaci, i Decani, l’Amministratore, il Nunzio, il Nuovo Arciprete… e anche i “Preti giubilati” (ossia quelli messi a riposo o “in pensione”, anche se è vero che fra i Preti sussisteva l’abitudine d’essere “in servizio a vita”)… Si registrava ancora il “numero Praelatorum” nel “Registro delle Presenze e delle Assenze della Veneranda Congregazione dei Santi Ermagora e Fortunato"distinguendo fra “assenze giustificate o ingiustificate” ai Vespri, Funerali, Solennità, Processioni e Capitoli… Ciascun Prete convenuto era tenuto a sottoscriversi personalmente nel “Registro dei Confratelli Partecipanti” e nelLibro Calende celebrate dalla Congregazione de' Santi Martiri Ermagora e Fortunato” con:“Nomina, Cognomina et Tituli omnium Fratrum integram portionem habentur”.

E’ sempre interessante e curioso considerare il Patrimonio della Congrega, cioè tutto quel “ben di Dio” donato ai Preti da parenti, amici, conoscenti, ma soprattutto da persone e fedeli “pii e devoti” che lasciarono in proprietà un consistente “malloppo” in cambio di una specie di “favore da parte del Clero”, una “garanzia-passaporto”, quasi una “prenotazione”di un posto per la propria Anima e per quella dei proprio familiari e congiunti in Paradiso e nell’Aldilà, o perlomeno di godere di “uno sconto” dentro alla situazione“Purgante ed espiativa del Purgatorio”. I lasciti al Clero furono anche un modo per propiziarsi se non garantirsi anche “una qualche clemenza” durante il temutissimo Apocalittico Giudizio Finale… E fu in questo modo che la Cieresia dei Preti si ritrovò a racimolare per secoli l’ingente patrimonio con la “sinfonia”dei Lasciti, Livelli, Testamenti, Legati, Affrancazioni e Commissarie di cui divenne necessariamente provetta Amministratrice.

Infatti, fu necessario in seguito provvedere da buoni Veneziani a un sistematico quanto oculato e continuativo investimento di tutti quei capitali che non smisero di crescere “a suon di Messe” e di ulteriori lasciti e depositi … Gli Atti raccontano che già alla fine del dicembre 1282 a Rialto: Marco Ranaldo Arciprete della Congregazione di San Marcuola fece quietanza della dimissoria agli esecutori testamentari di Maria vedova di Marino Gisi del Confinio di San Moisè … poi arrivò la “Consegna alla Sette Congregazioni del Clero delle case loro lasciate da Filippo Marcello con testamento del maggio 1233”, e il “Testamento del Prete Angelo Spilinbergo col quale lasciava a ciascuna delle Otto Congregazioni un Legato per la celebrazione di Messe”(1277)  … il “Testamento di Leonardo Morosini con legati a favore delle Otto Congregazioni”(1283)… il “Testamento di Matteo Gradolon con Legato alla Nove Congregazioni per un'Ufficiatura ogni anno”(1298)… il “Testamento di Pietro Baccari Primicerio di Castello” (1335)… la “Carta di Garanzia di Nicolò Bertolino Procuratore del Convento di Santa Maria dei Frati Minori ai rappresentanti delle Nove Congregazioni circa un Legato del quondam Prè Matteo Pagagnollo.” (1454)… e si attivò la "Commissaria di Francesco Ricciardi Piovan di Santa Maria Maddalena"(1500-1740 con notizie del 1499 e connessioni-complicazioni inerenti a Don Giovanni Barbieri, e documenti relativi alla Schola de San Martin in San Martin de Castello)… e  le “Obbligazione del Clero col Patriarca Antonio Contarini di celebrare ogni anno per la sua Anima e del Patriarca verso il Clero per ducati 21.”(1524)… l’“Instromento de la Commissaria Bosello”… il “Legato Tron”… le “Divisioni della casa et brolo e cortivi di Zerman”… le eredità offerte dagli “Heredi Vincenzi … Polini … Mazzoni Calegher a San Maurizio”(1600)… la “Comesaria Christiano Ivanovich col l’Inventario dei quadri nella galeria e camere superiori”(1690)… il “Testamento Viti Manenti”(1645-81)… i "Livelli et Affrancationi in Cecca"“Livello Valnegrini col Canonico Ivanovich” (1600-1700)“Instromento di Livello per le case a San Marcola”  … la Commissaria Gritti Tavelli”… i lasciti dei vari: “Canal, Valerio Bratti di Mira, Formentoni, Camilla Ricardi, Longo della Fava, Gerolemo Bembo, Versuri, Semitecolo e altri”(1700)… e quelli di “Domenico Calzavara poi Lucia Mutini con case a San Gregorio e San Martin” (1720)… e ancora il “Testamento quondam Piovano Angelo Bertoli”(1721-23)… e quello di “Gerolimo Zanchi”(1728)… il “Testamento del quondam domino Giacomo Ricardi” (1735)e di “Domenico Pesenti” (1737-38)… le annotazioni dei "Punti dei testamenti e dello stato antico della Congregazione fino al fallimento di Zecca"(1700-1866 con documenti in copia dal 1192)… le “Fedi pertinenti la celebrazione di Messe Cantate di Requie nella chiesa di San Basso dal Venerando Sovvegno delli Cantori per la Commissaria Zanini istituita da Giuseppe Zanini Piovano di San Basso, con disposizione testamentaria del 14 settembre 1735 indicante la Congregazione di San Marcuola come Commissaria ed Esecutrice de' suoi capitali investiti.” (1746-68)… i “Liveli Pisenti e Scala” (1750)… e le rendite registrate nel “Foglio per li pro' in Zecca con registrazioni pertinenti il “numero annuo delle Messe ed Esequi obbligati ai pro' della Pubblica Zecca.” (1797-98)… il “Livello Lisati di Chioggia”(1885-87)… e altro ancora fino a tutto il 1926 e oltre.

Che ve ne pare ?

Il patrimonio della Congregazione dei Preti di San Marcuola era insomma una gran bella miniera di risorse, e la Congrega una “formidabile macchina da soldi” ... Non si è trattato di certo di limitarsi a gestire o dare in affitto “amore Dei” un paio di caxette Veneziane … ma i Preti Congregati in San Marcuola “fecero girare adeguatamente”un ricchissimo deposito legato a un nugolo “d’intenzioni” quasi sempre perpetue dei Fedeli che le delgarono a loro.

La Congregazione quindi si organizzò dotandosi di una vera e propria Ragioneria specializzata interna capace di provvedere alla conservazione e movimentazione di tutto quello speciale e preziosissimo “carico di Beni”. Si distinsero le “Registrazioni del Dare” che riguardavano in gran parte i “Fitti Urbani” e i “Fitti Colonici dei Fondi Rustici” dalle “Registrazioni dell’Avere”relative alla manutenzione dei fabbricati, alle imposte, la celebrazione delle Esequie, la Beneficenza, e i Sussidi a favore dei “Reverendi Confratelli poveri e vergognosi”… Si approntarono altre voci e distinzioni-suddivisioni: “Cassa Contanti”,“Depositi”, “Resti e contanti in monte”, “Reversali”, “Mandati di pagamento” (1957)“Valuta corrente”, “Reverendissimi”, “Deposito Funerali”, “Ricevute”(1957-58)“Reversali d’introito” sintetizzandole e marcandole in appositi “Libri” e sottoponendoli a sofisticate annotazioni e vidimazioni: “visto e trovato regolare”apposte dal Preside Anziano e dagli appositi Ragionati durante i “Controlli quadrimestrali d’ogni Anno Camerale”.

Ne derivò un vero e proprio linguaggio originale con singolari denominazioni e riferimenti utilizzati nella schedatura e nelle registrazioni d’Archivio ... e spuntarono fuori anche apposite figure professionali delegate a far funzionare lo stesso Archivio: “Personale di amministrazione: “Segretario” … “Cancelliere”… “Esattore Tesoriere”… “Ragionati del Clero” … “Uscere” … “Cassieri”… Si parlò anche di: “Rinunzie dei Cassieri”, “Riduzione stipendi”, “Istituto Nazionale Assistenza e Previdenza Impiegati”, “Assicurazione contro l'incendio” e“Telefono”… e si era nel 1932.

La Congregazione giorno dopo giorno si premurò quindi d’inventariare, ammnistrare, affittare, vendere, permutare, comprare, restaurare e riadattare. L’Archivio della Congregazione si riempì presto di Atti che vennero ordinati e contraddistinti in serie, sottoserie, attività e passività, titoli attivi e passivi: "Numeri Neri", Numeri Rossi”, “Atti Generali”, “Scritture diverse”, Prospetti di beni”(1600-1850) e tutto venne distinto in un fiume di sottossessioni e precisazioni sui documenti raccolti: “Mestre e Prozzuòl”(1497-1736 con riferimenti a documenti del 1344)“Bottega in Calle della Bissa”, “Chiesura di Zerman”, “Vendita di Lodovico Zambelli al Lama”(1600-1700)…  “Caxete in Chioverete de San Giobbe vendute da Marco e Maddalena Nani al dottor Paolo Bravi nel  1666”, "Beni di Reverendissimi Piovani"(1649-1756)“Copie di partide de capitali, terminazioni e giri”, “Riscossioni dalli Pubblici Depositi in nome di Commissarie”, “Riscossioni depositi”, “Vendita della Signora Michiela Bravi”(1700)“Casa di Santa Sofia affittata a Rossetti”, “Case in San Martin”, “Casa di San Gregorio acquistata dalla Fraterna de Poveri Vergognosi e affittata a Chimoto” (1719)“Casa a San Giovanni in Bragora” (1722)“Libro delle case delli Reverendissimi Piovani” (1729-56)“Instromento d'acquisto fatto da Don Veniero Venier di portion di casa di San Lunardo”, “Investita nell’Arte de' Pistori”(circa1750)“Per stalo pecore nelle possessioni del Clero” (1753-55)“Liquidazione della Cassa dei Piovani” (1756)“Cassiere: Don Francesco Panciera Vicario in San Leone”, “Ragionieri Don Luigi Bosello e Alessandro Piegadi”, “Parte d’entrata delle riscossioni che devono essere fatte in ciaschedun mese dell'anno, e parte dell’uscita cioè degl'esborsi che mensualmente devono esser fatti ed a chi consegnati. Raccolto il tutto da me Antonio Prunsteder Suddiacono Titolato della Colleggiata di San Giovanni in Oleo e fatta trascrivere dal Reverendo Antonio Venturini cassier nell'anno 1763”“Atti di liquidazione”(1811-38)"Consuntivi e Reso Conto dell'amministrazione delle Nove Congregazioni” (1818-1921)“Pagamento artisti o artieri (operai)(1830-36)“Elenco degli affittuali ad uso dell'Esattore e Procuratori del Clero" (1833-71)“Fitto Annuo Rurale”, “Fitti Fondi Rustici”, “Fitti Fabbricati Urbani di Venezia”, “Rendite Fondi Pubblici”, “Progetto affittanze, petizioni e richieste d’affitto da concedersi o scioglimento delle stesse”, “Indennizzi di danni”, “Minorazioni d'affitto”, “Gestione contenziosi e reclami degli affittuali”, “Nuovo Censiva dei Beni”, “Valutazione diffide e ordinanze Municipali e delle Deputazioni Comunali”, “Esamina Catasti ed Estratti Catastali”, “Annualità Livellarie”, “Livelli e Legati Attivi”, “Entrate e spese ordinarie e straordinarie e diverse”, “Movimento di Capitali”, “Partite di giro”, “Anticipazioni e depositi per pigioni o da restituire …residui attivi.”, “Preventivi, manutenzione e restauri dei fabbricati”, “Rapporti dell'Ingegnere per dettagli di lavori, tassazione di polizze ed altro” (1836-45) “Convenzione con la ditta Giovanni Civran per demolizione di fabbrica a San Marcuola” (1838)Registri di Controlleria di Cassa”, "Giornale di Controlleria dell’amministrazione delle rendite, delle uscite principali relative alle Prediali, alla manutenzione degli stabili, ai Partidori, e agli anniversari pertinenti ciascuna Congregazione”, “Cassa di mano del Cassiere don Luigi Piccini” (1847-58)“Repertori”(1850)…  “Don De Carli Ragioniere” (1860)"Conti finanziari” (1869-1952)“Annualità perpetue, oneri di Culto”, “Spese ordinarie di Beneficenza”,“Statistica sull'Opera Pia”(1871-85) ...“Bilanci preventivi”(1902-45)“Fitti colonici"(1923-35)“Cartelle imposte esercizio” (1952-57)“Affitti ed affittanze”(1970-77).

Potete intuire che per orientarsi in questo oceano di Atti e carte si dovette provvedere a continui controlli e sovracontrolli incrociati sulle operazioni, e utilizzare un sistema elaboratissimo, talvolta quasi criptico, da bancari, che procurasse di “far veder chiaro” fra entrate e uscite, e soprattutto di poter provvedere alla suddivisione finale del “Partidòr” che finiva nelle tasche dei singoli Preti. Alcuni beni erano soggetti a spartizioni particolari fra le Nove … Insomma: utilizzando quell’apparato burocratico sofisticatissimo ed efficiente non sfuggì mai nulla ai Preti di San Marcuola.

Tutti i Registri dell’Amministrazione della Congrega venivano supervisionati e controllati dai Tre Sindici Maggiori e dai Tre Sottomasseri: cioè sei Confratelli Preti che occupavano le più alte cariche del Collegio in materia di amministrazione: ciascuno era preposta a un particolare ambito contabile, erano loro che provvedevano all'esazione dei fitti dei beni immobili, e sempre loro mantennero per secoli tutto un fitto intreccio con altri professionisti per favorire gli interessi dellaCongregazione: “Atti forensi"(1836-43)…“Diffide municipali" (1856-91)“Sanatorie per oneri inadempiuti” ,“Atti giudiziari contro affittuali”(1865-90)“Iscrizioni Ipotecarie e relazione sulle Opere Pie” (1871-81) “Inchiesta sull'Opera Pia” (1876-1907) … “Ispezioni”(1906-07)“Avvocati”(1910-37)“Danni di guerra” (1918-28)“Denuncie”, “Istituto nazionale della previdenza sociale”, “Imposte sulle aree fabbricabili”, “Assicurazioni”, “Imposte e Sovrimposte” (1953-76)“Regione Veneta”(1972).

Inoltre le Congregazioni dei Preti percepirono per secoli: “Quartesi”, “Campatici” e “Decime”, cioè imposero vere e proprie tasse e percentuali da pagare, delle vere e proprie imposte locali su coloro che lavoravano le loro campagne e terreni, o più comunemente su tutti coloro che abitavano e vivevano nelle campagne, nei borghi e nei paesi “supervisionati e governati”dai Preti, e sui prodotti del comune lavoro: Campatici del Clero delle Nove Congregazioni de Preti Secolari di Venezia”(1750 con note risalenti al 1588 inerenti terreni nelle Seconda e Settima presa del Brenta e del Marzenego ed Oselin)“Per campatici”(1750)“Decime al laico ora Decima de Clero per la Congregatione de Santi Hermagora e Fortunato" (1743-1807).

