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“L'isola di San Micièl dei Morti ...a Venezia.”

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“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 155.

“L'isola di San Micièl dei Morti ...a Venezia.” 

A pensarci bene, è un po’ insolito che un’Isola dei Morti possa suscitare curiosità e interesse, e produrre cultura. Ma nella miniera della Storia di Venezia tutto è possibile, e si può trovare di tutto. A dire poi giuste due cose: quell’isola della Laguna Nord Venezianapoco distante dalle Fondamente Nove si chiamava:“Cavàna de Muràn”o “i Remiti de Muran” (e forse anche: San Clemente in Palùo), anche se noi ultimi Veneziani di oggi pensiamo all’isola di San Micièl soprattutto come “l’isola del Cimitero”. I Veneziani di ieri, ancora, erano convinti che anche per l’isola di San Michele Arcangelo de Muran passasse la famosa e antichissima quanto misteriosa “linea” della Via Michaelica dell’Angelo”.


Parlare oggi di Arcangelie Angiolifarà forse un po’ sorridere più di qualcuno perché i tempi sono molto cambiati. Molti lo penseranno come un contenuto di ieri, un po’ fiabesco e fantasioso, oppure una di quelle tematiche adatte ad appassionati pseudomistici, gente a cui piace tutti quei discorsi un po’ “New Age” sull’Energia cosmico-planetaria, e cose simili un po’ a effetto … e con un certo mercato. Altri penseranno ancora che la Via Michaelica sia uno di quei trekking di sapore revival-Medioevale, come s’intendono la Via Francigena, i Cammini di Santiago di Campostela, la Via Teutonica, ma anche le Vie di Transumanza, le antiche Vie delle Spezie, dell’Incenso, della Lana e molte altre. Insomma: cose un po’ da nostalgici, naturisti o romantici, “ròba” da camminatori salutisti, o da appassionati d’antichità, tradizioni campestri, atmosfere alpine, desertico-rurali, oppure contenuti buoni per manifestazioni folcloristiche un po’ da sagra.


Per i Veneziani di ieri, invece, è stato diverso: l’Arcangelo Michael, il cui nome significa: “Chi potrà mai essere come Dio?",oltre ad essere considerato il Signore dell’Accesso e della Porta dell’Aldilà, era pensato anche come un reale Giustiziere Apocalittico, il Paladino Celeste di ogni Giustizia,e il Vincitore dell’Eterno Male della Storia. Non a caso l’Arcangelo Michele veniva rappresentato con la bilancia in mano, e col Serpente Antico infilzato dalla sua lancia o schiacciato dai suoi piedi. Michele era sinonimo dell’invisibile “lotta” della Storia fra Bene e Male, fra Luce e Tenebra, Morte e Vita, fra Oscuro e Luminoso, fra Occulto e Misterico-Liturgico-Rituale. L’Arcangelo era il “Campione del Buono e del Bene”, la garanzia della bontà dell’Assoluto, il guardaspalla, il braccio destro, il prolungamento di Colui che è radice della Storia e dell’Esistente. Il Culto dell’Arcangelo era terrificante, un’immagine fascinosa, che per secoli su secoli ha dato molto da pensare agli uomini e alle donne che si sono impegnati a milioni a percorrere avanti e indietro la “Via dell’Angelo” a caccia di suggestioni e contenuti, ma anche per esprimere la loro devozione e stima per quel genere d’idee.

Fin dal Medioevo e per secoli, quindi, anche San Michele in Isola di Veneziaoltre ad essere stato uno scrigno d’Arte e Storia, è stato anche un posto, una delle tappe della Via Michaelica, e un richiamo a un “viaggiare superiore”. Si considerava l’isola come parte integrante del percorso Medioevale, del“grande disegno Europeo e Mediterraneo” che partiva dall’Irlandese Skelling Michael: la “Roccia di Michele” risalente al 588 d.C., e andava a finire fino al Monte Carmelo in Palestina-Terrasantaattraversando tutto il Mondo che contava allora. Percorrendo “la Via” si toccavano luoghi atavici, posti dell’Antichità mitici e sacri come: Kerkyra, Delphi, Atene, Delos e Lindos oltre che St.Michael’s Mount nella Cornovaglia Britannica,Mont Saint Michael nella Normandia Francese, la Sacra San Michele in Piemonte, San Michele di Pavia, San Michele al Tagliamento, San Michele del Quarto, e la Contrada di Sant’Arcangelo dentro alla nostra stessa Venezia, e San Michele appunto di Murano. La Via continuava ancora con San Michele a Castiglione di Garfagnana, e scendeva giù dell’Italia fino a San Michele del Garganoal Santuario di Monte Sant’Angelo in Puglia toccando di passaggio tanti altri “San Michele”. Si vociferava perfino, un po’ fra fantasia e realtà, che la “Strada dell’Angelo” possedesse da una parte delle diramazioni ultraoceaniche: ossia fino all’America(che non era stata ancora scoperta), e perfino fino al Sud America, mentre dalla parte opposta si prolungasse fino all’Indiae allo Sry Lanka.


La Via dell’Angelo era intesa come un’immensa catena, un percorso unificante coagulato intorno a un significato ben preciso ... I Santuari dell’Arcangeloerano le tappe di un percorso Mitteleuropeo e Mediterraneo che formavano e seguivano sulla cartografia e sulle mappe di viaggio una famosa “Linea Sacra” millenaria: la “Linea della Spada o della Lancia di San Michele e del Drago”. Era un percorso simbolico, una progressione interiore da percorrere “Santamente” almeno una volta in vita da Pellegrini lasciandosi soggiogare, rinnovare e trasformare dall’influsso benefico dell’Angelo. Il Culto e il Percorso dell’Arcangelo, insomma, non si riduceva a un calpestare e percorre passo dopo passo “quattro pietre e strade messe là” visitando qualche location singolare, ma era un percorso esistenziale, una specie di “catecumenato” interiore che induceva ad abbracciare i contenuti della “Ley line”,ossia: la “Legge della Rettitudine”, il “Cammino di Luce di San Michele”. Percorrere la Via dell’Angeloera uno stile di vita. 


Erano tosti quelli di ieri, compresi i Veneti e i Veneziani, molto diversi da noi di oggi di certo, ma per niente banali, scontati e superficiali.


Come spesso accadeva nella Laguna di Venezia, sulla primitiva Isola di San Micièl c’era inizialmente solo una modesta chiesetta dedicata già all’Arcangelo San Michele. Si diceva a cavallo fra Storia e Leggenda che avesse ospitato in origine perfino San Romualdofondatore e inventore deiPadri Camaldolesiamico delDoge Orseolo I ... e si era prima dell’anno 1000. Di certo nel 1212 i Vescovi di Torcello e diOlivoloconcessero l’isola per davvero aiPadri Camaldolesi che ampliarono l’antica chiesetta. Sull’isola prospicente diSan Cristoforo, appena al di là di un canale, c’era prima un gran mulino a vento, e poi si susseguirono un Ospizio di donne e un Convento di Brigidini che lasciarono il posto in seguito agliEremiti Agostiniani. InSan Michele in Isola, invece,fin dal 1300 sorse una vera e propriaAbbazia de li Remiti de Muran per la quale Zanin Foscarini di Ser Marino della Contrada di San Paternian volle nel 1344 “venissero comprati 50 pelliccioni a soldi 2 de grossi l’uno perchè li Frati fosse salvadi da un altro inverno”… e dove nell’ottobre 1362 pervenne dall’Oriente una preziosissima Reliquia Bizzantina della Croce finita poi in custodia al Monastero Camaldolese di Fonte Avellana a Serra Sant'Abbondio presso Urbino sulle pendici del Monte Catria.


Dopo un bel salto di secoli, sono stati i soliti napoleonino & C a spegnere tutti i contenuti presenti sull’isola inseguendo le loro “nuove idee luminosissime”con le quali intendevano cambiare, liberare e rinnovare l’Europa e il Mondo intero. Peccato che per far questo avessero l’abitudine di distruggere e azzerare tutto e tutti quelli che trovavano sul loro cammino.


Applicando anche a Venezia nel 1806 il cosiddetto Editto di Saint Cloud del 1804, i Francesi si premurarono di portare “fuori città” tutti i cadaveri ammucchiati per secoli intorno e dentro alle chiese delle Contrade e nei chiostri dei Monasteri Lagunari che erano spesso circondati da un loro cimiterietto (gli attuali campielli che circondano molte chiese: Anzolo Raffael, Santo Stefano, San Giovanni e Paolo e molti altri)... L’editto prevedeva la perfetta uguaglianza di tutti “in e post mortem”, tutte le pietre tombali sarebbero dovute essere identiche, così come tutti gli epitaffi apposti sopra a memoria. Capitò, invece, che chi poteva permetterselo e“pagava la giusta mazzetta” potesse accedere a “debite eccezioni” e superare quell’esagerato egualitarismo:


“E che diamine ? … Mica si può riposare in eterno insieme e accanto al vòlgo, al popolo vile e miserrimo !”


Perciò quella cosa si rivelò essere tutta facciata e propaganda da invasori, e dopo quel gran svuotamento e trasloco di tombe, arche e sepolcri, si tornò dal 1837 in un certo senso alla “giusta normalità” semplicemente seppellendo sistematicamente “tutti quanti a San Micièl” ... ma “secondo il blasone e la dignità”che ciascuno possedeva.
Si mise così fine all’abitudine millenaria dei Veneziani di collocavano i propri Morti “appena fuori della porta di casa”.

Ad essere precisi, già la Serenissima nei tempi andati aveva svuotato a più riprese chiese e chiostri intasati all’inverosimile dai morti delle Pestilenze, ma a differenza dei Francesi lo aveva fatto “con garbo e gran rispetto” almeno nella forma, mentre i Transalpini buttarono lì “il tutto alla rinfusa” senza premurarsi più di tanto di dare almeno un nome a quei miseri resti trattati come sacchi di patate. In quel grande travaglio andarono persi corpi e vestigia di Dogi, di Senatorie Uomini Illustri, così come le cronache raccontano che non mancò chi venne rincorso e catturato in giro per Venezia mentre andava a vendersi di nascosto quanto aveva rinvenuto dentro a qualche vecchia fossa o monumento funebre pomposissimo, ammirato e supercurato per secoli.


Così decretò comunque la Storia … e mentre inizialmente si pensò di convogliare tutti i Morti di Venezia in un’apposita Necropoli istituita a Santa Maria Maggiore in fondo al Sestiere di Santa Croce(attuale Carcere maschile), si ideò poi di scegliere l’isola di Sant’Andrea della Certosa come “Nuova Città dei Morti”. Alla fine non se ne fece nulla di entrambe le opzioni, e si scelse piuttosto l’isola prospicente le Fondamente Nove di Cannaregio e Castello optando per l’isoletta di San Cristoforo della Pace divisa da 80 metri di canale daquella di San Michele Arcangelo.

Solo alcuni anni più tardi, risultando l’isoletta insufficiente per i bisogni urbani di Venezia, si comprese nel progetto l’intera isola di San Micèl che il Demanio vendette alla Municipalitàdopo aver sfrattato i Padri Camaldolesi (i Ròmiti o Eremiti) che la occupavano da secoli.


Non si parlerà mai a sufficienza dello scempio e delle modalità “tristi” con cui i soliti Francesi napoleonici realizzarono quell’ennesimo sfratto di Monaci dall’isola. Fu un’opera e un’iniziativa davvero vigliacca perché si andò a distruggere vilmente e brutalmente un sito dove per molto tempo si era generata e prodotta tanta Cultura Veneziana… e non solo. Le parole probabilmente non saranno sufficienti a descrivere quanto è accaduto quella volta in San Michele in isola, ma forse i numeri potranno indicare meglio come sono andati i fatti in quei giorni lontani.


Dovete sapere che ancora all’inizio del 1700la Serenissima decretava: “… si stanzino 2.000 ducati per la Biblioteca Codussiana … nel far costruire e stabilire la Libreria nel materiale e metodo di quel disegno che alla di lui prudenza sarà più proprio …”  Nella stimatissima Libraria dei Padri Camaldolesi di San Michele si decise di ospitare anche i libri salvati dal soppresso Monastero delle Carceri di Padovaportati a Venezia da Don Gregorio Sguardo in 60 sacchi e molte casse “togliendoli ai pizzicagnoli, all’avarizia di molti Preti, all’acqua, all’umidità, e alla trascuratezza del Governo e dai topi”. Sempre nella Biblioteca de Padri di San Micèl si concentrarono e depositarono: “… tutti gl’immaginabili Sancti Padri, con infinità di Libri Scritturali, Casisti, Juristi, Historici e Matematici …” sparsi in giro per Venezia, e a quelli si aggiunsero comprandoli dagli eredi anche i tomi delle biblioteche del Vescovo di Treviso Luigi Molin e del Vescovo di Torcello Giovanni Dolfin ... Ancora nel 1797 risultava che i Camaldolesi di San Michele stavano continuando ad acquistare e racimolare in giro per tutto il Veneto: Codici del 1400 e antichissimi Manoscritti.

La Libraria di San Micheleera quindi un patrimonio inestimabile di libri gestito da Uomini Letterati e Monaci di grande acume, ricchezza e Cultura. Non pensate tuttavia, che quei Monaci Pensatorie Acculturati fossero uomini e Veneziani eternamente piegati a studiare e scrivere libri. In realtà erano gente benestante che sapeva “ben godersi la vita”. Durante tutto il 1700 la vita dei Monaci Camaldolesi(come quella degli altri Monaci) pur essendo ufficialmente di stampo Eremitico, era diversa da come potremmo immaginarla: “… i Monaci godevano di una notevole libertà per quanto riguardava le uscite e le assenze dal Monastero dove a poco a poco si erano introdotte rappresentazioni teatrali, concerti musicali, lunghe vacanze autunnali dall’8 settembre alla vigilia di Ognissanti durante le quali i pasti venivano presi in un locale dove si dispensava dal silenzio, veri propri banchetti nelle solennità ... Ed ancora esistevano: larghe dispense dall’intervento all’Ufficiatura Corale Notturna, numerosa servitù a disposizione con pratica abolizione di qualsiasi lavoro manuale da parte dei Monaci che si dedicavano ampiamente a ricreazioni, giochi e villeggiatura, e in piccola parte alla ricerca e allo studio …” 


I Cenobi della Laguna e di Veneziasia maschili che femminili erano quindi posti pulsanti di vita e benessere oltre che di Sapere, Arte e Cultura. Lungo i secoli il Monastero di San Michele in Isolaospitò tutta una serie di figure insigni di Laici, Nobili e Monaci Letteratidediti alla “Perfezione Interiore”, che riuscirono a pubblicare tutta una serie di Annales, Studi e Opere davvero significative e di grande pregio.

Solo come esempio: nel 1604 Benedetto Pucci Frate Camaldolese di San Michele di Murano scriveva: “Dialogo della Perfezione Cristiana”, “Giardino de’ fiori spirituali”, e in seguito: “Nuova idea di lettere usitata nella segreteria de’ principi”, “Sentientiae ex Cornelio Tacito selectae” e “Vocabolarium ecclesiastico”…  L’anno seguente un altro Camaldolese di San Michele: Andrea Navagero diede la sua adesione all’Accademia degli Occulti di Murano e a quella dei Concordi di Rovigo, mentre il Confratello Pietro Passi figurava come Accademico dei Recuperati di Padova, degli Informi di Ravenna e dei Filoponi di Faenza … Altri Confratelli: Vitale Zuccoli Abate di San Michele s’interessarono di Filosofia, Teologia e Poesia, Padre Giovanni Tassis dopo essere stato Abate di diversi Monasteri venne esonerato da ogni tipo d’incarico per dedicarsi esclusivamente allo studio ... Michele Gasparini Abate Generale dell’Ordine Camaldolese si specializzò in costruzione di orologi solari ... e via così: tanti uomini dottissimi e intellettualmente ben dotati.


I chiostri e la Biblioteca di  San Michele di Murano ospitarono: l’Umanista Piero Dolfin uomo di vasta cultura che lasciò un famoso epistolario … Bernardino Gadolo Filologo, Biblista, Patrista e Storiografo … Girolamo Suriani Medico e Monaco … Pietro Orseolo GravisiMichelangelo GaspariniPietro Orseolo Da PonteParisio Bernardi: Abati, Matematici, Filosofi e Gnomonici … Guido Ignazio Vio Naturalista del mare … Ludovico Nachi Teologo, Scienziato e Geologo … Mauro LapiNicolò MalerbiPaolo Canal, Ventura ManardiBenedetto LocatelliAnselmo Marsand  … e chissà quanti altri.

 


Nel 1671 prese fuoco quasi tutta l’isola di San Michele, “… e la chiesa ebbe la cupola in piombo compromessa tanto che dovette essere demolita”.

 


Nel 1712 in isola c’era Fra Giacinto da San Michiel di Venezia, considerato anch’esso famoso specialista nella fabbricazione di orologi … Nel 1726 sempre nellastessa isola si realizzò uno spettacolo musicale per la ricreazione delCarnovale de Signori AccademiciDilettanticon la rappresentazione della “Ninfa di Apollo”: scherzo comico pastorale in musica in 3 atti con testi in poesia diFrancesco da Lemene accompagnato da musiche di Don Francesco Rossi... Nel 1788 si provvide a far riparare,“per concertare meglio”, l’organo di San Michele da parte dell’organaroMerlini Francesco Prete di San Basso a Venezia … e proprio dai Monaci Camaldolesi Benedettini di San Michele in Isola iniziò nel marzo 1800 la serie delle visite aiMonasteri Venezianieseguita dal neo elettoPio VIIuscito“Nuovo Pontefice”dall’insolito conclave tenuto a San Giorgio Maggiore di Venezia.


Sempre a San Michele in Isola a Veneziafiorì anche un insolito e singolarissimo commercio che coinvolse gran parte dell’Italia di allora lungo buona parte del 1700: a San Michele in Isola si vendevano “Libri in cambio di cambio di Messe.

Sì … Avete proprio capito giusto: Libri pagati celebrando Messe che avevano ciascuna un prezzo e valore ben preciso come i Libri. Una maniera davvero insolita di vendere e comprare e gestire l’Editoria ... e anche “il commercio Liturgico-Rituale”.


E’ molto interessante e curioso notare e seguire un po’ i dati e le tracce di “quell’insolito movimento di Libri” spulciando le vicende e i fatti del Cenobio di San Michele in Isola con la sua insigne Biblioteca. C’è di che perdersi ...

Già alla fine del 1600, il Nobile Letterato, Poeta, Giornalista, Librettista e Bibliofilo Apostolo Zeno insieme al fratello Pier Catarino, che era Padre Somasco, finanziarono e promossero diverse collaborazioni editoriali con l’Isola e la Biblioteca di San Michele di Murano: patrocinarono traduzioni, vendite e permute di opere e doppi, manoscritti e libri d’esito, la realizzazione di stampe, e la tiratura reiterata di molteplici edizioni di libri collocandole sul mercato Veneziano e Europeo (!) con quale erano in intensa e continuativa corrispondenza ... A San Michele in Isola si realizzò anche il “Giornale dei Letterati d’Italia”.


Nel 1723 nell’isola di San Michele risiedeva il Frate Francescano Carlo LodoliArchitetto, Revisori di Libri“nostrani ed esteri” dello Studio di Padova, e pure Revisore Incaricato di apporre “l’Imprimatur” a ogni tipo di Libri di Venezia (autorizzazione-nulla osta Ecclesiale e del Tribunale dell’Inquisizione alla stampa)… Sempre in San Michele in isola risiedevano altri attivissimi personaggi come Dom Angelo Calogerà Camaldolese di San Michele di Murano e Censore di Stato della Serenissima, che pubblicò: “Raccolta Opuscoli Scientifici e Filologici” ... e il Francescano Giovanni Degli Agostini, e Bernardo De Rubeis Domenicano erudito di Santa Maria del Rosario sulle Zattere(Santa Maria dei Gesuati)Confratello del Polemista Daniele Concina che rilasciava anch’esso agli autori di nuovi libri: “fedi di conformità per la pubblicazione” a nome del Santo Uffizio dell’Inquisizione di Venezia.

Dom Calogerà fu fra 1730 e 1740 uno dei protagonisti di quell’insolito scambio commerciale di Libri prodotti dal “Grande Circolo dei Libri Veneziani”. Pressato dai debiti pagava i suoi creditori offrendo loro i suoi migliori libri di pregio che si proponeva poi di ricomprare in seguito allo stesso prezzo stabilito all’atto della vendita. Qualche anno dopo, altri due Monaci Camaldolesi di San Michele: Dom Giambenedetto Mittarelli e Dom Anselmo Costadoni furono gli autori di un’imponente quanto singolare opera: gli “Annales Camaldulenses Ordinis Sancti Benedicti” uscita quasi annualmente fra 1755 e 1764. Si trattava di 8 possenti tomi “in folio” stampati in 750 esemplari in “carta ordinaria”, e di altri 50 esemplari tirati “in carta grande e bella”venduti a chi poteva permetterselo. Dedicando furbescamente l’opera al Dogee al Senato della Serenissima, i due Monaci avevano ottenuto finanziamenti per 100 ducati, altri 100 ducati d’argento li avevano ricevuti dal Vescovo Guiccioli di Ravenna, e altri 200 ancora da alcuni sottoscrittori Veneti e Italici dell’opera. Da altri illustri Veneziani a cui venne dedicata pomposamente l’opera sontuosa provennero, invece, solo altrettanti pomposi ringraziamenti e basta.

I Monaci avevano impegnato molto in quell’opera immane da cui speravano un buon guadagno e soprattutto grande attenzione di pubblico. Il Mittarelli oltre a collaborare gratuitamente insieme a tutti gli altri Annalisti alla correzione dell’opera, comprò a sue spese un nuovo torchio per la stampa istallandolo nell’isola di San Michele. Gli costò 100 ducati, e insieme al torchio fece “gittare a carissimo prezzo” dal fonditore Giambattista Adami anche una nuova serie di caratteri da stampa. Ciascun tomo dell’opera degli “Annales” alla fine venne a costare l’incredibile somma per l’epoca di 1.000 ducati: l’equivalente di una dote maritale o monacale di media entità.


Non pensate comunque che i Monaci stampatori di San Michelfossero degli artigianelli sprovveduti e ingenui. I Monaci di San Michele organizzavano traffici e commerci via mare utilizzando le galee di linea commerciale, le Mudestagionali armate della Serenissima.  Nel 1735 gli stessi Monaci Veneziani spedirono libri soprattutto al Monastero Classense di Ravenna dove c’era un Monaco Bibliotecario: Dom Mariangelo Fiacchi che gestiva un commercio di libri con tutti i Monasteri dello Stato Pontificiopresenti in tutta l’area Adriatico-Appenninica: Sant’Ippolito di Faenza, Bagnocavallo, Bertinoro, Forlì, Bologna, Santa Maria degli Angeli di Firenze e San Michele di Borgo a Pisa. I Libri prodotti a Venezia viaggiavano dappertutto, e una parte di loro proseguiva poi per: Pesaro, Senigalliae Anconada dove proseguiva per l’area di Perugia, Fonte Avallena e San Lorenzo Masaccio di Jesi giungendo fino al Monastero di San Gregorio al Ceglio di Roma: capolinea e Casamadre dei Monaci Eremiti Camaldolesi Italiani e Romani ... e “vicinia” del Sommo Pontefice Romanocon la sua Corte di Principi Cardinali che erano tutti “clienti” di San Michele di Murano.

Come vi accennavo, interessantissima fu una delle forme di pagamento” utilizzata di frequente dai Monaci Veneziani di San Michele. Oltre a farsi pagare in denaro contante o scambiando libri, codici e manoscritti equipollenti, i Monaci dell’isola si facevano pagare “facendo celebrare Messe”. Capitava che: siccome San Michele in Isola non riusciva a smaltire l’elevato numero di Messe di Suffragio già pagate e offerte dai Veneziani, ma ancora da celebrare concretizzandole obbligatoriamente, i Monaci di San Michele chiedessero “a terzi” di aiutarli a smaltire” quelle Messe ottenendo in cambio Libri, Tomi e Volumi del valore corrispondente all’elemosina versata inizialmente per farle celebrare.

Chi riceveva un libro o i libri, attestava per scritto inviando regolare ricevuta che aveva celebrato la corrispettiva Messa o le Messe indicate nella transizione. Solo all’atto del conseguimento della “ricevuta di Messe fatte” si considerava pagata e conclusa la compravendita dei Libri. Il sistema dell’utilizzo delle Messe da Celebrare è stato a lungo una specie di “Moneta di scambio” usata con profitto sia dai Monaci Veneziani che da quelli Italiani ed Europei in generale.

L’Abate Amigoni di Forlì, ad esempio, abituale cliente del Monaco Calogerà di San Michele di Muranoottenne nel 1745 due “Cappellanie fisse di Messe Settimanali”: una per se e un’altra per un suo Confratello, per un corrispettivo di: 1 lira ovvero 20 soldi a Messa”. Esistevano però Messe anche da: “30 soldi pari ad 1 lira e ½”. In caso di acquisti e transizioni prolungate, esisteva anche una specie di “abbonamento” che dava diritto a ricevere intere Raccolte di Opuscoli, o fascicoli e volumi delle edizioni gestire dal Monaco Calogeràda San Michièl di Venezia.

Gli “Annali del Sacerdozio e dell’Impero” del Battaglini, stampato a Venezia in 4 tomi, costavano: 40 Messe ! … “Siconio, Goffredo e Cellense”pagabili 15 lire, corrispondevano a: 15 Messe da 30 soldi”. Alla stessa maniera, il Monaco Libraio Fiacchi dell’Abbazia di Classe a Ravennacelebrava per i Monaci di Murano un “Suffragio Mensile” a rimborso dell’invio del “Mercurio” tradotto dal francese e pubblicato a Venezia. Spesso scompariva persino il nome del Defunto originario a cui era intestata la Messa da celebrare, che veniva sostituito col titolo del libro commerciato da pagare.

Lo stesso Monaco Bibliotecario Flacchi di Classe scriveva curiosamente il 19 agosto 1738 al Padre Camaldolese Mutarelli di San Michele di Murano: “… di far tra le altre Messe celebrare n.50 con l’elemosina di soldi 20 e queste saranno quelle dei di lei obblighi per la sua Sagrestia, e quando ella avesse in ciò qualche dubbio, celebri elle le sue 50 della Sagrestia e ne applichi altre 50 a qualunque elemosina, che io mi contenterò dei soldi 20 e farò conto di cederle la porzione che potesse esservi di più, cosicché, se per tutti i libri vi vorranno per esempio 250 Messe, io farò sapere ai compratori che di dette 250 Messe ve ne saranno 200 a 30 soldi e 50 a 20, distribuendole a proporzione tra quei che prendono i libri. E in tal modo si celebrerà sempre conforme alla di lei intenzione, la quale ella dirigerà a suo modo o per un obbligo o per un altro, siccome meglio le piacerà e così ognuno starà quieto…”

Ancora con lo stesso sistema, nel 1748 Mauro Sarti dell’Abbazia di San Lorenzo di Masaccio commissionò più di cento libri di pregio e diverse riviste al Padre Calogerà di San Michele di Murano dando vita a un fiorente commercio e interscambio di Libri & Messe.

Verso la fine del 1700 i compratori delle edizioni di libri dei Padri Camaldolesi di Muranonon erano soltanto Monaci sparsi in giro per l’Italia, ma anche Letterati, Collezionisti, Bibliofili ed Amatori di ogni sorta che approfittando anche del contemporaneo disfacimento delle Biblioteche e delle Collezioni Nobiliari e Monastiche trafficavano abilmente e non poco fra vecchi e nuovi Enti e Governi riciclando manoscritti, codici, incunaboli, libri di ogni sorta e contenuto, nonchè reperti archeologici e numismatici, carteggi, archivi, medaglie, corrispondenze, oggetti e gioielli preziosi, e perfino: fossili e ritratti ... San Michele di Murano fu uno dei centri d’interesse e convergenza di tutto quel grande movimento commerciale un po’ “pseudoculturale”.
Nel 1786, ad esempio, il Padre Mandelli di San Michele in Isolavendette a un certo Tomitano l’epistolario privato e tutto il carteggio intercorso fra i Monaci Calogerà e Costadoni in cambio di un telescopio newtoniano da far utilizzare agli studenti di Filosofia dell’isola di San Michele di Murano.


Capite allora perché i Francesi giunti a Venezia andarono dritti dritti a mettere il naso nell’Isola di San Michele di Murano: “Dove c’è del Miele non mancano mai di girare le Api… e così dove c’erano giri di denaro non mancavano mai di presenziare e agire i Transalpini invasori e chi ruotava intorno a loro.

Esiste una nota-lista risalente già al 1797 dei “Libri estratti in più volte per ordine della Municipalità Provvisoria di Venezia e di Murano dall'insigne Libreria di San Michele di Murano de' Monaci Camaldolensi”. Non vi tedio e annoio riportandovela tutta, ma vi ricordo solo che conteneva 53 titoli di Opere di Classici Latini, Filosofi e Grammatici antichi come: Plinio, Euclide, Cicerone, Giovenale, Tito Livio, Marziale, Sallustio, Terenzio e di Padri della Chiesa come: Agostino, Cipriano, Atanasio, Giustino, Leone Magno, Gregorio ... ma anche: Petrarca, Tolomeo, Acciajoli, Lorenzo Valla… C’erano poi elencati: 17 “Codici Manoscritti Sommi”contenenti opere degli stessi autori ma anche di: Palladio, Porfirio, Teodoreto, Daniele Barbaro, Platone, Filostrato e Ambrogio, e vari Codici Evangelici miniati, oltre ad altri 82 “Codici Manoscritti di grande valore” contenenti testi di: Boccaccio, Crisostomo, Guarini, la Cronaca di Fra Martino, Vitruvio, Cassiodoro, Aristotele, Paolo Diacono e molti altri … compresi anche alcuni tomi di Architetture Militari

Inutilmente nel 1802, consapevoli della “mala tempora” e del pericolo di soccombere e scomparire del tutto, i Monaci Camaldolesi di San Michele in Isola provarono ad aprire utilizzando i locali dell’ex Noviziato dei Frati, un “Collegio d’Istruzione ed Educazione”per i figli dei decadenti Nobili Veneziani rimasti a Venezia.



Quando nel 1810 i Francesi andarono a bussare a San Michele in Isola, subito sfrattarono i Padri Camaldolesi“concentrandone” alcuni nel Convento di Santo Stefano di Venezia. Altri Monaci (fra cui Padre Placido Zurla futuro Cardinale)ottennero di trasferirsi dai Frati di San Nicoletto della Lattuga accanto ai Frari nel Sestiere di San Polo dove intendevano trasportare l’intera Biblioteca e i cimeli rimasti a San Michele. Poveri illusi: ne furono privati del tutto per sempre.

Ancora altri Monaci di San Miche trovarono rifugio scappando fuori Venezia. Si recarono a Roma, precisamente nel Monastero di San Gregorio al Celso, dove nottetempo riuscirono a trafugare in gran segreto attraversando la Laguna, la Pianura Padana e gli Appennini: sia l’Archivio del Frati di San Michele, che alcuni “pezzi forti” del patrimonio della loro Biblioteca. Di quei giorni concitati Veneziani, si racconta che Padre Placido Zurla (Bibliotecario di San Michele in Isola)insieme a Frate Mauro Cappellari (futuro Papa Gregorio XVI), entrambi Camaldolesi di San Michele di Murano,abbiano portato a Roma parecchie casse di libri contenenti circa 700 Codici Manoscritti, 300 Quattrocentine, e 600 volumi di Scritti Monastici realizzati da autori dell’Ordine Camaldolese(sono stati riconosciuti nel 1865 nella Biblioteca dei Camaldolesi di Roma dall’Abate Valentinelli), nonché preziose Reliquie di chiesa.

Esatto o no che fosse l’indicazione, si diceva che la Libraria di San Michele in Isola fosse una delle più ricche di tutto il Veneto, e possedesse 180.000 volumi e ben 36.000 fra Codici Orientali, Greci, Latini, Italiani e Francesi, Incunaboli e Manoscritti di cui 2.300: “Manoscritti di valore eccezionale”.


Fa quasi tenerezza andare a leggere gli Atti Ufficiali dell’Avocazionedel Convento di San Michele di Murano da parte del Demanio e del nuovo Governo Francese. Consultandoli si può ancora evincere l’elenco degli “individui Sacerdoti e Laici componenti la Famiglia del Monastero di San Michele in isola” identificati e ritrovati presenti dentro alla struttura monastica all’atto dell’esproprio.

Nell’isola oltre ai 6 Conversi(ossia: “Monaci non Professi”): Pozzi, Quaramento, Betonello, Soratroi, Caleràn e Nardoni, c’erano l’Abatedei Monaci Camaldolesi: il Veneziano Dom Nachi Ludovico; il Priore altrettanto Veneziano: Dom Anselmo Marsand; Dom Nonnoso Marcheschi da Lucca Abate Procuratore Generale da Roma; Dom Paolo Mariani Veneziano Padre Maestrodei Novizi; Dom Parisio Sciolida Salò Abate Senescente; Don Mauro Cappellari da Belluno aiuto del Procuratore Generale; Dom Placido Zurla da Crema Lettore Emerito e Bibliotecario; i Monaci “semplici”: Dom Bonifacio Baseggio da Venezia e Dom Sergio Gaspari da Verona; Dom Giacomo Benetellida Venezia Rettore del Collegio di San Michele per l’Educazione dei figli dei Nobili; Dom Fortunato Nevio da Vicenza Procuratore dell’isola; Dom Giuseppe Zappani da Belluno e Dom Leonardo Bianchi  da Badia entrambi Lettori dello stesso Collegio Educativo.

Senza tanti preamboli e in maniera alquanto sbrigativa i Camaldolesi di San Michele vennero mandati via ed espulsi dall’isola, e la stessa cosa accadde contemporaneamente anche ai Monaci del Convento di San Giovanni Battista della Giudecca, e in Terraferma a quelli di: Follina, Vicenza e Verona che vennero “concentrati”nella Badia della Vangadizza.

“Presi da grande bramosia distruttiva”i Francesi “spazzolarono via” dall’Isola, dalla Chiesa e dal Convento di San Michele tutta l’argenteria, tanta parte della “preziosa miniera dei libri”, una ventina d’opere d’Arte realizzate da Raffaello Sanzio, Cima da Conegliano, Antonio Zanchi, Giovanni Bellini, Gregorio Lazzarini, Pietro Mera,Pietro da Cortona, e diverse altre opere rinvenute in seguito in parte nella Galleria dell’Accademia di Venezia, o finite altrove in mano di privati (una“Santa Margherita di Raffaello da Urbino che stava sotto al Coro dei Monaci di San Michele in Isola”è stata rinvenuta in Inghilterra).

Negli anni seguenti il numero dei Padri Eremiti Camaldolesi del Venetopassò da 110 a 77 unità in tutto.

Quando il Bibliotecario della Marciana Morelli, uno dei protagonisti interessati dello spettacolare saccheggio di Libri, Manoscritti e opere d’Arte organizzato dai Francesi che interessò tutta Venezia, si recò la prima volta nella Biblioteca di San Michelein Isola,trovò che i Manoscritti-Codici pregevoli erano già quasi scomparsi del tutto, restavano solo quelli di minor valore. Erano spariti tutti i Codici Greci, le Aldine, e i “Libri antichi del 1400” sostituiti sugli scaffali da libri di nessun valore messi lì come riempitivo.

All’appello mancava, ad esempio, la preziosa “Bibbia Magontina” forse comprata già dalla Biblioteca di Brera di Milanoche l’anno prima aveva acquistato un libro simile in pergamena a Genova pagandolo 3.240 lire. (oggi, infatti, la Bibbia Magontina dalle 24 linee edita a Magonza da Guttemberg nel 1456, si trova proprio alla Biblioteca Braidense di Milano).

Il Bibliotecario Morelli comunque non disperò, e fece compiere un accurato sopraluogo e perquisizione dell’intero Monastero e delle singole celle dei Frati. Il gesto lo portò a recuperare altri 1.000 volumi fra cui alcuni Codici e diversi “libri di pregio”.Dopo di questo, lo stesso Morelliprelevò il Mappamondo di Fra Mauro, altri 2 globi, un’antica tavola in avorio rappresentante una “Disputa di Gesù al Tempio” e tutta la serie delle monete e delle medaglie del Monastero portando il tutto alla Biblioteca Marciana di Venezia.

Oltre a questo, dovette accontentarsi di rinvenire presso il libraio Bettini delle Mercerie della Contrada di San Salvador alcuni dei libri del Monastero di San Michele, recuperò presso un rigattiere di San Zanipolol’opera in 4 volumi “in folio” titolata: “Ritratti con elogi d’uomini illustri Fiorentini”,2 mappamondi di cartone provenienti dallo stesso posto, e varie centinaia di volumi presso altri venditori sparsi in giro per tutta Venezia.

Dopo la soppressione definitiva di San Michele, il Demanio distribuì 17.524 libri del patrimonio della Biblioteca dei Camaldolesi di San Micheledonando: 264 libri e 12 manoscritti alla Biblioteca Marciana, 250 libri all’Accademia delle Belle Arti di Venezia, 957 libri al Liceo Convitto Foscarini, 7 libri al Collegio della Marina di Venezia, 5 libri al Seminario di Concordia, 24 libri al Seminario di Chioggia, 8 libri a quello di Rovigo e altri 4 a quello di Ceneda… Infine, 16.000 libri considerati di volgare valore vennero alienati e venduti a peso e alla rinfusa.



Si disse e scrisse anche, che lo stesso Padre Zurla di San Michele di Muranorifugiato a Roma cercò di ricomprare in blocco i 16.000 volumi considerati “di scarto” di quella che era stata la sua stessa biblioteca, offrendo 2.000 lire per libri e scaffali insieme. Si trattava per la maggior parte di “libri Ecclesiastici e di Ascetica” ... Il Monte (N)napoleone di Venezia ordinò a più riprese, invece, un’asta pubblica durante le quali Padre Zurla riuscì a recuperare solo 565 volumi per lire 984,75, mentre il resto venne disperso vendendolo per lire 1.114,75 a privati: 17 libri andarono a GiovanBattista Cavalliniper 65 lire… e altri 59 libri in Francese insieme ad altri provenienti dalla Libraria dei Frari e da quella dalla Biblioteca Zanchi dei Somaschi della Salute finirono allo stesso Cavallini per altre 584,05 lire nel dicembre seguente.


Nel marzo 1811 si presentò nell’isola di San Michele l’Ingegnere Cesare Fustinelli in rappresentanza del Demanio per eseguire una “ricognizione estimatoria”dell’isola e valutare l’intero Complesso di San Michele di Murano. Accompagnato da un segretario-scrivano, stimò tutta l’isola per un valore complessivo di lire: 72.215,084, e misurò, valutò l’entità e l’ipotetico valore delle singole sue parti quantificando: il Convento in lire: 37.016, 786; l’Ortaglia Maggiore inlire: 3.649,860; l’Ortaglia Minore in lire: 1.388, 510; la Chiesa adiacente bisognosa di restauri e in parte cadente: lire 19.952,162; gli altari e i lastricati contenuti nella stessa: lire: 2.899;la Cappella Miani o Emiliani nel suo insieme: lire 5.077, 366, e i suoi singoli altari marmorei ed artistici: lire: 2.232.

Solo qualche anno dopo, l’intero perimetro delle due isole venne cinto con un muro interrotto da una Cappella ottagonale, e gran parte degli edifici monastici di San Cristoforo e San Michele vennero demoliti per adibire le isole a Cimitero. Si era nel 1813, e fu Stefano Bonsignori ex Vescovo di Faenza nominato Patriarca di Venezia da napoleone bonaparte a benedice l’isola dove da luglio iniziarono le tumulazioni dei Veneziani … Quattro anni dopo, anche il Collegio Educativo dei Camaldolesi di San Michele di Murano venne chiuso e soppresso del tutto, e i pochi Camaldolesi insegnanti rimasti furono indotti ad abbandonare l’isola che venne trasformata dagli Austriaci in Carcere Politico. Nelle: “Le mie prigioni” si legge che vennero “ospitati” in isola di San Michele anche i Carbonari Sediziosi: Silvio Pellico e Pietro Maroncelli prima d’essere trasferiti al carcere dello Spielberg.

Solo nel 1829 la custodia religiosa dell’Isola Cimitero venne affidata ai 70 Frati Minori Francescani Riformati attivi nella Laguna di Venezia, (distribuiti anche a San Francesco della Vigna a Castello e nell’Isola di San Francesco del Deserto)… Trascorsi diversi anni ancora, nel 1835, si approvò il progetto del Nuovo Cimitero che prevedeva la bonifica del canale divisorio delle due isole di San Michele e San Cristoforo di Murano e la sopraelevazione delle intere isole di due metri sul livello marino. I lavori su progetto dell’Architetto Giannantonio Selva(autore anche del Teatro La Fenice, del Verdi di Trieste, del Teatro Sena di Feltre, del Tempio del Canova di Possagno)terminarono solo verso il 1870.


Oggi quel che rimane del Convento e della chiesa di San Michele di Murano è desolato e vuoto quasi del tutto. L’Isola dei Dormienti, dove “riposano” gran parte dei Veneziani è sorvolata dai Gabbiani affamati, sgraziati e candidi in un certo senso veri padroni dell’isola che neanche i dissuasori elettronici riescono ad allontanare. L’isola è completamente disseminata e ricoperta da una prateria infinita di tetre e macabre tombe di Morti silenziosi e interrogativi. Sopra di loro fra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre: “i giorni dei Morti”, fiorisce un altrettanto insolita Primavera di fiori e colori che si ripete ogni anno. Esiste sempre qualche “Anima anonima” che in questi giorni s’aggira fra le schiere delle tombe e cappelle funerarie collocando fiori sulle fosse più dimenticate e abbandonate. Alla fine l’intero Cimitero diventa un enorme prato fiorito simile a quelli di Montagna, così come di notte l’insieme dei lumini trapunta flebile ogni angolo dell’isola. 

Sembra proprio che si dia inizio a una stranissima e insolita stagione macabra i cui tratti e presenze sono del tutto invisibili: pare che dentro al Cimitero stia accadendo una grande sagra e festa, solo che ai vivi non è dato di parteciparvi se non alimentando quelle Lampade Votive Perpetue a pagamento pure loro, o omaggiando tutti con un mare di fiori.

Avranno mai bisogno i Morti del supporto di tutta quella luce continua e di quell’infiorata ?  Ma queste sono opinioni …
Fra le stesse tombe s’aggira qualche Veneziano e qualche fraticello Francescano “semplice e cordiale” col cappuccio e la povera cotta logora distribuendo orazioni e benedizioni dal suo secchiello opaco dell’acqua santa … Ovviamente in cambio di una qualche elemosina. Non c’è altro nell’Isola di San Michele, se non muri cadenti, infradiciati e scalcinati mangiati dall’umidità e dalle acque della Laguna che continuano a gridare storie silenziose e passate ... Qualche comitiva di turisti Giapponesi si reca in “gita turistica fra i Morti” bardata di tutto punto per immortalare le tombe insigni del Russo Igor' Stravinskij o dell’Americano Ezra Pound… Stupisce scoprire che gli stessi Giapponesi hanno realizzato una scenografica copia perfetta del Cimitero Veneziano ambientandolo su una Neo Venezia collocata su Marte dove vivono le Anime Giapponesi.

Incredibile ! … ma è proprio così: siamo figli di quest’epoca digitale e onirica.

Dall’altra parte, invece, sull’isola si realizza il solito grande business funerario che ruota ovunque attorno alla Morte coinvolgendoci obbligatoriamente tutti a turno. Siamo talmente assuefatti a quest’aspetto, che neanche lo “vediamo” più apprezzandone soprattutto la pratica utilità. Anche questo è parte dell’oggi … C’è poco da dire, e soprattutto niente da fare: si vive così.


Dell’isola di un tempo: luogo di Cultura ad altissimo livello non rimane praticamente niente. Accanto al luogo frenetico di Palazzo Ducalein Piazza a San Marcodove si legiferava e muoveva i destini economico-politici della Serenissima, per secoli sono esistiti luoghi quieti e ameni come l’isola di San Michele dove si sperimentava, si disquisiva, si produceva Arte, e si raccoglievano e scambiavano notizie ed esperienze provenienti da ogni parte del Mondo di allora. A San Micèl(come a San Giorgio Maggiore, nei Palazzi Veneziani, e altrove a Venezia) convergevano in massa Nobili arguti e intelligenti, ricchi e acculturati, e si radunavano Mercanti, Ambasciatori, uomini di Mare e viaggiatori portando i resoconti delle loro spedizioni e viaggi in ogni angolo del Mediterraneo, dell’Atlantico e dell’Oriente. In San Michele in Isola si ricapitolarono e raccolsero dati cartografici, di navigazione ed esplorazione, e valutazioni commerciali di ogni sorta. Senza la pressione e l’urgenza politica in isola si trattava di tutto, si discuteva e promuoveva letteratura, liberi anche dalle ingerenze asfissianti dello Stato Veneziano che tuttavia vigilava sempre su tutto e tutti finanziando ogni tanto quell’utile movimento. Gli stessi Monaci Camaldolesi di San Michele, che spesso erano Nobili pure loro, fecero a gara fra loro e con gli altri Nobili di Venezia e del Veneto “per primeggiare in cultura, scienza e sapienza”… e perché no ? Anche in prestigio.


In quel contesto va collocata la preziosa esperienza di Fra Mauro che fu uno degli esempi più significativi di quell’esperienza insulare Veneziana. Il Priore Camaldolese Fra Mauro fu come l’apice di quel movimento e di tutta quell’intenso interscambio culturale. Fu lui a realizzare a metà del 1400 insieme col Cartografo Andrea Bianco, poco prima della così detta “Scoperta dell’America”, il famoso Mappamondodi Fra Mauro ... Potremmo dire che quel Planisferoè stato una specie di: “Google Earth” dell’epoca (oggi conservato nella Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia). Oltre a non mettere più Gerusalemme al centro dell’immagine del Mondo come voleva da sempre la Cristianità, Fra Mauro dipinse la Via dell’Africa circumnavigabile, cinquant’anni prima che i Portoghesi la navigassero concretamente, e cartografò il MondoVecchio e Nuovo qualche anno prima che si spalancassero quegli orizzonti che avrebbero cambiato, allargato e spalancato irreversibilmente tutto il Mondo, la Storie e l’Economia di allora.

Sul suo planisfero oltre alle solite indicazioni della Geografia Tolemaica, Fra Mauro rappresentò i tre “Classici Continenti”: l’Europa, l’Africa con l'isola di Diab (forse il Madagascar), e l’enorme Asia circondata da un’infinità di isole grandi e piccole, capace di occupare più di metà mappamondo. Le grandi terre emerse risultavano solcate dalle “Vie Terracquee” riassunte nei Portolani dei Navigatori Arabi, Ragusei, Genovesi e Veneziani e negli Itinerari dei Mercanti e dei Pellegrini Medioevali. Iniziarono a scomparire dai Mappamondi una dopo l‘altra le zone occupate solitamente da figure fantastiche, da disegno di Venti sbuffanti, dai nomi di Popoli, e da scritte simboliche come: “Hic sunt leones”, che mascheravano in realtà l’ignoranza circa quei luoghi e quelle genti un po’ da indovinare. Era giunto anche il tempo di svelare i “Segreti della Natura”, perciò pure nell’isola di San Michele si viveva un’epoca di grandi entusiasmi e d’intraprendenze con le quali si cercava di colmare vuoti lasciati per secoli dalle antiche e classiche scienze e navigazioni.


In realtà, come ben sapete, dietro alla facciata di tutto quel gran movimento entusiasta e quella gran voglia di Scienza e Conoscenza, c’erano i desideri delle Grandi Corone dei Potenti di allora che avevano bisogno di nuove risorse e ulteriori soldi per continuare soprattutto a mettere in piedi le loro guerre spadroneggiando più che potevano sui territori “messi a loro disposizione da Dio in persona”.

Dai resoconti delle spese del Monastero di San Michele per comprare: colori, oro battuto, pergamene e altro, si può dedurre che il Priore Fra Mauro iniziò a lavorare al suo Mappamondosu tavole di legno e pergamena dal 1448, e che l’opera con tutte le sue 4.000 iscrizioni didascaliche in Veneziano fu completata soltanto un anno dopo la sua morte: nel 1460.

Quella della Cartografia, dei Portolani e delle Mappe di Fra Mauro non è stata affatto una stagione e un’iniziativa isolata a Venezia. Fin dal Medioevo, infatti, si era usi dipingere sotto ai portici dei Mercati e delle chiese Mappe dei Mondi Lontanissimi e Itinerari di Pellegrinaggi su cui navigare, cavalcare e camminare, magari allestendo qualche buona spedizione commerciale. Anche il Mappamondo di Fra Mauro probabilmente era destinato ad essere esposto nella Chiesa di San Michele in isola, tappa come dicevamo della famosa Via Michaelica dell’Angelo. Esistevano Mappe simili dipinte sotto ai Portici di San Giacometto dell’Emporio Realtino, e probabilmente anche nella zona della Securtà Marittima di Rialtodove si pensavano, allestivano e assicuravano le spedizioni marittime della Serenissima. Altre Mappe di viaggio potevano trovarsi anche dove ci s’imbarcava per i Pellegrinaggi oltre mare: a San Domenico di Castello, ad esempio, dove venivano benedetti i Pellegrini in partenza ed esposti i souvenir, gli ex-voto e i ricordi dei viaggi insidiosi e delle traversie vissute lungo i tragitti Orientali ed Europei.


James Cowan(nel suo Il sogno di disegnare il mondo”)scriveva e faceva dire nel 1999 a Fra Mauro di San Michele di Murano Cosmologo e Cartografo della Serenissima:“Nella mia qualità di Cartografo al servizio dell’Ordine dei Camaldolesi di San Michele di Murano, anch’io ho eletto a scopo della mia vita il tracciare sulla carta la rotta di coloro che percorrono le vie nascoste della terra … Non c’è racconto di navigante tanto banale da non meritare ascolto, né diario di viaggiatore così pedestre che non valga la pena di essere letto […] Dacché mi ricordi, infatti, ho sempre voluto viaggiare. Mi chiamo Fra Mauro ... Sono Monaco, in età matura e piuttosto in carne. A certuni posso persino apparire – be’ ammettiamolo – un po’ pigro. Il mio problema è che ho sempre avuto paura di affrontare un tale viaggio probabilmente perché le mie ossa mi avrebbero rivelato come un impostore! E’ come se, ogni volta che il caso mi porta da quelle parti, l’orizzonte che contemplo in mare al largo del Lido e di Sottomarina fosse una muraglia inespugnabile, una barriera ... Talvolta mi prende in forte desiderio di scalarla, ma mi resta ancora la paura di ciò che vi è al di là. Ed ecco che di conseguenza faccio vivere altri al mio posto, alla scoperta di genti e regni che io posso solo sognare. […]  Anche chiuso nel mio convento, ho tutto il mondo sulla punta delle mie dita: arriva a me attraverso le impressioni degli altri uomini. Come un re nella sala del trono, aspetto le visite dei miei messaggeri, i loro mantelli ancora impolverati dal disappunto o dalla delizia: essi arrivano e scaricano loro stessi […] Alla fine il mondo che offrivano che era filtrato dalla loro visione. Ero lasciato nel dubbio se stavo acquisendo la giusta immagine. Forse il mondo era veramente differente da quello che avevo cominciato a percepire. Ogni uomo, ha contribuito all’evoluzione della Terra, dato che le sue osservazioni sono state parte della sua crescita. Il mondo era perciò un posto interamente costruito dal pensiero, sempre in trasformazione, costantemente rinnovando se stesso attraverso il processo dell’umana interpretazione della realtà. Tutto ciò mi portò l’idea della costruzione di una mappa che avrebbe sfidato ogni categoria e genere. Una mappa che li avrebbe contenuti tutti, difficile a definirsi per mancanze di termini, ma comunque non destinata a sposare una particolare politica o persuasione. Piuttosto volevo che la mia mappa mostrasse la terra in cielo ed il cielo in terra: una mappa che fungesse da prototipo per tutte le mappe sparse nello spazio e nel tempo. Sarebbe stata uno strumento per mezzo del quale il mondo avrebbe potuto arrendersi in frammenti allo sguardo aperto, inquisitivo di ognuno. E speravo ardentemente che tale mappa avesse presieduto alla nascita di un’altra mappa, e ancora di un’altra, e di un'altra ... ancora."

Nel secolo in cui Fra Mauro il Cartografo fu Priore di San Michele, in isola si edificò anche il chiostro piccolo del Convento che venne ricostruito sotto la direzione deiLombardo. Nello stesso tempo, Mauro Condussidetto Moro o MorettoBergamasco della Val Brembana (autore della facciata di San Zaccaria di Venezia, dellaScuola Grande di San Marco, San Giovanni Crisostomo,Santa Maria Formosa, Palazzo Vendramin Calergi, della Torre dell’Orologio e delle Procuratie Vecchie in Piazza San Marco)rifece la facciata della chiesain pietra d’Istria fra il 1469 e il 1479 … Dopo il 1499, quando il Nobile Leonardo Loredanfinanziò la decorazione pittorica del soffitto a cassettoni della chiesa, si pensò a ricostruire anche la cupola di San Michele in Isola … Nel 1523-1526 venne aggiunta al Convento una nuova ala adibita a Foresteria, Giovanni D’Asola dipinse le portelle che coprivano l’organo di San Michele con all’interno: una “Madonna Assunta” e “San Michele”, e all’esterno:“San Romualdo che veste San Pietro Orseolo” e “San Benedetto che benedice due Monaci.”(oggi si trovano al Museo Correr di Piazza San Marco), e  il BergamascoGiglielmo dei Grigi edificò tra 1530 e 1543 la sontuosa Cappella Emiliani su disposizioni testamentarie della nobildonna Margherita Vitturi che lasciò ai Procuratori di San Marco una cospicua somma di denaro perché si costruisse “un Tempietto dell’Annunciazione” in memoria di suo marito Giovanni Battista Emiliani(già vent’anni dopo la sua costruzione la Cappella ebbe bisogno dei primi interventi di restauro realizzati da Jacopo Sansovino).


A completamento dell’edificazione del grande complesso isolano, l'Abate Gerardo Maffeo fece innalzare anche il campanile alto 40 metri, e si diede mandato ad Alessandro Bigno di realizzare, intagliare e intarsiare il Barco del Corosopraelevato dedicato a San Michele Arcangelo inserendovi pure un grosso badalone”  a carrucola (grande leggio) per issare, esporre e voltare i pesanti Codici Miniatidel Canto Gregoriano… Ancora negli stessi anni, dopo un accurato consulto con la Signoria di Venezia, il Padre Generale di tutti i Camaldolesi d’Italia ordinò all’Abate di San Michele di Murano di espellere dalla sua Religione togliendogli l’abito da Monaco, un tale che s’era vestito così comprandosi il titolo di Religioso: “… trattasi di palese atto di pura Simonia da doversi assolutamente correggere.”

Nel 1564 nel Monastero di San Michele in Isola risiedevano 27 Monaci Camaldolesi: si spendevano 18 ducati annui per pagare l’organista per le cerimonie, e altri 260 ducati annui per le spese ordinarie del vitto dei Monaci comprando: “ovi, pèse, mandorle, uva passa, risi, farro et altri legumi, e carne di capra …”, per gestire la Foresteria, tenere accordato l’organo della chiesa, e adornarla per la Festa di San Micièl… Circa dieci anni dopo il complesso Conventuale di San Michele era di fatto ultimato, e dall'avancorpo sul lato occidentale del sagrato della chiesa si costruì una spaziosa cavana per le barche e i barcaroli dei Padri Camaldolesi.


“Tutto intorno all’Isola di San Michele risplendeva la Laguna di Venezia, l’aria limpida sapeva di salmastro e alghe, e perfino le Pestilenze mortifere sembravano incapaci d’intaccare quel felice connubio umano e interiore … La Serenissima con i suoi Nobili, il Doge, la Signoria, i suoi Preti e Monaci, e fin all’ultimo uomo e donna delle Contrade sentivano che decisamente: Dio, i Santi e la Madonna erano di certo dalla loro parte … E la Storia così scorreva sopra e infra le acque ...” scriveva sul suo diario un Monaco Camaldolese di San Michele di Murano.

Oggi infine, capita anche a me come a tanti altri Veneziani di rifuggire un poco dall’Isola di San Michele, soprattutto perché lì sono sepolti i miei cari. San Michele in Isola induce a pensieri mesti e tristi facendo pesare l’assenza di chi non c’è più … Per questo fatico a ritornarci … Comunque, da buon Veneziano, quando vi sbarco provo “una tantum” ad aggirarmi nell’isola osservando come in trasparenza oltre le tombe e i ricordi, e mi piace riconsiderare “il tanto” che è accaduto in quell’angolo della Laguna Veneziana … Ne vale sempre la pena.






“la Dextera Domini … anche a Venezia.”

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“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 156.

“la Dextera Domini … anche a Venezia.”

Si diceva spesso un tempo:“Dio vede … e provvede.”Così come il romanzo Manzoniano dei famosi “Promessi Sposi”è tutto punteggiato d’esclamazioni come: “la c’è la Provvidenza”, come a dire di una specie di sapienza e consapevolezza popolare costante, un mantra molto comune e condiviso un tempo.

Accanto ad esclamazioni del genere, secoli fa si usava molto considerare alcune immagini come: “l’Ombra di Dio”, o l’ “Impronta degli Dei”. Quelli di ieri erano molto più immaginifici rispetto a noi di oggi, e utilizzavano diverse simbologie rivelando e indicando contenuti a cavallo fra Fede, Fantasia, Mito e Opportunità che per loro erano molto significati e importanti ... mentre a noi di oggi dicono pochetto o quasi niente.

Fra tutte, la famosa “Arca dell’Alleanza”è stata forse l’immagine più potente e ricca di significati e misteri a cui si faceva spesso riferimento nell’Antichità, quasi come a un sogno e a un desiderio appetibilissimo.L’Arca Santa in realtà era piena e occupata da “Niente”, era vuota, se non con pochi oggetti rituali, ma era però densa di una “Presenza Mistica” che induceva tanti a pensare, sperare, credere e fidarsi oltre che ad attivarsi mettendosi in viaggio e per strada. Era un Simbolo fortissimo insomma, un rimando potente all’Oltre, al Mistero e all’Aldilà.

Accanto all’Arca però, c’erano anche altri “segni”molti considerati, ritenuti: “Buoni e Santi”. Quello della “Mano di Dio”, ad esempio, ossia la: “Destra di Dio”, la “Dextera Domini”.

E’ esistita una lunga stagione storica in cui si preferiva non rappresentare Dio, o farlo in maniera sintetica, riassuntiva: solo con un simbolo totipotente e significativo. Dio per diverse Religioni, non solo l’Islam, era ed è “l’Irrapresentabile”, “l’Indicibile”, quello che non si riesce mai a dire ed effigiare a sufficienza e decentemente. Era meglio non dipingerlo, non mostrarlo per non farlo impunemente o in maniera troppo banale e riduttiva. Certi luoghi di culto, infatti, erano totalmente spogli, senza alcuna iconografia. Perciò ci si affidava al Simbolo che aveva un’immensa valenza.

I segni, come i Logo moderni, indicavano e rinviavano a “qualcosa” d’impalpabile e ulteriore, che era difficilmente descrivibile. Si provava perciò a dirlo in maniera plastica e sintetica, lasciando intendere che si trattava di un Mistero interiore ed esistenziale, un Enigma, un Riferimento molto grande a cui valeva la pena di rivolgersi di continuo.

Fra quei segni si potrebbero annoverare: la tonda Aureola, le Raggereche indicavano l’Aura Celeste, la famosa Mandorla Arcobaleno che circondava Imperatori, Ree le Divinità o il Signore: simbolo di Maestà e di Potere, l’Occhio di Dio, ilRespiro ossia il “sospiro di Dio” capace di “Creare dal Niente”, e la Voce invisibile di Dio capace di dire: “Effatà” cioè: “Apriti !”, e cambiare così le sorti e “lo status” a volte precario dell’Umanità … Infine c’era: anche la “Dextera Domini”: la potentissima “Mano destra di Dio” capace di tutto in ogni istante dell’intera Storia dell’Umanità, oltre che “prima e dopo”.

La mano benedicente di Preti, Vescovi, Papi e affini è, o dovrebbe essere in un certo modo il prolungamento tangibile di quei singolari quanto curiosi contenuti.

Col tempo però il significato di certi Simboli si è ulteriormente arricchito e amplificato giungendo ad assumere significati diversi da quello prettamente originale. Il simbolo della “Dextera Domini”, ad esempio assunse anche il significato della Carità fattiva, che poteva tradursi anche nell’ospitalità. Si “dava una Mano”, una “Mano in nome di Dio” che era Lui in persona “la Mano Caritatevole e Amorosa” per eccellenza, soprattutto in caso di bisogno. Si “dava una mano” ad imitazione del “Dio Provvidente che dava una mano”alla comunità umana: si aiutava “Amore Dei” (per Amor di Dio).


Soprattutto diversi Ordini Cavallereschi, Ospitalieri e Religiosi fecero propria quella simbologia e quel linguaggio così denso ed efficace. Ad esempio i Cavalieri Teutonici che effigiavano i loro Ostelli con la “Dextera Domini”, quasi come garanzia di serietà d’intenti.Chi vedeva una “Dextera Domini” incisa o rappresentata, sapeva che lì si esercitava la Carità di Dio, e poteva essere amorevolmente e adeguatamente aiutato ed ospitato.


La presenza dell’immagine della “Dextera Domini” molto usata nel Medioevo e durante tutto il tempo dei Viaggi e dei Pellegrinaggi, “marchiava”come segnale tutta una diffusa rete di appoggi sparsi sul territorio capaci di fornire ospitalità. Ce n’erano per tutti i gusti e le situazioni: dalle Foresterie Monastiche e Clericali sia maschili che femminili, agli Ospizi e Ostellipubblici o Comunali, oppure riservati a specifiche Nazionalità. Ne esistevano di adatti a particolari Categorie di persone: Cavalieri, Artieri, Lebbrosi, Marinai e Pellegrini, e quasi sempre la loro caratteristica principale consisteva nella gratuità: ossia l’ospitalità data “Amore Dei”(per Amore di Dio). Una “Dextera Domini” su di un arcosoglio o incassata in un muro poteva indicare un posto del genere, il più delle volte: un semplice ricovero spesso molto spartano, una Cappelletta, un capanno o una stanzetta anche persa nel nulla, sempre aperto, poco sotto a un valico, o nel bel mezzo di un bosco o di una “Via”.


Accanto a questi ovviamente esisteva tutta la serie delle offerte di ospitalità a pagamento di varia natura: Locande, Osterie, Taverne e cose simili, che sorgevano ugualmente ovunque, ed erano capaci a volte di offrire “un po’ di più”, non tanto per comodità e igiene, ma in quanto offrivano: gioco, donne, possibilità di cambio e di mettere in piedi piccoli affari trovando anche manovalanza se serviva.


La “Dextera Domini” la si può ritrovare e riconoscere effigiata e utilizzata in tutta Europa, nell’intero Bacino Mediterraneo, e fin in tutto il Vicino Oriente. Ci sono dei bei esempi di “Dextera Domini” nel Bacino Absidale di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, o negli affreschi di San Vitale della stessa città, come ce ne sono altre in diverse Basiliche Spagnole e Romane… Anche a Venezianon potevano mancare, e anche qui da noi si è utilizzato molto quella simbologia così incisiva.In città sono rimasti ancora oggi alcuni esempi di “Dextera Domini” davvero belli e curiosi.


Provate ad andare nell’atrio della Basilica di San Marco, e osservate l’Annunciazione mosaicata che effigia l’Evangelista Marco: vedrete che sopra alla sua testa è disegnata una bella “Dextera Domini” ... Così come non è difficile rinvenire sparse in giro per tutta Venezia diverse altre rappresentazioni della “Dextera Domini” infisse su case, colonne e mura di luoghi dove un tempo si praticava l’ospitalità. Ce ne sono alcune a Rialto, in Corte Barozzi nella Contrada di San Moisè vicino a Piazza San Marco, a Sant’Aponal, ma anche a Cannaregio ... Senza contare altre raffigurazione di “bellissime Manine sbucanti dal Cielo” realizzate e affrescate in Cappelle, chiese e Monasteri della nostra città Lagunare. Serve un po' cercare e osservare per vedere e trovare conferma … Venezia è Venezia.


Di recente accanto a un “Dextera Domini Veneziana”, mi è capitato di sentire raccontare da “un’erudita” Guida Turistica col suo bel fascio di sudate carte in mano, che quello era un simbolo araldico di qualche famiglia-Casato Nobile Veneziano. Allo stesso modo ho letto che le“Dextera Domini Veneziane” sono uno dei simboli delle Consorterie, delle Schole dei Mercanti Veneziani. Non è proprio esatto: le “Dextera Domini” significano un po’ di più.


Purtroppo anche noi Veneziani stiamo perdendo un po’ la chiave d’interpretazione e lettura di una certa simbologia antica. A volte “Facciamo di ogni erba un fascio” arraffazzonando spiegazioni alla buona. A volte è meglio avere il coraggio di dire: “non so”, senza avventurarsi in spiegazioni strampalate “dalle gambe corte” che possono farci meritare qualche figuraccia. In fondo è la verità, che c’è di male a professarsi ignoranti ? … C’è sempre tanto da scoprire, imparare e conoscere ... Volendo non si finisce mai di curiosare ... e Venezia in questo aiuta e insegna parecchio.




“La dirimpettaia di San Micièl: l’isoletta Veneziana di San Cristoforo della Pace.”

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“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 157.

“La dirimpettaia di San Micièl: l’isoletta Veneziana di San Cristoforo della Pace.”

Se vi recate a Palazzo Ducale a Venezia, ovviamente in Piazza San Marco, e vi spingerete insolitamente giù per la scaletta stretta e spoglia che un tempo collegava gli Appartamenti privati del Doge Andrea Gritti con la Chiesetta di Palazzo Ducale e il Collegio, finirete inevitabilmente col sbattere lo sguardo su di un bel affresco di San Cristoforo che occupa tutta la parete dipinto in sole tre giornate di lavoro. L’ha realizzato un “pintorello”, un certo: Tiziano Vecellio circa nel 1523ispirandosi di certo a stampe nordiche. Il grandissimo Tiziano si candidò arditamente e venne accettato come Pittore Ufficiale della Serenissima Repubblica” succedendo a Giovanni Bellini. In cima a quella scalettadisegnò un muscoloso Santo Gigante”, il “Traghettatore” col bastone della Leggenda collocandolo sull’orizzonte stupendo della Laguna Veneziana. Nell’affresco ha voluto riassumere un po’ tutto: c’è, infatti, Venezia col campanile di San Marco e la Riva degli Schiavoni, eperfino le vette alpine collocate sullo sfondo, che alludono sia ai larghi possedimenti di Terraferma della Serenissima, che alle aspre origini Cadorine e Dolomitiche dello stesso grandissimo pittore.
Strano connubio però quello del Dogee la Serenissima con San Cristoforo ! … Penso sarete d’accordo.
Che valenza poteva avere San Cristoforo per la Repubblica di Venezia ?

Siccome non siamo ingenui e abbiamo sbirciato un pochetto la Storia, sappiamo bene che Doge, Senatori, Nobili e Mercanti di Venezia erano uomini esperti, potenti, determinati, disinibiti e ispidi, avezzi a gestire i destini di buona parte del mondo Mediterraneo di allora. Spadroneggiavano sui mari fino al Vicino Oriente e oltre, e non è che i loro modi fossero sempre così gentili, buonini e diplomatici: facevano alto e basso a piacimento usando mezzi direi spesso bruschi per non dire brutali e spesso violenti ... anche fra loro stessi. Era lo scopo, il fine, ciò che contava per Venezia Serenissima: ossia il successo politico-economico. Come sapete meglio di me, i Veneziani di ieri erano quindi affaristi interessati, non affatto “stinchi di Santo”, anche se non disdegnavano di possedere attributi e competenze culturali e religiose, e sapevano atteggiarsi elegantemente rispettando e interessandosi delle mille regole del galateo, della moda, e di quanto interessava ai vari Potenti presenti sul palcoscenico della Storia dell’epoca.

Fra tutto questo alla Serenissima interessava anche San Cristoforo, tanto da dipingerselo in casa.

Perché ? … mi chiedo. Che senso aveva ?
Se osserverete con attenzione il San Cristoforo dipinto dal Tiziano a Palazzo Ducale, noterete di certo che emana una specie di complicità, c’è dipinto uno strano incrocio di sguardi “focosi e intensi” fra il San Cristoforo Veneziano “dal vigoroso piglio selvatico” e il Bambinello. San Cristoforo in un certo senso riassumeva in se tutto quella che era il destino della Serenissima, mentre il “Bambinello pesante” della Leggenda intendeva rappresentare il destino dell’Universo intero. Si capisce allora intuitivamente che le due realtà: la Serenissima e il Cristo erano come le due facce di un’unica medaglia, si scontravano-incontravano coagulandosi fra loro e assommandosi in un unico e comune destino e scopo. Lo sguardo del Bambinelloe del San Cristoforo, infatti, pare quasi lo sguardo “di due amanti e da moròsi”: Insomma significava che Venezia e il Padre Eterno, Dio e Cristo andavano “a braccetto”, si corrispondevano strettamente, formando “un unicum” inscindibile.
E la Storia lo confermava … Doge e Signoria Serenissima avevano sempre gran bisogno di aiuto dal Cielo per tutte le loro imprese e per tutti i travagli e le acrobazie economiche che incontravano. “Ogni buon aiuto” era gradito, quindi, a prescindere da quale parte provenisse ... fosse anche “dal Cielo”.  Venezia era spregiudicata, cinica talvolta, disposta a tutto, sapeva ricorrere e servirsi di chiunque per i suoi scopi … anche di Dio, e dei Santi e delle Madonne se fosse stato necessario.

Nella figura di San Cristoforo comunque c’era riassunto dell’altro, che i Veneziani conoscevano bene. Non a caso San Cristoforo era “molto caro” alla Repubblica, perché il suo nome oltre ad indicare il “Traghettatore Affidabile”(una specie di rivisto Caronte mitico), aveva anche altri significati, ad esempio quello di: “Portato da Cristo” e non solo “Portatore di Cristo”: il nome aveva un significato double face. La Serenissima era devota a San Cristoforo perché in lui riconosceva un personaggio che aveva abbracciato e si era lasciato guidare dalla Dottrina Cristiana e dalla Fededentro a possenti avversità, uno che si muoveva nelle difficoltà accompagnato e abbracciando la potenza miracolosa di Dio col quale tutto diventava possibile … Non dimentichiamo che alle porte della Storia di Venezia bussavano gli scontri-incontri col possente Turco, e c’erano in ballo tutte leGuerre Mediterranee e Crociatesche.

Venezia, insomma, era ambiziosa. Essendo disincantata e parecchio avveduta nelle “cose politiche del Mondo”, intendeva adergersi a “Portatrice del Cristo e della Cristianità”ossia voleva essere in qualche modo “Guida” dell’intera Umanitàconcepita allora. Non a caso era sempre Venezia a traghettare verso la Palestina-Terrasantamigliaia di Pellegrini da tutta Europa (su navi che a volte si chiamavano non per pura coincidenza: San Crìstobal, o San Cristòfaro).Era come un DNA, un compito che si attribuiva Venezia: “Essere afferrata, abbracciata e sostenuta, portata dal Cristo” per riuscire in qualche maniera a sua volta a dettare il modo di agire degli altri … chiunque fossero, anche i Potenti del Mondo con i quali valeva sempre la pensa di contrattare.

C’è poco da dire: i Veneziani di ieri erano davvero arguti e riflessivi, quasi geniali, oltre che immaginifici. Non si facevano“imbrombolàr”, condizionare e manipolare da nessuno facilmente, macome moderni manager pubblicitari e mediatici, non mancavano mai di arricchire le loro imprese politico-economico-militari-religiose con grandi immagini, ed esempi eclatanti spettacolari. che di rimbalzo fornivano alla Serenissima grande contenuto e spessore inducendo ad affidabilità e fiducia nei suoi confronti.

San Cristoforo allora, come tante altre immagini e contenuti: San Marco, Todaro, San Giorgio, la Madonna… faceva parte del Phanteon Santo Veneziano e di “un sentire tutto Veneziano” che era un misto di cultura, religiosità, tradizione e propensione a far proprio tutto quel “contenuto buono e utile”fornito dall’Antichità passata, o disponibile “fin nel più alto dei Cieli”.
La Storia ci racconta comunque, che Venezia ebbe il pregio in ogni epoca di rimanere irrinunciabilmente libera ed equidistante da tutto e tutti … Doge & C non erano affatto vecchi bigotti superstiziosi, timorosi e dalle vedute ristrette come si potrebbe pensare, ma un insieme efficiente e consapevole capace di muoversi acutamente nel panorama storico che di volta in volta si prospettava.


E non è ancora tutto su significato recondito dell’immagine di San Cristoforo ... La figura per molto tempo fu pure sinonimo dell’ideale Esploratore Universale, del Navigatore Avveduto e Intelligente che sapeva affrontare e attraversare ogni difficoltà: giusto quello che intendeva essere la Serenissima. San Cristoforo era pure simbolo dell’invisibile e temibile guerra da affrontare contro l’oscuro e ignoto Male Antico vecchio quanto l’Umanità se non di più. Cristoforo simboleggiava la volontà di contrastare le tormentate acque della Lotta contro Satana: il Male Storico simile a un Mare ostico, possente e ingovernabile, che tuttavia poteva essere sconfitto, superato e “guadato”, attraversato e vinto portati sulle spalle sicure della Cristianità e del Buon Governo. Venezia era simile e si riconosceva in quel Traghettatore muscoloso, ipotetico Navigatore, Avventuriero, Cartografo, Astronomo, Marinaio e Mercadante, e aveva con se, quasi come forza intrinseca, quel Bimbino Santo che era Padrone Economico e Salvifico del Mondo.

Venezia la sapeva lunga: covava una formidabile volontà di potenza ... che in un certo modo vedeva riassunta nella figura di San Cristoforo.

Una delle tante Leggende su San Cristoforo che girarono nei secoli lo dipingeva come: guerriero forzuto e coraggioso, quasi animalesco, appartenente a una rozza tribù antropofaga, il cui vero nome era: “Rèprobo dalla Testa di Cane". La Leggenda indicava un San Cristoforo Cinocefalo(dalla testa di cane) con tratti che rielaboravano le fisionomie dei famosi Miti della Divinità dell’Antichità. Si faceva assomigliare molto San Cristoforo all’Egiziano Anubis: il mostruoso “Traghettatore di Anime dalla Morte alla Vita”, oppure ad Ermete... Interessantissimo quanto impensabile fra il resto fu l’abbinamento di San Cristoforo Santo Cinocefalo con la Stella principale della Costellazione del Cane: la misteriosissima Sirio(complesso stellare quadruplo dai moti astronomici insoliti, protagonista annuale del Cielo Estivo). Sirio si vedeva distintamente in Cielo nel “tempo della Canicola” quando la stella luminosissima inseguiva lo spuntare e il tramontare del Sole. La Chiesa “vedeva San Cristoforo” in Sirioe nella Costellazione del Cane Maggiore, tanto che intendeva cambiare il nome della Costellazione intitolandola a lui.
San Cristoforo era quindi: un “Santo Cane”… anche se suona un po’ strana come immagine ed espressione, ma riassumeva in se un’infinità di significati.