A loro volta la Congregazione di San Marcuola pagava tasse al Patriarcae allo Stato della Repubblica: “Pendenze” (1904-36)“Decime”(1700)“Imposte” (1911-40)“Tassa manomorta” (1871-1935)… Versavano, ad esempio, l’“Obolo di San Pietro” al Vaticano e al Papa (1860) ... pagavano le Gravezze delle Nove Congregazioni”(1700- 1807)… Chiedevano “L'esenzion delle Decime alli Dieci Savi”(1750 con note risalenti al 1562)… Scrivevano: “Per affar alli Dieci Savi per riscontro della Conditione”(1700 con riferimenti fino al 1472)… Redigevano documenti come il: "Prospetto riassuntivo compilato dal Ragioniere Alessandro Piegadi dello Stato fondiario delle rendite del Clero di Venezia con registrazioni pertinenti i proventi annui di Città e Terraferma”(1831-44).

La Congrega dei Preti di San Marcuola concedeva anche erogazioni di Beneficenza Ordinaria e Straordinaria offrendo sussidi a Preti e Laici in difficoltà soprattutto in occasione delle Calende e Solenni Processioni” (1903-45)“Ricorso delle Congregazioni circa il discarico delle somme erogate in beneficenza” (1904-08)“Vertenza circa l'equiparazione nelle distribuzioni” (1909-10) “Il Regio Economato domanda informazioni relative a Sacerdoti che presentano istanza per avere sussidi” (1872-91)“Legge sulle Pubbliche Istituzioni di Beneficenza” (1891).

E ci fu poi anche l’ampio, anzi: il quasi infinito capitolo delle Vertenze Giuridiche riguardanti i Preti e la vita della Congrega. Si tratta di un contenzioso senza fine che ha accompagnato come un’ombra per secoli l’intera storia delle Congregazioni dei Preti di San Marcuola e di Venezia. Controversie, cause e querele a non finire contro tutto e tutti per tutelare i beni e diritti della Congrega seguendo il tradizionale stile giuridico Veneziano: “Collegio delle Nove elegge i suoi Procuratori per tutelare i diritti del Clero contro i Frati Mendicanti” (1475)“Le Congregazioni eleggono loro difensore e procuratore Don Bartolomeo Guerino” (1515)“Convocazione degli ascritti alle Congregazioni per l'elezione dei consulenti e difensori di esse contro Secolari e Schole.” (1519)“Contra Illustrissimum et Reverendissimum Patriarca Antonium Contareno” (1511-80)“Contro Veruzzi e Ferro”, “Contra Francescum Luranum Archipresbiterum Sancti Petri”, “Pro Clero Venetiarum contra Don Ioannem Passazium” (1600)“Contro Verdi”, “Contro Schola San Zuanne e Abate Nicolò Baldigiani” (1600-1700)“Lite in proposito della privazione del Signor Pievano di San Geminiano Bendoni dalla carica di Sindico Maggiore della Congregazione di San Marcuola”(1649)“Litte tra il Clero di San Marcuola e le tre Congregazioni di San Polo, San Cassian e San Salvador”, “Pro Clero Veneto contra Turcellanos”, “Contra Plebanum Sanctae Fuscae”, “Clero di Venetia contro Ciolla”(1650)“Contra Patriarcatum” (1678)“Vertenze fra i Confratelli delle Congregazioni di San Polo, San Marcuola e San Salvador(1650-1700)“Processo del Clero di Venezia contro Don Stefano de Berti Sottomasèr"(1655-99)“Contro Bosello”, “Contro il Nobilhomo Alessandro Zen”, “Contro don Giovanni Manzini Arciprete di Castello”, “Contro Domenica Sebastiani”, “Querela del Primo Titolato in San Benetto”, “Concordio sopra il Legato Mocenigo”, “Contradizione di Cerro”, “Contro Francesco Plebani cessionario di Andrea Pace”, “Contro Nobili Huomini Duodo”, “Clero contro Hospedali per Esequie Mocenigo”, “Contra Congregationem Sancti Cantiani”,"Causa contro Don Domenico Salerni Pievano delle Gambarare",  “Pro Magistri Sexteriorum Sancti Pauli, Sanctae Crucis et Dorsi Duri”(1700)“Lite e Processo per il Legato Zois e per gli Esequii in San Rocco per il quondam Alessandro Zois”(1662-1787)“Contro la Congregazione di Santa Maria Mater Domini” (1675-76)"Lite e Cause contro gli Arcipreti"(1600-76 richiamando documenti dal 1145)“Venerando Clero contro Giovanni Battista Lanese”(1656-88)“Contra domino Iosephus Savioni de Confinio Sancti Apollinaris”(1668)“Spese seguite nelle contese della Commissaria Ivanovich contro Valnegrini”(1600-1700)“Contro li Canonici di San Marco e Castello in materia di precedenza da Pievani nelle Congregazioni”(1650 rifacendosi a documenti del 1353)“Contro Minossi”, “Credito coi fratelli Emo”, “Controversia con Corrente”, “Clero contro Donna Domenica Velleggiani e caso Abbazia di Busco contro Fabio Melchiori”, “Contro Gambarare”(1750)"Causa contro il Piovano dei Santi Simeone e Giuda Apostoli"(1700-1796)“Contra Clerum Sancti Georgii Nationis Grecorum”(1768-85)“Contro Reverendo Milano Maestro de Chierici de' Sestieri San Polo e Santa Croce” (1783)“Per il Clero di Venezia contro Francesco Plebani” (1786) … e chi più ne ha più ne metta ... Questi sono solo alcuni esempi.

Non mancarono ovviamente nella storia della Congregazione tutta una serie di controversie giuridiche legate alla gestione delle varie affrancazioni, livelli, vendite e successioni: “Processo fra il Monastero di San Francesco della Croce in Venezia e la Congregazione di San Marcuola per la successione di Prè Andrea Laude” (1599-1699)… che come sempre a Venezia si protrassero lungamente per secoli con vere e proprie “battaglie legali”.

Qualche volta i Preti soccombevano e perdevano le cause: “Sentenza contro le Congregazioni del Clero nella causa fra queste e Beriola Contarini”, “Sentenza con la quale le Congregazioni sono obbligate a pagare a Don Nicolò Sappa 4 ducati d'oro”(1497)… ma più che spesso le vincevano: “Sentenza del Magistrato del Proprio a favore delle Nove Congregazioni circa le case a San Geremia di Tommadella moglie di Donato barbiere” (1360)“Sentenza arbitraria di Gerolamo Trevisan de Borgognoni a favore del Clero contro Don Matteo de Fortis” (1500)“Sentenza dell'Ufficio dell'Esaminador a favore delle Congregazioni contro Domenico Bembo” (1530) .

Incredibilmente i Preti presi dalla foga e dalla smania d’avere sono finiti perfino a lottare contro se stessi: Presidentibus Cleri Venetiarum contra Congregationem Sanctorum Hermacore et Fortunati” (1743-44)“Quando si tratta di soldi non si guarda in faccia a nessuno” mi ha spiegato e ricordato più volte a suo tempo uno dei “Preti Ragionati” che provvedeva all’amministrazione delle Nove Congregazioni del Clero Veneziano.

Vado terminando ! …“Pizzicando” un po’ a caso fra le vicende delle Nove di Venezia si può ancora leggere: “Secondo quanto comunicato dal Ragioniere Alessandro Piegadi su mandato della Presidenza Economica delle Nove Congregazioni del Clero, si ordinò di 3 settembre 1858 che, cominciando da quella di San Michele, s’iniziasse a pagare i debiti verso le IX Congregazioni per i “Partidòri” loro trattenuti nei difficili anni 1848-53, dando, allo scadere de' Santi Titolari, un quarto relativo al Fondo di Cassa.”

La prima Congregazione delle Nove dei Preti a cui per le vicende politiche del 1848 venne trattenuto in luglio “mezzo Partidòr”, fu proprio quella di San Marcuola. I pagamenti in seguito vennero puntualmente effettuati nei giorni festivi dei Santi Titolari delle Congregazioni, cioè: il 12 luglio si pagavano i Preti della Congregazione di San Marcuola, il 6 agosto i Preti di quella di San Salvador, il 29 settembre toccava alla Congregazione dei Preti di San Michele Arcangelo, il 18 ottobre era il turno dei Preti della Congregazione di San LucaEvangelista, l'8 dicembre si pagavano quelli di Santa Maria Formosa, il 31 dicembre quelli di San Silvestro, il 1 gennaio quelli di Santa Maria Mater Domini, il 25 gennaio quelli di San Polo Apostolo, e si finiva il 31 maggio distruibuendo con grande gioia al Clero di San Canzian che era l’ultimo della lista, e per questo doveva“languire nell’attesa con grande ansia”più degli altri.

Alla fine tutti vissero felici e contenti come nelle fiabe, perché quei soldini percepiti non erano affatto pochini.

Ecco qua … Mi fermo del tutto … finalmente … Mi pare di aver detto un po’ tutto di quanto intendevo riferire circa la Congregazione dei Preti di San Marcuola... e un po’ anche circa le “Nove” di Venezia.

Una formidabile “macchina da soldi” vero ?  … Storicamente si sa, che i Preti e il mondo Ecclesiastico e Religioso in genere non si è mai tirato indietro di fronte all’opportunità d’intascare, gestire e godere dei generosi doni messi loro a disposizione dalla Divina Provvidenza ... Questo è capitato nella fattispecie e in maniera molto significativa anche nella maxi Contrada allargata di San Marcuola a Venezia, e in maniera particolare con le attività e le vicende anche della Congregazione del Clero di San Marcuola: una delle “Nove”di Venezia.

Oggi tante cose sono cambiate, tante realtà sembrano ormai trascorse, o per lo meno appaiono come assopite, e vengono considerate come superate e fuori moda … “Sotto traccia” però, anche se in maniera poco eclatante, molto funziona tuttora … Siatene pure certi: “il sistema” esiste ancora.


“Le ultime su San Marcuola.”

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#unacuriositàvenezianapervolta 189

“Le ultime su San Marcuola.”
(dodicesima e ultima parte)

Nella maxi Contrada allargata di San Marcuola, proprio andando verso l’ingresso del Casinò Municipale, c’è ancora oggi la Calle e Corte dello Strologo: lì probabilmente abitava qualcuno o che aveva quel cognome … o che esercitava quella “professione”. Venezia non è mai stata nuova ad ospitare Maghi, Indovini o presunti tali: ci furono, ad esempio, un paio di Nobili Veneziani: Francesco Priuli, che credeva d’essere capace di volare. E’ storia vera: fece l’esperimento di spiccare il volo fuori da una finestra, e finì fracassato di sotto fratturandosi le gambe per la caduta … 

Sempre a Venezia c’era poi tale Francesco Barozzi che diceva d’essere esperto in Astrologia e Magia, e affermava d’essere capace di far comparire: Draghi, Furie, Demoni e Spiriti dall'“Altro Mondo” dentro a dei circoli dipinti col sangue di uno che era stato ucciso. Diceva inoltre d’aver trovato a Candia un’“Erba Felice”… (e te credo: l’avrà fumata)capace di tramutare una persona da grosso asino ignorante in altrettanto grosso sapiente … Affermava ancora di conoscere il secreto con cui far tornare nella sua borsa i Zecchini che aveva già spesi, e raccontava ancora a certi Veneziani curiosi e increduli delle bettole e dei campielli di conoscere l'arte dell’invisibilità … Alla fine però venne catturato dagli uomini dell’Inquisizione di Venezia, e fu processato e condannato a carcere perpetuo con sentenza 16 ottobre 1587 ... e addio Magia, Astrologia e Lungoveggenza !

Ancora in prossimità e soggetta un tempo alla solita Contrada di San Marcuola c’era (ed esiste ancora oggi) la Calle del Zudìo prospicente la Fondamenta degli Ormesinivicino al Ponte del Ghetto Nuovo. Lì sorgeva fin dal 1400 la Spezieria “All'insegna del Zudìo” gestita nel 1566 da Bernardin Pencin, tenuta poi in affitto da Missier Gabriel, e abitata poi da Nicolò Rimondo nel 1582. Nella stessa Calle del Zudìo nell’aprile 1761 abitava Elisabetta Poli vedova ventinovenne che “trescava libidinosamente” col Margariter Vincenzo Redosin. Un giorno venne da costui “colta in amplesso con un altro giovanotto di sua conoscenza”, perciò il Redosin perse la testa e la uccise a colpi di coltello nonostante fosse gravida, poi fuggì via da Venezia, e venne condannato a bando perpetuo.

Storie … ancora storie di Contrada Veneziana: non era sempre tranquillissima la maxi Contrada allargata di San Marcuolae Cannaregio… Si è per secoli e secoli sempre vissuto intensamente dentro a quello spicchietto di Venezia.

Il 10 ottobre 1398: Pantaleone, ricco raffinatore di metallo residente nella Parrocchia-Contrada di San Marcuola depositò il suo testamento presso il Notaio Bernardo de Rodulfis davanti ad alcuni testimoni: un altro Notaio Karolo Petrarca con suo figlio Nicolò, e Francesco Da Poco di professione: Laniere. Nell’antico testo testamentale si può ancora leggere: “o’ guadagnado cum grande fatiga …”

Pantaleone possedeva denaro contante per 6.000 ducati dei quali 4.300 in oro, ed era proprietario della casa in cui viveva con due schiavi ... o forse anche altri di più ...  Affidò la gestione del suo ingente patrimonio a tre Esecutori Testamentari tutti di professione Oresi cioè Orefici: Ser Giacomo de la Stopa del Confinio di San Vidal, Ser Marco Fassa Guardiano della Scuola Granda di San Marco, e Ser Marco Negro della Contrada di Santa Marina nel Sestiere di Castello.
Non avendo parenti eccetto che dei figliocci, lasciò 1.000 ducati in buoni del tesoro alla moglie Caterucia stabilendo che poteva vivere in un appartamento della sua casa, e che avrebbe potuto tenere dei suoi oggetti tutto quel che voleva ... Se non si fosse risposata avrebbe avuto diritto di disporre anche di altri 500 ducati da usare a suo piacimento. Se si fosse risposata, invece, ne avrebbe avuti solo 100 di ducati in dote, più altri 100 e niente di più … Pantaleonestabilì anche che parte della sua casa fosse affittata, e che tale reddito fosse usato a favore dei poveri della Contrada ... Dopo la morte della moglie o qualora si fosse risposata, il reddito dell’affitto sarebbe stato dato alla Scuola Grande di San Marco ... (doveva essere gelosètto l’ometto)… Dopo 10 anni quella proprietà si sarebbe dovuta vendere, e il ricavato si sarebbe dovuto usare per finanziare doti da offrire alle figlie dei Confratelli o alle Consorelle della stessa Schola Granda, oppure alle figlie e sorelle dei Poveri Marineri morti per la Patria, alle quali destinò altri 400 ducati.

Lasciò poi: 20 ducati al figlioccio Lando Grillo, 30 ducati alla figlioccia Francesca che s’era fatta Monaca al San Marco Piccolo di Padova… un Legato di 50 ducati alla vedova e ai figli del Cambiavalute Andrea Morache era stato suo amico ... Lasciò ai Preti di Santa Fosca 12 ducati come“decima”chiedendo che fosse fatta una “Caritade-Festa Parrochiale” in suo onore … Lasciò un ducato per ogni povero di San Lazzaro cioè l’Hospeàl Veneziano per i lebbrosi e appestati ... e donò 500 ducati alla Repubblicaperché riparasse le fortificazioni del Lido.
Chiese infine che la sua tomba alla Madonna dell’Orto venisse sigillata in modo definitivo in quanto non aveva altri parenti “da ospitare” ... Non avrebbe voluto con se neanche la moglie … e siccome come tanti dell’epoca aveva il terrore di finire all’Inferno o più verosimilmente di rimanere a languire nel Purgatorio, deliberò che la chiesa della Madonna dell’Ortocomprasse un calice ed altri oggetti del valore di 60-70 ducati da usare durante la celebrazione di una Messa al mese da celebrare in suo Suffragio, e lasciò dell’altro denaro perché si pagasse un Prete che celebrasse le Messe e comprasse candele e olio “quanto bastavano” ... Lasciò anche altri 70-80 ducati per costruire un altare su cui celebrare le Messe proprio per lui … Messe quindi “superacessoriate e personalizzate”… saranno bastate per salvarlo per l’Eternità ?


Quante cose sono spuntate fuori sbirciando dentro alla storia, le tradizioni e le vicende della maxi Contrada allargata di San Marcuola … e non sarebbero affatto tutte: il mio è solo un piccolo assaggio di un “molto di più” che Venezia sa offrire quasi sempre in ogni suo angolo quando appena provi a frugare per conoscere e capire … Ovunque si cerchi o vada a guardare, spunta sempre qualcosa di curioso e interessante: Venezia è sempre tripudio d’Arte, interiorità, congestione storica di umori, fatti, personaggi e luoghi grandi e piccoli che hanno assunto lungo i secoli volti e valenze uniche che oggi rischiano di non essere ricordate più.

Per questo è importante parlarne, andarci a curiosare dentro e provare a farne memoria … Ma tutto questo lo sapete già molto meglio di me.

Abbiamo detto tante cose, forse fin troppe sulla Contrada di San Marcuola a partire da quella lettera un po’ forte e veemente del Piovano Don Rado… Abbiamo provato a rivisitare e raccontare in lungo e in largo la maxiContradaallargata con le quattro chiese con la macchina subliminale dell’Archivio e delle Consuetudini di San Marcuola… Abbiamo detto della rissa a bastoni e della Schola del Crocefisso, e delle cose che sanno tutti su San Marcuola, e di quelle che, invece, sono state forse un po’dimenticate pur essendo ugualmente curiose. Convinto di non aver detto ancora abbastanza, ho ricordato dell’Anconeta, delle Romite sòra i còppi de San Marcuola”, della Visita del Patriarca Pirker del 1821, di uno dei furti singolari accaduti in Contrada, delle Schole, delle Arti e Mestieri, dei Nobili, degli intrighi, le chiacchiere, le storie, gli eventi e le Devozioni, diSan Marcuola “a luci rosse”, d’ “Inconfessi, scomunicati ed insordescenti della Contrada”, della Congregazione Urbana dei Preti di San Marcuola e delle Nove del Clero, e di molto altro ancora … San Marcuola insomma si è dimostrata essere come una ricca “scatola cinese” inesauribile e dalle mille sorprese.

Potrà forse sembrarvi insolito, ma qualche giorno fa dopo tanto “dire” sono tornato a rivedere ancora una volta i posti di quella che è stata la Contrada e soprattutto la chiesa di San Marcuola… Così … Tanto per non dimenticare, e rivedere un po’ dal vivo.


Non bisogna farsi ingannare dall’impatto con l’apparenza esterna un po’ sciatta della chiesa: i muri screpolati e scrostati, gli intonati cadenti, la porta cigolante d’ingresso di legno pallido incartapecorito dall’umidità … Sembra la porta provvisoria di un cantiere, e stona non poco alla vista, quasi come un pugno dato in un occhio all’improvvido visitatore.

Poi sono entrato dentro … e “puff !”…. Se da una parte è stata come magia, ed è esplosa in me ancora una volta la“meraviglia” con una sarabanda d’emozioni, dall’altra non ho potuto non costatare che l’aula della chiesa era deserta ed emanava un sapore un po’ di stantio e dimesso ... E’ una mia opinione eh !, che sia ben chiaro … La chiesa deserta mi ha come comunicato l’impressione di un ambiente lasciato a se stesso e privato di ciò che è stato più suo, di quanto l’ha caratterizzato di più … Quelle panche vuote, quel pulpito muto, l’organo che non suonava … gli altari senza Messe e Devozioni, le tracce delle Schole quasi cancellate del tutto, i teleri appesi ai muri che nessuno guarda quasi più … Ho provato a pensare che in realtà lì dentro si è fatta e vissuta tanta Storia, è che per secoli su secoli lì dentro era fluito quotidianamente un mare di persone … di vispi Veneziani di Cannaregio soprattutto … Ho immaginato i tanti che lì hanno partecipato, agito, pregato e supplicato, assistito, pensato, offerto e praticato … Ho immaginato la lunga litania dei Preti del Capitolo di San Marcuola ... Me li sono immaginati uno dopo l’altro, come se fossero passati tutti in rassegna davanti ai miei occhi ricchi delle loro storie e di tutto quello che hanno vissuto e fatto lì dentro ... Come vi ho raccontato, ho fatto ancora a tempo a conoscere gli ultimi vecchi Preti che in un certo modo hanno come prolungato lo stile e fatti propri i contenuti di quei Preti ottocenteschi “fatti tutti d’un pezzo”… come il Don Rado della lettera da cui sono partito a raccontare.

Ci sarebbe ancora di che perdersi a ricordare e ripensare su tutto ... e forse potrebbe essere anche impossibile farlo degnamente.

Provando come il bisogno di “portar via con me” un po’ di quelle sensazioni, ho estratto il cellulare dalla tasca … Non l’avessi mai fatto ! Da un angolo della chiesa in penombra è partita subito una sonora intimazione: “Eilà !  … Fermo co quel telefono ! … No se fotografa qua dentro ! … Qua se vien solo pàr pregàr !”

Per un attimo sono rimasto sorpreso col dito immobile sul tasto delle foto incerto sul da farsi … Quanta solerzia e tempestività da parte di quell’“addetto alla custodia e al culto diSan Marcuola” … Sembrava proprio la continuazione degli antichi severi, esigenti e austeri Preti del Capitolo di San Marcuola ... Come spiegargli con poche parole che intendevo portarmi a casa l’impronta di quel posto che mi è diventato così familiare ultimamente … Una foto in un certo modo riassume e sintetizza le tante cose interessanti e curiose che si sono potute dire su San Marcuola … è la possibilità di continuare a godere a distanza di certi contenuti, e dell’aspetto di San Marcuola… Una semplice foto prova come a fermare il Tempo, è una briciola del posto portata via con se pur senza “rubargli” niente.

Non capirò mai certe assurde restrizioni … Infatti, pur annuendo, ho spinto sul pulsante del cellulare … Oibò ! … Una, due, tre, quattro volte per immortalare quanto più potevo quello di “prezioso e unico” che avevo in quel momento davanti agli occhi ... che in fondo appartiene a tutti i Veneziani … (e non).

L’ulteriore rimprovero non si è fatto attendere: “E allora ? … Nol gha capiò niente ? … Qua non se fotografa ! … Se prega e basta ! … El vàga fòra !”

Non ho risposto … e me ne sono uscito abbandonando la sensazione d’essere penetrato dentro come a una caverna primordiale, d’aver varcato una soglia entrando in una capsula temporale di una Venezia desueta di ieri che non oggi non esiste più ... o che forse solo lampeggia ogni tanto, per certi aspetti moribonda e quasi fugace. Non è bella la sensazione che si prova entrando a volte dentro a certe chiese Veneziane … Sembrano morte … come dei musei, o forse dei cimiteri. Si prova un vago senso di mestizia e amarezza.

Almeno a me capita così …


Approfittando poi della bella giornata soleggiata, mi sono spanto e spinto in giro per tutti gli angoli della maxiContradaallargata di San Marcuola… Quella di oggi è come il rimasuglio e il fantasma del tanto che c’è stato ieri … Anche in quel momento ho provato analoga sensazione a quella esperimentata dentro alla chiesa: il posto Veneziano non sembra più vissuto, sembra senza spessore, privato di Storia e di quella identità forte che un tempo caratterizzava e riempiva la Contrada.

Sarà forse che sono nostalgico, ma oggi l’idea della Contrada non esiste più: San Marcuola(al pari delle altre ex Contrade Veneziane)è rimasta come un’entità povera a confronto con ciò che è stata un tempo … Ci si deve accontentare di provare a leggere e rileggere soltanto qualche ridotta e pallida memoria ... Oggi ho visto tanti bar, tanti stranieri residenti: Africani e Asiatici soprattutto, ma anche tanti dell’Est Europa… Ho visto studenti “di passaggio” occupare le casupole al posto delle famiglie popolane di ieri, negozietti tutti uguali per turisti dove ieri c’erano, invece, le botteghe degli artieri, il forno, e i posti dove si poteva trovare tutto ciò che serviva per vivere quotidianamente ... Tante saracinesche sono rimaste abbassate ormai da decenni, e tante case grandi e piccole sono oggi sfitte e chiuse.

Ho bighellonato a lungo su e giù per i ponti e avanti e indietro per le calli, i campielli e le fondamente di quella che è stata la Contrada di San Marcuola… Mi sono spinto fino a San Lunardo e al Ponte delle Guglie, sono passato davanti alla Schola del Crocefissochiusa sbarrata, e mi sono portato fin al Campo della Maddalena rimasto senza l’antica Torre campanaria dei Nobili Baffo… Ho superato un altro ponte andando a Santa Fosca nel cui campo troneggia l’oscuro monumento dell’inquietante ed enigmatico Paolo Sarpi … Poi sono ritornato di nuovo indietro sui miei passi, mentre ormai stava calando la sera, e poi è sopravvenuta in fretta la notte sul pochissimo che ho visto rimasto dell’antica maxiContradaallargata di San Marcuola.

Dopo tutto questo mio discorrere mi sono guardato intorno ancora una volta, e mi sono reso conto che solo vagamente sono riuscito a riconoscere il tanto che qui c’è stato un tempo. C’è poco da aggiungere: certe parti di Venezia sono solo il vago spettro, il fantasma diafano e forse assopito della Venezia di ieri che è accaduta e non c’è più ... Eppure la Strada Nova di oggi è vivissima e satura di turisti di ogni foggia e tipo … Ho visto gran movimento, intenso tramestare e chiacchierare: c’era chi vendeva, cantava, suonava, serviva, beveva e mangiava … Una vecchietta camminava lenta “arente ai muri dei palassi: … Ciò ! … Sti qua me butta partèra.”… C’era quasi ressa, infatti, soprattutto sulla porta dell’ex Cinema Italia diventato oggi supermercato, e c’era anche una nutrita comitiva di giovani stranieri che si rincorrevano allegri su e giù per i ponti e lungo la strada principale col loro bel bottigliozzo in mano.
Un’ultimissima cosa mi ha colpito verso il tramonto: man mano che faceva buio nella ex Contrada di San Marcuola ho notato accendersi i lumini flebili dei Capitelli che punteggiano ancora tutta quella zona tipicamente Veneziana … Passando avanti e indietro ho notato: Madonne Addolorate, Madonne dei Sette Dolori, Madonne col Bambino incastrate e infisse nei muri … una Madonna di cartone con ai piedi dei fiori appassiti, un’altra dietro a un cancelletto dallo sguardo magnetico di pietra … Ho visto una cornice a spiovente vuota, un Santo scuro quasi cancellato dalle intemperie con un fanaletto acceso davanti … e un capitello al buio con la lampadina fracassata e forse divelta spavaldamente da qualcuno rimasto ignoto … Ho visto un Cristo smunto, mutilo e quasi irriconoscibile: rimasto solo col busto, slabbrato e quasi mangiato dalla salsedine e dall’umidità … Ho letto le scritte incise sul marmo di certi Capitelli: “Offerta alla Beata Vergine sotto il titolo della Natività”in Corte del Pegolòto … Li riceverà mai gli eventuali oboli di qualche devoto di passaggio quella Madonna ? … “Per i Poveri delle Conferenze Maschili di San Vincenzo di Sant’Alvise”c’era scritto da un’altra parte … Che esistano ancora quei poveri ? … In Fondamenta dei Ormesini proprio accanto aPonte de Ca’ Loredanho letto: Regina Pacis--- Ora pro nobis”.

Ho pensato forse con una certa saccenza e spavalderia:“Che almeno il marmo invochi silenziosamente, visto che quelli della Contrada di oggi forse non lo fanno nè lo pensano quasi più.”… Ho inteso iCapitelli della Contrada nelle loro nicchie come il segno plastico, la sintesi visibile e tangibile di certi contenuti comuni e di una presenza capillare, viscerale, ubiquitaria e unificante che pervadeva l’intera Contrada una volta. Anche se sbiaditi, cancellati e rovinati dal Tempo, sembrano ancora oggi vigilare muti su tutto, come entità puntiformi diffuse e discrete che ci sono e sanno di tutti quelli che ci sono, e di tutto quanto accade ancora oggi nella exContrada … Sono come una presenza ricca di continuità, uno sguardo misterioso che altrettanto misteriosamente sa del destino di coloro che vivono ignari in questa zona della nostra Venezia diventata apatica, selvatica, deprivata e anonima come una selvatica foresta.

Infine sono salito sul solito vaporetto, combattuto fra l’orgoglio di vivere in una città come la nostra essendo parte di un così splendido passato e contesto storico; e la sensazione fatta di perplessità interrogativa e disorientamento di fronte al “tanto” che è andato disperso, cancellato, e ormai quasi dimenticato e abbandonato del tutto. Ho provato come un senso d’incertezza pensando al futuro di questa nostra fragile entità Lagunare ... Così come mi sono ritrovato a sospirare scrivendo queste ultime parole.



“SANT’ELENA DE TEXARIA o TESSERA.”

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“SANT’ELENA DE TEXARIA o TESSERA.”
 #unacuriositàvenezianapervolta 190.