Un’altra Leggenda raccontava, ancora, di un Cristoforo soldato imperiale convertito al Cristianesimo, insidiato da donne: Niceta e Aquilina, finite convertite a loro volta. Predicatore denunziato, processato e torturato, arso e decapitato, martirizzato in Licia nel 250 d.C. durante una persecuzione decretata dall'Imperatore DecioPer Jacopo da Varagine nel 1200, nella sua nota Legenda Aurea, San Cristoforo era già trasformato in “muscoloso Gigante generoso”disposto a servire chiunque avesse avuto bisogno. Cristoforo servì un po’ tutti: Re, Imperatori, e perfino il Demonio dal quale scoprì che il Cristo era il più forte di tutti, quindi meritevole della sua disponibilità e dei suoi servigi.

E non è ancora tutto … Secondo altre Leggende e Sinassari su San Cristoforo, compresi gli Atti di San Cristoforo risalenti all’VII secolo, il futuro “Sant’Uomo” divenuto Catecumeno, e volendo prepararsi a ricevere il Battesimo, su suggerimento di un “Pio Eremita” andò ad abitare e far penitenza in riva a un turbolento fiume dove traghettava i viaggiatori da una riva all'altra. Una notte venne svegliato da un anonimo ragazzino che lo pregò di guadarlo; Cristoforo allora disinvolto come sempre se lo caricò sulle spalle, ma mentre s'addentrava nell'acqua “il fanciullo” divenne sempre più pesante passo dopo passo, tanto che solo a stento riuscì a raggiungere la riva opposta destreggiandosi con un nodoso e lungo bastone nella corrente divenuta inspiegabilmente e improvvisamente vorticosa e impetuosa.
Il Medioevo era pieno di racconti, fiabe e leggende che dicevano di uomini selvatici ripescati sul fondo di stagni insidiosissimi, pestilenziali e mortiferi, dov’erano finiti da chissà quanto tempo.

“Ma chi mai sei tu ? … Che mi pare di trasportare sulle mie spalle il Mondo intero ?” esclamò il Cristoforo.
Ovviamente il “misterioso Bambino” gli si rivelò come “il Cristo” profetizzandogli che come lui avrebbe portato sulle spalle i destini e gli affanni del mondo intero meritandosi l’imminente martirio. Ecco quindi spiegato il nome di: Cristo-foro, (il verbo “fero” in Greco significa: portare o essere portati) ossia: “Portatore di Cristo e Portato da Cristo”.


La Storia riporta ancora che in Bitinia c’erano tracce di una Basilica dedicata a San Cristoforo già nel 452, e che nel lontanissimo 536 d.C. tra i firmatari del Concilio di Costantinopoli c’era stato un certo Fotino proveniente da un Monastero di San Cristoforo ... San Gregorio Magno poco dopo parlò di un Monastero intitolato a San Cristoforo presente a Taormina in Sicilia… Di certo San Cristoforo fu uno dei Santi più venerati nel Medioevo e del Rinascimento, soprattutto in Austria, Dalmazia e Spagna, ma anche in Oriente in quanto è considerato Santo anche dai Cristiani Ortodossi. San Cristoforo veniva rappresentato molto spesso all'esterno delle chiese come grande “Santo Viàtor” protettore e accompagnatore. Si diceva che chi lo osservava quel giorno non sarebbe morto, né avrebbe subito incidenti, nè incontrato pericoli.

A Venezia come altrove San Cristoforo è sempre stato recepito e venerato come il Patrono di tutti quelli che hanno a che fare con il trasporto, il viaggio e le spedizioni: Barcaioli, Pellegrini, Viandanti e viaggiatori, ma anche Facchini, Ferrovieri e Autieri. Nei tempi moderni il culto di San Cristoforo è stato perfino rilanciato su scala mondiale perché considerato: Protettore degli Automobilisti, dei Pendolari, dei Portalettere e degli Atleti … e perfino dei Fruttivendoli perché la Leggenda raccontava che dopo l’incontro col Cristo il suo secco bastone nodoso rifiorì rigoglioso.

Si dice ancora che la devozione per San Cristoforo sia d’origine Tedesca, e che già dal 1200 si sia diffusa progressivamente in tutta Europa e nel Bacino Mediterraneo giungendo ovviamente anche fino a Venezia. San Cristoforo era considerato come uno dei 14 Santi Ausiliatori("che recano aiuto") il cui Patrocinio eraparticolarmente invocato in occasione di calamità naturali, pestilenze e malattie, o come gesto taumaturgico contro disgrazie e pericoli d’ogni genere. La solita immancabile Leggenda raccontava ancora che: “Il 17 settembre 1445 un Gesù Bambino con un Crocefisso Rosso sul petto apparve prima da solo circondato da una miriade di candele accese a Hermann Leicht, un pastorello di Langheim, figlio dell’affittuario di un podere nel Frankental del Palatinato Germanico, e l’anno seguente in compagnia di altri quattordici straordinari quanto misteriosi “bambini”.
“Chi siete ?”ovviamente chiese il ragazzetto a quei misteriosi “14”, e quelli gli risposero d’essere i Quattordici Santi Salvatori bisognosi che venisse loro dedicata almeno una Cappella in quel posto “per il loro riposo”.
“Se ti farai nostro Servo … Saremo tuoi Servi.” sembrarono aggiungere ... o qualcosa del genere.
Per confermare che si meritavano quel sito accogliente, qualche tempo dopo i “14 Ausiliatori” apparvero di nuovo a una giovane molto ammalata portata lì appositamente (era la moglie del pecoraio), e da loro venne immediatamente miracolosamente sanata. Fu subito tutto un accorrere di Pellegrini e Devoti verso quei Quattordici Santi sconosciuti e dai nomi segreti mai rivelati, e per loro l'Abate Cistercense del vicino Monastero fu indotto a mettere in piedi tre anni dopo quanto avevano chiesto istituendo per gli stessi un’annuale Festa e grande Fiera e Sagra a metà dell’estate. Papa Niccolò V, venuto come sempre a conoscenza della cosa, si affrettò da parte sua a rifornire “quel fenomeno” di tutta una serie di adeguate Indulgenze e approvazioni: “Le Buone Opere devono sempre essere associate alla Fede.”
Ci fu quindi tutta un’escalation rituale, penitenziale ed elemosiniera che durò un bel pezzo ... per secoli. Solo verso la metà del 1700 si giunse all’edificazione del Santuario di Vierzehnheligen visibile ancora oggi nell’Alta Franconia Tedesca, e l’attenzione secolare verso i Quattordici Santi Ausiliatori continuò fino al 1969 quando Papa Paolo VI mise fine a quel particolare culto e devozione (parecchio seguita nonché redditizia).
I 14 Ausiliatori tuttavia rimasero a lungo anonimi, e quindi tutti un po’ a turno provarono a riconoscere nel loro elenco i Santi che più gradivano e sembravano loro adatti … soprattutto “utili”, e non si smise per secoli d’intestare loro un’infinità di Cappelle, Santuari, Ospedali e Monasteri.
Spulciando “la Tradizione”appartenevano ai Santi Ausiliatori: Sant'Acacio (o Agazio) e San Dionigi invocati contro l’emicrania e i mal di testa; Santa Barbara protettrice contro: fulmini, febbre e morte improvvisa; San Biagio contro il mal di gola; Santa Caterina d’Alessandria contro i mali della lingua; San Ciriaco da Roma valido contro le tentazioni e le ossessioni diaboliche; Sant’Egidio intercessore in casi di panico e pazzia; Sant’Eustachio sintetizzato in San Stàe a Venezia: Protettore contro i pericoli del fuoco; Sant’Erasmo adatto per i dolori addominali; San Giorgio efficace contro le infezioni della pelle; Santa Margherita d’Antiochia utile circa tutto quanto riguardava gravidanza e parto; San Pantaleone ossia il San PantalònVeneziano:buono per ogni tipo di dimagramento, disidratazione, dismetabolismo e consunzione compreso Diabete, Tubercolosi, Malattie Croniche e Vecchiaia; San Vito miracoloso per: Còrea, Idrofobia, Mal di Mare, Letargia, Sonnambulismo, Epilessiaed ogni accidente a carattere Neurologico. Infine fra i “14 Ausiliatori” c’era pure San Cristoforo “oriundo Cananeo”  tutore contro: uragani, tempeste e pestilenze … e “chi più ne ha, più ne metta”.
Fra i “14 Ausiliatori” ce n’era per ogni evenienza e necessità, anzi: ce ne sarebbero stati molti altri da aggiungere alla lista, solo che il “14” non sarebbe bastato più. In “lista d’attesa” comunque ci furono: San Pancrazio, San Magno da Oderzo, Santa Dorotea, San Sebastiano eSan Rocco che qualche volta comparvero fra i nomi a cui rivolgersi fiduciosamente … Erano una specie di Supereroi dell’Antichitàdalle sembianze Celesti… con tutto rispetto, ovviamente … che non potevano non essere presenti e seguiti anche a Venezia.


Ma veniamo finalmente dopo tutto questo preambolo, a parlare dell’isoletta di San Cristoforo della Pace presente per secoli nella Laguna di Venezia, perché è di quella che intendevo parlarvi fin dall’inizio.
Ve lo dico subito: è inutile che andiate a cercare di riconoscere e visitare l’isoletta di San Cristoforo della Pace dirimpettaia dell’isola di San Michele Arcangelo di Murano. L’isola di San Cristoforo della Pacenon esiste più: è stata inglobata nell’Isola dei Morti e del Cimiterodi San Micièl fin dagli interramenti e dai lavori napoleonici del 1800, e quindi di lei praticamente non rimane più niente se non il nome e la memoria.

A dirla bene tutta, il nome giusto e completo dell’isola era: Santi Onorio e Cristoforo della Pace ... e l’isoletta distava solo “uno sputo”, ottanta metri d’acqua dalla più considerevole e ampia Isola di San Michele, quella della Via Michaelica di cui ho scritto di recente. Una specie di “isola gemella” appaiata a San Michele, a pochi metri d’acqua dall’arcipelaghetto di Murano e dalle Fondamente Nove di Venezia.

Perché “della Pace” ? … e perché di “San Cristoforo” ?
Come sempre, secondo me sono interrogativi curiosi che meritano qualche tentativo di risposta. Non è mai banale andare a frugare fra “le cose” di Venezia, ci sono sempre interessantissime sorprese.

L’isoletta di San Cristoforo di Venezia, inizialmente “lungo tratto di rilevata palude”, venne concessa per decreto del Maggior Consiglio del 1322 a Bartolomeo Verde per istallarvi un mulino a vento e ad acqua per uso cittadino. Poco tempo dopo, sulla stessa isoletta sorse un Ospizio posto già sotto il titolo dei Santi Cristoforo e Onofrio per ricoverare “donne penitenti” sotto il controllo di un Priore nominato dal Doge in persona. Curiosamente e proprio “alla Veneziana”, tutto quanto stava a Nord del Canale di San Michele apparteneva alla giurisdizione della Diocesi di Torcello e quindi a Santo Stefano di Murano, mentre quanto emergeva a Sud dello stesso canale era sotto il controllo della Diocesi Castellana di Olivolo ossia affidata alla Parrocchia e Contrada di San Cancian nel Sestiere di Cannaregio.

Nel 1384 Leonardo Frescobaldi Pellegrino di passaggio a Venezia diretto in Terrasanta annotava nel suo diario:“… alla chiesa di Santa Lucia vedemo il suo Corpo intero ed è bellissima Reliquia e hannovi grandissima divozione i Viniziani ... Al Munistero delle donne di San Zaccaria … di un altare vedemo interi e salvi bellissime Reliquie del detto San Zaccaria e quelle di San Giorgio di Nazareth e quelle di San Teodoro Martire ... Nella chiesa di San Cristofano nell’altare si dicono come è il corpo suo, vedemo il suo ginocchio et è grandissima cosa a vedere. Nella chiesa di San Giorgio fuori Venezia vedemo il braccio suo e l’corpo di San Paolo Martire e la testa di San Felice. Nella chiesa di Santa Lena madre di Costantino imperatore fuori di Venezia vedemo il corpo suo intero e è bellissimo Reliquia, e vedemovi un gran pezzo del legno della Santa Croxe e uno dito della mano di Santo Jacopo Apostolo, e tre dita della mano di San Costantino imperatore. Nella chiesa di San Donato a Murano fuori di Venegia vedemo nella chiesa una grande arca di pietra, entrovi 198 corpi di fanciulli piccolini interi i quali dicono che furono di quel numero degli Innocenti che l’Erode fece uccidere a quali si vede i colpi  e le ferite chiaramente e ogni membro naturale, dicono che soleano essere 200 ma quando i Viniziani feciono la pace con Re d’Ungheria per patto ne ebbe 2 ...”

Probabilmente il Pellegrino accennava all’isola di San Cristoforo o a qualcosa di simile e con lo stesso nome presente di certo in Venezia.

Le Penitentise ne andarono ben presto dall’isola di San Cristoforo, e tutto andò in rovina finchè il Doge Francesco Foscari nel 1424 diede le rovine dell’Ospizio al Fiorentino Giovanni Brunacci Religioso di Santa Brigida. I Brigidini allora rimasero nell’isola per una decina d’anni fino a quando lo stesso Doge diede la stessa, di fatto sempre abbandonata, a Fra Simone da Camerino Rettore Generale degli Eremiti Agostiniani di Monte Ortone e soprattutto grande intermediario nel 1447 fra il Ducato di Milano e la Repubblica Serenissima durante la guerra che si concluse nel 1454 con la Pace di Lodi.

In quella stessa occasione, la Serenissima scelse proprio l’isola di San Cristoforoper farne una specie di monumento nazionale in grande stile. Al Monastero e chiesa degli Eremitani Agostiniani rifabbricati e restaurati furono concessi grandi privilegi e l’isola venne chiamata: San Cristoforo della Pace.  S’incisero ovunque nell’isola le insegne di Milano concatenate a quelle di Venezia, e nella chiesa si esposero gli stendardi di Milano che Francesco Sforza aveva donato a Padre Simone.


Per questi motivi l’isoletta Veneziana divenne prestigiosa, e durante il secolo seguente numerosi Nobili Veneziani collocarono lì le loro tombe e Cappelle Funerarie di famiglia: Stella, Duodo, Morosini, Marcello, Cappello, Corner i nomi più significativi … e come accadeva sempre, Papa Pio IV volle fare la sua parte nel 1561 consegnando in regalo con apposito “breve” agli Eremitani Agostiniani di San Cristoforo della Pace e alla Congregazione di Monte Ortonela Parrocchiale del Contado di Meolo con relativi livelli e rendite sui fondi dati in gestione ai Nobili Cappello.
Tre anni dopo nell’isola di San Cristoforo risiedevano 18 Eremiti Agostiniani che erano proprietari insieme ad Augustin Dozzo di tre mulini a Borbazzo sul fiume Sile(di cui uno fermo perché aveva le ruote in disordine) concessi “a livello” ai mugnai del posto: De Nardi e Domenego Mattaragin. La posta da mulino inattiva venne data in concessione ugualmente a Jeronimo Contarini e a Giobatta Duino perché l’aggiustassero e riattivassero, mentre poco distante c’era un’altra posta da molino abbandonata dai Nobili Querini.

Alcune Cronache Veneziane narrano che: “Nel 1491 fondossi in San Cristoforo della Pace la Schola dei Barcajuoli del Traghetto di Murano con Stazio al Sottoportico e Ponte di San Cancian, (donde all'epoca democratica passò a Santa Maria degli Angeli di Murano): Traghetto antichissimo, narrando un vecchio cronista che il Doge Angelo Partecipazio, il quale nel nono secolo aveva foro nel prossimo “Campiello della Casòn”, teneva delle barche armate colà ove ricevevansi quelle provenienti dall'isola di Murano.”
Il Sodalizio-Fraglia dei Barcaroli del Traghetto di Murano dedicato alla “Natività di Maria Vergine”si trovava spesso in contenzioso col vicino Traghetto di Santa Caterina, e contava ancora nel 1719: 57 Compagni che esercitavano altrettante“Libertà” ossia: diritto acquistato o ereditato d'occupare un posto nel Traghetto esercitando il mestiere di Barcarolo o Gondoliere.

Apro una piccola parentesi secondo me“curiosa nel curioso”: [Durante il 1800, i Servizi di Paràda con gondole da Venezia alle Rive di Murano e viceversa costavano per una e fino a quattro persone: lire 25 per una gondola a 1 remo, e lire 50 per una a 2 remi “in giorno tranquillo”, mentre costavano: lire 40 e lire 70 “in giorno con tempo burrascoso”. Di notte, invece: “dall’Ave Maria della sera suonata, al tiro del cannone (ora della Pattuglia), e con buon tempo”, la tariffa era di lire 40 e lire 80; lire 60 e 100 se “con tempo burrascoso”. Dal tiro del cannone della sera fino all’alba con buon tempo, “il tragitto”costava: lire 60 e 120; lire 80 e 140 con tempo burrascoso. In caso di “gran burrasca” in cui fosse stato necessario armare la barca con 4 rematori i prezzi giornalieri salivano a lire 250 di giorno e 500 di notte ... Noleggiare per un’ora una Gondola a 1 remo con Barcaroli decentemente vestiti, costava: 1 lira, e 0.50 per ogni ora successiva ... Per una giornata di 10 ore: 5 lire, e ogni bagaglio non portato a mano: lire 0.20 ... Tutto costava 1/3 in meno se si arrivava a trasportare fino a 6 persone in un colpo solo ... “Fuori Circondario” il prezzo andava contrattato.



Secondo me curioso ancora: fino al maggio 1858, i Barcaroli Veneziani pagavano giornalmente un’antica “Provvidenza di un Soldo per l’ammalà” destinata ai Compagni indisposti e inabili. Da quell’anno si costituì, invece, un “Fondo di Soccorso per i Barcaruoli dei Traghetti cittadini per il comodo pubblico ed il benessere della numerosa classe dei barcajoili e delle loro famiglie”. Contemporaneamente le singole Fraglie o Compagnie di ciascun Traghetto costituirono un Fondo alimentato dall’esborso giornaliero di 6 centesimi da maggio ad ottobre, e da una porzione delle multe inflitte ai Gondolieri per le contravvenzioni. A chi era “nel bisogno”si corrispondevano: “lire 1 al giorno estendibile a 2 lire per le situazioni segnalate dalle singole Fraglie dei Gondolieri” ... Il Comune e il Principe Ereditario contribuirono nell’occasione con: lire 1.000.
Qualche anno più tardi si istituì anche un velocissimo “Servizio di Omnibuscoperto” a 8 remi dalla portata massima di 14 persone, attivo soprattutto nella stagione estiva con prima partenza da Murano Sottoportego della Madonetta per Venezia Sottoportego de Santi Apostoli alle ore 04 del mattino. Una corsa giornaliera costava a persona: 10 centesimi di lira Italiana di giorno, e 25 centesimi di notte. Al di fuori dell’orario stabilito, chi volesse usufruire di una corsa singola urgente di sola andata doveva pagare: lire 2 Italiane, il doppio per andata-ritorno.]
Interessante no ?

Tornando all’isoletta di San Cristoforo, dall’inizio del 1600 e durante gli anni della Pestilenza che decimò Venezia e il Veneto, gli Eremiti di San Cristoforoaffittarono a livello il fondo di Meolo a Cattarin Malipiero ... Negli stessi anni il Monastero pagava lire:4,soldi:9, edenari: 11 di tasse alla Serenissima, e possedeva una rendita annuale di 76 ducati proveniente da beni immobili posseduti in Venezia.


Un secolo dopo però il Monastero “perdeva i pezzi”, e nel maggio 1763 si fece “una scrittura” al perito Ignazio Caccia perchè si restaurasse la chiesa di San Cristoforo spendendo 1.820 ducati ... Di lì in poi fu: “tutto un taconàr isola, Cièsa e Monasterio per almeno vent’anni consecutivi” spendendo a più riprese: prima 488 ducati, poi 512, poi 360 … Nell’isola in cui abitavano stabilmente 30 persone, sorgeva oltre al Convento, un deposito-bottega di legname, un’ampia ortaglia coltivata da contadini Veneziani, un piccolo Cimitero della Nazione Allemanna, e anche una Fornacedi mattoni e pietre cotte circa la quale si giunse a denunciare presso la Serenissima che accadevano furti reiterati di cenere da mattone. Gli uomini della Repubblica s’attivarono subito e catturarono “in flagranza di reato”: Francesco Dal Moro e Giovanni Fuga detto Cina che vennero rinchiusi “nei camerotti” di Palazzo Ducale.
Alla fine della fine anche per l’isoletta con chiesa e Monastero di San Cristoforo giunsero a più riprese Francesi e Austriaci che requisirono e chiusero tutto “per pressanti esigenze militari” spedendo i 6 Monaci Eremitani rimasti nel Convento di Santo Stefano di Venezia vicino a San Marco.

A dicembre 1806 gli ex Eremitani dell’Isola di San Cristoforo chiesero: “che uno dei Confratelli possa rimanere nel Convento abbandonato per attendere alla quotidiana spirituale assistenza della sebben picciola popolazione.” … Il magnanimo Ministro del Governo addetto al Culto: acconsentì.

Nel gran trambusto, intanto, s’inviarono alla neonata Galleria dell’Accademia di Venezia tutte le preziose opere pittoriche che tappezzavano la chiesetta di San Cristoforo realizzate dai Vivarini di Murano, Giovanni Bellini, Marco Andrea Vicentino, da Giacomo Bassano, Cima da Conegliano e dalla Scuola del Tintoretto ... Andò smarrita, invece, la Santa Reliquia del Corpo della Beata Grazia Agostiniana che come tante altre attirò nell’isola per secoli le visite dei Pellegrini di passaggio per Venezia.


Fra 1810 e 1827, s’imbonì e interrò il canale che divideva le due isole di San Michele e San Cristoforo, e si demolì quasi tutto per far spazio all’idea del Nuovo Cimitero che sulla carta voleva arricchirsi di molti portici e monumenti (mai realizzati però per mancanza di soldi). A ricordo delle vicende dell’isola dal marzo 1824 rimase l’Arciconfraternita e Compagnia di San Cristoforo e della Misericordia che accompagnava i Morti alla sepoltura, e utilizzava prima l’antica Cappella Funeraria di San Cristoforo e poi dal 1840 la Cappella Emiliani in San Michele in Isola. Ancora nel 1853: “nell’ultimo giorno di Carnevale i Confratelli dell’Arciconfraternita e Compagnia di San Cristoforo e della Misericordia si riunivano in isola per celebrare Suffragi per i Morti e Atti Riparatori per le dissipazioni dello stesso Carnevale”.
Nel bel mezzo dell’attuale Cimitero insulare di San Michelein Isola troneggia ancora oggi fra i Cipressi e satura di melanconici silenzi, una chiesetta a cupoletta (a mio avviso bruttina e di modesta fattura), un po’ naif nei dipinti mosaicati, e pomposetta nell’architettura: è la Chiesetta di San Cristoforo, ultimo riferimento all’isola che non c’è più e che lì c’è stata per molto tempo.


Ho quasi finito … e termino abbinando un’altra curiosità Veneziana su San Cristoforo secondo me ugualmente singolare. Non tutti sanno che a Venezia la chiesa conosciuta come Madonna dell’Orto nel Sestiere di Cannaregio in realtà si chiamava ed era dedicata inizialmente proprio a San Cristoforo.

Dietro la Fondamenta de la Sensadedicata allora a San Cristoforo Martire, in una zona di Venezia allora scarsamente abitata, doveva esserci un’ampia area utilizzata soprattutto per i Commerci, l’attività mercantile, la navigazione, e il deposito di merci e legname sulla Via Acquea che veniva dalle Isole della Laguna e dalla Vie Fluviali provenienti dalle zone montane della Terraferma: dicevamo appunto di San Cristoforo Protettore di Mercanti e Viaggiatori e Trasportatori

Leggenda racconta che nel 1366 Paolo dalle MasegneMastro Scalpellino ebbe incarico di scolpire le 12 statue degli Apostoli per la facciata della nuova chiesa di San Cristoforo. Esisteva l’usanza Medioevale del mestiere di non rappresentare mai “Giuda Traditore” sostituendolo con San Mattia che aveva preso il suo posto di Apostolo. Paolo Delle Masegne si diceva fosse un segreto Adoratore del Demonio, e che perfino la chiesa di San Cristoforo fosse un luogo di Culto Satanico e Pagano(niente di improbabile perché anche a Venezia sono attestati diversi culti preCristiani). Al Dalle Masegne in persona il Demonioconsegnò 30 monete come quelle di Giuda dandogli l’ordine di inserire in facciata anche la statua di Giuda Traditore. Lo Scalpellino quindi eseguì facendo celebrare da un Frate di San Cristoforoun’apposita Messa Nera per favorire la realizzazione dell’opera: Paoloprese accordi col Frate e stabilì la data per la strana Messa ... Questo avvenne durante la Settimana Santa, mentre in chiesa assisteva ignara al “Rito Profano” anche Isabella Contarini: una dodicenne facoltosa Nobile Veneziana considerata “mezza Santa” in quanto capace di dialogare con l`Aldilà e predire il Futuro leggendolo nell`aura delle persone ... Guarda te ? …  Nel bel mezzo della“Strana Messa” la donna smascherò il Dalle Masegne indicandolo a tutti come Discepolo del Diavolo, e costui preso da rabbia le si scagliò contro ... Un fedele presente ebbe però la prontezza di buttargli dell`Acqua Santa addosso, perciò lo Scalpellino stramazzò a terra svenuto mentre si oscurò il cielo e soffiò un vento fortissimo.Quando Paolo rinvenne non ricordava nulla ... ma la statua di Giuda rimase al suo posto in facciata, dove sta ancora oggi.



Nello stesso luogo, Storia racconta, alcuni uomini Veneziani: "bone persone et boni mercadanti" fondarono la Schola di Santa Maria e San Cristoforo dei Mercatanti approvata dal Consiglio dei Diese e accolta dal Preposito degli Umiliati.  I Frati Umiliati erano un Ordine Monastico sorto fra i Lavoratori della Lana in Lombardia e poi espanso e allargatosi fino a giungere anche a Venezia.

Quei Mercadanti della Schola scrivevano nel 1377: “… quanto com maggior lodi, reverentia e devocion a San Cristofro se tornaremo, tanto plu ferventemente ello serà avanti lo nostro Creatore nostro protectore et advocato…”

Tutto iniziò come si faceva in quei tempi con una gran bella Processione di Ringraziamento, e nella stessa estate si portò in chiesa la statua miracolosa della Madonna col Bambino dell’Orto detta Madonna Odorifera(nome andato perduto) che i Frati Umiliati comprarono da un privato Veneziano per 150 ducati d’oro in accordo con la Schola dei Mercanti. In verità: i Frati erano senza soldi, e si offrirono di pagare il Veneziano celebrandogli un po’ di Messe. Pensate che accettò ? … I soldi veri li misero i Mercanti della Schola di San Cristoforo, e la Madonna miracolosa venne trionfalmente portata in chiesa.

Fu un affarone per entrambi: Frati e Mercanti, la chiesa cambiò nome in “Madonna Miracolosa dell’Orto”, e iniziò ad attrarre quotidianamente migliaia di Veneziani e “forèsti”. Le carte degli Archivi raccontano che il numeroso denaro che si raccoglieva veniva conservato in un cassone armato posto davanti all’Immagine della Vergine dell’Orto, le cui doppie chiavi erano affidate ovviamente una agli Umiliati e l’altra ai Mercanti, che finirono per litigare fra loro ovviamente per le spartizioni. C’era stato un accordo scritto fra i Frati Umiliati e i Mercadanti della Schola di spartirsi le elemosine e le donazioni dei Veneziani: tutto il denaro andava ai Frati per chiesa e Convento, mentre: ori, sete preziose, gioie e lasciti sarebbero andati alla Schola … Comunque solo nel 1420 lo stesso Consejo dei Dieseacconsentì che la Schola aggiungesse alla sua denominazione anche quella di Santa Maria dell’Orto…. Dieci anni dopo, quando fra gli elencati della Schola c’era anche Cristoforo Moro futuro Doge nel 1462, e come Gastaldi si susseguirono diversi Mercanti Lucchesi, un Confratello Mercante: tale Marco Trevisan donò alla Schola una grande statua lignea intagliata e dipinta di San Cristoforo che venne posta su di un altare della chiesa ... Nel 1433 i Mercantidella Schola denunciarono una prima volta gli Umiliati al Papa accusandoli d’essersi immoralmente appropriati di tutte le “offerte della Madonna”. Il Vescovo di Castello su mandato del Papa avviò un’apposita indagine, e alla fine espulse gli Umiliati da Venezia consegnando il complesso Monastico ai Frati Francescani Minori .

Gli Umiliatiovviamente non accettarono, e contrattaccarono Schola e Papaappellandosi al Senato e al Doge. Come finì ?
Terminò che la Serenissimapermise ai Frati Umiliati di rientrare a Venezia rientrando in possesso di tutte le loro rendite e proprietà ... Trent’anni dopo ancora, si stipulò un contratto con Bartolomeo Bon per costruire un nuovo portale della chiesa: metà delle spese sarebbero state a carico dei Frati, l'altra metà a carico della Schola dei Mercadanti ... ma partì una nuova querela dei Mercanti contro gli Umiliati per lo stesso motivo di sempre, e stavolta nel 1461 la Serenissima provvide in persona all’espulsione definitiva dei Monaci affidando la proficua Madonna dell’Orto ai Canonici Regolari di San Giorgio in Alga: i Monaci Blu, i così detti: Celestini del Patriarca (futuro San) Lorenzo Giustiniani ... Quello fu l’inizio della crisi cronica della Schola dei Mercadanti, che iniziò un lento declino progressivo vedendo diminuire sempre di più il numero dei propri iscritti.

La Schola festeggiava da sempre due Solennità pomposamente: il25 luglioFesta di San Cristoforo, e l’8 settembre: Festa della Natività di Maria: "… sempre ogni anno lo di del Martire Mesièr Cristoforo far se debia una solenne Luminaria cum doplieri e Suonadori, avanti che comensa la Messa, facando quella cum Procesion, cum lo Penelo e cum a Croxe, e con li dopleri de la Schola, portando le Reliquie,le quali è al Monasterio de San Cristofero de l'Ordine de Humiliadi, in la dicta Procession cum panno indorado, over de seda ..."
Ogni anno, inoltre, i Confratelli Mercadantidell’Orto si recavano processionalmente, il Venerdì Santo, fino alla chiesa Patriarcale di San Pietro di Castello e a quella Ducale di San Marco attraversando tutta la città di Venezia col loro prezioso Crocefisso e trasportando le preziose “Reliquie del Brazzo e del Ginocchio de San Cristoforo”accompagnate da “quattro fregi dorati”.

Nel 1534 quando la Scholaannoverava fra i suoi più di 60 Nobili, era guidata soprattutto dai Cittadini Comin ... Il numero dei Confratelli tuttavia era ormai ridotto ai minimi termini, perciò si decise d’aprire le iscrizioni anche alle donne ... ma arrivarono inaspettati “rinforzi”, ossia gli uomini di un’altra Schola dei Mercanti dislocata fin dal lontano 1261 nel chiostrino di San Nicolò della Lattuga ai Frari nel Sestiere di San Polo(esisteva un’altra Schola dei Mercanti anche a Santa Maria Formosa, ad esempio). I Mercanti dei Frari avevano litigato con i Frati Conventuali, perciò la Schola di San Francesco e Santa Maria della Misericordia dei Mercanti e Navigantisi trasferì alla Madonna dell’Orto coagulandosi con quella di Santa Maria e Cristoforo: fu la ripresa ! … Freschi di nuovi finanziamenti, si decise subito per un gran bel restauro e ampliamento della Schola, e di ricavare “una bella Sala dell’Albergo” a imitazione delle altre Schole Grandi Veneziane. Per far questo la Schola dei Mercanti ottenne dal vicino Monastero: “un magazen affacciato sulla Fondamenta della Madonna dell’Orto”.


Il ricco Capitolo dei Mercanti affidò i lavori nientemeno che ad Andrea Palladio, e sopra al timpano triangolare del portale della nuova Schola fece collocare una statua di San Cristoforo antico Protettore della Confraternita, mentre sulla porta laterale si collocò una Vergine con Bambino che i Mercanti dei Frari si erano portati dietro dalla loro vecchia sede ... Da quella volta, la Festa Patronale dei Mercadantidella Madonna e san Cristofarosi sarebbe tenuta non più in chiesa ma all’interno della Schola ... e tutti vissero per un bel pezzo: “felici e contenti”.

La Schola, infatti, divenne ricchissima, oltre che prestigiosa e avviatissima, tanto che fece ricoprire completamente le ampie pareti della sua sede da “12 Storie di San Cristoforo”e da molteplici opere e teleri dei più grandi pittori dell’epoca: Tintoretto(che abitava poco distante a due passi), Cima da Conegliano, i fratelli Antonio e Domenico Aliense, Palma il Giovane e Paolo Veronese che realizzò una spettacolare Annunciazione(conservata oggi alle Galleria dell’Accademia).

Non fu tutto … perché prima nel 1569 il Papa diede ordine di “normalizzare”i Canonici Regolari di San Giorgio in Alga, gli stessi della Madonna dell’Orto: “… in quanto non recitavano la Professione di Fede e non risiedevano stabilmente nel Monastero … Erano Monaci ribelli in conflitto con l’Autorità Ecclesiastica e resistenti alle Riforme del Clero.(possibile ? … ma non erano i Monaci dello stesso Patriarca di Venezia ?)... In realtà si trattava di “strategie Romane” contro la Serenissima: i Monaci che vivevano nei Monasteri quasi spogli dei Canonici Regolaridi San Giorgio in Alga, erano per la maggior parte Nobili intellettuali Veneziani, umanisti colti, uomini facoltosi liberi di muoversi in giro per Venezia e tutta l’Italia inseguendo i loro affari, spesso stranamente senza amanti e concubine. I Canonici Regolari di Venezia:“… erano molto rispettati per aver vissuto religiosamente, senza scandalo … vivendo con sovvenzioni provenienti da Bologna e pure da Roma.”

Nel 1570 quasi tutti i Canonici di San Giorgio in Alga “si arresero alle richieste di Roma”, ma preferirono lasciare l’abito monastico e rientrare nei loro nobiliari palazzi Veneziani piuttosto che pronunciare il voto d’obbedienza al Pontefice Romano ... Durante il 1600 la Schola dei Mercanti “viaggiava ancora bene”: unitamente a quella di Sant’Orsola dei Santi Giovanni e Paolo finanziavano un’altra Schola Piccola e “povera”: la Schola della Trinità della Contrada di Santa Ternita di Castello, che era come una sua dependance dall’altra parte della città … e finanziava e sosteneva pure la Repubblica Serenissima offrendo 150 ducati annui per la Guerra contro il Turco… Fu per lo stesso motivo che nel 1668 … giri e rigiri della Storia … Papa Clemente IX finì col sciogliere la Congregazione di San Giorgio in Alga fornendo i suoi cospicui beni allaRepubblica di Venezia per finanziare una nuova guerra contro i Turchi … Venezia ovviamente accettò, e stavolta toccò ai Cistercensi di San Tommaso dei Borgognoni di Torcello prendersi cura della ormai decadente “Madonna e San Cristoforo dell’Orto”.

Il secolo seguente la Schola forte nelle sue file di un gran numero di Nobili, Pittori, Tagiapera e Scultori “sparò i suoi ultimi colpi”, e giunse a chiedere al Consiglio dei Dieci di poter essere annoverata nel ristretto numero delle prestigiosissime Schole Grandi di Venezia. Per ben cinque volte le venne negato il privilegio ... Durante una sesta votazione dopo ricorso venne, invece, ammessa … per revocarle subito la concessione definitivamente … Valla a capire la Serenissima !

Ancora nell’aprile 1743, come ricordava Girolamo Zanetti:“… nelle sei Schole Grandi si fecero le solite Palme e si mandarono i soliti regali di quadri de Santi Titolari al Doge, al Patriarca e al Cancellier Grande … Sopra tutti si distinse il Vicario della  Beata Vergine e San Cristoforo detta de’ Mercanti e posta alla Madonna dell’Orto che diede ai Confratelli per palma una bella medaglia d’argento del valore di circa 20 lire. Questo era di cognome Angeli e di professione Avvocato…”

Dal 1714 al 1777 (anno della “Ricondotta degli Ebrei” che vietò loro ogni attività manifatturiera mandando sul lastrico 90 famiglie), nella Contrada di San Cristoforo dell’Orto non lontana dal Ghetto Ebraico, e dalla chiesa della Madonna dell’Orto dove i Monaci Cistercensi erano inadempienti di 14.300 Messe già pagate e non celebrate, si avviò una produzione di: “tessuti di rasse e tende da galea, e vestiario da detenuti” appaltata alla famiglia Ebrea: Gentili. Venne spostata a Venezia la fabbricazione che avveniva inizialmente ad Azzano Decimo in Friuli, e s’iniziò a lavorare in 15 locali con 32 telai dando lavoro e sussistenza a 1.000 popolani Veneziani: “Si producevano coperte di schiavine, Felzàde e rasse ottenute da lane di scarto … e tessuti leggeri come: Scotti e Flanelle e Talled e Scialli alla maniera ebraica”.

Il 1800 portò come ben sapete alla fine traumatica di tutto con le consuete privazioni, i disfacimenti e le squallide soppressioni napoleoniche. Anche della Schola dei Mercanti di San Cristoforo dell’Orto si fece basso scempio sottraendo tutto il saccheggiabile, e rimase quasi niente: solo quattro pareti spoglie in seguito destinate a Cinematografo e Patronato.


Concludo, infine … per davvero stavolta. Quand’ero bimbetto e vivevo nell’isoletta di Buranoin fondo alla Laguna di Venezia, Suor Teodorica per tenerci un po’ tranquilli ci diceva: “Venite qua ! … che vi racconto un fatto.”Siccome era proprio brava ed avvincente nel raccontare, anche i più “terremoto”di noi “si chètavano”, e calava ogni volta un imponente silenzio in classe ... Lei iniziava perciò a raccontare ... Non volava una mosca … ed era capace di tenerci tutti inchiodati lì per un’oretta … Poi le gambe iniziavano a mulinare sotto ai banchi, le sedie diventavano scottanti, e c’era urgente bisogno di uscire all’aperto per “lasciarci esplodere” in tutta la nostra sana allegria ed energia. Fra le tante cose che la “magica Suora” ci ha raccontato, vi sembrerà forse strano, ma ricordo distintamente che figurava anche la Leggenda di San Cristoforo.
Mi pare ieri quando l’ascoltavo … Mi sembra ancora di udire lo scorrere travolgente di quelle acque torrenziali e impetuose che spingevano via: “quel Sant’Uomo tornito piantato saldamente con le gambe nell’acqua”… Suor Teodorica lo faceva assomigliare ai pescatori Buranelli della Laguna, San Cristoforo pareva un nostrano traslocatore e barcarolo, un assistente di Cristi … anzi: di “poveri Cristi” come ce n’erano tanti nella nostra isola … A volte succedeva per davvero che ci sostenessimo reciprocamente fra noi nell’isola. Le Leggende quindi talvolta si trasmutavano in pratica e quotidiana visibile realtà ... Non erano solo vecchia fiaba quella di San CristoforoTrasportatore e Traghettatore … ma riflesso di quanto si viveva.

Erano trascorsi secoli … ma Storia e Leggenda si confondevano ancora in un miscuglio reale vividissimo e indistinguibile.





“La cesètta della Madonna dell'Arsenale.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 158.

“La cesètta della Madonna dell'Arsenale.”

Stavolta vi dico proprio poca ròba, quatro àche”, “Butèmo l’òcio su l’argomento”… e niente di più ... Come sempre senza pretese.

La chiesetta della Madonna dell’Arsenaleè un tipico “caso Veneziano”, e la sua breve storia riassume alcune notizie proprio caratteristiche e secondo me curiose della Storia di Venezia.

Tutto iniziò nell’animato e vissutissimo Sestiere di Castello presso la “Caxa dell’Arsenal” un po’ prima della metà del 1500. Nel giugno 1537 il Senatodecretò che le numerosissime elemosine che pervenivano alla Chiesetta della Madonna “miracolosa” venissero destinate all’Ospedale della Pietà che si trovava in difficoltà economica.

Perché si decise così ?



Perché nella Contrada proprio accanto alla Porta dell’Arsenal stava accadendo ormai da un certo tempo un progressivo concorso di popolo, e si stava celebrando un gran numero di Messe, tanto da preoccupare seriamente il Piovano Antonio Contarini e il Capitolo della Contrada di San Martin di Castello(chiesa per antonomasia degli Arsenalotti per via della sua vicinanza con l’Arsenale) che vedevano diminuire le loro rendite ed elemosine a causa di “quel grande abuso esercitato in casa loro a loro insaputa e senza il loro permesso”.

Venezia non era affatto nuova a situazioni del genere … anzi ! … Ma i soldi erano soldi … E che diamine ?  … Cos’era quella novità ? … Un danno di certo ai Preti di San Martin ... e siccome il fenomeno non sembrava volersi arginare, ancora quasi vent’anni dopo, intervenne di nuovo e perfino Vittore Putrolano Vicario del Patriarca di Venezia Gerolamo Querini che passò a misure più severe promettendo la scomunica e una multa di 10 ducati d’oro a chiunque avesse osato ancora celebrare Messe davanti “a quell’immagine miracolosa dell’Asenal” senza il permesso (e la percentuale dovuta) del Piovano e del Capitolo di San Martin.

Accipicchiolina ! … A ciascuno il suo ! … No ?

Come capitava di solito a Venezia e altrove, era spuntata presto anche un’immancabile Leggendache narrava di un antico affresco della Santa Vergine Madonna(andato perduto) dipinto su una lesena esterna del muro di cinta dell’Arsenale, che venne ricoperto da una nuova pittura raffigurante San Marco. Il giorno dopo il restauro e la ridipintura, il dipinto con l’effigie di San Marco risultò sorprendentemente svanito, ed era ricomparsa la solita immagine della Madonna di sempre. Ci fu perciò tutto un accorrere di Veneziani fedeli e no per vedere dal vivo quel “prodigio”, e fu così che … “da cosa nasce cosa”… venne a crearsi una nuova “devozione” che generò ovviamente anche un consistente flusso di offerte ed elemosine tale da poter permettere l’edificazione di un’apposita chiesetta sul posto dedicata alla Madonna dell’Arsenale.

Figuriamoci i Preti del Capitolo di San Martin ! … furibondi ... oltre che risentiti, e per nulla arresi a rinunciare ai loro “diritti”.



Infatti, ancora nel successivo 1562, era ben noto a tutti i Veneziani che nella Ciesèta della Madonna dell’Arsenale non si poteva assolutamente celebrare Messa per rispetto alle severe disposizioni della Curia Patriarcale ... I Preti di San Martin l’ebbero vinta solo a metà: niente Messe a pagamento su quel posto troppo accanto al loro, ma la Chiesetta della Madonna Miracolosasorse lo stesso proprio appiccicata, sulla Porta da Mar, la sontuosa Porta d’Acqua dei Leonidell’Arsenale(i Leoni collocati fuori dell’Entrata dell’Arsenale provengono dalla Grecia e mostrano alcune antiche quanto misteriose scritte runiche interessantissime), presso le Torri di Levante della Caxa dell’Arsenal dei Veneziani… e non fu poco.



In alcune vecchie mappe e stampe di Venezia, compresa quella famosissima del De Barbari la chiesetta dell’Arsenale non appare affatto, e ci sono stati celebri pittori e vedutisti Veneziani che nelle loro opere giovanile non la “visionarono e dipinsero”, mentre in quelle successive realizzate verso l’ultimo quarto del 1500, la rappresentarono puntualmente. Sembra di poter dire quindi che la chiesuolaè stata costruita in concomitanza con l’ampliamento e la costruzione dell’Arsenale Nuovissimo, al tempo in cui si edificarono le grandi Tese(tettoie) dette “Gaggiàndre”(Tartarughe), quando si provvide anche a riqualificare tutta l’area prossima all’Entrata Ufficiale dell’Arsenale.

In quella stessa occasione vennero rifatte anche le Due Torri laterali (1574) su cui s’incardinavano i grandi cancelli lignei che proteggevano e permettevano l’entrata delle navi oltre il Ponte del Rastrello, dove c’era il Ponte levatoio rappresentato in molte vedute e stampe famose, e Antonio Da Ponte provvide a sistemare e ampliare i luoghi delle Corderie soprannominate “la Tana”(1579-91).

A differenza di quanto si dice spesso: la Cièsetta della Madonna dell’Arsenalenon fu affatto un Santuario, ma solo una chiesetta, anzi: un Oratorio dedicato alla Beata Vergine, posto sotto la custodia dello Spedale della Pietà, e sotto la diretta Giurisdizione del Primicerio di San Marco, ossia alle dirette dipendenze del Dogedi Venezia in persona.



Vi potrà sembrare quasi impossibile, e comunque sorprendente sapere, che ancora nel 1718 e nel 1727, quando si inaugurò dentro l’Arsenale un nuovo altare, e si voleva fondare per gli Arsenalotti una nuova Confraternita-Sovvegno-Schola-Suffragio nella Cappella dell’Arsenale, ci fu ancora il solito Capitolo dei Preti di San Martin di Castello che presentò istanza direttamente al Consiglio dei Dieci lamentandosi delle perdite economiche che avrebbe subito “a causa di quell’improvvida novità” ... Così come poco dopo ci furono anche le proteste della Schola del Santissimo di San Martin(ovviamente), che chiese e ottenne l’intervento dello stesso Consiglio dei Dieci segnalando irregolarità e abusi economici della Schola dell’Assunta della Madonna dell’Arsenalea danno di quella del Santissimo di San Martin.

In entrambe le occasioni il Consiglio dei Dieci, immagino spazientito e un po’ scocciato, ribadì la Giurisdizione Dogale sul “Tempietto dell’Arsenal”, e la destinazione irreversibile di tutte le elemosine raccolte in quel posto all’Ospedale della Pietà, e intimò al Capitolo dei Preti e alla gente di San Martin di evitare ingerenze negli affari della Madonna dell’Arsenale. Questo per dirvi che ancora dopo secoli, non s’era spenta quella brama d’intascare e governare non solo il denaro, ma anche le attenzioni e il flusso devozionale ininterrotto del popolo dei Veneziani che aveva procurato e generato quella Madonnina dell’Arsenale.

La chiesuola, a dire il vero, era un po’ modesta e spoglia in se, come tutte le chiese di Stato di Venezia, e presentava di fuori un profilo pomposetto classicheggiante affacciato sul Campo dell’Arsenale. Nell’intenzione del progettista e realizzatore scopiazzò lo stile e immagine di un Tempietto Greco-Romano, con timpano sovrapposto alla facciata, e finto portichetto laterale a lesene affacciato proprio sul Rio dell’Arsenale, che allora si chiamava, invece, proprio: Rio della Madonna. In cima alla facciata si posero ovviamente un paio d’Angeli e l’immagine della Madonna dell’Arsenale, mentre all’interno si realizzò un unico altare ornato da una pala-tavola dipinta da Bartolomeo Scaligero che realizzò una “Madonna con San Giovanni Battista”(ora conservata alle Galleria dell’Accademia di Venezia).

Oltre a quell’opera, sulle pareti interne della chiesuola non c’era granchè: solo un paio d’opere prodotte da Pietro Antichio: ossia una “Natività” e una “Presentazione al tempio di Maria”... Non c’era altro.


Quel che è interessante, invece, era che la facciata esterna della chiesetta era tutta decorata da stemmi Veneziani e da immagini classiccheggianti forse di figure mitologiche, ma soprattutto da un evidentissimo e massiccio “Leòn andante de San Marco”o forse “un Leòn in molècha” che era il Logo, il tipo, quasi il marchio di fabbrica vistosissimo dell’appartenenza alla Serenissima.

Se ci fosse stato ancora qualche dubbio per qualcuno: quella plastica visione glielo toglieva del tutto. Lì ci si trovava in faccia all’Arsenale: la “Caxa de Veneziani”, il “Luogo dell’immenso lavoro”, il "Cuore dello Stato Veneto"come lo definì il Senato della Repubblica in una legge del 1520 … Non era affatto poco.

Sapete bene che l’Arsenale contava tantissimo per i Veneziani e la Serenissima. E non soltanto perché era in se una cittadella nella città che finì con l’occuparne quasi un quarto, ma perché era: CASA di tutti, ossia indicava l’appartenenza a una corporeità cittadina unica ed espansa. Venezia Serenissima era di tutti, e veniva formata e inventata e potenziata e difesa da tutti. Nell’Arsenale, come in altri luoghi di Venezia, si riassumevano le aspirazioni che stavano più a cuore dei Veneziani, lì dentro Venezia si giocava una parte importante di se stessa.

Gli Artieri dell’Arsenale, gli Arsenalotti, era quindi fra i protagonisti che avevano inventato la Storia di Venezia, quasi dei cofondatori della Repubblica. Non erano, infatti, un caso che fossero stati rappresentati e riassunti visibilmente negli Arconi della Basilica Dogale di San Marco: perché nei secoli dei secoli tutte le generazioni dei Veneziani vedessero e sapessero.



L’Arsenale quindi con il suo popolo Veneziano che quotidianamente lo faceva vivere, era non solo un “fiore all’occhiello”, un orgoglio della Serenissima, ma anche un punto di forza, un angolo magico della città attraverso il quale Venezia s’impadroniva del Mare. L’Arsenale era lo strumento espanso che generava la sua flotta e il suo predominio Mediterraneo. La Serenissima ha sempre saputo bene di non possedere e di non essere l’Invincibile Armada, ma era consapevole che con le sue Mude Commerciali Armate che pendolavano fra Mediterraneo, Oceano, Africa, Europa e Oriente lei poteva essere“padrona” dell’Universo di allora.

In caso di necessità l’Arsenale della Serenissima sapeva “sfornare” una Galìa perfetta e armata di tutto in meno di un giorno soltanto. E quello era un successo e un vanto: un punto di successo e forza che faceva invidia e generava imitazione dell’Europa intera ... e anche oltre.
Venezia è sempre stata pratica e concreta, ha sempre guardato a vincere e guadagnare combattendo battaglie su piani e secondo prospettive diverse.

E poi c’era anche un’altra cosa plasticamente riassunta ancora una volta nella visione di quella Cièsetta dell’Arsenale: il connubio funzionale di Sacro e Profano che a Venezia funzionava. In un luogo col “logo-Leòn” che sponsorizzava San Marco ci stava e riconosceva sia il potere del Doge e della Signoria, che la “manina Santa e Protettiva della Chiesa”, che così benediceva, e poneva sotto alla protezione Celeste e della Madonna tutto quanto succedeva dentro a quel benedetto Arsenale: e non solo remi, barche, vele e cannoni … ma anche le intenzioni, i propositi e i progetti che lì dentro scaturivano in nome dello Stato Serenissimo, ma anche della Religione. (pensate, solo ad esempio, all’apporto navale che Venezia ha dato alle Crociate e a tutto il movimento dei Pellegrinaggi da e per la Terrasanta).



L’Arsenalealla fine era per davvero, per i Veneziani e non solo: Porta del Paradiso, passaporto per uscire da ogni Inferno, e saòvacondotto per evadere o scansare ogni Purgatorio. L’Arsenale della Serenissima quindi, è stato per secoli un gran capolavoro, non solo architettonico e d’ingegno, ma anche uno splendido esempio di suggestioni e consapevolezze Veneziane.

napoleone, che stupido non era, anche se a guardare ciò che ha fatto a Venezia sembrerebbe proprio di si, intuì per bene che quella piccola chiesetta aveva un particolare significato per i Veneziani. Quella facciatina accanto all’Arenale celava qualcosa d’importante e simbolico: sintetizzato ciò che era e voleva essere Venezia Serenissima. Infatti, non ci pensò su due volte, e tirò giù la chiesètta fra le prime cose che decise d’abbattere in Laguna con la scusa che serviva allargare lo spazio per le manovre e il passaggio delle navi (cosa non vera visto che non venne realizzato alcun slargo se non quello della riva vuota accanto al ponte). Si era consapevoli, invece, che con quel semplice gesto si infliggeva un altro colpo all’orgoglio dei Veneziani. Quella cancellazione fu di certo anche un gesto punitivo, l’ennesima privazione-scalpellazione di un segno della memoria, di quell’insegna Civico-Religiosa che riassumeva e rappresentava l’idea di San Marco e della Serenissima.



La chiesètta della Madonna dell’Arsenale venne spazzata via per ridurre, minimizzare e cancellare i segni dei secoli gloriosi vissuti dalla Repubblica Serenissima. Fra il 1808 e il 1809, infatti, la chiesetta fu presente nella lista dei “luoghi sacri inutili” da chiudersi e abbattersi. Tutti gli arredi sacri e le opere d’arte contenute nella Madonna dell’Arsenale vennero trafugati e dispersi: una statua di Gerolamo Campagna venne traslocata presso l'Abbazia de la Misericordia in Contrada di San Marcillan nel Sestiere di Cannaregio, giusto dall’altra parte della città … Dopo si abbattè il Tempietto dell’Arsenale, e si cambiò perfino l'antico nome del rio che le passava accanto, che divenne così ancora odierno Rio de l'Arsenal.

Ma chi è che frequentava e utilizzava maggiormente quella chiesetta quando c’era ?
Era una chiesetta soprattutto degli Arsenalotti, delle Maestranze dell’Arsenale ... e delle loro famiglie.

Il termine Maestranze dell’Arsenale era un titolo che riassumeva in se molte figure e Arti, cioè ne faceva parte un gran numero di persone. Per secoli su ogni nave da guerra veneziana doveva sempre viaggiare tre Màstri: un Marangon da Nave, un Calafàto e un Remèr… Sempre per secoli gli Arsenalottimontarono per antico diritto la guardia indefessa al Doge e al suo Palazzo Ducale, lo portavano “in pozzetto” a spalla e in giro per tutta Piazza San Marco il giorno dell’elezione perché munifico beneficiasse la folla dei Veneziani … Lo accompagnavano nei cortei e nelle sfilate fornendogli barche, security e sostegno, e puntuali scandivano con la loro presenza ogni evento della Repubblica Serenissima ... Gli Arsenalottiinoltre furono per secoli il Pronto Intervento, i Pompieri di Venezia che spesso principiava ad ardere come un fiammifero, erano i primi Soccorritori in caso di necessità, calamità naturali e annegamenti … All’apice dell’efficienza della storia e della vita dell’Arsenale, i circa duemila, ma anche tremila-quattromila addetti svolgevano funzioni che andavano anche oltre le mura della Caxa dell’Arsenal: nel marzo 1597, ad esempio, gli Arsenalotti ricevettero l’ordine di “riacconciare strade e fondamente di Venezia, i ponti e il Ponte di Rialto”, ma anche di “ … recarsi ad operare fino a Portogruaro e Cordovato, per le quali transitano persone e mercanzie che vanno e vengono di Germania …”



Ve li immaginate gli Arsenalottie le Arsenalottedi Venezia ?

Vivevano in buona parte stretti e accorpati nelle vicinanze dell’Arsenale costituendovi intorno una vera e propria cintura protettiva (andate a vedere le caxette degli Arsenalotti e delle Maestranze dell’Arsenale nella Contrada di San Martin de Castello, in Campo de le Gorne, proprio a ridosso delle antiche mura merlate dell’Arsenale. Sull’architrave di certe porte si possono ancora riconoscere incise sulla pietra le destinazioni all’uso riservato del “CAPPO M.RO ALLE SEGHE", o al Proto dei Segatori ... Così come in zona c’erano i loro Ospizi e Hospedaètti riservati ai vecchi Marineri e agli Artieri dell’Arsenale), ma vivevano anche sparsi in ogni Contrada della città, fino alle più periferiche dalla parte opposta dell’arcipelago Veneziano.

Schola e aggregazioni di Arsenalotti sono stati ospitati nella chiesa Conventuale dei Carmini a Dorsoduro, o nell’altrettanto Conventuale chiesa e chiostri degli Agostiniani di Santo Stefano, o nella chiesa Domenicana dei Santi Giovanni e Paolo ossia San Zanipolo, nelle quali si associavano e partecipavano spesso anche i Magistrati, i Proti e Patron dell'Arsenal.

Intorno all’Arsenale sorgevano come a corona protettiva, a “salvagente e presidio avvolgente”, e per “protezione Celeste sulla Caxa di tutti” un cospicuo numero di chiese e Monasteri che di fatto quasi abbracciavano l’area dell’Arsenale da ogni parte: le Benedettine di Sant’Anna, le Cistercensi della Madonna Celeste ossia la Celestia, le Monache Agostiniane delle Vergini, i Canonici di Vienna di Sant’Antonio Abate, i Francescani Minori Osservanti e Mendicanti di San Francesco della Vigna, i Paolotti o Minimi di San Francesco di Paola(nell’attuale Via Garibaldi di Castello proprio a pochi metri dalle mura dell’Arsenale e dalle Corderie), le Canonichesse di San Daniele, i Padri Domenicani di San Domenico di Castello(sede dell’Inquisizione Veneziana) solo per citarne alcuni e non tutti.

Proprio lì attaccata all’Arsenale, appena fuori delle sue porte, c’era perfino la Contrada e la Casa del potente Vescovo di Olivolo di San Pietro di Castello, il cui campanile veniva utilizzato come faro marittimo (oltre che per indirizzare il contrabbando acqueo organizzato nelle vicine Contrade). Il Vescovo poi Patriarca con tutto il suo Clero era di fatto anche lui “casa-bottega”, e non solo di nome, con le strutture dell’Arsenale, e pure nel suo territorio vivevano buona parte degli Arsenalotti.

Erano quelli i luoghi che frequentavano di continuo e ogni giorno gli Arsenalotti… oltre a qualche bella Osteria o Magazèn da Vin, e qualche bella donnina in qualche angolo di Venezia, e i piccoli e grandi affari sotto ai portici di San Marco e dell’Emporio di Rialto.

Quasi come api operose gli Arsenalotti s’affollavano nelle zone e contrade circostanti l’Arsenale già fin da prima dell’alba e fin parecchio dopo il tramonto col termine del lavoro. Possedendo sensibilità e bisogni ben diversi dai nostri di oggi, s’intrattenevano a lungo nelle chiese che ospitavano le loro Schole d’Arte e Mestiere prima del suono della Torre della Campanelladell’Arsenaleche dava inizio e fine al lavoro degli Arsenalotti. Suonava due volte al giorno: alla mattina e nel primo pomeriggio per chiamare gli artigiani disponibili a lavorare a giornata, mentre l’altra metà giornata era scandita da distribuzioni di vino, paghe e legname ai lavoratori.

Insomma la vita degli Arsenalotti e delle Arsenalotte era in gran parte tutto un dentro e fuori dall’Arsenale e dalle Schole e chiese che c’erano nei paraggi … ed erano parecchie, per tutti i gusti.



Presso la chiesa e Convento di Sant’Anna di Castello, a soli due passi dall’Arsenale, era ospitata la Schola de Sant’Anna e San Gioachìn delle Maestranze dell’Arsenale che associava parte dei Compagni attivi nella “Caxa”, ossia i Marangoni da Nave, i Calafàti, i Remèri e i Segadòri ... I Calafài e i Marangoni da Nave costituivano circa l'80% delle Maestranze dell’Arsenale.
Inizialmente il Capitolo degli Arsenalotti venne ospitato provvisoriamente nella chiesa di San Silvestro presso l’Emporio di Rialto, e lì approvò la spesa per finanziare la Festa dei Santi Gioachin e Anna, e la costruzione di un nuovo pulpito nella chiesa di Sant’Annadi Castello, che era stato demolito proprio per fare spazio al loro nuovo altare (1621) che divenne quello Maggiorecon pala dipinta rappresentante i Santi Protettori degli Arsenalotti: Sant’Elisabetta Patrona dei Marangoni da Nave, i Santi Marco e Foca Patroni dei Calafàti, San Bartolomeo Patrono dei Remèri, e Sant’Isidoro Patrono dei Segadòri.

Subito dopo gli anni della Peste che decimò Venezia (1636) si costruì: "nell'ultima parte del rio, nel proprio recinto, vicino alla chiesa nuovaanche una sede per ospitare la Schola delle Maestranze dell’Arsenale … con due soleri (piani) all’interno: uno per la Sala Capitolare, e l'altro per la Sala dell'Albergo ... e si decretò sulla Mariegola di far cantare una Messa Solenne ogni seconda domenica del mese con Processione degli Arsenalotti lungo tutta la Contrada”.

Ancora nel maggio 1765 le Monache del Sant’Anna supplicarono i quattro Gastaldi delle Arti dell’Arsenale: “acciò accettino nella loro Cappella due brazaletti dorati et a loro spese facciano la seconda lampada di ottone”... Le Arti ovviamente accettarono all’unanimità.

Nella chiesa di Sant’Antonio Abate, invece, accanto alla quale sorgeva l’Ospedàl di San Nicolò dei Poveri Invalidi Marineri, trovò spazio fin dalla fine del 1600 il Sovegno d’Arte e Mestiere di San Giuseppe e Sant’Antonio dei Marangoni da Nave dell’Arsenale: la solita statistica del 1773 contava la presenza in città di circa 700 Marangoni da Nave.



Sempre nella stessa chiesa dei Reverendissimi Padri Canonici di Sant’Antonio di Castello (che non esiste più, abbattuta dai Francesi per fare i Giardinetti pubblici) ebbe storia e vicende l’antica Schola della Madonna del Soldo degli Arsenalotti, ossia la Schola del Santissimo Nome di Maria, cioè la Confraternita degli Schiavi della Beata Vergine delle Maestranze dell’Arsenale… Sempre e ancora loro: gli Arsenalotti !

La Mariegolatarda, del 1711, dopo aver accuratamente elencato i Guardiani e i Cappellani della Schola, racconta le origini e le aggregazioni dell’agosto 1685 realizzate dagli Arsenalotti: “… L’anno 1685, alli 5 di agosto, per un furioso vento e tempo subitaneo accaddero nella nostra città di Venezia diverse rovine, tra le quali nella Cattedral e Patriarcal Contrada de Castello cadde un muro in seco marina che segnava il confine del Monastero delle Reverende Monache di Sant’Anna, che rovesciandosi sopra d’una imagine (Anconeta) di Maria Vergine fitta in un capitello del detto muro, fu cavata illesa et intatta da un tal Piero d’Agostin, detto il Zotto Tabacco, solito a visitar con pubbliche orazioni simili imagini o capitelli fitti nei muri per le strade, e quello con gran devotione, accompagnato da lunga schiera de fanciulli, huomini e donne, processionalmente la depositò sopra un altare della chiesa di Sant’Antonio di Castello, dove ogni giorno concorrevano molti a venerarla. Così che, crescendo sempre più la detta divotione per opera et assistenza del detto Zotto, s’unirono diverse Maestranze dell’Arsenale ivi vicine, chiamandosi tutti Fratelli sotto la protezione della Vergine, offerendo quotidianamente oglio, candele et elemosine, assistevano con tutto cuore al mantenimento di quell’altare.
La fama di questa miracolosa imagine arrivò per tutta la città, che a maggior Gloria di Dio e della Vergine Santissima tutte le Maestranze dell’Arsenal, persuase dal sopradetto Zotto, formormo veramente una Schola di devotione sotto il titolo e protezione del Santissimo Nome di Maria. Intanto il Nobil Homo Ser Bortolamio Ruzini, allhora Eccellentissimo Patron dell’Arsenale, con contento e religiosa cura si esibì Fratello e Protettore, intraprendendo l’assunto di stabilir perpetue Leggi e Regole per fondar detta Schola. Perciò le dette Maestranze giurorono di unitamente tutti ascriversi, e qualunque in eterno che per l’avenire entrassero come Maestranze dell’Arsenale; e che per il mantenimento di essa Schola lascieranno un soldo per uno alla settimana della sua paga che tirrano dal Prencipe.”

Qualche anno dopo gli stessi della neonata Schola della Madonna del Soldostrinsero un accordo con il Capitolodi Sant’Antonio de Castelo che concesse loro in uso l'Altare delle Reliquie, un'arca per la sepoltura dei Compagni, e l'anno seguente si fece Mariegola approvata da 119 Calafàti“de parte” (favorevoli) e 26 “de non” (contrari), 81 Marangoni da Nave(Carpentieri)“de parte” e 80 “de non”, 51 Remèri“de parte”e 12 “de non”, 63 Segadòri “de parte” e 0 “de non”… per un totale di 439 iscritti votanti della Schola del Soldo.

Perché del Soldo?

Semplicemente perché gli Arsenalotti si autotassavano offrendo settimanalmente un soldo alla Schola per garantirsi un po’ di assistenza in caso di vecchiaia e malattia, e per sovvenzionare la concessione di “doti” alle proprie figlie per maritarsi o monacarsi (un po’ improbabile la seconda in quanto era quasi esclusiva delle famiglie Nobili).

Solo nel 1771 il Consiglio dei Dièse autorizzò la Schola a trasferirsi nella chiesa di San Biasio dei Forni(sull’attuale Riva dei Sette Martiri), ma quelli della Schola si pentirono subito della scelta, e chiesero di ritornare a Sant’Antonio di Castello offrendosi anche di comprarsi la propria vecchia sede. Nel frattempo, però, la Serenissimaaveva messo all’incanto il Convento di Sant’AntonioAbatecon i vicini edifici sacri, e l’offerta della Schola dovette risultare insufficiente perché nel 1781 la Schola si rassegnò a rimanere a San Biagio dei Forni costruendovi un proprio altare, e pagando per far costruire “nuovi segnali e aste”con sulla sommità le insegne e le miniature degli strumenti delle Quattro Maestranze de la Caxa dell’Arsenal.



Sempre in San Biagio dei Forni sul Molo di San Marco venne ospitata anche la Schola-Sovvegno della Croce dei Caneveri o Cordovanèri o dell’Arte dei Cardatori della Tana dell’Arsenale(a Venezia in antico s’importava la canapa dalla foce del fiume Don detto anche Tanà o Tanài).  L'Arte dei Conzacanevi associava gli Arsenalotti che fabbricavano cordami, gomene e sartiame per le Galee della Serenissima nei grandi ambienti delle Corderie ossia della “Tana dell’Arsenale” sotto l’egida dei Visdomini della Tana.

Inizialmente l’opera della Tana delle Corderie con l’Arte dei Filacaneve si trovava nella Contrada di San Geremia nel Sestiere di Cannaregio dall’altra parte della città. Un’altra “Tàna o Casa del Cànevo” o altra Schola simile, si trovava fin dal 1233 presso la Contrada di San Giovanni in Bragora di Castello. Era la Schola di San Bernardino dei Filacanevi o Filatori di Canape della Tana: una fra le più antiche e durature Arti Veneziane, che ancora nel 1797, sul baratro della fine della Serenissima, contava 379 iscritti quasi tutti Mastri, e una cinquantina di Garzoniche operavano oltre che nell’Arsenale anche in 210 botteghe sparse per tutta Venezia.
Le monumentali “Corderie della Tana dell’Arsenale" arrivarono e sono lunghe tutt’oggi oltre 300 metri di lunghezza, e nei suoi soppalchi s’immagazzinava la canapa grezza utile per produrre le gomene delle navi, corde di ogni tipo, e fino alle funicelle delle balestre da combattimento. 

Presso le Canonichesse di San Daniele Profeta, invece, aveva sede la Schola dei Marineri o della Madonna della Marina… Peregrinante per tutta Venezia fin dal 1307 (San Bartolomio di Rialto dove andandosene vendette il suo altare alla Schola del Santissimo per 1800 ducati, San Giovanni Elemosinario in Ruga a Rialto, San Mattio a Rialto e San Francesco di Paola a Castello), c’era la Schola di San Bartolomio dei Remèri dell’Arsenàl che lavoravano nella Càxa dell’Arsenale guidati dai segnali della Marangòna(la campana dell’Arsenale).

Per essere “approbàto Remèr dell’Arsenal” bisognava essere capaci di realizzare perfettamente un remo in Faggio da Galea, ed essere capaci di allestire timoni, fòrcole e pennoni da nave … I Remèri lavoravano in numero di più di 200 nelle Officine dei Remi situate in due Tezoni dell'area sud-ovest dell’Arsenale in prossimità del Piazàl de Campagna, mentre un’altra Officina dei Remi sorgeva poco distante dalla Officina delle Armi ... Ogni anno la Serenissima ordinava il taglio di 1500-2500 Remi da Galia Sottil, e 300-600 Remi da Galia Grossatramite i Marangoni da Bosco dell’Arsenale. Si ordinavano: “Fagari per Remi da Alpago et Carnia; Nògheri ossia Noci e Olmi per Timoni e Bolzelli dal Mantovano; Roveri da Rovereto e Trento, Cadore, Carnia, Friuli o dall’estero ossia Toscana e Napoletano”.


Per costruire una Galea Grossa si spendevano 17.680 ducati in legname, e 3.534 per una Galea Sottile ... 5.000 Roveri erano stabilmente depositati in Arsenale, di cui 1.000 erano ancora buoni nel 1633 secondo una relazione del Molin: “… a volte sono lasciati tagliati nei boschi o sulle rive dei fiumi per anni per cui vengono condotti non buoni e valgono solo a occupàr e non servir la Caxa.”

Ancora nel 1604 a Venezia, quando ci si lamentava che i remi di riserva nelle Galee Veneziane erano troppo pochi, e venivano realizzati troppo sottili quindi non capaci di resistere alle burrasche, esistevano 20 Remèri de Fuòra che producevano remi per le gondole e barche per il trasporto di merci cittadine in 19 botteghe, e 120 Remèri da Dèntro ossia dell'Arsenal che provvedevano ai remi e agli accessori delle Fuste e delle Galee dell’Arsenale ... Nel 1773, invece, i CapiMastri Remèri erano 213, e i Garzoni Remèri: 31, mentre la Schola dei Remèri per comodità teneva le sue riunioni periodiche o nella chiesa di Sant’Antonin de Castello, o nell’Ospedàl dei Veci Marineri di Sant’Iseppo(San Giuseppe) sempre di Castello.

I Remeri dell'Arsenal in quanto “Maestranze Pubbliche” erano esentati dal pagamento delle tasse, compravano fuori di Venezia il legname di faggio per i remi, metà del quale veniva messo a disposizione dell'Arte, mentre l'altra metà veniva distribuito per l’uso personale ... Il giorno della Festa del Patrono: "… tuti del Mestier che sia in stà tera, debia venir al cancelo a tuor el so pan e pagare la luminaria …”(1461)… Nel 1500 i Rematori protestarono col Senato della Serenissima che venne così a sapere che alcuni Ufficiali della Flotta si appropriavano della legittima quota del bottino dei Rematori battendoli e ingiuriandoli. Gli Avogadori da Comun stabilirono che gli Ufficiali colpevoli venissero esclusi da ogni incarico per 5 anni, e ripagassero i Rematori di quanto sottratto aggiungendovi un ulteriore 25% come rimborso per le offese subite.



Un’altra Fraglia e Aggregazione degli Arsenalotti: la Scuola dei Marangoni da Nave in proprio o dell'Arsenal o "Schola Marangonorum Navium de Venetiis" venne fondata sotto il simbolo dell’Ascia nel lontanissimo 1260 trovando un primo spazio presso quella che divenne la Schola Granda de la Carità nel Sestier de Dorsoduro ... Visto comunque il numero e la diffusione in città degli Arsenalotti Marangoni da Nave, si utilizzarono arche per le loro sepolture collocate in diversi posti di Venezia, ad esempio nella chiese di Sant’Anna,San Piero, in San Martin, San Domènego de Castèo dove esisteva un apposito Sovegno per i Poveri dell’Arsenale, a San Giacomo de la Zuèca, nel chiostro dei Francescani di San Francesco de la Vigna, in San Francesco di Paola, in San Biagio dei Fornisul Molo di San Marco, alla Carità e ai Carmini a Dorsoduro, e ai Santi Filippo e Giacomo nei pressi di San Marco.
I Marangoni da Nave o Appontadòri dell'Arsenale erano esentati da servizio nella Milizia da Mar, ma dovevano imbarcarsi in due su ogni nave per provvedere alle riparazioni durante la navigazione Mediterranea o oceanica. I Marangoni da Nave potevano esercitare anche in proprio, ma dovevano recarsi tutti i giorni in Arsenale dove un’assenza superiore a 8 giorni, fosse stata anche per malattia, comportava riduzione dello stipendio ed anche l’espulsione.

Nel 1317, quando secondo la Promissione Dogale del Doge Giovanni Soranzo i Marangoni da Nave avevano l’obbligo di fornire dei Mastri Marangoniper lavorare per tre giorni alla costruzione e riparazione del Bucintoro e altre imbarcazione di palazzo avendo in cambio solo da mangiare e da bere, la Schola dei Marangoni da Navesi trasferì presso la chiesa e Convento dei Carmelitani Calzati(Carmini presso Campo Santa Margherita a Dorsoduro) dove oltre ad essere resi partecipi dal Provinciale dei Carmelitani di Lombardia dei “Benefici Spirituali dell'Ordine Carmelitano”, ottennero anche la possibilità pagando un affitto rinnovabile ogni 29 anni, di organizzare le loro cene sociali in occasione della Festa Patronale, di usufruire della Sala del Capitolo dei Fratia pianoterra per tenere le proprie riunioni, e di costruire alcune tombe per seppellire i Compagni della Schola in due aree apposite.  I Frati Carmelitani in cambio s’impegnarono a cantare solennemente per i Marangoni da Nave una Messa Conventuale e un Vespro in caso di Funerali di ciascuno Confratello, anche se la sepoltura fosse avvenuta altrove, e una Messa Solenne il giorno della Festa Patronale utilizzando i paramenti messi a disposizione dalla stessa Schola.

Nel 1405 l’Arte dei Marangoni da Nave, che prevedeva per i propri iscritti infermi un risarcimento economico, e un compenso per chi li assisteva, si divise dal gruppo dei Segadòri dell’Arsenale, che costituitisi in Compagniapropria andarono a trovare sede nella chiesa di San Martino di Castellodopo essere passati per Sant’Apollonia e Santo Stefano dove avevano un altare "desolato et cadente".