Il nome completo della bella chiesuola di campagna di Tessera col singolare campanilotto cilindrico sarebbe: Sant’Antonio Abate e Sant’Elena Imperatrice di Tessera o Texaria o Taxaria ? … Boh ? … Non si sa bene come vada detto, e neanche bene che significhi … Tèssera in Greco significa: quarto o quattro … Tessèrasorgeva circa verso la quinta pietra miliare della Via Altinate… la strada Romana che portava prima ad Altino, e poi continuava fino a Concordia Sagittaria e Aquileia e Grado… Per capirci: a poca distanza da Tessera sorgeva anche Tertium o Terzo a 3 miglia da Altino, e poi c’era e c’è Quarto d’Altino come sapete meglio di me: dove c’era un bosco cioè la Selva Fetontea ...Terzo poi fungeva anche da porto in quanto sorgeva giusto sulla foce del fiume Dese, che un tempo si chiamava: Sarmica.

Tutta la zona era punteggiata e segnata oltre che di fattorie e “Ville campestri”, cioè piccoli borghi e villaggi, anche dalla presenza di Monasteri e chiese: alcuni dei quali di fattura modesta e sicuramente molto meno popolati, prestigiosi, ricchi e pingui di quelli presenti nelle Isole Lagunari dell’Arcipelago Veneziano… A un solo miglio da Altino nel territorio di Pagliaga ora Ca’ Noghera, ad esempio, sorgeva il Monastero Benedettino di Santo Stefano, mentre a due miglia da Altino sorgeva già dal 900 la Cappella di Santa Caterina dei Frati di Parabiago ... Al terzo miglio da Altino sorgeva la Cappella di San Pietro in Terzo dei Monaci Certosini che probabilmente furono i primi ad insediarsi in quella zona ... e avanti così: c’era tutto un alternarsi di “Uomini e Donne di Dio tutti dediti all’Anima e allo Spirito”… più o meno e pressappoco … perché erano anche non poco interessati anche ai “beni e ai piaceri della Terra”… e insieme a loro esisteva una massa di comuni agricoli, campagnoli e villici che come sempre fungevano da sudditi, gleba e basso popolo di Dio: “pecorelle da guidare”… ma anche e soprattutto: da spremere e tassare … mungere più e più volte ... cioè praticamente sempre.

Non pensate comunque che quei posti fossero tutti dediti a “Santi, devozioni e Madonne”… Li vivevano anche dei bei banditozzi e contrabbandieri che  scorrazzavano e facevano un po’ man bassa di tutto, e c’era anche qualche pestifero “bravo” al soldo dei signorotti locali, che in verità non erano neanche Nobili per davvero come quelli di Venezia … Pensate, solo per rendervi l’idea, che il Sabato Santo del 831, il Doge Giovanni I° Partecipazio fece esporre proprio là come monito pubblico: prima a Tessera e poi di fronte alla chiesa di San Martino in Strata di Campalto: la testa del Tribuno Obelerio alleato di Bisanzio appena spiccatagli dal collo sul Lido di Malamocco che era stato incendiato e devastato del tutto ... Il Doge ammoniva così quelli del posto in quanto sapeva che fra l’altro davano anche ospitalità ed erano simpatizzanti di ogni specie di ribelli in fuga dalla Laguna o provenienti dall’interno della Terraferma diretti a Venezia … Non fu un caso se proprio a Tessera e dintorni neanche 70 anni dopo arrivò l’orda Tartarica col Re degli Ungheriintenzionato a prendersi tutto …. Anche la Laguna … Solo che non vi riuscì: troppo complicato affrontare i Veneziani rintanati in mezzo a tutti quei fanghi e quelle acque alte e basse infide.



Il nome Tessera o Tèssere o Texària o Taxària: potrebbe voler dire ancora … indicare forse un posto dove c’era una Taxa o Tassa da pagare ? … cioè una Gabella ? … Lì forse c’era un posto di confine … un posto di blocco tipo Dogana da cui un tempo si entrava e usciva dal Dominio di Venezia … Di questo è rimasto ricordo, ad esempio, al Passo Campalto: dove per secoli effettivamente accaddero gli imbarchi e gli scambi commerciali … e i contrabbandi con Venezia.

Avete mai sentito di come si contrabbandavano i salami di campagna e di Campalto diretti a Venezia ?

Semplice: si creava un doppiofondo nelle barche dirette a Venezia, oppure quelli di campagna legavano i salumi debitamente protetti dall’acqua mettendoli sotto alla chiglia delle barche … Il problema era che i Gabelotti di San Marco non erano del tutto tonti e baùchi… sapevano bene di quegli espedienti … ma si accontentavano quasi sempre di prendersi la loro parte di profitto: perciò un po’ tutto passava e andava e veniva con Venezia passando anche di là tranquillamente ... con buona pace e guadagno un po’ di tutti.

Insomma … Se ne dicono tante sul significato originale del toponimo periLagunare di Tessera … ma poco importa venire a sapere quale sia quello giusto … Oggi Tessera è per tutti soprattutto il posto dell’Aeroporto Marco Polo… e per più di qualcuno: quello delCasinò di Cà Noghera … punto e basta.

Comunque tornando alla chiesola di Sant’Elena di Tessera, si tratta ancora oggi di un Oratorio privato… un luogo un po’ decadente in verità, che appartiene ancora a tutti gli effetti giuridici alla famiglia Checchin detta Badinche se lo aggiudicò nel 1869 per 67.200 lire partecipando a un’asta con Giacomo Checchin detto Badin, già fittavolo di fiducia del Patriarcato di Venezia ... Insomma i Preti visto che intendevano vendere e liberarsi di quel posto, cercarono di piazzarlo facendolo finire in qualche modo“in buone mani”… cioè in persone che facevano parte in modo stretto dell’entourage Ecclesiastico.

Altra nota: qualche bene informato afferma che la chiesetta-monumento di Tessera sia insieme alla chiesa di San Martino in Stràta di Campalto e alla Torre di Dese il più antico edificio di tutto il Territorio Veneziano… Mmm ? … Anche no: in quanto pur risalendo al XI secolo, ci sono monumenti ed edifici Lagunari certamente più antichi di loro ... Ma lasciamo a chi se ne intende dare risposte precise al riguardo.
Non me ne vogliano, invece, né se la prendano quelli di Tessera, né quelli che hanno un bel ricordo della chiesetta di Sant’Elena: o perché si sono sposati là, o perché hanno trascorso nei dintorni la loro infanzia … e ancora meno se la prendano i pochi che saltuariamente ancora oggi continuano a “ridursi”in quella chiesola di campagna per partecipare a qualche sparuta Messa un po’ “de casada” ... In verità la chiesetta è abbastanza malmessa e rovinosa, e meriterebbe un po’ di più per il tanto che si è vissuto un tempo in quel sito giusto sul bordo della Gronda Lagunare … La Storia Veneziana ricorda che proprio lì un tempo c’è stata un grande e vispissimo, e quasi potente e ricco Monastero che indubbiamente ha segnato il destino e le vicende, e anche un po’ l’Animo di quelle terre col loro circondario.

Non intendo affatto fornirvi tutto il pistolotto della Storia di Sant’Elena di Tessera, ve ne racconterò solo uno spicchietto: quello coincidente forse con l’“epoca d’oro”di quel luogo ora abbastanza abbandonato da Dio a vedersi ... Diciamo che nel 1100-1200 Sant’Elena di Tessera ha raggiunto forse il massimo del suo splendore, prestigio, e fervore e successo economico.

Innanzitutto: il culto verso Sant’Antonio Abate chiamato da quelli della zona: “Sant’Antonio del Porsèl”, ebbe inizio sul posto circa nel IX secolo, cioè prima che sorgesse il titolo di Sant’Elena di Tessera. Il Santo veniva invocato dai contadini e dai pastori locali soprattutto a protezione della pestilenza e del fuoco di ogni tipo: sacro e non ... umano, ma anche delle bestie … Nel 1089 i documenti antichi indicano, infatti, che al 5 miglio da o per Altino sorgeva una Cappella di Sant’Antonio Abate di Torre di Texaria.

Nel 1200, come dicevo, si andò al top dello sviluppo, all’apice della storia di Sant’Elena di Tessera… Infatti lì sorse un significativo Monasterodi Monaci Benedettini che gestivano anche un Ospizio-Ospedaletto-Lazzarettointitolati quindi a Sant’Elena ... Dell’antica Cappella dedicata a Sant’Antonio Abate in quel tempo rimase solo un altarolo, che venne inglobato nella nuova chiesa del Monastero.
Precisamente nel 1089 s’incominciò a costruire l’edificio in stile Romanico-Bizzantino come lo possiamo vedere ancora oggi, anche se le linee architettoniche realizzate furono molto semplici, e quasi tutto venne fatto in mattoni a vista suscitando tuttavia un notevole fascino dal sapore d’arcaico e religioso-artistico ... L'interno, invece, venne costruito a una sola navata con abside, e venne ricoperto da un tetto di legno “a capanna” con capriate a vista … Poi accanto alla chiesuola si riattò la singolare torre campanaria cilindrica riciclandone una presente più vecchia che fungeva da torre d’avvistamento da molto tempo già presente in zona ... La Torre di Texariaapparteneva a un complesso sistema di Torri di Guardia di cui facevano parte anche le Torre di Sant’Ilariodi Fusina, la Torre di San Zulian detta di Margària a nordest dei Porti Bottenighi, la Torre delle Bebbe presso Chioggia, e la Torre del Caligo dall’altra parte della Laguna.

A fine novembre di quello stesso anno 1089 comunque, a San Benedetto di Polirone, cioè nel Monastero di San Benedetto Po verso Mantova: l’Arcidiacomo Bertaldodella chiesa di Treviso, figlio del defunto Drudone da Carbonera, donò a Guglielmo Abate di San Benedetto di Polirone: 15 mansi in parte siti nella Villa di Sant’Elena di Tessera nel Contado Trevigiano, e in parte nel Vico di Terzo, nel Vico di Campigo, a Montiano, in località Volpago e in Vico Cavaso ... e così incominciò tutto … Quel giorno sul bordo Lagunare c’erano in rappresentanza: Giovanni Polani Vescovo di Castello-Olivolo di Venezia “missum dell’Abate di Polirone” assieme al Priore di San Cipriano di MuranoSant’Elena di Tessera faceva parte del territorio appartenente al Vescovo di Treviso, e lì i Monaci progressivamente costruirono chiesa, Monastero e tutto il resto.

Da quel momento la storia di Sant’Elena di Tessere andò sempre più in avanti, in crescendo e in discesa: cioè il Monastero crebbe sempre di più in consistenza, prestigio, autostima, consapevolezza e ricchezza … Innanzitutto per via delle donazioni dei fedeli ricchi e nobili che patrocinavano la Comunità accaparrandosi in cambio tutta una serie di “privilegi e garanzie” per la Salvezza oltreMorte… Questa era“una gran fissa”, e soprattutto una grande paura che aveva radicata dentro la gente di quel tempo … Ma ci furono anche copiose donazioni da parte di persone comunissime e non molto abbienti.
I documenti della storia di Sant’Elena di Tessera raccontano spesso di un insieme e di una serie quasi incredibile, per non dire quasi senza fine, di donazioni e privilegi, ma anche di contrasti e litigi fra Nobili, Marchesi e Conti, e Monaci, Priori e Abati dei Monasteri e Vescovi, Canonici e personaggi del genere … ma anche con semplici contadini, fittavoli e artigiani del posto.



Sant’Elena di Tesseraè stata sempre legata come con un cordone ombelicale al Monastero-Abbazia-Badia dei Santi Cornelio e Cipriano di Muranodetto di San Cipriano de Vigna Contra… Erano fra loro quasi come chiese sorelle-gemelle, anche se fra i due quello che contava di più dal punto di vista del potere politico-economico-religioso è stato di sicuro il famoso Cenobio Muranesedi San Cipriano condotto dai Monaci Benedettini … Il Cenobio di San Cipriano sorgeva proprio appena al di là delle paludi, barene e acque che sorgevano vicine a Tessera ... Sussisteva come a dire: “giusto a un passo”, a “quattro remate di barca” dalle zone agricole e campestri di Tessera … proprio là di fronte, appena oltre le acque.

E veniamo un po’ ai dati che ci rivelano i documenti storici del 1200 …

Inizialmente a Carbonera di Treviso: Gera di Drudone di Legge Longobarda donò ad Aimerico Priore di San Cipriano alcuni beni presso Sant’Elena di Tessera insieme ai diritti che poteva avanzare su quella chiesa … Poi fu il turno di Oza altra figlia di Drudone, che fece la stessa cosa donando altri beni e terre stavolta a Domenico Priore di San Cipriano dov’era vissuto come Monaco suo fratello Bartaldo.

Proseguendo ancora: proprio sul prato di Sant’Elena di Tessera: Altegarda figlia di Ottone, moglie di Compagno, ed Almentruda figlia del morto Colmaro, moglie di Melio, ratificarono la donazione fatta dai mariti a Domenico Priore di San Cipriano e ad Alberto Priore di Sant’Elena di Tesseradi altre terre e di altra parte della stessa chiesa di Sant’Elena di Tessera ... Poi qualche anno dopo: Madelberto Priore di San Cipriano di Murano diede a Tebaldo Priore di Sant’Elena di Tessera: una terra in Casatico, ricevendone in cambio un manso a Montalto.

Si diedero insomma subito da fare quelli di Sant’Elena di Tessera …

In seguito la cosa procedette ancora: a Tessera Moltruda vedova di Melio da Carbonera donò a Enrico Abate di San Benedetto di Polirone l'ottavo della chiesa di Sant’Elena di Tessera col cimitero e una terra in località Anto che le appartenevano ... Enrico da Cavasaga, Vivone da Carbonera e Compagno figlio Compagno donarono a Riberto ed Alberto Monaci di San Cipriano di Murano Servienti della chiesa di Sant’Elena di Tessera e per essi a detta chiesa: sette "zoias"di terra, una terra sita presso il Monastero, e un'altra sita in Località Zocoleda insieme a una masseria in Contado Trevigiano in Villa di Tessera in località Casadego.

A Coneclanum o Conegliano di Treviso, invece: Bertaldo da Topedine ed Altegarda coniugi vendettero ad Ugone Monaco Procuratore di Rodolfo Priore di San Cipriano di Murano: una masseria a Tessera in Località Santa Lena(Elena) per lire quaranta di denari buoni di Venezia.

Avete inteso quindi come di donazione in donazione il patrimonio di Sant’Elena di Tessera iniziò a ben lievitare … e siamo giunti così al 1200, quando nel primo decennio i Veneziani per proteggere Venezia dalla guerra di Ezelino eressero una torre di faccia all’antica Marghera oltre le Barche e verso Campalto denominata Torre Palata o Palàda cioè “della palude”… Negli stessi anni aTexera o Tessera: Giacomo da Pianiga Priore di Sant’Elena di Tesseradiede a Pietro de Fabris Notaio un manso sito a Marcon e un altro sito a Carpenedo, oltre la Decima del manso di Carpenedo, ricevendone in cambio un manso sito a Montianoe la Decima su un manso di Alberto Bozzolino da Tessera ... La Decimaera una tassa che consisteva nell’offrire al proprietario (la Chiesa e i Monasteri spesso) un decimo del valore di tutto ciò che veniva prodotto in quel posto: fosse prodotto dei campi o delle vigne, oppure: legname dei boschi, pesce d’acqua peschiva, macinato di mulino, o prodotti degli animali e gli animali stessi … Una tassona insomma, che non risparmiava niente e nessuno.

Ancora e sempre a Tessera nel marzo 1219: Enrico Bocca da Carbonera vendette per lire 170 di denari veneziani a Giacomo da Pianiga Priore di Sant’Elena di Tessera altre due terre site a Tessera … Dieci anni dopo: Aledosio figlio di Giovanni di Corrado da Carbonera donarono al Monastero di Sant’Elena di Tesseradue mansi di circa 50 iugeri siti a Montiano.

A metà del 1200 i Monasteri vicini di Santo Stefano d’Altino e Santa Caterina andarono totalmente in crisi economica e vennero ben presto abbandonati ... Sant’Elena dei Benedettini di Tessera, invece, fioriva grandemente insieme a Sant’Antonio, Santa Maria di Caurignago e San Pietro di Terzo.

Nel luglio 1267 Maria Nobile Veneziana, vedova Giacomo Gradenigo dispose per testamento che venissero dati a tutti i Monasteri e agli Ospedali del Dogado cospicui legati e denari ... Soprattutto al Monastero di Santa Maria delle Vergini di Castelloche elesse come luogo adatto alla sua sepoltura, e agli Ospedali: Domus Dei(Cà di Dio), Domus Misericordiae, Sancta Maria Crociferorum, Sam Joahannis Evangelista, Sancta Maria e Sancto Lazzaro... e si dovevano dare venti denari anche a tutti gli altri Monasteri “da Grado usque Caput Aggeris (Cavarzere) che furono effettivamente corrisposti in 2 rate di 8 e 12 soldi dai Procuratori di San Marco incaricati ... Nella lunga lista dei luoghi da beneficiare compariva anche: Sancta Melena de Tessaria.
E ancora nel 1274: Biagio Priore di Sant’Elena di Tessera locò ad Andriolo Zeno dal Confinio di San Cancian di Venezia una terra sita a Tessera per annuo canone in generi ... Nel luglio dello stesso anno a Feraria o Ferrara: tale Muratonotificò a Pietro Priore del Monastero di San Romano di Ferrara una Lettera Papale con cui lo si nominava Giudice nella lite tra Biagio Abate del Monastero di Tessera e il Nobile Egidio o Zilio Querini del Confinio di Santa Marinadi Venezia circa la Decima da riscuotere sulle terre di Terzo di Tessera… In novembre a Mugle a Muggia in Friuli: Domenico Furlano Procuratore di Giacomo Arcidiacono Castellano, subdelegato di Pietro Priore di San Romano di Ferrara notificò a Giacomo da Ceneda Notaio la lettera di Giacomo Arcidiacono Castellano, con cui lo incaricava di trattare la stessa lite … Esattamente un anno dopo a Veneciis: Filippo Nicola Canonico di San Marco, Matteo Turlon e Martino Maurino da Venezia: Arbitri nella stessa lite, dichiararono la compensazione dei danni fra le parti … per cui Biagio Priore di Sant’Elena di Tessera dovette concedere ad Egidio Querini da Venezia un manso con Decima sito a Terzo del valore di lire 50 di piccoli.
Finito tutto così ? … Macchè !

Tutto venne dichiarato nullo perché il Priore Biagio rappresentante di Sant’Elena di Tessera non possedeva l’esplicito mandato dell'Abate di San Cipriano di Murano ... Tutto da rifare quindi … e alla fine Biagio Priore di Sant’Elena di Tessera dopo un lunghissimo tira e molla dovette locare al Nobile Egidio Querini da Venezia sei terre site a Palliaga e Tessera per 10 soldi di grossi all'anno facendo quietanza allo stesso di una libbra di pepe da questi dovuta annualmente per 29 anni per la detenzione di un manso ricevuto dal Piore Biagio …. Che casino !

E non finì ancora: nel marzo 1276 sempre a Texaria o Tessera: Gerardo di Munigo abitante a Murano, su domanda di Stefano figlio del quondam Marco Valentino da Murano, attestò che Marco Valentino possedeva campi a Tessera in località Casatico ... L'Abate di San Cipriano di Murano in lite con Giovanni e Stefano figli del quondam Marco Valentino da Murano, richiese la restituzione di detti campi.

Nel maggio dell’anno seguente a Rivoalti o Rialto: ancora Giovanni Valentino figlio del quondam Marco Valentino del Confinio di Santo Stefano di Murano divise con Stefano suo fratello i beni paterni siti a Tessera ... L’anno dopo ancora: alla fine di un freddo gennaio … e sempre a Taxaria o Tessera: Ambrosio da Padova Procuratore del Monastero di San Ciprianodi Murano consegnò a Giovanni e Stefano Valentino da Muranouna terra sita a Casatico riconosciuta di loro proprietà ... che Giovanni Valentino figlio del quondam Marco Valentino vendette ad Antonio Desinonofiglio del quondam Angelo: cioè un manso sito a Casatico e Tesseraper soldi 40 di denari veneziani grossi ... Che traffici fra campi, barene, paludi e isole ! … e fra contadini, Nobili ed Ecclesiastici !

Uspinello di Lavazzola Procuratore di Deolay Abate di San Cipriano di Murano fece allora istanza a Graziadio Giudice di Giacomo Tiepolo Podestà di Treviso perchè Stefano Valentino figlio del quondam Marco da Murano restituisse una terra sita a Casedago presso Tessera, e che pagasse inoltre le spese di citazione in tribunale.

Intanto però: nel febbraio 1277 a Veneciis: Alberto Priore di San Cipriano di Murano Vicario di Giovanni Priore di San Benedetto di Po nominò Frate Guglielmo Priore di Sant’Elena di Texaria o Tessera… Costui concesse a Marino Sarlato da Venezia del Confinio di San Bartolomeo alcuni beni siti a Paliaga Maggiore e Terzo per un canone annuo di soldi 10 di denari veneziani grossi che costui pagò prontamente a Zanino Procuratore di Sant’Elena di Tessera … In seguito la pigione annua venne elevata a soldi 20 di veneziani grossi.

In ottobre a Texaria: Biagio Priore di Sant’Elena di Tessera fece finalmente quietanza ad Egidio Querini dal Confinio di Santa Marinadi Venezia del fitto di una terra sita a Terzo.

L’anno seguente a Tarvisii o Treviso rispuntò Uspinello Notaio di Lavaçola e Procuratore di Deolay Abate di San Cipriano di Murano che procedette in base agli statuti di Treviso alla confinazione di alcune terre site a Tessera, San Matteo di Strada e Campalto e Butenigo ottenendo il giuramento di fedeltà da Beleto Servitore dell'Abate di Tessera ... Quasi in concomitanza con quegli atti: Guglielmo nuovo Priore di Sant’Elena di Tessera concesse a Dionisio degli Arnaldoni da Treviso due terre site a Tessera per l'annuo canone di 10 soldi piccoli e generi.

A Grado in Friuli: il primo settembre 1283: Giovanni Sacco Procuratore di Zanino Priore di Sant’Elena di Tessera notificò una lettera di Farolum di Bernardo Vescovo Portuense a Frate Agostino Vescovo di Cittanova con cui lo incaricava di definire l’ennesima lite fra il Priore di Sant’Elena di Tessera e Corrado detto Bellagranda con suo figlio Simone circa la giurisdizione sulla Cappella di Santa Maria di Cavasaga non lontana da Tessera.

Due anni dopo a Muriano o Murano: l’Alberto Abate di San Cipriano investì Viviano figlio del quondam Aldrigo Notaio da Tessera di una terra sita a Tessera per canone annuo in generi, mentre a Texaria a Tessera: Gabriele Dolfin dal Confinio di San Canciano Procuratore di Sant’Elena di Tessera fece quietanza al solito Marino Storlato di lire 10 di denari grossi per la solita locazione dei beni siti a Pagliaga Piccola e Terzo ... Lo stesso Gabriele Dolfin Procuratore locò nel 1290 a Giustina da Tesseraper 6 anni, per annui soldi 18 di denari: una terra boschiva e prativa di 18 jugeri sita a Tessera e San Marino confinata dalla Fossa Pagana e dal "castelletum di Carbonera” ... Ancora lui quattro anni dopo, e sempre a Texera o Tessèra, fece quietanza a Giacomo figlio quondam Leonardo di Altino del fitto di 3 anni dovuto al Sant’Elena di Tessèra per beni colà siti.

E siamo finalmente verso fine secolo: … ancora una volta a Tessèra: Morando Abate di San Cipriano di Murano e insieme anche Rettore di Sant’Elena di Tessèra fece quietanza a Dionisio degli Arnaldoni e a Giacomo di lui figlio cittadini di Treviso, di denari 40 veneziani, di 4 libbre di incenso e di 12 di cera, oltre al decimo dei frutti, canone locatizio di terre concessegli site a Tessèra ... Nel marzo 1297: il Presbitero Marco Navaiario dalla Contrada di San Simeon Profeta di Venezia locò a Degano già da Padova un manso sito a Tessèra per annui soldi 8 1/2 di denari veneziani grossi ... Infine nell’estate del 1298, e ancora una volta a Tessèra, dove Giovanni Burigaco, Vendramino, Gallo, Mainardo figlio di Giovanni Sclapato, Giovanni Furlano e Guglielmo da Sant’Elena sul Sile o di Texera d'ordine del Podestà confinarono beni siti a Tessèra appartenenti al Monastero di San Cipriano immettendone in possesso Odorico Burla.
Le Cronache locali raccontavano che a Tessera dove c’era la Porta delle Piègore”, il Piovano riscuoteva Decime sull’usufrutto della terra usata per far brucare le stesse bestie ... Si pagavano inoltre anche dieci denari e diciotto soldi come collette imposte dal Papa per allestire la guerra contro i Turchi.

Regolarmente davanti a vari Notai: San Cipriano di Murano comprava e vendeva quattro terre in Contado Trevigiano in Villa di Sant’Elena (cioè sempre a Tessera) per lire otto di denari veronesi … acquistava poi una pezza di terreno sita in Paliaga ... Tebaldo Priore e Monaco di Sant’Elena di Tessera dava a Enrico da Carbonera: due mansi, uno in Cavasaga e l’altro in Feltrericevendone in cambio le “Decime” di Sigo, Torteleva e de la Borgola ... e si acquistò inoltre da Enrico di Gualbertotramite Pizolo Sacerdote-Notaio di Venezia nuove terre presso Mogliano.

Quanta roba ! … E poi c’erano le donazioni dei fedeli alla stessa chiesa di Sant’Elena di Tessera: un manso a Carpenedo presso la chiesa di San Gervasio... beni a Tessera e presso Mestre e Campalto ... un manso in Villa di Musano e lire dieci di denari veronesi …e ancora altri beni in Località Castelletto e a Carbonera di Treviso.

Tutto ciò che ricevevano i Monaci lo investivano o vendevano quasi sempre di nuovo, oppure molto più spesso lo davano in affitto e in concessione in cambio di denaro o prodotti, contributi e Tasse di Decima sul raccolto e sui giri d’affari dei contadini e dei popolani: Walfredo Priore di Sant’Elena di Tessera col consenso dell'Abate Guglielmoconcesse a Marco ed Ardemanno fratelli una terra e casa in Contado Trevigiano in Villa di Terzo per annui soldi sei di veronesi …

E’ curioso notare ancora (almeno secondo me) che nell’occasione storica di quel secolo si mossero un po’ tutti: prima il Vescovo di Treviso: Gregorio Giustiniani Partecipazio, Nobile Veneziano, che non si fece attendere nei riguardi di Sant’Elena di Tessera: le concesse quasi subito un Privilegio di Libertà ed Esenzione sia dalla giurisdizione episcopale che dal Monastero di San Benedetto Po poi le  donò tre terre che c’erano nelle vicinanze e l'Ospedale di Santa Maria di Cavasaga in cambio di tre once d’incenso e una libbra di cera annuali, e unì il Monastero “sine cura” a San Cipriano di Murano … Oltre a questo lo stesso potente Vescovo di Treviso si recò a Tessera dove consacrò la nuova abbellita chiesa del Monastero di Sant’Elena … e anche in quell’occasione non mancò di regalarle ulteriori diritti e Decime su San Pietro di Terzo e Pagliaga nonostante gli agitati reclami del Vescovo di Torcello a cui spettavano in precedenza ... Anche il suo successore: il Vescovo Corrado di Trevisosi recava ogni anno ospite a Tessera il giorno della Festa di Sant’Elena, e lì ordinava i nuovi Monaci di Sant’Elena dai quali riceveva l’ossequio di soggezione e obbedienza con l’obbligo di partecipazione a Sinodi e Capitoli a Treviso … Fu sempre lo stesso Vescovo a concedere al Sant’Elena di Tessera l’uso di un Cimitero proprio, e le concesse tutto questo in netta contrapposizione con le tradizionali regole imposte fino a quel momento dal Vescovo di Torcello: con quale però rimase sempre in ufficiali equidistanti quanto buoni rapporti.

Nei confronti del Sant’Elena di Tessera si diede da fare perfino l’Imperatore Lotario IIche prese il Monastero sotto alla sua protezione insieme ai Monasteri di San Benedetto Po, San Cipriano di Murano e le chiese e i Monasteri di San Leonardo di Conche.
Si mosse forse a malincuore verso Sant’Elena di Tessera anche il bellicoso Vescovo Molin di Torcelloche finì col regalarle una sua terra nell’antico Casatico in cambio di un banale canone annuale in generi campestri o d’allevamento.

Ecco quindi detto un poco … ma solo un poco e per accenno quello che può essere stato il “secolo d’oro”di Sant’Elena di Tessera ... Ovviamente lì accadde molto e molto di più … ma dovrei star qui fino a domani a raccontarvi … e chissà intanto dove finireste voi ?