Nel 1607 anche il gruppo degli Squerarioli di San Trovaso litigò con Marangoni da Nave e Calafàti o Pegolotti mettendosi in proprio ... Tuttavia nel 1797 “al scadèr de la Repubblica”, in città c’erano ancora circa 800 Marangoni da Nave iscritti alla Schola dell’Arte, mentre erano circa 500 i Calafàti o Pegolotti.
Come accadeva di frequente a Venezia, i Marangoni da Nave finirono col contrastare con i Frati dei Carmini giungendo “ad arbitrato” nel 1563 per via delle spese sostenute per costruire un Albergo della Schola “in una porzione del Convento affacciata sul Campo dei Carmini confinante da un lato con la Schola dei Compravendi pesse e dall'altra con l'entrata dello stesso Convento”. All’interno dell’Albergo della Schola dei Marangoni da Nave c’erano inoltre un Altare con Pala dell’Arte, alcuni dipinti, sedili attorno alla stanza "soazati di noghera", un soffitto "soazado a quadri, dipinto in rosso, con le sue ruòse", e nel Campo prossimo dei Carmini c'era un "abate di pièra per metter el penòn de la Schola".

La categoria dei Marangoni da Navecomprendevano pure una trentina di Mastri agli Albori o Alboranti che realizzavano e riparavano gli alberi delle Galee e delle altre navi lavorando nei quattro tezòni bassi a l'Isolotto che si trovavano nell'area est dell’Arsenale confinanti con i Tezoni de le Gagiandre; gli addetti ai Pennoni delle Navi ossia i Penòni o Mastri Pennini, nonché il gruppo dei Tagèri addetti alle carrucole per le manovre delle barche e delle navi.
Quando lasciarono i Carmini, i Marangoni da Nave si spostarono nella chiesa e Convento di San Zanipolodall’altra parte della città, ossia presso i Domenicani Inquisitori e Predicatori dei Santi Giovanni e Paolo, nel Refettorio dei quali tennero Capitolo per trent’anni, fino a quando vennero fermamente invitati ad andarsene “per l’uso indebito e disonesto che facevano del luogo”. Si rifugiarono allora in un altro locale dell’amplissimo Convento degli stessi Domenicani, ma vennero ugualmente sfrattati nel 1641 perchè la loro sede ostacolava il passaggio della Processione della Festa del Rosario quando si teneva nei chiostri a causa del cattivo tempo ... Per secoli, il giorno della ricorrenza della Visitazione della Madonna a Santa Elisabetta Patrona dell'Arte, i 600 Marangoni da Nave dell’Arsenale tennero la loro spettacolare Processione in giro per tutte le Contrade del Sestiere di Castello.

Quando nella catena-filiera della costruzione delle Galee i Marangoni da Nave avevano ultimato la realizzazione dello scafo, entravano in azione i Calafàti o Calafài o Pegolòttiche applicavano “stròpe (stoppe) nei chimenti o comissure dei legni” prima d’impeciarle rendendole stagne.Costoro erano consociati nella Schola e Sovegno della Beata Vergine della Purificazione e San Marziàl dei Calafati dell’Arsenale, e si distinguevano in: Calafài da fìgger o ficcàr” ossia: che inchiodavano, e Calafài da màgio o calcadùra” ossia: ristoppadòri de navigliche riempivano le fessure delle navi provvedendo poi a impeciarle.

Nel 1569 e nel 1577 il Senato della Repubblicaconcesse prima un premio di due soldi al giorno ai 237 Marangoni da Navee ai 790 Calafàti dell’Arsenale, e poi un secondo di ben 1.500 ducati perché col loro pronto intervento avevano spento subito un incendio nella Caxa de l'Arsenal”, e un altro a Palazzo ducale… Nel 1605 furono ammesse alla Schola anche le mogli dei Calafàtti a patto che pagassero la prevista “Tassa di Luminaria”, in cambio venivano accompagnate a sepoltura da tutti quelli della Schola … Sessant’anni dopo la Schola finanziò la costruzione di un altare nella chiesa di Sant’Iseppo di Castello, mentre nel 1682 acquistò una lampada d'argento per l'Altare della chiesa di San Martino dove ogni giorno i Calafati se recavano a Messa di mattina presto prima di recarsi a lavorare pagando al Capitolo dei Preti per una Mansioneria Perpetua di Messe Quotidiane, e dove nel 1722 la stessa Schola dei Calafài chiese e ottenne dal Capitolo dei Preti di finanziare e gestire l’acquisto e la distribuzione dell’Olivo Benedetto nella Domenica delle Palme, nonchè la benedizione e distribuzione delle candelette nella Festa invernale della Madonna Candelòra del 2 febbraio … Nel 1752, invece, i Calafati provvidero ad aiutare economicamente il Capitolo della chiesa di San Biasio dei Forni sul Molo di San Marco che intendeva ricostruire la propria chiesa, chiedendo in cambio anche lì un'arca per seppellire i propri Compagni Morti.

I Segadori dell’Arsenale o da Legna viceversa, misero su la Schola e Fraterna di Sant’Isidoroprima a San Biagio dei Forni e poi ai Santi Filippo e Giacomo nei pressi di Piazza San Marco dove nel 1586tennero un tribolato Capitolo Generale dei Segadòri criticando aspramente “l'utilizzo malsano” delle risorse economiche della Schola. Vennero cacciati via, perciò iniziarono a tenere le loro riunioni un po’ ovunque dove capitava: nell'entrata della "Canonica del Primicerio di San Marco", nella chiesetta di San Zuane dei Furlani, o nell’Oratorio di Santa Scolastica… I turbolenti Segadòrierano circa 200 e quasi tutti di origine Trentina. Di solito non erano ben pagati, e lavoravano a due a due nell’Arsenale prima “a còttimo”con tariffe che variavano secondo la qualità, la misura, e la durezza del legname da trattare, e poi “a ròdolo”(alternanza settimanale di lavoro all’Arsenale o privato)insieme ai Marangoni da Nave per i quali segavano e preparavano i tronchi e fornivano e acconciavano tavole di legno ... Il Gastaldo dei Segadòri teneva un Libro Mastro con la lista dei legni usati in Arsenale elencandone di volta in volta: provenienza, data e uso a cui erano destinati … L’utilizzo “delle legne dell’Arsanà” era controllato da due Provveditori alle Legne eletti dal Maggior Consiglio per 24 mesi e da altri due Sopraprovveditori eletti dal Senato per 12 mesi … Nel 1499 alcuni Segadòri dell’Arsenale disoccupati, nonostante fossero stati ammessi sebbene “Forèsti” alla Schola-Corporazione dei Segadòri ed esentati dal pagare la Benintràda di 20 ducati dell’iscrizione, erano così poveri che andavano questuando in giro per Venezia. La Banca della Schola dei Segadòri” stabilì che ogni Mastro Segadòr assumesse un Lavoranteo versasse un corrispettivo per i coinvolti in quella trista situazione … Nel 1635 subito dopo la Grande Peste gli “Addetti Segadòri dell’Arsenal” erano ridotti solo a 6, però nella famosa statistica del 1773 se ne contarono circa 205 (il loro numero variò molto fra trenta e il centinaio).

Oltre ai Marangòni da Nave, ai Segadòri, ai Calafàti, ai Remèri, agli Alborantie ai Penniniesistevano anche altre mansioni nell’Arsenale: c’erano i Fabbri, i Bombardieri, secondo la stagione c’erano 150-250 Bastazi o Facchini che percepivano 12-16 soldi al giorno per scaricare zattere e burci, tirare su dall’acqua i legnami, depositare i Roveri e trasportarli alle seghe lavorando in supporto agli Artieri.
Esisteva inoltre un gruppo di circa quaranta donne operaie: le Velère, che tagliavano e fabbricavano vele, mettevano rinforzi, e facevano riparazioni per le Galee e le navi lavorando di taglio e cucito su tessuti pesanti detti Felzidalla tramatura spessa e fitta, e su tele provenienti da Viadana-Mantova, fustagni bianchi prodotti dai Bombasèri Veneziani, o su Canovàzzi Vercellesi. Secondo un dato del 1639, le Velère percepivano: 16 soldi al giorno d’inverno e 18 soldi d’estate, e venivano pagate misurando il lavoro quotidiano, o contando il numero delle ferze o pezze di tela trattate.
Onde evitare promiscuità, contatti, e scandali le Velère lavoravano isolate lontano dalle altre Maestranze dell’Arsenale sotto la sorveglianza di un Ministro, e soprattutto di “un assiduo cane da guardia”: la Maestra delle Velère.
Terminato il lavoro delle Velère, tutto il materiale delle scotte, terzaroli, antimoni, mezane, trinchetti e papafighiveniva inviato presso gli Hospeali dei Mendicanti o degli Incurabili dove le ragazze ospitate provvedevano a completare la rifinitura delle vele. Infine tutto veniva riportato nell’Arsenale, dove le vele venivano bagnate in acqua marina per impedire la formazione di muffe e umidità, poi venivano stese ad asciugare, e quindi immagazzinate nei magazzini delle Veleriedove erano attivi altri 40 Velèri maschi.
Secondo un Libro dei Conti della cucitura delle Vele per l’Arsenale(1625-1669), allestire le vele per una Galea Grossa veniva a costare: 2.400 ducati, mentre ne servivano 909 per armare una Galea Sottile.

Quel che è di certo curioso notare nei vari documenti storici circa gli Arsenalotti e le Arsenalotte, è che ogni giorno prima di recarsi al lavoro e dopo esserne usciti passavano per chiese e Schole per compiere le loro Devozioni, offrire elemosine, e ascoltar Messe.
Ve li immaginate i Metalmeccanici, gli Infermieri, i Marinai o i Camionisti di oggi fare una cosa del genere prima o dopo il turno di lavoro ? Li vedete recarsi ogni giorno a Messa, passare per le chiese, tirare qualche “parte del Rosario”, e preoccuparsi quotidianamente delle elemosine ai poveri o di soccorrere quelli della loro stessa categoria ?
Improbabile no ? Sono davvero cambiati molto i tempi ... oltre al fatto che perfino molte chiese oggi sono spesso “chiuse da notte”, o seguono orario d’ufficio, o aprono solo per i turisti.

Tornando brevemente alla nostra Ciesèta della Madonna dell’Arsenale, va ricordato che anche al suo interno si esprimevano e organizzavano gli Arsenalottie le Arsenalotte. Già vi ho accennato alle numerose elemosine che confluivano in quel posto calamitando gli appetiti del Capitolo dei Preti di San Martin, ma c’è stato anche dell’altro.
Il Tempietto della Madonna dell’Arsenale era un po’ la chiesa di riferimento del “Corpo degli Arsenalotti”, e per questo al suo interno trovarono spazio in tempi diversi ben due importanti Schole fondate, frequentate e gestite dagli stessi: il Sovvegno di Santa Maria Elisabetta delle figlie dei Remèri dell'Arsenale fondato nel 1599, e la più tardiva Scuola della Beata Vergine Assuntadegli Arsenalotti iniziata solo nel 1728 quando ormai la Serenissima stava arrancando verso la sua fine.
Sono entrambe molto interessanti quelle due Fraglie degli Arsenalotti: la prima perché gli Arsenalotti versavano o 26 lire in un’unica contribuzione, o due soldi ogni sabato per cinque anni con lo scopo di finanziare il matrimonio o la monacazione delle figlie dei Remèri.  Tramite un apposito Scrivano o Scodidòr raccoglievano i fondi che venivano conservati dentro a una Cassa Armata, uno Scrigno posto in chiesa chiuso da tre serrature. Tre Procuratori della Schola conservavano le tre chiavi, e ogni volta che si raggiungeva la cifra di 100 ducati si provvedeva a versarli in deposito nella Zecca della Serenissima, o nei Monasteri di San Giorgio Maggiore o della Carità impegnandoli come capitale. L’usufrutto-rendita di quegli investimenti procurava la spartizione delle “dote per le figlie” da 10 ducati concesse solennemente nella chiesa di San Bartolomioa Rialto alle figlie dei Remèri regolarmente iscritte in un apposito Registro dal quale erano escluse “le fiè” nate prima dell’iscrizione alla Schola. Le “Grazie” potevano essere distribuite solo fra i Remèri iscritti alla Schola da almeno quattro anni e in regola con i pagamenti ... Chi per qualche motivo era inadempiente, ritardatario nei pagamenti, o si ritirava dalla Schola: perdeva tutto … Se c’era un esubero di “figlie da maridàr” ? … Avevano la precedenza quelle che stavano ormai per sposarsi.

E chi non aveva figlie ?

Gli Arsenalotti che non avevano figlie da sposare o monacare ricevevano in cambio la garanzia della celebrazione di una serie di 33 Messe Gregoriane che valevano 30 soldi l’una il giorno del proprio Funerale.
Le Messe Gregoriane erano un fenomeno e accorgimento singolare (mi dicono che si celebrino e utilizzino ancora oggi). Furono un’istituzione, un uso liturgico-funerario di stampo soprattutto Monastico inventato parecchio tempo fa: si dice nel lontanissimo 600 d.C… quindi sono una tradizione molto antica. Si trattava di una serie di 30 Messe consecutive che si dovevano celebrare in stretta sequenza giorno dopo giorno (qualche volta le celebravano “a raffica”nello stesso giorno utilizzando più Preti “altaristi”), col risultato di ottenere la garanzia di una completa esenzione dal Purgatorio per colui che era il destinatario di quella particolare forma di Suffragio.
Non so se cogliete chiaramente la valenza di quella convinzione: colui o colei per il quale si celebrava quella raffica di Messe aveva la garanzia di andarsene dritto dritto in Paradiso, oltre che scansare di sicuro il Purgatorio oltre che l’Inferno.
Mica male come “trovata”per andare incontro alle convinzioni delle persone, e anche ai Veneziani di alcuni secoli fa. Diciamo che era una scelta “tattica” molto utile per alcuni/e … e redditizia per altri.
E’ doveroso aggiungere che si provò ad estirpare quell’usanza popolare delle Messe Gregoriane già col Concilio di Trento durante il 1600, ma si ottenne scarso successo perché si trattava di una tradizione molto radicata nel microcosmo Cristiano-Cattolico, e soprattutto costituiva un’entrata sicura e molto redditizia per l’ambiente Ecclesiastico ... una delle tante.

La seconda Schola, invece, presente all’interno della chiesetta della Madonna dell’Arsenale, ossia la Schola della Madonna Assunta fondata nel giugno 1728, è interessante pure lei per un altro aspetto. Col voto favorevole dei Sette Governatori dell’Ospedale della Pietà e l’approvazione delSenato della Serenissima un gruppo di devoti Veneziani avviò la Schola con lo scopo di Recitare quotidianamente il Rosario nella Cappella dell’Arsenale: “… perché si preghi a favore della Patria, perché Dio benedica le navi e le armi che si fabbricano nell’Arsenale.” … I Capitoli della Schola si tenevano nella chiesa di San Martino o di San Giovanni in Bragora di Castello… Ogni iscritto poteva indossare una particolare “cappa col Leòn de San Marco”… e ogni elemosina raccolta nello stesso luogo doveva andare ancora a favore delle “Putte dell’Ospedale della Pietà”.

Ecco che torna ancora lo scopo e il significato della chiesètta della Madonna dell’Arsenale: la Patria, le navi, e le armi dell’Arsenale ... Lascia un po’ perplessi noi di oggi l’abbinata Dio, armi, Patria e guerra … ma allora si usava così, anche a Venezia.

La Caxa dell’Arsenal per via del basso pescaggio e dei bassi fondali Veneziani ha prodotto praticamente quasi sempre: Galee Sottili Armate facilmente manovrabili, o in alternativa Galee Grosse da Merchado, oltre a un ridotto numero di Galee Bastarda e Capitane(a metà tra Grosse e Sottili, riservate al Capitano Generale da Mar o ai Capi da Mar), e Galeotte e Fuste: imbarcazioni leggere impiegate in battaglia e per il pattugliamento e ricognizione Lagunare e Adriatica. Dall’Arsenale sono uscite le varie Galee: “Trona", "Marcella", “Marsigliana”, "Moceniga", “Soranza”, “Zarattina”, “Pisana” o “Contarina” che erano navi lunghe 50 m, strette e basse (7 m), a vela latina, fornite di circa 180 rematori e 500 uomini d’equipaggio arruolati di solito dalla Magistratura della Milizia da Mar.
Nell’Arsenale di Venezia non si è quasi mai prodotto altri tipi di navigli utilizzati di solito per trasporti commerciali e la navigazione oceanica, come: Cocche e Caracche, Barze e Barzoti, o Galeoni, e in seguito: Vascelli e Fregate.

La stessa Caxa dell’Arsenal era un luogo frequentato di continuo da una piccola folla-esercito di Capi d’Opera, Appontadòri e Despontadòri, Portonèri, Stimadòri, Nodàri e Scrivani, Suprastanti, Deputati, Sorveglianti, Supervisori e SopraMasseri, Sopraintendenti, Provveditori (Provveditore Generale da Mar, all’Ordinario, all’Armata o Armàr, all’Artiglieria, alle Biade, all’Arsenal), Proti e SottoProti (dei Marangoni, dei Calafati, dei Remeri, degli Alberanti, dei Tagjeri, dei Fabbri, dei Mureri, dei Segadori), Capitani, Savi, Sopracòmiti, Revisori, Visdomini, Ammiragli, e Patròni Eccellentissimi(organi direttivi e di governo dell’Arsenale, Corderie, Fonderie e Fabbriche d’Armi, incaricati di stabilire e supervisionare a rifornimenti, progettazione, contabilità, controlli incrociati su qualità ed efficienza.

Tutto il materiale che entrava ed usciva dall’Arsenale veniva attentamente inventariato, gestito, pesato, misurato, pagato e controllato: legname, gomene, sartie, corde, piombi, sego, micce, ancore, vino, ferramenta, pece, tela, fustagni … e tutto quanto veniva sbarcato e imbarcato … e furtato … comprese le persone di ogni sorta che andavano e venivano, entravano e uscivano.

Il costo di costruzione e allestimento di una Galea Grossa Veneziana, fra manodopera, scafo, armamenti di golene, vele e ancora, armi e munizioni, veniva a costare qualcosa come: 55.000 ducati, mentre un Galea Sottile veniva a costare meno della metà: circa 15.000 ducati. Per costruire una Galea Grossa servivano 2.800 ducati di ferro grezzo, e 800 ducati per una Galia Sotìl… Il minerale proveniente soprattutto dalle miniere Austriache di Villak con esenzione del “Dazio al Mercante” veniva lavorato direttamente dai Fabbri dell’Arsenale ... La stoppa, invece, proveniva soprattutto da Bologna o veniva prodotta riciclando sfilacci di vecchie corde. Per una Galea Grossa si spendevano in stoppe: 450 ducati e 150 per una Galea Sottile ... La “Pègola”per impeciare le Galee si distingueva in Pègola Tenera(proveniente dal Cattaro) e “Pègola Dura o da Valona”. Per una Galea Grossa si spendevano 300 ducati in pece, e 120 per una Galea Sottile ... Si utilizzava poi il Sevo o Sègo per impalmare alberi, fasciame e pennoni delle galee acquistato in Ponente che le rendeva talvolta lucide e nere o talvolta di un inteso rosso scuro … Nel grande laboratorio del Cànevo dell’Arsenaledetto anche: “Tana” realizzato già nel 1300, si utilizzava la Canapaper realizzare sartiame, funi e gomene, e tutto il cordame da nave per l’uso del quale si spendeva per allestire una Galea Grossa: 5.031 ducati, e 1.397 per una GaleaSottile ... Si usavano inizialmente “Mocadi e Sorte di Canapa da Bologna”, poi si usò in esclusiva la Canapa di Montagnana che veniva coltivata su 400 campi a Palù di Prova, e comprata totalmente dal Provveditore ai Càdevi o Cànevi assistito dal Proto della Tana e dai tre Visdomini del Cànevo ... Infine faceva parte della spesa e dell’armamento di una Galea anche il Vino di cui si comprava al pubblico incanto 300 anfore annue a Vasto e Ortona da consegnare ratealmente a Venezia durante 10 mesi.

Non vi nascondo che per me è appetibile curiosare nelle vicende dell’Arsenale: già verso il 1104 sorse nella parte orientale di Venezia, nei pressi di due isole gemelle: “Zìmole o Gèmini”, la “Caxa Arsenal de la Serenissima” che divenne fin da subito un grande Squadro o Squero, ossia un cospicuo insieme di cantieri intorno a un ampio bacino centrale ricco di specchi acquei, e fornito di numerosi scali, e “tèse e vòlti” scoperti e coperti protetti da un recinto di solide mura.
Il sito divenuto strategico comunicava direttamente tramite un Rio col Bacino e i Moli di San Marco, e con la via acquea che portava alle bocche di Porto di San Nicolò, Malamocco e Chioggia che immettevano alla navigazione nel Golfo Adriatico. Come sapete meglio di me, il termine Arsenale o Arsanà deriva dal greco o dall’arabo e indica semplicemente: “approdo o darsena” oppure “luogo d’industria arginato”, “posto dove costruire barche”, “rimessaggio e luogo di manutenzione per navi”.

Fu nel febbraio 1302 che Dogee Consiglio della Serenissima decretarono il divieto l’allestire Galee Comunali fuori dal Pubblico Arsenale dove c’erano già Officine di Remi e alcune Fonderie ... Nel 1426: Enrico di Barbante o di Brabante venne “trascinato a coda di cavallo” e poi squartato perché aveva tentato di dare fuoco all’Arsenale su mandato di Filippo Maria Visconti ... In quegli anni l’Arsenale di Venezia era considerato: “… il migliore che ci sia nel mondo … una fabbrica molto digna et onorevole”… Solo a titolo d’esempio: nel 1464 la Serenissima spese “per le maestranze e le ròbbe dell’Arsenale”: 73.280 ducati pari al 6,55% del totale delle sue entrate, ossia: 1.117.800 ducati.

Circa dieci anni dopo, si allargò ulteriormente l’area dell’Arsenale aggiungendovi l’ “Arsenale Nuovissimo” con nuovi magazzini del legname, e 32 forni per il Pan Biscottocapaci di rifornire una flotta di 100 Galee e più … Nel primo anno del 1500 si raddoppiò e triplicò il salario degli Arsenalotti portandolo da 3 a 6 ducati al mese: “ … a Mastro Thomasin Proto Mastro de la polvere de bombarda … considerato che con ducati 3 al mese che ha de salario et provisiò, el dicto non se puol sostentar .”… Nel 1521 il Consiglio dei Dieci ordinò di strangolare in carcere un Veneziano che tentava d’assumere per conto della Marina del Papa alcune Maestranze dell’Arsenale.

Negli anni ’30 del 1500 di fronte all’incalzante minaccia Turca di Hayreddin Barbarossa, la Serenissima si determinò ad affrontare un grande sforzo produttivo bellico, e fece costruire diverse Fuste in Darsena Nuova, e un centinaio di Galee Sottili armate da migliaia di cannoni in altri Squeri e Darsene dell’Arsenale ... Si ricostruirono i Magazzini dell'Ammiraglio; si risistemarono i Depositi delle Artiglierie, “el magazen da le bombarde e Sala da i archibugi e schioppi … e otto o nove magazeni nelle quali le ruote, o letti dell’artiglieria si mettono …” (si trattava del “Deposito intangibile” o “Il Giardino di ferro” che ospitava un gran numero d’artiglierie, corazze e armi di rappresentanza e parata in gran parte materiale obsoleto o mai attivato destinato alla rifusione). In ogni caso l’Arsenale era una vera e propria macchina da guerra con un gran numero d’artigiani specializzati: Fabbri, Balestrieri, Costruttori di scudi, Carrai, Maestri d'armi, Fabbricanti di corazze, Raffinatori di salnitro, Fabbricanti di polveri e Fonditori d’artiglieria e di bombarde.
Nello stesso tempo si edificò ancora: un Tezònnòvo(capannone)dei legnami destinandolo alla conservazione del legname da stagionare; si aprì un "lago del legname"(un bacino artificiale per immergere i  Roveri in acqua marina); si scelse un’area nuova: “un campàzzo … longo 133 passa verso la marina, da l’altra banda simile largo il fronte opposto alla marina, 34 verso San Francesco e 49 passi verso l’Arsenale in tutto passi 349” da adibire a esercitazioni con armi da fuoco e “prova de moschetti da zuògo, de falconetti, de’ falconi e in generale d’artilleria di piccolo calibro”; si edificarono depositi e costruzioni “de fuora sopra l’Isolotto per li salnitri e le polveri compresi i depositi di esplosivi serati de muro con le porte di ferro et coperte di piombo et separati l’uno dall’altro” per la lavorazione delle polveri da sparo a debita distanza da fonderie e artiglierie traendolo dalla vigna e orto delle Monache della Zellestria o Celestia; e si scavarono canali tutto intorno all’Arsenale per isolarlo e proteggerlo del tutto … Il Nobile Mastro e Proto Vincenzo Vitturi gestiva l’Arsenale Vecchio, mentre l’Arsenale Nòvo venne affidato al Proto Francesco Zotto da Corfù, entrambi coadiuvati dall’esperto navale Vettore Fausto.

In quegli anni ci fu un’innovazione che portò a un incremento della velocità navale: si iniziò a vogare “a scalòccio” ossia utilizzando tre vogatori a manovrare un unico grande remo invece che tre piccoli remi distinti come s’era fatto fino ad allora. ... Nel 1537 avvennero degli atti di sabotaggio in Arsenale: si trovarono sulle Galee delle falle ossia delle “proforattùre” provocate da qualcuno che rimase tuttavia anonimo … Giunto il 1569, invece, l’Arsenale esplose per aria a causa di un incendio che alla fine fece meno danni di quel che sembrava ...

Un manifesto affisso per le strade di Venezia spiegò: “L’incendio dell’Arsenale è punizione divina per le ingiustizie et tirannie del Doge e dei Senatori Veneziani.” … Il Senatodecretò tempestivamente:  “… nel predetto nostro Arsenal non si possa più per modo alcuno tenir polvere di sorte alcuna né grossa né fina […] ma solamente si habbiano a lavorare nel predetto Arsenale dove meglio parerà, li materiali separati, che intrano a far la polvere, et quando occorrerà che quelli debbano essere uniti per far essa polvere, questo effetto sia fatto in altri luoghi fuori dell’Arsenal, cioè nelle isole che sono in questa laguna […] circa il modo et forma della fabrica che si doverà fare per l’esercitio della predetta polvere, le quale come saranno di tempo in tempo lavorate debbino essere subito portate et divise nelle torri fatte per questo effetto in diverse isole di questa laguna sì che siano sempre tenute divise in più luoghi che si potrà.”

Nel giugno 1537 quando Solimanoattaccò l’Albania e la Puglia assediando Corfù, la Serenissima diede ordine di costruire altre 50 Galee su cui imbarcare Balestrieri della Poppa e Bombardieri oltre che Marinai Veneziani… La spesa per l’Arsenale della Serenissima salì a 222.037 ducati annui … Vent’anni dopo si varò un “Gran Galeòn nuovissimo … bellissimo e superbissimo legno, una macchina di stupenda grandezza et artifizio” … L’anno seguente però fu colto da burrasca appena uscito dal Porto di Malamocco, e si rovesciò colando a picco per lo spostamento improvviso di tutte le artiglierie su di un fianco. Si provvide con una “macchina speciale” realizzata da Bartolomeo Campi a recuperarlo perché intasava l’entrata-uscita del Porto ... Quella fu anche l’epoca del massimo successo di alcune imbarcazioni ideate da Vettore Fausto, per questo chiamate: Faustine o Fustine o Fuste dal suo nome. La Flotta Veneziana contava allora su 124 Galee Sottili e 6 Galee Grosse, più 39 altre unità di supporto.
Per realizzare quel piccolo “capolavoro militare”, in Arsenale erano presenti e attivi quasi 2.000 Marangoni da Nave, 1.000 Calafàti e 146 Remèri, cioè: 2.346 Artieri in tutto, quando la Popolazione di Venezia assommava a 156.867 persone …. Nel febbraio 1543 però: “… E’ necessario che domattina l’Officio nostro all’Armamento habbia danari per satisfar le ciurme delle fuste venute a disarmar, quale ogni mattina cridano et molestano alle porte del Collegio nostro …”

Doveva essere un po’ “sfigàto”quel Vettore Fausto realizzatore di navi, perché nel 1571, proprio alla vigilia della famosissima Battaglia di Lepanto contro gli Ottomani, la sua famosa e sorprendente Quinquereme“Navis Praetoria e Capitana da Mar”della Flotta della Serenissima, guidata da Marco Antonio Colonna, venne colpita da un fulmine all’albero maestro nei pressi di Ragusa, e a seguito dell’incendio che ne conseguì saltarono per aria tutte le munizioni, e tutta la nave andò bruciata ... L’equipaggio si salvò per miracolo.

Durante la Grande Battaglia di Lepanto comunque, i Veneziani dopo aver sbarcato dalle Galee diversi operai specializzati dell’Arsenale rimandandoli a Venezia perchè la Caxa era rimasta quasi sguarnita, si recarono in Dalmazia per “interzare”la voga delle navi (ossia aggiunger un terzo vogatore per ogni remo), poi andarono a posizionarsi all’interno dello schieramento navale degli Alleati largo 10 chilometri sperimentando con successo un’altra loro innovazione militare. Si trattava delle nuove 6 Galeàzzemolto grandi e potenti, stabili ma pesanti e massicce tanto che avevano bisogno d’essere trainate fino in mare aperto da due Galee normali ciascuna. Le Galeàzze furono le corazzate dell’epoca: navi d’alto bordo con casseretto e castello, tre alberi a vele latine, e con imbarcate batterie di 36 cannoni di grosso calibro capaci di sparare in ogni direzione ... Per i Turchi Ottomani non ci fu scampo: fu una “tempesta di fuoco”.

Dopo quell’epico e storico evento, si affidò a Gerolamo Campagna la sistemazione della "Porta Magna dell’Arsenale" dove si posizionò una statua di Santa Giustina con due “vittorie alate”; si decise la ricostruzione dei grandi depositi delle Corderie, e si riassunse in 100 Galee Sottili e 12 Grosse e 15 unità “par la guardia ordinaria” la disponibilità navale Veneziana, oltre a una flottiglia di 117 navi di pessima qualità abbandonate in Arsenale, bottino di guerra sequestrato al Turco … Nel 1583 il Corsaro Occhiali disponeva ancora di 70-80 Galee … Mentre di fatto la Marina Veneziana pur rimanendo potente s’era fermata e messa in disarmo sotto alle volte dell’Arsenale limitandosi a conservare efficienti le vecchie unità navali che possedeva … Nel 1591, tuttavia, si registrarono 120 nuove assunzioni di Arsenalotti, e sullo scadere del secolo, la Serenissima spese 201.410 ducati annui per l’Arsenale, ossia il 9,59 % dell’intero suo PIL che ammontava a 2.098.315 ducati.

Durante il primo anno del 1600, in giugno, scoppiò la rivolta di Antonio de Zuane Remèr, che incitò i Compagni a protestare davanti al Provveditore dell’Arsenale Tommaso Duodo mentre distribuiva le paghe. Si gridò: “… che i danari havevano tochati allora erano pochi, et che ne volevano et meritavano di più …” L’Arsenalotto Antonio non si limitò a protestare, ma gettò il denaro in faccia al Nobile Duodo: “…biastemando chi li aveva dati li denari, et chi più serviria la Caxa del Arsenal …”

Venne condannato a morte … “ma si procedette con misericordia verso gli altri”.

Negli anni seguenti, quando Doge e Collegio erano obbligati alla visita trimestrale dei cantieri dell’Arsenale: “… nel dettaglio le spese per l’Arsenal: per Maistranze, e per robbe, salnitri e artiglierie, Galie Grosse,  paghe e Biscotto per l’Armada erano in totale di 722.603 ducati.”… Il numero degli Arsenalotti sceso sotto al livello di guardia in quanto molti erano imbarcati nelle Galee o lavoravano in proprio o fuori sede, o erano diventati vecchi e invalidi cioè dispensati per grazia del Senato dalla presenza in servizio dentro alla Caxa dell’Arsenal. Dei 707 Marangoni da Nave che risultavano iscritti all’Arte ne lavoravano di media solo 450, e dei 133 Remèri solo 80 erano effettivamente attivi e presenti … Più o meno negli stessi anni, (1629, in prossimità della Grande Peste che decimò Venezia) s’istituì il Libro d’oro delle Maestranze dell’Arsenale, i cui figli legittimi avevano diritto al posto di lavoro nella “Caxa” dopo essersi dimostrati: “… essere ben disciplinati, ed aver ben appreso l’Arte loro.”

Durante la Grande Morìa, il numero degli Arsenalotti e delle loro famiglie rimase quasi immutato nonostante il contagio imperversasse in tutta la città. Dopo la Grande Peste, comunque, fra 1633 e 1643, le Maestranze dell’Arsenale si dimezzarono perché si ridusse pure la produzione dell’Arsenale la cui Flotta venne ridotta a sole 50 Galee Sottili e 6 Galee Grosse “di deposito”.

In una relazione del Nobile Polo Contarini del 1641 circa la Caxa dell’Arsenale, si rilevò che era di 2.239 il numero complessivo delle persone “scritte in apposito ròllo, compresi i Garzoni” che entravano a lavorare nell’Arsenale pagate in moneta, e vino e legna per un valore di 48 soldi al giorno ... Il 53,95% di costo apparteneva alle Arti Maggiori: “Gli Arsenalotti e i Mastri a fine giornata asportano dalla Caxa dell’Arsenale un “fascio di stelle” ossia legname di scarto asportandone giornalmente per un valore di 7-10 soldi ... E’ questo spesso motivo di abusi e di furti celati all’interno del legname.”

Fra 1716 e1771 si costruirono in Arsenale 35 Vascelli Leggeri e alcune Corvette, ma se ne comprarono altri 31 all’estero, e in Istria e Dalmazia ... Le navi di “primo rango” e le Fregate a motivo del basso pescaggio dell’Arsenale e del Bacino di San Marco uscivano attraverso il Rio della Madonna dell’Arsenale solo parzialmente alberate e attrezzate. Venivano poi portate verso Malamoccoe l’Isola di Poveglia, e ancorate nel Canale Spignòn dove una flotta di servizio di Arsenalotti e barche le “acconciava” e caricava e riforniva di viveri, artiglieria e ricambi accompagnandole poi fuori dal Porto per almeno 6-8 miglia dove venivano ulteriormente armate, zavorrate ed equipaggiate del tutto ... Era tutto un immenso lavorio, ed era evidente per tutti che la Serenissima col suo Arsenale scricchiolava e vacillava vistosamente: la Repubblica non era più quella di un tempo … Pietro Gradenigo nei suoi “Notatori”segnò: “Nel 1457 qualche ignoto nella notte del 10 aprile 1749 spezzò la testa marmorea col simbolo di San Marco posta sopra alla Porta dell’Arsenal ...”

Perché e con quale scopo rammentare quel fatto antico ormai dimenticato ?
Si voleva “mettere il dito sulla piaga”, cioè confermare e sostenere che Venezia era ormai decadente … e i fatti lo dimostravano.
Nell’aprile 1793 gli Arsenalottivararono il Vascello di primo rango Vulcano” che giunto a mezzogiorno all’altezza dei Forni di San Biagiosul Molo di San Marco appena fuori dall’Arsenale, andò a incagliarsi e si dovette procedere con l’alleggerirlo della zavorra di palle d’artiglieria demolendo perfino un tratto della Fondamenta dirimpetto ai Forni su cui si era appoggiato ... Il mese seguente avvenne un altro incidente simile, e la nave Medèa appena fuoriuscita dall’Arsenale dovette essere urgentemente ricoverata di nuovo al suo interno ... Indubbiamente Arsenale e Arsenalotti non erano più quelli di una volta ... in ogni senso.



Nel luglio 1796 il Senatoaumentò di 400 unità le Maestranze dell’Arsenale, precettò tutti i Fabbri di Venezia mettendoli a fabbricare “rampegòni e punte”,richiamò pure in servizio tutte le Velère, e fece costruire e cerchiare numerose botti per realizzare una nuova serie di galleggianti ... Si nominò il Nobile Giacomo Nani a Provveditore alle Lagune facendolo coadiuvare dai Nobili Tommaso Condulmer e Zaccaria Vallaresso ... Il Magistrato alle Biade fece incetta di frumento riempendo tutti i Granèri e i Fonteghi(magazzini)di San Biagio e di Sant’Elena dove si misero all’opera senza sosta i 38 forni … Negli stessi giorni avvenne l’ultima esibizione in Laguna della flotta navale Veneziana che stazionava nei pressi dell’Isola di Murano: uscirono dall’Arsenale 30 barconi da guerra armati ciascuno con 2 cannoni, e 4 “galeggianti”che fecero diverse “evoluzioni a fuoco” facendo accorrere su barche una nutrita folla di Veneziani curiosissimi … Intanto “Barche leggere volanti condotte da 10 Nicolotticiascuna, e armate sulla prua da un pezzo d’artiglieria pattugliavano tutta la Laguna con l’ordine di non lasciare uscire ed entrare nessuno in città identificando chiunque incontravano … L’Isola di Poveglia era base delle operazioni marittime e caserma di 600 soldati Morlacchi comandati dal Capitano Martinovich. Da lì uscirono: l’Almirante Leonardo Correr col Governator da Nave Antonio Zorzi e il Nobile Angelo Grassi a difendere le entrate del Porto del Lido, Malamocco e Chioggia con le loro navi, e sempre da Povegliapartirono altre galleggianti e una flotta di 40 “legni armati” comandati da Patrizi che sfilò attraverso il Bacino di San Marco andando alla fonda e a difesa di Fusina, Marghera e Campalto insieme alle Feluche e gli Sciabecchi comandati dal Nobile Pietro Venier… Intanto si erano richiamate anche le 4 Galee da guerra della Flotta del Golfo guidava dal Nobile Benedetto Trevisan, ed era rientrate pure la Galeotta del Sopracomito Nicolò Pasqualigoe la Galea di Francesco Muazzo destinate pure loro alla guardia del Lido e di Chioggia insieme a un’altra “Galeotta di conserva” ... Si attendeva anche il rientro della Fregata da guerra di Andrea Corner Governadòr de Nave ... e s’inviarono 6 Felucòni a Chioggia dove si sequestrarono tutti i forni e si misero a far pane tutti i Fornai disponibili perché si stava già segnalando l’arrivo dei Francesi a Cavarzere: si era ormai quasi inconsapevolmente giunti all’epilogo della gloriosa Storia della Serenissima Repubblica.

Nel gennaio di due anni dopo, le truppe Francesi occupanti Venezia entrarono nell’Arsenaledove distrussero a colpi d’ascia tutta la copertura del Bucintoro del Dogeche non c’era più. Portarono poi la nave dietro l’Isola di San Giorgio Maggioredove ne bruciarono in gran parte le decorazioni, l’allestimento e il fasciame, e il nudo scafo ribattezzato “Prama Hydra” venne trasformato prima in prigione galleggiante ormeggiata in spregio al centro del Bacino di San Marco, e poi in piattaforma galleggiante per cannoni posta a guardia dell’entrata del Porto del Lido… Nel 1824 avvenne la distruzione definitiva del Prama Hydra, e del vecchio Bucintoro Dogale si conserva oggi solo un portello dorato al Museo Navale, e una vela dorata col simbolo di San Marco al Museo Correr.



Basta mi fermo … Si potrebbero aggiungere ancora infinite altre cose sull’Arsenale e gli Arsenalotti di Venezia ... esiste solo l’imbarazzo della scelta nel dire, scrivere e raccontare.

Ricordo un mio ex compagno Buranello delle Elementari e delle Medie finito “di Marina e di stanza nell’Arsenale di Venezia” durante la Leva Militare: “E’ stato un tedio, una noia infinita.” mi ha raccontato, “Non sapevamo mai che fare dalla mattina alla sera … A volte trascorrevamo il tempo lanciando letteralmente delle secchiate di pittura grigia addosso al naviglio della Marina da ridipingere ormeggiato nell’Arsenale … Quel posto era un paese desolato, guardato a vista, ma morto … senza prospettive, e soprattutto senza una vera e propria utilità … Come una specie di cimitero storico, un monumento alla memoria sparso su tanto spazio affacciato sull’acqua ... Mi faceva tristezza vivere laggiù … e non ho visto l’ora di poter tornare alla vita normale fuori da quelle mura obsolete e cadenti lasciate in mano a “comandoni pomposi e nostalgici” privo però di vero potere e genuina capacità d’azionev... L’Arsenale è un posto morto, non esiste più.”

Che differenza con quando c’erano gli Arsenalotti …e la Caxa dell’Arsenal era come un paese pulsante dentro a Venezia … una Piazza d’Acqua affollatissima e vivissima in cui i Veneziani armeggiavano e trabaccavano da mattina a sera !



In parte l’Arsenale di oggi è ancora così: una grossa parte di Venezia ferma lì in standby, una vasta superficie di circa 478.000 m2 di cui 136.380 m2 coperti, 224.620 scoperti e 117.000 m2 di spazi acquei spartiti fra Comune di Veneziae Marina Militare che ne governa 2/3 … L’Arsenale è un mastodonte, un mostro oltre che un grosso spicchio di Venezia forse in attesa d’essere liberalizzato e aperto non ai Veneziani, che purtroppo non ci sono quasi più, ma alla grande folla dei turisti sempre pronti a riconoscere ed approfittare di un’altra attrattiva di Venezialand … Tanto per intendere: ogni anno si spendono 100.000 euro per la sola manutenzione dei coppi(tegole) che ricoprono le infinite tese, costruzioni, magazzini, torri, cantieri, officine, e gli spazi espositivi dell’Arsenale utilizzati in parte dalla Biennale, da musei ed edifici storici, o da iniziative di studio, culturali e imprenditoriali.

Tra le pieghe recondite però di quel “bestione storico”, in qualche angolo, su qualche riflesso d’acqua, e dietro a qualche ombra effimera, ho visto un fuggevole Arsenalotto che forse non c’è … La Caxa dell’Arsenàl de Venezianirespira e per fortuna resiste e s’abbarbica ancora a qualche vecchia notizia, e ha tante storie da dire a chi è disposto a fermarsi un attimo per sentirsele raccontare … L’Arsenale ha come una sua “pelle coriacea e antica”, un vissuto prezioso lasciato là, che volendo si può sfiorare, palpare e toccare … e in un certo senso incontrare.




“Un Papa eletto a Venezia ... il 14 marzo 1800.”

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“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 159.

“Un Papa eletto a Venezia ... il 14 marzo 1800.”

Ditelo voi come preferite meglio: inventato, eletto, “partorito”, designato, incoronato o quel che volete … Insomma: c’è stato storicamente un Papa che è stato reso tale proprio qui nel cuore di Venezia, nell’Isola dei Cipressi, ossia in San Giorgio Maggiore… proprio “de fàssa”(in facciata) alla Nobile Piazza e sul Bacino di San Marco.
Vi ricordo subito di quando e di chi si trattava: era il 14 marzo 1800 quando il pomposo Conclave dei Cardinali elesse come nuovo Sommo Pontefice il Monaco Benedettino da Cesena: Barnaba Nicolò Maria Luigi Chiaramonti, che prese il nome di: Pio VII.

“Ma i Papi non si fanno di solito a Roma e in Vaticano ?” mi direte.

Invece no … Qui a Venezia non ci siamo mai fatti mancare niente … neanche un’elezione Papale, per cui è capitato questo fatto proprio qui da noi in Laguna. Anche se non siamo stati l’unico caso “anomalo”nella storia dei Papi, perché altri Papi sono stati eletti altrove: Pisa, Avignone, Ferrara ad esempio… e ci sono state epoche di gran confusione in cui i Papi erano contemporaneamente tre-quattro: Papa, Antipapa, Contropapa … e cose del genere … Dentro alla Storia della Chiesa è accaduto di tutto … un po’ come da noi a Venezia.

“Ma com’era, come stava Venezia in quel marzo 1800 tondo tondo ?”

Di certo ci dovette essere un quel gran bel casino … e alla fin fine quell’attesa del Papa nuovo fu una bella sorpresa, oltre che un fatto eccezionale e un insolito prolungato festone.

Lo sapete già: in quegli anni Venezia stava languendo depressa, diventata lo spettro di quanto era stata un tempo … La Repubblica Serenissima ormai non esisteva più sebbene Clero ed ex Nobili Veneziani cercassero ugualmente di darsi un certo sussiego e contegno provando a salvare almeno le apparenze. Di fatto però, tutta quella gente non contava più niente agli occhi del mondo di allora, e tutta l’Europa rideva e si divertiva alle spalle di quella “atavica quanto illustre Nobiltà ed Eccellenza” ridotta a poveri fantocci insignificanti depredati di tutto. Gli illustri e abili Mercanti che per secoli avevano gestito le sorti di buona parte del Bacino Mediterraneo e oltre, ora contavano come “il due di Coppe o de Spade e Picche”, erano diventati: “scartelle prive di pregio”… perché napoleone in breve stava spazzolando via, umiliando e azzerando tutto e tutti. Al massimo qualche ex Nobile Veneziano riuscì in seguito a comprarsi qualche titolo Imperiale Austriaco, assumendo però titoli considerati infimi nella scala delle gerarchie nobiliari Europee … I Veneziani piano piano divennero in tutti i sensi “l’ultima ruota del carro”… e tutta Venezia giunse per davvero al capolinea della sua plurisecolare quanto mirabile Storia ... Un quadro “tristo”insomma.

La stessa isola dei Benedettini di San Giorgio Maggiore o dei Cipressi che era stata sede di Monaci potentissimi, ricchissimi e influentissimi era diventata molto diversa da com’era, e anche da come possiamo ammirarla ancora oggi. Ovviamente non esisteva ancora l’attuale Fondazione Cini che è diventata di fatto padrona di buona parte dell’isola, né i Monaci Benedettini erano ridotti ai “quattro gatti modesti e silenziosi”ospitati oggi nelle ristrettezze dei pochi locali concessi loro dopo la soppressione e lo scempio napoleonico dell’Abbazia.

In quel primo anno del 1800, il Monastero di San Giorgio Maggioreera quanto di meglio potesse ancora offrire Venezia.

Precisando meglio, l’elezione di quel Papa a Venezia non si risolse affatto in pochi giorni come tutti s’aspettavano, ma fra Conclave, preparativi e tutto il resto si andò parecchio per le lunghe: quasi metà anno ! Ci fu un ampio “pre Conclave” e un altrettanto lunghissimo periodo di “postElezione” che anticiparono e seguirono la celebrazione di quello che fu sicuramente un eccezionale avvenimento mondiale.

Le grandi manovre per eleggere a Venezia il Papa Nuovo erano iniziate già nell’autunno-inverno precedente, mentre il Conclave Elettivo Veneziano vero e proprio venne ufficialmente aperto il 01 dicembre 1799, concludendosi il 14 marzo 1800 con l’Elezione di Pio VII… Il Neo Papa però partì da Venezia per Roma soltanto il 5 giugno 1800, ossia quasi tre mesi dopo.

Venezia quindi divenne e rimase per mesi una specie di gran calderone, un’immane polveriera, “un circone” dentro al quale poteva succedere e accadde di tutto.

In verità, il poco o niente che rimaneva dell’antica Serenissima non stava affatto bene … Dai visitatori dei tour ottocenteschi Venezia era definita: “squallida e mesta”, tutta intenta a leccarsi le ferite del suo disfacimento, e a vivere quel momento tragico di trapasso passando di mano in mano fra Francia e Impero Austriaco. Venezia come città non era solo ferita, ma era mezza morta, lontanissima dall’aver qualche possibilità di ripresa: “La città sta vivendo tempi calamitosissimi … Venezia è ufficialmente in lutto !” si scriveva e diceva in giro … C’era perfino qualche uccellaccio del malaugurio, qualche spennacchiato sciacallo soprattutto negli ambienti religiosi, che andava dicendo che quella situazione era: “… espressione della collera Divina per i peccati dei Veneziani divenuti troppo indolenti e irriflessivi”.

Venezia era come se fosse stata messa in mano a dei becchini.

In Laguna l’arrivo degli Austriaci dopo i Francesidistruttori aveva fatto ben sperare: si credeva di poter salvare ancora qualcosa di quanto spudoratamente s’era buttato via, compreso l’apparato, le tradizioni e i contenuti Religiosi e Civili da sempre coltivati riccamente e splendidamente per secoli. Niente da fare, invece, perchè l’Austriadisilluse tutti dimostrandosi soprattutto “conquistatore e padrone”, e non “liberatore e restauratore” come si proclamava … Venezia, insomma, rimase: suddita ... avvilita, obbediente e sottomessa, punto e basta … e per di più parecchio strapazzata da quelli che vi passavano per governarla.

Lo stesso Patriarca di Venezia, un po’ “scalcinato” a dire il vero (dal 1776 era Federico Maria Giovanelli, che morì a Conclave ancora in corso senza potersi godere la sorpresa dell’elezione del nuovo Papa. I Cardinali chiusi ancora dentro al Conclave di San Giorgio gli pagarono il funerale per omaggiarlo, e la cerimonia venne celebrata privatamente e senza alcun apparato e pompa in San Francesco della Vigna. Solo 40 giorni dopo (!) il Governo Austriaco concesse ai Veneziani il permesso di celebrarne le Esequie Solenni nella chiesa Cattedrale di San Pietro di Castello.), in uno dei suoi discorsi alla città si spinse a definirla: “Città non del tutto cara e ben accetta alla Provvidenza Divina.”

Peggio di così ?  … Venezia rimase senza guida Patriarcale per due anni, ossia fino a quando la Corte Imperiale di Viennasi decise a nominare come Patriarca il filoaustriaco Ludovico Flanginisuscitando le aspre proteste dello stesso neoeletto Papa Pio VII.

“Ma perché un Papa nuovo proprio a Venezia ?”

Innanzitutto perché Venezia era considerato un luogo adatto e con i requisiti giusti di segretezza e tranquillità necessari per svolgere un atto e un evento simile. Fu lo stesso l’Imperatore Francesco d’Asburgo ad offrire ospitalità al sparpagliato Sacro Collegio dei Cardinali in quelli che erano diventati i suoi nuovi Stati che napoleone gli aveva appena ceduto nel 1797. I Cardinali accettarono subito l'offerta, e s’individuò nell'antichissima Abbazia Benedettina dei Santi Stefano e Giorgio la sede più adatta per andare ad eleggere e inventarsi il nuovo “più opportuno” Papa.

Pio VII doveva succedere a GiovAngelo Braschi(ossia Pio VI) morto malamente a Valence in Francia nell’agosto 1799: “dopo dieci giorni di furiosa quanto ostinata diarrea non soccorribile dall’Arte Medica”. Quel Papa così malridotto era soprattutto prigioniero ormai da tempo della Rivoluzione Francese napoleonica, le cui truppe gli avevano di fatto occupato e cancellato per intero il glorioso e storico Stato Pontificio con tutto quello che significava e comprendeva. Da quel poco che rimaneva della Roma che contava un tempo, s’implorò a lungo il Direttorio di Parigi di concedere almeno il cadavere illustre del Papa Morto per seppellirlo onoratamente in Italia … Parigi nicchiava incerto sul da farsi, considerando pro e contro di quella scelta: se fosse stato meglio o no concedere quell’ultima grazia ai Romani ... che non si ringalluzzissero per quella cosa.

La figura del Papa era quindi in gran declino: spodestato e strapazzato, ridotto quasi “in mutande”, e sfrattato bruscamente da quella che era stata la sua Roma … Già nel 1798,“consapevole della malasorte e dell’aria trista che tirava”, la Chiesa aveva curiosamente dato disposizioni perchè un eventuale “Conclave d’emergenza” si potesse celebrare opportunamente fuori dalla divenuta ormai: “precaria e incerta Santa Sede Romana”.

Quindi Papa & Cardinali con tutto il loro entourage se l’aspettavano già di “finire parecchio male”.

Dall’altra parte napoleone & C avevano ormai ufficialmente messo al bando da un pezzo il Cristianesimo e la Religione in tutta la Francia e dovunque si recavano in Europa. Senza tanti preamboli e delicatezze, i Francesispogliavano, disautoravano, carceravano, deportavano, esiliavano e uccidevano: Preti, Frati, Monache, Nobili e fedeli. Fu qualcosa di simile a quanto avvenne in seguito, a distanza di un secolo e più, anche nel Tibet invaso e distrutto dai Cinesi, oppure potremmo dire che è il metodo usato ancora oggi in Europa, Asia e Africa dagli scuri personaggi dell’Isis… L’umanità non sembra aver imparato niente dai suoi errori.



Tornando però a quella mesta Venezia d’inizio 1800 … Gran parte dell’arcipelago Veneziano con le Isole e la Giudecca dipendevano dal punto di vista religioso e giuridico dal Patriarca di Venezia residente alla fine della città nella Contrada di San Pietro di Castello. L’isola di San Giorgio Maggiore faceva parte dell’unica Parrocchia della Giudecca: Sant’Eufemia o Fèmia che era considerata parte integrante del Sestiere di Dorsoduro.

Gran parte del Centro Storico di Venezia, invece, aveva costituito fino all’arrivo dei Francesi la Chiesa Palatina del Primiceriato di San Marco, ossia quella che era stata in un certo senso: la Chiesa Privata del Doge, riconosciuta sotto la sua diretta giurisdizione fin dal lontanissimo anno 1000. Il Primicerio di san Marco, che era una specie di prolungamento e “longa manus” del Doge in campo religioso, aveva giurisdizione oltre che sulla Basilica di San Marco: Chiesa Matrice, anche sulle tre circonvicine Parrocchie e Contrade filiali di San Basso, San Geminiàn o Ziminiàn, e San Giuliano o Zuliàn, oltre che sulle Parrocchie e Contrade cittadine di: San Giacometto de Rialto, le limitrofe: Santi Filippo e Giacomo con Sant’Apollonia, Santa Maria in Broleoo Bròlo(chiesa “in bòca de piassa”, che era stata un tempo dei Cavalieri Templari); e la piccolissima San Gallo anch’essa vicina a San Marco, da dove era stato trasposto l’antico Hospeàl Orseolo che stava accanto al Campanile di San Marco; e Santa Maria della Pietà sul Molo di San Marco; nonchè: San Nicolò di Castello, i Santi Pietro e Paolodi Castello con l’annesso Hospeàl dei Mutilati; Santa Maria dell’Arsenale con Santa Maria del Rosarioin Contrada de San Martin sempre nel Sestiere di Castello; e Santa Maria dell’Anconeta in quello di Cannaregio presso San Marcuola.
Infine il Primicerio di San Marco aveva giurisdizione pure sull’Isola di San Servilio cioè San Servolo nella Laguna Sud di Venezia, proprio dietro a San Giorgio Maggiore.

In quegli anni il Primicerio di San Marco era Paolo Foscari che si comportava di fatto come fosse stato un Vescovo vero e proprio parallelo al Patriarca di Venezia, anche se non lo era affatto: l’unica autorità religiosa riconosciuta a Venezia era soltanto il Patriarca. Tuttavia il Primicerio di San Marco governava il suo Clero Ducale, ossia i Preti del Doge, celebrava i riti in San Marco spesso alla presenza di Doge e Signoria, ordinava Preti i Chierici formati nel suo Seminario Ducale detto: Seminario Gregoriano, nominava i Piovani delle sue Parrocchie, e riscuoteva tasse e balzelli da molti fedeli Veneziani residenti in quelle che considerava “sue Contrade”.

Francesi e soprattutto Austriaci, invece, progettavano d’accorpare al Patriarcato di Venezia il Primiceriato di San Marco che consideravano una specie di residuo e relitto storico rimasto orfano del proprio capo: il Doge, che era stato spazzato via. Inutilmente Paolo Foscari col suo Clero avevano provato a “salvare capra e cavoli” cercando di far nominare San Marco come Basilica Imperiale scimmiottando nella figura dell’Imperatore quella che era stata la figura e l’influenza Dogale … Perfino lo stesso neoeletto Pio VII provò a compiere un ultimo gesto per salvare il Primiceriato trasferendogli la giurisdizione e gestione dell’Oratorio-Contrada di San Giovanni Elemosinario di Rialto: fu tutto inutile, e il Primiceriato di San Marco venne abolito confluendo del tutto nel Patriarcato di Venezia.

Accanto al Patriarcato e al Primiceriato di San Marco c’era inoltre Nicolò Sagredo Vescovo di Torcello che governava una sua micro Diocesi comprendente le isole di Murano, Mazzorbo, Torcello e Buranonella Laguna Nord di Venezia, e un piccolissimo lembo del primo entroterra Veneziano: ossia quelle che erano state le terre del Monastero di San Cipriano di Terra, San Michel del Quarto, Tre Palade e Lio Piccolo dall’altra parte. Nel 1818 anche la così detta Diocesi Torcellana venne accorpata: “tou cour e armi e bagagli” al Patriarcato di Venezia, com’era già accaduto in precedenza anche alle antiche Diocesi di Caorle, Eraclea e Jesolocioè Equilio.

Nella relazione della Visita Pastorale del Patriarca Pirker a Torcello nel 1821 si può ancora leggere: “Torcello è ridotta a soli 80 abitanti tutti vignaioli … è una desolazione … Oltre alla disertata Cattedrale di Santa Maria Assunta possiede ancora l’Oratorio pubblico di Santa Fosca a cui è annesso un Ospedaletto, e San Tommaso dei Borgognoni che è in via di demolizione, e appartiene ancora alla famiglia Trevisan ... Nell’isola: 6 Sacerdoti celebrano poche Messe provvedute da qualche chiesa di Venezia in quanto non ci sono offerte dei residenti ... Le rendite del Piovano di Torcello sono ridotte ai soli 600 franchi del Canonicato, più i 500 franchi della Congrua, e gli 81 franchi delle ex Mansionerie di Messe cessate con la caduta della Repubblica … In isola non s’insegna neppure la Dottrina Cristiana …”

“Ma come furono quei concitati giorni Veneziani ?”

Come vi accennavo: un gran casino ! … una grande ressa e confusione, un gran convergere in Laguna e in città dove si stava producendo qualcosa a metà fra un grande evento e un pallido tentativo della Chiesa di sopravvivere alla Storia e a se stessa. In breve tempo a Venezia non ci stava quasi più nessuno … Un po’ come oggi, che al posto dei Veneziani ci sono altri che intasano, ingolfano e ingombrano ogni posto per tutto l’anno.


Nei giorni immediatamente precedenti all’inizio del Conclave, il Patriarca Giovanelli, diede ordine in sincronia con la Messa dello Spirito Santocelebrata dai Cardinali Conclavisti a San Giorgio di celebrare in tutta Venezia numerose Messe “pro eligendo Summo Pontifice”esortando tutti i fedeli maschi (!) e il Clero: a pregare per i Cardinali e per l’Imperatore, e a fare le immancabili quanto doverose elemosine … Sollecitò inoltre tutti, eccetto le donne, a partecipare a una “sobria” processione quotidiana da San Marco fino a San Pietro di Castello di una Parrocchia Matrice o di Contrada alla volta, oppure di un Monastero, una Capellania o Vicaria, o a turno: di una delle poche Confraternite d’Arte-Mestiere e Devozione rimaste.

Il Patriarca decretò: “Alle Donne resta assolutamente proibito d’associarsi a queste Processioni: sono però esortate di recitare ogni giorno una terza parte del Santo Rosario, secondo la Nostra intenzione, e di fare tutto quello di più, al che verranno consigliate dal loro Confessore.”

Ogni giorno a Venezia partiva quindi una spettacolare e solennissima Processione carica di gente che andava da San Marco fino a San Pietro di Castello: “Con folto ed immenso concorso di popolo nonostante il brutto tempo vennero celebrate le Funzioni Esequiali, i Novendiali per l’Anima del defunto Pio VI in tutte le chiese di Venezia e soprattutto nella Basilica Patriarcale di San Pietro di Castello … e l’Autorità Pubblica in segno di partecipazione e solidarietà col popolo dei Credenti fece chiudere per otto giorni tutti i teatri di Venezia.”

Infine iniziarono ad arrivare a Venezia i Cardinali Elettori: ossia i protagonisti, i fautori di quel grande evento-spettacolare che era l’Elezione del Papa Nuovo.

“Ma chi erano costoro che approdarono in Laguna per eleggere e inventarsi il Papa Nuovo ?”

Innanzitutto serve precisare che alla fine fu presente a Venezia solo una parte dei Cardinali Elettori Conclavisti: ossia solo 35 dei 45 Cardinali Elettori esistenti in totale nel mondo di allora (Oggi secondo la “Costituzione del Papa Eligendo” voluta da Paolo VI nel 1975, i Porporati Elettori sono circa 120). Allora erano 29 gli Italiani, 2 gli Spagnoli, 1 Inglese, 1 Savoiardo “romanizzato”, 1 Francese che rappresentava gli interessi di Luigi XVIII riconosciuto dal Conclave come legittimo pretendente al trono di Francia, e 1 Austriaco con pieni poteri conferitigli dalla Corte Imperiale Austriaca… che era un po’ “la padrona di Venezia”del momento.

Il 16 settembre 1799 risultavano già presenti a Venezia: 14 Cardinali … “una baraònda !”Quella volta non esistevano ancora telecamere, telegiornali, Social, media e giornalisti ... ma Venezia divenne ugualmente palcoscenico mondiale ...era peggio della Mostra del Cinema di oggi: tutti volevano sapere, vedere e capire ...Anche se il Papa che risultò eletto fu un Pontefice vero e valido a tutti gli effetti, quell’Elezione PapaleVeneziana era un po’ anomala rispetto ai tradizionali canoni Conclavisti Ecclesiali:quello di Venezia fu l'ultimo Conclave ad essere celebrato fuori Roma, e fu pure quello col minor numero di Cardinali presenti dal 1534 in poi.

Non guasta ricordare inoltre, che la maggior parte di quegli uomini che giungevano a Venezia erano personaggi ricchi e potenti, dotati di“cultura e testa fine”, quasi tutti laureati in Utriusque Iure(ossia in tutti i tipi di Diritto all’Università della Sapienza di Roma o altrove), e figure spesso di provenienza Nobilissima che avevano occupato tantissime cariche di Stato e di Governo della Chiesa e del “moribondo”Stato Pontificio… Insomma: erano tutti uomini sveglissimi e dannatamente in gamba, che si recarono a Venezia non in incognito e modestamente, ma con tutto il loro corteo e codazzo al seguito, a volte accompagnati anche da più di cinquantina persone ciascuno: una piccola Corte personale.

***** NB … Occhio adesso ! *****
Da qui in poi, se avete fretta, tralasciate di leggere le prossime notizie scritte in rosso, e proseguite oltre leggendo solo ciò che è scritto in nero ... Se siete coraggiosi, invece …

Tre Cardinali andarono ad alloggiare nella Canonica-Convento di San Salvadorpoco distanti da Rialto, ossia i due fratelli Genovesi (da Napoli però): Doria Pamphilj Antonio Maria (50 anni) Cardinale Diacono di Santa Maria ad Martyres eProto Diacono del Conclave,e Giuseppe Maria(48 anni)Cardinale Presbitero di San Pietro in Vincoli, Nunzio apostolico a Madrid e poi a Parigi, ex Cardinale Segretario di Stato.Erano figli di Duca, Principi e Nobili. Giuseppe Maria fu procacciatore come tutti i suoi parenti d’importanti incarichi e benefici fino a divenire pure: Ablegato a Madrid per portare le “Sacre Fasce” al Principe delle Asturie. Raccolse inoltre un bel mucchio di grandi cariche Pontificie fino al marzo 1794 al tempo dell’occupazione Francese di Roma, quando essendo Cardinale Segretario di Stato venne arrestato e imprigionato nel Convento romano dei Convertiti, e poi trasferito a Civitavecchia prima di venire espulso dai territori della nuova Repubblica Romana. Più tardi accompagnò Pio VI nell’esilio forzato fuori Roma pellegrinando fra Siena, Pegli, Parma, Genova e Parigi dove napoleone lo considerò fra gli undici “Cardinali Rossi”filofrancesi. Con quella tendenza politica si recò a Venezia per eleggere il nuovo Papa, e venne poi designato da napoleone stesso come Sub-Decano del Sacro Collegio dei Cardinali inviandolo a Savona da Pio VII, il Papa Nuovo fatto prigioniero, per chiedergli l'approvare le decisioni prese dal Consiglio Nazionale di Parigi. Ancora nel 1813 venne incaricato dal solito napoleone di negoziare il Concordato di Fontainbleau... Più filo-Francese di così ?

Ancora nella Canonica di San Salvador andò ad alloggiare il Cardinale Francesco Maria Pignatelli(55 anni), da Rosarno Calabro, Cardinale Presbitero di Santa Maria del Popolo, Principe, appartenente a una delle più importanti famiglie nobili del Regno di Napoli, e parente di Cardinali.Studiò un po’ ovunque: dai Domenicani, dai Cappuccini e dai Somaschi percorrendo tutta la trafila delle Cariche Ecclesiastiche fino alla nomina a Cardinale da parte di Pio VI. Fu inoltre Legato Papale di Ferrara, e quando i Francesi occuparono la città venne incarcerato senza combattere e poi lasciato andare prima a Roma e poi a Napoli ... In seguito napoleone lo scelse come ostaggio conducendolo a Milano, ma dopo il Trattato di Tolentino Pignatelli fece perdere le sue tracce ricomparendo solo al Conclave di Venezia. Tornato a Roma col neoeletto Pio VII, la trovò occupata dai Napoletani e poi di nuovo dai Francesi che lo arrestarono portandolo in Francia insieme allo stesso Papa Nuovo. Fu uno dei tredici "Cardinali Neri", ossia quelli umiliati da napoleone perché s’erano rifiutati di presenziare al suo matrimonio ... Venne in seguito carcerato a Rethel col Cardinale Alessandro Mattei, e richiamato in servizio dopo il Concordato di Fontainebleau rimanendo a Parigi per le condizioni precarie di salute. Finì con l’andare a morire a Roma nel suo palazzo di San Lorenzo ai Monti nel 1815.

Sempre nella Canonica di San Salvador andò a risiedere pure Henry Benedict Stuart Cardinale(74 anni) d’origine Inglese, Cardinale Vescovo di Frascati, Duca di York e Vice Cancelliere "giacobita" pretendente al trono d’Inghilterra, Scozia e Irlanda.Nato però a Roma, sua madre era nipote del Re di Polonia, era un uomo molto colto che aveva studiato ad Albano e Bologna. Considerato munifico, generoso e prodigo con gli altri, durante l'invasione Francese contribuì ad evitare il saccheggio di Roma pagando di tasca propria il famoso "riscatto per la città Eterna”.

 Dai PadriSomaschi della Madonna della Salute andò ad aggregarsi ed alloggiare il Milanese e figlio di Nobili e Conti:Antonio Dugnani (51 anni), Cardinale Presbitero di San Giovanni a Porta Latina, Avvocato e già Nunzio Apostolico in Francia.Percorse in salita tutta la carriera della gerarchia ecclesiastica fino ad essere nominato Cardinale da Pio Vi nel 1794. Divenne quindi Camerlengo del Sacro Collegio dei Cardinali e Legato pontificio della Romagna fino all’arrivo dei napoleonici. Prese parte al Conclave di Venezia occupando in seguito diversi incarichi in quel che rimaneva dello Stato Pontificio, e nel 1808 venne deportato a Milano e poi a Parigi dove adducendo un'indisposizione non presenziò al matrimonio di napoleone … Fu perciò annoverato tra i "cardinali rossi" (quelli ritenuti devoti al Papa).

Il Cardinale Gian Francesco Albani (79 anni), invece, Decano del Collegio dei Cardinaliandò a risiedere nel Palazzo Patriarcale di San Pietro di Castello ospite del Patriarca Giovanelli. Fu lui a convocare e riunire il Sacro Conclave a Venezia, e fu anche uno dei candidati favoriti all’elezione a Papa, oltre che uno dei principali sostenitori del partito “pro Austria” in contrapposizione a quello “pro Francia”sostenendo la candidatura a Papa del Cardinal Hyacinthe Sigismond Gerdil e di Henry Benedict Stuart. Era di Nobile famiglia Romana e Urbinate, figlio del Principe di Soriano e del Sacro Romano Impero, pronipote di Papa, nipote del Cardinal Annibale Albani, Protettore di Polonia, zio di Cardinali, e Cardinale-Vescovo di Ostia e Velletri per cinquant’anni. Riuscito ad eleggere ben quattro Papi consecutivi, sfuggì all’arresto napoleonico rifugiandosi prima nell’Abazia di Casamari, poi a Napoli e infine a Venezia.Suo nipote Monsignore Giuseppe Albani Ablegato Papale a Vienna si recò col Nunzio Luigi Ruffo Scilla dall'Imperatore d’Austria per negoziare la tenuta del Conclave a Venezia sotto la protezione imperiale. Il Cardinale Jean-Siffrein Maury annotava il 28 dicembre 1799 che l’Albani sosteneva la candidatura di Carlo Bellisomi, mentre il Cardinal František Herzan von Harras desiderava che l'Albani divenisse Papa.

Altri quattro Cardinali Papabili andarono a risiedere in case private: due nella Contrada dei Santi Apostoli e due in quella di Santa Maria Formosa. Fra questi c’erano il Cardinale Ippolito Antonio Vincenti Mareri(61 anni) da Rieti, figlio di Conti. Era Cardinale Presbitero dei Santi Nereo e Achilleo, e sostenitore della candidatura del Cardinal Mattei.Già all'età di nove-dieci anni era entrato in Seminario studiando: Grammatica, Retorica e Materie Umanistiche ... A diciassette anni venne inviato a Roma ritornando poi laureato a Rieti. Assunse poi tutta una serie di cariche d’altissimo livello sia nel Governo dello Stato Pontificio che di portata internazionale ... Fu Legato Pontificio a Bologna quando la città venne occupata dai Francesi … Fuggì a Rieti dove venne fatto prigioniero, e riportato a Roma venne costretto a salvare il Cardinalato pagando una forte indennità.Tornato a Rieti ancora una volta, si mosse solo per recarsi al Conclave Veneziano, dopo del quale venne trasferito di forza a Parigi nel 1810, dove morì l’anno seguente dopo essersi dimostrato favorevole alle seconde nozze di napoleone. Per questo venne sepolto nel Panthéon da dove con lunga epopea venne riportato nella tomba di famiglia a Rieti.

In Contrada di Santa Maria Formosa alloggiò anche il Cardinale Romualdo Braschi Onesti(46 anni) che fu il Camerlengo del Conclave oltre che Cardinale Diacono di San Nicola in Carcere, e Gran Priore del Sovrano Ordine di Malta in Roma. Era Cesenate, figlio di un Conte e della sorella del futuro Pio VI, cioè uomo dal destino segnato fin dalla nascita. Lo zio Papa lo chiamò infatti a Roma, e fu gioco forza per lui passare di carica in carica ottenendo privilegi e benefici di ogni sorta nel tentativo tramite lui di favorirsi lo zio Papa. Luigi XVI, ad esempio, gli assegnò l'Abbazia di Chaage a Meaux con una rendita annuale di 5.000 scudi ... Pio VI, invece, gli affidò il compito di trasferire in caso d’invasione francese la Corte Pontificia a Gaeta, ma quando giunse il momento tanto atteso e temuto lui si trovava nel Convento di Santa Chiara a Napoli e gli fu impedito di realizzare il suo progetto in quanto i Francesi in breve si presero completamente il controllo di Roma ... Dopo la morte dello zio Papa partecipò al Conclave di Venezia sostenendo la candidatura del Cardinal Bellisomi, e figurando anche fra i favoriti alla successione, ma incontrò l'opposizione di altri Cardinali e dello stesso Imperatore ... per cui perse l’occasione di emulare lo zio. Rientrato a Roma a seguito di Pio VII, ebbe il compito di riformare e rinsaldare le economie e le finanze dello Stato Pontificio dopo il dissesto napoleonico. Provò ad opporsi senza successo della liberalizzazione del commercio interno dello Stato Pontificio abolendo il protezionismo, e provando a non perdere i profitti di alcune Gabelle che spettavano al Collegio Cardinalizio … e soprattutto a lui personalmente. Alla fine si dimise avvilito … e impoverito ... Miserello ! … Fu costretto a presenziare a Parigi all'incoronazione di napoleone celebrandone il rito … Infine venne relegato a Cesena fino alla Restaurazione del Papato quando andò a morire a Roma lasciando 10.000 scudi a un certo scultore Antonio Canova per costruire un monumento in San Pietro a suo zio Pio VI.

Il Cardinale Ludovico Flangini (66 anni) prese alloggio, invece, nel Palazzo di famiglia in Contrada di San Geremia. Era Veneziano di Venezia, Nobile Patrizio, Cardinale Diacono di Sant'Agata in Suburra, politico, uomo di cultura e amante dei Classici. Sposato da giovane con Maria Laura Donà dalla quale ebbe una figlia: Cecilia, dopo la morte della moglie nel 1762 si ritirò sui colli di Asolo da dove venne convocato a Venezia ammettendolo al Maggiore Consiglio della Serenissima. In città e per la Serenissima divenne Avogadore da Comun, e uno dei cinque "Correttori delle Leggi" che proposero di chiudere il Ridotto di San Moisè divenuto di fatto una “casa di tolleranza pubblica”. Dopo qualche tempo, Flangini concorse alla carica di Procuratore di San Marco, che però gli sfuggì inducendolo a intraprendere la carriera ecclesiastica. La percorse brillantemente coprendo numerosi incarichi fino a raggiungere il Cardinalato. Non poteva, quindi, non partecipare al Conclave Veneziano per il Nuovo Papa celebrato proprio “in casa sua”. Per l’occasione si fece consacrare Prete perché pur essendo Cardinale non lo era ancora, e tenne un dettagliato diario su tutti i fatti del Conclave, che ancora oggi viene considerato molto prezioso. Dopo l’elezione del Nuovo Papa, si recò a Vienna cercando il favore degli Austriaci che gli garantirono come “segno di benevolenza Imperiale”: una bella pensione di 10.000 ducati annui ... Sempre a seguito di tutto “quel benvolere”di Francesco IId’Austria, di cui fu anche Consigliere Privato, divenne nel 1801 Patriarca di Venezia pur non essendo ancora diventato Vescovo. A Vienna, infatti, venne consacrato in fretta e furia come tale, e sempre da Vienna scrisse ai Veneziani la sua prima lettera pastorale preoccupandosi della preparazione e delle competenze del Clero Veneziano, e dell'istruzione religiosa del suo “Popolo Lagunare” troppo dedito, secondo lui, a seguire "false massime degli pseudo filosofi moderni".
Ancora “trafficando a distanza” presso l’Imperatore di Vienna, provò senza successo a chiedere la reintroduzione del Tribunale dell’Inquisizione per combattere le Società Segrete e i Massoni, provò a risottomettere Frati, Monaci, e tutti i Regolari e le Regolari di Venezia ai loro rispettivi Generali e non più ai Vescovi, e cercò anche di ricostituire la Società di Gesùdei mitici Gesuiti, anche se non con molto successo... Giunto finalmente e fisicamente a Venezia, visitò ogni angolo della Diocesi e della Laguna, rivide al ribasso i prezzi delle Messe, risistemò i fondi e i benefici delle chiese e del Clero, riorganizzò il Seminario Patriarcale curandone la qualità della formazione, eresse nuove Confraternite, e diede grande impulso alla Devozione delle Quarant'Ore ... Infine a 70 anni si dedicò a morire improvvisamente nel 1804 venendo sepolto con gli altri Patriarchi nella cripta della Basilica di San Marco a Venezia dove i suoi resti si trovano tutt’ora ...Durante il Conclave Veneziano, sostenne la candidatura del Cardinal Mattei… ovviamente appartenente alla “Fazione Imperiale”.

Nello stesso Palazzo Flangini di San Geremia sul Canal Grande andò pure ospite Fabrizio Dionigi Ruffo dei Duchi di Bagnara e Baranello, della Nobile Famiglia Romana dei Colonna(55 anni). Era Cardinale Diacono di Sant'Angelo in Pescheria, Tesoriere Generale della Camera Apostolica, Vicario Generale del Regno di Napoli, e politico famoso per aver creato e comandato l'esercito della Santa Sede. Dimostrando notevoli capacità amministrative e di riforma, aveva percorso l’intera carriera ecclesiastica guadagnandosi la fiducia di Pio VI. Fu sua l’idea di mettere le "dogane ai confini dello Stato Pontificio", cosa che gli rese nemica tutta la Nobiltà Romana ... Pio VI  fu costretto a destituirlo facendolo però Cardinale e concedendogli l'amministrazione dei terreni dell'Agro Romano ... Deluso perciò dal Papa e da Roma, Ruffo se ne tornò allora nel Regno di Napoli offrendo i suoi servigi a Ferdinando IV di Borboneche lo nominò subito "Soprintendente dei Reali Domini di Caserta e della Colonia manifatturiera di San Leucio”dandogli in omaggio anche la Commenda dell'Abbazia di Santa Sofia a Benevento. Alla fine, invece, anche a Napoli venne innalzato il nuovo “Albero della Libertà Francese” facendo fuggire la Corte dei Borbone fino a Palermo ... Ruffo chiese allora uomini, navi e cannoni per riconquistare il Regno di Napoli ... Ottenne: il titolo di "Comandante Generale del Re”, e una nave con soli sette uomini … Sette !
Chiunque si sarebbe depresso e dimesso … Lui, invece no: non si perse affatto d’animo, e salpò da Palermo sbarcando in Calabria dove raccolse 25.000 fra volontari e contadini da contrapporre all’esercito Francese mettendo in piedi quella che lui denominò: “L’Armata Cristiana e Reale”… Riuscì incredibilmente a riconquistare: Crotone, la Basilicata, la Puglia e il Principato Ultra partecipando alla coalizione antifrancese che lo portò a riprendere anche Napoli nel 1799 … Chi l’avrebbe mai detto ?
Nella città partenopea però, giunse in giugno anche l'Ammiraglio Orazio Nelson“preferito della Regina”, che disautorò subito Ruffo colpevole d’aver siglato “patti infami" con i Giacobini in fuga invece di giustiziarli. Nelson uccise spettacolarmente 124 “sospetti Giacobini”, mentre Ruffo se ne ritornò a Roma finendo contraddittoriamente prima Ministro di napoleone, e poi Ambasciatore a Parigi di Ferdinando IV ... Presenziò al famoso matrimonio di napoleone venendo da lui riconosciuto fra i "cardinali rossi" rispettati dall’Imperatore ... Più tardi come Fiduciario di napoleone presentò ai Cardinali i decreti del Concilio di Parigi, e convinse Pio VII prigioniero a Savona a firmarli continuando ad andare avanti e indietro fra Napoli e Roma dove venne accolto con freddezza da popolo, dai Cardinali e dallo stesso Papa che lo incaricò solo di sovraintendere all'Annona e alla Grascia (carni, grassi e olio), e di fare solo il Prefetto della Congregazione delle Acque, delle Paludi Pontine e delle Chiane... Un po’ pochetto per un uomo del suo calibro … Nella Napoli in rivolta contro le truppe austriache occupanti venne, invece, nominato dal Re di Napoli membro del Consiglio del Governo Provvisorio e Consigliere del Sovrano… Tornò infine ancora un attimo a Roma per partecipare all’elezione di Leone XII, ma tornò in fretta e furia a Napoli per dedicarsi a morire … cosa che gli capitò alla fine del 1827 ... Stranissimo personaggio e Cardinale per davvero ! … me lo immagino: “mai fermo, nevrotico, tutto tirato, voglioso di menar le mani, e sempre in ansia”.
Durante il Conclave Veneziano sostenne la candidatura prima del Cardinal Mattei, e poi, in accordo col Cardinal Herzan quella del Valenti.

Il Cardinale Giovanni Battista Caprara Montecuccoli(66 anni) andò a sistemarsi in Casa Pagàn nella Contrada di San Fantinpoco distante da Piazza San Marco. Bolognese e figlio di Conti, plurilaureato, Arcivescovo di Milano e capace di ricoprire un’infinità di cariche di Stato: fu Cardinale Presbitero di Sant'Onofrio, già Nunzio Apostolico a Colonia, a Lucerna, in Austria e Ungheria viaggiando anche per Inghilterra e i Paesi Bassi come convinto sostenitore delle novità Francesi … Soprattutto per salvare le numerose ricchezze e il consistente patrimonio di famiglia che possedeva a Bologna nel cuore dello Stato Pontificio, fu uno dei protagonisti dei burrascosi rapporti fra la Chiesa e napoleone. “A conti fatti” gli convenne opporsi all’austero conservatorismo del Giuseppinismo Austriaco, e mostrarsi fautore dell’apertura e della pace con i bellicosi Francesi che simpatizzando con lui lo chiamarono: “il Cardinale Giacobino”. A Venezia ovviamente votò per Pio VII, che per riconoscenza lo nominò Vescovo di Bologna incappando però nel veto degli Austriaci che lo consideravano troppo filo-francese.
napoleone lo volle prima come Legato Pontificio in Francia, e poi come Ministro del Culto e Consultore di Stato della neonata Repubblica Italiana… Pio VI si rifiutò di riceverlo nel suo breve passaggio da Bologna sulla strada per l'esilio francese, apparentemente insoddisfatto del suo lavoro presso la Nunziatura Viennese … ma soprattutto perché molto più attento ad operare negli interessi del suo casato che per quelli della Santa Sede ... Fu Montecuccoli però a riportare a Roma le spoglie di Pio VI morto prigioniero in esilio, e più tardi concelebrò col Papa a Notre Dame di Parigi alla presenza dello stesso napoleone. Fu sempre lui a incoronarlo Re d'Italia benedicendo la Corona Ferrea che gli impose sopra al capo: fatto che gli fece guadagnare la Legion d'Onore, l'Ordine della Corona Ferrea, il titolo di Conte, e quello di Senatore del Regno d'Italia… Infine finì seppellito nel Phanteon di Parigi prima d’essere riportato a Roma per riposare in pace ... Amen !

Il Cardinale Luigi Valenti Gonzaga(74 anni)da Mantova andò ad alloggiare col suo numeroso codazzo in Casa Cornèr in Contrada di San Cassiàn poco distante dall’Emporio di Rialto che lo incuriosiva tantissimo. Cardinale Vescovo di Albano e Nunzio Apostolico in Spagna: fu il candidato preferito della Corte Spagnola. Il cognome antico e prestigioso parlava da se: era nipote e zio di Cardinali, uomo di lettere e cultura, fondatore di Seminari e Scuole Pubbliche e collezionista di quasi una trentina (!) di titoli ecclesiastici importanti … compreso quello della Congregazione per le Acque di Roma a cui teneva tantissimo. Quando Roma venne occupata dai Francesi rimase in città finendo imprigionato insieme ad altri dodici Cardinali (alcuni gravemente malati), e dopo la morte di Pio VI in Francia, si recò a Venezia per eleggere il Papa Nuovo ... che riconoscente, gli affibbiò (solamente !) la carica di Bibliotecario di Santa Romana Chiesa… nomina che però mancava al suo nutritissimo palmares.

In altri Conventi di Venezia vennero ancora ospitati altri Cardinali Conclavisti insigni come Jean-Sifrein Maury (53 anni), Francese di Valréasnel Contado Venassino, Cardinale Presbitero della Santissima Trinità al Monte Pincio. Costui si accasò in quella che era stata la Ca’ Granda ossia: Santa Maria Graziosa dei Frari. Schieratosi inizialmente dalla parte monarchica tanto da divenire Ambasciatore presso la Santa Sede di Luigi XVIII, e membro degli Stati Generali Francesi e dell’Assemblea Nazionale successivamente istituita nel 1789; giunto napoleone, si rifiutò di firmare la Costituzione Civile del Clero, perciò venne esiliato a Roma in quanto considerato contrario al Concordato Stato-Chiesa. Pio VI per consolarlo lo elevò a Vescovo di Montefiascone e Corneto ... poca roba per quei tempi … Infatti, il Cardinale ambizioso passò ugualmente e apertamente dalla parte dei Francesi andando a incontrare a Genova lo stesso napoleone che lo nominò Senatore e Vescovo di Parigi decorandolo della Legion d'Onore e rendendolo anche membro dell'Académie Française… Ecco: così si ragionava ! … Quelle sì che erano cariche prestigiose … Altro che “i contentini” che gli forniva il Papa !
Pio VI che l’aveva nominato anche Cardinale non la prese troppo bene, lo invitò a rinunciare subito a tutte quelle nomine Francesi, ma fu inutile in quanto Maury non lo ascoltò neanche prendendo in seguito anche parte attiva al Concilio della Chiesa Gallicana. Nel 1814, mutati i tempi e girato il vento, Maury si dichiarò stavolta favorevole alla deposizione di napoleone ... (guarda te l’opportunismo di certi uomini … ieri come oggi) … ma dovette lasciare Parigi cacciato via da Luigi XVIII ritornato a sedere sul suo vecchio trono … A Roma un Pio VII scocciatissimo per il suo atteggiamento si rifiutò di riceverlo proibendogli di frequentare anche gli altri Cardinali. Gli tolse la Diocesi di Montefiascone e Corneto, e già che c’era, lo imprigionò per quattro mesi poi perdonandolo e restituendogli il Cardinalato … Infine un Maury deluso e depresso finì per dimettersi del tutto da ogni incarico scomparendo completamente dallo scenario della Storia.

Il Cardinale Livizzani, invece e ancora, venne ospitato nel Convento di Santa Maria del Carmelo nel Sestiere di Dorsoduro, mentre finì nel Convento dei Somaschi della Madonna della Salute: Giovanni Andrea Archetti(68 anni)da Brescia, Cardinale Presbitero di Sant'Eusebio e Arcivescovo di Ascoli. Figlio di ricca famiglia di Mercanti, Marchesi e Baroni, venne fin da subito destinato alla carriera ecclesiastica che percorse con successo interpretando una quindicina di grandi incarichi dello Stato Pontificio ... Fu noto per aver cercato in ogni modo di sopprimere per conto della Santa Sede la Congregazione dei Gesuiti in Russia ostacolato dalla Zarina Caterina II ... Il Comandante Francese di Macerata lo inviò prigioniero nel Convento dei Domenicani di Civitavecchia insieme ad altri Cardinali, in seguito si allontanò trovando rifugio a Gaeta e Napoli, ricomparendo in Laguna alla fine del 1799 per il Conclave Veneziano.

Nello stesso Convento dei Carmini andò a risiedere giungendo in Laguna il 21 ottobre, anche Filippo Carandini(70 anni) nato a Pesaro da nobile famiglia Modenese, e creato Cardinale Diacono di Sant’Eustachio da Pio VI … Dai Teatini di San Nicola di Bari ossia nel Convento dei Tolentini andò ospite il Cardinale Hyacinthe Sigismond Gerdil(81 anni)Cardinale Presbitero di Santa Cecilia.Nato da un Notaio nel Regno di Sardegna a Samoëns in Savoia, insegnante prima a Macerata, poi scrittore di successo a Torino, dove fu Professore di Filosofia e Morale alla Regia Università e Tutore di Carlo Emanuele IV Re di Sardegna. Fattosi Frate Barnabita, venne notato dal Cardinale Prospero Lambertini futuro Benedetto XIV, e Pio VI lo nominò Vescovo di Dibon e poi Cardinale trasferendolo a Roma dove fu anche Prefetto di Propaganda Fide. Alla morte di Pio VI, Hyacinthe Sigismond Gerdilfinì in esilio a Carignano ... Durante i primi scrutini del Conclave Veneziano i Cardinali della “Fazione Spagnola” guidati dal Cardinale Francisco Antonio de Lorenzana y Butrón e da Antonio Despuig y Dameto appoggiarono la sua candidatura, che cadde però quando il 6 dicembre giunse in Conclave il Cardinale František Herzan von Harras, che dichiarò subito “il non gradimento” del suo nome da parte dell'Imperatore Austriaco ... La sua fama precipitò subito ai minimi storici, e Sigismond Gerdil divenne un “Papa mancato”.

Il Cardinale Leonardo Antonelli da Senigallia(60 anni) andò a prendere dimora in un posto più discosto e tranquillo, ossia nell’isola di Murano. Era Cardinale Vescovo di Palestrina, Segretario del precedente Conclave Papale del 1758, primo Cardinale nominato da Pio VI, e Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Si trattava di un uomo di lettere di Nobile famiglia Patrizia di Conti, soprannominato il "Cardinale Nero" ... Nella sua Galleria di Palazzo Pamphilj in Piazza Navona a Roma aveva raccolto e riordinato l'insigne biblioteca Antonelliana di suo zio, il Cardinale Nicolò Maria Antonelli. Fu tra quelli che si opposero al Trattato di Tolentino, e nel Conclave Veneziano sostenne insieme al Cardinal Herzan la candidatura del Cardinal Mattei.

Trovò alloggio dai Girolamini di San Sebastianoin Contrada di San Basilio: Francesco Carafa della Spina di Traetto (77 anni), Cardinale Presbitero di San Lorenzo in Lucina di Roma, Conte Palatino, Duca e Principe, apparteneva a una delle più Nobili famiglie di Napoli. Entrò ben presto a far parte della Curia Romana dove ricoprì però solo ruoli minori, al massimo giunse ad essere Vicedelegato di Ferrara. In seguito con molta pazienza e applicazione, carica dopo carica, divenne finalmente Nunzio Apostolico a Venezia, ma subito dopo venne arrestato dai Francesi, imprigionato prima in Castel Sant'Angelo, poi spedito a Civitavecchia, e infine: espulso e trasferito a Napoli da dove s’imbarcò “trovando respiro” a Palermo ... Il Nuovo Papa eletto a Venezia lo incaricò di recuperare i beni ecclesiastici finiti confiscati dai Francesi: … Grandissimo quanto improbabile incarico ! ... che di certo non lasciò traccia luminosissima nella Storia.

Nelle settimane che seguirono sopraggiunsero a Venezia altri prestigiosissimi quanto insigni Cardinali Elettori che provarono a sistemarsi come meglio poterono, visto che in giro era tutto occupato. Nella “Locande dei Tre Re” in Contrada di San Beneto prese alloggio Stefano Borgia (68 anni)da Velletri, Cardinale Presbitero di San Clemente, già Segretario e Pro-Prefetto di Propaganda Fide dal 1770 al 1800. Era un Nobile imparentato coi famosi Borgia storici, e oltre ad essere Cardinale era anche: storico, amante delle civiltà antiche, numismatico, bibliofilo, collezionista, erudito e scrittore di almeno una quindicina di libri. Ricoprì numerose cariche essenziali per lo Stato Pontificio, si premurò lungimirante dell’evangelizzazione dell’Asia e dell’Africa, ritrovandosi sfortunatamente ad essere Governatore di Roma proprio al momento dell'invasione francese. Venne, infatti, immediatamente arrestato insieme a Pio VI e spedito prigioniero insieme a lui a Valence in Francia, uscendone solo dopo la morte del Papa per recarsi al Conclave di Venezia.  Eletto Pio VII, aiutò non poco il Nuovo Papa nella riorganizzazione dello Stato Pontificio devastato dai Francesi e dai Napoletani, lo accompagnò in Francia per incoronare l’imperatore, ma s’ammalò e morì strada facendo ... Un po’ sfigato come Cardinale.

Nell’ex Collegio dei Padri Gesuiti alle Fondamente Nove andò ad alloggiare il Cardinale Giulio Maria Cavazzi della Somaglia(55 anni), Cardinale Presbitero di Santa Sabina e Vicario Generale di Roma, arzillo Nobile Piacentino che finì col divenire Segretario di Stato a 80 anni al tempo di Leone XII dal 1824 al 1828. Collezionista pure lui d’incarichi prestigiosi, fu in uno dei protagonisti della Restaurazione dello Stato Pontificio e della Chiesa dopo la devastante bufera napoleonica.

Nel Convento dei Serviti di Santa Maria dei Servi di Cannaregio vennero ospitati, invece, il Fiorentino Giovanni Rinuccini(56 anni)Cardinale Diacono di San Giorgio in Velabro, già Vice-Legato di Bologna, Governatore di Roma e Vice-Camerlengo; e il Cesenate di origini Ferraresi Aurelio Roverella(51 anni), Cardinale Presbitero dei Santi Giovanni e Paolo in Roma, e Pro-Datario Apostolico … Entrambi erano stati nominati Cardinali da Pio VI.

Presso l’abitazione del Gran Priore dell’Ordine di Malta nel Sestiere di Castello (un tempo antica casa dei Cavalieri Templari), trovò posto Alessandro Mattei (54 anni) Cardinale Presbitero di Santa Maria in Ara Coeli, Arcivescovo di Ferrara, e nipote del Cardinale Decano Albani.Era figlio primogenito del Principe Girolamo Duca di Giove: una delle famiglie più antiche e aristocratiche della Roma Papalina. Imparentato con Papa Clemente X e un altro Cardinale, suo zio e suo fratello erano Cardinali pure loro, come lo erano stati almeno una decina di altri membri di famiglia. Mattei ricoprì una decina d’importanti cariche Pontificie procurandosi le rendite di numerosi Priorati, Abbazie e Canonicati. Napoleone “lo pizzicò” da Legato e Vescovo di Ferrara imprigionandolo nel Castello di Milano e utilizzandolo poi con Pio VI nei negoziati di pace con la Chiesa. Costretto a siglare il disastroso Trattato di Tolentino con il quale la Chiesa abbandonava le sue Legazioni Pontificie, provò a pronunciarsi timidamente contro napoleone venendo subito espulso da Ferrara, e andando a rifugiarsi “bastonato” a Roma da dove uscì solo per recarsi a Venezia per il Conclave. Riavutosi un poco al fianco di Pio VII, venne di nuovo espulso come sovversivo da Roma nel giugno 1809 andando esule prima a Parigi dove si rifiutò di prendere parte al matrimonio di napoleone venendo annoverato fra i “tredici cardinali neri" (quelli puniti e umiliati pubblicamente dallo stesso Imperatore privandoli dell’abito porporato), e finendo poi imprigionato a Rhetel ed esiliato ad Alais ... Una storiaccia “sfortunata” anche la sua insomma.

Nel Convento dei Padri Domenicani Predicatori e Inquisitori dei Santi Giovanni e Paoloossia San Zanipolo andò a sistemarsi Carlo Bellisomi da Pavia (63 anni), Arcivescovo a Cesena, eletto Cardinale Presbitero di Santa Maria della Pace da Pio VI, già Nunzio Apostolico in Polonia e a Colonia dove venne incaricato d’ottenere la ritrattazione del Vescovo Suffraganeo di Treviri Johann Nikolaus Von Hontheim, che aveva pubblicato sotto lo pseudonimo di Iustinus Febronio il volume: “De statu Ecclesiae doveto”.  Nel Conclave Veneziano fu inizialmente un altro dei super favoriti alla nomina Papale, ma fu ben presto messo da parte ... Dopo l’elezione del Papa Nuovo partecipò all'incoronazione di napoleone come Re d'Italia portandogli con le sue mani la famosa corona di Carlo Magno.

Infine, arrivò a Venezia anche Barnaba Niccolò Maria Luigi Chiaramonti(57 anni) chiamato in religione e da Monaco Benedettino: Padre Gregorioda Cesena. Era Cardinale Presbitero di San Callisto in Roma, già Vescovo di Tivoli, e successore del Cardinal Giovanni Carlo Bandi, fratello della madre del Pontefice Pio VI, alla guida della Diocesi di Imola. Penultimo figlio del Conte Scipione ChiaramontiPatrizio Nobile anche di San Marino, Cavaliere di San Giovanni e Friere dell'Ospedale di Santo Spirito; sua madre era la religiosissima Giovanna Coronata dei Marchesi Ghini di Romagnache in seguito si fece Monaca presso le Carmelitane di Fano assumendo il nome di Suor Teresa Diletta di Gesù e Maria. (Olimpia Chiaramonti sorella maggiore di Pio VII entrò, invece, come semplice "Monaca de Casàda" nelle Celibate di Rimini dove Olimpia Braschi sorella di Pio VI era la Badessa-Superiora ... Giacinto Chiaramontifratello maggiore e primogenito, invece, entrò nel 1749 dai Gesuiti dove venne ridotto in seguito “allo stato secolare” finché il fratello Papa gli assegnò la modesta carica d’Arcidiacono di Cesena … e ancora: Tommaso Chiaramonti secondogenito fu l’unico a perpetuare il casato Nobiliare sposandosi).
A soli 14 anni Barnaba Chiaramonti entrò nel Monastero Benedettino di Santa Maria del Monte di Cesena, dove resisi subito conto delle sue capacità, venne inviato a Roma al Collegio di Sant’Anselmo per perfezionarsi nello studio della Teologia. Lì divenne Professore e insegnante, venendo nominato Priore dell’Abbazia Benedettina di San Paolo fuori le Mura di Roma nel febbraio 1775. Il 16 dicembre 1782, invece, Pio VI lo nominò Vescovo di Tivoli, poi Cardinale nel 1785, e Vescovo di Imola.

Equidistante un po’ da tutto e da tutti, timido fautore della corrente del Conclave più conservatrice, di fama: Esuberante, talvolta polemico e litigioso quanto aspro Romagnolo … ma austero e pio Monaco”, ma soprattutto ignaro della sua futura sorte, Chiaramonti arrivò a Venezia insieme al Nunzio della Russia… non a caso … L’esercito Austro-Russo antiFrancese era entrato appena qualche mese prima, il 31 maggio 1799, a liberare e saccheggiare “la sua Imola” evacuata il giorno precedente dal Generale Francese Hullin ... Poi era tornati di nuovo i Francesi creando caos e panico ovunque … Poi erano di nuovo ripartiti lasciando il posto un’altra volta agli Austriaci … Insomma: un gran casino che aveva segnato di certo la mente del futuro Papa oltre che dell’intera città ... “Quelli erano di certo tempi bui”, disse l’ignaro Cardinale Chiaramonti del tutto inconsapevole di ciò che stava per succedergli.

I due importanti Prelati andarono curiosamente ad alloggiare insieme dai Domenicani di San Giovanni e Paolo, pur essendo Chiaramonti: Monaco Benedettino come quelli di San Giorgio Maggiore.

Come mai ? … Forse perché quello dei Domenicani era un luogo più tranquillo a confronto con l’Isola di San Giorgio che si stava preparando ad ospitare il Conclave … Chissà se si sarebbe presentato a Venezia intuendo d’uscirne Papa ?

Sempre dagli stessi ospitali Domenicani dei San Zanipolo andò ad allogarsi anche il Ferrarese Guido Calcagnini(74 anni)figlio di un Conte Palatino e Marchese, nonché parente di Cardinale, Cardinale Presbitero di Santa Maria in Traspontina e Vescovo di Osimo. Attivo da una vita intera nella Corte Pontificia aveva racimolato … “soltanto”…  una quindicina di cariche importanti, e dal 1776 era diventato Cardinale col titolo di Santa Maria in Traspontina, e Arcivescovo di Osimo e Cingoli ritrovandosi poi a Venezia per eleggere il Nuovo Papa.

Nella Locanda Allo Scudo di Franciain Riva del Carbòn prese posto Carlo Giuseppe Filippa della Martiniana(75 anni) da Torino, Cardinale Presbitero di San Callisto eletto da Pio VI nel giugno 1778, e Vescovo di Vercelli. Nella Locanda alla Regina d’Inghilterra, invece, s’accomodò con tutto il suo numerosissimo seguito Francesco Saverio de Zelada(82 anni),Cardinale Presbitero di Santa Prassede e“Romano de Roma”, ma nato da Nobile Famiglia Spagnola della Murcia e di Oviedo. Era un uomo eclettico e di buona cultura, grande collezionista di testi antichi, monete, medaglie e opere d’Arte, aveva fatto costruire a Roma un osservatorio scientifico ancora oggi esistente ... e collezionato fra un Papa e l’altro quasi una trentina d’importanti cariche Ecclesiastiche e Pontificie … nonchè parecchi soldini di rendite … che non guastavano mai. Accanito avversario della Compagnia di Gesù dei Gesuiti, aveva provveduto alla redazione del breve “Dominus ac Redemptor”, che ne decretava la soppressione del 1773 ridando al Re di Spagna il pieno potere sulle loro pingui e numerose proprietà. Avvertendo “odor di bruciato”quando Pio VI venne deportato in Francia, Zeladaandò a rifugiarsi in Toscana da dove uscì solo per recarsi al Conclave di Venezia … Pio VII riconoscente d’averlo eletto, gli diede in seguito come “contentino” l’incarico d’Arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma insieme a quello di Protettore della Cappella Orsini ... cariche “di lusso” che ovviamente gli mancavano ... Poca roba anche in questo caso … ma meglio che niente.

Dai Camaldolesi di Murano andò ospite Melchiorre Benedetto Lucidoro (Andrea)Gioannetti(77 anni)che proveniva da una Nobile Famiglia Bolognese. Era Cardinale Presbitero di Santa Pudenziana e Amministratore Apostolico dell'Arcidiocesi di Bologna. Dedito alla carriera ecclesiastica fin da quattordicenne, si fece Monaco Benedettino Camaldolese nel Monastero di Sant'Apollinare in Classe di Ravenna divenendo: Monaco Andrea. Conosceva il Greco antico, era appassionato d’antichità, laureato in Filosofia e Teologia e insegnante nel Seminario dei Camaldolesi. Di lui si diceva: “… uomo diligente nelle Confessioni, nella Catechesi e nella cura dei malati, per colpa loro rischiò perfino di morire d’infezione.” Era inoltre Decano Perpetuo dell’Ordine dei Camaldolesi per la Romagna, Abate di Sant'Apollinare in Classe dove s’era formato, e dove incrementò la Biblioteca Capitolare creando anche un museo di numismatica. Ingrandì le proprietà del Monastero Ravennate ricavandone grano e denaro che donò ai poveri durante la carestia del 1764-66. Per questo ricevette in cambio la Nobiltà della Repubblica di San Marino... e bravo Gioannetti !
Più tardi percorse rapidamente l’ascesa della carriera ecclesiastica assommando diversi incarichi prestigiosi, provò a rimanere a galla con l'arrivo dei Francesi a Bologna, ma finì espulso con la confisca di tutti i beni. Osò affermare: “Il Senato non può legiferare in materia ecclesiastica, dal momento che esso detiene solo l'autorità temporale sulle cose secolari e politiche, e non su quelle Sacre come la Vita e le proprietà della Chiesa, che sono poste al di fuori della giurisdizione dei governi".

Figuratevi i Francesi ! … lo spazzarono via “in un batter d’occhio”.

Rientrato a Bologna occupata dagli Austro-Russi nel marzo 1799, da lì si recò a Venezia per il Conclave morendo a Bologna pochi giorni dopo l’elezione del nuovo Papa ... Cardinale simpatico !

A Palazzo Camerata vennero accolti: Giovanni Battista Bussi de Pretis(78 anni), Nobile di Urbino, Vescovo di Jesi, ed eletto Cardinale Presbitero di San Lorenzo in Panisperna da Pio VI. Era anche l’ex Governatore di Narni, San Severino Marche, Benevento e Spoleto, Ascoli, Ancona, Civitavecchia e Frosinone, nonchè Presidente e Decano della Camera Apostolica e delle Strade dello Stato Pontificio, e Canonico della Basilica Vaticana. Nello stesso Palazzo Camerata alloggiò pureBernardino Onorati (75 anni), figlio di Marchese di Nobile Famiglia di Rimini, Cardinale Presbitero dei Santi Marcellino e Pietro in Roma dal 1777, e Vescovo di Senigallia. Onorati ricoprì i soliti incarichi di Curia prima di diventare Vicedelegato delle Romagne e poi Governatore di Loreto. In seguito operò come Arcivescovo di Side e Nunzio Apostolico di Firenze e poi di Venezia dove fu presente nel 1799 per il Conclave.

Nel Convento dei Frati Minori di San Francesco della Vigna a Castello prese alloggio Ignazio Busca(68 anni)Nobile Milanese ultimogenito del Marchese di Lomagna una delle famiglie aristocratiche della Lombardia Austriaca, sua madre era una Visconti. Cardinale Presbitero di Santa Maria degli Angeli, e già Nunzio Apostolico a Bruxelles, Governatore di Roma, Segretario di Stato e interprete di tutta la solita trafila dei grandi incarichi dentro allo Stato Papale e sullo scenario internazionale Europeo. Non promosse grandi riforme, ma si mise parecchio in mostra come personalità mondana e frequentatore dei salotti dell’elite romana e della diplomazia straniera.Nominato Segretario di Stato da Pio VI al posto del Cardinale Spagnolo Zelada, riportò il Governo Pontificio nelle mani di un Cardinale Italiano filo-Austriaco-Imperiale. Lavorò a lungo provando la via dei Concordati con i Francesi, sperando intanto di guadagnarsi la protezione dell’Austria di Vienna ... che però era interessata soltanto ad assicurarsi i territori del Papato. Dopo le prime sconfitte militari, infatti, l'imperatore si limitò a chiedere al Papa di bandire una crociata contro i rivoluzionari Francesi ... napoleone come risposta decise d‘invadere lo Stato Pontificio ratificando il Trattato di Tolentino che fece perdere al Papa: Ferrara, Bologna e tutta la Romagna obbligandolo al pagamento di 30.000.000 di lire per danni di guerra. Dimessosi da Segretario di Stato, il Cardinale Busca andò a rifugiarsi a Palermo dove rimase fino alla convocazione del Conclave Veneziano a cui partecipò senza grande entusiasmo ... Non disdegnò tuttavia di accettare un’altra decina d’importanti incarichi di governo col nuovo corso Papale … che si tenne cari e ben stretti fino alla morte.

Dei gran bei tipetti vero quegli illustri Cardinali ?

Se non avete tralasciato di leggere “le parole in rosso” credo d’avervi annoiato quanto basta ... Aggiungo comunque che nel Conclave di Venezia erano presenti anche: Francisco Antonio de Lorenzana y Butrón (77 anni),Spagnolo di Leòn nominato Cardinale Presbitero dei Santi XII Apostoli da Pio VI, già Vescovo di Plasencia, Arcivescovo del Messico e di Toledo, Grande Inquisitore di Spagna. Fu la voce della Spagna in Conclave, per il quale contribuì alle spese d’allestimento e mantenimento pagando: 80.000 Scudi Romani. Fu poi a Roma, da dove seguì in esilio Pio VII.


Uno dei protagonisti del Conclave Veneziano, ossia uno di quelli che maggiormente “spirarono e armeggiarono sotto sotto” fu di certo il Cardinale Ercole Consalviche funse da Segretario del Conclave subito dopoaver percorso una rapida quanto brillante carriera nella Curia Romana e nella Congregazione del Buon Governo ricoprendo anche le cariche d’Amministratore dell'Ospizio di San Michele a Ripa, di Auditore di Rota e d’Assessore della Congregazione Militare. In seguito venne imprigionato dai Francesi a Castel Sant’Angelo, poi espulso da Roma al seguito del Papa che raggiunse alla Certosa di Firenze nell'inverno 1798 … Consalvi fu un uomo preziosissimo, molto preparato, abile, astuto e influente … Fu di certo “il braccio destro” e il migliore consigliere del Nuovo Papa.

Fu l’ultimo ad arrivare infine al Conclave: František Herzan von Harras (44 anni), Cardinale Presbitero di Santa Croce in Gerusalemme, per diciannove anni Ambasciatore alla Corte Austriaca presso la Santa Sede e Arcivescovo di Vienna. Fudi fatto gli occhi e la lingua dell’Imperatore Austriaco dentro al Conclave.Cecoslovacco da Praga, suo prozio era l'Arcivescovo Principe di Salisburgo. Studiò laureandosi in Filosofia presso i Paolini, andò poi a perfezionarsi a Roma al Collegio Germanico, e da lì intraprese con successo una decina di cariche Pontificie importanti: Pio VI lo fece Cardinale di San Girolamo degli Schiavoni, Protettore dei Paesi Tedeschi e di tutti i Possedimenti Asburgici. Grazie ai numerosi contatti che intratteneva col mondo artistico Romano, s’era allestito in casa un'importante collezione d'Arte con opere di Giotto, Guido Reni, Carracci, Caravaggio, Tintoretto, Sebastiano del Piombo e a molti altri. Quando si palesò il rischio dell'occupazione napoleonica di Roma, fu tra i primi ad abbandonare la città sperando di ritornarvi, e scappò via portandosi dietro 84 casse piene d’opere d'Arte. Iniziate poi a Roma le confische di chiese e Conventi, inviò il suo Segretario per “salvare il salvabile” prelevando una grande quantità di storiche Reliquie e Opere d’Arte Preziose che restituì solo parzialmente alla città con molta pompa e solennità nel 1804 … e con l’immancabile grande festa da parte dei Romani, esultanti come sempre: “basta che ci sia da magnà !”.

Così vi ho finalmente elencata tutta la sfilza degli uomini illustri che intasarono in quei giorni Venezia col loro invadente codazzo e numerosissimo seguito. Se tenete conto che alcuni Cardinali si trascinavano dietro qualcosa come 50 persone … assommate e moltiplicate un poco … potrete così immaginarvi come doveva essere Venezia e l’Isola di San Giorgio Maggiore in quei giorni. Tutto fibrillava di certo, e tutta quella gente illustre, scintillante e pomposissima andava avanti e indietro da ogni parte utilizzando un esercito di barche, gondole e barchette producendo un caos inverosimile.

Le Cronache Veneziane dell’epoca, infatti, raccontano di Cardinali imbufaliti, irritati, quasi scocciati di dover essere costretti nelle anguste case, Monasteri e Palazzi di Venezia privi dello sfarzo e di tutte quelle comodità e spazi a cui erano abituati nelle loro solite faraoniche residenze … Ma alla fine il Conclave incominciò pronunciando il classico “Extra omnes !” il 1 dicembre 1799.

A Conclave già iniziato, l’8 dicembre, giunse a Venezia il “ritardatario illustre”, cioè l’Arcivescovo di Vienna Hertzan: l’ultimo tra i Cardinali che avrebbe partecipato all’elezione di Pio VII. Il suo fu un “ritardo strategico” probabilmente pensato a posta per apparire e attirare su di se l’attenzione di tutti …  Dove andò ad alloggiare secondo voi ? … In qualche Convento odoroso o Locanda pulciosa come tutti gli altri ?

Ma neanche per sogno ! … Andò a prendere alloggio al n. 1 delle Procuratie di Piazza San Marco... Chissà perché ? ... e si presentò nell’Isola di San Giorgio Maggioreentrando dentro al Conclave riunito accompagnato da un corteo nutritissimo, e da un numero impressionante di gondole e barche.

“Ma dove crede di andare il Cardinale di Vienna ? … Alla guerra ?”diceva di lui per strada i Veneziani sornioni.

Voci popolari anonimi riportavano notizie che giravano ovunque per Venezia: “Si stava attendendo a momenti il Cardinal Hertzan, il quale come proveniente da Vienna, si dice e si vuole, che abbia tutte le istruzioni spettanti il grande affare dell’Elezione.”

E ancora si aggiungeva: “… il solo Cardinal Hertzan ha le istruzioni … Egli solo sa chi dovrà essere il Papa Nuovo.”,

Altri commentavano: “Tutte ciarle per altro, tutte specolazioni e congetture, come l’esito farà credere ...”

Il Cardinal Consalvi scrisse nelle sue memorie: “Accadeva che gli occhi di tutti erano puntati sul Cardinal Hertzan a causa della considerazione di cui godeva da parte dell’Imperatore Austriaco di cui era come il rappresentante …”

Infine ci furono “gli assenti di lusso” del Conclave … più o meno giustificati. Furono in tutto una decina di Cardinali. Qualcuno non si presentò per motivi di salute, qualcun altro … forse per paura, e qualcuno volontariamente e per pura assenza ingiustificata. Fra questi ce n’erano due che avevano rinunciato in precedenza al Cardinalato con la relativa possibilità di finire eletti Papa loro stessi.

Non s’erano presentati a Venezia mancando all’appello, ad esempio: Cristoph Bartolomeo Anton Von Migazzi Conte di Waal e Sonnenthurn Tirolese e Tridentino (85 anni) ... forse perché fin troppo vecchio e acciaccato … Vescovo e poi Arcivescovo di diverse sedi Austriache fra cui Vienna, elevato a Cardinale Presbitero dei santi Quattro Coronati ancora da Clemente XIII.
Fu pure assente anche: Dominique de La Rochefoucauld, Cardinale Presbitero Francese senza titolo (87 anni) nominato da Pio VI, Arcivescovo di Albi e poi di Rouen, Abate Commendatario di Cluny e dell'Abbazia della Trinità di Fécamp. Suo padre era Signore di Saint-Ilpize de Cusson e Rochegonde. Durante la Rivoluzione il Clero del Baliato di Rouen inviò Dominique come deputato agli Stati Generali del 1789. In quanto Presidente della Camera del Clero respinse le misure rivoluzionarie, si oppose al giuramento di fedeltà alla Costituzione Civile del Clero, ma dovette assoggettarsi agli ordini espliciti del Re limitandosi a deporre nell'Ufficio dell'Assemblea una protesta elencante tutti i diritti del suo Ordine. Per questo venne privato di tutte le sue rendite e benefici e mandato in esilio prima a Maastricht, poi a Bruxelles, e infine a Münster in Germania dove s’ammalò e morì.

Mancavano inoltre: Giuseppe Maria Capece Zurlo(88 anni) discendente da Nobile Famiglia Napoletana, figlio di Principe e Principessa. Divenuto Teatino, si perfezionò a Roma seguendo tutta la trafila della carriera ecclesiastica fino a divenire Arcivescovo di Napoli e Cardinale Presbitero di San Bernardo alle Terme Diocleziane … Mancava ancora: Gaspare Vincenzo Ranuzzi (73 anni), Conte Bolognese di Famiglia Senatoria. Fece progressivamente carriera dentro alla Curia Romana di Benedetto XIV fino a diventare Cardinale Presbitero di Santa Maria sopra Minerva e Vescovo di Ancona e Numana. Venne inviato da Pio VI come Nunzio Apostolico a Venezia nel luglio 1775. Negli sconvolgimenti seguenti alla Rivoluzione accolse numerosi Prelati in fuga dalla Francia, e quando Ancona venne assediata dagli Austriaci si rifiutò di abbandonarla rimanendo con i suoi fedeli. Al tempo del Conclave Veneziano era malato, ricevette la visita riconoscente di Pio VII diretto a Roma.

Risultarono ancora assenti: Muzio Gallo: “Suddito Pontificio” nato a Osimo (78 anni), eletto Cardinale Presbitero di Sant'Anastasia e Vescovo di Viterbo e Tuscania da Pio V; Louis-Joseph de Montmorency-Laval (75 anni), Francese nato nel Castello di Bayers, Cardinale Presbitero senza titolo, Gran elemosiniere di Francia e Principe-Vescovo di Metz. Passato d’incarico in incarico rinunciando ogni volta per prospettarsi sempre di meglio. Divenuto Abate Commendatario di Mont Saint-Michel, finì esiliato andando a rifugiarsi durante la Rivoluzione in Germaniadove rimase in attesa di eventi favorevoli … senza mai più trovarli.

Infine mancavano all’appello: il Modenese Carlo Livizzani Forni(77 anni)creato Cardinale Presbitero di San Silvestro in Capite  da Pio VI;i Cardinali José Francisco de Mendonça Patriarca di Lisbona (74 anni), Cardinale Presbitero senza titolo, ma Dottore in diritto canonico a Coimbra;Antonio de Sentmenat y Castella(65 anni) da Barcellona, Cardinale Presbitero senza titolo e Patriarca delle Indie Occidentali; Joannes-Henricus von Franckenberg (73 anni), Tedesco Arcivescovo di Mechlin, Cardinale Presbitero senza titolo, che dopo l'occupazione francese visse in esilio a Münster in Germania;e Louis-René-Édouard de Rohan-Guéménée (65 anni),Cardinale Presbitero senza titolo di Parigi e  Arcivescovo di Strasburgo, anch’egli  esule dopo la rivoluzione francese presso territori tedeschi della sua Arcidiocesi.

Ecco qua ! … Vi ho detto di tutti i Conclavisti presenti e assenti a Venezia.

 

“Come funzionò e andò a finire il Conclave nell’isola di San Giorgio Maggiore ?”

I Cardinali giunti a Venezia, prima di andare a rinchiudersi dentro al Monastero di San Giorgio dando inizio al Conclave, iniziarono subito a celebrare i solenni Novendiali in Suffragio del Papa appena morto … Poi traslocarono del tutto sull’isola, e iniziò la grande attesa.
Tradizionalmente “rinchiusi”nel Conclave, in realtà i Cardinali comunicavano col mondo esterno tramite ben quattro “ruote di servizio” a cui s’affacciavano a turno per ricevere persone, viveri, rifornimenti, notizie e supporti di ogni genere.
Sull’isola era rimasto un drappello di soldati a presidiarla giorno e notte al comando del Principe MarescialloChigi… C’erano poi: due Medici-Farmacisti: Giovanni Piccioli e Francesco Porta, un Chirurgo: Francesco Nesi, un Barbitonsore: Francesco Brinis, e un dentista: Felice Maria… perché non si sapeva mai con tutti quei Cardinali vecchi e malandati. Qualche Cardinale, infatti, trascorse la quasi totalità delle giornate chiuso in camera e ficcato dentro a un letto uscendo solo per recarsi a votare, mentre qualche altro venne: “… qualche volta accompagnato a braccetto, altre volte addirittura a braccia”.

In Isola e attorno al Conclave c’erano inoltre diversi Maestri di Cerimonia e Confessori, un Falegname: Carlo Panzieri, un Muratore: Giacomo Padoan, e alcun Facchini Pubblici “pronti e disponibili ad ogni evenienza: Bartolomeo Romanone, Bartolomeo Ricci, Bartolomeo Santi e Giobatta Vendetta.
Insieme a loro sostava e girava nell’isola un esercito di Conversi, Minutanti, Guardarobieri, Inservienti, Commensali, Segretari, Caudatari, “Servitori di Camera”, Camerieri personali e “camerieri aggiunti” che garantivano ogni genere di confort a ciascun Ministro, e soprattutto ai Conclavisti dei quali spesso erano già al servizio da trenta-quarant’anni consecutivi … Costoro provvedevano di continuo anche ad ogni esigenza personale di comunicazione con l’esterno … I Cardinali erano perciò rinchiusi si … ma fino a un certo punto.

Il Conclave di San Giorgio Maggiore, infatti, fu stranissimo perchè per ben tre lunghissimi mesi sembrò languire non accadendovi nulla: non si arrivava ad alcuna candidatura valida che potesse portare all’elezione finale del Papa Nuovo... Si era, insomma, sempre a un “nulla di fatto”… mentre il mondo intero stava “alla finestra” a guardare e attendere, e Venezia e i Veneziani s’erano come assuefatti a quella “presenza incombente” collocata oltre il Bacino di San Marco: “A Venezia quasi non ci si preoccupava più del Conclave, e si viveva quell’incipiente attesa come fosse divenuta una solita normalità”.

Trascorsero quindi tre mesi … centoquattro giorni !

La Chiesa stava dando al Mondo l’impressione d’essere allo sbando più che mai, e in totale balia degli eventi storici che stavano percorrendo l’intera l’Europa.

Il ligure Agostino Rivarola ex Governatore Pontificio di San Severino e della Marca Maceratese, espulso dai territori del Papa dai Francesi, e facente parte del Conclave come Notaio Apostolico, scriveva al fratello confidando la sua situazione personale, e quella presente a Venezia:Sono giunto (…) il dì 2 ottobre, il dì 15 sono entrato nell’appartamento che teneva il Cardinal Vincenti, dove vi sarebbe un bel luogo per voi … Ho fatte tutte le visite, ho trovati i Doria più umani, mi do d’intorno, mi servo orribilmente, sono senza denari, e aspetto ostinatamente che mi facciate accreditare indeterminatamente per ciò che avrò di bisogno poiché all’ordinaria spesa si aggiungono le spese straordinarie dell’abbiti prelatizi funerei, della Cappa con Armellino come Protonotario, e di un bel Feraiolo di cui ho bisogno per il freddo e per la convenienza andandosi qui da tutti col Feraiolo in conversazione compresi i Cardinali Prelati ed ogni altro. Oltre a ciò non è impossibile che debba presto viaggiare ... Finalmente vi dirò che sto benissimo di salute e questo è il massimo dei beni … La decenza e non il lusso hanno presieduto alla Sacra Funerea Cerimonia (i Novendiali in Suffragio per il Papa morto). L’orazione funebre fatta da Monsignor Brancadoro è riuscita molto ma molto al di sotto del sublime argomento, tanto che una lingua piegata ai sali di Pasquino ha detto che il povero Pio VI era destinato ad essere martiriato in fatti ed in parole ... Il Conclave sarà assai se si chiuderà per i primi di dicembre: Segretario è Consalvi, l’Orazione “De Eligendo Pontifice” la farà il Vescovo di Crema ... È difficile pronosticare sulla futura Elezione. Fra i più vecchi, fra i più dotti pare che non uscirà poiché i primi sono tenuti per morti e i secondi per troppo vivi, all’aurea mediocrità di robustezza come d’ingegno pare riservato il Papato. Molta Prelatura è qui tra i quali sono i più osservabili Morozzo e il Maggiordomo, e molt’altre se ne aspetta...”

Per essere eletti Papa si doveva ricevere almeno 24 voti …

Dentro al Conclave emersero fin dall’inizio due correnti contrapposte: quella conservatrice rappresentata dal Cardinale Alessandro MatteiArcivescovo di Ferrara e antifrancese, gradito ufficialmente all'imperatore Austriaco che voleva frenare gli effetti della Rivoluzione Francese e mirava alla restaurazione completa del potere temporale del Papato. Mattei arrivò ad avere 22 voti in quanto neanche l’Austria lo voleva in realtà perché temeva la sua reazione in quanto era stato spodestato dai suoi territori con Trattato di Tolentino … L'altra “fazione moderna”, invece, supportava ilconciliante Cardinale Carlo BellisomiVescovo di Cesena sostenuto dalla Spagna, che puntava a una politica di adattamento alla nuova e irreversibile realtà Europea che si andava concretizzando ... Era un filo-Francese insomma, che arrivò a ricevere 13 voti in totale. Si sapeva inoltre che dietro alle scelte di alcuni Cardinali c’era il Veto del Re Carlo IV di Spagna a cui non piaceva il Cardinale Matteiavvalendosi di un antico “Jus exclusivae”… Così come il 12 dicembre il Cardinale František HertzanVon Harras (“… considerato da molti: “inetto” e incapace anche di procurare gli interessi della stessa Austria.”)comunicò all’assemblea dei Conclavisti, “allegramente e distintamente”, che esisteva un Veto di Francesco II d'Asburgo-Lorena contro tutti i Cardinali Francesi, Spagnoli, del Regno delle Due Sicilie, di Sardegna e della Repubblica di Genova.

Chi sarebbe dovuto votare quindi ? … “C’è proprio bisogno che scenda una nomina dal Cielo” ironizzava qualche Conclavista.

Il Segretario del Conclave Ercole Consalvi scriveva il 26 febbraio 1800 una lettera a un suo amico: Giuseppe Albani Ablegato alla Corte di Vienna, elencando i nomi appartenenti ai tre gruppi di Cardinali che non riuscivano a individuare il nuovo “Successore di Pietro”:
“Ci sono diciotto Cardinali nel gruppo maggioritario guidati dal Decano Albani, ossia: il Duca di York, Rinuccini, i due fratelli Giuseppe e Antonio-Maria Doria, Calcagnini, Honorati, Bellisomi, Chiaramonti, Busca, Borgia, Caprara, Maury, Bussi, Pignatelli, Roverella, Della Somaglia e Brachi che è l’effettivo capo del gruppo … C’è poi l’alleanza contrapposta, composta da quindici Cardinali guidati dal Cardinal Antonelli: Valenti, Gonzaga, Spina, Gioannetti, Martiniana, Mattei, Von Harras, Archetti, Livizzani, Lorenzana y Butròn, Dugnani, Vincenti, Corandini, Flangini e Ruffo … Infine ci sono due “Cardinali Volanti”: Gerdil e Zelada, che votano sempre “secondo coscienza” senza farsi condizionare dagli altri …”

L’Imperatore Austriaco voleva approfittare del particolare momento storico per prendersi in mano tutto quanto rimaneva del sempre potente e influente Dominio Ecclesiastico e Pontificio claudicante ... Si sbagliava però …
Gli Scrutini si succedettero infruttuosi uno dopo l’altro venendo definiti: "neutrali"o "volanti"… Per un poco fece capolino il nome del Savoiardo e Barnabita Giacinto Sigismondo Gerdil … ma venne bocciato pure lui, e a seguire “si bruciarono” le candidature di: Albani, Calcagnini e Onorati per la maggioranza; e di Valenti Gonzaga, Livizzani, Archetti e del Padre Camaldolese Giovannetti per la minoranza.

Non se ne andava fuori.

Il Notaio Rivarolo scriveva ancora al fratello il 5 novembre: “… i più nominatial soglio di Pietrosono giovani come è il buon Pignatelli che lo è nominato quasi sopra tutti, e poi Archetti e poi Bellisomi, e poi Chiaramonti …”
Undici giorni dopo scriveva di nuovo:“… del Papa risorge la voce che sarà vecchio come opinavo prima.”

Come sapete bene, anche se non lo si ammetterà mai, dentro ai Conclavi e alle Elezioni Papali accadono sempre tanti sommovimenti, un insieme incredibile di strategie, inciuci, partiti, convergenze e alleanze: “Dentro al Gran Circo dell’Elezione si succedono tutte le classiche cose che accadono sempre attorno all’elezione d’un nuovo Papa: fazioni e pronostici, candidati, favoriti, contrapposti, nomi proposti dalla Curia di Roma, dalle Famiglie Nobili Romane, e dai tanti Regnanti del Mondo ...” spiegava di recente un Conclavista odierno: “Lo Spirito Santo di Dio spira dove vuole e su chi vuole con le sue “Sante Novità” … ma tocca poi a noi Uomini di Chiesa e di quaggiù indirizzarne e incanalarne l’effetto perché porti buon frutto per il Mondo e per tutta la Chiesa che è altrettanto Santa.” … e dannata aggiungerei io un po’ scettico.

Alla fine, per provare ad uscire dall'impasse, lo stesso Monsignor Ercole Consalvi Segretario del Conclave, provò a proporre un terzo candidato: il sessantenne Vescovo di Imola Barnaba Chiaramonti, anche se dentro di se avrebbe preferito la nomina del Cardinale Bellisomi: “Chiaramonti è candidato di consenso e compromesso … potrebbe essere la chiave di volta di tutto.” mormorò ... Anche il Cardinale e Arcivescovo Francese Jean-Siffrein Maury s’indirizzò subito verso di lui …  e l’Austriaco Imperiale Herzan convocò Chiaramonti per informarlo che la Corte Imperiale non aveva alcuna riserva nei suoi riguardi, e che c’era tutto il suo gruppo che intendevano votarlo.

Le Cronache e i Diari personali del Conclave raccontano che Chiaramonti s’impressionò alla notizia, impallidì rimanendo perplesso: non voleva diventare Papa: “… intendeva continuare a governare la sua Diocesi di Imola evitando di buttarsi ad annegare in quel mare in tempesta.” …  Herzan gli rispose che quel mare si sarebbe calmato con la “protezione imperiale”, e gli propose, una volta divenuto Papa, di nominare a tale scopo come Segretario di Stato il Cardinal Flangini che era “confidente”dell'Imperatore.

Chiaramontifece notare a Herzan che in realtà Flangini era inviso sia a Roma che a Vienna in quanto dichiaratamente Massone, e aggiunse anche che non si potevano promettere nomine prima dell'elezione papale … pena la scomunica.
Herzanallora aggiunse che Vienna avrebbe preferito il Cardinal Mattei come Segretario di Stato, anche se costui non avrebbe voluto accettare per motivi di coscienza … Il 12 marzo sera Romualdo Braschi-Onesti e Leonardo Antonellis’incontrarono accordandosi per far confluire i voti su Chiaramonti Si oscillò ancora un poco a suon di veti incrociati e censure, finchè … batti e ribatti … si giunse infine alla mossa giusta: quella vincente e definitiva che fece convogliare tutti voti su di unica persona facendola uscire Papa Eletto.

Il 14 marzo 1800 al primo scrutinio e all’unanimità tutti i Conclavisti votarono: “Chiaramonti”… e perciò fu subito: Papa Nuovo ! … che assunse il nome di Pio VII in segno di riconoscenza e di fedeltà nei confronti del suo sfortunato predecessore Pio VI.

Nomina inaspettata ?

Di certo indigesta all’Imperatore d’Austria perché Chiaramonti non era di certo un acerrimo nemico della Rivoluzione Francese. Nel giorno di Natale 1797, infatti, aveva detto in una Predica nella Cattedrale di Imola: “La forma democratica non ripugna al Vangelo, e la Repubblica esige virtù che possono apprendere soltanto alla scuola di Gesù Cristo.” poi aveva concluso:Siate Cristiani tutti d'un pezzo ! … e sarete anche dei buoni Democratici… Non vi è necessariamente contraddizione fra Cristianesimo e Democrazia”.

Democrazia ! … parola tremenda e sentimento pericolosissimo in bocca a un Papa … L’Imperatore tremava in ansia per le sorti della futura Europa che temeva troppo libertaria e innovativa.

Il Notaio Rivarola scrisse ancora una volta: Finalmente abbiamo la consolazione di avere il Capo visibile della Chiesa in un soggetto della più grande espettazione quale è il Signor Cardinale Chiaramonti, e possiamo riconoscerla come una vera ispirazione dello Spirito Santo che è sempre al di sopra di ogni umano divisamento poiché la patria Cesena, l’età di 54, l’affinità col defunto, tutto insomma ciò che sentiva l’umana passione e riguardo era tutto in prevenzione contro di lui. Eppure lui è Papa, e dal Monistero dei Benedettini di San Giorgio esce Papa il solo Benedettino che era nel Sacro Collegio. Sia ringraziata la Provvidenza …”.

Appena trapelò la notizia dall’isola, Monsignor Nicolò Bortolatti Vicario Capitolare e sostituto provvisorio dell’assente e vacante Patriarca di Venezia ordinò di cantare in tutta la Laguna il “Te Deum” in segno di ringraziamento e liberazione, e di suonare a festa tutte le campane di Venezia ... comprese quelle dei Greci Ortodossi che s’erano rifiutati di farlo.

Uno dei Monaci di San Giorgio scrisse a un Confratello di Santa Giustina di Padova: “Alla fine il gioco fu fatto, e venne “sfornato” il Papa Nuovo in barba a Principi, Sovrani, Re, Nobili Famiglie Romane e Imperatori … Tutta la Laguna e i Veneziani lo salutarono con parecchie salve di cannone, e con uno scampanio memorabile e furibondo di ogni campana disponibile che si capovolse e ribaltò dentro ad ogni campanile e campaniletto di Venezia tanto da far spellare le mani ai tanti Campanari entusiasti per l’eccezionale evento ...”

Il Nuovo Papa considerato dai più: “fin troppo giovane, mite di carattere e inesperto” venne incoronato come Sommo Pontefice il giorno di San Benedetto nella stessa Isola di San Giorgio Maggiore “con grande giubilo e partecipazione del popolo Veneziano” … ma con grande scontento e delusione per quella nomina dell’Austriaco Imperatore, che comunque chiese subito al Nuovo Pontefice la cessione delle Legazioni di Bologna, Ferrara, Imola e Ravenna sentendosi rispondere un no deciso da Pio VII, determinato fra le altre cose a conservare per se anche il vecchio titolo di Vescovo di Imola. Francesco II fu contrariatissimo, e vietò allora d’effettuare l'Incoronazione Papale nella Basilica Marciana, e Vienna non fece mistero che avrebbe preferito fosse stato scelto come Papa il Cardinal Mattei ... ma i “giochi ormai erano stati fatti”.

“Lo Spirito Santo ha già soffiato !”ironizzarono alcuni Cardinali di fronte a quelle pretese.

“Ma chi era quel Papa Nuovo, quel Pio VII ? … O meglio: chi dovette imparare ad essere quell’uomo ?”

Diciamola tutta: l’uomo che si ritrovò ad assurgere come Sommo Romano Pontefice sul “Soglio di Pietro” dopo quell’elezione così lunga e burrascosa, una piccola epopea, lo divenne un po’ nonostante se stesso. Di certo non fu felice d’intraprendere quell’avventura proprio durante quel gran casino e tristo scombussolamento storico che c’era allora in atto in tutta Europa. Sono certo che se avesse potuto Barnaba Chiaramonti avrebbe scelto tempi, circostanze e modalità del tutto diverse e migliori.

Ma che diamine però ? … Essere Papa era pur sempre essere un Papa ! Non è che si stia dicendo niente ! … e fu così che Pio VII fece “buon viso a cattiva sorte”, e si rassegnò ad essere e soprattutto agire come “semidivinoSuccessore di Pietro”, e soprattutto guida, tutore e difensore del Mondo della Cristianità che in quegli anni stava traballando non poco.  Non avrebbe ammesso mai di non gradire la nomina a quella grande avventura, ma l’intraprese con coraggio e determinazione … almeno per quanto gli eventi glielo potevano permettere: ossia ben poco.

“Se ne partì subito per Roma per incominciare ?”

Neanche per sogno ! … Rimase in Laguna per altri tre mesi in attesa che Napoletani e Austriaci sgombrassero Roma dai Francesi ... Un Papa privo della sua Roma poteva contare molto poco. I primi giorni, anzi: le prime settimane del suo pontificato, infatti, li trascorse rimanendo fermo, e raggirandosi silenzioso e pensieroso per l’isola di San Giorgio Maggiore: “Quando passava il Papa in giro per l’isola chiunque si buttava bocconi a terra genuflettendosi devoto … Si mostrava sempre ombroso, cupissimo e contrariato … Pareva avesse un conto sospeso col mondo interoEra l’anda di uno che aveva tanti pensieri per la testa … e ne aveva ben donde ! … Perché i suoi recenti predecessori erano stati ben strapazzati da napoleone e soci … Perciò quello che lo aspettava sarebbe stato un destino piuttosto impegnativo per non dire difficile e crudele …”

“Del nuovo Papa si soppesava ogni parola e ogni gesto, ed era come se camminasse incerto sui trampoli, o come se dovesse procedere pesante in mezzo a tanti fragilissimi cristalli ben propensi e disposti a frantumarsi …”

Trascorreva le giornate a pregare e benedire tutti, a ricevere delegati, uomini di Rango e ossequiosi dignitari e Capi di Stato di ogni genere e provenienti da ogni parte. Si faceva baciare “il piede santo … la santa pantofola, la Papàl Babuccia.” Il gesto era considerato da tutti un grandissimo onore.In tanti correvano ad omaggiare il Papa Nuovo facendo un bel po’ d’anticamera per poter baciargli la punta dei piedi: “C’erano lunghe file di persone in attesa per riuscire a compiere quell’atto d’omaggio al Papa …  Il Sommo Padre veniva collocato in cima a un catafalco che lo alzava fino ad altezza d’uomo, così che gli altri sfilassero davanti a lui in silenzio o pronunciando scarne parole beneauguranti, di saluto e riverenza … Ovvio che quella era pure anche una buona occasione per proporre al Papa qualche buona offerta che lo sostenesse nei numerosi quanto gravosi intenti che lo stavano aspettando ...”
Allora si usava così … 

Pio VII allora non lo sapeva, ma colui che se n’era uscito eletto come 251° Papa della Chiesa Cattolica avrebbe vissuto come tale per altri 23 anni fino al 20 agosto 1823 ... L’ex semplice Monaco Gregorio era di certo un uomo di cultura e di flebili quanto prudenti aperture moderne democratiche. Chiaramontinon faceva affatto mistero di possedere nella sua biblioteca perfino l'Enciclopedia di d'Alembert (libro scientifico all’avanguardia) ... In quei primi giorni Pio VII prese senza fretta una serie di decisioni fondamentali per il suo Pontificato: scelse come Prosegretario di Stato il quarantatreenne Ercole Consalvi che l’avrebbe servito e seguito fedelmente per i seguenti quindici anni tanto da influenzarne il governo e tutte le scelte politiche ... Tenne Concistori Privati e Segreti ordinando Cardinali e titolari a lui confacenti per Sedi Vescovili vacanti  in Ungheria, Ragusa e Loreto … Cercò invano di riottenere dall'Imperatore Francesco II la restituzione delle Legazioni occupate dalle armate austriache … Il 15 maggio 1800 pubblicò a Venezia l’Enciclica “Diu Satis esaltando il sacrificio di Pio VI.  Pose il proprio Pontificato sotto il segno della "vera Filosofia Cristiana", eriaffermò con vigore la perennità della Chiesa nelle persecuzioni elogiando "la forza e la costanza" dell'Episcopato, del Clero e dei Fedeli durante la "… rinnovata crudeltà dei tempi antichi". Si riferiva ovviamente al recente operato della Francia, dell’Austria e di napoleone … Rifiutò di recarsi a Vienna, e il 22 maggio inviò a Roma come Legati i Cardinali Albani, Roverellae Della Somaglia per ristabilire il Governo Pontificio e preparare il suo ritorno a Roma consapevole che napoleone stava di nuovo progettando di scendere in Italia.

Poi qualcosa si smosse ulteriormente nel Papa, e si decise a lasciare finalmente l’Isola di San Giorgio uscendo fuori, e: “spandendosi e spendendosi in giro per Venezia e la sua Laguna”. Era la Settimana Santa del 1800, perciò Pio VII si portò con la sua gondola dorata e col suo Nobile Corteggio fino alla Cattedrale di San Pietro di Castello per celebrare i Riti della Santa Settimana. Poi, piano piano e giorno dopo giorno iniziò a spingersi oltre: si recò più volte alla Certosa di Sant’Andrea e a dagli Eremiti di San Clemente, poi prese a passare in rassegna una dopo l’altra tutte le realtà Monastiche Veneziane, le chiese, le Parrocchie e tutte le Contrade cittadine.

Furono come “prove tecniche di trasmissione”, e il primo atto, una prima presa di possesso di quel che voleva e doveva essere il suo Dominio Spirituale oltre che Materiale del Mondo intero, che non si riduceva al solo traballante Stato Pontificio ... Inoltre, visti i trascorsi storici di Venezia Serenissima, che aveva sempre nutrito una malcelata allergia al Papa, quello fu per il Nuovo Papa anche una sorta di rivincita su quel che rimaneva di Venezia e i Veneziani. Pio VII si riprese simbolicamente Venezia “palmo a palmo” prima d’imbarcarsi per la sua nuova avventura verso la sua “naturale”Sede Romana.

Non così interpretarono quei gesti i Veneziani, che, invece, accolsero il Papa Nuovo sempre e ovunque … per mesi … con grande disponibilità e incontenibile, quasi plateale entusiasmo … Nei giorni seguenti, pur risiedendo sempre nell’Isola dei Cipressi, Pio VII raggiunse tutti i Monasteri e moltissime chiese di Venezia fino a quelle più periferiche e modeste: “Ovunque si recava il Papa lo aspettavano e accoglievano sempre “sulle rive” con grandi addobbi, apparati magnifici, sorprendenti allestimenti, musiche leggiadre, superbe illuminazioni e rinfreschi per Lui e tutto il suo nutrito Nobil Seguito e Corteo della Familia Papale ... Il Sommo Padre visitò con grande attenzione tanti Conventi e Monasteri dei Regolari Veneziani sia maschili che femminili che in seguito scomparvero smembrati, svenduti e demoliti dai Francesi … Si recò in visita a Santa Lucia dalle Monache Agostiniane (dove oggi sorge la Stazione Ferroviaria), a San Giobbe, a Santa Maria delle Grazie nell’Isola delle Monache Cappuccine … Il 26 marzo incontrò i Benedettini Camaldolesi di San Michele di Murano che gli allestirono apparati e festosi addobbi, Musica, Rinfreschi, Recite e Accademie, spari di mortaretti, e organizzarono il “Devoto Bacio del Piede Santo” … Tornò di nuovo a sorpresa e con grande gaudio dei Padri a visitare la Certosa di Sant’Andrea di fronte al Lido dove visitò anche San Nicoletto giovedì 27 marzo (…) Giovedì 18 aprile fu il turno di visitare la chiesa e Monastero di San Cipriano di Murano, i Santi Apostoli la domenica 20 aprile: giorno della loro festa … In antecedenza s’era recato al Monastero delle Vergini di Castello abitato da numerose Monache-Dame, ed era tornato il giorno dopo alla Santa Casa e Cappella Lauretana custodita dagli Eremiti Camaldolesi dell’Isola di San Clemente … Sabato 26 aprile il Sommo Padre visitò l’Isola di Sant’Elena dei Monaci Olivetani, poi fu a San Giacomo della Giudecca dai Padri Serviti, e il lunedì seguente dopo il pranzo presso le Monache Francescane del Sepolcro in Riva degli Schiavoni sul Molo di San Marco dove si conservava la miracolosissima Immagine del Cristo Morto … Martedì 29 aprile andò a bussare al Monastero delle Terese a Dorsoduro, e il giorno seguente al Monastero delle Benedettine di San Biagio e Catoldo della Giudecca magnificamente addobbato … Il primo di maggio il Papa visitò il Monastero di Sant’Anna di Castello , il giorno seguente: il Redentore dei Padri Cappuccini della Giudecca, e Santa Chiara il giorno seguente ancora … Ovunque arrivava era sempre gaudio, e i Veneziani s’assiepavano instancabile sulle rive e dalle finestre per salutarlo e osannarlo … Lunedì 5 maggio il Sommo Pontefice comparve nella chiesa e Monastero dei Domenicani dei Santi Giovanni e Paolo dove si celebrò con solennissima pompa e grande apparato … Mercoledì 7 il Santo Padre si portò al Monastero e chiesa di Santa Caterina di Cannaregio magnificamente addobbati … Giovedì dalle Monache della Celestia con la chiesa pure essa riccamente apparata e piena di Religiose ed Educande in attesa del “Bacio del Piede Santo  …Venerdì 9 visita all’Isola di San Lazzaro degli Armeni dove i Monaci gli cantarono diversi Inni secondo il loro Rito, e gli offrirono uno squisito rinfresco con tutta la sua Corte Nobile … e il giorno seguente il Papa si portò alla chiesa di Santa Maria della Presentazione della Giudecca e al luogo detto delle Zitelle … Il 10 maggio nel pomeriggio si recò nella Parrocchiale di San Giovanni Novo dove i balconi delle case erano tutti guarniti di tappeti, e si spargevano fiori da essi all’avvicinarsi del Santo Padre … Il concorso del Popolo era immenso, le finestre tutte piene di spettatori, e si vedeva ancora dipinta nel volto di ciascheduno la venerazione e la gioia … Il 13 maggio ci fu visita al Monastero di San Giuseppe di Castello … il 16 maggio in gondola il Pontefice si recò a San Polo dove si stava celebrando la Festa di San Giovanni Nepomuceno, e nel pomeriggio dello stesso giorno il Papa raggiunse il Monastero del Corpus Domini (dove oggi appoggia il Ponte di Calatrava dalla parte della Ferrovia) … Venerdì 17 il Pontefice si trasferì dopo pranzo presso il Convento delle Cappuccine di Castello … Il 21 maggio fu il giorno delle Monache di Santa Marta che ricevettero la Visita Papale presentandogli la famosa Reliquia della loro Santa, e ottenendo in cambio d’essere ammesse al “Bacio del Piede Santo”… Lunedì 24 maggio il Papa fu a Santa Maria Formosa, e il giorno seguente dalle Monache Servite del Monte Senario ossia le Cappuccine delle Fondamente Nove, mentre il mercoledì seguente approdò alla riva delle Monache Agostiniane di Sant’Andrea della Zirada (Piazzale Roma-People Mouve) fuori della cui chiesa c’era una numerosa orchestra di strumenti a fiato, ricevendo poi numerose Religiose, Educande e Dame … Mercoledì 25 pure le Monache Agostiniane di Santa Giustina di Castello ospitarono Pio VII, mentre il venerdì seguente il Papa si portò presso il Nobilissimo e Antichissimo Monastero delle Benedettine di Santa Croce della Giudecca dalla “fonte miracolosa”, dove visitò e venerò il Sacro Corpo del Gran Dottore Sant’Atanasio e le insigni Reliquie del corpo della Beata Eufemia Giustiniani conservato intatto con le vesti. In quell’occasione venne offerto al Pontefice un Messale ricoperto d’argento cesellato e la “Vita della miracolosa Beata Eufemia”, che si sperava il Pontefice volesse degnarsi d’elevare al rango di Santa … Traghettato oltre il Canale della Giudecca, il Santo Padre degnò della sua visita le Monache Agostiniane dello Spirito Santo sulle Zattere che riempì di spirituali consolazioni …”

I Monasteri più famosi, ricchi e potenti, come quelli delle Monache Benedettine di San Zaccaria e San Lorenzofecero a gara fra loro a chi sapeva e poteva accogliere meglio il Papa offrendogli di più … Vinsero di certo le Monache di San Zaccariadalle quali il Papa si recò dopo metà aprile concedendo loro privilegi in perpetuo per i defunti agli altari di San Zaccaria e San Benedetto, oltre che numerose Indulgenze Plenarie a chi avesse visitato la chiesa a Pasqua, o acquisibili “una tantum” nella stessa chiesa. Le Nobili Monache Benedettine entusiaste e riconoscenti offrirono al Papa il calice d’oro ben lavorato e ornato di pietre preziose con cui aveva celebrato la Messa, oltre a “una gran mappa di fiori finti con al di sopra una Rosa d’Oro con un brillante in mezzo, e la Mappa ugualmente dorata con l’arma di Sua Santità, e dall’altra la figura di San Zaccaria in rilievo … e insieme Gli presentarono superbamente legato il Libro intitolato: “Brevi notizie della chiesa e Monastero di San Zaccaria”… Non era cambiato nulla del tradizionale modo d’essere e di porsi del Papato, dei Nobili e delle Genti di Chiesa … Infatti in San Zaccaria il NeoPapa accolse l’omaggio dei Deputati Nobili del Monastero: i vari Nobili Giustinian, Corner, Querini, Grimani e Renier ... In quei giorni luminosi e solenni sembrava non essere accaduto niente di tragico per la Chiesa: “… Il Nuovo Papa effettuò più volte anche delle visite “fuori porta” nell’entroterra Lagunare di Venezia recandosi fino a Padova dove si fermò per qualche giorno: presso il Santuario del Santo di Padova, il Seminario e il Monastero di Santa Giustina dove era stato da giovane … Li si compiacque ugualmente di far ulteriore visita a chiese e Monasteri cittadini … Il Beatissimo Padre viaggiava in un corteo di Nobili Burchielli e gondole occupati da Patrizi Veneti, col Burchiello Papale dal gabinetto tutto apparato di damasco cremisi, la saletta per i Preti al seguito era tutta ricoperta di bianco, l’esterno era tutto apparato di seta celeste, e il coperto del Burchiello era adorno delle insegne Pontificie con sette navicelle vagamente inghirlandate … A Fusina dove c’era schierata alquanta truppa Tedesca ad accogliere il Pontefice, tutti salirono su tre Pontifice Carrozze che portarono Sua Beatitudine fino alla Posta di Dolo dove s’incontrò con un Distaccamento di Cavalleria Imperiale e si trasbordò su nuove carrozze decorate regalate dalla Sorella dell’Augusto Imperatore, che lo portarono in grandissima pompa fino al Portello di Padova (...) Alla fine navigando di ritorno lungo la Brenta il Sommo Padre fece rientro all’Isola di San Giorgio sempre accolto con grande giubilo dai Veneziani ... Il 4 giugno Pio VII visitò le Monache Cappuccine di San Girolamo e quello delle Benedettine di Sant’Alvise, le Monache di Santa Lucia e quelle Francescane della Croce al di là del Canal Grande … poi sulla strada del ritorno fece visita alle Benedettine del Monastero dell’Umiltà sulle Zattere …”

Quando Dio volle … e finalmente, perché come si diceva anche a Venezia: “Dopo tre giorni anche ogni buon ospite spùssa”, e perché non si poteva continuare in eterno con quell’aria di continua festa ed eccezionalità continua … il Papa partì dalle Lagune alla volta di Roma: la città Eterna dei Papi !

“Il 5 giugno, per ultimo, Pio VII si recò al Monastero delle Benedettine di Ognissanti nel Sestiere di Dorsoduro terminando la serie delle visite ai Monasteri e Luoghi Sacri Veneziani … e il 6 giugno comparendo sulla Loggia di San Giorgio diede un’ultima benedizione alla città lagunare e a un gran numero di persone lì accorse, imbarcandosi poi in una Filuga dorata appositamente preparata seguita da un gran numero di Lance, Peòte e barche d’ogni sorta che lo accompagnarono fino ad imbarcarsi sul suo Bastimento: la Fregata Bellona … salutato da numerosi colpi d’artiglieria che rimbombarono sulla Laguna insieme al suono incessante delle campane.”

La Fregata Austriaca “Bellona” costruita nell’Arsenaledi Venezia e armata con 42 cannoni, era stata equipaggiata con 266 Marinai e affidata al Capitano e NobilhomoSilvestro Dandolo, e stava aspettando il Papa ancorata presso lo Spignòn di Malamocco. Il Papa Nuovo fu costretto a rimase lì fermo in attesa per qualche giorno per colpa del maltempo e del mare mosso, e in quei giorni approfittò un paio di volte per tornare a scendere a terra per sgranchirsi un po’ le gambe. Una prima volta scese a visitare Pellestrinadesiderando d’andar a vedere il Convento dei Domenicani, ma “stanco morto” per aver passeggiato troppo fra le dune, s’accontentò di vedere Santo Stefano di Portosecco e se ne ritornò a bordo della nave. La seconda volta scese il 9 giugno “un po’ sgarruffato e provato per l’attesa”a visitare l’antica Malamocco e le Monache Agostiniane che non lo aspettavano, e qui andò meglio: gli fu fatta la solita grande festa, ricevette una memorabile accoglienza, poi s’incamminò lungo la chiesa della Beata Vergine della Marina percorrendo un lungo tratto del litorale.