Dal 1300 in poi cambiarono tutti gli equilibri economico-religiosi della zona: sminuì il prestigio di Sant’Elena di Tessera che visse un progressivo declino e abbandono diventando in parte ricovero per sfollati, poveri, mendichi, feriti e senzatetto … Scomparve quasi del tutto l’influenza protettiva sul Sant’Elena di San Cipriano di Murano, e prese il sopravvento nei suoi riguardi la Pievania di Sant’Andrea di Favaro che si accaparrò: funzioni parrocchiali di Battesimi, Matrimoni e Funerali, diritti, terre, Decime, influenza sui fedeli, e guadagni di ogni sorta riscuotendo la tassa del “Quartese”sia da Tessera come da Terzo, Pagliaga e San Martino in Strata di Campalto .… L’Abate di Sant’Elena di Tessera in quel periodo era un Monaco che risiedeva però a San Cipriano di Murano ... Sant’Elena di Tessera quindi rimase un po’ in balia di se stessa …
In seguito i Conti di Collalto divennero un po’ i padroni di tutto, e si recarono anche a Sant’Elena di Tessera per accaparrarsi e qualche volta comprare i beni del Convento-Monastero ... A poco o niente valsero le timide rimostranze dei Monaci del Sant’Elena che provarono a ricorrere ai Giudici di Treviso ... Tessera divenne un luogo dove quasi chiunque poteva recarsi a prendersi qualcosa tranquillamente … Perfino i Certosini di Sant’Andrea del Lido, e le Monache Torcellane di Sant’Eufemia di Mazzorbo a un certo punto invasero la spiaggia di Terzo e s’impossessarono dei possedimenti di Sant’Elena di Tessera … Il Comune di Trevisoimpose tributi facendo scoppiare proteste e liti furibonde … Treviso allora inviò due guardie ciascuna a custodia e controllo dei villaggi, castelli, pievi e regole di: Dese, Altino, San Martino in Strata di Campalto, Tessera e Pagliaga… Il 27 maggio 1366 sotto alla Loggia del Podestà di Mestre Giovanni Soranzo vennero citati a giudizio: Checco di Riva e Antonio Rossi di Porto Tessera e Checco di Terzo accusati d’aver occupato abusivamente 5 campi e metà degli ambienti dello stesso Monastero di Sant’Elena sebbene in nome del Vescovo di Treviso e con l’autorizzazione del Rettore di Sant’Andrea di Favaro Don Marco Bonino ... Nell’occasione s’intentò anche una causa contro il Priore di Sant’Andrea del Lidoe contro Pietro Bono Priore del Monastero di Villa in Tessera.

E fluì via il Tempo … come l’acqua riottosa di un torrente in piena …



Nel 1421 il Monastero di San Cipriano di Murano insieme a quello di Sant’Elena di Tessera passarono “in Commenda” all’Arcivescovo Francesco Malipiero che abitava a Spalato ... Figurarsi ? … Immaginatevi come si ridusse il Sant’Elena … Al Vescovo Malipiero interessavano solo le rendite e il denaro … Ancora nel 1467 dagli Archivi del Dogado della Serenissima, risulta che i Monaci Certosini di Terzo di Tessera possedevano 40 campi arativi dei quali 20 dati a prateria, altri 50 di palude, in tutto: 100 campi ossia 30 ettari ... mentre alcune grosse porzioni terriere di Terzo appartenevano al Monastero di San Matteo di Mazzorbo, cioè: 70 campi e barene atti a pesca e caccia … Nel 1588, invece, i beni della Cappella-Abazia di Sant’Elena di Tessera passarono a far parte dei beni del grande calderone ricco della “Mensa Patriarcale” di Venezia.

All’inizio del 1600 il Piovano di Sant’Andrea di Favaro riferì a Francesco IV Giustiniani Vescovo di Treviso in Visita Pastorale:“Sant’Elena di Tessera riceve dal Patriarcato di Venezia 20 ducati annui per la manutenzione della chiesa e per mantenere il suo Sacerdote Mansionario che celebra una Messa ogni domenica, così come a Pagliaga e a San Pietro di Terzo dove i Certosini di Sant’Andrea del Lido celebrano una volta l’anno nel giorno di San Pietro, ricavandone però: 300 ducati di rendita … Non si occupano però né dell’assistenza dei fedeli né di celebrare la Messa Festiva ...”

Dopo metà secolo: nel 1659, dopo vivaci discussioni con soprusi e spavalderie fra quelli di Favaro e Tessera: il Parroco di Sant’Andrea Rossi soprannominato “bravo” (non perché era buono, ma perché era furbetto) ottenne dal Patriarca di Venezia di togliere il Prete stabile da Sant’Elena di Tessera così che il posto rimase un po’ com’è adesso: solo con se stesso … Cento anni dopo: nel 1753, il Parroco di Campalto Don Belcavello di 43 anni rivendicò nuovamente i suoi diritti su Tessera … Nello stesso tempo: Agnoletti Piovano di Favaro dichiarò: … le Cappelle di Santa Caterina Martire e San Pietro di Terzo si usano ancora solo durante le Rogazioni dei Campi (processioni stagionali campestri di buonaugurio), mentre aSant’Elena di Tesserasi celebra tutte le Domeniche e le Feste, si predica e si fa ancora il Catechismo perche i Patriarchi Corner e Foscari continuano a dare per quello scopo: 40 ducati annui ... La Festa principale dellachiesola campestre di Sant’Elena èancora il giorno di Sant’Antonio Abate del Porsèl… e a fianco della chiesa si trova ancora l’antica torre rotonda con tre campane ... La pila dell’acquasanta dentro in chiesa è l’antico Battistero di Sant’Antonio, e oggi a Sant’Elena di Tessera rimangono solo le ombre del passato ...”

E siamo ad oggi … Sembra che gli attuali eredi dei vecchi Checchin Badindel 1800 stiano pensando di disfarsi una volta per tutte di quel che resta di Sant’Elena di Tessera.... Chissà che fine farà questo nostro spicchio di Storia quasi affacciato sulla Laguna Veneziana?


“UN MURANESE QUALSIASI DI IERI … NELLA CANCELLERIA DOGALE … E A FACCIA A FACCIA CON I TURCHI.”

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#unacuriositàvenezianapervolta 191

“UN MURANESE QUALSIASI DI IERI … NELLA CANCELLERIA DOGALE … E A FACCIA A FACCIA CON I TURCHI.”

Giovanni BattistaBallarinoMuranese… Boh ? … Chi era costui ? … Mai sentito …

Di ceto Cittadinesco, cioè non Nobile, è nato nel luglio 1603 da una delle famiglie Muranesi … Era di debole complessione fisica, timido e ritroso ad affrontare il mare … Non era uno “spaccamonti” da primeggiare o da buttarsi alla scalata del potere … Si trattava di un personaggio tranquillo insomma, proprio di uno qualsiasi, come potremmo essere ciascuno di noi …
Dopo aver studiato ed essersi acculturato quanto bastava soprattutto in Filosofia, Retorica e Letteratura  entrò il 06 luglio 1622 nella Cancelleria Dogaledi Venezia come semplice addetto ... Insomma: aveva trovato un impiego sicuro e di un certo prestigio riuscendo ad entrare dentro a uno di quegli ambienti che contavano dentro al grande apparato della Serenissima… Poteva considerarsi soddisfatto: s’era sistemato.

A questo punto potreste dirmi: “Ok … Ballarino Muranese è stato uno scrivano, un impiegatello schincapennini sottomesso e laborioso, di quelli con i manicotti tirati su fin sopra il gomito che passano i giorni, i mesi e gli anni a scrivere, riordinare ed archiviare le carte …”

Beh … insomma: non è andata proprio così … In realtà intuito appena a Palazzo Ducale che tipo d’uomo era quel Giovanni BattistaBallarino da Murano,in quattro e quattr’otto lo fecero Funzionario della Serenissima e lo misero per mare e per terra a compiere opera diplomatica al servizio della Dogale Repubblica ... Addio pacchia e vita tranquilla !



Giovanni BattistaBallarinoMuranesesi ritrovò per anni e anni coinvolto e del tutto dedito in un’intensissima attività diplomatica intrigante, pericolosa e delicatissima per gli equilibri della potenza Veneziana.

Partì, infatti, subito da Venezia: l’anno seguente come Segretario di Leonardo Foscolo Capitano del Golfo… Poi passò subito dopo al servizio di Nicolò Da Ponte Duca di Candia rimanendo ventidue mesi in Levanteinsieme a lui ...  Tornato a Venezia tirò il fiato, anzi: fece solo il tempo a trattenerlo un attimo, che subito ripartì al seguito di Simone Contarini per Costantinopoli con l’incarico d’ossequiare la Corte Turca… Lì rimase come Segretario del Bailo Giorgio Giustiniani fino al 1626 quando finalmente tornò a Venezia e a Palazzo Ducale ... Oh ecco ! … Un po’ di pace insomma !

No.

L’anno seguente seguì a Candia minacciata dai Turchi il Provveditore Generale Francesco Molin futuro Doge che lo costringeva di continuo ad ispezionare tutta l’isola … Il futuro Doge era meticoloso, pignolo, al confine col paranoico: "Così il sonno, il cibo, la quiete da lui si godevano a momenti, con tanto pregiuditio della sua salute, che due volte restò da mortale infirmità sorpreso, preservatone dal Signor Iddio".

Nel 1629 Ballarino Muranese era un po’ cotto per la fatica, lo stress, e l’intensa attività … ma seppure assente da Venezia venne votato ottenendo più preferenze di tutti aggiudicandosi il posto di Cancelliere Ordinario di Palazzo Ducale… Un successone ! … Chiunque avrebbe fatto i salti di gioia al suo posto: aveva ottenuto una carica di Sato che avrebbe suscitato l’invidia di chiunque … Tornò, invece, a Venezia soltanto due anni dopo, e rimase in Laguna solo il tempo per riposarsi un poco e per sposarsi con Marina Padavinafiglia di un altro funzionario della Cancelleria Dogale dalla quale ebbe il figlio Domenico ... Viaggio di nozze ? … Niente … Non c’era tempo … o magari neanche si usava in quell’epoca … Chissà ?

Toccata e fuga a Venezia anche in questo caso però, perché l’anno seguente ripartì a febbraio come Segretario di Francesco Zeno Provveditore Generale in Dalmaziaquando ormai i Turchi si apprestavano ad invadere l’Isola di Candia… Ballarino si trovò impelagato nonostante se stesso nella gestione di continui scontri e incidenti di frontiera … Si diede da faree prodigòmettendo in cambo tutte le sue abilità diplomatiche … Il che gli valse la nomina a Segretario dei Pregadi o Rogàdi, cioè del Senato della RepubblicaSerenissimainducendolo stavolta a rientrare finalmente a Venezia.

Oh là ! … Ghe sèmo finalmente ! … Vita tranquilla e agiata a Palazzo Ducale ? … Macchè ! … neanche per sogno.

Nell'aprile 1635 partì di nuovo per la Corte di Vienna dove rimase per tre anni a sue spese fino a quando rientrò in Laguna dove rimase fino al 1643 come Segretario Magistrature di Governo determinanti: nel 1639 fu Segretario del Consiglio dei Dieci… e nel 1643 Segretario degli Inquisitori di Stato continuando l’attività affidatagli dal Senato di riordinare sistematicamente tutte le leggi del Consiglio dei Dieci in vista di una riforma ... Due anni dopo rimase vedovo, ma si risposò immediatamente con la ricca Prudenzia Perea che lo riempì di figli.



I Turchi intanto presero Candia dopo averla assediata, e catturarono il Bailo Veneziano Giovanni Soranzo ... Secondo voi, chi inviò la Serenissima nel febbraio 1648 con l’incarico di provare a liberare l’illustre prigioniero ?

Ovviamente Ballarino Muranese… Risultato ?

Ballarino finì pure lui imprigionato insieme al Bailo, e rimase in prigione fino al 1650: anno in cui vennero rilasciati entrambi liberi di poter tornare a Venezia ... Strada facendo Ballarino provatissimo per le ristrettezze subite in prigione dovette sostare a lungo nell’Isola di Corfù gravemente malato ... La Serenissima allora ebbe grande cura e premura verso di lui, e appena lo vide convalescente, cioè l’anno seguente, il Senato lo spedì di nuovo a Costantinopoli dei Turchi per accompagnare il nuovo Ambasciatore Giovanni Cappello.

Quello fu il suo ultimo soggiorno che Ballarino Muranese fece in Levante … Lì la situazione politica era così incerta che: "il nostro GiovanBattista pur troppo haveva in sudor freddo convertito il sangue più vivo"... Fallì, infatti, ogni tipo di mediazione con i Turchi, e Ballarino s’ammalò di nuovo … Ciliegina sulla torta: venne a sapere che a Venezia era morta intanto la sua seconda moglie a Venezia ...
Pioveva sul bagnato quindi … e soprattutto sulla vita di Ballarino Muranese che chiese con forza di rientrare a Venezia.

Esaudito subito per i suoi meriti sul campo ?

Anche no … sia l’Ambasciatore Cappello, che di fatto delegava tutto a lui: sia impegni che responsabilità, e sia il Senato di Venezia che se ne stava in Laguna oltremare, si rifiutarono d’esaudire la richiesta del Diplomatico Veneziano: era palese che era il Ballarino che fungeva da vero e proprio Ambasciatore … e, infatti, i Turchi lo presero e rimisero un’altra volta in prigione.

Povero Ballarino Muranese a questo punto !

Come premio però, appunto il 16 novembre 1660, il Governo Veneziano gli spedì la lettera di nomina a Cancellier Grandedella Serenissima: cioè la massima carica e dignità della Cancelleria Dogale ... Fu l’apice della carriera del nostro Ballarino Muranese, ma fu un privilegio di cui egli non usufruì praticamente mai: "Continuavano fluttuanti le procelle della guerra, e il Ballarino ne provava le tempeste nell'animo, che non meno di nave agitata da venti sentivasi combattuto dai pensieri che gli rappresentavano senza fine li contrapposti al suo intento"... Ballarino Muranese instancabile si diede sempre da fare con i Turchi a suon di diplomazie di ogni sorta, sebbene con poco successo però … Non gli riuscì agevolmente di perseguire la Pace come avrebbe voluto e auspicato.

Alla fine, nell'agosto 1666, Ballarino Muranese si mise ancora una volta in viaggio verso Candia per tentare nuovi contatti con i Turchi, ma cadde ancora una volta ammalato costretto a far sosta a Isdin sulla costa della Macedonia dove morì il 29 settembre 1666.

Gran bel personaggio questo Ballarino Muranese ! … Davvero un bel Veneziano e Muranese di ieri.

“DUE PASSI FRA L’ARSENALE E LA TANA A VENEZIA ...”

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“#una Curiosità Veneziana per volta” – n° 192.

“DUE PASSI FRA L’ARSENALE E LA TANA A VENEZIA ...”
(Andateci ! … Ne vale di sicuro la pena.)

Oggi è domenica: un po’ di relax … e quattro curiosità Veneziane sbirciate e buttate là … così, senza impegno … per ingannare il Tempo, e saperne un pizzichino di più su Venezia.

Le curiosità riguardano tutte la zona dell’Arsenale e di San Martin nel Sestiere di Castello a Venezia … Ce ne sarebbero altre mille da raccontare, ma come si fa ?  … Se ne avrete l’occasione: andateci ! … Perdetevi in quella parte di Venezia … e fatelo aguzzando gli occhi, e un po’ anche la mente e la memoria … Vedrete che sarà più saporito girare e scoprire Venezia … e poi mi saprete dire se ho ragione o no.
Raggiunta la monumentale e turrita Porta dell’Arsenale, dovete sapere che proprio nel centro di quel maestoso scenario sorgeva un tempo il Ponte in legno della Veneta Marina … Si dice che si chiamasse così dall'insegna di un vicino Caffè … Non so ? … Era comunque un ponte che si alzava per permettere il passaggio delle barche e dei navigli in entrata e uscita da quella parte dell'Arsenale... Da lì si faceva uscire spettacolarmente di fronte a Sovrani e Ambasciatori in visita a Venezia “una Galea pronta in giornata” facendo rimanere tutti a bocca aperta: in un giorno soltanto di lavoro un’intera Galea veniva costruita, armata, equipaggiata, e messa a punto dagli Arsenalotti pronta a prendere il mare … La meraviglia produttiva della “Casa dell’Arsenale”!