Il martedì seguente la Bellona venne zavorrata portandosi “in Pelo Rosso”… poi finalmente prese il mare aperto lasciando del tutto Venezia.

L'Austria, per timore di manifestazioni di solidarietà politica, vietò al Papa di attraversare le ex Legazioni Papali: il Sommo Padre accompagnato dall'Ambasciatore Austriaco Ghislieri si propose allora di raggiungere Pesaro via mare, dove giunse soltanto il 17 giugno dopo un complicato e periglioso andirivieni burrascoso da una parte all’altra dell’Adriatico.  “Per colpa del vento non favorevole” la Bellona fu spinta fino al Porto di Quieto non lontano da Parenzo in Istria, dove rimase ferma per due-tre giorni … La gente del posto saputo della presenza del Papa gli corse attorno per salutarlo, eccetto il Vescovo e i Canonici del posto, ossia di Cittanova, di Capodistria e Pola che erano rimasti tutti ancora a Venezia … “Il Papa benevolo non scese a terra, ma concesse Benefici e Privilegi Spirituali alla gente del luogo, ossia della Parrocchia di Grisignana e del Villaggio di Torre, che li conservano tuttoa.”

La Bellona ci mise undici giorni per coprire il tragitto Venezia-Pesaro: un’eternità ! … Tuttavia il Papa offrì in premio uno stipendio intero al Capitano Dandolo e mezzo stipendio a tutto l’equipaggio promuovendo tutti al grado marittimo superiore. Il Primo Ministro Austriaco, risaputa la cosa, si rifiutò di confermare quel generoso esborso che considerò eccessivo e immeritato anche per i disagi procurati al Papa … La verità era che non si voleva spendere soldi per il Papa e la sua trasferta Romana.

Il Segretario Consalvi in quell’occasione commentò: “… quel legno mancava quasi di tutto, anche delle cose più elementari … La navigazione fu incomoda e penosa. Più il riguardo alla buona qualità del bastimento e alla scarsezza e poca abilità dei Marinai, che una vera necessità dovuta a contrattempi ci fece entrare nel così detto Portofino nella opposta spiaggia dell’Istria, e aspettarvi per due notti e un giorno, un tempo migliore.”… Alcuni definirono la Bellona: “una carretta di legno scomoda, priva di ogni confort e servizio … Ci mise 12 giorni per percorrere il tratto Venezia-Pesaro … Forse si sarebbe fatto quasi più presto a piedi.”

“Finalmente si gettò l’ancora in faccia a Pesaro, dove un Pio VII sballottato dalle onde giunse con varie scialuppe a terra perché la Fregata non poteva sostenersi da quella spiaggia …”

Sostato a Pesaro, e riavutosi in tre giorni dal viaggio, il Papa alla fine prese la Via Flaminia per Roma passando per Fano dove omaggiò le spoglie di sua madre, toccò poi: Senigaglia, Ancona e il Santuario Mariano di Loreto il 23 giugno … e quando Dio lo volle ancora, ammesso che lo volesse per davvero, il Papa Nuovo provato e “mezzo cotto” per il lungo viaggiare un po’ avventuroso raggiunse la Città Eterna il 3 luglio 1800.

I Romani ovviamente lo accolsero con grande tripudio e feste ... Non che fossero per davvero entusiasti di farsi governare di nuovo da lui, anche perché Roma in quegli anni ne aveva viste un po’ di tutti i colori … Ma se c’era “da magnà”, bere e godersela in qualche maniera … Perché no ? … I Romani erano sempre pronti ad accogliere qualcuno ... Bastava che pagasse lui.

A Roma Pio VII venne accolto dalla Nobiltà Romanae dal Popolo“con gran tripudio e gaudio” come sempre … ma trovò le casse dello Stato vuote saccheggiate prima dai Francesi e poi dai Napoletani. Nominò allora ErcoleConsalvi: Cardinale Diacono e Segretario di Stato, e iniziò alacremente a inventarsi riforme amministrative per salvare il salvabile di quel che era rimasto del suo grande patrimonio ... non senza difficoltà, perchèsi dovette attenderefino al novembre dell’anno seguente, ad esempio, per poter riprendere possesso della Basilica di San Giovanni in Laterano che era la Sede del Vescovo di Roma.


Ultima domanda andando a conclusione:“Come andò a finire quel Papa Pio VII rientrato a Roma ?”

Intanto giunto nella Città Eterna, l’Imperatore d’Austria continuò ancora a “tempestarlo” di consigli e indicazioni su come secondo lui sarebbe stato necessario gestire le finanze e la politica dell’intera Chiesa Universale. L’imperatore scriveva al Papa: “Nessuna società può reggersi in piedi se non è fondata sulla Religione, e non c’è buona Morale se non c’è Religione: soltanto la Religione può offrire allo Stato un appoggio stabile e sicuro” ... e lui intendeva essere “lo Stato” di tutti … Papa compreso.

Pio VII, invece, pur condividendo l’idea la pensava diversamente: riprese ad amministrare i territori Pontifici provando a trovare un accordo col “pericolosissimo temporale” del Governo Rivoluzionario Francese sempre incombente ... Riavviò l’Economia e le Politiche Pontificie “in maniera moderna” sopprimendo anche se non del tutto vecchi diritti, vincoli e privilegi delle antiche Nobiltà, dei Cardinali(alcuni s’imbufalirono, si rifiutarono di collaborare o addirittura si dimisero vedendosi ridurre le pingui tradizionali rendite) e delle Corporazioni Romane, e creando quattro-cinque apposite Congregazioni Cardinalizie che revisionarono e semplificarono “con moderazione” la Giustizia, la Curia, i Dazi e il Fisco ritirando dalla circolazione la "vecchia moneta erosa"e inflazionata, l’Amministrazione, l'esercito e le poste centralizzando tutto intorno alla figura del Cardinale Camerlengo, della Camera Apostolica e della Congregazione del Buon Governo.

A Romae nel Papato si ridussero drasticamente o abolirono 32 imposte o tasse istituendo “una doppia Dativa personale”… Nel marzo 1801 si stabilì la libertà di commerciare il grano e le altre derrate alimentari sostituendo progressivamente l'antica Annona Romana, che offriva sempre agli abitanti della città “il prezzo politico del pane”suscitando però nuove apprensioni, inquietudini e rivendicazioni da parte dei ceti contadini e popolari ... In marzo e dicembre fu creata la Guardia Nobile rivalorizzando la Nobiltà Romana, e si riformarono anche i settori manifatturieri eccetto quelli strategici della Lana, Seta e Oreficeria... Si ridussero a 112 i 143 Prelati Referendari elevando l'età media d'entrata in Prelatura che era di 29 anni a 41, si abbassò dal 24% al 5% la quota dei “Napoletani” elevando, invece, il numero degli "Statisti"(ossia dei sudditi Pontifici extra Roma)dal 52% al 76% provando a ridurre inefficienze, parassitismi e inutilità … Si provò a contrastare diplomaticamente e con la solita “prudenza Ecclesiastica”gli immobilismi e il conservazionismo statico e interessato della Curialità Romana, e si provò a creare una nuova Accademia Cattolica riavviando e sostenendo la vecchia Apologetica, ma: “… con spirito e ispirazione diverse, più consone ai nuovi tempi, favorendo e patrocinando l'indipendenza e la libertà della Sede Apostolica”.

Insomma: il Papa Nuovo, una volta rientrato e recuperata “la sua Roma”, si diede parecchio da fare … Solo che incappò e non poco in quelle che erano le aspettative e le attese di un certo incombente napoleone.
Dopo molti incontri segreti, dialoghi, confronti, ritrattazioni e piccoli scismi con il Governo e il Clero Gallicano Francese, nel 1801 Pio VII corse a Parigi per alcuni mesi, dove facendo molte storiche concessioni, giunse a formulare un Accordo-Concordato col Console napoleone ripristinando in Francia la Religione e la Libertà di Culto dove molte chiese erano state già chiuse, le Diocesi mancavano del Vescovo, i pochi Preti rimasti erano indisciplinati, sposati, eretici e Giansenisti, i fedeli erano diventati in gran parte indifferenti e ostili verso la stessa Chiesa.

“Meglio che niente ! … Niente è niente … Qualcosa è qualcosa …S’è salvato il salvabile …”si commentò negli ambienti Curiali Romani … In cambio napoleone chiese d’essere proclamato Imperatore dallo stesso Papa, che però entrò in conflitto con lui. Nel dicembre 1804, infatti, il Papa funse solo da spettatore all’Incoronazione di Parigi benedicendo soltanto il neo Imperatore che s’incoronò da sé.

Poi le cose fra Pio VII e napoleone andarono di peggio in peggio: l’Imperatore organizzò il "blocco continentale" contro l'Inghilterra, e siccome il Papa non accondiscendere molto, il 15 ottobre 1805 i Francesi, nonostante lo sdegno del Papa per il "crudele affronto", occuparono Ancona principale porto Pontificio … Nel febbraio seguente l'Armata napoleonica fece ingresso a Napoliattraversando gli Stati Pontifici: i Borbone scapparono in Sicilia, e Regno di Napoli, Benevento e Pontecorvo vennero dati a Giuseppe Bonaparte e al Maresciallo Murat cognato dell'Imperatore ... Civitavecchia fu presa a maggio 1806, e napoleone pretese dal Papa che venissero espulsi da Roma tutti quelli che considerava suoi nemici: "Vostra Santità è il Sovrano di Roma, ma io ne sono l'Imperatore ... Tutti i miei nemici devono essere i vostri" ... a niente servi il proclamarsi “neutrale” del Papa … A novembre napoleone convocò a Berlino il Nunzio Papale esigendo l'esplicita adesione del Papa “al blocco continentale”… Pio VII rifiutò, e in un certo senso sancì così la sua fine.

In febbraio, infatti, l'Imperatore “partì per la tangente” imponendo alla Cristianità cose assurde come la ricorrenza di "San Napoleone"da festeggiare il 15 agosto in sostituzione della Festa dell'Assunta ... In maggio promulgò e pubblicò un Catechismo Imperiale che imponeva ai fedeli: "… l'Amore, il Rispetto, l'Obbedienza, la Fedeltà, il servizio militare [e] i tributi imposti per la conservazione e la difesa dell'Impero e dell’Imperatore"… I Vescovi divennero i "Prefetti Viola", ossia autorità soggette al diretto controllo dello Stato, e dediti “in toto” all’interesse della realtà imperiale … Si varò perfino una "Teologia della Guerra", che giustificava la politica francese militare ed espansionistica mirante all’acquisizione dell’intera Europa … e molto altro ancora.

Poi napoleone fece occupare molto più praticamente le Marche e l'Umbria con le Province Papali di Ancona, Macerata, Pesaro e Urbino. Infine ordinò l'occupazione di Romache venne invasa il 2 febbraio 1808: vennero espulsi 14 Cardinali non nativi dello Stato pontificio, si organizzò la Guardia Civica e la Gendarmeria, si presero in mano tutte le amministrazioni usando come metodo ogni sorta di violenze, usurpazioni e saccheggi. Infine il 17 maggio 1809 napoleone decretò da Vienna la fine di Roma e dello Stato Pontificio che divennero: “città libera e parte dell’Impero”.

Al Papa venne chiesto senza tanti preamboli d’abbracciare condividendo e sottoscrivendo le “Quattro proposizioni della Chiesa Gallicana” che anteponevano il Primato del Concilio e dei Consigli Generali della Chiesa e dei Sovraniriconoscendogli soltanto un titolo d’onore senza un potere effettivo, con neanche la facoltà di nominare liberamente i propri Vescovi … La Chiesa era ridotta veramente al suo minimo storico, era giunta per davvero“alla frutta”.

Il 10 giugno 1809 Pio VII ovviamente dichiarò nulli tutti gli atti dell’Imperatore scomunicandolo e rifiutando ogni rendita e pensione che intendeva assegnare a lui e al Sacro Collegio dei Cardinali: “E’ preferibile scegliere una vita di miseria piuttosto che accettare il vitto da un usurpatore …” si disse a Roma.

Il mattino seguente i Francesi strapparono il “Breve di scomunica dell’Imperatore”affisso sulle porte delle Basiliche Romane di San Pietro, San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore. Qualche giorno dopo napoleone scrisse a Giocchino Murat Re di Napoli e suo cognato: “Se il Papa, contro lo spirito del suo grado e del Vangelo, predica la rivolta e vuol servirsi dell’immunità della sua casa per far stampare manifesti, si deve arrestarlo… Filippo il Bello fece arrestare Bonifazio e Carlo V tenne a lungo in prigione Clemente VII; e questi avevano fatto anche meno.”

Il Generale Radet giunto a Roma per coadiuvare il Generale de Miollis temendo che città insorgesse, scrisse al Ministro della Guerra Francese: “Il Papa governa con la punta delle dita molto meglio di noi con le nostre baionette.” ... era necessario arrestarlo e deportarlo altrove.
All’alba del 6 luglio 1809, Pio VII che già li attendeva venne rapito e arrestato dai Francesi nei sui appartamenti del Palazzo del Quirinale scalandone spettacolarmente le mura in più punti. Sembra che il Papa in quell’occasione abbia pronunciato la famosa frase ai Francesi che gli intimavano di cedere alla Francia il suo potere: “Non possiamo ... Non dobbiamo ... Non vogliamo né cedere né abbandonare quello che non ci appartiene.” ... e “ipso fatto” scomunicò tutti i Francesi ... che non si spaventarono neanche un poco.

Preso quindi il solo Breviario e un Crocifisso, Pio VII salì in carrozza (o forse in una “berlina” ?), e il “Santo prigioniero” senza alcun seguito se non il Cardinale Pacca, partì prima per Grenoblepassando per la Certosa di Firenze, poi privato del Cardinal Pacca rinchiuso nel Forte di Fenestrelle, il Papa venne imprigionato sembra passando in luoghi sempre diversi: Genova, Alessandria, Torino, Valenza, Avignone, Nizza, Monaco, Oneglia, Cuneo, Mondovì, Finale Ligure, e infine Savona dove per oltre due anni gli fu impedito dal Prefetto Chabrol e dal Comandante della Gendarmeria Lagorse “carceriere papale” perfino di leggere e scrivere e contattare chiunque non fosse approvato dai Francesi … I pochi che provarono ad entrare in comunicazione col Pontefice Recluso vennero incarcerati dalla Polizia Imperiale.

Il Papa prigioniero, ridotto di nuovo al "povero Monaco Chiaramonti che era", fece quel che poteva: rifiutò, ad esempio, di convalidare le investiture dei nuovi Vescovi napoleonici.

Pasquino, la celebre “statua satirica parlante” di Romacon i messaggi dei Romani appesi al collo o posti ai suoi piedi, commentò ironico: “Un Pio perdé la Sede per conservar la fede; un Pio perdé la fede, per conservar la Sede”.
L’Imperatore d’Austria vedendo sfumare i suoi desideri e gli ipotetici guadagni attraverso il Papa, ruppe i rapporti con napoleone e incamerò in fretta e furia quanto era riuscito ad arraffare di quello che era stato lo Stato Pontificio.

Napoleone, invece, fece trasferire a Parigi gli Archivi Vaticani… sposò a Parigi l'Arciduchessa Maria Luisa, figlia dell'Imperatore Francesco II dichiarando nullo il precedente matrimonio con la sterile Giuseppina ... Tredici Cardinali, che rifiutarono d’indossare “l'abito rosso” durante la cerimonia delle solenni nozze, i così detti "Cardinali Neri" vennero carcerati in diverse città francesi e privati di ogni rendita ... Nel marzo 1811 napoleone ebbe un figlio al quale conferì il titolo di "Re di Roma"canzonando evidentemente il Papa ... e contrastò poi non poco col Concilio Nazionale dei Vescovi dell'Impero riunitosi in Notre-Dame di Parigi quand’era il 17 giugno 1811.

Il Papa, intanto, col quello che era stato il suo Stato Pontificio non valevano più niente … poi con la Grande Armata napoleone partì per la disastrosa Campagna di Russia ... mentre il Papa infermo e febbricitante nel maggio 1812 venne carcerato nel Castello di Fontainebleaucon la scusa che gli Inglesi volevano liberarlo, dove rimase prigioniero per altri diciannove mesi. Lì si provò ad estorcergli la firma sul "Concordato di Fontainebleau" che sanciva di fatto la rinuncia a tutto quel che era il Papa col suo Stato … Infatti tre giorni dopo, Pio VII, ignorato da napoleone ritrattò il tutto trovando anche la forza di dichiarare nulli tutti gli atti ufficiali dei Vescovi Francesi, subendo così un ulteriore incremento di prigionia e restrizioni.

Poco dopo, subito napoleone la sconfitta di Lipsia, Pio VII con la “Restaurazione”venne liberato dopo 5 anni di prigionia, e passando per Bologna, Ravenna, Imola dove celebrò la Pasquail 10 aprile 1815, quindi Forlì, raggiunse Cesenadove in maggio riassunse tutto il suo travaglio: "Il trionfo della Misericordia divina è ormai compiuto sopra di Noi strappati con inaudita violenza dalla nostra Sede pacifica, dal seno de' nostri amati Sudditi; e trascinati di una in un'altra Contrada, siamo stati condannati a gemere tra la Forza quasi cinque anni. Noi abbiamo versato nella nostra prigionia lacrime di dolore prima per la Chiesa alla nostra cura commessa perché ne conoscevamo i bisogni senza poterle apprestare un soccorso, poi per i Popoli a Noi soggetti perché il grido delle loro tribolazioni giungeva perfino a Noi senza che fosse in nostro potere di arrecargli un conforto. Temperava però l'affanno acerbissimo del nostro cuore la viva fiducia, che placato finalmente il pietosissimo Iddio giustamente irritato dai nostri peccati alzarebbe l'Onnipotente sua destra per infrangere l'arco nemico, e spezzar le catene che cingevano il Vicario suo sulla Terra. La nostra fiducia non è stata delusa. L'umana alterigia, che stoltamente pretese di uguagliarsi all'Altissimo, è stata umiliata, e la nostra liberazione, cui anche miravano gli sforzi generosi dell'Augusta Alleanza, è per prodigio inaspettatamente seguita".

Faceva un po’ tenerezza questo Papa coriaceo, martoriato e perseguitato … ma mai domato del tutto.

Infine dopo essere passato per Loreto il Papa, che ormai non era più tanto “Nuovo”, rientrò finalmente Roma ... dove come sempre i Romani lo accolsero esultanti e come niente fosse accaduto … Per Roma e i Romani c’era sempre motivo per festeggiare … In fondo non importava quale fosse il perchè.

Pio VII riottenuti quasi tutti i territori di quello che era stato un tempo lo Stato Pontificio, tornò per l’ennesima volta a ricostruirlo: “Sembra un’immane storica partita a scacchi senza fine”, disse un Cardinale rinfrancato … Oltre a ripristinare tutta la Pontificia Amministrazione Ecclesiastica, si abolirono tutte le riforme napoleoniche sopprimendo il Codice civile; si rinchiusero e limitarono di nuovo gli Ebrei nell'area del Ghetto di Roma; si ricostituì la Compagnia di Gesù; si reintrodusse l'Indice e l'Inquisizione; si ridiede impulso all'Attività Missionaria della Chiesa a partire dal fatto che il Congresso di Vienna aveva abolito la schiavitù … Due Congregazioni esaminarono il comportamento dei Vescovi e dei Sacerdoti dello Stato Pontificio, e una dozzina di Prelati venne esclusa dalla Curia, giungendo anche a carcerare per qualche tempo in Castel Sant’Angelo il Cardinale Maury ... Si provò pure timidamente a incaricare lo scultore Antonio Canova di trattare la restituzione di quanto trafugato a Roma dai Francesi … e si recuperò quasi niente.

Durante i successivi fugaci “Cento giorni” del 1815, napoleone provò di nuovo a attaccare lo Stato Pontificio col Re di Napoli Gioacchino Murat... Pio VII dovette ancora una volta fare le valigie andando a rifugiarsi a Genova, poi vagabondò e temporeggiò a Torino, passò per Piacenza seguendo la via Emilia, entrò in Toscana dove in Val d'Elsa a Barberino fece i suoi pontificali bisogni corporali in località: “Sosta del Papa”, dove venne posta tanto di lapide a memoria, e si conferì il nome all’intero paesucolo. Infine rientrò ancora una volta a Roma dove “rimise di nuovo tutto in piedi”, e inspiegabilmente continuò nei mesi successivi ad accogliere ed ospitare parenti e familiari del despota napoleone che l’aveva così strapazzato … Carità Cristiana ? … o tentativo goffo di provare in qualche maniera a recuperare qualcosa rimpinguando le casse pontificie ormai eternamente vuote ?

La madre di napoleone scriveva al Segretario di Stato Vaticano il 27 maggio 1818: La sola consolazione che mi sia concessa è quella di sapere che il Santissimo Padre dimentica il passato per ricordare solo l’affetto che dimostra per tutti i miei. Noi non troviamo appoggio ed asilo se non nel Governo Pontificio, e la nostra riconoscenza è grande come il beneficio che riceviamo…”

A seguire Pio VII provò a mettere in piedi più Concordati possibile con gli “Stati Rinati” fra i quali c’era pure l’Imperatore d’Austria che era sempre irritato con lui, per cui gli rifiutò ogni accordo ...  Risistemò il Catasto Romano e i Territori Pontifici suddividendoli in 13 Delegazioni e 4 Legazioni: Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna, oltre al Distretto Romano che denominò: Comarca … Creò 99 Cardinali “nuovi di zecca” in 19 Concistori per rimpolpare il Collegio e sostituire quelli malandati e troppo strapazzati da napoleone; condannò le Società Bibliche Protestanti; l’indifferentismo provocato dall’Illuminismo; nel 1821 condannò pure le troppo liberali "Società Segrete dei Carbonari e la Massoneria"… e infine: morì come tutti gli umani a 81 anni il 20 agosto 1823 a seguito di una caduta occorsogli il 6 luglio in cui gli si ruppe il femore, mentre un incendio devastava “la sua” antica Basilica Romana col Monastero di San Paolo Fuori le Mura: notizia che gli venne tenuta accuratamente nascosta … e Pace all’Anima sua !

In conclusione oltre la conclusione, bisogna dire che Pio VIIè stato un Papa parecchio bastonato, anzi: per davvero maltrattato. Gliene hanno fatte di cotte e di crude, di tutti i colori … però lui ha tenuto duro lo stesso, consapevole del suo ruolo (nolente o volente) e dello specialissimo destino che gli era piovuto addosso … fatalità: proprio a Venezia.


“Le fave della Fava a Venezia … Ma c’è stato ben di più.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n°160.

“Le fave della Fava a Venezia … Ma c’è stato ben di più.”

La chiesa e il Ponte quasi nascosti “della Fava” si trovano a Venezia fra la Contrade di “San Bòrtolo mio”, cioè San Bartolomeo di Rialto, e quella di San Lio ossia San Leone IX, e la si può raggiungere attraversando o l’una o l’altra delle tante callette storte, scavèzze e sconte che vanno di là ... fino a scoprirla come un vago arcano ancora una volta ricco di Storia Veneziana curiosissima.

Il chiesone detto confidenzialmente e da sempre dai Veneziani: “la Fava, vi apparirà davanti agli occhi solo all’ultimo momento: “rustico e incompleto” e incastrato fra le case e oltre al ponte. Il suo vero nome sarebbe: Santa Maria della Consolazione, ed è stato per secoli la Casa dei Preti Secolari di San Filippo Neri o Filippini con laCompagnia o Sacra Lega di S.Filippo Neri.

E’ curiosa, tanto per cambiare, la storia della chiesa della Fava di Venezia, a partire dal suo nome. Alcuni raccontano la leggenda di un Veneziano che aveva una bottega di legumi e di fave proprio ai piedi del ponte, ma che in realtà era un contrabbandiere di prezioso sale … La Serenissima è sempre stata gelosissima e attenta a garantirsi il commercio di quel prezioso elemento, e lungo i secoli ha sempre dato una caccia spietata a tutti quelli che volevano portarlo ed esportarlo liberamente dalla Laguna.

Insomma, lì c’era quel bottegaio contrabbandiere, che celava il sale dentro a dei sacchi apparentemente pieni di comunissime fave. Avuta la soffiata, ma troppo tardi, che gli uomini e del Provveditor al Sale lo stavano braccando per catturarlo, l’ometto “non sapeva più che pesci pigliare”, perciò pensò bene di buttarsi ginocchioni, racconta ancora la leggenda, davanti all’icona-capitello di una delle tante Madonne di Contrada, invocando, sperando e sognando l’improbabile miracolo ... E perché no ? … Sarebbe potuto anche accadere.

Infatti, la Madonnalo ascoltò, e quando irruppero i Fanti nella sua bottega, comparvero (per miracolo) davanti ai loro occhi increduli: soltanto sacchi ricolmi di fave e senza neanche un briciolo di sale. La Madonna aveva gabbato i Birri … Non me l’aspettavo questa Madonna Contrabbandiera a Venezia.

Da allora la zona divenne quella della Madonna della Fava… e questa è una delle leggende.

Di natura diversa, invece, è un altro racconto tipicamente Veneziano: in quella stessa zona, proprio davanti al cimiterietto che sorgeva davanti a un’antica chiesuola, viveva un tempo anche Maria figlia di un ricco commerciante Veneziano, che era innamorata contraccambiata di Gregorio: pittore d’icone e immagini sacre. La loro storia continuava tranquilla in segreto ormai da qualche anno, finchè il padre della donna decise di maritarla con un partito Nobile che le fosse confacente.

E fin qua: niente di che perché quella era una tipica tradizione Veneziana e Nobiliare … Infatti, Maria obbedì al Padre, e si sposò con il Nobile che le era stato proposto … imposto. Invece di vivere “felici e contenti” come nelle fiabe, Maria venne presa da un brutto male fulminante che in pochi anni la portò a morte. Quindi venne seppellita proprio nel cimiterietto davanti alla chiesupola della Contrada:“al ponte delle Fave”.

Durante il successivo inverno, però, in una Venezia tutta innevata compreso il cimiterietto, si risvegliò e alzò la figura misteriosa di Maria tornata miracolosamente in vita ... “L’Amore vero non può né essere soffocato, né morire.” spiegavano un tempo i Veneziani.
Perciò Maria rediviva si recò subito a casa del suo legittimo sposo, ma costui la cacciò via spaventato credendola: “un malospirito e un dimonio”… Maria allora si recò dai genitori … Stessa storia: la mandarono via spauriti.

La “povera Maria” allora andò da Gregorio, il suo amore giovanile, sperando che almeno in lui fosse rimasto acceso qualcosa di buono. Infatti Gregorio, che era intento a completare e dipingere un’icona per la nuova chiesa, l’accolse con gioia e senza paura stringendola a se “con tutto l’affetto del mondo” … La vestì meglio che potè visto che era stracciona, e il giorno dopo se la portò dietro pimpante e pomposo  in chiesa fra la sorpresa di tutti … Era il giorno di Natale… e fu un Natale miracoloso quell’anno.

Tutti alla fine furono felici per quel stupendo quanto particolare “ritorno”, tanto che anche i genitori di Maria finirono col darla in sposa a Gregorio… visto che la Morte aveva separato Maria dal suo primo “spaventatissimo” marito ... che forse non l’amava quanto meritava. 

Sempre per quel fatto, la nuova chiesa venne dedicata a Santa Maria della Consolazione…  e si decise di porre sopra all’altare l`icona dipinta da Gregorio… Si costruirono anche due grandi statue che rappresentavano i due innamorati: Gregorio e Maria rediviva, e si decise di collocarle in facciata del nuovo chiesone … Solo che … un bel giorno durante il completamento dei lavori della chiesa, scomparvero in un colpo solo sia l’icona all’interno che le due statue in facciata !

Miracolo al rovescio ? … Forse … Sta di fatto che da allora, e andate pure a controllare se volete, si possono notare ancora le due grandi nicchie della facciata rimaste vuote.

E con questa: fa due ...

Altri Veneziani di ieri, raccontavano ancora che anche a Venezia era vivissima la tradizione e consuetudine tramandata fin dai tempi lontanissimi dal Romano Ovidio: i petali dei fiori delle Fave erano utili per comunicare con l’Aldilà e col Mondo dei Morti.

“… i Gentili leggevano nel petalo del fiore della Fava alcune lettere funebri, e credendo eziandio che l'Anime dei Morti trasmigrassero nelle Fave, se ne cibavano nei funebri banchetti, e le offrivano ai Mani nelle feste Lemurie, gettandosele per rito dietro le spalle (dai “Fasti” di Ovidio, Libro V).

Per questo nei Giorni dei Morti si procuravano e si vendevano nelle botteghe di Venezia le Fave: per richiamare quell’antica usanza funebre e superstiziosa: “I Veneziani ogni 2 di novembre e durante tutto l’Ottavario dei Morti mangiavano fave, e in gran quantità ne dispensavano i Conventi e ai poveri, e ai Gondolieri dei Traghetti in premio del servigio che prestavano durante l'anno ai Veneziani passandoli gratuitamente dall'una all'altra riva della città. Siccome poi tal cibo non riusciva molto gradito al palato dei ricchi, col progresso del tempo se ne cangiò la natura, e lo si convertì nelle ghiotte pastiglie dolci, ma conservandone il primitivo nome.”



Nel Codice 2929 della Raccolta Cicogna si legge, invece: “che il Ponte della Fava, e per esso le strade vicine, derivano il nome dalla famiglia Fava e da un Francesco Fava Spezièr da Ferrara, domiciliato in Parrocchia di San Salvador, che ottenne nel 1306 la cittadinanza Veneziana ... Un Nicolò Fava da San Salvador era diventato nel 1345 Confratello della Scuola Grande della Carità ... Inoltre esisteva originariamente una sacra effige apposta sul muro di un’abitazione della famiglia Amadi in Parrocchia di San Lio molto venerata dai passanti ... Comunque siasi, la chiesetta dedicata a Santa Maria della Consolazione, che anticamente era in riva al canale, rimase fino al 1662 sotto l'amministrazione di varii Procuratori, e poi si diede in cura ai Padri di San Filippo Neri …” e questo m’interessa non poco, perché a costoro è legata un’autentica storia veneziana … un po’ contorta … che vi racconterò la prossima volta.

“Senonché nel principio del secolo XVIII (la chiesa) fu atterrata, ed in sua vece si fabbricò, un poco più addentro perché ne dovesse risultare una piazzetta anteriore, la chiesa presente sul disegno di Antonio Gaspari, e di Francesco Fossati, dilatandosi eziandio la casa dei Padri. Questi furono soppressi all'epoca napoleonica, e quindi ristabiliti nel 1821.”

Le Cronache Veneziane vere, infatti confermano, che negli ultimi anni del 1400 si costruì abbattendo un paio di caxette di proprietà dei Nobili Dolce una chiesetta per ospitare un'immagine miracolosa della Madonna collocata in Contrada ... Nel giugno 1662 con decreto del Senato la chiesetta venne affidata ai Preti secolari della Congregazione dell’Oratorio che la fecero abbattere ed arretrare dalla riva del canale, per farla riedificare. La nuova chiesa progettata da Antonio Gaspari prevedeva di realizzare tutta una serie di progetti dall'impronta Borrominiana con motivi geometrici sovrapposti a linee curve. I committenti però negarono all'artista la possibilità di realizzare quelle idee ... c’erano nell’aria problemi di soldi oltre che di progettualità ? … Non si sa.

Si sa per certo, che nell’agosto 1705, ossia quasi quarant’anni dopo, fu posta la prima pietra dal Patriarca Giovanni Badoer … Fatalità  ! … Vedrete che cosa vi racconterò e chi era quel tipino ! … Comunque servirono altri dieci anni prima di riuscire a celebrarvi dentro la prima Messa … e si giunse perciò al novembre 1715, quando i lavori non erano affatto terminati, anzi: erano stati interrotti, e si finì col modificare il primitivo progetto a pianta ovale di cui restano ancora oggi gli angoli arrotondati nella navata.

Comunque la costruzione procedette: si costruirono tre Cappelle per parte giungendo al 1725, e il Coro su progetto di Giorgio Massari arrivando al 1738 … Si abbattè l’antico Oratorio per rendere più spaziosa la piazzetta ... e la facciata rimase alla fine incompiuta al grezzo e con i nicchioni vuoti, eccetto il portale.

Scriveva Vincenzo Coronelli nel 1724: “… alli Padri della Fava ogni festa quivi ci sono molti cantanti e sonadori di vari istrumenti … in chiesa si fa musica parimenti tutte le domeniche e feste dell’anno, la notte di Natale e la settimana santa …”

Gli faceva quasi eco Pietro Gradenigo nei suoi “Notatori” scrivendo nell’agosto 1761: “… nell’Oratorio dei Padri della Fava … sull’altare dello stesso Luogo Sacro fu posta pala uscita modernamente dalla vasta idea e stimato pennello di Giovan Bettino Cignaroli Veronese che fa vedere Filippo sollecito a raccogliere i fanciulli …”

Fra 1847 e 1852 va collocata, invece, la singolare la vicenda delle Sorelle Antonie finite a vivere infine proprio nei pressi della chiesa della Madonna della Fava nel Sestiere di Castello. Erano tremende ! … Affidate in custodia a Giovanni De BiasiMastro d’Ascia dell’Arsenale abitante alle Zattere: le abbandonò dopo qualche mese “per l’incorregibilità del carattere delle due sorelle” ...Un’altra sorella sedicenne venne affidata a una famiglia della Contrada di San Gregorio.

All’inizio della loro storia: Antonia Pin la sorella maggiore aveva 16 anni, mentrel’altra Antonia Pin, la sorella minore, ne aveva soltanto 13. Entrambe erano ospitate come prostitute in un postribolo pubblico che si trovava in Corte del Nonzolo, e lì alternavano“il lavoro” alle visite ispettive mediche obbligatorie, agli arresti, e ai ricoveri coatti in ospedale a causa delle malattie veneree da cui erano affette. Tornando ad uscire ogni volta dall’Ospedale, passarono ad abitare e a“praticare” un po’ in tutti i luoghi del mestiere esistenti in Venezia: Corte Barozzi a San Moisè, Calle Pedrocchi, Calle Greca e Calle Squero a Santa Maria del Giglio; Corte del Forno a San Luca; Calle Venier, Calle Veneziana, Calle delle Marionette e Corte Banchetto nei dintorni di Piazza San Marco dove Antonia Minore prese residenza stabile dopo essersi separata dal militare Anconetano Paolo Recaneschi dal quale aveva avuto una figlia, che finì abbandonata agli Esposti di TrevisoAntonia Maggiore, invece, andò a soggiornare nel Casino di Anna Scalabrinin Calle Bombaseri in Contrada di San Salvador. La



Alla Favasi conservano ancora oggi le preziosissime musiche che venivano eseguite nell’antico Oratorio dei Padri Filippini durante il 1600-1700 … La chiesa s’è trasformata, invece, ancora una volta come nella leggenda: ai Padri Filippini di un tempo si sono sostituiti i circa 200 Filippini migranti dalle Filippineospitati a Venezia, che oggi hanno eletto quella chiesa a loro punto di riferimento assistiti dai Padri Redentoristi(fondati nel 1732 da Sant’Alfonso Maria de Liguori) che dal 1912 hanno preso il posto dei Padri Oratoriani Filippini di ieri subentrando a Padre Calmieri anziano e malato, ultima presenza dei Padri Filippini di San Filippo Neri nella chiesa della Fava.

Fine della trasmissione ? … No, assolutamente … Neanche v’immaginate che cosa accadde nella chiesa della Fava, a Venezia e dintorni negli anni subito dopo e seguenti alla Grande Peste della Salute, e fino ai primi decenni del 1700.


Alla prossima !

“I Pelagini … anche a Venezia nel 1600”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 161.

“I Pelagini … anche a Venezia nel 1600”

Come vi accennavo nella precedente“Una curiosità Veneziana per volta” dedicata alla “Fava di Venezia” (http://stedrs.blogspot.it/2018/01/le-fave-della-fava-venezia-ma-ce-stato.html), quelle notizie mi sono servite per introdurre quest’ultimo post di oggi … che secondo me: “è Venezianissimo e singolare quanto curiosissimo”.

Si tratta dell’implicazione dei Pelaginicon Venezia.

Chi sono stati i Pelagini ?

Usando un po’ di sana quanto semplice ironia, inizio col dire che guardando al nome, non sono stati né dei formaggini, né delle pellicine delle unghie, né dei pescetti esotici … ma ben di più.
La sera del 5 luglio 1716 morì dopo sei anni di difficile prigionia nelle ristrettezze dei Piombi: il “Carcere di massima sicurezza" di Palazzo Ducale di Venezia, il Prete Giuseppe Beccarelli figlio di un Sarto Bresciano, condannato nel settembre 1710 “in prima istanza” a sette anni di galera dall’autorità Ecclesiastica del Tribunale dell’Inquisizionedi Brescia costituito dal Vescovo Cardinale Giovanni Alberto Badoer e dall'Inquisitore Tommaso Manganone, e condannato di nuovo “in seconda istanza” a: “carcere a vita” nel luglio 1711 dal Consiglio dei Dieci della Serenissima che gli negò tramite il Senatoil riesame solo civile del suo caso.

Con quell’ignorata morte a Venezia si concluse praticamente la stagione del Quietismo e dei Pelagini Veneto-Lombardi, anche se rimase in giro per l’Italia ancora “qualche coda e rigurgito” ... Per il disonore e l’umiliazione, Bernardino e Giambattista fratelli del Beccarelli, provvidero perfino a farsi cambiare il cognome diventando: Beltrami.



Quello del Beccarelliin fondo risultò essere uno dei tanti casi registrati, intrapresi e portati a compimento dall’Inquisizione Veneziana… Infatti in quello stesso anno il Santo Uffizio “Lagunare” s’interessò anche di Angela Carzan Bonaldi da Trevisoe di Gaetana Cona Peretti da Bassano accusate di “magia e sortilegi”, di Bernardo Baziali da Murano reo di “sortilegi con invocazioni dei Demoni”, nonchè di diversi altri e altre inquisiti … Sotto tortura Beccarelli ammise e confessò … e chi non l’avrebbe fatto ?

Disse: “d’esser colpevole soltanto di alcuni toccamenti disonesti di poca entità"… Dichiarò anche: "Che il Matrimonio è il Sacramento dei porci, che bisogna obbedir al direttore anco nelle cose repugnanti, che li bacci, tatti disonesti, pollutioni, adulteri, commerci carnali ed altre simili sensualità dishoneste con le persone dell'uno e dell'altro sesso non siino peccati."

Poco dopo Beccarelli si decise anche ad “abiurare” ammettendo tutto un lungo elenco d’“errori quietisti ed eretici” in cui era personalmente incorso ... In giro si spettegolava e commentava: “Avrebbe ammesso qualsiasi cosa pur di render salva la pelle”… ed era effettivamente così.
A Bresciasi parlava ancora di lui e della sua storia, anche se ormai tutti i suoi sostenitori s’erano dileguati o sottomettendosi alle scelte dell’Autorità Ecclesiastica dell’Inquisizione, o fuggendo dallo Stato Veneziano e dal suo Dominio “per salvar la pelle” ... Com’era costume in quell’epoca ma anche in ogni altra: “si gridò grandemente allo scandalo rendendo pubblici fin nei minimi dettagli gli episodi turpi di cui Beccarelli e Compagni s’erano macchiati” ... ma ora tutto era passato … e Venezia e lo Stato Serenissimo potevano ritornar tranquilli procedendo nella loro “solita normalità”.

Giuseppe Beccarelliinizialmente aveva pensato di "studiar da Prete per procurarsi congruo sostentamento per vivere”, poi aveva servito in qualche casa nobiliare “nel condurre teneri figlioli alle Scole ed insegnar loro da sé" ... Viste le propensioni e le notevoli doti umane e culturali, il Nobile Bresciano Cesare Martinengo finanziò l’apertura in Brescia di un Collegio per l'educazione dei giovani Nobili a imitazione delle Scuole dei Gesuiti, affidandolo proprio al Beccarelli la direzione e l’insegnamento ... Fu subito un successone: 70 studenti nel 1695, e più di 100 negli anni seguenti a cui s’associò anche la guida spirituale di molte Gentildonne Bresciane con tutto ciò che ne conseguiva in finanziamenti, appoggi, prestigio e risorse. Beccarelli ottenne anche il prezioso consenso dei Canonici del Duomo, e di tanti altri Preti Secolari della città di Brescia … Tutto sembrava procedere bene: si diceva addirittura che alcuni collegiali non volessero neanche rientrare in famiglia per le vacanze pur di rimanere accanto al loro Educatore e Confessore.

Beccarelli fu subissato di stima e riconoscimenti, ma con quelli venne insieme anche l’invidia, l’inimicizia e il sospetto prima del Vescovo Gradenigo di Bresciacon tutto il suo entourage (inizialmente schierati dalla sua parte), e poi dei Gesuiti che si vedevano diminuire “i clienti” dei loro prestigiosi collegi. Cambiato il Vescovo e giunto a Brescia il Cardinale D. M. Dolfin, il vento iniziò a soffiare contro il Beccarelli: Vescovo, Filippini e Gesuiti tornarono a insidiare il Collegio-Educandato Martinengo traendo dalla loro parte anche la Serenissima, e chiedendone con insistenza l’immediata chiusura.

Motivo ufficiale ?

Beccarellivenne accusato di “Quietismo” … anzi, di: "Beccarellismo", e le sue “idee malsane” vennero correlate con l’attività dei Pelagini della Valcamonicagià condannati e dispersi tra 1653 e 1657… Si rinvenne perfino una corrispondenza del Beccarelli con tale Prete Bresciano Bona, che a sua volta era in contatto col Parroco di Berzo-Demo e poi di Pisogne: Marcantonio Recaldini considerato il capo dei Pelagini Camuni.

Sorse un gran casino insomma ! … e la buona fama del Beccarelli e del suo Collegio andarono a precipizio.

Nel 1701, infine, i Gesuitiraggiunsero il loro scopo ottenendo dal Governo Veneziano tutto quanto volevano: il Collegio Bresciano venne chiuso … anche se Beccarelli godendo d’influenti appoggi e buone amicizie, riuscì a farlo riaprire presto facendolo affidare a un suo allievo e collaboratore ...  In fondo non era cambiato quasi niente ... e Beccarelli e Compagni continuarono nella loro proficua ascesa sociale e culturale.
Ai Gesuiti & C la “cosa rodeva”… Non poteva andar bene così per i detrattori di Beccarelli … che attivarono così l'Inquisizione di Padova: “gran brutta bestia, e gatta dura da pelare per chiunque”… Per di più e a complicare la faccenda, nel 1706 si cambiò di nuovo il titolare del Vescovado di Brescia affidandone la carica al neoCardinale Giovanni Alberto Badoer Patriarca di Venezia: “… altro pezzo grosso ! … Un castigamatti decisissimo e difficilissimo da trattare e imbrigliare”, si diceva in giro di lui … e i Gesuiti avevano con lui una buonissima intesa: era considerato l’uomo ideale per risanare: “l’agitata e inquieta Brescia minata dal Quietismo e dal Giansenismo largamente penetrati dalle vicine zone di confine”.

Giovanni Alberto Badoer era figlio di Francesco e di Elena Michiel, nonché nipote del Vescovo di Crema. Era un predestinato fin da bambino, in quanto lo zio l’iscrisse subito tra i Canonici della sua Cattedrale, e alla morte del zio Vescovo, a Giovanni Badoer fu chiesto di passare a Padova dove incontrò il Vescovo Cardinale Gregorio Barbarigo che lo fece subito Prete e poi Canonico Patavino ... Poco dopo, nel 1684, il Doge Luigi Contarini lo nominò Primicerio di San Marco in Venezia, e da lì il passo fu brevissimo: Papa Innocenzo XI lo nominò Patriarca di Venezia e Dalmazia ... e il successo della carriera era così ottenuto … mancava solo il Cardinalato: che arrivò insieme a Brescia.

Fintanto che era a Venezia, venne fuori la “forte indole Tridentina da Controriformista”del Badoer: si occupò della Predicazione di Frati e Preti; girò tutte le Contrade, le chiese e i Monasteri di Venezia e della Laguna … Consacrò tre chiese nuove in città: Sant’Agostin nel Sestiere di San Polo nel 1691, San Beneto l’anno seguente, e Santa Maria Zobenigo del Giglio nel 1700 nel Sestiere di San Marco; ridiede impulso al Culto, all’Orazione Comune e alla Pietà e Devozione popolare soprattutto verso San Lorenzo GiustinianiProtoPatriarca Nobile di Venezia… e forse “Papa mancato di un soffio”; incrementò la beneficenza e il soccorso a poveri e bisognosi di cui Venezia era piena; e riorganizzò i Seminari e le Scuole Religiose mettendo in piedi a sue spese un piccolo esercito di Missionari, Predicatori e Maestri di Dottrina.

Badoer era un uomo austero, severo, rigido di costumi con se stesso e soprattutto con gli altri … Se la prese non poco, ma senza successo, con i disastrati e indisciplinati Monasteri femminili Veneziani, i cui costumi, modi e convinzioni erano giusto il contrario dei suoi e di quel che dovevano essere … Giunto a Brescia, Badoer proseguì secondo il suo stile facendo subito “fuoco e fiamme”: visitò capillarmente tutta la città e l’intero territorio della Diocesi Bresciana; verificò la qualità del Culto e l’interpretazione puntuale delle Regole Ecclesiastiche …

A dir di tutti: Badoer era “un mastino della Cristianità”… Infatti: “dichiarò guerra” ad ogni forma di sregolatezza e perversione, e soprattutto all’eresia ... Dalle parole passò ai fatti: iniziò con l’incalzare e pressare da vicino in maniera decisissima Piccinino, che dalla Svizzera aveva introdotto alcuni libelli eretici in italiano, poi prese di mira il Prete Giuseppe Beccarelli, che s’era convinto essere: “causa, propugnatore e protagonista” della crescente Eresia Quietista che stava crescendo e affermandosi nel Bresciano.

Per Beccarellifu l’inizio della fine … perché Badoer iniziò col scomunicarlo: “insieme a chiunque avesse osato indire riunioni spirituali non autorizzate col pretesto d’esercitare Esercizi Spirituali o l’Orazione Mentale”… Con Beccarelli l’accusa era esplicita: “E’ un infame eretico Quietista, autore di finta Santità e di blasfemia”.

Beccarelli era di nuovo “segnato”… anche se quelle accuse gli erano già state rivolte in precedenza senza sortire grande effetto … Anzi: alla fine erano state anche rimosse !
Serviva qualcosa di più per sistemare del tutto quel Beccarelli, perché le accuse sollevate nei suoi riguardi: “… erano fin troppo benevole, generiche e leggere”, di natura prettamente intellettuale e solamente interiore … Si pensò così d’aggiungere “qualcos’altro di più pesante, significativo e piccante” … Perciò si richiamò l’attenzione di Brescia oltre che sulle solite accuse, anche sul fatto che Beccarelli: “… faceva un uso improprio della Confessione professando dottrine poco ortodosse”… Infine si completò l’opera riferendosi alla condotta personale del Beccarelli, che venne così considerato capace: “d’esercitar violenza carnale e sodomia nei confronti de sui studenti e studentesse.”

Il gioco era fatto ! ... e insieme col Beccarelli, già che si stava procedendo, si prese dentro anche Bartolomeo Capitanio Arciprete di Manerbio Insegnante nel Collegio del Beccarelli, che venne pure lui imputato e carcerato con la stessa accusa di: “Sollicitatio ad turpia”.

Stavolta le accuse fecero effetto, anche perché corredate da opportune testimonianze inoppugnabili allestite appositamente e con una certa furbizia. Gli atti processuali e le accuse dei testimoni contro Beccarelli, infatti, sono ancora oggi leggibili e chiarissimi: Francesco Bargnani, ad esempio, testimoniò davanti al Tribunale della Santa Inquisizione di Venezia: “Alcuni suoi discepoli ravveduti si condussero spontanei a confessare quanto sapevano... Uno dei figlioli di detto Signor Aldigieri ch'era in Collegio del detto Beccarelli, non voleva ritornar più in detto collegio adducendo per motivo la corruttela della disciplina con cui ivi si viveva, e raccontò che detto Beccarelli, chiamatolo un giorno a conferenza spirituale, gli comandò per prova d'ubidienza di soffrire attioni di peccato nefando, dicendogli che si sciogliesse e calasse le braghezze ... Al che il figliolo, ripugnando con dire che non voleva commettere tal peccato, soggionse il detto Beccarelli che tal'atto non era peccato, ma il figliolo repplicò, anche piangendo, che non voleva fare tali cose se prima non si consigliava col suo padre spirituale … Allora il Beccarelli gli dimandò chi fosse il suo padre spirituale et egli rispose: un Prete della Congregazione di San Filippo Neri, detto “della Pace”. Allora il detto Beccarelli, stato alquanto sopra di sé, disse al sudetto figliolo che non occorreva consigliarsi col Padre Spirituale, havendo a lui fatta questa dimanda solamente per provarlo".

I testimoni“andarono giù pesante”… Interrogato, un altro giovine “ch'è persona Nobile”, depose sotto giuramento: "Undici o dodici anni fa in circa, mentre io era di stanza a Salò un mio cugino che si chiama Domenico Aldigieri Bresciano, ch'era stato nel Collegio del medesimo Beccarelli ed adesso è Medico di professione, e non sò se stia in Brescia o sia condotto in alcuna di quelle terre del Bresciano, mi raccontò, non mi ricordo se in Brescia, in Salò o in quelle vicinanze, parmi da soli, che mentre stava alunno del detto Collegio andò una notte da lui il detto Beccarelli al di lui letto, e voleva o vederlo nudo o andar in letto seco, o altra cosa di male che precisamente non mi ricordo, e solo sò che il mottivo per il quale era andato non era buono, per quanto mi diceva detto signor Domenico ... E mentre esso haveva della repugnanza, detto Beccarelli li disse che si ricordasse di quel che si era letto di un santo, che si lasciava veder nudo, o andar nudo per le strade … Anche in campagna faceva tirar la buschetta alli giovani, per far toccar la sorte à chi doveva andar seco a dormire …”

Beccarelli stavolta non aveva scampo … e allo stesso tempo il Vescovo Badoer non perse l’occasione per esortare i Preti Bresciani “a una prudente brevità nelle Confessioni delle giovani”; proibì inoltre le visite degli Ecclesiastici nelle case private per impartire consigli spirituali e ricevere Confessioni; liberò i fedeli e i Preti dal vincolo del “segreto confessionale” in maniera da poter venire a conoscenza delle indicazioni suggerite ai penitenti durante la “Direzione Spirituale”; e ribadì l’importanza e il valore della “classica Orazione vocale e rituale” in contrapposizione alle indicazioni eretiche del “Beccarelli e compagni” che suggerivano “l’Orazione Mentale silenziosa e diretta con Dio”.

Le cronache Bresciane raccontano che quando Badoer passava per Brescia veniva preso in giro e satireggiato pesantemente dai Bresciani, soprattutto dai Nobili che minimizzavano e ironizzavano sui suoi obiettivi e sulle false accuse a Beccarelli ... Badoer non si scompose, anzi, punto nell’orgoglio, chiese alla Serenissimad’intervenire concretamente nei riguardi del Beccarelli tramite il Podestà di Brescia… Scriveva il Vescovo Badoer a un conoscente Bresciano: “Finalmente la perfidia e la pertinacia del Beccarelli si è tirata addosso l'odio di tutta Venezia. Non andrà gran tempo e si vedranno gran cose … Verrà punito come merita …"

Infatti nel maggio 1708 Beccarelli venne arrestato dal “Braccio Secolare” e condotto "in luogo segreto", sottoposto alla tortura della corda, e carcerato in un torrione del Castello di Brescia, dove venne custodito guardato a vista proibendogli anche di leggere e scrivere … Il Collegio Martinengo venne chiuso a tempo indeterminato ... e a Beccarelli fu chiesto di abiurare sulla pubblica piazza: “a monito e insegnamento di tutti”.

Riguardo quali cose e principi avrebbe dovuto abiurare ? … Non era chiaro quasi per nessuno … ma non aveva alcuna importanza … l’obiettivo dei Gesuiti e del Vescovo era raggiunto … Beccarelli, infatti, venne condannato a sette anni di voga al remo sulle Galee della Repubblica Serenissima… tramutati poi “in seconda istanza” in vent'anni di carcere, e poi dal Consiglio dei Dieci in “carcere a vita” dal 1711.

Addio Beccarelli ! … Per lui si aprirono e richiusero le porte dei “Piombi Veneziani”, che non si riaprirono più fino alla sua morte.

E con questo fu uno …

Altro “Complice”del Beccarelli venne considerato: Carlo Bargnani Nobile Bresciano e Arciprete del Duomo di Brescia ... Sostanzialmente pure lui venne considerato un fautore del "Beccarellismo" per via di certe sue originali “Pratiche di Pietà e Divozioni Nuove” considerate strampalate e altamente nocive. Negli atti della sua sentenza si può ancora leggere: “Approfittando imprudentemente nel 1704 della Sede Vescovile Bresciana vacante per la morte del Cardinale Marco Dolfin e disinteressandosi delle ammonizioni del Vicario Generale Soncini, fece chiudere con imposte e grate tutti i Confessionali mascherando al loro interno il Confessore così da non poter essere veduto; indusse le sue penitenti a Confessioni frequentissime: anche più volte al giorno, e prese a insegnare e consigliare “l'Orazione Mentale” a un gruppo di giovani donne ... Inoltre si dimostrò sfacciatamente favorevole al Beccarelli aiutandolo ad avviare e gestire “il Martinengo” di Brescia.”

In principio il Vescovo Badoer s’era scagliato addosso a Bargnani come e più che col Beccarelli: “ammonendolo ufficialmente e denunciandone errori e pratiche ambigue”… poi aveva fatto restaurare i Confessionali del Duomo; e aveva mandato via e disperso tutte le penitenti e le giovani donne seguaci di Bargnani e Beccarelli: “troppo zelanti e quasi fanatiche”.

L’Arciprete Bargnani inizialmente non s‘era preoccupato, e aveva risposto dicendo che: "… non si dovesse ponèr mente alle parole del Cardinale, perché parlava di passione, e per sussurro d'altri non informati."

Il Vescovo Badoer allora “punto sul vivo”, d’intesa con l’Inquisitore Generale il Domenicano Manganoni aveva fatto arrestare Beccarelli e minacciato pure il Bargnani ch’era fuggito da Brescia … Sentendosi però braccato, il Prete ripensò la sua scelta e tornò in città chiedendo perdono al Vescovo Badoer … che rimase nei suoi riguardi refrattario e passivo. Infatti, nell’estate seguente anche Bargnani venne arrestato, interrogato e rinchiuso prima in un torrione del Castello di Brescia, e poi nelle Carceri del Vescovado dove un paio di Medici e un Chirurgo lo dichiararono “inabile alla tortura” ... Le accuse, in ogni caso, erano già molteplici, pesanti, e più che sufficienti:“Abuso dei Sacramenti e ripetute Sollecitazio in Confessionale durante le quali insegnava alle penitenti che i contatti sessuali non costituivano peccato se vi si abbandonavano passivamente e senza consenso, cioè senza concorso della propria volontà.”

Alla fine del processo Prete Bargnani venne condannato dal Tribunale dell'Inquisizione di Brescia a cinque anni di prigione dichiarandolo inabile “in perpetuum” alla cura pastorale delle Anime … Solo nel 1715 venne rimesso in libertà malridotto ottenendo la grazia della riduzione di un anno di carcere.

E con questo: fanno due.

Veneziada parte sua non era affatto nuova a fatti e vicende del genere: già nel 1533 s’era fatto arrestare e si era processato “per eretico” un Antonio Mastro Falegname della Contrada di San Giacomo dell’Orio, e durante lo stesso processo risultarono “sospette e deleterie” anche alcune predicazioni di due Frati Domenicani: Fra Zaccaria e Fra Damiano tenute nelle chiese della Trinità in Campo della Salute, in San Zanipolo (Santi Giovanni e Paolo), e alla Fava in Contrada di San Lio nei pressi di Rialto.

Eccola qua che spunta la Fava di Venezia ! … un luogo “sospetto” usato come pulpito dagli “eretici cittadini o di passaggio in città”.

In quella stessa occasione, si processarono inoltre un Maestro di Scuola, un Forestier “gran luteràn” di 25 anni, e alcuni Tedeschi ed alcuni Toscani: tutti e sempre: “per eresia e possesso di scritti di Lutero, Bibbie in volgare e dei “Gravamina nationis germanicae”… Per l’opinione pubblica civico-religiosa Veneziana non si trattava di casi da niente: costoro discutevano di “temi caldissimi e delicatissimi” in comunità clandestine legate da grande solidarietà reciproca: “Parlavano di: Confessione, Purgatorio, Libero Arbitrio, Papa, Giustificazione, Quaresima, Culto della Madonna e dei Santi.” ... C’era poco da scherzare: il processo terminò con la condanna a carcere perpetuo del solo Mastro Falegname, mentre buona parte degli imputati  fuggì da Venezia e dalla Laguna, altri abiurarono, e il resto venne costantemente monitorato e controllato “a vita” dall’Inquisizione: perché non vi fossero recidive in città.

Sapete già che a Venezia si vivevano tempi per certi versi molto diversi e parecchio bui sia intellettualmente, che spiritualmente rispetto ad oggi ... Era come se “una caramella attirasse l’altra”… Bastava che si spargesse una voce in giro per calli, campielli e Contrade, che subito “il sospetto, la diffidenza e la denunzia” s’allargavano e diffondevano a catena: “Il Piovan di San Marcuola è quietista ! … Anche quello di Sant’Agostin ! … Pure quello di San Trovaso !”… e via così dicendo … Voci e accuse s’allargavano e incrementavano a macchia d’olio.

Fra 1676 e1683, infatti, “venne a galla” la vicenda del Prete Cicogna di Sant’Agostindetto il “Prete Quietista”, che venne intensamente perseguito e vagliato dal Santo Uffizio Veneziano subendo ben 5 condanne dal 1683 al 1711. L’Inquisizione colpì con forza gli 11 libricini illustrati da Suor Isabella Piccini e stampati a Venezia.


Molte delle opere di Prè Michele Cicogna contenevano al loro interno poesie di Pier MatteoPetrucci: altro personaggio legato ai PelaginiLombardo-Veneti e ai Quietistiin genere.
Petrucciera originario di Jesi, figlio di Giambattista d’antica Nobiltà Senese ... Ragazzino sveglio e precoce: già a sedici anni si era laureato “in utroque iure” all’Università di Macerata, poi aveva esercitato a Jesi come Pubblico Lettore di Giurisprudenza, e frequentato “le Musiche” realizzate secondo lo spirito dell’Oratorio di San Filippo Neri presente in città. Il Vescovo Alderano Cybo che l’aveva preso in simpatia, lo nominò prima suo segretario introducendolo negli ambienti della sua biblioteca, poi lo indirizzò a studi Teologici facendolo diventare Prete e Padre Filippino ... Più tardi ancora, Petrucci divenne Preposito della Casa Oratoriana di Jesi: studiò Greco, Francese, Spagnolo e Scrittura, Patristica e Scolastica nonché i testi della Spiritualità Carmelitana scrivendo molto, e diffondendone la spiritualità.

Prima del 1678 Petrucciapprodò a Venezia, andando a risiedere e operare proprio presso gli Oratoriani Filippini di Santa Maria della Consolazione della Fava.



Rieccola la Fava! … che oltre ad essere la Casa dei Preti Secolari di San Filippo Neri o Filippini, ospitava anche una Compagnia o Sacra Lega di San Filippo Neri… Alla Fava Petrucci scrisse otto Oratori e diverse Rappresentazioni in Musica che vennero musicati e messi in scena più volte nell’Oratorio di Santa Maria della Fava.


Secondo uno stile tipicamente Veneziano molto diffuso e radicato ormai da secoli in Laguna, quasi ogni anno in occasione di alcune feste (San Filippo Neri, Visitazione, Assunta), anche la Congregazione di San Filippo Neri della Fava organizzava quelle “Sacre Rappresentazioni in Musica”accolte sempre con favore e molto frequentati da tanti Veneziani. L’Oratorio della Fava capace di accogliere un elevato numero d’artisti, musicisti e cantori mostrava sulla parete di fondo un altarolo con un: “San Filippo Neri nell'atto di affidare a Maria i fanciulli Veneziani” realizzato da Giambettino Cignaroli, e si realizzarono appositamente per le “Recite” delle apposite lunghe cantorie lignee pensili (simili a quelle di San Rocco, ad esempio) decorato con scene della vita di San Filippo Neri. (Nella Biblioteca della Fava e  in quella Marciana si conservano ancora oggi i libretti, le partiture e le musiche che venivano eseguite in quelle occasioni nell’antico Oratorio della Fava).



Durante la parentesi Veneziana, Pier MatteoPetrucciconobbe e incontrò più volte il Prete Michele Cicogna di Sant’Agostinnel Sestiere di San Polo: “L’eretico Veneziano” a cui accennavamo prima, così come si recò più volte anche a Padova e Brescia dove incontrò ed ebbi prolungati contatti con i Pelagini Camuni e Lombardi… Fu allora che anche Petrucci venne accusato di Quietismo … Ebbe, tuttavia, miglior sorte a confronto del povero Prete Cicogna di Sant’Agostin di Venezia che venne abbastanza “strapazzato”, perché lasciata Venezia si portò a Jesi nel 1664; fece musicare alcuni suoi lavori dal Maestro Giuseppe Pacieri facendoli rappresentare ed eseguire nella Cappella del Santuario di Loreto nelle Marche; e le sue Poesie Sacre e Musiche Oratoriane stampate dall’editore veneziano Hertz che le pubblicò a Macerata, e da Claudio Perciminei Stampatore Vescovile di Jesi si diffusero in tutta Italia: Verona, Ferrara, Bologna, Modena, Crema e Napoli.

Petrucci finì col far carriera scrivendo Trattati Spirituali, Epistolari, “Mistici Enigmi” e altre Musiche: divenne illustre quanto rinomato predicatore distinguendosi per l’attività di Direttore Spirituale delle Monache Carmelitane Scalze di Santa Teresa di Fano e delle Suore Clarisse di Santa Chiara di Jesi ... Nel 1671 col Vescovo Cybo fondò il Carmelo femminile a Montecarotto di Jesi; e nel 1684 trasformò un gruppo di Terziarie Francescane in Monache Carmelitane dell’Osservanza, collocandole nel Monastero della Santissima Trinità da lui fatto appositamente fatto erigere.
Nel 1680, infine, Petruccidivenne Vescovo: fece Visite Pastorali e indisse Sinodi Diocesani, fu Visitatore Apostolico della Diocesi di San Severino Marche, e Innocenzo XI lo creò Cardinale soprattutto per proteggerlo, perché Petrucci finì di nuovo “sospettato”: impelagato e coinvolto con le teorie spirituali di Miguel de Molinos accusato di Quietismo, trascinato a processo dall’Inquisizione dei Gesuiti Romani guidati da Padre Paolo Segneri.

Petrucci si salvò per un soffio dalle mani dell’Inquisizione.

Il Teologo Spagnolo Miguel de Molinos, invece, venne considerato il maggior teorico del Quietismo. Nel 1675 aveva pubblicato un testo: “La Guja espiritual que desembaraza el alma y la conduce por el interior camino para alcanzar la perfecta contemplación y el rico tesoro de la interior paz”, poi aveva scritto: “Breve tratado de la Comunión Cotidiana”, che gli attirarono addosso le ire dei Gesuiti Romani.
Quasi candidamente, Miguel Molinos dissertava spiegando che per ascendere a Dio erano necessarie prima la Meditazione e poi la Contemplazione con le quali si poteva entrava in “quiete” ossia in uno stato di completo “abbandono in Dio”: affermazioni pericolosissime perché di un colpo solo escludevano tutta l’opera di “Mediazione Ecclesiastica” !

“Dio è presente e operante dentro ciascuno di noi con la sua Grazia ... Leggi, regole e sanzioni Ecclesiastiche, perciò risultavano essere solo un apparato del tutto superfluo.”

Immaginatevi la reazione della Santissima Inquisizione !

Il termine Quietismo sembra sia stato coniato da Innico Caracciolo Arcivescovo di Napoli scrivendo a Innocenzo XI nel 1682. Prima si parlava di “Devoti all’Orazione di Quiete o della Nuova Contemplazione"… E’ certo, piuttosto, che nei riguardi di quel “Fenomeno e Stato Spiritale” il Santo Uffizio dell’Inquisizionesi scagliò “di brutto” con processi e condanne lungo tutto il corso del 1600 e anche oltre. Qualche studioso ha provato a correlare e cercare le radici del Quietismo nell’esperienza degli Alumbrados o Aluminados spagnoli del 1500. L’Inquisizione Spagnola soprattutto di Toledo e Siviglia considerò il movimento Castigliano organizzatosi con la “Carta de Naturaleza” di Toledo del 1525, alla stregua di una temutissima “Setta mistica Protestante”… quindi condannò gli Alumbrados confondendoli e sovrapponendoli ai Conversos e ai Moriscos Giudei, e incarcerò, torturò, processò e mandò a morte un bel mucchio di gente ... Perfino la “Beata de Piedrahita de Salamanca”, ossia “la modestissima María de Santo Domingo che teneva colloqui spirituali continui con Gesù e la Vergine” fu sospettata di Quietismo dall’Inquisizione; così come: Isabella de la Cruz di Guadalajara, Francisca Hernandez di SalamancaMaria de Cazalla di Pastrana, e i Frati: Juan de Olmillo e Francisco de Ocaña… e, non posso crederci ! … anche i grandi mistici come Teresa d'Avila e Giovanni della Croce,Ignazio di Loyola e Giuseppe da Copertino: tutti sono stati a lungo sospettati d’essere “Illuminati”, o perlomeno simpatizzanti dei “Quietisti-Alumbrados”… Poi la Chiesa li ha fatti tutti Santi.

Valla a capire la Chiesa ?

Si considerava il Quietismocome un insieme d’ispirazioni e visioni di tipo Arabo-Giudaico e Gnosticoframmiste a influenze umanistiche Erasmiane. L’Inquisizione spiegava e accusava il Quietismo: “… Professa di rifugiarsi in sé stessi colloquiando con la propria Anima, e di rivolgersi direttamente all’essenza stessa di Dio attraverso l’impulso diretto dello Spirito Santo vivente nelle persone  … Si abbandonano nella Pace e Amore di Dio (il Dejamento) … Dio salva e giustifica direttamente l’Anima senza l’intervento sacramentale della Santa Chiesa ... Il Quietismo nega anche il valore del Matrimonio, e sostiene che i liberi rapporti sessuali non costituiscono Peccato alcuno, ma sono solo atti di purissima Carità ...”

La Chiesa, insomma, non serviva più a niente. Era ridotta solo ad apparato organizzativo, ed era solo capace di elaborazioni etico-dottrinali: una specie di guida insomma, un’autorevole ispiratrice e basta … L’Atto Liturgico diventava superfluo in quanto la Preghiera era un fatto privato e diretto con Dio ... e pure le elemosine erano insignificanti … fatto gravissimo ! … perché si riducevano ad essere solo un foraggiare inutile della Chiesa ... Perfino la pratica della Perfezione e delle Virtù, così come il Peccato, la Colpae la Confessioneerano private del loro significato: esistevano solo fatti personali da trattare direttamente con Dio …

Figurativi la Chiesa con la sua Inquisizione ! … Sentivano scricchiolare pesantemente “i fondamenti” della Chiesa.
Non era affatto vero che i Quietisti dicevano tutte quelle cose … alcune sì ispirandosi all’area Protestante, ma non tutte !
In quel contesto storico, polemico, pseudogiudiziario e indagatorio: “tutto faceva brodo” ed ogni tipo d’accusa poteva tornare utile … Poco importava se fosse stata frutto di un ragionamento fondato, di dati certi, o se non fosse stato vera del tutto ... L’Inquisizione faceva subito e in ogni caso “fuoco e fiamme” seguendo un suo filone logico e Dottrinale irrinunciabile ... e l’equazione finale fu semplice: chi non la pensa come me è fuori e dannato … punto e basta … Era un meccanismo paranoico, ossessivo e autoalimentante.

Nel 1681 il “sospetto eretico” Pier MatteoPetrucci, l’”Oratorista” proveniente da Venezia si avventurò a scrivereimprudentemente: La contemplazione mistica acquistata” facendolo pubblicare a Jesi e stampare a Venezia … L’Inquisizione mise subito tutta la sua opera, eccetto le poesie, nell’Indice dei Libri Proibiti dalla Chiesa … e Petrucci venne denunciato e accusato presso il Santo Uffizio finendo a processo per ben tre volte a partire dal 1687, venendo sottoposto al giudizio dei Cardinali dell’Inquisizione e a una Commissione Papale appositamente allestita per lui, che gli fece ritrattare “54 proposizioni incriminate”presenti nei suoi scritti, e lo fece infine abiurare privatamente davanti al Domenicano TommasoMazza.
Morto InnocenzoXIprotettore del Petrucci, salì sul Soglio Pontificio: Alessandro VIII cioè Pietro Ottoboni ferocissimo oppositore dei Quietisti. Fece riprendere allora le accuse e le ostilità verso Petrucci facendolo dimettere da Vescovo di Iesi e richiamandolo a Roma dove venne tenuto sotto stretta osservazione fino alla morte dello stesso Papa. Solo l’elezione del più moderato e meno ostico Antonio Pignatelli divenuto Innocenzo XII, permise a Petrucci di poter tornare a respirare: venne, infatti, riabilitato e sottratto dalle spire dirette dell’Inquisizione, pur continuando sempre e comunque ad essere sospettato d’eresia … Morì avvilitissimo nel 1701 per Insufficienza Acuta Renale mentre si recava alla festa di Santa Chiara a Montefalco…  Con lui si spense la più alta pagina dell’Oratorismo Musicale del 1600 Veneziano realizzato proprio alla Fava in Contrada di San Lio poco lontano da Rialto.

Nel frattempo Miguel Molinos già arrestato e torturato nel 1685, venne processato nello stesso 1687 ... Come“reo confesso” fu condannato e costretto alla pubblica abiura in Piazza Santa Maria sopra Minerva a Roma (sede dell’Inquisizione Romana)nelle mani del Domenicano TommasoMazza(ancora lui ?)e poi condannato a “carcere perpetuo”. Il Papa scrisse perfino un’apposita bolla Caelestis Pastor” che elencava e anatemizzava minuziosamente tutte le 68 proposizioni ereticali enunciate dal Molinos … che finì col morire nove anni dopo nel carcere dell’Inquisizione Romana.

Fu un bel tipino quel Domenicano Inquisitore di Roma TommasoMazza!  … sempre in mezzo con l’Inquisizione. Era praticamente il capo e il massimo referente ufficiale della speciale “Congregazione Antimistica” promossa dal Santo Uffizio e dal Papa, deputata al giudizio sull’operato e gli scritti degli eretici indagati. Era lui che ne riceveva le abiure e ritrattazioni, oppure che ne pronunciava le sentenze condannandoli al carcere o a morte. Il suo nome compare in gran parte dei numerosissimi e voluminosi fascicoli dei processi Inquisitoriali dell’epoca volti contro Religiosi e Religiose considerati Eretici, Calvinisti e Luterani, ma anche contro semplici Laici rei di bestemmie e fornicazione.
Morì settantasettenne nel luglio 1688a Roma dopo lunga malattia, nelle stanze della Santissima Inquisizione in Santa Maria sopra Minerva.
Era stato un Domenicano Predicatore e Inquisitoreproveniente da San Giacomo diForlì. Prima di farsi Frate aveva seguito nella città natale le lezioni di Umanità tenute da Andrea Lazzari Gesuita Ferrarese, ed era stato amico di Francesco Scannelli Medico Forlivese appassionato d’arte ... Poi s’era recato a Bologna dove era stato Primo Lettore di Filosofia nello Studium Domenicano, e membro dell’Accademia cittadina dei Filergiti ... Nel 1650 il Capitolo Generale dell’Ordine Domenicano lo promosse a Magister in Teologia, così che pellegrinò per quindici anni nelle Scuole dell’Ordine Domenicano spostandosi tra Bologna, Piacenza, Mantova, Genova e Bosco Marengo ... Fu quindi Priore a Imola dove fece costruire un nuovo refettorio e un atrio; poi a Forlì dove rinnovò il chiostro, e collocò una cisterna marmorea sormontata da una statua bronzo-dorata di San Domenico; e a San Domenico di Ferrara dove incontrò il Cardinale Carlo Rossetti e si propose come Inquisitore di Ferrara e Contado in quanto possedeva già l’esperienza acquisita come Consultore e Vicario dell’Inquisizione esercitata a Piacenza, Mantova e Ferrara.

Visti e considerati perciò i suoi requisiti, divenne Inquisitore a Crema, poi a Vicenza, e quindi a Verona nei territori della Repubblica di Venezia(considerate sempre sedi minori e periferiche del Santo Uffizio, anche se negli anni ’50 del 1600 nel Lombardo-Veneto avvenne l’ondata delle condanne con la dispersione del Pelagini Bresciani e Bergamaschi). Il Dominio Veneto come i territori della Serenissima erano zone considerate “sospette e da eretici” per via dei frequenti e pericolosissimi movimenti, incontri e scambi culturali che vi avvenivano.

Più tardi, “per i meriti acquisiti sul campo”, e soprattutto su raccomandazione del Cardinale Francesco Albizzi, che ne aveva apprezzava “Prudenza, Stile, Moderazione, Industriosità e Dottrina”, Padre Tommaso Mazza venne promosso a Inquisitore nella sede più importante di Genova dove si avventurò in pubblicazioni letterarie, apologetiche ed erudite cercando d’accaparrarsi protezioni, collaborazioni e sovvenzioni, ma anche analizzando tempi arcani antichi come quelli delle migrazioni Barbariche e Longobarde. S’interessò di scoperte geografiche, e di autori classi ... Da Genova, dopo aver processato Maurizio Scarampi Signore di Cortemiglia denunciato dall’Inquisizione d’Alessandria come “protettore e sostenitore delle Nuove Eresie”, e aver fatto fronte ad alcune proteste contro l’Inquisizione Romana sorte a Finale e a Spigno nel Savonese, non mancò di riferire a Roma  del progressivo dilagare dalla Francia e dalla Germania nei territori Liguri e Piemontesi del fenomeno delle “Devozioni e Conventicole contemplative sospette dell’Orazione di quiete e del silenzio”col relativo giro di personaggi e la propagazione di scritti e stampe che la veicolavano.

Quell’uomo divenne un vero e proprio occhio, orecchio e “campanello d’allarme”per il Papa e l’Inquisizione di Roma.

Nel 1677 venne trasferito come Commissario del Sant’Uffizio presso l’Inquisizione di Bologna, e infine venne chiamato e approdò a Roma come vero e proprio “esperto in materiacirca le nuove e dilaganti deviazioni eretiche del Quietismo e dei Pelagini”… e a Roma s’impegnò a combattere gli eretici finendo con l’inquisire, incarcerare, processare e condannare lo stesso suo Confratello e Prete: Miguel de Molinos.

Ma tornando nel Veneto e a Venezia, i Pelagini Lombardo-Veneti erano considerati una emanazione del Quietismo… così come tutte le esperienze vissute in alcuni centri della Liguria; le vicende del Sacerdote Marchigiano Lombardi condannato dopo morto nel 1675; e quelle di Suor Giulia di Napoli; Ricasoli e Fantoni di Firenze ... e Leoni, Lacombe, Madame Guyon e Fénelon ... e diversi altri ancora … La lista sarebbe lunghissima.
Gli Inquisitori Veneziani erano parecchio attivi in Laguna: “La Giustizia e la Difesa della Fede facevano il loro corso nella Laguna Veneziana. Nel 1707, ad esempio, s’erano interessati di un certo Fra Vincenzo Davanzo da Capodistriache seduceva in Confessionale, poi di Pietro Crescifida nel 1710 che“si dava a proposizioni ereticali”… e ancora di: Laura Diana che “compiva atti disonesti”…. L’Inquisitore Giovanni Ludovico Sechiario da Ravenna Domenicano Predicatore s’era interessato del Prete Cicogna de Sant’Agostin, poi avevano continuato la sua opera gli Inquisitori: Paolo Canaveri da Gabiano, e Silvestro Ugoletto da Castiglioneentrambi Domenicani.

L’ultimo pronunciamento del Santo Uffizio Veneziano contro Prete Cicogna da Sant’Agostinvenne fatto quando era Inquisitore: Tommaso Maria Gennari da Chioggia… poi lo stesso Inquisitore preferì interessarsi d’altro: di Don Agostino Ciceri, ad esempio, nel 1713, accusato di “Dogmi ereticali in materia venerea”; e di Cuzzanetti Prè Vincenzo originario di Messina inquisito “per abusi di Messa e sortilegi qualificati”… Più tardi l’Inquisizione di Venezia s’interessò di Capozzo Francesco da Vicenza e di Bartolomeo Dalmaina… poi fu la volta della Veneziana Antonia Cristofoli inquisita “per proposizioni ereticali”… e di Caprioli Elisabetta da Venezia e Casotto Caterina da Padova accusate entrambe di “Sortilegi Qualificati”… Furono inquisite più volte anche la Trevigiana Angela Carzan Bonaldi e la Bassanese Gaetana Cona Peretti che non intendevano smettere di compiere “magie e sortilegi”.

Non era insolito in Laguna che la Santissima Inquisizione venisse a bussare alla porta di casa … La Serenissima poi più di qualche volta l’assecondava “seppure con prudenza”, ed era abituata a dare subito “un sano tiro di corda preventivo” facendo accedere gli interessati alla tortura … Non si sapeva mai: era meglio non perdere tempo e far subito sul serio, senza non rischiare nulla … Ci avrebbero poi pensato gli stessi inquisiti a spiegare “il perché” avevano dato modo di venir strapazzati … Se non c’era niente in ballo, la questione“poteva morire là” e si lasciava andare l’interessato ammonendolo … Se, invece, saltava fuori qualcosa, qualche ammissione e colpevolezza, allora tutto era diverso: si era costretti “a parlarne”, e a mettere in moto la macchina della Giustizia: c’erano delle Leggi da rispettare, e delle Pene da applicare, e a Venezia era sempre in opera un esercito di Avvocati, Magistrati, Giudici e Tribunali … Tutto veniva e procedeva da se … Venezia sapeva il fatto suo, la sapeva lunga ed era ben organizzata … Pronta ad ogni evenienza e capace di affrontare e risolvere ogni avversità … comprese le scomode eresie.

Venezia e la Serenissima andavano “un po’ così”… Il dubbio e il sospetto c’erano, aleggiavano nell’aria … e qualcuno che era un po’ “tagjatabàri”e facile ad accusare buttava addosso fango e arrivava a insinuare di tutto un po’ … A volte bastava non essere simpatici a qualcuno, o non essergli andati incontro nella maniera che s’aspettava, e accadeva di tutto … Anche se Venezia vigilava, controllava e provava a discernere“buono dal falso”.
Si dovevano forse considerare “Pelagini eretici” anche i Preti Filippini degli Oratori Veneziani del Divino Amore ? … A un certo punto non era tanto facile discernere chi era e chi non era, nè chi stava dalla parte giusta … Eppure i Filippini Veneziani s’erano fatti benvolere in Laguna, e s’erano spesi per molto tempo e in molte occasioni a favore dei giovani di strada, degli sbandati, e dei bisognosi … Quei Preti degli Oratori non erano solo preghierine, canti e meditazioni, ma aiutavano ed esercitavano la Carità per davvero a favore dei Veneziani malridotti (sembra che durante il 1700 più di un terzo dell’intera popolazione di Venezia vivesse in condizione “miserrima”).

Il “Santo della Gioia, il Buffone di Dio” ossia San Filippo Neri con i suoi Preti dell’Oratorio s’era ben insediato e aveva avuto un successone a Venezia come in buona parte d’Italia. Nel 1612 il Papa aveva approvato l’opera dei Filippini con apposito Breve, tre anni dopo Paolo V aveva proclamato Filippo Neri: “Beato” , e Gregorio XV nel 1622 l’aveva addirittura dichiarato“Santo”… Quel personaggio e quella sua idea erano una “certezza”, perciò l’istituzione s’era diffusa rapidamente in tutta Europa, Spagna, Fiandre, America Latina e India, oltre che capillarmente in tutta l’Italia raggruppandosi in ben 150 Congregazioni.

Nel 1662 i Filippini sbarcarono e si stabilirono a Venezia, anche se le prime esperienze Oratoriane Lagunari e cittadine si possono far risalire già al 1598 … In Contrada dei Santi Apostoli esisteva una Pia Confraternita dei Devoti dell’Oratorio; a San Canciano poco distante ce n’era un’altra, e a Sant’Aponal nel Sestiere di San Polo esistevano ben due Sovegni di Sacerdoti di San Filippo Neri. Una Devozione e Pia Unione di San Filippo Neri agiva ai Santi Giovanni e Paolo(San Zanipolo); e alla Favaoltre all’Oratorio principale dei Padri Filippini, c’era anche una Compagnia o Sacra Lega di San Filippo Neri… E non era ancora tutto !

A San Martino di Castello funzionava un altro Sovegno di San Filippo Neri; e pure nella Contrada del Vescovo: a San Pietro di Castello c’era un altro Oratorio dedicato a San Filippo Neri… Ai Carmini nel Sestiere di Dorsoduro al di là del Canal Grande, c’era un’altra Pia Unione di San Filippo Neri; una Compagnia e Oratorio del Divino Amore sorgeva nell’Ospedale degli Incurabili sulle Zattere; a San Gregorio verso la Punta della Dogana da Mar c’era perfino una Schola-Compagnia-Suffragio dedicata a San Filippo Neri; e nelle poverissime quanto disastrate Contrade dell’Anzolo Raffael e di San Nicolò dei Mendicoli, in fondo a Venezia, sorgeva (esiste ancora oggi)un altro Oratorio di San Filippo Neri e San Girolamo frequentatissimo e attivissimo: uno dei più significativi di tutta Venezia.


La Cronaca Veneta di Padre Antonio Pacifico lo descriveva così nel 1697: “… Oratorio attaccato alla chiesa con più di 200 buoni fratelli che qui posto vi recitano l’Ufficio della Beata Vergine con altri esercizi di cristiana pietà … Lì si tengono Divoti Esercizii necessari alle Anime Cristiane da praticarsi fra l´anno, Lodi cantate, Meditazioni sopra gli Evangelj, e Conferenze, e Duadenari di San Filippo Neri ad imitazione dei Confratelli della Congregazione della Pugna Spirituale di Roma.

Infine nel Sestiere di Santa Croce sorgeva un altro Oratorio di San Filippo Neri presso le “tremebonde” Monache di Sant’Andrea della Zirada(presso l’attuale People Mover di Piazzale Roma), un altro Oratorio di San Filippo Neric’era in San Giacomo dell’Orio… e forse un altro ancora: nella vicina San Zàn Degolà.

Niente male come “presenza Veneziana degli Oratoriani di San Filippo Neri”: la città era disseminata delle loro funzionali realtà … e c’è da aggiungere, che esisteva ed è documentata anche una certa invidia e contrapposizione in Laguna fra questi diversi tipi di Enti Religiosi Assistenziali”, perchè i Preti dell’Oratorio“s’accaparravano Anime”… il che significava anche: donazioni, elemosine, lasciti e denari in quantità …  e questo piaceva poco, o proprio non andava bene ai Piovani delle Contrade, né agli Istituiti di Religiosi e Religiose, nè alle numerosissime Scholed’Arte, Mestiere e Devozione cittadine che vivevano di lasciti, contribuzioni e rendite … I Filippini Oratoriani quindi erano considerati “una presenza scomoda oltre che sospetta” a Venezia … Non fu quindi un caso, che gli Oratori venissero considerati “vicini e simili”, almeno nell’ispirazione, ai Pelagini Lombardo-Veneti ... “covi eretici”.

Fra parentesi bisogna ricordare e precisare che quella degli Oratori fu una stagione storica Italiana e Europea “felice, florida, ricca e intensa”, che ha segnato positivamente buona parte del 1600 e 1700. Non se ne parla molto, ma accanto a una “Chiesa Alta” indubitabilmente tutta gerarchica e dottrinale, ma inadempiente e spesso abulica, nepotista e corrotta, è esistita anche una “Chiesa Bassa” composta da un mare di persone spesso qualsiasi che hanno onorato generosamente la loro missione, e incarnato la loro identità e compito in maniera significativa e coerente. Le cronache veneziane di sempre ricordano che nella prolungata esperienza degli Oratori si sono visti all’opera uomini e donne generosi che hanno punteggiato a lungo la Storia Veneziana di una presenza sana, genuina e fattiva volgendosi a favore dei tanti che vivevano nel bisogno.

Gli Oratori Veneziani quindi, nonostante ciò che qualcuno ha detto e scritto, non sono stati affatto “covi d’Eresia”, ma spesso aggregazioni di gente buona e onesta, che meritano d’essere ricordati.

Oggi il discorso “eresia”in genere ci fa un po’ sorridere lasciandoci indifferenti, talvolta increduli e meravigliati, oppure solo incuriositi … La Serenissima, invece, al pari de “Grandi”dei secoli trascorsi, sorrideva poco parlando d’eresia: considerò i Pelaginiuna minaccia maledettamente seria, pericolosissima, e da non sottovalutare … Per questo ci si sentì in obbligo d’“andarci giù di brutto” nei loro riguardi ... Era necessario che tutti vedessero, capissero … e temessero quel “pericolo ereticale” capace di minare alle basi l’intero tessuto e  organizzazione sociale.

Ma chi sono stati in realtà quei benedetti Pelagini ?

Come dicevo qualche riga sopra, si trattava di una congrega di persone desiderose di far del bene ai bisognosi, ma ispirati forse da sensazioni di diretta accondiscendenza con l’Amore di Dio contattato direttamente e personalmente … senza cioè le regole e l’intermediazione obbligata della Chiesa, che veniva messa da parte e scalzata via come inutile ... Anzi: la realtà gerarchica della Chiesa per via dei suoi inciuci e dei suoi sfacciati desideri di potere, e soprattutto d’interesse economico era considerata dannosissima.

Figuratevi se la Chiesa ci stava con questi discorsi ! … Se avrebbe mai ammesso contestazioni e discorsi del genere !

Venendo finalmente ai fatti di fondo, era capitato nel 1652 nella Valcamonica Bresciana, ossia dentro al Dominio Veneto della Serenissima, che il Milanese Giacomo Filippo Casòlo(Filippo era un nome aggiunto in onore di San Filippo Neri suo ispiratore) fondasse alcuni Oratori dedicati a San Filippo Neri, simili in tutto a quello di Santa Pelagia presente a Milano.

Ecco da dove derivava quindi il nome di “Pelagini”: da Santa Pelagia“la ballerina penitente” secondo il Leggendario Santorale.

La Valcamonicaè stata a lungo considerata nel territorio Milanese come terra di pervertiti, stregoni ed eretici, e come tale trattata e citata nelle sentenze e perfino negli Statuti Camuni di diverse epoche. Già nel 1510 in quella Valle erano stati giustiziate ben 60 streghe e numerosi stregoni … e otto anni dopo, nuovi procedimenti con numerosi processi portarono al rogo altre così dette “Streghe della Valcamonica” ... Le cronache parlavano con insistenza di “Sabba al Monte Tonale”: luogo di riunione preferito dalle streghe del Nord Italia in quegli anni ... Si susseguono numerosi processi in tutta la Lombardia almeno fino alla peste del 1524: nei Diari di Marin Sanudo il Giovane, ad esempio, si fa memoria riportando stralci del processo, del caso della celebre Benvegnuda detta la Pincinella da Nave nel Bresciano.

Giacomo Filippo Casòlofu fin da subito considerato un personaggio a dir poco discusso e discutibile … Da giovanissimo voleva dedicarsi all’attività missionaria nelle Indie, ed era stato dissuaso dall’entrare nella Compagnia di Gesù dei Gesuiti. Rimasto a Milano, dal 1641 s’era dedicato per sei anni ad assistere infermi, ragazzi di strada e bisognosi nell'Ospedale di Milano... L'Arcivescovo di Milano Cesare Monti  era rimasto impressionato da lui, perciò gli voleva assegnare una pensione di 100 scudi per i suoi meriti e per continuare la sua opera … ma Casòlo la rifiutò.


Pur essendo analfabeta (secondo quanto affermò il suo Confessore nelle mani del quale aveva promesso e pronunciato  i voti di povertà, castità e obbedienza rinunciando anche alla cospicua eredità patema … S’era estraniato anche dai familiari, faceva penitenza, digiunava di frequente, e portava cilici imponendosi discipline) aveva fondato un Oratorio per giovani nella chiesa di Santa Pelagia di Milano (Il Cardinale Monti aveva istituito nel 1640 la Casa di Santa Pelagia Penitente in una casa nella contrada del Lauro, dove un tempo c’era l'Ospedale di San Simpliciano ormai abbandonato, conferendole anche un regolamento interno... Si trovava sull'attuale Corso Garibaldi di Milano in via Delio Tessa ... Di fatto si trattava di un Ricovero-Asilo per “Convertite e ragazze nobili, appartenenti a famiglie decadute e moralmente in pericolo” assistite da volontari, fra cui Giacomo Filippo Casòlo, Giovanni Pietro Calusco, Melchion Chiesa, e Tomaso Zerbo. L’Oratorio di Santa Pelagia fu soppresso nel settembre 1784 e unificato all'Orfanotrofio delle Stelline). Lì i giovani si dedicavano a vita comune e alla famosa “Orazione Mentale” ricevendo l’aiuto e la simpatia dei Preti della Pace di Brescia che si occupavano degli stessi bisogni sociali e spirituali seguendo le loro stesse ispirazioni ... Da qui il sospetto di Quietismo pure per loro.

Nel luglio 1647 infatti, Casòlo raggiunse i Preti della Pace di Bresciaincontrando soprattutto Alessandro Pavoni e Maurizio Lazzari, e avviando in Valcamonica un’attività parallela a quella Milanese … Inizialmente Casòlo godeva dell'approvazione anche del Vescovo di Brescia Marco Morosini, che riteneva interessante l’esperienza degli Oratori proposta da Casòlo, e mezzo utile per elevare il livello della Pietà nel “basso popolo” ... Due anni dopo, invece, quando ormai i seguaci del Casòlo erano giunti ad essere più di 600, lo stesso Vescovo ordinò senza successo la soppressione dei nuovi Oratori Camuni. Visto però che Casòlo e i suoi perseveravano nella loro opera in Valcamonica,  dal 1653 venne affibbiato loro il “sospetto d’Eresia”, e fu Carlo Carafa Nunzio a Venezia a scrivere due anni dopo direttamente alla Congregazione del Sant’Uffizio di Romaesponendo le sue preoccupazioni per le pratiche “non ortodosse e scomode”a cui si dedicavano i seguaci del Casòlo nelle zone della Val Camonica e del Monte Tonale:“… hanno dato luogo, data la rozzezza di quella popolazione, a forme di Superstizione e d'Eresia.”

Da quale “iniquo pulpito” e personaggio “ambiguo e losco” veniva quella richiesta di persecuzione da parte dell’Inquisizione Romana !

Vergognoso Carlo Carafa !

In gioventù era stato paggio del Cardinale Pompeo Colonna, e nel 1534 Paolo III lo fece Cavaliere dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, e poi Priore a Napoli… Carlo Carafa fu un uomo sinistro, crudele, avaro, intrigante, licenzioso e sregolatissimo … Fece prima una dubbia carriera da soldato mercenario in Italia e Germania passando dagli Imperiali ai Francesi … Poi finì in esilio da Napoli: “per omicidio e brigantaggio … accusato anche d’aver provocato il massacro di alcuni soldati Spagnoli in un ospedale della Corsica.”… Venne comunque nominato Cardinal Nepote da suo zio Paolo IV di cui divenne anche incompetente Segretario di Stato durante la “Guerra del sale” in cui il Papato subì un'umiliante sconfitta … Carafa venne accusato anche d’omosessualità, tanto che Paolo IV lo sollevò dalla carica di Cardinale sostituendolo col pronipote Alfonso Carafa.

Nel giugno 1560 Pio IV fece arrestare mezza famiglia Carafa per gli abusi e le malefatte perpetrate e a Roma e altrove, e li fece strangolare nelle galere Papali nella primavera seguente … Carlo compreso, considerato il regista di tutto. Venne risparmiato solo Alfonso Carafa rispedito a Napoli dopo aver pagato una multa salata di 100.000 scudi, e Innocenzo del Monte relegato dai Gesuiti di Pisa “per essere redento” ... Fra le altre cose a Carlo Carafa vennero contestate anche “colpe ereticali”, come quella: “… di atti osceni durante una processione Eucaristica a Venezia dov’era Nunzio Apostolico, avendo fatto le corna al passaggio di un Crocifisso … e per aver pronunciato in un’altra occasione a Roma la frase: "Pazzo chi ci crede!"

Infine: ritrovata l’alleanza con la Spagna nel 1567 (persa forse proprio per colpa dei Carafa), Pio V riaprì il processo ai Carafa assolvendoli e riabilitandoli tutti … Carlo Carafa compreso … ma ormai tutti morti e sepolti.

Chissà perché, quelle zone di confine della Serenissima col mondo Teutonico, erano sempre state tradizionalmente considerate: “terre infestate da Streghe ed eretici” … In ogni caso erano:“Pane per i denti dell'Inquisizione”.

Il Governo Veneziano di Brescia inviò perciò in Valcamonica dei Commissari, che però dovettero esprimere giudizi positivi sull’operato sia del Casòlo, che degli Oratori dei Filippini ... Il nuovo Vescovo di Brescia successore del Morosini: il Veneziano Pietro Ottoboni, assunse ugualmente un deciso atteggiamento negativo contro quelli che iniziò a considerare lo stesso: “gli Eretici Pelagini della Valcamonica”. … Nel 1657 il Vescovo richiese l'intervento dell'Autorità Secolare della Serenissima, e gli riuscì nel giro di due anni di arrestare e processare diversi Pelagini portandoli all’abiura ufficiale, di confinarne altri in vari luoghi di detenzione del territorio della Repubblica Veneta, e di disperderne diversi altri ancora ... Nell'aprile dell’anno seguente l'Arciprete Marcantonio Recaldini Piovano di Berzo-Demo e poi diPisogne in Valcamonica venne relegato in perpetuo a Udinedove morì nel 1678 ... Si precisò che i Pelagini della Val Camonica erano: “una conventicola spirituale vicina alle istanze dei Quietisti che svolgeva intensa azione di proselitismo nella Diocesi Bresciana”.



Si legge ancora nel Tomo quarto dell’“Historia di tutte le Heresie descritte da Domenico Bernino” edito a Venezia 1717 nella Stamperia Baglioni: “Innocenzo Undecimo suefatto alla pugna con la terribil Bestia de Quietisti, sin quando in posto di Cardinale sedeva nel trono Episcopale di Brescia, ne venne a Roma prattico combattente … Mentre sotto li Pontificati d'Innocenzo X e di Alessandro VII combattevansi da Roma li Jansenisti, sursero alcuni torbidi, che scoppiarono ben presto in aperta Heresia in quella parte della Diocesi di Brescia che dicesi Val Camonica: largo tratto di Paese, che circondato dalle balze delle Alpi racchiude in se le Terre di Breno, Niardo, Nadro, Cervio, Cimbergo, Saviore, e Pisogne. In esse ebbe origine l'Heresia quando per istruzione e profitto di quelle genti con ottima intenzione, ma con pessimo effetto furono istituiti da Marco Morosini Vescovo di Brescia alcuni Oratorii o Congregazioni alla cui erezione e proseguimento diedero eccitamento e stimolo le calde persuasioni di Giacomo Filippo di Santa Pelagia, huomo laico Milanese, che viveva allora in quelle parti con esemplarità di vita tutta devota … a lui fu facile, come avvenne, di spinger l'animo del Vescovo alla risoluzione di quell'opera a similitudine di Oratorii di Santa Pelagia di Milano. Non sì tosto però diessi principio, avviamento, che gravissimi disordini il Morosini ritrovossi obligato a soffocar nelle fascie il suo parto, prohibendone il proseguimento e supprimendone la erezione ogni qualunque volta non si osservassero da fratelli quelle regole ch'egli a tal effetto haveva loro prescritte ... Ma nè osservandosi le regole prescritte, nè castigandosi li rei de motivati disordini, anzi prendendo vigore, e pabulo il fuoco dalla impotenza del Vescovo aggravato da lunga e penosa infermità di cui poscia morì, viddesi in un subito più tosto cresciuta che nata un'Heresia quale da quel Giacomo Filippo di Santa Pelagia di sopra nominato si disse l'Heresia de Pelagini.
Ella in sostanza era un mostro nato e composto da diverse Heresie, o de' Quietisti moderni, o degli antichi Oranti … Predicavano eglino, anche Laici e donne, publicamente nelle Chiese, come gli Hussiti: si adunavano insieme l'uno sesso e l'altro in notturne, esecrete conventicole a porte chiuse, si flagellavano come i Flagellanti; e commettevano laidezze enormi come gli Gnostici: si animavano a togliersi il giogo della ubidienza a Parochi, e della suggezzione a Vescovi come i Luterani: oravano stupidi sette e otto hore per volta, come i Quietisti : sfuggiva il commercio degli altri Cattolici come i Donatisti, credendosi essi li Santi e la vera Chiesa di Dio: asserivano necessaria alla salute la Orazione mentale come li Messaliani: si confessavano publicamente negli Oratorii: e nelle confessioni vantavano fatti osceni, e dishonesti ad incitamento, esempio di lussuria come i Turlupini. Come che il male s'invigorisce presto, al contrario del bene che tardi s’avvanza, questa muova peste stranamente dilatosi in tutti gli Oratorii di Val Camonica, con pericolo prossimo di subitanea infezione anche nelle vicine Provincie, se Dio, che vigila sopra la sua Chiesa, non havesse a tempo proveduta quella Diocesi di zelantissimo Pastore ... E questi fu Pietro Ottoboni Cardinale allora di San Salvadore in Lauro, destinato Vescovo di Brescia da Innocenzo X Pontefice d’alto intendimento, e che ben prevedeva a quella Chiesa agitata da straordinarie procelle il bisogno di un Piloro di straordinario valore …
Stava egli in appoggiato un giorno alla fenestra, quando per la via viddesi passarso devangli infilza atraverso delle spalle sin alla cintola, con una cassetta a lato, che alla superficie sembrava ripiena di esse, e che in passando invitava col solito grido le genti alla compra della sua mercanzia. Adocchiollo dissinvoltamente il Vescovo, ed egli trapassò. Quando ne sopraggiunse un altro agli occhi: un vile artista venditor di chiavi, quali giù scenda il suo camino. Viddelo parimente il Vescovo, e come a cosa non nuova, appena degnollo di una semplice occhiata. Ma al secondo succedendo il terzo, al terzo il quarto, e successivamente in poco divario di tempo uno all'altro, e sin al quinto il sesto, egli mosso da un interno stimolo, che parer poteva curiosità, ma era alto, e secreto intendimento di Dio, ordinò ad un suo famiglio, che sopra conducesse nelle sue stanze quel venditor di chiavi, nè pur esso ancora certo il Vescovo, è che volesse, o che ricercasse da lui. Ma (oh adorabile disposizione del divini secreti ! ) giunto il chiavaro avanti il Vescovo, e dimandandogli il Vescovo disparatamente cose nullamente concernenti al fine … rivolgendo il gran Ministro di Dio con le sacre mani li ruginosi ferri di quella piccola cassa, sotto la copertura di poche chiavi, rinvenne una quantità non ordinaria di Catechismi di Calvino, e molti libretti di notanti la prattica della nuova Heresia de' Pelagini, della quale facevano incetta, e vendita que neri Araldi dell'Heresia. Stupì il santo Vescovo al disvelamento inopinato di sì rea mercanzia, e fattine sollecitamente rinserrare nelle carceri li colpevoli, nel medesimo tempo alzò gli occhi e le mani al Cielo, e benedì Dio, che sotto quelle materiali chiavi havesse a lui consegnate “claves Mortis di Infermi”, con cui aprir'esso potesse quel “puteum abyssi” prenunciato già da San Giovanni nella sua Apocalisse …”

Giacomo Filippo Casòlo, considerato il capo dei Pelagini, venne arrestato e sottoposto a processo, e finì col morire prima ancora della conclusione del procedimento Inquisitoriale, che portò a una durissima condanna del movimento dei Pelagini nel 1657 ... anche questa è Storia.
Alberto Alberti, biografo, “aiutante”oltre che Confessore del Casòlo, giunse ad affermare: “Giacomo Filippo è stato avvelenato in carcere da persone intolleranti: le stesse che l’hanno tacciato d’eresia.” … Ai funerali di Casòlo ci fu grande concorso di popolo e Nobili Bresciani e Camuni ... e ci fu anche chi dopo la sua morte iniziò a raccontare e dire: “… Casòlo è finito in Paradiso … Intorno a lui si sarebbero verificati fatti miracolosi messi sotto silenzio dal processo che gli è stato intestato ...”

AlbertoAlbertida Pergine di Valsugana nel Trentino, figlio di Patrizio Goriziano non era affatto “uno stupidino”… Era Dottore in Filosofia a Padova, Gesuita fin dal 1615, Insegnante di Latino, Retorica, Matematica ed Esegesi al Collegio Brera e alla Casa Professa di San Fedele nel Milanese … Coinvolto nel processo contro i Pelagini e Casòlo, venne privato della Direzione della Congregazione dei Secolari, ricevette l’ordine di consegnare tutti i suoi scritti e manuali destinati a Predicatori e Confessori che vennero così ostacolati e non editi in Italia (ma pubblicati in Germania), di non scrivere apologie o confutazioni, e di presentarsi a Sant’Uffizio di Roma dove si recò nel 1657 rimanendo “ingabbiato a vita” nella Casa Professa del Gesù fino alla morte nel 1676 … e qualcuno commentò: “ … e gli andò pure bene, perché poteva finire bruciato come Eretico.”

Terminarono così le storie e le vicende dei PelaginiVeneto-Lombardi con la morte a Venezia del Beccarelli nei Piombi, e la morte del Casòlo a Brescia.
Finito proprio tutto ? … In un certo sì … anche se le vicende dei Pelagini ebbero una specie di “coda non meno curiosa”.

Fu il Nobile Milanese Francesco Giuseppe Borri a prendere in mano l’eredità, il destino, il posto e l’attività del Beccarelli, di Casòlo, e dei Pelagini della Valcamonica Bresciana continuandone in un certo senso la loro esperienza singolare.
Francesco Giuseppe Borri fu di certo un altro personaggio singolarissimo … Era Medico, Guaritore, Alchimista, considerato “simulatore di santità e e pseudoprofeta messianico” … Faceva risalire il suo casato ad Afronio Burro: Prefetto del Pretorio sotto Claudio, morto avvelenato da Nerone … e diceva d’essere Burrus da urus, che in latino volgare stava per il: “bue selvatico” rappresentato nello stemma di famiglia.

L'Inquisizione Romana lo spedì ben presto a processo, e lo condannò “severamente al Rogo in contumacia” nel gennaio 1661. Curioso un dettaglio della sua storia: il giorno dopo alla sua condanna, si portò un’effige di Borri in processione fino al Campo dei Fiori a Roma dove 60 anni prima era stato giustiziato Giordano Bruno ...  poi la si impiccò a delle forche, e infine la si bruciò insieme agli scritti dell’eretico in fuga.
I “complici di Borri”, quelli che lui chiamava i suoi “12 Apostoli” vennero arrestati già dal 1658, e condannati a pene detentive da scontare nei vari carceri del Veneto: Treviso, Padova, e Venezia… Quasi tutti erano “gente del Basso Clero” che venne fatta pubblicamente abiurare nel Duomo di Milano: B. Gabrieli era Chierico Regolare di Paruzano di Novara; Carlo Mangino era un Chierico di Voghera (“che negò e con alta voce ciò che aveva di già confessato", perciò venne imbavagliato, ammanettato, e trascinato via per ordine dell'inquisitore);A. Brusati era Sacerdote di Assola; L. F. Pontio era Sacerdote Secolare; A. Bonardo Chierico; P. Schilizino era Cercante del Monastero di Santa Pelagia, e infine c’era un laico F.Pirola.

Erano tutti Milanesi, più un’unica donna: la Monaca Cappuccina Suor Maria Domitilla Galluzzidel Monastero del Santissimo Sacramento.

Inizialmente, nel 1641, Borri era approdato col fratello a Roma “a caccia di fortuna” e per studiare presso i Gesuiti dove insegnava tra gli altri anche Athanasius Kircher considerato grande cabalista ermetico … Dal Collegio dei Gesuiti Borri venne espulso per indisciplina nel marzo di otto anni dopo quando con Paolo Negri(divenuto in seguito Ministro Piemontese a Roma), e col Conte Bartolomeo Canali e un’altra trentina d’alunni si ribellarono ai modi autoritari del Rettore del Collegio occupandolo per tre giorni. Erano dovuti accorrere “i birri armati” per liberare i Gesuiti di Casa Professa sequestrati dagli studenti riottosi ... In quell’occasione venne rimosso il Rettore, ed espulso Borri ...  che entrò così come Medico e Alchimista al servizio del Marchese Miroli rappresentante a Roma dell'Arciduca Ferdinando Carlo d'Asburgo Conte di Tirolo, interessato pure lui di Medicina, Alchimia e "Arcana Naturae”. Altri protettori e amici del Borri  erano il Cavalier Cassiano Dal Pozzo, il Marchese Alchimista Massimiliano Palombara, la Regina Cristina di Svezia, e Paolo II Giordano Orsini Duca di Bracciano… Borri insomma, sembrava trovarsi al sicuro … come in una botte di ferro … Perciò iniziò a occuparsi come Medico e “Chemiàtra”dei numerosissimi pellegrini accorsi a Roma per l’Anno Santo.

Una leggenda racconta di un misterioso Pellegrino sconosciuto che visitò un mattino del 1656 il giardino della villa del Marchese Palombara. Trovato dai servi intento a raccogliere erbe, e condotto dal Marchese, oltre a dichiarare d’essere Alchimista e a conoscenza delle sue ricerche, si offrì di dimostrare al Marchese “un’opera trasmutatoria” senza pretendere nulla in cambio. Il Palombara estaistao e stupefatto acconsentì … e richiesta ospitalità per la notte insieme alla possibilità di usufruire del suo fornito laboratorio per allestire l’esperimento, il misterioso Pellegrino si mise ad armeggiare ... Quando all’alba del mattino seguente il Palombara andò a bussare alle porte chiuse del laboratorio e della stanza del Pellegrino, scoprì che era fuggito da una finestra nottetempo lasciando nel laboratorio tutte le sue carte e appunti ermetici, e soprattutto un crogiolo rovesciato sul pavimento da cui usciva una striscia d’oro puro.
Palombarain seguito si premurò di far scolpire nella sua villa la famosa “Porta Ermetica” anche a ricordo di quella strana esperienza“preziosa”… Secondo la tradizione: era Francesco Giuseppe Borri il misterioso Alchimista-Pellegrino.

Tornando alla realtà dei fatti, nel 1654 dopo una rissa e tafferugli con le Guardie Pontificie che lo portarono a cercare rifugio e asilo in Santa Maria Maggiore di Roma, Borri venne colto da crisi mistiche: “Preceduti da un terremoto San Paolo e l'Arcangelo Michele accanto a una palma circondata da lumi, si mostrarono a lui e gli annunziarono sia il suo “spirito profetico”, sia che nella Chiesa ci sarebbero stati grandi turbamenti: "multa dissonantia venient, omnia tamen ad maiorem Dei gloriam" ... e dopo la “visione Messianica” Borri cominciò a raccogliere seguaci intorno a se facendosi chiamare: "Prochristus" ossia: “Difensore del Cristo e Annunciatore del Regno di Dio”… e “Sanatore della Cristianità corrotta”.

L’Inquisizione Romana entrò ovviamente in ebollizione … anche perché su Borri iniziarono a girare voci inquietanti. Si andava dicendo che avesse detto: “Se fosse il caso sterminerei e mozzerei la testa ai peccatori, compreso lo stesso Sommo Pontefice ... Unificati tutti, il mondo godrà di mille anni di Pace perfetta, con una Chiesa dei Puri ritornata alla primitiva Semplicità Evangelica …”
Dalle prime indagini dell’Inquisizione si venne a sapere: “Borri impone le mani per infondere la Sapienza Divina e ricevere Doni e Rivelazioni Celesti … Indossa una pelle di candido agnello l'estate, due l'inverno; un cappuccio con una croce e un collare ferreo con la scritta: "Ovis mancipium pastoris agni"… Utilizza utensili e vasi sacri di terra e paglia.”

Molti lo consideravano un impostore e un invasato, altri un ingannato suggestionato ... anche se Francesco Giuseppe Borri aveva in mente “un bel programmino”… Un anno dopo, infatti, dovette fuggire in fretta e furia a Milano(anche perché a Roma stava giungendo la Peste da Napoli e dalla Sardegna … ma soprattutto perché Papa Alessandro VII era poco incline ad ascoltare Alchemici Visionari e Messianici)… Giunto a Milano contattò i pochi “inquieti Pelagini” rimasti, divenendo figura centrale del movimento milanese. Finì con l’andare a manifestare e predicare pubblicamente in Piazza Duomo nel 1658, istigando ad assaltare l'Arcivescovado per liberare i compagni già imprigionati, e a prendere Palazzo Ducale per abbattere il Governo Spagnolo.

Risultato ?

Venne arrestato e interrogato guadagnandosi una prima denuncia dal Cardinale Alfonso Litta Arcivescovo di Milano ... poi venne rilasciato. Quindi fu di nuovo fuga inseguito e citato dall’Inquisizione, perciò andò a rifugiarsi all’estero recandosi nei Grigioni, in Engandina, e poi ad Innsbruck presso l’Arciduca Ferdinando Carlo dove riprese ad esercitare da Medico … e dove pare abbia abiurato una prima volta.

Tutto tranquillo e finito ? … Affatto ! … Non finì tutto così.

Borricompì delle "proiezioni"davanti alla Duchessa trasmutando metalli in oro, o meglio: “oro potabile”, uno strano miscuglio d’olio, oro e talco ... In quella sua nuova veste e immagine di “abile Guaritore e Alchimista”, si spostò poi nella città protestante di Strasburgo, dove riscosse grande successo soprattutto per via di un suo “Unguento di Talete”… Fu poi a Francoforte e Dresda dove si disse che l'Elettore gli avesse donato oltre 3.000 talleri ... Giuseppe Francesco Borri diceva: "Non si è mai dato corpo che non sia materiale, e se i chimici avessero trovato il segreto di trarre ed estrarre tutta la materia dal corpo, ne sarebbero più pregiati che d’ogni altro segreto …"



Si spostò di nuovo in Olanda per sei anni dove visse agiato ad Amsterdam in una casa del valore di 15.000 scudi … il Senato di Amsterdam gli offrì la cittadinanza onoraria … Lì smanacciava metalli, impiantava giardini e attivata laboratori scambiando segreti chimici di cui si considerava depositario, cercava la “Pietra Filosofale”… Veniva considerato "Libero Filosofo"da visitare, e personaggio a cui chiedere consigli di ogni sorta … Scriveva epigrammi; professava da medico con discepoli e assistenti “ottenendo guarigioni straordinarie”; si occupava di magia, cosmesi e ingegneria, sperimentò sopra gli animali una sua tecnica per la rigenerazione degli umori oculari … Si recavano da lui in cerca di “rimedi antipestilenziali” quando scoppiò la Peste a Londra nell’agosto 1665 … Borri dirimeva contese fra gentiluomini duellanti; vestiva alla francese e si faceva dipingere in ritratti; offriva colazioni alle Dame; e dispensava larghe elemosine ai poveri della città pur non essendo ricchissimo come si diceva in giro su di lui ... I suoi denigratori dicevano: “Borri è un uomo tristo, abile a dare ad intendere cose stranissime, e bravo a mungere le borse dei ricchi”… e si sparse così la voce e il sospetto che raggirasse vecchi più o meno facoltosi e incapaci come G. Demmer Direttore della Compagnia delle Indie e Condirettore della Colonia della Guiana i cui eredi gli fecero causa; oppure P.Messert “Stampatore di carte da gioco” verso i cui eredi Borri fu condannato a pagare 5.000 fiorini con l’accusa d’averne ricevuti 100.000 ... Tutto compreso però, Borri era diventato un uomo di successo, oltre che un bel furbone opportunista.

Un altro bel tipino insomma !

Tuttavia iniziò la sua parabola discendente inimicandosi il vecchio Simon Paulli e i Medici di Corte sconsigliando loro di salassare l'ultrasessantenne sovrano Cristiano V, che lo congedò graziosamente … Avvertendo allora che la sua figura stava divenendo scomoda, Borri se ne andò via vagando per mezza Europa: Wolfenbüttel,Amburgo dov’era sovvenzionato dall’ex regina Cristina, e di nuovo Copenaghendove viveva da Alchimista alla Corte di Federico III ... A Colonia si pubblicarono alcuni suoi scritti dedicati all’olandese Olaus Borrichius, gli: “Specimina Quinque Chymiae Hyppocraticae” ... mentre a Copenhagen scrisse e pubblicò: “Epistolae duae ad Bartholinum” riguardanti studi sugli occhi e sul cervello ... Nel Castello di Rosenborg a Copenhagen si conserva ancora oggi un pezzetto d'oro che tradizione vuole sia stato prodotto da Giuseppe Borri in maniera alchemica.

Borridiceva di se stesso: “Sono amato dal re di Danimarca, stimato da Grandi, riverito da piccoli e mi trovo in autorità, e quello che è meglio co’ molti contanti in saccoccia”.

E ancora … Borri partì e viaggiò per la Svezia, Ungheria e Turchia… finchè nel 1669 venne arrestato da una pattuglia imperiale nei Carpazi della Moraviacon l’accusa di “veneficio ed eresia”, nonché col sospetto d’aver congiurato contro l’Imperatore  … Borri non ci pensò su due volte: sparò un colpo di pistola al Capitano delle Guardie Imperiali mancandolo ... poi provò ad avvelenarsi in carcere senza successo … Venne infine trasferito a Vienna in un quartiere "dove si trovano fornelli ed altre commodità" con la speranza ultima che riuscisse a produrre “qualcosa di buono” per arricchire qualcuno o salvargli e allungargli la vita ... Siccome tutto questo non accadeva, si preferì allora estradarlo finalmente a Romatramite il Nunzio Piagnatelli che lo scortò con trenta soldati fin dall’InquisizioneRomanae alla Corte di Clemente X… Due servitori fidatissimi vennero incaricati di provvedere che arrivasse vivo nelle mani degli Inquisitori di Roma, perché da prigioniero si rifiutava ostinatamente di bere e nutrirsi ... Siccome strada facendo “si andava intristendo”, a Fano accorse il Vicelegato Pontificio Bentivoglio che provò a fargli assumere qualcosa con mille lusinghe … A Terni, invece, “il desinare fu servito a Borri già trinciato e su piatti d'argento dal Governatore in persona … mentre da tutta la città accorrevano Gentiluomini, Dame e Gesuiti a visitarlo.”

Ma perché tanto timore di finire presso l’Inquisizione Romana ?

A Roma di solito si finiva: “per poter meglio venire in cognitione della Verità, e fare più comodamente la sua causa.”

Per via del processo forse ? … o delle torture e restrizioni successive ?

Più probabile … perché, infatti, la Santa Inquisizione aveva di solito due modi di procedere a Roma: se ti andava bene finivi carcerato per un periodo o “a vita” in Castel Sant’Angelo… Se ti andava male, invece, e come “Eretico” venivi considerato: “stultus e spiritado” si finiva piuttosto internati e segregati “sub clave” in un apposito ospedale dell’Inquisizione.

Ospedale dell’Inquisizione ?

Proprio così … “Hospitale Stultorum” si trovava a Santa Maria della Pietà di Roma, ed era capace di ospitare fino a 80 persone circa.
Era una delle tante “Pazzerie” esistenti in giro per l’Italia ed Europa, ma quella di Roma era di certo particolare. Esistevano ospedali simili anche a Milano, Firenze, Bologna (in Santa Maria della Morte si ricoveravano i “sospetti d’eresia”) e Napoli… così come esistevano a Valenza, Siviglia, Valladolid: le “casas de los locos” di utilizzo simile, e l’Hospital di Sant’Hipòlitoa Città del Messico appartenente all’Inquisizione Messicana.



Fra 1566 e i primi decenni del 1700S è ben documentata una presenza costante di ricoveri pagati due volte l’anno dalle casse dei Cardinali del Tribunale e della Congregazione del Santo Uffizio ossia l’Inquisizione Romana, che “mandava assai persone all’Hospitale Dementium” dopo l’interrogatorio e la tortura. Di solito il Santo Uffizio pagava per circa 79 internati di media una rata di 10 scudi verso Natale ... Dal 1600 al 1707, invece, gli scudi della rata ammontavano a 20-25, e furono 30 dal 1707 in poi. Lo speciale nosocomio per il funzionamento e l’organizzazione del quale erano previste precise “Regole” volute dal Cardinale Protettore Francesco Barberininel 1635, era gestito da una particolare Confraternita, e periodicamente l’Inquisizione inviava presso l’Ospedale un proprio Assessore o Commissario che visitava gli internati e valutava se si fossero ricreduti, o fossero guariti conferendo sul loro “status” col Medico apposito che li “seguiva”.

Nei testi-manuali dell’Inquisizione come il “Directorium Inquisitorum” c’era scritto: “Si Hereticus vere incidat in insaniam, qui agendum …”, il che significava che il caso era largamente previsto e descritto. Il “furore dell’Eresia” era considerato un crimine, un travaglio interiore gravissimo, oltre che “una malattia e alterathione de l’humore corrotto e infetto, e immaginativa offesa” che non doveva rimanere impunito … il “Disturbo-malattia dell’Eresia” si curava con la segregazione, qualche cura medica spesso empirica a base di “siròpi, medicine & altri beveraggi”, e soprattutto con le orazioni, gli scongiuri, le applicazioni di Reliquie e con l’Esorcismo: “medicina spirituale capace di rimediare all’infermità”… L’Eresia andava trattata al pari di un Indemoniato posseduto, di una Strega, o di un autore di Fatture e Malefici: “Gli Eretici vanno ben custoditi, tenuti a pane ed acqua affinchè ritrattino le sue opinioni e illusioni … e se impenitente, avesse perseverato nelle sue stoltezze e asserzioni erronee doveva allora essere frustato …”

In alcune testimonianze documentali si possono ritrovare i Confratelli che interrogano i Cardinali dell’Inquisizione“sopra il modo che si ha da tenere nel mandare li pazzi al suddetto hospitale.”o sull’eventualità di liberarne finalmente qualcuno … Nella Visita Apostolica all’Ospedale di Santa Maria della Pietà del 1630 risultavano internati a spese dell’Inquisizione Romana: 9 uomini (due erano lì da circa 30 anni, e uno da 14, gli altri da 4 anni), mentre 23 erano le donne inviate dalla stessa Inquisizione, di cui una reclusa ormai da 15 anni “ad istantiam Sancti Officij”... L’Inquisizione rinchiudeva dentro da cinque a undici persone di media l’anno … Sempre per la Storia: l’“eretico”Tommaso Campanellacondannato a 30 anni di carcere, ad esempio, fu uno degli “ospiti illustri” dell’Hospitale Stultorum inviato lì “more furiosorum” dall’Inquisizione nei primi mesi del 1600 “perché aveva simulato stupidità, melanconia, mania e pazzia” dando fuoco al pagliericcio in cella, e urlando dalle finestre del carcere per evitare la tortura, di rispondere alle domande degli Inquisitori, e per non essere consegnati al Braccio Secolare. Alcuni Medici Napoletani inviati a visitarlo dopo le 36 ore della “Tortura della Veglia” quando era rimasto appeso per i polsi a una corda, non riscontrarono alcun segno e sintomo riferibile alla pazzia, eccetto prolungati vaneggiamenti da cui si tradì in extremis contraddicendosi e rivelandosi per quel che era veramente: cioè sano di mente … Tommaso Campanella fu ugualmente inviato all’Ospedale “donec ad sanam mentem revertatur … et pro curanda eius stultitia”.

Serviva “resettarlo”insomma, rinsavire dall’Eresia … Vi lascio quindi immaginare come si veniva trattati lì dentro: se non eri pazzo, facevi presto a diventarlo ... Ecco spiegato quindi perché esisteva tanto timore di finire nelle braccia dell’Inquisizione Romana … A volte sarebbe stato meglio lasciarsi morire “strada facendo” prima di arrivare a Roma … cosa che Borri, infatti, tentò di fare.

Più di qualche volta succedeva che qualche eretico non arrivasse vivo a Roma a causa degli “incidenti di percorso” che potevano capitare “strada facendo”… Capitò, ad esempio, al Tedesco di Munster Assuero Bisbeach mai arrivato al Tribunale dell’Inquisizione di Roma perché impiccato a un palo nella Piazza del Mercato di Bologna “come Luteràn” e poi bruciato ... “per sbaglio” forse ?

Giunto infine nella Città Eterna dei Papi, Borri venne assolto dalla Scomunica Maggiore e scappò alla morte in virtù di alcune altolocate protezioni di Nobili e di Curia Romana che possedeva: il Principe Borghese, il Cardinal Borromeo, il Cardinal Altieri… Borri finì “carcerato a vita” a Castel Sant'Angelo … In un’occasione Clemente X gli concesse di uscire dal carcere per visitare a Palazzo Farnese il Duca d'Estréesdiplomatico francese ammalato … Anche il Cardinale Nerli ricorse a lui, come il Cardinale Orsini, ma troppo tardi, perché lo trovò: “… quando ormai il Borri era già stato abbrugiato dentro dai medicamenti che gli erano stati somministrati”.

Ed ecco ancora ricomparire quei strani quanto misteriosi “Medicamenti che abbrugiavano dentro”.

Infine l’ex Nunzio Pignatelli divenuto Innocenzo XII lo privò del tutto della libertà confinandolo definitivamente in Castel Sant’Angelo fino a quando nel 1695 morì sessantottenne affetto da febbri nonostante avesse prescritto per sé stesso “corteccia di china” ... Inutilmente l'Inquisitore di Milano cercò d'impadronirsi dei beni di Borri … In definitiva Francesco Giuseppe Borri fu un Eretico e un Pelagino un po’ “sui generis”, forse un po’ eccentrico, qualcuno lo definì: “pazzoide e fanatico”… In ogni caso fu degno “figlio del suo tempo”, in quanto il suo modo d’essere non aveva a che fare con lo spirito caritatevole primitivo che avevano dimostrato i Pelagini Lombardo-Veneti ai quali diceva d’ispirarsi.

Dei Pelagininon era rimasto più niente in Borri… E a Venezia e in Laguna ?

Anche lì non accadde più niente di speciale, tutto continuò a procedere come il solito. Negli anni seguenti ai fatti dei Pelagini, dei Quietisti, del Prete di Sant’Agostin e degli Oratoriani della Fava, toccò a Don Giobatta Carrera da Belluno, a Silvio Cremonesi da Mantova e al Veneziano Domenico Caenazzo rendere conto di troppe “proposizioni ereticali”… Al Veneziano Stefano Celesti venne chiesto di certi “sortilegi”, come a Caterina Colombo da Zara nel 1721 … Alla Veneziane Barbara e Marta Colombo fu chiesto di rispondere “de strigarie”, e a Don Giovanni Dudoni di comparire “per seduzione”… e avanti così.

“La tanto temuta, decantata ed esorcizzata Eresia s’era infiltrata e aveva girato a lungo anche per Venezia, seppure non in maniera spettacolare, ma come nascosta negli interstizi cittadini … Fu comunque puntualmente riconosciuta e sradicata dall’Inquisizione Veneziana con l’aiuto fattivo della Serenissima, che per questo non ha esitato ad aprire e utilizzare i suoi Carceri dei Piombi a Palazzo Ducale ...”

La Storia “nel bene e nel male” continua ancora a raccontare … curiosamente.


“Piccola aggiunta su Pelagini, Inquisizione e Borri.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 162.

“Piccola aggiunta su Pelagini, Inquisizione e Borri.”

Per completezza, e soprattutto a beneficio dei coraggiosi lettori che seguono e leggono le mie “Una curiosità Veneziana per volta”, aggiungo un paio di cosette sui Pelagini, l’Inquisizione e Borri che ho “scovato” solo di recente. Sono solo piccoli dettagli a completamento, che … almeno per me … sembrano essere curiosi e interessanti.

Avevo appena terminato di postare: “I Pelagini … anche a Venezia nel 1600”quando ho letto della fine che hanno fatto due dei stretti seguaci di Giacomo Filippo Casòlo: il fondatore dei Pelagini Lombardo-Veneti, processato e morto a Brescia.

Vi ho detto di come insieme a lui furono arrestati altri sette nel 1658, processati e condannati a “carcere perpetuo a vita”. Fra costoro c’erano pure: Giovan Pietro Schilzino Cercante del Monastero di Santa Pelagiae “amicissimus di Giacomo Filippo Casòlo”, Andrea Brusati o Brusato Sacerdote di Assolo:“qui digitum dictum Jacobi Philippi pro reliquiat habebat”, e ilChierico Antonio Bonardo.

Sapete dove vennero inviati da Milano e Brescia per scontare la loro pena ? … Uno vi ricordate è finito nei Piombi a Venezia …

Indovinate un po’ sono finiti gli altri ?

A Roma! … Presso le carceri della Santa Inquisizione che risiedeva anche presso il Convento Domenicano di Santa Maria sopra Minerva, chiamato curiosamente: “Insula Sapientiae”, a pochi passi dal Phanteon, nella piazzetta al centro della quale sorge ancora oggi il curioso obelisco con l’elefantino sotto. Ebbene quello era il posto dove settimanalmente si riuniva la Santa Inquisizione, e lo scenario-teatro in cui accorrevano in massa Cardinali, popolo e Nobili Romani per assistere allo “spettacolo” delle pubbliche abiure e delle condanne inferte dalla Santissima Inquisizione … compreso il rogo e gli altri tipi di morte.


Nello stesso luogo a Roma venne processato, condannato e fatto abiurare anche Galileo Galilei: “… parendo a noi che tu non avessi detto intieramente la verità circa la tua intentione, giudicassimo esser necessario venir contro di te al rigoroso essame; nel quale, senza però pregiuditio alcuno delle cose da te confessate e contro di te dedotte come di sopra circa la detta tua intentione, rispondesti cattolicamente … Pertanto, visti e maturamente considerati i meriti di questa tua causa, con le sodette tue confessioni e scuse e quanto di ragione si doveva vedere e considerare, siamo venuti contro di te alla infrascritta diffinitiva sentenza.
Invocato dunque il S.mo nome di N. S.re Gesù Cristo e della sua gloriosissima Madre sempre Vergine Maria; per questa nostra diffinitiva sentenza, qual sedendo pro tribunali, di consiglio e parere de’ RR. Maestri di Sacra Teologia e Dottori dell’una e dell’altra legge, nostri consultori, proferimo in questi scritti nella causa e cause vertenti avanti di noi tra il M.co Carlo Sinceri, dell’una e dell’altra legge Dottore, Procuratore fiscale di questo S.o Off.o, per una parte, e te Galileo Galilei antedetto, reo qua presente, inquisito, processato e confesso come sopra, dall’altra; 
Diciamo, pronunziamo sentenziamo e dichiaramo che tu, Galileo sudetto, per le cose dedotte in processo e da te confessate come sopra, ti sei reso a questo S.o Off.o vehementemente sospetto d’heresia, cioè d’haver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, ch’il sole sia centro della terra e che non si muova da oriente ad occidente, e che la terra si muova e non sia centro del mondo, e che si possa tener e difendere per probabile un’opinione dopo esser stata dichiarata e diffinita per contraria alla Sacra Scrittura; e conseguentemente sei incorso in tutte le censure e pene dai sacri canoni et altre constitutioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Dalle quali siamo contenti sii assoluto, pur che prima, con cuor sincero e fede non finta, avanti di noi abiuri, maledichi e detesti li sudetti errori et heresie et qualunque altro errore et heresia contraria alla Cattolica ed Apostolica Chiesa, nel modo e forma che da noi ti sarà data … Et acciocchè questo tuo grave e pernicioso errore e transgressione non resti del tutto impunito, et sii più cauto nell’avvenire et essempio all’altri che si astenghino da simili delitti, ordiniamo che per publico editto sia prohibito il libro de’ Dialoghi di Galileo Galilei.
Ti condaniamo al carcere formale in questo S.o Off.o ad arbitrio nostro; e per penitenze salutari t’imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette Salmi penitentiali: riservando a noi facoltà di moderare, mutare, o levar in tutto o parte, le sodette pene e penitenze.
Et così diciamo, pronuntiamo, sententiamo, dichiariamo, ordiniamo e reservamo in questo et in ogni altro meglior modo e forma che di ragione potemo e dovemo.
Ita pronuntiamus Cardinales infrascripti: F. Cardinalis de Asculo; G. Cardinalis Bentivolus; Fr. D. Cardinalis de Cremona; Fr. Ant.s Cardinalis S. Honuphrii; B. Cardinalis Gipsius; F. Cardinalis Verospius; M. Cardinalis Ginettus …”

Raccontano gli storici, che dai e dai, ai Cardinali dell’Inquisizione a un certo punto è venuto il dubbio se era la cosa più giusta bruciare tutta quella gente in giro per il mondo … Perciò si ridussero a decidere che l’eresia in fondo fosse una malattia della mente, perciò era forse meglio e più giusto curarla col carcere e il manicomio … Grande saggezza !

Tornando ai nostri Pelagini, il 2 gennaio 1661, in una solenne cerimonia proprio in Santa Maria sopra Minerva, venne letta la sentenza di condanna di quattro Quietisti e Pelagini facendoli abiurare, fra costoro comparvero anche Giovan PietroSchilzino, che poi venne gettato: “a svernare a carcere perpetuo”nelle prigioni del Santo Uffizio Romano a San Salvatore in Terrione o in ossibus, oggi conosciuto come San Pietro in Borgo (lì sorgeva anche la Schola Francorum, cioè un antico Ospizio riservato ai Pellegrini Francesi che si recavano a Roma). 

I documenti raccontano ancora, che Giovan PietroSchilzino dentro al carcere, a detta degli Inquisitori Romani, iniziò a dare segni di disequilibrio mentale in quanto rifiutava d’ammettere le proprie colpe e si rifiutava di predisporsi ad abiurare … Venne perciò trasferito … sapete dove ?

“Ai pazzerelli” dell’Ospedale di Santa Maria della Pietà, dove tre anni dopo venne raggiunto anche dall’altro Pelagino il Prete Antonio Bonardo condannato a più di dieci anni di carcere, ad arbitrio dell’Inquisizione … Anche Prete Bonardo si era dimostrato: “relapsus et obstinatus”, perciò il Papa in persona aveva decretato che venisse isolato “a pane e acqua” in una segreta finchè non si fosse ricreduto e piegato.

Quando dopo quattro mesi di quel trattamento si presentarono i Cardinali dell’Inquisizioneper costatare il suo “status” e la rinuncia alle sue “credulonerie”, Bonardosi scagliò con veemenza contro di loro “pronunciando multa impertinentia”, perciò gli venne ulteriormente ridotto il sostentamento, e si pensò bene d’internarlo a Santa Maria della Pietà ... “per guarirlo”.


Circa il Borri, invece, che si beccò dall’Inquisizione il “rogo in contumacia”, si deve solo confermare il fatto che d’autentico “Pelagino” ebbe proprio ben poco, quasi niente. Mentre i suoi seguaci venivano inquisiti, catturati, processati, torturati e condannati, lui se ne fuggì bel bello per tutta Europa spassandosela alla grande come Medico e Alchimista:“… un gran ciarlatàn”, come ebbero a dire di lui alcuni testimoni dell’epoca. Di certo fu un opportunista, e uno che d’assistenza continuativa e generosa ai poveri e bisognosi, nonché di esperienze interiori e spirituali s’interessò pochetto ... nonostante le “grandi visioni mistiche e apocalittiche”che diceva d’aver avuto inizialmente.

Tutto qua ! … La conferma quindi dell’uso non infrequente dell’Inquisizione di utilizzare l’invio all’Hospital de Pazzi per “risanare”i “malati eretici”… e il fatto che qualche volta dietro a certe singolari esperienze spirituali e a certi personaggi santissimi capaci di fare tanti proseliti, a volte si cela “dell’altro”.


“Uno strano reduce della Battaglia di Lepanto.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 163.

“Uno strano reduce della Battaglia di Lepanto.”

Si sa … per i Veneziani quella di Lepanto nel Golfo Greco di Patrasso, il 07 ottobre 1571, per certi versi è stata un po’ “la Madre di tutte le Battaglie”. Soprattutto chi è Veneto, Veneziano e un po’ nostalgico non smette di vederla come un successo estremo, un fiore all’occhiello, e una sorta di piccolo capolavoro della supremazia della Serenissima di San Marco su tutti i popoli del Mediterraneo.

A dire il vero, non è andata proprio così … Lepantopur essendo stato uno scontro epico, non è stata proprio quella grande affermazione esaltante che si vorrebbe pensare, però Venezia con la Santa Lega in quell’occasione “hanno vinto”… e come nelle partite sportive: ciò che conta alla fine è “portare a casa il risultato”.

Ma andiamo per ordine, e iniziamo a parlare di Marco Garofalo fiòl de Matthio Marinaro Venesiàn

I Frati Mendicanti e Zoccolanti nel 1500 c’erano anche a San Giobbe e a San Francesco della Vigna di Venezia, ma non godevano tanto di buona fama in giro per le Contrade Veneziane e nella Laguna ... Tanto è vero che su di loro s’erano messe in giro truci dicerie e fiabe macabre che riempivano le bocche di tutte le categorie dei Veneziani diventando quasi leggenda … sebbene in fondo un filino di realtà ce l’avessero per davvero.

Fu forse per cercare “del meglio” e un’esperienza interiore più performante, ma potrebbe anche essere stato per seguire un suo innato spirito d’avventura, che Marchettoappena tredicenne migrò fuori dalla Laguna e s’addentrò nella Mistica Umbria d’allora a caccia d’esperienze e fortuna … e fu così che si fece Frate Clarino… cioè dei Frati Francescani Clarini.

Non si possiedono tante notizie circa i Frati Clarini della Becca diffusi un tempo nelle Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo. I Chiarini o Chiareni o Clareni Riformati erano “appellati Frati Bècchi dal popolo volgareper via del loro ruvido saio fatto proprio di bestia o becco di montagna”… Inizialmente erano dei “romiti” detti anche Heremiti Poveri Clarini che si chiamavano così o dal fiume Claro o Clarino che scorre nelle zone di Norcia e Ascoli, oppure molto di più perché fondati dal Beato Angelo Clareno detto Angelo da Cingoli di Fossombrone.



I Padri Clarini più che un vero e proprio Ordine deviato e derivato dai Frati Minori Francescani, furono una specie di Confraternita e Congregadi severa natura eremitica sorta sulla scia delle idee del mistico calabrese Gioacchino da Fiore… Erano insomma una “corrente spiritualista” dell'Ordine dei seguaci di San Francesco, e infatti, ottennero ben presto conferma e appoggio da Papa Celestino V che li favorì grandemente … almeno fino a quando le autorità ecclesiastiche intorno a lui non scovarono che fra i Frati Clarini … c’era un filetto d'eresia.

Ahia ! … e per i Clarini incominciarono i dolori …  Angelo Clareno venne subito “pizzicato” e condannato a carcere a vita … Poi si ricredettero e venne liberato, però inviandolo missionario in Armenia insieme a Tommaso e Angelo da Tolentino, Marco da Montelupone, e Pietro da Macerata ... Era meglio che stessero sufficientemente lontani dall’Italia.

Salito poi sul Soglio Papale Bonifacio VIII, che ce l’aveva davvero a morte con gli “Spirituali”, s’incominciò di nuovo a perseguitare Angelo Clareno & C che dovette andare a rifugiarsi per qualche anno in Grecia, dove si dedicò a tradurre in Latino la famosissima “Scala del Paradiso” di Giovanni Climaco: un testo mistico prezioso “che fece epoca” nell’intero mondo della Cristianità. 

Morto anche quel Papa, Fra Angelo Clareno rientrò ancora una volta in Italia … e si era ormai nel 1305 … e fu allora che si dedicò a fondare i Frati Clarini nelle Marche e in Umbria ... e fu un successone, almeno inizialmente.

Solo che sei anni dopo venne però convocato d’urgenza “con le buone maniere” dal Papa d’Avignone… Stavolta era per essere processato d’Eresianella quale per di più era considerato: “recidivo”… Stava scherzando con fuoco in ogni senso, ma fu fortunato anche stavolta, perchè venne scagionato da Clemente V in persona che “lo salvò per il rotto della cuffia”… Finito tutto ? … Macchè !

Fra Clarino “ispiritato” prese a incitare alla ribellione contro la Chiesa gli “Spirituali” di Narbona, perciò a Papa Giovanni XXII non rimase che scomunicarlo “di brutto”… visto che considerava gli Spirituali:“la perfetta impersonificazione dell'Anticristo”… E qui la cosa si fece dura per non dire disperata, perché nel 1318 i primi Spirituali vennero condannati al rogo a Marsiglia … Angelo Clareno scappò via dalla Francia trovando rifugio a Subiaco in Italia, dove potè godere della protezione del Cardinale Giacomo Colonna… e anche stavolta ebbe salva la pelle.

Non pago di quel che aveva fatto, pensò bene allora di fondare un altro Ordine di Fraticelli o “Fratelli della vita povera”, che la gente chiamava: "Barlozzàri"(per via del fatto che abitavano in comune dentro a un’antica e grande cisterna-caverna detta "Barlozzo".) … e fin qua: “niente di che” il mondo di allora era pieno di Frati, Preti e Monache vecchi e nuovi … Senonché in continuità con le idee degli Spirituali già mandati al rogo, Fra Clarino iniziò di nuovo a contestare l'autorità papale assumendo atteggiamenti sfacciatamente Apocalittici,provocatori e ostili verso la Chiesa ... La Santa Inquisizione non rimase a guardare, e iniziò a inseguirlo, e lui riprese a scappare di nuovo andando a rifugiarsi stavolta in Basilicata presso il Convento di Santa Maria dell'Aspro di Marsicovetere dove … finalmente, disse qualcuno … spirò nel 1337 dopo aver raccolto attorno a se numerosissimi seguaci.

L’Inquisizione, invece,non s’accontentò“del fondatore eretico morto”, e organizzò una sorta di piccola crociata militare per estirpare tutti gli Eretici di Basilicata ad uno ad uno. La “spedizione antiereticale”ovviamente ebbe successo, e culminò con la condanna a morte sul rogo a Fabrianonelle Marche di due fraticelli … e si era ormai ai primi anni del 1400.

Un bel casino !… I Frati Clarini comunque sopravvissero lo stesso anche a se stessi e al loro fondatore, e continuarono ad esistere nonostante tutte quelle inquisizioni e vicende fino al 1477, quando vennero inclusi e conglobati “d’ufficio” dal Papa con i Francescani Mendicanti-Cercanti e Zoccolanti.

E rieccoci quindi di nuovo al nostro giovanissimo Frate Marco da Venezia ... Padre-Frate dei Poveri Clarini.

Probabilmente era stata la sua indole entusiasta, ribelle, o perlomeno il desiderio d’esperienze forti che lo avevano spinto ad aggregarsi a quelli dell’Eremo di Stroncone dove il Beato Paoluccio Trinci da Folignoaveva dato vita al un altro nuovo movimento dell’Osservanza.

Lo so … è tutto un miscuglio, un gran casino e una sovrapposizione complessa di Fraterie… Storicamente, infatti, è stata molto contorta la “successione”del famoso Frate Francesco Poverello d’Assisi.

Se volete capirne e saperne di più leggete la parte qui sotto scritta in rosso … altrimenti tirate dritto fino al prossimo “nero”dove riprendo a dire di Frate Marco Venesiàn.

Sulla scia dell’esperienza e della vicenda di San Francesco d’Assisi morto nel 1226, il Capitolo dei Francescani qualche anno dopo comprendeva già 3.000 Frati, mentre 42 anni dopo la morte del Poverello l’Ordine contava ormai 8.000 conventi con 200.000 Francescani sparsi in giro per il mondo … Niente male !

(I Frati Minori di San Francesco si contrapposero ben presto ai Padri Domenicani dediti soprattutto alla lotta contro l’Eresia, e purtroppo entrambi gli Ordini in breve si alternarono nel divenire “longa manus e braccio destro e sinistro” dell’operato e delle mire del Papa di turno.)

Innocenzo IV interpretando come“troppo eccessivo”il concetto della “Povertà” concesse ai Frati Francescani di poter ricorrere al denaro non solo per le cose necessarie, ma anche per le utili e confortevoli … perciò iniziò la contrapposizione fra Frati più Osservanti e altri dai costumi “più rilassati e meno zelanti”.

L’Ordine dei Francescani divenne ricco e potente, diffuso ovunque sia nelle città che nelle campagne, e i Frati iniziarono anche a scalare le gerarchie ecclesiastiche divenendo ben presto: Vescovi, Legati, Cardinali e perfino Papi facendo proprio il solito metodo degli abusi, dei fanatismi, dei nepotismi e delle obbedienze comune alla realtà clericale ed ecclesiastica di quegli anni ... Fra Scismi, Guerre epocali e rivoluzioni culturali l’ideale e l’afflato mistico-religioso passò spesso in secondo piano, se non andò un po’ a farsi friggere del tutto …

Ci fu un prosperare e proliferare di Nuovi Ordini,“Spirituali” e “Fraticelli” frammisto a “Ritorni alle Origini”, assolutismi vari, dispute, correnti e schieramenti, conventicole e osservanze più o meno riconosciute e misconosciute, revocate e sanzionate dalla Chiesa con esenzioni, scomuniche e condanne che i Papi lanciarono a pioggia sopra tutti i così detti “Eretici” ... C’era, insomma, un’inverosimile confusione … che in ogni caso il Popolo Nobile e Plebeo dei comuni Fedeli e Devoti continuò a finanziare desideroso d’accaparrarsi un posto nell’Eternità fugando l’ossessione dell’Inferno.

La Povertà venne di continuo reinterpretata, soppesata e riformata: ogni tanto si proibiva l'uso del denaro, o si stabiliva la rinuncia ai beni almeno quelli immobili … che dovevano perciò essere alienati e tramutati in danaro contante “meno peccaminoso” e più riciclabile … poi tutto diventava lettera morta un’altra volta, e si ricominciava da capo … mentre Ordini, Monasteri, Canonicati e Fratarie s’impinguavano sempre di più.

Fra una cosa e l’altra alla fine del 1300 l'Ordine dei Francescani contava ormai 34 Province, oltre 1500 Conventi, circa 35.000 religiosi, e Fra Paoluccio Trinci dei Signori di Foligno nel 1386 provò ancora una volta a “recuperare il rigore dell’Osservanza della Regola Primitivadi San Francesco” inventandosi i “Frati Zoccolanti" presso l’Eremo di Brugliano in Umbria(per via delle calzature di grezzo legno che indossavano a causa dell'asperità del luogo sassoso in cui vivevano). 

Spinti poi da forti personalità come Fra Bernardino da SienaFra Giovanni da Capestrano suo assistente, e Giacomo della Marca, i Frati si urbanizzarono dedicandosi allo studio e alla predicazione abbandonando di conseguenza quella componente eremico-contemplativa che li caratterizzava ... Conventuali, Osservanti e altri Ordini si contrapponevano spesso fra loro avvalendosi anche del “potere secolare”, poi si capovolgevano le parti: e subentravano altri arrivando anche ad occupare con violenza i Conventi … A volte i movimenti nuovi finivano con coincidere anche con un solo convento entusiasta in tutto.

Papa Leone X nel maggio 1517 in Santa Maria in Aracoeli di Roma provò a rimettere un po’ d’ordine con la bolla Ite vos”detta anche Bolla Separationis”seguita poco dopo da un’altra bolla detta “Bolla di Concordia”. In quel modoseparò di nuovo Conventuali Minoriti dagli Osservanti Francescani dal saio marrone con i quali confluirono anche i Padri Minori Zoccolanti, i Colettani della Clarissa Coletta di Corbie (che avevano di regola quattro Frati per convento: due sacerdoti per la predicazione e le confessioni e due laici per la questua); i Frati Guadalupensi, i Frati Clareni(quelli di Fra Marco da Venezia) e i Frati Amadeiti (sorti nel 1464 a opera di Amedeo da Silva presso il Convento di Santa Maria in Bressanoro a Castelleone nel Cremonese Lombardo voluto e fatto costruire dalla Duchessa di Milano Bianca Maria Visconti per la miracolosa guarigione della figlia, e dichiarati estinti da Paolo II, con la bolla Inter caeteradesiderabilia” del maggio 1470, e rianimati dal successore Sisto IV che li chiamò a Roma concedendo loro il Convento di San Pietro in Montorio).

Subito dopo, quasi a risposta “all’opera di Concordia” del Papa, i Frati Osservantisi divisero in due gruppi indipendenti: i "Frati Cismontani" (che riunivano Frati d’Italia, Balcani, Austria, Germania, Paesi Bassi, Ungheria, Boemia, Polonia e Medio Oriente) e i "Frati Ultramontani"(ossia i Frati come i Turoni OsservantiFrancesi, o come i Romiti Spagnoli di Gonzalo Marino).

Come non bastasse, subito dopo partirono fra i Francescani altri nuovi tentativi di“Frati Secessionisti”: nacquero così i Riformatinel 1518 a opera di Stefano da Molina con Bernardino d'Asti e Francesco da Jesi; poi iniziarono ad esserci gli Scalzi detti in origine: “Pasqualiti” dal fondatore Galiziano Giovanni Pasqual, e chiamati poi Alcantarini da Fra Pietro d'Alcántara cofondatore. Questi qua passarono dai Conventuali agli Osservanti … Ci furono poi gli “Ultramontani” Recolletti chiamati così dalle “case di recollezione”, cioè di ritiro e contemplazione che abitavano; e infine, nel 1526, nacquero anche i Francescani Eremiti Cappuccini di Fra Matteo da Bascio:“amici del Popolo e  Predicatori e Propagatori della Fede Cristiana” che ottennero in breve una larghissima stima e diffusione ... anche a Venezia.

Il nostro Frate Marco Veneziano, che non aveva affatto assunto e pronunciato voti di alcun tipo (perciò niente: Castità, Povertà e Obbedienza), si ritrovò impelagato negli esiti delle decisioni del Papa che aveva ordinato di unificare una volta per tutte: Chiarini e Zoccolanti… Ne derivò un’altra gran confusione: il Papa incamerò le rendite che gli servivano per finanziare la lotta contro il Turco nemico Civico dell’Europa e della Fede Cristiana”(almeno così diceva), e lasciò che il resto si risistemasse da se …Frati compresi … Frate Marco perciò, insieme ad atri venne scambiato erroneamente per Frate Professo (cioè con i Voti Solenni Perpetui già pronunciati) anche se non aveva emesso alcuna Promessaspontanea … Lui in realtà era solo una specie d’incerto Novizio in prova, ma di questo non si tenne conto … Alla fine quegli ex Frati Clarini non sapevano neanche più dove stare, né con chi andare, né che tipo d’abiti indossare, né quale Regola seguire … Fra Marco venne trasferito provvisoriamente per un anno nel Convento di Santa Maria delle Grazie a Terni… C’era caos insomma.

Serve aggiungere poi, che Frate Marcoda Venèssia era in se più degli altri allergico al vivere irregimentato e “secondo Regola”, chiuso dentro a un Convento … Lui fin da ragazzino amava osare, ed essere “uno spirito libero all’avventura”… Non capiva niente di tutto quel continuo e confusionario aggregare e sciogliere gli Ordini che faceva il Papa … Perciò decise di venirne fuori a modo suo: fuoriuscì dagli Zoccolanti procurandosi delle false licenze per poter vivere all’esterno di quell’ossessiva Clausura, e con quelle iniziò a vagare per la Toscana e l’Umbria accasandovi dove poteva e riusciva, e procurandosi di volta in volta ciascuno degli Ordini Minori Ecclesiastici: “… Pigliai il Suddiaconato in una cittadella di Roma, il Diaconato a Camerino, il Presbiterato lo pigliai a Rezzo di Toscana già sono quattordici anni e più …” raccontò a processo alla fine della sua esperienza.

Quei finti permessi li faceva risalire e concessi da autorità fittizie o storiche come Giovanni Vici da StronconePredicatore e Commissario degliOsservanti della Tuscia che aveva fatto salire a trentaquattro i Conventi e i Frati a duecento … Insomma Frate Marco Venesiàn era autorizzato a vivere in quel modo da un personaggio ecclesiastico e frateresco autorevole … e la cosa funzionò per un bel pezzo.

Finchè stanco di vagare, e divenuto finalmente anche Frate-Prete, con un’altra patente “impropria” ottenne … chissà in che modo … di riuscire a tornare alla sua Venezia: al capezzale della madre ammalata. Vero o no che fosse il permesso, giunto in Laguna non si aggregò a nessuna comunità dei Frati Veneziani, ma si decise a vivere per conto proprio a casa di sua madre dedicandosi a una vita “sui generis”, e indossando secondo opportunità l’abito da Frate che di volta in volta più gli confaceva: “… vestiva da Osservante, da Conventuale, da Zoccolante ... e ho sempre celebrato Messa stando fuori con le fedi false come ho detto …” testimoniò alla fine.