Lo chiamavano anche Ponte delle Catene per via delle catene che lo sostenevano da entrambi i lati … Domenica 08 dicembre 1720 era giorno di Festa, e molti Veneziani si recavano passando di là “al Perdono di San Pièro de Castello” per ricevere e lucrare secondo tradizione indulgenze per se, i propri cari e i propri Morti … A un certo punto il ponte precipitò nel canale sottostante con uno scricchiolio sinistro, e morirono quattro persone ... Stessa cosa accadde nel pomeriggio del 19 marzo 1775: Festa di San Giuseppestavolta, Patrono anche dei Falegnami-Marangoni e di tutti quelli che avevano a che fare col legno … L’Arsenale intero quindi era in Festa … Ebbene in quell’occasione ci rimise e ruppe una gamba un Prete di passaggio: “Troppo grosso e grasso !” ironizzarono i soliti Veneziani irriverenti e guasconi … In molti rimasero contusi cadendo in acqua, ma nessuno morì stavolta perché prontamente uscirono dalle vicine bettole e osterie un buon numero di Battellierie Arsenalotti che prestarono prontissimo soccorso ... Lo stesso Ponte della Veneta Marina venne rifatto in pietra in epoca napoleonica “asseverando e allargando la scena della Porta dell’Arsenale”… sparì e venne abbattuta la chiesetta della Madonna dell’Arsenalein altre parole … e ancora il ponte venne modificato nella forma attuale nel 1871 ... e bla, bla, bla …

La vedete nel dipinto a destra ? … A lato dell’ingresso dell’Arsenale, proprio accanto al Ponte, sorgeva la chiesa della Madonna dell’Arsenaleche non c’è più ovviamente … Altro regaletto di napoleone … Dio lo strafulmini in questo istante: un’altra volta se si può ... cacciandolo più in sotto nel più scivoloso e improbo degli Inferni … Amen …




L’Arsenale di Venezia lo sapete: era come un paese, una città nella città Lagunaregovernata da tre Patrizi chiamati Provveditori o Patroni all'Arsenal aiutati fin dal 1490 da dei Sopra Provveditori all'ArsenalQuasi tutti quelli che avevano a che fare con l’Arsenale abitavano più o meno in prossimità del Campo dell’Arsenale in case-palazzi vicini al Ponte del Paradiso, del Purgatorio e dell'Inferno, o perlomeno nei paraggiAl suono d’inconfondibile campana, la Cittadella dell’Arsenaleapriva ogni giorno le sue porte per ospitare da mattina a sera un intero popolo formato da migliaia di Arsenalotti e Artieri non solo Veneziani, cioè: Marangoni da Nave e Squerarioli, Alboranti o Mastri agli Albori delle Navi, Penini, Remeri, Segadori, Tagliadori o Tagjèri, Sagomadori e Squadradori, Fravi e Fonditori, Calafài da figger o ficcar, Calafài da magio o calcatura, Pegolotti, Mureri e Bastàzi cioè Facchini uomini da fatica.

Ci si dava da fare in Arsenale sotto attenta supervisione … non ci si ruotava di certo i pollici ammazzando il tempo … Il 04 giugno 1601, Antonio de Zuane Remèr dell’Arsenal provò a rivoltarsi contro la Serenissimae i Proti dell’Arsenale incitando gli altri Arsenalotti a protestare davanti al Provveditore all’Arsenale Tommaso Duodomentre distribuiva le paghe ... Il Remèr fece presente “… che i danari havevano tochati allora erano pochi, et che ne volevano et meritavano di più.”… Antonio Remèr non si limitò a protestare, ma buttò il denaro in faccia al Provveditore Duodo: “… biastemando chi li aveva dati li denari, et chi più serviria la Caxa del Arsenal …”

Venne condannato a morte … “procedendo con misericordia” verso tutti gli altri Arsenalotti coinvolti nella protesta ... Cultura del Lavoro diversa da oggi …

Giusto ai lati di quella magnifica Entrata dell’Arsenale, non dimenticate di posare gli occhi su quella piccola folla di bei Leoni messi lì accanto … Provate a trovare dove sono poste su di loro le misteriose incisioni in RUNICO di provenienza Orientale !



Poi muovete due passi a sinistra guardando i Leoni … e vi troverete già di fronte alla splendida chiesa di San Martin di Castello: un altro dei bijoux preziosi di Venezia (obbligatorio infilarsi dentro e sostare … salutando magari il singolarissimo Don Agostino se staziona ancora là).

Tralasciando di dirvi della chiesa magnifica, vi dico, invece, che nel caldo luglio 1483, mentre il Patrizio Francesco Dalle Boccole stava parlando “super strata per quam itur in campo duorum puteorum confinii Sancti Martini”col Nobile Andrea Giustinian affacciato alla finestra della casa abitata anche dal Nobile Girolamo Malipiero e altri Nobili, Luigi Gofritto Marangon dell’Arsenale cominciò a guardarlo con insolenza … Immaginate come potevano essere i Patrizi Veneziani di un tempo … Subito il Nobile si rivolse risentito per quello sguardo al popolano dicendogli: “Che vardestù ?” Al falegname-Arsenalotto salì immediatamente la mosca al naso: gli pose prima le mani sul petto, e poi preso da raptus: imbracciò un bastone e “glielo menò sulla fronte dandogli un colpo così disonesto che il Dalle Boccole il 5 agosto successivo morì estinguendosi in lui tutta la sua Famiglia.” ... Il Marangone omicida scappò via da Venezia, e nell’ottobre seguente venne condannato in contumacia al bando perpetuo da Venezia e da tutti i Territori del suo Dominio … Tre anni dopo, venne riconosciutolo e catturato a Capodistria, venne perciò condotto a Venezia, e decapitato “fra le due colonne di Piazza San Marco” a monito di tutti, non prima d’avergli amputata la  mano “in loco delicti” ... cioè proprio nel Campo de San Martin de Castello.

Due passi oltre il Campo, in Corte e Ramo Peschiera a San Martin esisteva un tempo un piccolo Ospizio di Sant’Orsola gestito dalle antiche e prestigiose Schole Veneziane di Sant’Orsola e dei MercantiL’Ospizio era sorto lì fin dal 1318 insieme a un Oratorietto titolato a San Giovanni Battista… Tutto era stato costruito secondo un lascito testamentario di Zuane Polini:“a beneficio di tre poveri marineri”...

Beh: in quell’Ospissietto de Sant’Orsola venne accolto nel 1826: Andrea Chiribiriultimo Pilota-Ammiraglio del Bucintoro: la famosa barca dorata del Doge e della Signoria ... Il Chiribiri: uomo piuttosto arzillo e bellicoso, riuscì a trattenersi nell’Ospizio un giorno in tutto: “… in quanto inquietissimo, ripugnante a vestir l'abito e osservar le regole … La mattina seguente rifiutò il benefizio, dichiarando ch'egli era galantuomo e non sapea star fra i birbanti” ... Due anni dopo, costretto dalla più bassa miseria finì a morire proprio lì: nell’Ostello che aveva rifiutato ... Chiribiriera un furbetto traffeghino: caduta la Repubblica, simpatizzò non poco col nuovo Governo Democratico dimostrandosi uomo di aperte se non spalancate e dinamiche vedute politiche … Per il suo gran darsi da fare ricevette perfino un premio a nome della Nuova Venezia: un prezioso cammeo di calcedonio orientale rappresentante la testa di Giove Oleario trafugato dalla Biblioteca Marciana ... Classica mossa risibile alla napoleonica.



Tralasciata la Corte, si proceda ancora per pochi passi uscendo infine sulla Fondamenta, Rio, Ponte, Ramo del Ponte e soprattutto: Campo della Tana dell'Arsenal… Altro bel posto ! … I luoghi della Tana dell’Arsenale vennero costruiti nel 1303 e rinnovati nel 1579 dall'Architetto Da Ponte… Si trattava di officine dell'Arsenale, dell’emporio della Canapa usata per realizzare in esclusiva cordami, gomene e funi di ogni tipo: “le Sàrchie” per le Galee Sottili o Grosse da Guerra o Commerciali della Serenissima … Il posto si chiamava Tana, secondo alcuni per via di una vecchia palude piena di buchi, tane e bestie asciugata e bonificata per far posto alla nuova costruzione; secondo altri per ricordare la Tana: cioè la città sulle sponde del fiume Tanai(ora Don) sul Mare d’Azov in Asia, da dove si prendevano canape per i Veneziani, e dove fino dal 1281 esistevano grossi Fondaci commerciali gestiti dagli esperti Mercanti Veneziani… La Tana, insomma, era una specie di cittadella-base Veneziana: una piccola ed efficiente Colonia strategica posta giusto sul punto d’arrivo e partenza di una delle VIE DELL’ASIA, e porto di riferimento per le MUDE COMMERCIALI VENEZIANE: le ricche flotte armate delle Galee per il Levante …  Alla Tana in Asia tutto venne distrutto da incendi nel 1410 … Rimase l’ambiente della Tana a Venezia: cioè un complesso a se stante che comunicava col resto dell’Arsenale solo tramite un finestrello attraverso il quale passavano appena “le sarchie” per le navi ... La Tanaera gestita e presieduta da un apposito Magistrato composto da tre Nobili Patrizi: gli Uffiziali alla Camera del Cànevo… mente direttiva dell’industria delle corde e non solo … chiamati in seguito: i Visdomini alla Tana in quanto avevano l’ufficio giusto in Campo della Tananel fabbricato in cui si può ancora leggere oggi la data: 1589 … Si può notare anche lo stemma del Doge di allora: Pasquale Cicogna sopra del quale c’era posto un bel Leone Marciano scalpellato via dai napoleonici … Rimane ancora un Leone però: sul vicino pozzo insieme agli stemmi Badoer, Bembo ed Erizzo: che erano i tre Visdomini della Tana di quello stesso periodo ...



Aggiungo “come condimento” altre note curiose sul microcosmo Veneziano della Tana: in Campo della Tana un tempoi Castellani(antagonisti dei Nicolotti residenti dalla parte opposta di Venezia)davano spettacolo d’abilità, determinazione e forza esibendosi nelle così dette “Forze d’Ercole” ... Nella stessa Tanalavoravano i Conzacànevi o Cordovanèri della Tana(acconciatori di canape) che si raccoglievano in Sovvegno d’Arte, Mestiere e Devozione nella vicina chiesa di San Biagio davanti al loro altare della Madonna dei Sette Dolori, e sotto il Patrocinio della Santissima Croce…. Anche i Filacànevi della Tana: una delle più antiche Arti Veneziane, si raccoglievano in Schola nello stesso posto sotto il Patrocinio di San Bernardino… ma dal 1488 si trasferirono a San Giovanni in Bragora sempre nel Sestiere di Castello.

Ancora nel 1773 la Schola dei Filacanevo della Tana gestiva 210 botteghe sparse in giro per Venezia, e contava 342 iscritti con 300 CapiMastri e 42 Garzoni-Apprendisti.

Sempre nella Tana Veneziana operavano completamente isolate e sorvegliate “da un Ministro d’età matura” per evitare ogni tipo di contatto, scambio e scandalo con altre Maestranze dell’Arsenale: le 40 donne Velère, che fabbricavano le vele per le Galee e le Navi della flotta della Serenissima.  Le forzute, e sembra poderose Veneziane, tagliavano e lavoravano con abilità tessuti pesanti a tramadura spessa e fitta ... Cucivano i teli delle vele detti Ferzi, facevano i rinforzi nei “punti di scotta”, ai “terzaroli” e alla tessitura del robusto “gratile”.
Le vele tagliate e puntate venivano poi inviate presso l'Ospeal dei Mendicanti e l'Ospeal degli Incurabili dove alcune fanciulle ospiti completavano le cuciture e abbellivano le vele con stemmi e decorazioni ... Le vele, infine, tornavano di nuovo nell’Arsenale, dove venivano bagnate in acqua marina, stese ad asciugare, e quindi stoccate nel deposito delle Veleriedella Tana.

Ancora in Fondamenta della Tana accadde nel 1775 una stranezza: il Medico Giuseppe Musolo, che covava una certa ruggine contro Matildefiglia del Capitano Lorenzo Cassinis Nobile Padovano, per via di certi mali uffizi e dissapori provocati da lei con i suoi fratelli  … Ebbene: una mattina la raggiunse alle spalle proprio in Fondamenta della Tana, la afferrò per il collo gettandola per terra, e infine: le alzò le gonne davanti a tutti battendole sonoramente le natiche nude con grande divertimento di tutta la plebaglia e degli Arsenalotti di passaggio che non mancarono di gustarsi l’insolita scena ... La Serenissimabandì a vita il Medico da Venezia e da tutti i suoi Territori e Domini.



Procedendo ancora di due passi fino ad affacciarsi in Riva degli Schiavoni, s’incontra il tozzo palazzo del Museo Navale, e giù del ponte una schiera bassa di palazzetto che andava a confinare con quella che un tempo è stata la Cà di Dio… In questa zona, come nella vicina Calle dei Forni a San Martin, e nell’isola di Sant’Elenain seguito,si produceva il “Pan biscotto” di lunga durata per la Milizia da Mar e Terrestre della Serenissima che aveva la proprietà segreta di non subire l'attacco di muffa e tarli Scriveva il solito Diarista Marin Sanudonel 1473: “…forono fabbricati a San Martin sulla Riva di Canal trentadue forni nuovi per far biscotti, e spesi ducati ottomila.” ..

Altro restauro dei forni in Riva di San Biagio dei Forni venne realizzato nel 1596 …e proprio lì: di faccia ai Forni di San Martinera approdata ed ormeggiata fin dall’inizio di maggio 1721 una tartana turchesca i cui marinai col pretesto d’aver ricevuto dispiaceri e offese dai Veneziani, iniziarono improvvisamente a sparare sui passanti ignari che transitavano nei pressi per acqua e per terra uccidendo prima un marinaio Inglese, e poi alcuni Arsenalotti di passaggio … Fatalità: giusto in quel momento il Doge e la Signoria stavano tornando sui “Peatoni dorati” a Palazzo Ducale reduci dalla tradizionale annuale visita al Monastero delle Verginidi Castello la cui Badessa era considerata la “Moglie del Doge”.

Come andò a finire secondo voi ?
S’incominciò immediatamente a suonar “campana a martello” in mezza città, molta gente si precipitò in Riva degli Schiavoni, e un gruppocoraggioso di Dalmati saliti su una barca si avvicinarono alla tartana turchesca dandole fuoco … I Turchi furono costretti a buttarsi in acqua,  e lì vennero tutti bersagliati e trucidati dai colpi sparati dalle numerose barche accorse … In realtà già da tempo li stavano tenendo d’occhio … si aspettava solo una mossa falsa e l’occasione giusta per sistemarli ... Il Doge con la Signoria avvertirono solo un lieve clangore, e gli spari in lontananza: “Tutto a posto sua Serenità … Non è accaduto niente.”

Infine termino con un ultimo aneddoto … sempre rimanendo in zona Arsenale e San Martin nel Sestiere di Castello a Venezia.



Nel maggio del 1521 la Quarantia Criminal condannò Zuane Gallo:“ad essereincoronà in berlina con corona di carta a diavoli depenti e la lengua in giova, et a quatro anni di preson Galeotta ... Aveva testimoniato il falso a favore di Missier Piero Gritti Nobile di San Marcuola durante un processo inerente un ferimento accaduto a Rialto la sera della Festa di San Marco ...Curiosità nella curiosità: il palco era già pronto “fra le due ColonnediPiazza San Marco” per condurvi il Galloil giorno seguente e lasciarlo lì esposto per due giorni senza cibo e con la lingua legata a penzoloni, quando costui chiese di parlare con Jacopo ScalaSegretario della Quarantia al Criminal, per fargli un’urgentissima confessione importante.

Quando il Segretario si presentò nella Prigione di Palazzo Ducale, Zuane Gallo gli si gettò ai piedi esclamando: Si me fè gratia, mi ve digo una cossa, ho testificà falso per Sier Gritti ma con vu digo la verità, Missier Dio ve‘l diga! ... Il Segretario acconsentì ad ascoltarlo, e venne fuori la storia del Gobbo della Contrada de San Martin ... Il Gobbo era Antonio Fantini citadin venetian et gobbo qual fo Patron di un Galion del Papa et praticava in Barbaria a Tripoli, Zanzur et Zanzura.” Costui era andato ad abitare in Contrada di San Martin nel Sestiere di Castello: precisamente nel Campo delle Gorne a pochi passi, di fronte alle mura dell’Arsenale, dicendo che aveva trovato un mestiere migliore, e per questo aveva smesso di navigare.

In quegli anni era Pontefice di Roma: Giovanni De Medici cioè Papa Leone X: nostro inimicissimo per essere Fiorentino, qual cercava abbassar questo Stato per esaltar Fiorenza et la sua casa de Medici… Il Papa aveva in mente di far diventare Ancona non solo uno dei maggiori e strategici Porti Militari Pontifici, ma anche il porto di riferimento del commercio dell’intero Mare Adriatico ... a discapito di Venezia ovviamente.
In gran segreto quindi, lo stesso Papa aveva incaricato uno dei suoi Capitani di cercare qualcuno in grado di ingaggiare esperte maestranze Veneziane per realizzare il suo progetto marittimo ... E fu così che Antonio Fantini “il gobbo” divenne l’uomo di fiducia in Laguna della Curia Romana, con l’incarico di:desviar homeni et maistranze maritime di l’Arsenal nostro per fargli andar in Ancona a lavorar per il Papa.”
Il Gobbo de San Martinconvocava di notte Arsenalotti a casa sua in Campo de le Gorne, e dava tre ducati d’anticipo agli artigiani che accettavano, pagava loro il viaggio fino ad Ancona, e arrivati là faceva loro ottenere altri dieci Scudi Romani d’oro ... Già una trentina di Arsenalotti Veneziani avevano preso la via di Ancona, e il Gobbo era così abile e discreto ad agire indisturbato, tanto che nessuno s’era accorto di niente, tantomeno i tre Patroni dell’Arsenal che erano all’oscuro di tutto.
Il Segretario della Quarantia Criminal strabuzzò gli occhi alla confessione di Zuane Gallo, corse subito in Consiglio dei Dieci da Marco DiedoMissier Grande e Capo, e lo stesso giorno il Gobbo Fantini venne arrestato e condotto nelle Prigioni di Palazzo Ducale.
A Zuane Gallo venne chiesto di ripetere la sua testimonianza, dicendogli che se avesse detto ancora il falso gli sarebbe spettata la forca diretta.
Zuane Gallo rispose: “Son sta scrivan dil gobo et zuro che ho dito el vero!
Aveva ragione stavolta … Il Gobbo Fantini venne messo sotto tortura, e dopo qualche strapazzata confessò tutto … L’indagine seguente comprovò ogni accusa ... Perciò il Gobbo de San Martin venne condannato a “morte segreta”: cioè venne strozzato nella “prigione Orba” il 22 maggio 1521, e poi sepolto nel Cimiterietto dei Picai a San Francesco della Vigna.
A Zuane Gallo, invece, venne sospesa la condanna alla berlina assolvendolo dall’accusa, ma venne ugualmente dichiarato indesiderabile e bandito in perpetuo da Venezia e da tutti i Territori della Serenissima Repubblica.
Mi fermo qua … alla prossima !

ARSENALE, ARSENALOTTI E FESTA DELLA SENSA RACCONTATI DA UN ARSENALOTTO DI FINE 1700.

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#una Curiosità Veneziana per volta – n° 193.

ARSENALE, ARSENALOTTI E FESTA DELLA SENSA RACCONTATI DA UN ARSENALOTTO DI FINE 1700.

Quasi commovente oltre che curioso, soprattutto nella seconda parte, questo scritto singolare e interessante realizzato da Antonio Gelfi antico Mastro dei Calafai o Calafati dell’Arsenal negli ultimi anni del secolo XVIII e dell’Arsenale nostro di Venezia.

Secondo me è proprio un pezzo da goderselo da buoni amanti delle “cose Veneziane”… Antonio Gelfi diceva così: “Scrissi con tutta esattezza questa notoria funzione perché io mi trovai testimonio oculare, qual Ministro dell’Arsenale ed in conseguenza avendo diritto di trovarmi in tutti i luoghi descritti, così ho potuto con piena esattezza rendere soddisfatto il mio benevolo leggitore al quale auguro perfetta salute di vero cuore ...”


*****
“Parmi convenevole dar una descrizione della funzione che succedeva il giorno della Sensa (Ascensione del Signore) che a tale oggetto era d’uopo anche del Bucintoro per apportarsi al Lido … Il Bucintoro stava già pronto alle Rive della Piazza condottovi la Vigilia dell’Ascensione dalli Arsenalotti con li tre Ammiragli, cioè quello dell’Arsenale, quello del Lido e Malamocco, il primo dei quale andava a situarsi nella località del giardino laterale a puppa, il secondo a prora ed il terzo finalmente si collocava a puppa vicino al timon, nella situazione dell’ultimo ci stavano tutti li Proti, sotto Proti e Capi dell’Opera dell’Arsenale …
Posto che il Bucintoro si staccava dalle Rive della Piazza, cioè nel giorno dell’Ascensione di mattina alle ore nove antimeridiane, tutte le navi, galee, galiasce e bastimenti mercantili che si trovavano facevano ala e col tiro della loro artiglieria rendevano più maestosa l’andata al Lido del suddetto … Quando attrovavasi dirimpetto all’ex Cappella dell’Arsenale ove eravi venerata una immagine (ancora conservata sulla Torre dell’Arsenale a sinistra dell’antico ingresso marittimo in un piccolo capitello o altarino) i remiganti la salutavano al modo che si praticava nelle galee …

Frattanto Monsignor Patriarca se ne stava nell’isola di Sant’Elena nella quale era il Monastero di Monaci Olivetani ad attender il passaggio del Bucintoro … Veniva trattato egli da quei Padri con una veramente religiosa collazione di castagne ed acqua, antico inalterabile costume che sempre si è operato … Dopo la soppressione di quei Padri subentrò alli suddetti la Professione dei Pedoti d’Istria (Piloti).
Quando accostavasi il Bucintoro il Patriarca col seguito dei Canoninci e Clero della Cattedrale di San Pietro apparato pontificalmente entrava in un piatton dorato, come egualmente gli altri e si trasferiva ad incontrarlo: pervenuto al fianco del Bucintoro benediva un mastello d’acqua la quale di poi veniva versata nel mare …
Uscito che era il Bucintoro dal Porto del Lido si appriva lo schenale della ducal sedia dove il Doge gettava nell’acqua un anello d’oro (questo doveva esser tale, ma di fatto per lo più era metallo) esprimendo queste parole: “Desponsamus te mare in signum perpetui dominij” …

Eseguita la funzione con li descritti metodi tornava al Lido, dove il Principe con tutto il seguito scendeva alla chiesa di San Nicolò uffiziata dai Monaci Cassinensi (Benedettini) e alla loro soppression supplì un Arciprete delle Nove Congregazioni: era destinato per turno … Ivi v’assisteva alla Messa solennemente cantata in Pontificale, e terminata che era ascendeva con tutto l’accompagnamento nel Bucintoro il quale ritornava a San Marco d’onde partì … Tutti dippoi restavano trattenuti ad un real convitto.


Questa la memoria di quanto era consueto di somministrare Sua Serenità al numero di 100 graduati Ministri dell’Arsenale con li 3 Ammiragli nel Banchetto il giorno suddetto ancorchè non fosse fatta la funzione in quel giorno a cagione degli antichi istituiti, cioè che fosse calma e ciel sereno, caso diverso non aveva effetto la gita al Lido.

In primo luogo si noti che delli numero 100 preposti convitati erano apposti in 10 tavole, che tali appunto erano ancor questi di tal numero, compresa ancor quella degli Ammiragli e Proti, tutti generalmente avevano le stesse posade, con la sola differenza che nella tavola degli Ammiragli e Proti erano serviti in posade d’argento,  e le altre tavole con posade cioè cucchiaio d’ottone, cortello e pirone di ferro e queste poi restavano in proprietà dei 90 Ministri e quelle d’argento venivano restituite …


Qualità, quantità e porzione del convitto offerto agli Arsenalotti:
PER ANTIPASTO:
1 piatto di fette di Pan di Spagna: una fetta cadauno
1 piatto di Savoiardi
1 piatto di Raffioli
1 piatto de Sfogiade
1 cao di latte: la decima parte
1 piatto di narance garbe: una per cadauno
1 piatto di osso collo: uno per cadauno
1 piatto di cedro: la decima parte
1 piatto di celeni: uno per cadauno
1 piatto di lingua salata: la decima parte

PER PASTO:
1 piatto grande di trippe di vitello per minestra: la decima parte per cadauno
1 piatto di fette di figà (fegato): una fetta per cadauno
1 piatto con due polpettoni: la decima parte per cadauno
¼ di Vitello allesso: la decima parte per cadauno
1 piatto con tre pollastre allesse: ¼ per cadauno
1 piatto con 10 colombini rosti: uno per cadauno
¼ di Vitello arrosto: la decima parte per cadauno
1 capretto intiero: la decima parte per cadauno
1 piatto di dindiotti rosti: ½ per cadauno

DOPO PASTO:
1 piatto di rosada: la decima parte per cadauno
1 piatto di puina: la decima parte per cadauno
1 piatto di pomi: la decima parte per cadauno
1 piatto de sparesi: la decima parte per cadauno
1 piatto di fenocchi: la decima parte per cadauno
1 piatto di Artichiocchi: la decima parte per cadauno
1 piatto di straccaganaccie: la decima parte per cadauno
1 piatto di susini: la decima parte per cadauno
1 piatto con un tortion: la decima parte per cadauno
1 piatto con torta sfogiàda: la decima parte per cadauno
1 piatto con due formagelle: la decima parte per cadaun
1 piatto con 10 scatole di confetti: una per cadaun
1 piatto con 10 stelle di marzapan: una per cadaun
1 piatto con fiaschetti di Moscato: la decima parte.
2 pani bianchi per cadaun

Uno bianco e nero a disposizione di tutti li convitati che componevano le 10 tavole e quelli che componevano le 90 persone erano padroni d’appropriarsi della sua posada, ed anco una bossa da tavola di vetro e il suo sotto e li piatti di terra per cadauno.


Terminato il pranzo gli Ammiragli si mettevano in vesta e venivano levati dal Scalco e condotti al Serenissimo che era al Banchetto, ancor essi in pubblica figura.

Sua Serenità facevagli delle ricerche relativamente al pranzo, cioè se erano stati ben serviti e se vi fosse stata trascurata qualche cosa giusto l’antico istituto: questi rispondevano di no, poi li premuniva per l’anno venturo e li licenziava. Questi si portavano di nuovo nella sala ove erano partiti a far nota alli Ministri quanto aveva lor detto sua Serenità e davano il congedo a tutti.



N.B: che nella giornata surrifferita la mattina prima di partire dall’Arsenale si andava in gran numero a prendere il caffè dalli due Padroni dell’Arsenale, dalli quali eravamo trattati con bussolai, acqua di limone e naranza, con caffè precedentemente si era andati già dall’Ammiraglio che v’era soltanto caffè e bussoladi … Partiti da questi unitamente ambidue li Padroni, s’andava in chiesa di San Martin alla Messa, poi con lo stesso seguito andavamo per la parte interna, cioè per Sant’Antonin, li Greci, San Provolo etc a San Marco a fare il complimento a Sua Serenità che ci stava attendendo alla sua camera in Palazzo Ducale, ordinando che si desse la merenda ai remiganti che consisteva in pane, formaggio e vino …”

Interessante scritto vero ?


Aggiungo per concludere, e quasi in tristo contrasto con quanto ricordato amabilmente da Mastro Antonio Gelfi, altre due noterelle di stampo completamente opposto circa lo stesso Arsenale e gli Arsenalotti Veneziani ... La Memoria Storica ha sempre una doppia faccia: gioiosa o trista … ma arricchisce sempre.

22 dicembre 1797: i Francesi col Generale Berthier presero possesso dell'Arsenale dei Veneziani: “E' nostra intenzione di trasferire l'artiglieria e tutti i depositi di munizioni e viveri a Corfù, Ancona e Ferrara, cosi che quando consegneremo Venezia agli Austriaci non vi sia più un solo cannone.”  L'opera di smantellamento dell’Arsenale venne effettuata in fretta e furia: le navi sugli scali vennero demolite; quelle dei bacini vennero affondate aprendo larghe falle nelle stive; materiali e ogni tipo di bocca da fuoco, anche le più antiquate, vennero portate via su grosse barche ... Poi di fronte ai Veneziani impotenti venne appiccato il fuoco a tutto ... Alcuni Arsenalotti riuscirono a far affondare in quel che rimaneva dell’Arsenale quattro enormi peate cariche di materiale bellico ...

Baraguay d’Hilliers aveva scritto il 16 maggio precedente a napoleone: “Ho visitato l’Arsenale dei Veneziani, e l’ho esaminato minutamente: è uno de’ più belli del Mediterraneo, e c’è dentro ogni cosa a proposito per armare in due mesi e colla spesa di due milioni un’armata da sette ad otto vascelli da settantaquattro, sei fregate da trenta e quaranta, e cinque cutter … C’è un’immensa artiglieria si di ferro che di bronzo, fonderie, legnami, una corderia superba, cantieri supremamente belli … I fondachi sono zeppi di legnami, seimila pistole d’arcione, e pezzi per montarne altri assai, e tutti i lavorieri sono nel massimo buon ordine.”

Maledetti napoleonici !



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