E fu così che qualche tempo dopo, spinto dall’impeto dell’epoca, e dal quel suo “andàr alla ventura”, finì coinvolto dal Sopra Comito Aloysio Zorzi, e si trovò aggregato ai Veneziani che si stavano imbarcando per la grande impresa contro il Turco. Divenne quindi Cappellano Militare di bordo imbarcandosi nella Galea di Guglielmo Zorzi diretta a Messina e poi nel Mare Greco per affrontare gli Ottomani.



Immaginatevi per un attimo il clima e l’atmosfera che doveva esserci in quei giorni sui Moli di San Marco, in Piazza e nei pressi dell’Arsenaledi Venezia quando erano attraccate le Galee armate della Serenissima in procinto di partire per la guerra della Santa LegaCristiana… Doveva essere proprio uno spettacolo passare in rassegna ormeggiate sulle rive o alla fonda nel Bacino di San Marco le Galee dell’Invincibile Armata Cristiana… Forse anche Fra Marco le avrà indicate e riconosciute col dito: “Quella è la “Capitana Lanterna di Venezia” di Agostino Barbarigo Provveditore Generale della Flotta della Serenissima Repubblica … mentre quella è la “Capitana di Venezia” di Sebastiano Venier Capitano Generale dell'Armata Veneta … Ecco là in fondo la “Fortuna di Venezia” di Andrea Barbarigo, e “le Tre Mani di Venezia” di Giorgio Barbarigo … i “Due Delfini” di Francesco Zen, la “Cristo di Candia” di Andrea Corner, e la “Piramide” di Francesco Bon, la “Cristo Risorto” di Federico Renier; la “Madonna” di Filippo Polani, e la “Dama a cavallo” di Antonio Eudomeniani, il “Cavallo Marino” di Antonio De Cavalli … il “Braccio di Venezia” ormeggiato là in fondo da Nicolò Lippomano, e la “Nostra Signora di Venezia” guidata da Marcantonio Pisani … verso Malamocco c’è la “Santa Dorotea” condotta da Polo Nani, e con lei c’è anche la “Croce di Cefalonia” di Marco Cimera … Quelle là in fondo sono: la “San Giovanni” di  Pietro Badoaro, la“San Girolamo” di Gasparo Malipiero … la“Passaro” di Nicolò Tiepolo, e il “Leone di Venezia” comandata da Pietro Pisani … “

Solo per citarne alcune… Chi mai avrebbe potuto raccontare ai posteri quel magnifico spettacolo ? … Navi, Marinai, Soldati, Popolani, Nobili, Artieri e anche Frati come Fra Marco … La Flotta si stendeva a perdita d’occhio davanti allo sguardo estasiato, voglioso e speranzoso dei Veneziani ... E c’era ormeggiata anche l’Aquila di Candia, ossia la Galea di Girolamo Zorzi, quella su cui era imbarcato Fra Marco… Infine … Pesantissime, rimorchiate, e tratte fuori a fatica dall’Arsenale, c’erano anche le Galeazze di Jacopo Guoro,Francesco Duodo, Andrea da Cesare, Pietro Pisani… e le altre: vere e proprie “mostri da guerra”, la sorpresa che la Santa Lega aveva preparato per i Turchi.

L’esercito della Lega Santa sembrava davvero mirabile … i Turchi Musulmanisarebbero stati fatti a pezzi, annientati …

Fra Marco quindi salpò con tutti gli altri della possente Armada delle Galee e Galeazze della Serenissima… e si recò all’appuntamento storico della Battaglia di Lepanto.



Come sapete benissimo, la “mitica” flotta della Santa Lega schierata a 30 miglia dalla costa Greca, fu comandata da Giovanni d’Austria fratellastro di Filippo II° intransigente difensore del Cattolicesimo, e contava 205 Galee + 6 Galeazze, mentre quella Ottomana di Selim II° schierava: 216 Galee Barbaresche-Algerine e da Tripoli, Galee Turche da Costantinopoli, Negroponte di Gallipoli, Rodiote, Greche, dal Mar Nero cioè Bulgare e Bitiniche, Anatoliche, Siriane, ed Egiziane da Alessandria+ 56 Galeotte Albanesi, Anatoliche  ed Egiziane da Alessandria e fuste e brigantini corsarisui quali erano imbarcati 25.000 uomini guidati dal cinquantenne Ammiraglio Alì Mehemet Pascià considerato “l’invincibile” per via di un “dente di Maometto” che portava al collo in battaglia …(morì comunque nello scontro, e il collo gli venne tagliato).



L’espansionismo Ottomano preoccupava l’Europa e il Papa, e gli Spagnoli erano già a conoscenza del progetto navale dei Turchi d’invadere la penisola Iberica … Perciò Pio V fu scaltro a rispolverare e alimentare l’antico spirito della Crociata provando a riunire fra loro e intorno a lui le forze Cristiane … La Lega Santa riunì e confederò sotto le insegne Pontificie le forze navali di Venezia (109 Galee + 6 Galeazze), Spagna (14 Galee)Regni di Napoli (30 Galee) e Sicilia (10 Galee), le Repubbliche di Genova (27 Galee di cui 11 appartenenti a Gianandrea Doria) e Lucca, i Cavalieri di Malta (4 Galee), il Granducato di Toscana(finanziò l’allestimento e l’equipaggiamento delle 12 Galee Pontificie), e Ducati di Savoia (3 Galee), Ferrara, Mantova e Urbino (più di 2.000 soldati volontari al comando del Capitano Generale Francesco Maria II della Rovere).

In verità le cronache raccontano che il Papa contribuì pochetto alle spese di guerra e all’allestimento della flotta antiOttomana. Il finanziamento generale della “Nuova Crociata” venne, infatti, diviso per quattro, e della quarta parte pertinente al Papa ... visto che le sue finanze erano ridotte e scadenti (possibile ?), si pensò bene di dividerle ancora una volta fra quelli della Cristianità.  In più si aggiunse anche l’estrema inesperienza dello Stato Pontificio in “cose d’armamento di Galee e Comiti di nave”: gli uomini del Papa fecero una gran confusione arruolando rematori prima ancora che venissero costruite le navi, e pretendendo che fossero altri a pagare per l’equipaggiamento e il completamento delle stesse Galee“da dare a prestito al Signore”.

Il Papa viveva proprio in un altro mondo … Figuratevi se i Veneziani intendevano rimetterci anche in questo regalando le navi al Papa !

Il Romano Pontefice dovette firmare un normale capitolato di fornitura e allestimento delle Galee per avere le sue navi … e per far questo si giunse anche ad altercare fra il Doge e i rappresentanti Papali inviati a Venezia … Alla fine ci pensò “la devota Firenze” a pagare tutte le spese dell’allestimento ed equipaggiamento delle Galee Papali… e la spedizione armata partì.



La Flotta Cristiana era armata da 350 pezzi di grosso calibro, e da altri 2.750 di piccolo calibro, e trasportava non meno di 50.000 tra Marinai, Rematori galeotti sferrati disposti a battersi sulle navi, e combattenti Pontifici,Veneziani, e pagati dal Re di Spagna, tra cui 400 Archibugieri del Tercio de Cerdeña, nonché un nutrito gruppo di avventurieri. L’immane spedizione si mosse in settembre verso Cefalonia e la Grecia dove giunse col maltempo nel golfo di Patrasso apprendendo della caduta di Famagostaultima roccaforte del Mediterraneo Orientale rimasta in mano agli Europei.

Di certo quella notizia con la crudeltà dei suoi dettagli fu un potente incentivo ad andare, proseguire subito … per ardire finalmente contro l’Ottomano … La fortezza di Famagosta di Ciproex città bizantina assediata dai Turchi era difesa da 7.000 soldati guidati dal Senatore Marcantonio Bragadin. Per Famagosta Venezia pagava ai Turchi un tributo annuale di 8.000 ducati fin dal 1480 ... e nonostante questo, quelli di Famagosta avevano invocato l’intervento Ottomano per via dell'eccessiva pesantezza che esercitava il Governo Veneziano su di loro sfruttando l’intera isola ... La verità era un’altra: Famagosta era uno dei maggiori punti strategici per il controllo dell’intero Mediterraneo.

I Turchi s’erano quindi presentati in 20.000 guidati da Mustafà Pascià, e avevano sparato qualcosa come 170.000 colpi di cannone e piazzato innumerevoli mine sotto alle mura della città per convincere i Veneziani alla resa ... I Veneziani le pensarono tutte resistendo per 72 giorni, e il Capitano Roberto Malvezzisi fece perfino saltare in aria insieme a qualche migliaio di Turchi dentro a un deposito sotterraneo nel vano tentativo di salvarsi. Alla fine Marcantonio Bragadin rimasto con soli 700 uomini provati e stanchi, trattò un’onorevole resa cercando di salvare il salvabile ... Ma contrattempi, fraintendimenti, malintesi, vendette e sotterfugi, e soprattutto la “logica di guerra” fecero poi “saltare”i patti fra Turchi e Veneziani: ci scapparono uccisioni da una parte e dall’altra, e si finì con l’impiccare fuori dalla fortezza l'Intendente Tiepolo e il Generale Astorre IIBaglioni, mentre tutti i civili furono venduti come schiavi a Costantinopoli ... Come ricordate bene: il Governatore Bragadin venne scuoiato vivo.



Domenica 7 ottobre 1571 Don Giovanni d'AustriaComandante in Capo dello Schieramento Cristiano, fece schierare le proprie navi in “formazione serrata”: non più di 150 metri separavano le galee fra di loro ... La flotta era divisa in 4 parti: una “Riserva di Soccorso”composta da30 Galee di retroguardia; un Corno destroformato da53 Galee e 2 Galeazze al comando del Genovese Gianandrea Doria; un Corno sinistrodi 53 Galee e 2 Galeazze al comando del Provveditore Generale Veneziano Agostino Barbarigo; e una Parte centrale o di Battaglia comprendente: 62 Galee comprese le Capitane dei vari stati, e altre 2 Galeazze Veneziane realizzate con 32-46 banchi di rematori a scalaccio, e armate da 36 grossi cannoni con altri di minori dimensioni. Le galeazze anche se avevano l’apparente immagine di innocue navi da carico dalle alte murate, erano in realtà a dire dei Turchi:castelli in mare da non essere da umana forza vinti”.Avevano il compito di aprire lo scontro e di "disordinare"le linee avversarie con le loro artiglierie bersagliando le navi Ottomane da una distanza dalla quale era difficile rispondere. La potenza di fuoco delle Galeazze si dimostrò devastante riuscendo ad affondare e danneggiare in poco tempo più di 70 navi distruggendo lo schieramento iniziale Ottomano: fu di certo una mossa a sorpresa vincente … mentre sembrava che la flotta Turca non fosse proprio “In salute” in quanto non allestita benissimo. Infine davanti allo “schieramento di Battaglia” c’era anche un’Avanguardia formata da 8 Galee che dovevano fungere da esca per il nemico costringendolo ad arrivare a tiro delle temibili Galeazze.

La flotta Turca viceversa si schierò in direzione nord-sud per una lunghezza di circa sette chilometri ... e s’incominciò.

Alle quattro del pomeriggio dopo quasi cinque ore di battaglia, e mentre stava arrivando una tempesta, il cadavere dell'Ammiraglio Ottomano Alì Pascià venne decapitato e la testa esposta sull'albero maestro dell'Ammiraglia Spagnola ... Fu un segnale determinate … le 80 navi Ottomane rimaste abbandonarono il campo, ritirandosi definitivamente.



Fra Marco era là in quel giorno, in prima fila, nel cuore dello scontro fra Turchi e Alleati della Santa Lega… Chissà che cosa provò … che pensò ? … A quali scene dovette assistere ? …. Salvò comunque la vita, e vide quello scenario apocalittico: relitti in fiamme, galee ricoperte di sangue, morti o uomini agonizzanti di entrambe le fazioni sparsi dappertutto … ma i Cristiani avevano vinto “la gran Giornata”.

Non esiste guerra che sia in realtà spettacolare, perché oggi come ieri lo scontro, il massacro, lo spargimento di sangue e la mattanza inutile di gente sono oltre che uno spreco immenso di risorse e vite, anche la conferma che non esiste ideale Etico-Religioso-Politico-Economico, che meriti di portare a tanto … Nelle guerre si perde sempre tutti.

A conti fatti, sembrò che i Cristiani avessero perso 7.500 uomini e 15 navi, mentre ai Turchivennero affondate 80 Galee e 27 Galeotte, 130 delle une e delle altre vennero catturate, e ci furono 30.000 Turchi morti e feriti ... Si fecero anche 8.000 prigionieri, e se ne liberarono 15.000 dai banchi dei remi avversari sbarcandoli in seguito a Porto Recanati perchè potessero salire in processione fino alla Santa Casa di Loreto, dove con le loro catene vennero realizzate le cancellate davanti agli altari delle Cappelle del Santuario ... Alcuni di loro durante la battaglia s’erano liberati dalle catene assalendo i propri aguzzini Turchi, mentre altri avevano sparso sego sui ponti delle navi per far scivolare i Turchi al momento dell’arrembaggio alle navi Cristiane … La Flotta CristianaVincitrice, infine, rientrò a Napoli … e si festeggiò la Madonna delle Vittorie… mentre a Pisa i Cavalieri di Santo Stefano esposero nella loro chiesa la bandiera strappata dalla loro Galea “Grifona" alla nave ammiraglia di Alì Pascià… L'annuncio della vittoria giunse a Roma soltanto ventitré giorni dopo.



Fu davvero una grande “Giornàda” Lepanto ?

Chissà ?

Nel 1573 firmando la sfavorevole pace il Gran Visir Sokollu disse ai Veneziani che sarebbe stato meglio per loro cedere al volere del Sultano che fidarsi degli altri Stati Europei, e che in fondo: “… la differenza tra la nostra e la vostra sconfitta sta nel fatto che: noi vi abbiamo privato del Regno di Cipro, tagliandovi un braccio. Voi sconfiggendo la nostra flotta, ci avete tagliato la barba ... Il braccio non crescerà mai più, mentre la barba crescerà più folta di prima.”

Arguti i Turchi !

Marcantonio ColonnaComandante in Capo dell’Esercito Pontificio, avrebbe commentato a Roma a chi intendeva replicare ancora contro i Turchi:... Andate Monsignore !  … Non è tempo di altri affari: ringraziatene piuttosto Iddio che l'armata nostra, affrontatasi con la nemica, ha guadagnato la vittoria ...”

La Porta, infatti, ricostruì in fretta la sua flotta, anche se l'Ambasciatore Veneziano diceva in giro che sarebbero bastate 70 Galee ben armate ed equipaggiate per distruggerla tutta perché costruita con legname marcio e cannoni mal fusi … I Veneziani, invece, persero lo stesso l’isola di Cipro, così come ai Genovesi venne strappata l’isola di Chio… Nel 1574 gli stessi Ottomani rioccuparono Tunisi: uno dei maggiori porti e presidi Spagnoli sulla costa Africana … per cui buona parte del Mediterraneo rimase saldamente in mano e sotto il loro controllo … Più di un secolo dopo, nel 1683, gli stessi Turchi-Ottomanierano ancora sotto alle mura di Vienna, e Venezia dovette combattere contro di loro altre lunghissime e costosissime guerre perdendo gran parte delle isole e dei porti che possedevano nell’Egeo … Ancora all’inizio del 1700 gli Ottomani sconfissero i Veneziani a Capo Matapan ... ma questa è un’altra storia.

Lepanto se volete quindi, fu sì una grande pagina storica, ma non di certo l’atto che dichiarò la supremazia Cristiana sul Bacino Mediterraneo… anzi, forse accadde proprio il contrario: si sancì la fine del predominio mercantile e politico degli Stati Italiani sullo scenario Mediterraneo e Orientale.

E’ dopo Lepanto, che fece Frate MarcoGarofalo ? … Questo sì che m’incuriosiva saperlo … Continuò per tre anni a far parte dell’equipaggio della Galea seguendola dovunque andava, finchè gli venne ordinato per scritto dal Capitano Sabatelli de Rosa e dal Cavaliere Francisco Torre di sbarcare e di seguire il suo destino tornando alla sua Religione, in quanto non c’era più bisogno di lui ... Diverse Galee sarebbero state ritirate e tratte a terra per sempre, e sciolti alcuni equipaggi.

In realtà forse anche quella lettera era un falso, perché Fra Marco raccontò in seguito d’averla ricevuta l’anno seguente alla “Giornata”(quella della Battaglia di Lepanto), mentre sulla stessa lettera c’era segnata una data di due anni dopo … In realtà durante quei tre anni Frate Marco condusse “bella vita” da marinaio frequentando tutti i porti della Dalmazia, dell’Istria e approdando anche a Corfù … Faceva il marinaio-soldato come tutti gli altri della nave, “l’aggregato”, frequentando bettole e prostitute, e mangiando, giocando e bevendo in compagnia …

“… però digiunavo dalla mezzanotte prima di celebrare la Messa …” ci tenne a precisare davanti al Giudice dopo molti anni da quei lontani momenti.

A Venezia “sua Patria” tornò a ritirarsi come “eroe e reduce di Lepanto”, e anche come“vecchio malato di Sifilide con le mani piene di croste e impiagate” … Fra Marco andò a far parte di quella numerosa folla di reduci, feriti, mutilati, acciaccati, abbacchiati, miseri e fuori di testa spesso laceri e ridotti male …“vèci marinèri capotèri”… che andavano a riempire i tanti oscuri e bassi ospizi cittadini messi a loro disposizione nelle Contrade Veneziane.

Anche Frate Marco: “era impiagato … settantenne … messo male in arnese … e con le carte non in regola”
Rimase quindi a vivere in Laguna per altri cinque anni, probabilmente ancora a casa della sua vecchissima madre: “... et finalmente se ne ritornassimo a Venetia, dove son stato cinque anni amalato in casa de mia madre, et poi fui ambasciato da certi homeni Bergamaschi del luogo di Cornalita a ciò volesse venir a servirli per Cappellano a quella chiesa …”

Alla fine quindi decise che era meglio allontanarsi di nuovo da Venezia dove probabilmente nella sua condizione non si sentiva tranquillo e al sicuro. Perciò seguì e accettò la proposta di alcuni Bergamaschi che lo invitarono a portarsi nelle loro terre per vivere da “Cappellano in cura d’Anime”… Ci poteva essere migliore occasione per tornare a scomparire e risistemarsi lontano dagli occhi e orecchi indagatori della Serenissima e dell’Inquisizione  con i loro Tribunali ? … E poi avrebbe potuto ancora una volta tornare a vivere liberamente … come piaceva a lui.
Perciò nella primavera del 1581 partì alla volta del Bergamasco, dove ovviamente andò a presentarsi al Vescovo del posto fornendo documenti e licenze da Frate falsi fornitegli: “… da un Prete Antonio Bolognese in grado di corroborare e contraffare remissorie co lo sigillo piccolo de San Francesco”, e con altre lettere di presentazione di Placido e Girolamo Regazzoni che lo raccomandavano come “Religioso per bene”.

Il Vescovo di Bergamo inizialmente ci cascò in pieno … e gli concesse l’esercizio della Capellania di Cornalita in Val Brembana.

In realtà l’unica licenza autentica di cui Fra Marco era in possesso era quella rilasciatagli dieci anni prima nel Convento di San Bernardino di Montefalcoda Fra Cristoforo de Cheffontaines Generale dei Francescani Osservanti che lo autorizzava a raggiungere e visitare sua madre malata a Venezia facendo subito ritorno al suo Convento … Non era più tornato.



Nel Bergamasco sulle colline della Val Brembana c’era e c’è un paesetto che possedeva poche centinaia di abitanti: Cornelita in San Giovanni in Bianco.  Su una piana nascosta sopra al fiume Bremboai piedi dei monti Sornadello e Molinasco, sorgeva dal 1116 l’antica chiesetta affrescata forse Chiesa-Matrice di Cornalita riconsacrata e dedicata al “Corporis Cristi” dal Vescovo Polidoro Foscarini nell’aprile del 1447. Lì in quella zona perduta di tagliaboschi, legnaioli, piccoli scambi, malgari e pastori si portavano i defunti da tutta la Valle fin dall’antichità, e i Frati provvedevano a seppellirli e a pregare per loro nel portico esterno della chiesetta ... Nel 1575 era stata riordinata per la Visita di San Carlo Borromeo che aveva ordinato di celebrarvi 4 Messe settimanali, e sempre da antica tradizione si affidava la cura del luogo a un Cappellano nominato con vero e proprio contratto a scadenza dai capifamiglia del posto. Al Cappellano spettava un’abitazione con giardino e cortile, e gli veniva conferito uno stipendio di 16 ducati offerti da Antonio Borghetto, 135 lire donati dai vicini, e le offerte dei fedeli … Fu lì che Frate Marco Venesiànstette per un anno e mezzo tornando a gozzovigliare, giocare, e a intrattenersi nelle taverne fino alle cinque di notte … col miraggio poi di farsi anche promuovere alla vicina Curazia di San Gallo ... e fu sempre lì a Cornalitaappena fuori Bergamo, che dopo diciotto mesi venne arrestato … perché viveva troppo miseramente e in maniera fin troppo sconveniente incorrendo col suo comportamento nelle Scomuniche Maggiori… e perché privo di licenza dei suoi Superiori che interrogati avevano detto che: “stava fuori della Religione, e che doveva rientrare in Monastero.”

Il vecchio Fra Marco stava provvedendo a farsi spedire da Venezia altri documenti e licenze false … Inizialmente finse di non capire, né di sapere il perché del suo arresto … Poi carcerato e processato, dovette comparire in giudizio a più riprese ... e così iniziò a ricordare facendo emergere la sua storia e le sue vicende … che vennero segnate a verbale.

“Sono desdotto mesi staccio in detto luogo di Cornelita et celebrava Messa nella detta chiesa come Cappellano … Monstrai a Sua Signoria Reverendissima la licenza del mio Superiore et mediante quelle Sua Signoria me admise al luogo suddetto …”

Le accuse circa i sui abusi commessi erano molteplici: “… Per aver contravvenuto alle disposizioni dei suoi Superiori … per aver celebrato Messa fuori residenza per mezzo di false licenze … per aver prodotto false licenze … per aver giocato a carte e a dadi con laici in taverne scommettendo denaro di giorno e di notte, dandosi alla gozzoviglia … per aver mutato abito clericale … e non aver recitato quotidianamente gli Uffici Divini …”

E Fra Marchetto non si fece scrupoli di confermare durante gli interrogatori dell’Inquisizione:  “Monsignor si che ho giocato nel luogo del Commello una volta sola alle carte, a Zizole, et al gioco de sette carte, chi fa più perde et poi alla bassetta, et giocai con Messer Bernardo Baruchello, et giocassemo dei danari, non racordandomi la quantità, et fu nell’Hosteria … Ho giocato nel luogo di Santo Zuan Bianco molte volte et diversi lausi de danari alle carte, et la quantità de trei lire alla volta … Signorsì che ho giocato anco in Cornalita … Ho giocato quanto alla bassetta quando al 30 et 40 et quanto al cento … Non ho mai giocato tutta la notte, ma si bene alle quatro et cinque di notte ... e mentre giocavamo facevamo colatione et bevevamo … e ho prestato danari a un prete Francese … ma ho digiunato prima di celebrare la Messa …”

Interrogato sugli abiti da Frate diversi che aveva portato e indossato rispose: “Io porto questo habito che Vostra Signoria mi vede perché avea caro esser riconosciuto per Frate Conventuale e non Osservante o Zoccolante … Perché avea paura me dessero fastidio …Perché gli Zoccolanti prendono un puoco più strettamente quelli che stanno fuori della Religione …”

Interrogato se possedeva licenze e autorizzazioni recenti del Gonzaga Generale dei Francescaniin carica, rispose: “Monsignor non, che non ho avuta alcuna licenza da detto Generale …”

E interrogato ancora se sapeva che le licenza che portava con se composte dal Prete Bolognese fossero false, rispose: “Signor si che lo so.”

Chissà come mai erano così convincenti e abili a sciogliergli la lingua quelli del Tribunale che lo interrogavano ? … Che lo avessero minacciato di qualcosa ? … di tortura forse ?
Interrogato ancora se fosse affetto da qualche malattia rispose: “Ho il mal Francese e per questo mi faccio medicare … Non so dove l’habbia preso … ho avuto commercio carnale con donne in Dalmatia, con una creddo fusse meretrice, et così a Corfù hebbi comercio con una Greca, donna da partito …”

Interrogato su da quanto tempo aveva omesso di celebrare il Divino Sacrificio della Messarispose: “Io lo dico quando posso, et lo lascio de dire quando non possa maneggiare le mani per adoperarle tutte, quali ho piene di croste et impiagate come si può vedere …”

Alla fine venne condannato dal Giudice Giovanni da Bergamo alla voga in ceppi per tre anni sulle triremi della Serenissima, salvo che la salute non glielo avesse permesso … settant’anni suonati non erano pochi … in quegli anni poi … In alternativa se fosse stato riscontrato inabile alla voga, sarebbe stato condannato a cinque anni di carcere, con un giorno di digiuno settimanale “a pane e acqua”, e l’obbligo di recitare in ginocchio e a voce alta i Sette Salmi Penitenziali… Al termine della carcerazione, se fosse sopravvissuto, sarebbe stato bandito in perpetuo da Bergamo.

Come ultima spiaggia, Fra Marco da Venezia decise di far ricorso al Tribunale della Nunziatura Apostolica Veneziana che stava a San Francesco della Vigna di Castello a Venezia … Allora il Nunzio e Legato Papale per Venezia era Lorenzo Campeggi… che lo fece comparire ancora una volta in giudizio nel 1583, e lo interrogò personalmente prima di portarlo alla sentenza finale che confermava la precedente.

Nell’Archivio Segreto Vaticano sono depositati ancora oggi tutti gli atti inerenti al processo: “Contra Fratrem Marcum Venetum”… Era il 1583, e il carcerato Fra Marco Garofalo da Venezia aveva ormai settantacinque anni ...

Alla fine della fine, come sarà secondo voi terminato quel Marco Frate Marineroreduce di Lepanto ?


“Sant’Eufemia di Mazzorbo e …”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 164.

“Sant’Eufemia di Mazzorbo e …”

Veramente il nome giusto e completo del Monastero è stato: “Sante Eufemia, Dorotea, Tecla ed Erasma delle Monache Benedettine dell’isola di Mazzorbo”

Buonanotte ! … Chi mai avrebbe potuto chiamarlo così ? … Immaginate solo per un attimo un barcarolo di un tempo in servizio sulla sponda della Laguna Veneziana, sulle Fondamente Nove, ad esempio: “Dove ve porto Sior … o Siora ?” avrebbe chiesto.

Poteva forse accadere che qualcuno rispondesse: “Al Sante Eufemia, Dorotea, Tecla ed Erasma delle Monache Benedettine dell’isola di Mazzorbo … Grazie !”

Impossibile ! … Di certo ci doveva essere un altro modo più sintetico per indicare quel posto sperso in fondo alla Laguna verso Burano e Torcello ... Infatti lo chiamavano anche: “Sant’Eufemia Vergine e Compagne Martiri”, o meglio ancora: “Santa Fèmia de Mazòrbo o Le Vergini de Mazzorbo”… come dicevano senza tanti giri di discorsi, titoloni e parole i Mazzorbesi, i Veneziani, i Torcellani e i Buranelli di un tempo …

El me porta a Santa Fèmia de Mazzorbo !” si diceva quindi all’ipotetico barcarolo Veneziano … punto e basta … e quello è stato un nome, un toponimo di un luogo che è contato a lungo e per davvero lì in fondo alla nostra Laguna Veneziana.

Non ne siete convinti del tutto ? … Vi dice forse poco quel nome e quel posto oggi quasi del tutto scomparso ?

Sentite un po’ !



Era appena la fine di luglio 1297 quando Pancrazio Giustinian Podestà di Torcello registrava una sentenza con cui autorizzava Filippa Balastro Badessa di Sant'Eufemia di Mazzorbo a piantare un palo nella palude sita presso a Majurbio(Mazzorbo), la cui proprietà era stata contestata da Giovanni di Walperto e Nicolò Mudacio Procuratori della Pieve di San Bartolomeo dello stesso Mazzorbo ... Nello stesso mese e anno, e sempre nell’antica isola-emporio di Torcello, Marco Trica figlio del defunto Paganino da Zermàn, fece quietanza a Nicolò Vendelino dal Confinio di Santa Fosca Procuratore di Filippa Balastro Badessa di Sant'Eufemia di Mazzorbo, di lire 800 di denari veneziani, pagamento di beni siti a Zermàn e Marcònacquisiti da Alemanno Notaio da Veronella  … Non si trattava di un praticello, ma di un manso di 30 iugeri sito a Zermàn, di un altro sedime colà sito di 15 iugeri con casa, di due terre con decima site a Casale con bosco di 15 iugeri, e dei diritti su quattro campi siti a Marcòn… un vero tesoretto insomma … Tanto era vero che Artico da Castello Podestà di Treviso per ben tre volte consecutive nei mesi precedenti aveva ordinato al Precone Martino da Fontanelle di notificare tramite “stride” che chiunque avesse avuto interesse su quei beni lo facesse valere in giudizio ... o tacesse per sempre.

Perfino la famosa Maria vedova di Giacomo Gradenigo aveva disposto per testamento in quello stesso luglio 1267 luglio che venissero dati cospicui legati e denari ai Monasteri e agli Ospedali del Dogado Veneziano ... Soprattutto alle Vergini(di Venezia a Castello) che intendeva eleggere a sua sepoltura, e agli Ospedali: Domus Dei (Cà di Dio), Domus Misericordie, Santa Maria Crociferorum(i Crociferi ai Gesuiti vicino alla Fondamente Nove), Sancto Joahannis Evangelista, Santa Maria e San Lazzaro ... e agli altri Monasteri “da Grado usque Caput Aggeris”(Cavarzere)… che in seguito ricevettero ciascuno 2 rate di 8 e 12 soldi dai Procuratori di San Marco ... Tra tutti quei nomi da beneficiare c’era elencato anche: “Sanctis Virginibus de Majorbio”... cioè il nostro Monastero di Sant’Eufemia & C di Mazzorbo.

Come non bastasse … Già sessant’anni prima, nell’ottobre 1235, sotto ai portici di Rivoalto a Veneziastavolta, Pietro da Sacco Ministeriale attestava che nel 19 del mese, d'ordine di Giacomo Tiepolo Doge e dei Giudici dell'Esaminador, aveva investito "ad proprium"Palma Badessa di Sant'Eufemia di Mazzorbo, di una terra e casa colà sita comprata nel luglio precedente da Marco Riccardo da Mazzorbo per lire 88 di denari veneziani.

Sant’Eufemia di Mazzorboquindi non era affatto un bugigattolo, né un Conventucolo sperduto da quattro soldi, ma un’antica e fiorente realtà Nobile e Religiosa sita proprio in faccia all’isola di Burano, giusto sull’imboccatura del Canale di Mazzorbo che portava e veniva da Torcello. Anticamente più o meno da quella parte: da Trepalade e Altino sull’orlo della Terraferma e attraversando il Canale della Ciggolia presso l’isola del Monte dell’Oro, il fiume Sile sboccava in Laguna e poi a mare attraversando il Porto di Tre Porti Poi il fiume è stato deviato portandolo a sfociare verso  Cava Zuccherina (cioè Jesolo) dove prese a fluire a mare poco distante dalla Piave(i nomi dei fiumi alla latina erano sempre considerati al femminile: flumina) ... In quella maniera si portò via dalla Laguna anche una buona parte dei commerci, che vennero dirottati altrove chiudendo e interrando infine, anche per motivi militari e di sicurezza, la bocca di Porto di Treporti … Anche questo contribuì al tramonto definitivo dell’Emporio Torcellano, e alla sminuzione di prestigio e utilità pure delle isole limitrofe di Mazzorbo e Burano ... Sant’Eufemia di Mazzorbo compresa.



Inizialmente, le antiche notizie a cavallo fra Storia e Leggenda raccontavano di una nobildonna Padovana: Margarita, che circa nell’anno 900 o verso il 1000 si ritirò presso Mazzorbo con tre nobili fanciulle proprio per fondare un nuovo Monastero dedicato a Santa Fèmia Vergine e Martire al tempo del Vescovo Giovanni II° di Torcello ... Di vero e certo c’è stato di certo: che proprio alla fine del IX secolo ci sono state le incursioni degli Ungariche hanno costretto molti a trovare scampo nella nostra Laguna.

E trascorse il tempo …



Altre cronache lagunari e diversi atti processuali raccontano ancora, che in seguito fra 1368 e 1463 le Monache di Mazzorbo: “facevano già man bassa e alzavano la cresta”… Tanto che il Monastero di Sant’Eufemia venne perseguito da Dogi, Inquisizione e Patriarchi per la sua smoderatezza subendo ben 10 processi per abusi sessuali delle Monache con nascita di 2 bambini … Storie e storielle di abusi e licenziosità delle Monache di Mazzorbo riempirono a lungo i discorsi e i pettegolezzi di quelli e quelle della Laguna e di Venezia … e non soltanto di loro.

Nel 1438 intanto, Papa Eugenio IV e il Vescovo di Torcello Filippo Paruta unificarono col Monastero di Sant’Eufemia di Mazzorbo anche quello di Sant’Angelo di Ammiana o dei Nani con le sue rendite: “perché mangiato dalle acque e dalla mala aria”, e ridotto a sole tre Monache Benedettine … Allo stesso degrado e abbandono progressivo furono soggette tutte le piccole isole dell’Arcipelago di Ammiana, Ammianella, Castrasia e Costanziaco.

Nel ventennio seguente accaddero serrate liti fra le Monache Benedettine del Santa Cristina di Torcelloe quelle dello stesso Ordine di Sant’Eufemia di Mazzorbo: il contenzioso stava in alcuni livelli di beni che ciascuno considerava di propria pertinenza … Agli stessi anni risalgono insieme ai Registri che contengono l’elenco delle “Monache Professe di Sant’Eufemia di Mazzorbo”, anche altre carte e documenti relativi ai possedimenti e alle rendite del Monastero di Sant’Eufemia situati inMogliano e Marcòn, e altre registrazioni di proventi e affitti da alcune case a Murano di proprietà dello stesso Monastero … A fine secolo le Monache di Sant’Eufemia erano anche proprietarie di una vigna, di una foresteria e di un altro posto nella stessa isola di Mazzorbo.

Nel secolo seguente, il 1500, fu tutto un susseguirsi di registrazioni d’entrate e uscite, pertinenze, lasciti testamentari e Mansionarie di Messe disposte a favore del Monastero di Sant’Eufemia … Fra 1537 e 1650 si affittarono gli 8 campi di Marcòn alla Nobile Famiglia di Pietro Gritti… Così come si affittò in continuità fra 1556 e 1705 la vigna di Mazzorbo ricavandone frutti, onoranze, vino e denari che il Monastero spendeva per vivere, pagarsi Medico e Medicinali, “… e restaurar Monasterio e fabbrica della chiesa”… Non mancarono ovviamente ulteriori processi a carico delle “piuttosto turbolente” Monache del Sant’Eufemia di Mazzorbo che aprirono vertenza contro Antonio Dal Gallo “debitor de livelli sòra la casa de Muran”… e intentarono causa anche contro il Nobile Francesco Manolesso che aveva collocato una sua figlia nel monastero “in maniera non del tutto opportuna” ... C’era la dote da pagare per Monacarsi … e che diamine ? … Andava puntualmente pagata e senza esitazione alcuna: “le Munèghe non posson vivere solo d’aria e orazioni.”


Nel 1564 nel Monastero delle Vergini di Santa Femia di Mazzorbo c’erano 26 Monache che pagavano 25 ducati annui per le feste, i paramenti ed altro della chiesa e Monasterio … e nel 1588, poco prima di far un’altra causa contro Monticano Vincenzo(la disputa legale continuò ininterrotta dal 1589 al 1779), e di litigare col NobilHomo Balbi per (il prezzo e la dota) la Professione Monastica di sua sorella, le Mùneghe de Santa Fèmia spesero di nuovo per costruire una vera da pozzo nuova … e si era al tempo della Nobile Badessa Scolastica Pisani(la vera da pozzo è ancora esistente sul prato poco distante dall’imbarcadero di Burano in Via Mazzorbo).



Durante il 1600 il Sant’Eufemia di Mazzorbo aveva diversi capitali depositati nella Zecca di San Marco a Venezia … e la Badessa continuava spesso a scrivere lettere al Magistrato Sopra ai Monasteri, al Proveditor, e ad altri invitandoli ad intervenire contro gli affittuari debitori e insolventi nei riguardi del Monastero ... Nel 1622 e 1629, proprio intorno agli anni della terribile Peste della Madonna della Salute che decimò mezza Venezia e altrettanta Laguna, le Monache del Sant’Eufemia non smisero di intentar processi e cause contro chiunque ledeva i loro interessi: il Nobile Domenico Condulmier, ad esempio, e il livellario Baron Baroni Gritti che doveva alle Monache la bellezza di 500 ducati.



Subito dopo metà secolo, però, nel gennaio 1659, le Monache furono condotte a processo: “per fuochi d'artificio e balli di donne fatte venire da Venezia nel cortile del Monasterio per opera di quattro secolari”… L’anno seguente si giunse perfino a inquisire: “Podestà ed altri, per pranzi, cene, ecc. in e fuori del Monastero, coll'Abbadessa e con due Monache Converse …”

Pur continuando a litigare e a far cause secolari contro i Nobili Grimani e Pollani, il Monastero stava bene economicamente: continuava a ricevere eredità, e possedeva rendite annuali di almeno 15 ducati da affittanze e da beni immobili che possedeva in Venezia … anche se fu costretto a vendere al Nobile Antonio Bernardo gli 8 campi posti in Marcònper pareggiare il bilancio delle spese.

Nel settembre 1682, giusto l’anno seguente a un processo a carico delle Monache “per frequenza nei Parlatori di un Patrizio”, giunse al Sant’Eufemia in Visita Pastorale e ispettiva il Vescovo Jacopo Vianoli che s’infilò dappertutto a controllare tutto e tutti … Sembrava tutto a posto: sia in chiesa che nel Monastero, dove c’erano tutti i Libri di Devozione, i Breviari e i Messali giusti, anche se “c’era qualche ornamento superfluo più dell’ordinario …”

Le Monache sembrano destreggiarsi e alternarsi fra zelo a volte fin troppo eccessivo, intransigenza per quanto riguardava le questioni economiche … come quando litigarono per quasi vent’anni contro la famiglia di Zuanne Trevisan da Burano per via di una Mansioneria di Messe da pagare istituita dalla defunta Meneghina vedova di GiovanBattista Trevisan ... e atti di libertinaggio estremo come quando nel 1691 alcune Monache finirono a processo “per commercio carnale con parto di una donna e pericoli di veleni, coinvolgendo un Patrizio ed altri”.

Nell’ultimo mese dell’ultimo anno del secolo giunse di nuovo la Visita Pastorale del Vescovo Torcellano Marco Giustiniani, che accompagnato dalla Monache più anziane controllò tutte le stanze della Clausura ad una ad una, il Refettorio, tutte le celle delle Monache, gli attrezzi e i tavoli da lavoro: “senza trovare cose superflue”… Controllò anche le sbarre alle finestre “con tutta diligentia”, la Sacrestia “dove trovò le sacre suppellettili conservate con mondezza e distinzione”, gli altari della chiesa con le loro tovaglie, il Confessionario, e controllò perfino le sepolture delle Monache … Infine il Vescovo se ne uscì per far ritorno al suo palazzo “fra le ovazioni delle stesse Monache riunite”… che faccia tosta.

Scriveva Fra Vincenzo Coronellinel suo “Isolario” del 1696: “Il Canale di Mazzorbo hà i suoi casini di campagna per divertimento e delizia di Gentiluomini, fra quali considerabili sono quelli del NobilHomo Girolamo Morosini su la punta di Santa Maria, del Procuratore Corsaro nella parte di San Pietro, e del Maimenti a Sant’Eufemia, ch’è il più bello di ogni altro ...”

Venezia, i Veneziani e la loro Laguna stavano vivendo l’ultimo secolo del loro decadente e originalissimo splendore … Le Monache del Santa Fèmia de Mazzorbo continuarono ancora una volta ad incapponirsi contro Nobili, Conti e Contesse (contro Francesco Raspi, contro la NobilDonna Elena Zini Rusteghello), e a destreggiarsi fra lasciti, livelli affrancabili, debiti e crediti (con l’Arte dei Pistori e con l’Arte dei Luganegheri di Venezia, con la Scuola Granda di San Rocco, con Paolina Coppo-Zeno, con i Nobili fratelli Bembo, con Girolamo Rafasi e con Giovanni Lombardo).

Nel 1768 poco prima della sua soppressione, il Monastero possedeva ancora la vigna accanto allo Squero in Contrada San Bartolomeo di Mazzorbo che era di proprietà del Monastero di Santa Caterina di Mazzorbo… Dieci anni dopo le Monache dei due Monasteri vennero a pesante contrasto fra loro per via del Sant’Eufemia accusato d’ingrandirsi l’orto superando il confine dellaspinada” che lo divideva dalle proprietà del Santa Caterina.

Già fin dal 1768 il Monastero di Sant’Eufemiadi Mazzorbo venne soppresso dal Senato della Serenissima per passare l’isola ad uso militare … Le Monache vennero concentrate insieme a quelle di Sant’Antonio di Torcello dove s’erano rifugiate fin dal 1246 le Benedettine provenienti dal San Cipriano di Mestre o di Terra(?) ... Da Torcello le Monache dell’ex Sant’Eufemia riuscirono ancora a intentare l’ennesima causa processuale contro Beltramelli Leonardo e Antonio Zassoper alcuni beni del Monastero siti a Terzo sul bordo della Terraferma Lagunare.



La Badessa Maria Tasca, ultima Badessa del Sant’Eufemia tenne e compilò dal 1793 al 1795 l’ultimo registro amministrativo dei beni e delle economie del Monastero di Sant’Eufemia di Mazzorbo registrando anche le onoranze e i generi riscossi dagli affittuari delle proprietà che avevano ancora a Mogliano e Terzo… Poi giunsero i Francesi nel Veneto e a Venezia, e nel 1806 si soppresse e incamerò tutto, e si costruì il Forte di Mazzorbetto di cui ancora oggi si conservano le tracce. Il cortile coincideva con l’area dell’antico chiostro ... Tutto il resto venne demolito fra 1837 e 1838 approntando una batteria di sei postazioni d’artiglieria disposte in linea sopra ad una casamatta seminterrata ad ovest per contenere e stoccare le munizioni.

Gli Scout dell’A.G.E.S.C.I.calpestano ancora oggi saltuariamente e giocosamente quel posto che un tempo è stato “Sacratissimo e insigne”... un’altra briciola di quel che è stata la nostra Venezia Serenissima di ieri ... Da parte mia ogni volta che passo davanti a quello spicchio di Laguna col vaporetto diretto a Burano e Torcello, non riesco a non pensare a ciò che è accaduto lì, e a ciò che è stato quel posto ieri.


“Non posso crederci ! ... a Burano nel 1689.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.”- n° 165 … tratta dal capitolo 09: “Lampi da Burano nel 1600” della mia autobiografia: “Buranèo … e Prete per giunta”.

“Non posso crederci ! ... a Burano nel 1689.”

Ricordate i Pelagini, i così detti Eretici della Valcamonica bruciati sul rogo, e i modi dell’Inquisizione che ospedalizzava “ai Pazzerelli” gli Eretici perché convinta che l’Eresia e la differenza dottrinale fossero una malattia mentale ? … Ho accennato anche ai fatti accaduti allaFava di Venezia, del Beccarelli morto nei Piombi a Palazzo Ducale, e della storia del Prete di Sant’Agostin nel Sestiere di San Polo in qualche modo tutti connessi con quelle vicende ?

Beh … Non è ancora tutto, perchè altri accadimenti legati con questi appena citati mi hanno portato dritto dritto a Burano: la mia isoletta natale … e questa per me è stata un’altra sorpresa, nonchè una gran cosa curiosissima !

Entriamo però subito nel merito dei fatti e degli eventi: quella volta la Storia “lampeggiò forte e parecchio” nell’isola di Burano. Le cronache di quel secolo raccontano fra l’altro di quanto accadde nel Convento delle Cappuccine di Burano subito dopo gli anni della burrascosa Pestilenza del 1630 (quella della Madonna della Salute a Venezia) che decimò tragicamente l’intera Venezia e gran parte delle isole lagunari.


Non doveva essere brutto e insignificante quel Conventino-Chiesetta di Santa Maria delle Grazie di Burano perso in fondo alla Laguna. Sembra sia stato fondato forse verso il 1548 dalla sua prima Badessa: la Madre Maria Benedetta De Rubeis cioè Dei Rossi o De Rossi(come me), e annoverava al suo interno ben sette Oratori o Altari.

Fra le tante Monache ritiratesi a professare la loro Religione lì dentro, ci fu anche Giovanna Antonia Biondini nata nell’isola di Corfù(appartenente al Dominio Veneto da Mar), settima di nove figli del Governatore dell’isola Andrea e della moglie Angela Cicogna. Non è ben chiaro come e perché abbia coperto tutto il tragitto che la portò dalla lontana Corfù fino ad approdare quattordicenne nell’altrettanto remoto Monastero delle Cappuccine-Servite di Burano… e lì prese il nome monacale di Suor Maria Arcangela all’atto della sua Professione Monastica Solenne che accadde due anni dopo.

E fin qua … avete ragione: niente di che, se non il fatto che la stessa Monaca visse sempre a Burano per altri vent’anni scalando passo dopo passo e giorno dopo giorno le gerarchie interne del conventino Buranello fino a divenirne la Badessa giusto nel 1677. Nacque in quegli anni l’equivoco, perché se da una parte la Monaca Maria Arcangela era stimatissima per il suo spirito, gli insegnamenti, le intuizioni spirituali e le buone intenzioni, dall’altra … come spesso accadeva negli ambienti monacali, non mancò di suscitare perplessità, malcontento, invidie e rivalse da parte delle altre Monache del conventino isolano. La sua buona fama comunque varcò i limitati confini dell’isola e si spinse altrove anche oltre la stessa Venezia giungendo ad interessare perfino l’Imperatore Leopoldo I° d’Austria che la prese a cuore divenendo suo assiduo protettore.

Vedete allora che la Suor ArcangelaBuranella non fu più soltanto un’oscura e anonima monachella lagunare.



Suor Arcangela si definiva: “di carattere e temperamento sanguigno”, e nelle sue intenzioni in un tempo in cui i costumi monacali non andavano molto per la quale per assiduità e coerenza, c’era anche quella di riformare lo stile di vita del suo stesso monastero claustrale. Anzi: voleva riformare l’intero Ordine delle Monache Servite recuperandone credibilità e fedeltà alla Regola originale … Figuratevi certe altre Monache abituate a vivere in tutt’altro modo ! … Nacque di certo casino … ma in maniera subdola e sottile.

Suor Maria ArcangelaBiondinigovernò comunque il Convento delle Cappuccine di Burano per circa un decennio: fino al 1686: quando accadde l’inverosimile e il parapiglia ... Già un paio d’anni prima la sua situazione personale s’era fatta burrascosa e incerta: si andavano dicendo in giro per l’isola e fino a Venezia molte malignità e accuse contro di lei. Erano gli anni in cui giravano e si propagavano soprattutto negli ambienti Ecclesiastici, Pretereschi e Monastici gli insegnamenti mistici di quel Miguel de Molinos, del Quietismo e dei Pelagini Lombardo Veneticonsiderati “Eretici pericolosissimi” puntualmente processati, fatti abiurare e condannati dalla chiesa.

Il Teologo Spagnolo Miguel de Molinos considerato il maggior teorico del Quietismo, e ombra e immagine forse degli Alumbrados o Aluminados spagnoli venne arrestato e torturato nel 1685, processato nel 1687, e come “reo confesso” costretto alla pubblica abiura in Piazza Santa Maria sopra Minerva a Roma prima d’essere condannato a “carcere perpetuo”

Secondo l’Inquisizione la stessa idea Eretica si diffuse anche a Venezia e nei territori della Serenissima dove le autorità civili ed ecclesiastiche perseguirono con successo personaggi come il Cardinale Pier Matteo Petrucci, il Prete Cicogna di Sant’Agostin e il Bresciano Giuseppe Beccarellifinito a morire carcerato nei Piombi di Venezia la sera del 5 luglio 1716.

Prima del 1678 l’Oratorista Petrucci (poi Cardinale) era approdato a Venezia presso gli Oratoriani Filippini di Santa Maria della Consolazione della Fava, e in quella parentesi Veneziana aveva conosciuto e incontrato più volte sia il Prete Michele Cicogna di Sant’Agostin: “L’eretico Quietista Veneziano”, che a Padova e Brescia i Pelagini Camuni e Lombardi: “… altra genia di eretici ribelli finiti bruciati al rogo” … Petrucci accusato di Quietismo ebbe l’accortezza di lasciare Venezia portandosi a Jesi nel 1664, e fu così che si salvò per un soffio dalle mani dell’Inquisizione, mentre il povero Prete Cicogna di Sant’Agostin di Venezia rimasto in Laguna finì “strapazzato”dall’Inquisizione Veneziana.

Suor Maria Arcangela Biondini da Buranofece forse l’errore inconsapevole d’intrattenere prolungati contati e rapporti epistolari, spirituali ed intellettuali con costoro (fatalità la madre di Suor Maria Arcangela faceva “Cicogna” di cognome ... Che sia stata parente del Prete Cicogna di Sant’Agostin ?). Lo stesso Cardinale Petrucci difese più volte per iscritto Suor Maria Arcangela dalle pesanti accuse“… d’immoralità e indisciplina”che le vennero rivolte fin dal 1680 dalle sue stesse Consorelle Monache di Buranoche la segnalarono e denunziarono presso l’Inquisizione Veneziana.

Suor Maria Arcangela Biondini scrisse nelle sue memorie: “… ne nacque incredibile tumulto.”



La piccola comunità del Convento delle Cappuccine di Burano si spaccò in due fazioni contrapposte: pro e contro la Badessa Suor Maria Arcangela Biondini… Alla fine, visto che le cose non si mettevano affatto bene, Suor Maria Arcangela avvertì l’impellente bisogno di cambiare aria … e di salvare probabilmente anche la pelle.
In maniera tipicamente Suoresca e Monastica, venne fuori che in Convento un'anziana Monaca le avesse predetto: “… per te Iddio tiene preparato un Convento in una prateria ove è anche fatta una chiesa.” … pareva una mezza profezia, ma anche un’utile scappatoia: partirsene dall’isola per andare a fondare un nuovo Monastero altrove.

Infatti, d’accordo con l’Imperatore d’Austria col quale intratteneva un fitto contatto epistolare, la Badessa Suor Maria Arcangela Biondini pensò bene d’espatriare: “… andando altrove a fondare un nuovo Monastero nella campagna di Arco di Trento dove c’era un’edicoletta dedicata alla Madonna della Ghiara (venerata a Reggio Emilia in un Santuario dei Servi di Maria).

E questa fu perciò l’interpretazione pubblica e ufficiale data ai fatti: la Badessa Biondini sarebbe partita “con spirito missionario ed evangelico”… anche se in realtà sarebbe scappata dalle grinfie incombenti dell’Inquisizione Veneziana che si stava attivando e interessando di lei.
Il Collegio dei Savi della Serenissima accettò l’idea-soluzione di Suor Maria Arcangela di andarsene da Burano, ma prima venne interrogata dagli Inquisitori, e fu costretta a consegnare loro tutti i suoi scritti e carteggi: “… Commisero che consegnassi tutte le lettere che mi erano state scritte da Principi o loro Ministri e me le levasse per forza … Molti dicevano che ero infettata dal morbo dell’Eresia e fecero molte prove per farmi castigare … Siete voi Petruccina o Segnarina ? (ossia seguace di Petrucci ed altri eretici severamente inquisiti)  … Le mie stesse Monache mi avevano querelata come usurpatrice del buono e migliore del Convento … Il Magistrato aveva spie … e il Convento era circondato dalla Barca dei Zaffi… Il cuore oppresso dal dolore…”

Il viaggio-esodo “salvavita” di Suor Maria Arcangela Biondini da Buranoiniziò nel marzo 1689 come scrisse ancora lei stessa nella sua Autobiografia: “Dissi alle mie carissime Madri: “E’ giunta l’ora … il burchiello al Monastero era già preparato per la partenza da Venezia per il Convento di Arco … Il cuore era già oppresso dal dolore di doverle lasciare, diedi un gran sospiro e dissi: “Ecco mie carissime Madri, figlie e sorelle che ormai è giunta l’ora da voi bramata di vedervi libere da questa scellerata che vi è sempre stata una spina nel cuore ... Vi ringrazio mie care Madri di tutto cuore perché mi avete sopportata e soprattutto vi ringrazio per il bene che mi avete fatto col tenermi oppressa, poiché Dio ha ricavato da questo le sue grandi misericordie verso di me ... E certo che glielo dicevo di cuore perché così conoscevo e intendevo … Chiesi loro perdono e le pregai di non voler mai più trattare le loro Superiore come avevano trattato me perché Iddio le avrebbe castigate e se io avessi saputo che trattassero male la nuova Superiora, avrei benché lontana, operato in modo che sarebbero rese mortificate, mentre la dovevano amare, riverire et obbedire e non voler essere esse superiore alla Superiora ... Poi dissi loro apertamente che la mattina mi sarei partita, che era già il Burchiello al Monastero preparato. A tale nuova diedero alcune in strida dicendo: “Ah ! … Madre ci avete tradito, così all’improvviso volete partire; sono queste cose da farci morire d’angoscia !” ... E poi diedero in un divoto pianto chi per un motivo e chi per un altro ... Io che ero assai più commossa di loro nell’affetto, dissi loro alcune altre parole e poi partii di Capitolo. Tutta quella notte però convenni passarla in confortare or l’una or l’altra poiché quelle che più mi erano contrarie erano solo sei o sette, le altre poi mi portavano piuttosto affetto, ma essendo deboli di animo e di mente, nelle occasioni si lasciavano subornare e tirare ed operare contro di me ... Il Lunedì mattina dunque, primo di Marzo 1689, il Prelato disse la Santa Messa e ci comunicò tutte, poi essendo di fuori all’ordine ogni cosa, ci avviammo alla porta del Convento: io prima, la Madre mia compagna dopo di me, poi le due Nobili Venete, et un’altra figlia di buona nascita che tutte tre erano in Monastero meco ... Tutte le Monache ci seguivano con gran pianto ... Apersi la porta di Clausura, et ivi stava il Prelato vestito col rocchetto, i suoi ministri, il Cancelliere, alcuni Canonici, altri Sacerdoti, le quattro Matrone, mio fratello con quelli che ci dovevano accompagnare per il viaggio, e poi un gran numero di popolo concorso ...”

Eccoli i Buranellidell’epoca assiepati curiosi sulle rive dell’isola !!! …  Stavano guardando perplessi una pericolosa eretica che si dava elegantemente alla fuga ? … o ammiravano una donna coraggiosa spinta da ammirevole afflato interiore e missionario ?

Chissà che cosa avranno pensato quegli antichi Buranelli e Buranelle di allora e di ieri ?



Di certo a differenza di loro le Autorità costituite possedevano un’idea ben precisa su quella Monaca in partenza … e non si facevano scrupolo a palesarla: “Il Cancelliere lesse ad alta voce il Decreto di Roma et un’altra scrittura che doveva essere consegnata al Delegato di Trento, che doveva riceverci quivi ... Il Prelato poi fece un discorsetto e ci raccomandò alle quattro Matrone et a mio fratello, poi ci diede la Benedizione episcopale ... Io tra l’affetto che predominava verso le mie care Monache per doverle lasciare e tra la confusione di tanta gente, oltre quello che nella mia mente rifletteva sopra l’opera di Dio, ero così fuori di me stessa, né sapevo porre il piede fuori dalla porta. Il Prelato s’avvide e però mi prese per la sua mano dicendomi: “Or via Madre Abbadessa, bisogna uscir fuori” … Entrammo in burchiello che era dei bellissimi che si vedono in Venezia … e seguitati da gondole et altre barche ci condussero fuori da Burano …”
Ditemi se non è commovente oltre che intrigante questo antichissimo racconto ?
Questo che vi racconto è un flash, una paginetta soltanto di tutto quanto accadde, e dell’intera larga Storia del Convento e chiesa delle Cappuccine nell’isola di Burano. Lascio a chi ne sa veramente tanto di raccontare sapientemente per filo e per segno (auspico presto) la curiosa Storia di quel singolare e poliedrico Cenobio Lagunare e Buranello.

Ma la Monaca Maria Arcangela Biondiniche ha fatto poi ?

A Buranoritornò la quiete, l’ortodossia e la pace, e si provvide ad eleggere una nuova Badessa per Santa Maria delle Grazie delleCappuccine… che avesse le carte in regola, e non avesse strani grilli eretici per la testa ...  Suor Maria Arcangela Biondini, invece, arrivò per davvero fino ad Arco vicino a Trento, nel così detto Tirolodi allora … dove a dire il vero non ebbe affatto inizialmente una buonissima accoglienza e tanta fortuna. Racconta ancora lei stessa nella sua Autobiografia “L'orazione mistica”: “… la sera a Venezia ci portammo al palazzo delle due figlie Nobili che avevo meco … al Monastero di Sant’Andrea (della Zirada a Piazzale Roma) ove è Monaca una mia sorella et molte di esse Religiose bramavano vedermi … L’Ecc.mo Signor Ambasciatore volle accompagnarci con le sue gondole fuori Venezia … S’arrivò a Padova e la sera ci condussero al Santo …  All’altare del Santo mi sentivo liquefare l’Anima dal soave odore … al tardi si arrivò a Vicenza ove dagli Ill.mi Conti Feramosca fummo accolti con inesplicabile cortesia …  A Verona alloggiammo la notte in casa di un mercante nostro grande amico …  Mio fratello pose i colli della roba in barca e li mandò per il lago …  Ci fu una burrasca così grande che tutti i colli andarono nell’acqua e si guastò tutta la roba … Arrivammo al tardi in una strada assai pericolosa … da una parte vi era l’Adige e dall’altra certe montagnole ove si ascondono i banditi … allora cominciai un poco a temere per l’oscurità della notte … di lontano molte voci di uomini con torce accese venivano alla volta di noi …”



Ottenuto quindi il parere favorevole di Giuseppe Vittorio Alberti di Enno Vescovo Principe di Trento, la Madre Biondini venne accolta nel paese di Arco insieme a un’altra Monacae a sette Consorelle Converse, però non senza il malumore degli abitanti, dei Preti e dei Monaci del posto. che vedevano in quel nuovo arrivo un ulteriore concorrente con cui dover spartire le scarne elemosine offerte dalla zona … “Alla fine fu il nome di Cesare (l’Imperatore) a far acquietare ognuno” e a mettere d’accordo tutti. Il Capitano del Castello di Arco e i Conti d’Arco le diedero allora un pomposo “benvenuto”: Questi erano li quelli di Ala … ove erasi radunato tutto il Popolo … Ci ricevettero le Dame nelle loro carrozze bellissime e fummo condotte in Arco … all’entrar delle cui porte sbarò il Castello … Cominciarono la processione verso la chiesa del Convento … Tutti chi ci aveva accompagnati in chiesa intonarono il Te Deum laudamus con spari e campane … il Sig. Arciprete Biagio Fragiorgi apparato col piviale si fermò alla porta con le chiavi di essa in mano e noi, prostrate ai suoi piedi; fece egli un devoto e virtuoso sermone appropriato alla funzione, poscia ci benedisse e mi diede le chiavi in mano e con voce alta mi disse: “Ingredimini figlie Sion !” … A questa parola subito entrammo in Convento, noi due Monache e le sette figlie venute meco per monacarsi, onde in tutto eravamo nove ... Et era il giorno dei 40 Martiri il 10 Marzo 1689.”

Sembrava un bel quadretto sereno e allegro … Quasi un lieto fine a confronto con la storia trista iniziata a Burano nella ormai lontana Laguna Veneziana … Però ascoltate il resto: “Entrate dunque e chiusa la porta … finito che fu la funzione e noi, dopo rese grazie particolari al Signore e alla Beata Vergine andammo a vedere il Monastero et subito trovai motivo di sofferenza e pazienza poiché non vi era altro che le pure muraglie, di modo che neppure trovammo una sedia da poter sedere, né letti da dormire, né pane, vino a altra cosa da mangiare. Così ci ponemmo tutte sopra la nuda terra perché eravamo molto stanche e sebbene io avessi sino a Venezia dato l’ordine e il modo di preparare tutte le cose necessarie, con tutto ciò, niente fu eseguito, onde convenne esercitare la sofferenza ... Dio fece che mio fratello ci mandò il desinare cotto ed io poi lo stesso giorno cominciai a fare la provvigione delle cose per il vitto e per il dormire, sebbene non si poté fare così presto, che ci convenne dormire quindici giorni per terra e sedere la più parte per terra, perché quivi non si può avere le cose usuali quando si vuole, ma bisogna aspettare le fiere o congiunture ... La prima notte che entrammo in questo Convento, venne un tempo così fiero che pareva precipitasse il mondo, onde le povere figlie erano tutte spasimate, tanto più che a Riva qui vicino, cedette un poco di montagna, che rovinò molte case, onde sentimmo lo strepito, ma non sapendo che fosse, tanto più arrecava terrore. Si cominciarono poi a sentire ogni notte strepiti et urli così orrendi che le povere figlie erano sommamente abbattute, e sebbene io procuravo far loro credere che fossero cose naturali, elle però non potevano farsi cuore...


Altro che grandi accoglienze ed entusiasmi per quel nuovo arrivo dalla Laguna Veneziana ! … E non fu ancora tutto: Giunte alla Settimana Santa, il mercoledì, la Madre Vicaria si gettò a letto con male pericolosissimo. Io come la vidi a letto e me sola per attendere al governo del Convento e massime dovendo insegnare alle figlie quelle faccende che mai avevano esercitato come cucinare, fare il pane, il bucato, l’ufficio di dispensiera, canevare, sacrestana e portinaia li quali uffici o non avevo esercitato nel mio Convento oppure avevo voluto esercitarli con la direzione di un’altra, avendo avuto sempre questo genio di non fare mai cosa alcuna da me stessa, ma volevo che un’altra mi dirigesse e dicesse fate così e così, onde vedendomi obbligata ad insegnare alle figli e dover io stessa operare per far loro apprendere tutto il bene, mi sentivo così afflitta che non lo posso esprimere e non avevo con chi parlare né a chi ricorrere perché già mio fratello et gli altri si erano partiti dopo dieci giorni che fummo qui …”

I documenti storici raccontano in realtà che l'edificazione del nuovo Monastero di Ala di Trento venne realizzata dalle maestranze locali a costi esorbitanti: “fasèndo fesso l'Imperadòr …” che non smetteva di aggiungere ulteriori finanziamenti per la Monaca Biondini e Compagne da BuranoVeneziano... Cosa che continuò a fare anche in seguito sostenendo costantemente l’economia della nuova comunità monastica che s’arricchì in fretta di nuove Monache appartenenti soprattutto a famiglie Nobili del luogo. Sopra uno dei portali del Monastero sulla via Mantova campeggiava ancora oggi a conferma di quell’intenso connubio fra Suor Biondini e l’Imperatore d’Austria, uno stemma barocco “con l’Aquila Austriaca e Imperiale sorretta da due angeli”. 

La chiesa di Santa Maria di Reggio di Arco venne costruita ad unica navata, ed affrescata alle pareti e fin sul soffitto. Nel Presbiterio si collocò l’antica edicoletta situata inizialmente in mezzo ai campi fatto erigere “a gloria della sua famiglia”. da Ambrogio Franco cofinanziatore della realizzazione del Monastero insieme all’Imperatore. In seguito, sul soffitto della chiesetta il Roveretano Domenico da Udine ha ritratto nel 1840: “la Venerabile Arcangela Biondini inginocchiata di fronte al Convento da lei fondato sulla strada che porta alla Collegiata e al Castello di Arco”.

Le Monache di clausura assistevano alle Messe senza essere viste da dietro certe grate poste sopra l’altare maggiore … Si dice che Maria Arcangela Biondinisia sempre stata preziosissima consigliera personale dell’Imperatore annunciandogli anticipatamente sia la pestilenza che si abbatté su Vienna, che la vittoria ottenuta per intercessione della Vergine nel 1683 contro i Turchi ... Si dice anche che saltuariamente Sòr Maria Arcangela si recasse a Vienna per trattare direttamente con l’Imperatore della gestione del Monastero da lui finanziato ... Nel 1694 entrò come Monaca nel Monastero di Arco anche una Contessa Austriaca:“… con una dote di diecimila fiorini di questo paese et è di bontà grandissima e semplicità et innocenza non ordinaria.”.

La vita della comunità claustrale di Arco era dettata e scandita da una nuova Regolaapprovata da Papa Innocenzo XII nel 1699, che s’ispirava alle Costituzioni dei Sette Fondatori dei Frati Eremiti di Montesenario ... La Biondini probabilmente riuscì a realizzare nell’altrettanto remoto convento di Arco di Trento ciò che non le riuscì e le fu impedito di realizzare completamente a Burano in Laguna ... S’impegnò inoltre senza riuscirvi a portare in città anche una Comunità maschile di Frati Servitida collocare sul Monte San Giacomo, ma il progetto dovette essere abbandonato a causa dell'invasione dei Francesi che spianò, soppresse, abolì tutto e tutti nel 1703. In quell’occasione le Monache vennero sfrattate e cacciate via, e il Monastero divenne caserma militare … Solo più tardi e con grande fatica le Claustrali Servite riuscirono a tornare ad occupare il piccolo complesso monastico di Arco, dove la Monaca Badessa Biondini morì il 25 novembre 1712 venendo seppellita nello stesso Convento.

A dir di tutti: Suor Maria Arcangela Biondini fu di certo una delle mistiche più quotate, attente e significative dell’intero panorama del 1600 Italiano ed Europeo ... Guarda te come sono andati i fatti, e come cambiano le valutazioni delle persone e della Storia.

Suor Maria Arcangela Biondini fu anche prolifica scrittrice, soprattutto di operette spirituali e di una interessantissima autobiografia rimasta a lungo inedita. Nelle sue opere dimostra di certo una religiosità molto affine alle idee e sensazioni mistiche Quietiste“dell'orazione di quiete”… Aveva quindi ragione l’Inquisizione a contrastarla a Venezia ?  anche se apertamente precisò più volte di discostarsi dalle posizioni dottrinali dell’eretico Molinoscondannato dalla Chiesa … Raccontò della fondazione del Monastero di Arco, scrisse Discorsi Sacri: “Lumi spirituali”, “Compendio del Divino Amore”, “Divino Amore ossia incarnazione e vita di nostro Signore Gesù Cristo”, “Meditazioni sulla Passione”, “Alimento spirituale dei Servi e Serve di Maria”, “Dottrina di Cristo”, “La volpe d’inferno travestito da osservanza evangelica e Voce di Cristo ai grandi del mondo”, “Libro dell’osservanza”, “Giardinetto di Devozione” e “Coroncina della Sacrata Passione di Nostro Signor Gesù Cristo” che è l’unica sua operetta rimasta e ancora consultabile oggi oltre all’autobiografia.

Pensate che la Biondini scrisse perfino un “Trattatello sulla venerazione verso Confucio” in cui parlò e scrisse a favore dei riti Cinesi contro i quali s’era scagliato Papa Innocenzo X nel 1645 … Incredibile !

Provate a leggere qualche riga di quel che scriveva la Biondini … Certo solo concetti molto lontani dal nostro “sentire odierno”, frutto della mentalità e sensibilità tipica di quell’epoca lontana, ma sono “tosti”: “ … è solito esso Santissimo Spirito di comunicare i raggi di sua focosa luce ove più le piace, e per mostrare la forza immensa del suo divino operare, lo fa anzi nei strumenti più deboli, ed infermi per confondere la sciocca presunzione dei mortali, quali si perdono nel cercar d’intendere e penetrare le più recondite dottrine; ma non intendono che la vera scienza e profonda cognizione, consiste nel conoscere la propria bassezza e viltà, per la qual verace cognizione si arriva ad intendere l’immensità di Dio quanto porta la capacità umana avvalorata dalla grazia.”

E ancora: “Oh che pena erami al cuore questa impossibilità di conoscerlo, intendendosi tanto da Lui amata e favorita, che mi voleva tutta tutta per sé, né io potevo amarlo come bramavo …”

“Questa fu ben grazia particolare di Dio che abbia potuto portare una tale comunicazione di Dio, senza uscire di me stessa e perdere l’uso dei sensi, ma questa gran misericordia mi ha fatto il Signore per dono particolare di poter portare nei sensi lo splendore immenso della sua incomparabile Maestà.”

“O Vergine gloriosa, niuna mente creata può intendere l’altezza e purità del vostro amore, né l’immensità del dolore del vostro materno e amante cuore”. 

Nel 1705 Suor Maria Arcangela scrisse perfino al Luigi XIV “Re Sole” invitandolo a riscoprire la spiritualità nella propria vita.

Nel giugno 1709 scrisse anche a un Sacerdote di Rovereto che le aveva chiesto spiegazioni su di un versetto del Salmo 99: “Servite Domino in Letitia”. Sentite che gli rispose: “... Io son povera donnicciuola, scioca ed ignorante; né è mio officio il fare simili spiegazioni. Pure perché Spiritus ubi vult spirat, però è solito esso S.mo Spirito di comunicare i raggi di sua focosa luce ove più le piace, e per mostrare la forza immensa del suo divino operare, lo fa anzi ne stromenti più deboli, ed infermi per confondore la scioca presuntione de’ mortali, quali si perdono nel cercar d’intendere e penetrare le più recondite dottrine; ma non intendono che la vera scientia e profonda cognizione, consiste nel conoscere la propria bassezza e viltà, per la qual verace cognizione si arriva ad intendere l’immensità di Dio quanto porta la capacità umana avvalorata dalla grazia.”

Simpaticissima e forte Suor Maria Arcangela Biondini da Burano ! … Dovevano essere davvero buone e ispiratrici le arie che la Monaca respirò laggiù in quei secoli ormai lontani.
Al di là di tutto questo viene da considerare ancora una volta che le diverse vittime che provocò l’Inquisizione combattendo ovunque il Quietismo seminando terrore, illazioni, ingiuste accuse, e gratuite persecuzione anche fin nella nostra piccolissima e coloratissima e isolatissima Burano del 1600… A volte vien da pensare che Eresia e Inquisizione siano esistite solo altrove, lontano e chissà dove … Invece, quell’assurda fissazione ossessiva e persecutoria è giunta fino a ghermire anche Suor Maria Arcangela Biondinidelle Cappuccine Servite di Burano nel cuore della nostra Laguna Veneziana.

Incredibile … ma vero … Mi piace a tal proposito ricordare non per polemica, ma per amor di verità, che diversi autori e storici forse seguendo il buon proposito di non screditare e inquietare ulteriormente“Il buon nome” di qualche ordine civico-religioso costituito, finiscono col raccontare solo mezza verità e notizie addolcite, scontate, rabbonite e un po’ “purgate” di un certo passato storico accaduto.  E’ distorcere la realtà dei fatti … E’ sempre meglio, invece, raccontare ogni volta come sono andate veramente le cose nel bene e nel male. Ci penserà poi ciascuno a farsi un’idea e interpretare a proprio modo quanto è accaduto … Non va bene tacere certe verità storiche.

Fine della mia rimostranza …

Esiste ancora in via Mantova ad Arco di Trento il Monastero di Clausuradelle Serve di Maria fondato da Suor Maria Arcangela Biondinidov’era possibile fino a poco tempo fa condividere ancora con le Monache di Clausura qualche intensa esperienza spirituale e interiore. Scrivevano nel loro sito Internet: “Gli ospiti sono accolti all’interno del monastero in ambienti tuttavia distinti e separati da quelli delle monache … Chiunque può rivolgersi al monastero e trovare accoglienza a condizione che voglia vivere una esperienza vera di Clausura.”
 
Fin oltre il 1950, il modesto Monastero di Arco ospitò anche un prospero Educandato-Scuola Femminile nato fin da quando un Prete riscattò e portò in Italia facendole ospitare proprio ad Arco di Trento, alcune “Morette”cioè delle bambine Africane rese schiave dai Turchi ... Le cronache raccontano che tredici di loro morirono per le angherie, le privazioni e le sofferenze subite, ma che una ripresasi in salute si fece Monaca col nome di Madre Maria Annunciata Africana.

Negli ultimi anni però, il Monastero si è ritrovato privo di vocazioni e in declino, costretto ad ospitare solo quattro Monache anziane e tre Monaci Serviti con scarse risorse economiche. Si è arrivati perciò alla messa in vendita di parte dei locali del Monastero, e dopo che il Comune di Arco è rimasto a lungo incerto sulla destinazione dei locali ad uso sociale, dal 2014 circa, l'impresa Granatum srl di Arcoè diventata proprietaria di parte dell'ex immobile Monastico orientandosi a trasformare il Monastero in struttura alberghiera legata alla promozione e cultura dell’olio extravergine d’oliva del Garda.

Insomma … meglio che l’abbandono totale di tutto lo storico complesso … Comunque qualcosa della Memoria sopravvive ancora laggiù … come una specie di preziosa eco nata lontana, in fondo alla Laguna Veneziana… nella nostra piccola, colorata e quanto vispissima isola di Burano.




“Cintureri e Cinturere a Venezia ... e anche a Burano.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 166 tratta dal capitolo 10: "Lampi a Burano nel 1700" dell'autobiografia "Buranèo ...e Prete per giunta" di Stefano Dei Rossi.

“Cintureri e Cinturere a Venezia ... e anche a Burano.”

Inizio col raccontarvi all’inizio quella che potrebbe essere, invece, una concretizzazione locale, spicciola e finale di un grande fenomeno che ha generato tutta un’ampia Storia.

Per qualche secolo è esistito un particolare “omino”che più volte l’anno si è recato fino alla mia amata isoletta di Buranoin fondo alla Laguna Veneziana. Non si recava lì con i vaporetti o la motonave A.C.T.V. di oggi, né con i lancioni dei turisti o il mototaxi, ma facendo spingere faticosamente e lungamente i remi da qualche nerboruto barcarolo Veneziano. Lo stesso “ometto” in giornate diverse compiva viaggi analoghi verso l’isola di Murano, e numerosissimi altri più brevi alla Giudecca e in diverse Contrade Veneziane.

Quando quel “curioso ometto” giungeva a Burano gli correvano incontro cordiali e entusiasti tanti Padri e Madri Buranelli, ma soprattutto le giovani donne da maritare di Burano. Non lo facevano perché quell’ometto fosse stato particolarmente bello, simpatico o accattivante, ma perché ogni volta portava “bòne nòve”, belle novità … soprattutto in denaro a quelli dell’isola. L’ “ometto provvido” portava e offriva gratuitamente delle doti matrimoniali da 3, 5 e 10 ducati destinate a giovani “donzelle Cinturate”… miserelle per di più quelle Buranelle … che in ogni caso dovevano essere tutte: “putte da bene … ovverossia non basse cameriere e massère”.

L’ometto in questione era in realtà il Quadernièr della Schola della Madonna della Cintura di Venezia(sita in Campo Santo Stefano giusto di fronte al portone principale dell’omonima chiesa dei Frati Eremiti Agostiniani, e proprio accanto all’altra celeberrima Schola di Santo Stefano Protomartire dell’Arte, Mestiere e Devozione dei Laneri magnificamente decorata dal celeberrimo Vittore Carpaccio).

Il Quadernièr de la Scholade la Cintura percepiva annualmente lire 44 ed altre lire 22: “per recarsi fino a Burano ad avvisàr e portàr un Santo co la proposta de la Madona Cinturàda”… Nel 1612 si sparse la voce in isola che il valore delle “dote par le putte” era salito a 15 e poi a 24 ducati ciascuna per via di un generoso lascito di Ser Zaccaria Siega“lo benedisse per sempre il Cielo ovunque si trovasse”.

In cambio delle “dote par maridàrse” lo stesso ometto esigeva però “un impegno” non indifferente: quelle giovani donne con le loro famiglie avrebbero dovuto aderire e iscriversi alla Schola de la Cintura della Madonna, e vivere secondo le regole dei “Cinturati o Cinturate della Madonna”.

L’impegno di “Cinturati o Cinturate” per i Buranelli e Buranelle di quelle epoche non sembrò essere così gravoso, anzi: sembrò essere particolarmente ben accetto: “Gli aderenti alla Schola s’impegnano nella recita giornaliera di una Corona del Santo Rosario o almeno di 13 Pater, 13 Ave e un Gloria o un Credo, e una “Salve Regina”… Serviva inoltre dedicarsi alle irrinunciabili e immancabili “elemosine e opere di bene” che bisognava profondere verso il prossimo ... e a quelli della Schola ovviamente.

Come avete intuito il rapporto economico-spirituale della Scuola della Madonna della Cintura di Venezia con Burano e i Buranelli e Buranelle è stato molto stretto, intenso e frequente oltre che redditizio … Anche se bisogna ammettere che come sottofondo di tutto c’era una certa disponibilità e convinzione di Fede ... o credulità in buona fede … fate un po’ voi.

Dal punto di vista pratico quindi, aderire alla Schola de la Cinturade la Madonna significava “sposare”un certo particolare “stile di vita” in cambio di altrettanto particolari “favori Celesti”… oltre che “terrestri”: una dote matrimoniale del genere cambiava e sistemava la vita e il futuro di diverse donne e famiglie Buranelle.

Com’era nata quell’abitudine e quello strano legame ?


Facile intuirlo … Probabilmente all’inizio i Pescatori Buranelli incontrarono e frequentarono la realtà dei Frati Agostiniani Veneziani di Santo Stefano rifornendoli quasi quotidianamente e abbondantemente di pesce fresco. La tavola dei Padri Eremitani seguiva secondo la Regola la “dieta di magro” settimanale … Perciò non si trattava di vendere e piazzare soltanto un paio di pescetti, ma di sfamare un intero Convento abitato da circa un centinaio di persone fra Frati, Conversi e Illustri Ospiti che non mancavano mai … Frequentare i Frati di Santo Stefano era quindi per i laboriosi e semplici Pescatori Buranelli un vero e proprio affare, una compravendita continuativa e una consuetudine proficua che li legò per generazioni su generazioni alle sorti e vicende di quel Convento Veneziano.

Che poi quel grande e ricco Conventone e chiesone al pari di tanti altri di Venezia aveva tante storie da raccontare, ed tante bellezze da ostentare. I Buranelli oltre all’artistica e ricchissima chiesa di Santo Stefano Protomartire avranno visto i magnifici chiostri affrescati, i luoghi del Convento, i Fratini, e sentito tante belle cose … IFrati Agostiniani in quelle stesse occasioni non avranno mancato di certo “d’immagare” e affascinare i Buranelli raccontando loro ad esempio: di quel Paolo da Campo da Catania, ex ferocissimo Corsaro catturato nelle acque di Ragusa dal Capitano Veneziano Tommaso Zenonel 1490, e poi condannato a “perpetuo confinio in Venezia”. Quel chiacchierato personaggio era finito a vivere “a vita penitente” proprio nel Cimitero dei Frati appena fuori della chiesa di Santo Stefano … “Venuto poi a morte, venne sepolto sotto l'Altar Maggiore della chiesa”. (Così si raccontava durante il 1600, anche se nel 1836 si scopri per davvero uno scheletro umano posto sotto all’Altare non lontano da un tavolato su cui era disegnato un bianco vascello, e una nera testa barbuta con mustacchi, berretto all'orientale, e altre sigle non intelligibili oltre a una data: l'anno 1499).

Anche il solito Diarista Marin Sanudo raccontava a tal proposito:“… costui dorme su teste de morti, et à conzato una caxa di dette teste e monti di ossi: dorme sotto l'altar dove se dixe Messa: va discalzo e senza nulla in capo; mai manza di cotto.”


Immaginatevi i Buranelli scalzi e col cappello in mano intenti ad ascoltare a bocca aperta quelle storie così strane … Avranno poi di certo sbirciato curiosi su tutte quelle celebrazioni e riti che si tenevano dentro a quel mirabile chiesone … Avranno visto ogni settembre la dispensa dei “Panini Benedetti di San Nicolò”buoni contro le febbri e gli incendi,e perché no ? … Alla fine avranno pure prestato orecchio e accolto le insistenti proposte dei Frati Agostiniani che illustravano loro: “le meraviglie, i favori Celesti, e i benefici” che la Schola dei Centurati della Madonna offriva ai propri iscritti.

“Da cosa nacque cosa” probabilmente, e fu altrettanto probabilmente così che le famiglie con le giovani donzelle di Burano si ritrovarono “impegnati”ad aderire e seguire quella particolare Devozione, Tradizione e consuetudine spirituale oltre che sociale ... Maritarsi si doveva e faceva parte del vivere in isola, era forse uno dei principali se non il primo obiettivo della vita, perciò avere “un bòn sàntolo” disponibile a finanziare quell’evento era considerato di certo “una formidabile benedizione celeste”da non trascurare.

Burano e i Buranelli poi, si sono sempre dimostrati particolarmente sensibili, disponibili e attenti in quanto a Devozioni e aspirazioni interiori … Soprattutto quando le risorse economiche languivano, quando s’incappava “nelle magàgne della Salute”, o negli effetti deleteri di carestie, siccità, effetti meteo avversi come le alluvioni e le tempeste, nelle pestilenze e nelle ristrettezze delle guerre, rivolgersi a Santi, Dio e Madonne era un’abitudine consolidatissima a cui quasi nessuno sapeva rinunciare. Fu sempre per questo che pure in isola non mancarono di sorgere iniziative affini a quella della Schola Veneziana della Cintura, e in tornate storiche diverse apparvero: Madonna della Consolazione, del Rosario e del Parto, che in qualche maniera ricalcavano, prolungavano e allargavano le consuetudini di quel “sentimento”… Poi“già che s’era in ballo si ballava”, per cui di Madonne se ne “inventarono, celebrarono e festeggiarono” a iosa: la Madonna Ceriòla(Madonna delle Cere o Candelòra), l’Addolorata, la Madonna di Pietà, la Vergine delle Grazie e via così … In fondo: “gira e volta”… la Ceriòla… la Cintura… che cambiava ? … La Madonna era la Madonna … “tutto fa bròdo”… ce n’erano per tutti i gusti, per ogni aspettativa, e soprattutto per ogni necessità … Ed è stato un po’ come i soprannomi dei Buranelli: tanti aggettivi colorati diversi per indicare alla fine le stesse persone ... Le Madonne di Burano e dintorni per questo furono più di una: forse una per ogni stagione e circostanza … Erano una specie di potente talismano, un passepartout, un totem, una speciale password sempre adatta sia per “l’aldiquà” che per “l’Aldilà”… e si andò avanti così per secoli.


Che poi dietro a quell’adesione religiosa alla Schola e alla Madonna in genere, e all’osservanza di quel “vivere regolato” esisteva un “sentire”ancora più ampio, sottile e profondo oltre che antico. Non erano affatto banali gli uomini e le donne di ieri … neanche i Buranelli e le Buranelle … Intorno all’idea della Cintura o Cinto o Cingolo della Madonna esisteva soprattutto nelle donne un altro sentimento più sottile e radicatissimo: quello della propiziazione della fertilità matrimoniale e femminile ... che era come un culto, un rito personale pubblico e privato. A differenza di oggi, in quelle epoche il Matrimonio aveva senso soprattutto in quanto portava alla filiazione, e una donna si sentiva realizzata e “benedetta” nella misura in cui sapeva generare e procreare figli in abbondanza ... a volte mettevano al mondo anche dieci figli se non di più. Un matrimonio sterile senza figli era considerato infruttuoso, quasi un handicap fisico e sociale … Rivolgersi al Cielo quindi, perché si realizzasse “quel sogno felice” era quasi un obbligo oltre che un’abitudine che affondava le sue radici in tempi addirittura precedenti all’epoca Cristiana.

Non si può dimenticare che nelle Lagune Veneziane e Venete(come altrove), esistevano in tempi remoti Culti e Riti Pagani sponsali e propiziatori della fertilità… Di certo erano diffusi, e si celebravano di certo in arcani Templi Lagunaridella Dea, della Madre e della Vita che il Cristianesimo s’affrettò a cancellare al suo arrivo convertendoli in immagini a lui più confacenti. Rimase però quel connaturale e intenso anelito e riferimento alla figliolanza, al “Ventre Santo” e al fatto che Dio, Santi e Madonneil Cielo in genere… benedicevano e propiziavano quel fatto corporeo rendendo fecondo il vivere sociale, matrimoniale e familiare.

In tempi più recenti i Monaci Eremiti Agostiniani sbarcarono in Laguna e a Venezia (intorno alla fine del 1200) stabilendosi inizialmente presso Sant’Anna di CastelloNel 1264 o 1274 gli stessi Eremitani comprarono alcune case in Parrocchia e Contrada di Sant’Angelonel cuore economico-politico e religioso di Venezia non lontano da Rialto e San Marco… e nel luglio 1294 posero la prima pietra iniziando ad edificare il grande complesso di Santo Stefano Protomartire cedendo il loro vecchio posto di Sant’Anna a delle Monache Benedettine.



Dopo la sua prima consacrazione la chiesa di Santo Stefano(a differenza di oggi)veniva usata da tanti Veneziani come una specie di piazza pubblica e comune luogo di ritrovo al coperto dove ci si poteva incontrare per discutere e sbrigare anche i propri affari oltre che per le pratiche religiose … Per questo il chiesone dovette essere riconciliato e riconsacrato per ben sei volte a causa dei ferimenti, fatti di sangue e omicidi che vennero commessi lì dentro. Il primo episodio accadde il giorno di Pentecoste 1384 quando Girolamo Bonifazio ferì a morte il Nobilhomo Fra Francesco o Marco Basadonna ... poi a seguire ne avvennero diversi altri: nel 1438, 1556, 1561, 1567 e 1583 … e nel novembre 1594 … Infine anche nel gennaio 1599appena fuori della porta della chiesa: Fernando Cosazza quondam Ferrante, mentre si attrovava mascherato sul Campo di Santo Stefano fu dal Conte Mattio Collalto ucciso”

Insomma una lunga catena di eventi e momenti triller che avvennero sotto gli occhi dei quasi impassibili Agostiniani … e forse anche dei Buranelli che frequentavano quel posto.

Nel maggio 1372 si scoprì che Fra Benedetto degli Eremitani di Santo Stefano aveva passato informazioni segrete di Stato a Moncorso e Bernardo di Lazara che le trasmisero a loro volta ai Carraresi... Fra Benedetto venne catturato, confessò le sue colpe, venne condannato a prigione a vita, e fece i nomi anche di altri 4 illustri Nobili complici Veneziani: Alvise Molin Avogadore da Comun, suo genero Leonardo Morosini membro della Quarantia Criminal (entrambi condannati a prigione a vita), e Pietro Bernardo Consigliere Dogale, e Francesco Barbarigo: uno dei Capi dei Quaranta (entrambi puniti con un anno di reclusione e con esclusione permanente dai Consigli Segreti e da ogni carica di Stato della Serenissima).

Nel 1422, invece, altri due Frati Agostiniani: Geronimo e Bartolomeo vennero condannati a “carcere e pane ed acqua a vita in convento” a causa della “perversa Sodomitio”, mentre la Serenissima aveva proposto più severamente di: “morirli per bruciatura dopo esposizione alla berlina nella gabbia del campanile Piazza San Marco”.  Visto l’imminente pericolo di Morte, il Vicario degli Agostiniani si affrettò a condannarli entrambi al bando perpetuo da Venezia. Perciò di fatto li salvò dai propositi della Serenissima che non mancò di presentargli le proprie accese rimostranze tramite il Consiglio dei Dieci… Dopo 10 anni, infatti, venne annullato anche il bando contro i due Frati, e la Serenissima si spinse a protestare di nuovo stavolta davanti al Papa in persona … I due Frati incriminati giravano liberamente per Venezia ... Neanche dieci anni dopo, nel 1433 avvenne un altro caso che coinvolse Fra Nicolò di Pistorio Agostiniano e un ragazzino Veneziano: Giacomo di Francesco venditore di frutta in Contrada di Sant’Angelo. Il Frate venne accusato di averlo attirato nella sua cella senza tuttavia riuscire a violentarlo ... Si propose il bando perpetuo da Venezia ammesso che vi fosse tornato, perché scappo via pure lui dalla Laguna ben prima che fosse emessa qualsiasi sentenza contro di lui.

Erano quindi anche un po’ ambigui e doubleface quei Frati della Madonna della Cintura… e i Buranelli di certo non mancarono di notarlo … e di certo non lo dimenticavano quando giungeva periodicamente in isola il Quadernier della loro Schola: “ghe gèra el bon e el cativo fra de lori ... Bisognava stàr attenti …”

Nel 1519 gli Eremitani Veneziani ospitarono nel Convento di Santo Stefano il Grande Capitolo Generale dell’Ordine degli Agostiniani: cioè ben 1.100 Frati … immaginatevi gli affari e le forniture di pesce che dovettero procurare i Buranelli ! … L’anno seguente racconta sempre il solito Diarista Sanudo: Et sul campo Sancto Stefano fo predicato per M. Andrea da Ferrara, qual ha gran concorso ... Era il campo pien, e lui stava sul pozuolo della casa del Pontremolo Scrivan all'Oficio dei Dieci Uffizii ... El disse mal del Papa et della Corte Romana ... Questo seguita la dottrina de Fra Martin Luther, è in Alemagna homo doctissimo, qual seguita San Paolo, et è contrario al Papa molto, il quale è stà per il Oapa scomunicado”… e ancora:Facendosi una festa sul Campo di Sancto Stefano di corer l'anello, fo la domenega di Carnoval, uno corendo a cavallo il trasportò, et dete in Ser Pietro Mocenigo di San Lunardo, e li ruppe la testa”.

A Venezia capitava sempre un po’ di tutto … e di più.

Dieci anni dopo, nel gennaio 1529 in tempo di Pestilenza, prese fuoco il Campanile e il Convento di Santo Stefanodove vivevano 60 Frati Eremitani Agostiniani ... Visto che in precedenza i Frati si erano dimostrati non disponibili ad accogliere inchieste e controlli patrimoniali della Serenissima su di loro … fatalità … o forse per colpa della pestilenza … non si seppe mai bene … Nessuno si adoperò a spegnere quell’incendio, e gli uomini della Serenissima si attivarono sul posto soltanto il giorno seguente quando tutto era ormai già andato in fumo.

Tremenda la Serenissima ! … Tutto però venne in seguito ricostruito come e meglio di prima … anche con i finanziamenti degli stessi Veneziani … e di quelli delle “primicerie Schole della Contrada”.

Nel 1548 ci furono “giostre” in Campo Santo Stefano come racconta il Cronista Agostino:“…Nel detto millesimo ai 17 febbraro, in giorno di Domenica, si fece una bella e superbissima festa sopra il Campo di Santo Stefano di giostre e bagordi, e furono Messer Alvise Pisani Vescovo di Padova, l'Abate Bibiena Fiorentino, et il Duca di Ferrandina figliuolo che fu del Marchese della Tripalda, il quale è disceso per linea retta dal Signor Giorgio di Scanderbech, et era valoroso Cavaliero nel giostrare, et era amico e Capitano dell'Imperatore Carlo V, il quale, finita la festa sopra il Campo di Santo Stefano, nella quale fece cose meravigliose e degne d'ogni illustre Cavaliere, sì nel giostrare, come negli ornamenti di maschere, con trar ovi pieni di acqua rosata e moscata alle finestre, dove vi era concorso un grandissimo numero di gentildonne per vedere questi torneamenti, andò la sera medesima a Murano con il vescovo di Padova, ch'era de Cà Veniero Sanguinè dove si faceva una bellissima festa, e per causa d'havere invitato una gentildonna, nominata Modesta Veniero (moglie di Daniele Venier) venne a romore, sendo egli mascherato, con Missier Marco Giustinian e Missier Zorzi Contarini, e non conosciuto da questi zentilomeni, di maniera che si venne alle armi, e l'infelice Duca fu ferito dal Giustiniano sopra la testa, e cadette in terra, e così mezzo morto messe mano ad uno stocco, e per mala ventura ferì nella gamba Missier Fantino Diedo suo carissimo amico, a non pensando, per metterse di mezzo. Il Duca di Ferrandina visse un giorno et hore 20 ché passò di questa vita, e fu sepolto in Sagrestia delli Padri di San Pietro Martire di Murano, et il Diedo da poi alquanti giorni morì ancor lui, sendogli entrato lo spasimo nella gamba …”

Nel 1585 secondo la Cronaca del Savina:“… avendo una saetta, la sera del 7 agosto abbruciato la cella del Campanile di Santo Stefano, che cadde, recando gran danno, sopra le case dei Malatini, oltre il rivo. Si liquefecero tutte le campane compresa quella dell'orologio, e la Signoria concesse ai Frati, col patto però di avere il bronzo liquefatto, ed il soprappiù del prezzo, altre 4 campane, le quali erano per fondersi in Arsenale, e provenivano dall'Inghilterra ove la Regina Elisabetta aveva fatto abbattere le chiese ed i campanili Cattolici ... Quanto all'orologio, esso venne acconcio di nuovo a spese degli Avvocati della città di Venetia li quali stanno per lo più in quelle contrade per essere vicini al palazzo, et erano privi d'una grande comodità non vedendo le hore, et fu mandato a farlo fare a Seravalle.”

Infine le numerosissime offerte raccolte ovunque dai Frati del Monastero erano destinate soprattutto a mantenere i “Poveri Fratini”putti novizi degli Agostiniani di Santo Stefano che vestivano di panno … Facevano tanta pena e tenerezza ai Veneziani, e cantavano il canto figurato, et servivano in chiesa mettendo il piattino della Comunione sotto al mento”… A ciascuno di loro veniva offerto ogni anno un paio di scarpe a metà agosto e a Natale.

Quante storie curiose accadevano in Santo Stefano di Venezia ! … Di certo quegli Eremiti Agostiniani divenne interessanti e simpatici ai semplici ed espansivi Buranelli che probabilmente si affezionarono a quei Religiosi dimostrandosi disponibili a seguirne: indicazioni spirituali, regole esistenziali … e sorte curiosa.

Al di là dei fatti dei Frati Agostiniani però, i Buranelli e le Buranelle davano grande valore e si fecero coinvolgere dalle proposte delle Schola della Cintura considerando soprattutto il grande potere taumaturgico della Madonna efficace soprattutto contro la sterilità femminile e propiziatrice della concreta quanto preziosa felicità matrimoniale e familiare. La Tradizione ricordava che fin dai tempi antichissimi esisteva l’usanza di scambiarsi una cintura durante i riti matrimoniali in segno di unione e legame, nonché come segno di protezione, sottomissione e patrocinio ... nonché di “reciproca Consolazione”: altro interessantissimo elemento che finì spesso associato all’immagine della simbolica Cintura della Schola ... “appunto capace di procurare miracoli e infondere Consolazione”.

Che poi il pendolare periodico “dell’omino della Schola della Cintura” fino a Burano non era l’unica “voce” delle attività della stessa Schola, ma solo una delle tante. Periodicamente c’era anche un “Casellante de la Schola” che per lire 2 si recava fino a Burano per consegnare e vendere “l’olivo benedetto omesso dalla Schola de la Cintura nella Domenica delle Palme” ... Anche il Nonzolo della Schola de la Cinturaraggiungeva periodicamente l’isola di Burano in cambio di lire 8: “per portar le polizze alli Conventi de Burano e provveder alle scozioni dei versamenti obbligatori per la Schola”.

Secondo una “stampiglia” del 23 febbraio 1799 che riassumeva tutte le spese della Veneranda Schola della Beata Vergine della Cinturaposta nella chiesa delli Reverendi Padri in Santo Stefanodi Venezia nel Sestiere di San Marco, questi erano i resoconti circa il funzionamento e l’organizzazione della stessa Schola del Sacro Cingolo: “… se paga la Domenica delle Palme in Santo Stefano di Venezia a un Reverendo Padre Custode che celebra una Messa per lire 8, percepisce altre lire 124 per celebrarne altre  52, la Novena di Natale per lire 24 e soldi 16, e la Messa e la Processione nel giorno della Purificazione per ulteriori lire 8.

Se paga el Quadernièr de la Schola(quello che si recava fino a Burano per offrire le doti matrimoniali)per registrar tutti gli accadimenti della Schola e non per lire 8 ... E’ Salariato stabile della Schola per lire 372, percepisce inoltre per le Feste principali di Pasqua, Pentecoste, Assunta, Natale: lire 52 e soldi 12; altre lire 2 per avvisar gli eletti in carica; e la percentuale di lire 3 sulla vendita delle candele della Madonna Ceriòla.

Se paga ancora due Casellanti che fanno cerca d’elemosine per la Contrada in cambio di lire 4 e due paia di scarpe del valore di lire 12 e soldi 8 ... Ottengono ancora ulteriori lire 16 per la vendita delle candelette della Madonna Ceriòla ... e procurano usualmente un introito alla Schola di lire 600 dalle Collette, lire 96 dalle elemosine di città, e lire 450 dalle offerte di chiesa …”

Solitamente l’esercizio della Fede, della Carità e della Devozione da parte dei Fedeli finiva con l’avere un costo ben preciso e procurava un nutrito giro di soldi … e che costo ! … e che soldi !

“Se paga anche un Converso del Monastero di Santo Stefano stipendiato dalla Schola con lire 18,12. E’ addetto a vendere le Sacre Cinture per lire 3, e percepisce altre lire 1 e soldi 10 per assistere alla Messa. (la “Partita” annuale delle Sacre Cinture, dei Santi de bergamina della Madonna della Cintura, le Orazioni, le Corone e gli inviti venivano a costare annualmente alla Schola: lire 70 e soldi 12, e procuravano un introito di lire 40 incirca)

Se paga el Nònzolo salariato di chiesa e de la Schola per lire 155, e percepisce altre lire 6 per preparare la Messa e addobbare da Pasqua l’Altare per lire 9 e soldi 6; e similmente da Pentecoste per altre lire 9 e soldi 6 ... Al Nonzolo inoltre spettano lire 86 e soldi 16 da spendere per oglio delle lampade de la cièsia; altre lire 16 per imbiancàr tovagie; lire 8 per nettàr i lattòni; lire 6 per la còrba dei carboni; lire 12 per le candelette di chiesa; lire 2 per li traghetti che doveva usare per adempiere al suo ruolo e ai suoi lavori e lire 6 per scarpiàr l’altar e l’intera Schola …
Lire 8 spettano ai Campanari per la Solennità della Beata Vergine … e lire 12 alla Sagrestia per n° 6 di Messe con altre lire 3 alla medesima per l’uso dell’incenso … Alla stessa Sagrestia di Santo Stefano la Schola dei Centurati della Madonna offre annualmente: lire 31 per il fondo delle arche da Morto; altre lire 155 per un fondo di 6 Messe della Schola da celebrarsi il giorno della Beata Vergine a lire 12 ciascuna; e lire 4 per suonar le campane …
Lire 24 e soldi 16 extra si spendono per l’Organista e per la musica, anche se l’Organista risulta essere già salariato della Schola per lire 12 e soldi 8.
Lire 3 si offrono al Custode della Schola … Lire 2 al Capitanio della medesima … e l’ingente spesa di lire 144 per consumo di cera nella Festa della Ceriòla … e altre 700 lire per il consumo di cera in generale durante l’anno ...”
Nei Registri dei Conti della Scholadella Cintura si trovano elencate ancora puntualmente e diligentemente le spese dei “giorni che si accetta la Banca”; dei“giorni de Capitolo Generale”e di quelli del“Capitolo di Banca e Zonta de la Schola”; “le Spese dell’Officio per mandato di lire 70 e soldi 12 alle Monache di Candia”; lire 12 “per pieggieria”; lire 45 “per sindicazioni delle Casse de la Schola”; lire 10 “per spese Capitolari e rettifiche” e lire 48 “per mantener il feràl in strada”.

Ricapitolando tutti questi motivi di spesa, la Schola dei Centuriati o Centurati della Madonna di Santo Stefano segnava un attivo annuale di circa lire 1.186 … ma alla fine denunciava anche un disavanzo passivo di lire 2.127 e soldi 8 ... Insomma: la Schola dei Cinturati nonostante tutto era un disastro dal punto di vista economico in quanto aveva una gestione davvero fallimentare.

L’Altare dei Centurati della Madonna nella chiesa di Santo Stefano era (ed è ancora oggi) adornato dalla pala dipinta da Leonardo Corona nel 1590-95 rappresentando: “La Madonna della Cintura con i Santi Agostino, Monica, Stefano, Nicola da Tolentino e Guglielmo d'Aquitania o Malavalle (Santi ispiratori dell'Ordine Agostiniano). E’ il primo a sinistra entrando nella chiesa di Santo Stefano di Venezia. Il così detto “Altar della Croxe Granda”venne concesso il 6 febbraio 1591 dagli Eremiti Agostiniani di Santo Stefanoalla Schola o Compagnia o Sodalizio dei Centurati della Madonna(sorta nel 1581 sotto l’egida della Schola-Compagnia dei Cinturati di San Giacomo in Bologna)… e si era al tempo del Papato di Sisto V, del Dogado di Pasquale Cicogna e del Priorato sugli Agostiniani di Padre Alberto Veneziano ... La Schola della Cintura fece realizzare e possedeva in chiesa: “… ben altri undici artistici quadri … fra cui uno grando”… Inizialmente s’erano “congregati e ridotti insieme sotto la guida del Padre Custode Fra Domenico da Santa Vittoria trentadue Veneziani fra i quali primeggiavano:  Tommaso Batocchi e Antonio Carloni Mercanti di Malvasia, Giovanni Battista Manello Compositor de Stampa, Girolamo Mazzoleni Indoradòr, Piccino Pilotti Marzèr, Alvise Caleghèr dalla scarpa granda, Tommaso Marchetti, Gasparo Sartore e Giacomo di Girardi e Andrea Bonetti entrambi “dal vin” …”

I Confratelli si radunavano al principio nella Cappella di San Giovanni in chiesa, ma visto il numero crescente, la confusione e le discussioni che facevano fra loro, il Priore degli Agostiniani li autorizzò a utilizzare il Refettorio dei Frati dentro al Convento ... La Schola della Consolazione e della Cinturaorganizzava ogni quarta domenica del mese una spettacolare Processione guidata da tre Padri Agostiniani che si conduceva per le limitrofe Contrade Veneziane … Celebrava inoltre: “pomposissime Feste Mariane con addobbi, musiche, cantori e un effluvio di riti e Messe … almeno quattro-cinque volte l’anno solenni Esequie per i Confratelli e Consorelle Morti che accompagnava puntualmente al sepolcro …” (la Schola possedeva un paio d’Arche da Morto ai piedi del proprio altare in chiesa dove per essere seppelliti serviva pagare un ducato “pro capite” … i “Poveri della Schola” veniva sepolti, invece, gratuitamente) ... La “Benedetta Schola dei Cinturati e Cinturati de la Madonna” vendeva inoltre ai Veneziani e ai Buranelli “Cinture e Candele Benedettedella Madonna della Cintura”, e gli Esecutori Sopra la Bestemmianel 1715 e nel 1728 proibirono severamente e ammonirono chiunque a non vendere cinture e pelletterie di qualsiasi genere in Campo Sant’Angelo e Santo Stefanodov’erano presenti e attivi i banchetti dei “Centurati della Madonna” … Nel 1637, pochi anni dopo la Grande Pestilenza della Salute, Papa Urbano VIII concesse per sette anni consecutivi all’Altare dei Centurati della Madonna di Santo Stefano uno “speciale privilegio d’Indulgenza il lunedì dell’Ottava dei Morti”… Fu quindi tutto un intenso accorrere di Veneziani e Veneziane devoti ed entusiasti … e forse chissà ? … Anche di Buranelli e Buranelle che si portavano fino a Santo Stefano con le loro leggere e odorose barchette … Papa Innocenzo X nel 1645 non potè se non confermare quella“Mirabile tradizione e usanza de la Schola de la Cintura in Venezia.”

Per tutta Venezia e le isole girava un Questuante autorizzato dalla Schola della Cintura: “vestiva i simboli-insegne della stessa”, e chiedeva e riceveva offerte in denaro e olio tradizionalmente spartiti a metà fra lo stesso “cercante”e la Schola che utilizzava quegli introiti per i suoi fini e “par fornir doti a donzelle”… Dei Centurati e Centurate della Madonna facevano parte diverse Nobildonne Veneziane e Nobilhomeni Patrizi esclusi forse da cariche politico-economiche maggiori ... La Schola nel 1661 possedeva rendite annuali per 12 ducati provenienti dall’affitto di beni immobili che possedeva in Venezia, e la Madonna de la Cintura della Schola nel 1764 possedeva gioielli, orecchini, una croce, un anello di diamanti, e un paio di manini formati da 296 perle vere per un valore di 443 lire ... La Consorella che fino al 1920 continuò a “vestirela Madonna” con 10 abiti diversi secondo le scadenze e le festività liturgiche del calendario, veniva dispensata dal pagare la “tassa della Luminaria della Schola”… Ancora nel 1804, all’atto della soppressione della Schola della Madonna della Cintura, erano iscritti alla Confraternita Piccola Veneziana: 124 Confratelli maschi fra cui 12 Nobilhomeni, e 15 Consorelle donne fra cui 2 NobilDonne e 2 Contesse ... Nel 1936 infine, l’originale Madonna della Cintura della Scholain legno dipinto e vestito, venne ricoperta con un abito di tela gessato e dipinta d’avorio in finto marmo.



Provando poi ad allargare l’obiettivo delle nostre modeste considerazioni oltre la piccola ridotta e remota realtà isolana di Burano, non potremo non notare come quel “sentimento religioso e tradizionale” fosse anche patrimonio comune di tutta la Laguna Veneziana. A Venezia sono esistite lungo i secoli, come ben sapete, ben più di centocinquanta(su quasi trecento) Schole di Devozione, Arte e Mestiere, Carità e Suffragio dedicate e titolate esclusivamente alla Madonna … Di queste almeno una quindicina erano segnate da quel particolare titolo della Madonna della Cintura, del Parto, della Consolazione, della Concezione, e della Purificazione di Maria dopo la sua gestazione, ed altre ancora di similari.

Nell’isola di Buranoesisteva una Schola della Beata Vergine della Concezione divenuta in seguito della Madonna del Rosario… Altre Schola simili erano ospitate a Mazzorbo, e a Santo Stefano di Murano dove nell’isola c’erano fin dal 1594 anche le Suore Dimesse nell’Oratorio di Santa Maria della Concezione fondate a Vicenza da Angela Paladini nel 1583. Si trattava di un’originale aggregazioni di “Pie donne staccate dal mondo” che conducevano vita semiclaustrale a Murano e provvedevano per compito istituzionale all’educazione di donzelle e fanciulle … Nell’agosto 1643 le Dimesse di Murano possedevano beni stabili lasciati loro nel 1639, e nel 1661 dichiaravano alla Redecima rendite annuali per 533 ducati da immobili posseduti in Venezia (divenuti 867 ducati nel 1740) ... mentre Donna Zuana Barbaro quondam Ser Antonio Desmessa de Muran venne tassata di lire 5, soldi16 e denari 11 … e Suor Maria Antonia pure lei Desmessa de Muran pagò tassa di soldi 3 e denari 7 … Nel 1708 si concesse alla Nobile Famiglia Bembo di seppellire in luogo appartato del Monastero dei Santi Marco e Andrea di Muranola NobilDonna Chiara Maria Bembo Superiora de le Dimesse de Muràn ... e nel 1732 il padre Francesco del Piovano Domenigo Cimegotto“sano de mente e de corpo, e solo un poco incomodato da pellagra”, abitante in Contrada di San Biagio dei Forni a Castello di Venezia lasciò per testamento agli eredi una casa nell’isola di Murano, da dare alle Dimesse della Concezione dell’isola in mancanza di questi … Il Collegio delle Dimesse della Consolazioneè rimasto attivo a Murano fino a 1811, poi: “locali, chiesetta e orto delle Dimesse in Murano vennero affittati a Giovanni Cipolato per 63:448 lire … due casette in isola e una caxetta a pianoterra in Corte delle Campane nella Contrada di San Luca a Venezia vennero affittate a Caterina Seghezzi per 57:104 lire … e un’altra caxetta simile nello stesso posto fu affittata a Isidoro Sorio per altre 47:586 lire” ... Oggi della casa-Oratorio-Sacello delle Dimesse de Muràn non rimane quasi più traccia ... “se non ortaglie”.

In diverse Contrade Veneziane sorgevano ulteriori Schole: una della Concezione a San Giacomo dell’Orio, un’altra a San Pantalon, San Francesco della Vigna e a San Marzial la cui sede è stata trasformata oggi in abitazioni private. Esisteva una Schola della Madonna della Consolazione a Santa Fosca nell’attuale Strada Nova di Cannaregio, e un Sovegno di Sacerdoti della Madonna della Neve e della Consolazione nella non più esistente Santa Marina di Castello.

Una Schola della Vergine del Parto era ospitata in San Leonardo vicino al Ponte della Guglie, altre simile sorgevano a San Lio, San Gregorio e Santa Maria Formosa… Fin dal 1688 nella stessa Santo Stefano esisteva laSchola della Concezione dell’Arte dei Pistori Tedeschi, c’eranoinoltre diverse “Madonne Vestite” ai Gesuati, ai Carmini, alla Bragora e San Nicolò dei Mendicolie c’era ancora un immancabile Sovvegno simile in Santa Maria Materdomini nel Sestiere di Santa Croce:“la chiesa delle Sette Madonne”, dove c’era ogni sorta di Madonna … proprio tutte, non ne mancava neppure una.

Sempre come esempio, esisteva un’altra fiorentissima Schola della Madonna della Cintura di Costantinopoli presso le Monache Agostiniane di San Iseppo di Castello la cui fondazione risaliva a prima del 1661. La Schola custodiva e venerava un’icona o Ancona d’argento della "Madona de la Cintura di Costantinopoli"di fattura Veneto-Bizantino realizzata però a Venezia all’inizio del 1200.

La Leggenda locale tutta Veneziana voleva ovviamente che quella “miracolosa Ancona della Cintura” non solo provenisse da Costantinopoli, ma che fosse anche l’originale e unica immagine miracolosa “della Cintola de la Madonna”... In un certo senso quella Schola di Castello era “la concorrenza” di quella della Cintura di Santo Stefano nel Sestiere di San Marco … Ogni anno alla fine di agosto i Confratelli e le Consorelle portavano l’ “Immago Sacra” in Processione in giro per buona parte del Sestiere di Castello: “… con gran partecipasion de Popolo, tripudio, esuberanza de canti, musiche, cere, addobbi e fiori.” … Per tutto il resto dell’anno l’icona veniva custodita dentro a una particolare cassa racchiusa da una “speciale cintura lavorata con brocche turchesche” ... e quel che per me è più che curioso a conferma dei nostri discorsi, è che le Monache Agostiniane di Sant’Iseppo di Castello concedevano spesso in prestito quella “Santa Cintura”(con buon scambio e introito di adeguati “riceveri” puntualmente registrati nei Libri della Schola) alle donne partorienti di Castello e di Venezia che se ne cingevano i fianchi “con fede e privilegio” durante il fatidico momento del parto.

La “Santa Ancona de la Cintura della Madonna” è sopravvissuta alle devastazioni napoleoniche che hanno soppresso la Schola della Cintura di Sant’Iseppo di Castello, ed è rimasta esposta a disposizione dei Veneziani nella stessa chiesa di San Giuseppe di Castellofino al 1912 quando le Suore Visitandine che nel frattempo erano subentrate alle Monache Agostiniane decisero di trasferirsi definitivamente a Treviso portandosi dietro la Madona de la Cintura” che considerarono propria ... quando, invece, apparteneva a tutti i Veneziani.

La logica in certi ambienti purtroppo è sempre quella: “mio ! … mio ! …mio!”… anche se dovrebbe essere, invece: “Nostro ! … e di tutti insieme”… Ma valle a capire certe incoerenze storiche ! … e non saranno di certo le ultime.
Provando comunque ad allargare ancora di più lo sguardo delle nostre modeste considerazioni sul singolare fenomeno dei Centureri e Centurere de la Madonna, si potrà e dovrà notare per forza che è stato una realtà e consuetudine ben più larga e diffusa di quanto si poteva pensare, in quanto è andato a coinvolgere e interessare non solo ogni terra della Serenissima e del Dominio Veneto, ma l’Italia intera, gran parte dell’Europa ... e forse anche di più.


Voglio dire che le Congreghe e il Culto della Venerazione della Sacra Cintola o Sacro Cingolo o Cintura della Madonna con tutto ciò che le andava dietro e intorno, è stato a lungo una realtà fortissima e diffusa che ha coinvolto buona parte della Cristianità ... C’è stato quindi un fiorentissimo commercio e mercimonio di Santissime e miracolosissime Cinture… e soprattutto un elevatissimo numero di Cinturati e Cinturate della Madonnadediti attivamente, e “con convinzione” a quei particolari contenuti Mariani o presunti tali.
Probabilmente questo esubero di “Sacre Cintole” secondo una pratica assai diffusa nel medioevo si è ottenuto “per contatto” con quella originale della Terrasanta, o “per immistione” in una cinta nuova di qualche piccolo frammento tratto dal “Sacro Cingolo” originale.
Accaduto questo, molti luoghi vantarono di possedere “la vera Reliquia del Sacro Cinto” ossiala “Santa Cintura più giusta e più miracolosa”. Esistevano diverse Cinture della Vergine (esistono ancora oggi anche se un po’ dimenticate e trascurate): una nella Collegiata di Nostra Signora a Le Puy-Notre-Dame nel Maine e Loria Francese; un’altra nella Collegiata di Quintin in Cotes-d’Armor in Bretagna, un’altra ancora nell’Abbazia di Bruton nel Somerset Inglese; una nella Cattedrale di Santa Maria di Tortosa in Terragona-Catalogna in Spagna; una nel Monastero di Troodissa in Platrès di Limassol sui Monti Troodos  a Cipro; una nella Chiesa Ortodossa di Santa Maria Soonoro  a Homs in Siria; e ce n’era pure un’altra anche nella non più esistente Basilica di Santa Maria di Chalcoprateia a Costantinopoli … e Monteserrat,Notre-Dame di Parigi e Chartreshanno sempre dichiarato “d’aver un’autentica Cintura della Vergine”pure loro.

Con un po’ di malcelata malizia arriverei a dire che esisteva in diversi posti un bel mercato di “Sante Cinture”… con annesso spesso tutto quanto poteva esserle similare: cioè un gran giro e commercio di pelletterie e Pellettieri. Talvolta accanto e fin dentro alle chiese sono sorte botteghe e mercati di “Venerandi Pellettieri, Benedette Pelletterie e Sante Cinture” più o meno taumaturgiche e utili con una frammistione incredibile fra Sacro e Profano … e notevoli guadagni (alcuni di quei “Sacri esercizi commerciali” sono esistiti per secoli e fin oltre la metà del 1900) ... I “Centureri e le Centurere della Madonna” finirono per acquisire significati diversi. Qualche volta poi, sull’onda di qualche “fanatismo devoto” le “Sante Cinture” si sono trasformate in speciali cinture borchiate o uncinate, cioè penitenziali “cilizi” capaci di mortificare e rodere il corpo oltre che lo Spirito.

Sempre con la stessa innocua malizia dovremmo costatare che la Madonna deve aver posseduto un gran bel fornito e variegato guardaroba per riuscire a “distribuire”in giro per il Mondo tutte quelle “Preziosissime e Mirabili quanto Sante Cinture”.

La Leggenda, anzi: le Leggende circa la Santa Cintura erano nutritissime, un vero condensato di Storia, Devozione e Tradizione. Raccontavano che la Santa Cintura inizialmente era apparsa dal desiderio di Santa Monica madre di Sant’Agostino d’imitare la Madonna anche nel modo di vestire. Nel “Manuale di Filotea” scritto dal Riva si può ancora leggere: “La pia Madre di Sant’Agostino Santa Monica fattasi vedova del consorte Patrizio, e risoluta a imitare Maria Santissima anche nell'abito, la pregò di farle conoscere come avesse vestito nei giorni della sua vedovanza, specialmente dopo l'Ascensione di Cristo al Cielo. La Beata Vergine non tardò a compiacerla ... Le apparve poco dopo coperta di un'ampia veste che dal collo le andava ai piedi, ma di stoffa così dozzinale, di taglio così semplice, di colore oscuro che non saprebbe immaginare abito più dimesso e penitenziale. Ai lombi era stretta da una rozza cintura di pelle che scendeva fin quasi a terra, al lato sinistro della fibia che la rinfrancava. Indi slacciandosi di propria mano la Cintura, la porse a Santa Monica raccomandandole di portarla costantemente, e d’insinuare tale pratica a tutti i fedeli bramosi del suo Speciale Patrocinio ...”

Il vestito “di grezza e semplice stoffa di colore scuro”(cioè l’abito penitenziale solitamente indossato dai Pellegrini Medioevali) indicava il disprezzo per il mondo, la rinuncia alla vanità del vestire, la volontà di mortificazione, e la disposizione a camminare fisicamente senza mai arrestarsi lungo i grandi Pellegrinaggi: Campostela, Roma, San Michele del Gargano, Terrasanta e Loreto … ma indicava simbolicamente anche un “cammino e una progressione interiore”fatto di Fede e Conversione.

La tradizionale Leggenda continuava poi a raccontare, che il “bellicoso quanto inizialmente incredulo … ma poi Sant’Agostino” figlio di Santa Monica fu il primo fra tutti ad indossare quella “Sacra Cintola” ricevendola da Sant’Ambrogio il giorno del suo Battesimo. Per questo la “Santa Cintura” divenne presto anche uno dei simboli distintivi dell’intero Ordine Agostiniano.
Nella fiorente letteratura Agostiniana si può leggere: “Maria Santissima è come una polla d’acqua che sgorga dalla terra e irriga tutto il suolo … Maria “che non conosce uomo” è Madre della debolezza umana e mortale del Cristo … e allo stesso tempo è anche modello per tutte le Vergini Cristiane”. Indossare o aver a che fare col “Santo Cingolo della Vergine”significava quindi condividerne e imitarne lo stesso “destino”.

Un’altra tradizione leggendaria “parallela” circa la “Santa Cintura della Vergine” ripresa e derivata forse dal “Transitus Mariae” testo apocrifo del V-VI secolo, raccontava, invece, che inizialmente l'Apostolo Tommaso giunto in ritardo a Gerusalemmedopo la morte della Madre di Dio, fece aprire la sua tomba per contemplarne le mortali spoglie. Aperto quindi il sepolcro non trovò nessun corpo mortale, ma soltanto la sua cintura perché la “Donna era stata Assunta in corpore al Cielo”… San Tommaso allora trattenne quel “venerabilissimo oggetto” che portò con se nei viaggi Missionari e di Evangelizzazione che intraprese in Siria, Mesopotamia, India e Cina … E’ esistito un documentato “interesse” per la Madonna della Cintura perfino inGiappone.

La “Santa Cintura” divenne per molti: “… uno dei simboli dell'umanità del Cristo Redentore e di sua Madre Santissima che tenendolo in braccio lo presentava-offriva all’Umanità”. L’immagine della Cintura indicava inoltre valori-legami simbolici che richiamavano “grande disponibilità e sottomissione, filiazione, intima corrispondenza e affidamento alla Vergine” in cambio di una protettiva Consolazione ... In continuità con questi concetti nacque in seguito anche “la moda” d’indossare “a vita” un “abitino benedetto” cioè uno Scapolare, oppure certe Medagliette Mariane considerate altrettanto “Benedette e perciò miracolose”, così come nacque e si diffuse l’immane tradizione del propiziatorio e quotidiano Rosario che si radicò grandemente nel Popolo Cristiano, soprattutto negli ambienti Ecclesiastici e Monastici, ma anche fra i Nobili e fin nel semplice ma devotissimo, laborioso e sempre disponibile Popolino.
Alla fine tutte quelle particolari consuetudini e Devozioni finirono spesso col confondersi, sovrapporsi, amalgamarsi e intercambiarsi fra loro in una continua proliferazioni di Madonne Vestite, e culti e rituali. Fra i tanti cito a puro titolo d’esempio: la Devotio per la Madonna del Rosario di Ottobre(di origine Nordica e Tedesca), quella per la Madonna di Pompei, quella del Carmine,o dell’Addolorata delle Sette Spade o Dolori… Ne esisterebbero tante altre secondo mille forme e declinazioni, fino alle più recenti Madonne di Lourdes, Fatima e Medjugorje(non me ne voglia nessuno, so che per alcuni/e questo è un argomento delicato e sensibilissimo … quanto controverso però).

“L’attenzione e la venerazione verso le “Sante Cinture” riuscì perciò per secoli nell’intento di unire simbolicamente Cielo e Terra, e l’Umano carnale, gestazionale e riproduttivo col Divino Salvifico durevole spalancato sull’Eternità oltre la Morte.”
Fin dal 1575 iniziò la consuetudine di celebrare l’annuale Festa della Madonna della Santissima Cintura nella prima domenica di Avvento nella stagione autunnale, poi la Festa con l’immancabile Solenne Processione divenne anche occasione di fiorenti e partecipatissime “Sagre e Fiere della Madonna della Cintura”, perciò si pensò bene di celebrarla in una stagione più favorevole. S’iniziò così a celebrare la Festa l’ultima domenica di agosto, subito dopo “le memorie” liturgiche e calendariali di Sant’Agostino e Santa Monica ... e nel “tempo favorevole” del raccolto, della prosperità e dell’abbondanza … considerati così: “doni della Madonna”.           

Sempre a cavallo fra Storia e Leggenda, si raccontava anche che la “Santa Cintola” si trovava a Costantinopoligià dalla metà del IV secolo, e che lì i Cristiani Greci celebravano a fine agosto una “Festa della Cintura della Madre di Dio”…. Nel 1205 poi da Costantinopoli la “Reliquia della Santa Cintura della Consolazione” sempre soggetta a furterie e ladrocini da parte di Ladri e Monaci fanatici, passò a Soissons in Francia, poi attraversò le Alpi scendendo in Italiae coinvolgendo inizialmente la comunità montana di Argentina Armea non lontana da Imperia in Liguria, dove sorgeva un Ospedale di Caritàfondato dai Canonici Agostiniani nel 1212, e dove si trovava una “speciale edicoletta” dedicata alla Madonna della Cintura. La “nuova Devozione” appetibilissima si espanse subito coinvolgendo i Comuni di Badalucco, Castellaro, Ceriana, Molini di Triora, Pompeiana e Taggia e poi si diffuse progressivamente in tutta la Riviera Ligure e fino a Genovadove nel 1473 apparve una Congregazione d’Osservanza titolata a Santa Maria della Consolazione… e della Cintura.

Anche a Maissananell'alta Val di Vara presso La Spezia dove un tempo passava un ramo dell'antica Via Romea, s’iniziò a celebrare la seconda domenica di luglio (presso la chiesa di San Bartolomeo della frazione di Tavarone dove vivevano certi Monaci Eremiti Agostiniani) una Devozione e una sentitissima e partecipatissima “Festa della Madonna della Cintura"portando in giro per tutte le vie del paese una statua della Madonna Cinturata… Il Generale Agostiniano Gerardo istituì, invece, a Rimini una Confraternita della Cinturanell’agosto 1439 in applicazione del decreto "Solet pastoralis Sedes" di Andrea Montecchio Vescovo di Osmio e Vicario Generale di Papa Eugenio IV ... Nello stesso anno, s’istituì pure una Confraternita della Santa Cintura anche nella chiesa di San Giacomo Maggiore di Bolognache iniziò così a elargire: “Bolle di concessione” per successive nuove fondazioni di Centurati della Madonna. San Giacomo Maggiore di Bolognadivenne così il punto autorevole di riferimento e d’emanazione di ogni seguente Cinturazione Mariana d’Italia.

Sempre a Bologna nella Cappella centrale della navata destra della chiesa Arcipretale di San Petronio si trova un affresco tardo-gotico della Madonna della Cintura e della Consolazione davanti alla quale sorse una Confraternita dei Quaranta Sacerdoti della Cintura d’ispirazione Agostiniana, e i Bolognesi si recarono spesso a invocare quella“speciale Madonna”soprattutto in caso di carestie e siccità.

Come avete già inteso, in questo e tanto altri modi simili, il culto della Santa Cintura si diffuse capillarmente un po’ ovunque in giro per l’Italia e l’Europa, soprattutto dove andava a insediarsi l’Ordine Agostiniano, e l’emblema della Santa Cintura o Sacra Cintola divenne tradizionalmente fonte e causa di numerosi miracoli e guarigioni da ogni forma di male, preservazione utile per ogni offesa, e motivo di conseguimento d'ogni genere di “grazie e favori Celesti”. 
I Papi accordarono a più riprese ai Sacri Sodalizi e Consorzi dei Cinturatila “Partecipazione ai Beni Spirituali propri dell'Ordine Agostiniano” ... A Pietro Re d'Aragona che supplicava Clemente X di offrirgli qualche speciale Indulgenza, il Papa rispose dicendogli d’indossare la “Sacra Cintura di Sant’Agostino”, e che in quel modo avrebbe potuto ottenere tutto ciò che bramava.

Si realizzò una statua della Madonna della Cintura nella chiesa di San Martino di Biassono non lontano da Monza … e un Oratorio con Confraternita della Madonna della Cintura a Calco nei pressi di Lecco in Lombardia … Un’altra “icona della Cintura” prese posto nel Santuario di Cusano Milanino, un’altra a Zogno nella bassa Valle Brembana Bergamasca ... Nella chiesa di Santa Maria Assunta di Oneta nella Bergamasca Val del Riso laterale della Val Seriana, un autore ignoto ha dipinto una Madonna della Cintura con Santa Monica e Sant'Agostino ... Un altro affresco della Madonna della Cintura si trovava sul crocevia di alcune strade che conducevano a Bellano, Margno e Casargo… e un altro ancora a Premananel paese di Taceno poco discosto da Pioverna nella Valsassina di Lecco ai piedi del Monte Muggio e del Cimone di Margno ... C’era e c’è ancora oggi un solitario Santuario della Madonna della Cintura a Pasturo nella Valsassina di Lecco ... In San Martino di Trarego Viggiona di Verbaniaper secoli appartenuta al Ducato Lombardo, si celebrava fin dal 1747 ogni prima domenica di settembre una Festa della Madonna della Cintura preceduta da un solennissimo Triduo attorno a un altare marmoreo con statua lignea della Madonna della Cintura.

Negli atti della Visita Pastorale del 1684 compiuta dal Cardinale Federico Visconti alla parrocchiale di San Martino e Sant’Antonio Abate di Fernonel Varesotto, si ricordava fra l’altro anche la presenza di una "Compagnia dei Cinturati sull'altare della Beata Vergine della Consolazione"risalente al 1647, con indulgenze, Messe quotidiane, lasciti testamentari e privilegi rilasciati da Papa Clemente XX… La Confraternita coinvolgeva aderenti e Cinturati anche da Cassina del Manzo, Samarate, Castelnovate, Solbiate Arno, Lonate Pozzolo, Cardano al Campo, Sant’Antonino, Vizzola Ticino, Casorate, Busto Arsizio, Somma, Cascina della Costa, Gallarate e altri posti ancora coinvolgendo più di 1500 persone fra gente comune, Sacerdoti, Mastri, qualche "Signore", e decine di Suore Claustrali dai Monasteri Lonatesi, 53 Monache da San Michele, 49 da Santa Maria degli Angeli, altre da Sant'Agata associate nel 1691, e altre ancora nel 1693 ...

Insomma: un ennesimo “gran movimento” attorno alla Madonna della Cintura.

Una Festa della Madonna della Cintura si celebrava a Oggiona sul corso dei torrenti Arno e Ria nella frazione di Santo Stefano presso Varese, importante crocevia fortificato collegato a Jerago e Orago ... e un’altra Festa uguale era di casa Rogolo presso Sondrio, e a Personico nel Canton Ticino Svizzero presso Leventina nella Regione delle Tre Valli ... A Prosto di Piuro, sempre nel Sondreese, nella chiesa dell'Assunta c’era una Cappella dedicata a Sant'Agostino con una statua della Madonna della Cintura e la presenza della Confraternita dei Cinturatidella Madonna risalente al 1660. La Confraternita fondata l’anno precedente da Padre Pietro Lanfranconi Vicario Generale dell'Ordine Eremitano di Sant'Agostino a Roma, e aggregata all'Arciconfraternita di Sant'Agostino e Santa Monica di San Giacomo in Bologna aveva come divisa un abito nero (si diceva: “come quello indossato dalla Madonna della Cintura”). Alla Confraternita competeva l'organizzazione della processione nella selva a Ca De Doni la prima domenica di avvento, trasportata nel 1661 da papa Alessandro VII alla festa dell'Assunta ... L'8 settembre e il giorno di Natale i Confratelli vendevano cinture in pelle di vitello o montone ... Nel 1785 l'attività della Confraternita si fece sporadica fino alla scomparire del tutto a metà del Novecento … Rimasero le bancarelle e le botteghe, e un prezioso Stendardo della Confraternita con la Madonna della Cintura in seta policroma ricamata in oro realizzato per 100 fiorini nel 1758-1759 dalle Suore del Monastero Agostiniano di San Giuliano di Como.



L’ennesimo dipinto con la “Madonna della Cintura” realizzato da Antonio Zanchi si trovava (c’è ancora) nella chiesa di Sant'Antonio Abate di Schio nel Vicentino … Una Confraternita della Madonna della Cintura e della Consolazione risalente al 1690 esisteva in San Michele Arcangelo a Sant'Angelo di Sala nel Veronese ripristinata con voto solenne dai capifamiglia del posto sul finire della Seconda Guerra Mondiale in riparazione e a richiesta di protezione dagli orrori e dalla devastazione della guerra. Celebrava una paesana Festa con sagra nella penultima domenica di agosto, e si muoveva in Processione col “Simulacro de la Cintura” per tutte le vie del paese … Sulla strada che da Pesinadi Caprino Veronese porta a Costermano sul Garda sorge un altare del 1400 dedicato alla Madonna della Cintura ... Una devozione alla Madonna della Cintura si celebrava nei pressi del Castello di Cassimberg a Cassacco vicino a Udine nel Friuli … e una Madonna della Cintura c’era anche a Coi di Zoldo Alto nel Bellunese dove nel 1732 i Regolieri Cadorini chiesero al Vescovo Domenico Condulmerdi poter erigere un altare in onore della Beata Vergine della Cintura ottenendone la concessione cinque anni dopo. La stessa devozione è testimoniata anche a Vinigo, Lorenzago e San Nicolò del Cadore.

A Mariano Valmozzola nel Parmense si celebrava una Festa e Sagra della Madonna della Cintura … Nella chiesa di San Lorenzo a Farneto Bolognesepresso San Lazzaro di Savena si celebrava a metà di settembre una Festa e Sagra legata a una miracolosa guarigione da un’epidemia di colera da parte della Madonna della Cintura verificatasi nel non lontanissimo 1855 … Una Cappella e Confraternita della Madonna della Cintura sorgeva a Lugo di Romagna presso Borgo Cento in località detta il Trivio o Trebbo luogo d’affari, scambi e scorrerie d’armati, dove i Lughesi fra 1335 e 1340 avviarono una “distinta”Devozione Mariana a Santa Maria Annunziata in una nuova Pieve di Santa Maria con ben quindici altari ! ... Una statua in legno del 1200 della “Madonna della Cintura” veniva venerata e “portata in giro a spalla” quando c’era bisogno di pioggia o sereno, o durante le non infrequenti siccità o carestie. Tardivamente, nel 1638, nella frequentatissima chiesa venne eretta la Confraternita della Beata Vergine della Cintura subito decaduta ma riavviata nel 1793 ... Un Confraternita della Beata Vergine della Sacra Cintura era presente nella chiesa di Santa Caterina di Concordia sulla Secchia di Modena almeno dalla seconda metà del 1600, ed era ancora più che attiva alla fine del 1900.

Spingendoci più a sud, in Toscana e nel Centro d’Italia: la Madonna della Cintolaè Patrona della cittadina di Quarrata di Pistoia ... C’era una Cintola della Vergine nel Duomo di Pisa e in diverse altre località della Toscana, ma anche in Umbriae fino ad Assisi… Superata la demarcazione della Roma Papale “caput mundi e della Cristianità”, si organizzò nel 1300 una Confraternita della Cintura a Campagna presso Salerno … Nel Quartiere Terra o Borgo Vecchio di Vico del Gargano presso Foggia durante tutto il 1700 e oltre fino a tutt’oggi, i Cinturati di Sant’Agostino e le Cinturate di Santa Monicache erano soprattutto contadini, popolani e artigiani aggregati da un Eremita Agostiniano che li aveva affiliati all'Arciconfraternita della Cintura di San Giacomo Maggiore di Bologna … uscivano ed escono in processione il Venerdì Santo guidati da un Priore.

In due località distinte di Palermo: in Santa Maria La Reale di Roccadove è sorta di recente (2005) una Confraternita dedicata alla Santa Maria della Grazia e della Cintura detta “La Reale”, e in San Nicola da Tolentinoè sorta fin dal 1853 un’altra “Cofràdia della Cintura e della Consolazione” fondata dagli Agostiniani, e formata tutta da donne laiche che … “officio degno degli Angeli”… conducevano un Simulacro Mariano ligneo processionalmente per le vie del quartiere di Palermo ogni quarta domenica del mese alle ore sei antimeridiane e nel giorno della Festa della Madonna della Cintura vestendo un abito di colore blu cupo di fior di lana guarnito di nastro rosso e con impronta sul petto di Nostra Signora della Cintura e Santa Monica stampata su seta bianca … Oltre all’omaggio floreale al passaggio della Processione, i Devoti della Madonna della Cinturadanno ancora oggi voce alle coralità canore e musicali della tipica "Abbanniata", ossia una serie di grida caratteristiche dei mercati rionali rivolte alla Madonna Cinturata propagatrice di Fortuna”.

I Congregati della Cintura cantano ancora oggi: "Trema l’infernu e trionfa Maria … Viva Maria … E comu matri ri Diu … Viva Maria … I Confrati vonno grazia ri tia … Viva Maria … E’ surdu e mutu cu unnu rici cu mia … Viva Maria … E a passu a passu putamu a tia …viva Maria". 

Basta … mi fermo … E’ stato, insomma, tutto un immenso via vai di Sante Cinture, Cintole di Maria e Sacri Cingoli“e chi più ne ha più ne metta”… in un’infinità di duplicazioni di ogni sorta della stessa Reliquia, e relazioni ripetute e variate di vicende e tradizioni fuse e abilmente tramandate insieme … Ovviamente, come ricordavo, tutti e ciascuno erano e sono convinti che la propria Reliquia sia quella originale, autentica, miracolosa e giusta.

Per questo solo adesso e alla fine di questo mio lungo curiosare e sproloquiare vi dico di Prato… che probabilmente “batte tutti” e primeggia fra tutti coloro che fanno riferimento alla Sacra Cintola o Sacro Cingolo o Cintura della Madonna. La città di Prato in realtà andrebbe nominata per prima per via dell’importanza e la primarietà che tutt’oggi rivendica e gli viene riconosciuta circa la venerazione e il culto della Santa Cintura ... Prato fatalità, è sempre stata città dedita alla manifattura tessile e pellettiera sulle quali ha costruito un po’ la sua fortuna. Andava proprio a genio a quelli di Prato, e capitava giusto a proposito quella particolare Reliquia ... Sta di fatto che la presenza di quella Cintola della Madonna ha segnato in maniera forte l’identità dell’intera città e delle sue vicende, che in un certo senso si sono coagulate attorno ai contenuti di quel singolare simbolo religioso-civile producendo una variegata committenza e realizzazione artistica che ha coinvolto artisti famosi come: Bernardo Daddi, Agnolo Gaddi, Giovanni Pisano, Donatello, Michelozzo, Mastro di Cabestany, Nanni di Banco, Filippo Lippi, Benozzo Gozzoli, Andrea della Robbia e Niccolò di Cecco del Mercia.



La così detta Cintola Mariana di Pratoè una sottile striscia di lana finissima lunga meno di un metro, di colore verdolino … “verde speranza”… tessuta insieme a broccato d’oro. Le Cronache della Santa Cintola di Prato raccontano:“All’apertura della cassetta si diffondeva un odore tanto soave che pareva fossero adunati diversi profumi, balsami, e fiori i più odorosi che riempivano l’intera chiesa.”… Per secoli, inserendovi alcuni fili prelevati dalla Sacra Cintola, i Pratesi tessevano dei veli che venivano posti sulle donne durante il travaglio del parto.

Secondo il “Racconto di Prato”: “… San Tommaso avrebbe lasciato la Sacra Cintola a un Sacerdote di Gerusalemme perché fosse venerata in una chiesa da costruire in onore della Madonna ... Per timore dei Giudei, però, l’edificio non venne mai costruito, e per secoli la Sacra Reliquia venne tramandata ai discendenti del Sacerdote.” Fonti diverse evincono: “… la Sacra Cintura era custodita a Gerusalemme fino a quando l’Imperatore Arcadio figlio di Teodosio il Grande se la portò a Costantinopoli ... L’Imperatrice Zoe moglie di Leone VI il Saggio guarì grazie a quella Reliquia, e per ringraziamento ricamò l’intera Santa Cintura con fili d’oro conferendole l’aspetto che mostra attualmente ...”

La Leggenda di Prato racconta e aggiunge ancora, che dopo la prima crociata verso il 1141, Michele Mercante e Artigiano di Prato della famiglia dei Dagomari, forse anche pellegrino per devozioni e affari a Gerusalemme dove sposò Mariadiscendente del Sacerdote a cui l’Apostolo Tommaso aveva donata la Sacra Cintura, portò a Prato al tempo dei Consoli Bonfantino, Ridolfino ed Errico di Rinuccio uno scrigno di giunco contenente il “Sacro e Miracoloso Cingolo”… La moglie “Donna Maria poverella”morì durante la perigliosa traversata Mediterranea … Solo nel 1172 però, il Mercante morente consigliato dai suoi amici e colleghi dell’Arte dei Pellicciai donò a Ildebrando o Uberto della Pieve-Prepositura di Santo Stefano Protomartire di Prato il “prezioso e santissimo manufatto” che avviò così lungo i secoli seguenti il culto e la venerazione della “Sacra Cintola” da parte dei Pratesi sempre entusiasti.


Dalla venerazione alle solennissime ostensioni periodiche il passo fu breve, e nacque così tutto un proficuo afflusso di Pellegrini, e un conseguente mercato di Cintole Sacre e profane insieme a ulteriori racconti di rocambolesche storie di furti come quello realizzato nel 1312 dal Pistoiese Giovanni di Ser Landetto detto Musciattino ... forse commissionato dall’invidiosa Firenze che mirava a controllare il successo economico e politico di Prato sempre invasa dai Pellegrini. Racconta la Tradizione: “Il Servitore della Pieve, Canonico e Chierico Secolare rubò la Reliquia del Sacro Cingolo uscendo da Prato e perdendosi nella nebbia che avvolgeva la campagna circostante … Credendo d’essere già giunto a Pistoia, senza rendersene conto era tornato, invece, al punto di partenza perché la Santa Reliquia non intendeva lasciare la città di Prato ... Arrivato alle porte della città gridò: "Aprite ! … Aprite Pistoiesi, che ho la Cintola de' Pratesi!" ... Venne così catturato dai Canonici del Capitolo di Prato che lo processarono sommariamente condannandolo … e fu così che dopo essere stato legato alla coda di un asino, venne condotto sul greto del vicino fiume e bruciato sul rogo ...” e la Santa Reliquia fu salvata.

Altro furto sacrilego tentò Messer Gherardo Canonico della Cattedraleche per tre notti consecutive provò a rubare la Reliquia Prodigiosa rimanendo imprigionato nel Duomo incapace di uscire per portarla a Pistoia. Appena rimossa dall’altare la cassettina d’avorio divenne cieco  … Infine, anche lui venne catturato e condannato “a morte vituperosa” tagliandogli le mani in piazza, e bruciandolo pure lui sul greto del Bisenzio ... Quanti roghi !

In parallelo però, personaggi come Bartolomeo di Pietro Nerucci nel 1400, e l’erudito settecentesco Amadio Baldanzi nel 1700 narrarono diversi prodigi “generati” a Prato dal Sacro Cingolo: “Nell’agosto 1173 Donna Gualdrada vessata da tre Diavoli del Demonio venne portata in Santo Stefano dove le venne imposta la teca della Sacra Reliquia ... Il Demonio contrariato protestò a un Canonico della Cattedrale: “Non portare codesta cassetta con la Cintura della vostra Maria contro di me, perché grande virtù esce da quella, la quale me grandemente incede et di questo corpo mi scaccia, et in esso più non mi fa dimorare …”

Tre anni dopo giunse da Treppio nel Pistoiese un’altra “indemoniata rustica”: Maria, capace di parlare anche in Latino ... La potenza della Sacra Cintola ovviamente la liberò, e nell’occasione “il Diavolo fuggendo” diede fuoco alla casa del Proposto del Duomo dove si conservava la Reliquia che però rimase miracolosamente integra ... Una croce d’argento posta sopra il Sacro Cingolo prolungò di un mese la vita di Cammilla figlia di Michele Guizzelmi gravemente malata … Nel settembre 1293 giunse a Prato il fanciullo fiorentino Benedetto posseduto pure lui dal Demonio, e accompagnato dal padre Bonafé ... Su di lui non funzionava l’aspersione con l’Acqua Benedetta, ma al cospetto della Sacra Cintura uscirono subito fuori dal suo corpo ben diciannove Diavoli … l’ultimo dei quali se ne uscì dissimulandosi sotto una voce angelica e provocando numerosi complicazioni nella Cattedrale ... Quando nel 1787, in applicazione delle indicazioni deSinodo di Pistoia di stampo Giansenista si tentò di contenere e contrastare l’eccessivo culto delle Reliquie progettando di rimuovere dalla Cattedrale l'Altare del Sacro Cingolo, la popolazione di Prato insorse attaccando e smantellando in Duomo la Cattedra episcopale di Scipione de' Ricci Vescovo di Prato e Pistoia, e saccheggiando e danneggiando il suo palazzo. Per calmare gli animi e contenere il tumulto cittadino dovettero intervenire le truppe Granducali di Pietro Leopoldo che considerava il “Culto della Cintola”: una gran superstizione … In ogni caso il Vescovo Scipione dei Ricci dovette dimettersi dal suo incarico.

Termino questo mio “eterno pistolotto” ricordando una recente curiosità: nell’ottobre 2011, la “Hagìa Zoni” cioè la “Santa Cintura della Vergine”proveniente dal famosissimo Monastero di Vatopedi sul Monte Athos in Grecia dove è stata conservata gelosamente e venerata per secoli, è giunta a San Pietroburgo e Mosca in Russia percorrendo un tour di oltre 13 città accompagnata da 20 Monaci Ortodossi e Athoniti. In quell’occasione “la Sacratissima Reliquia della Madonna” ricevette la visita di circa 2 milioni di persone soprattutto donne … Peccato che quella Santa Cintura“tessuta da Maria in pelo di cammello” non fosse la stessa di Prato in Italia ... ma era ancora una volta un’altra … La sua Leggenda racconta che dopo essere stata conservata nel Palazzo imperiale di Costantinopoli, venne rubata nel 1300 da un Re di Bulgaria, e in seguito donata dopo alterne vicende al Monastero di Vatopedi dal Principe Lazzaro I di Serbia. Anche i Monaci Athoniti e Ortodossi per secoli hanno offerto pure loro insieme al “Culto per la Santa Cintura” una profusione di “cinture benedette”precisando sempre che l’intercessione della Vergine aiutava a curare l’infertilità femminile … Ecco quindi che riaffiora ancora quel concetto della Madonna protettrice della fertilità delle donne e tutrice del connubio matrimoniale … E’ lo stesso contenuto e significato delle doti offerte alle Buranelle dal Quadernier degli Eremitani Agostiniani della Cintura di Venezia.



E’ molto interessante notare che i Russi di oggi hanno dichiarato che quel recente peregrinare di quella strana Reliquia poteva essere utile per promuovere una rinascita demografica e spirituale della società Russa, e un recupero dei tradizionali valori familiari …
Riecco quindi un’altra conferma ! … Torna e ritorna a presentarsi in contesto del tutto diverso quell’idea benefica “dell’incinta-cinta e cintura”legata alla protezione della gestazione, e al “provvido beneficio della Madonna Cinturata” esercitato per secoli sull’intera Umanità.

Il Misterioso Sacro in un modo o nell’altro torna quindi ancora a irrompere, incrociarsi e confondersi col ProfanoUmano che sembra non sapere prescindere assolutamente da lui ... Fatalità e pura casualità, ieri mattina (10 marzo 2018) ho visitato in San Giacomo Maggioredi Bologna i famoso Altare della Madonna della Cintura da cui sono “figliate” le Confraternite della Cintura e i Cinturati e le Cinturate di tutta Italia … Davanti ai miei occhi ho visto un mesto altare dismesso, opaco, polveroso e disadorno … Non c’era nessuno, neanche un Centurato o Centurata della Madonnadi passaggio … solo un Monaco Agostiniano piazzato dietro a una bancarella poco distante, e tutto intento a frugare e “cincionàre” nel suo fiammante cellulare.

Sono cambiati di certo i tempi … e anche questo è Storia della Madonna della Cintura.



“Il brutale saccheggio dei Francesi a Burano all'inizio 1800.”

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“Una Curiosità Veneziana per volta.” – n° 167tratta dal Capitolo 11: “Lampi da Burano nel 1800” dell’autobiografia:“Buranèo … e Prete per giunta” di Stefano Dei Rossi.

“Il brutale saccheggio dei Francesi a Burano all'inizio 1800.”

Un visitatore Americano a Venezia durante il 1800 scriveva: “I Veneziani sono gente in lutto … generalmente ostili e sospettosi con gli estranei e odiosi verso qualcuno … Sono gente misera e ridotta, dallo sguardo angusto …”
Nella sua stringata analisi il viaggiatore non aveva tutti i torti, anche se i Veneziani e i Buranelli con loro avevano un “qual certo perché”.



All’inizio del secolo napoleone aveva cancellato insieme a tutto il resto anche la Magnifica Comunità di Burano“liberando ed emancipando i Buranelli”… diceva lui, anche se era un’opinione quasi del tutto soltanto sua. In realtà l’omino storico aveva messo in atto un volgare quanto brutale saccheggio, una sciocca cancellazione di uno “Stato Civico e di un tessuto sociale”, di un’intera cultura insomma, le cui abitudini e tradizioni erano maturate e s’erano perpetrate nei secoli dei secoli.

Gli invasori francesi all’inizio del 1806 organizzarono il Dipartimento dell’Adriaticodistinguendolo in tre Distretti posti ciascuno sotto l’egida di un Prefetto: Venezia, Chioggia e Burano vennero amalgamati insieme riassumendo 34 Comuni.

Burano col suo circondario di 8.000 residenti divenne Comune di 2 classe con giurisdizione su 16 Comuni fra i quali c’erano: Torcello con 200 abitanti, e Mazzorbo con 267. Nel 1808 il Delegato del Circondario di Burano era il Dottor Bernardo Molin… mentre la “flottiglia” della Guarnigione Francese in Laguna di stanza a Burano era affidata al Tenente di Vascello Chasserian che governava quattro Piroghe denominate: 8-26-27 e 85 ormeggiate al Monte dell’Oro… Nell’isola di Burano si contavano 1.165 case appartenenti a 632 proprietari, 54 botteghe artigianali, 2 osterie, 3 forni, 12 squeri, 18 magazzini, 69 orti e 14 vigne … e i Buranelli.

Alla fine di luglio dello stesso anno venne tolto a Burano il secolare titolo di “Magnifica Comunità” conferitole dalla Serenissima fin dal 1200: all’isola non venne più riconosciuto quel particolare ruolo Lagunare che l’aveva fatta prevalere su Torcello.  napoleone ritenne tutto obsoleto e inutile, fece scalpellare via ovunque nell’isola i “Leoni Marciani”, e provvide a un “moderno riordino” che si concretizzò soprattutto nella prepotente soppressione di Monasteri, Claustri, Conventi, Oratori, chiese, Confraternite, Istituti Pii e Schole laiche di Devozione e Arte-Mestiere … Quasi tutti coloro che abitavano e formavano questi enti vennero malamente buttati in strada, privati degli abiti da Religiosi, trasferiti altrove ... o più semplicemente: dispersi e mandati a casa propria ... ammesso che ne avessero ancora una.


Il Commissario Broggi nel famoso Verbale n°1252 dell’08 agosto 1806 titolato: “Distinta dei bronzi e argenti, posate e suppellettili preziose contenute nell’infrascritti cassoni dal 01 al 16 incluso.” riferiva per iscritto quanto aveva diligentemente razziato anche nella Chiesa di San Martino di Burano raccogliendolo il tutto in un gran cassone numerato: “16” da trasportare a Venezia: “Una Croce Granda con pedestallo il tutto ridotto in pezzi perché misto con rame, ferro e legno: li pezzi d’argento sono once 85 nette … Una Croce piccola animata in legno dal peso di 19 once lorde … Una lampada con catene di rame dal peso di 65 once lorde … Due candelieri disfatti in 10 pezzi dal peso di 64 once nette … Una Pace con metal dal peso di 18 once lorde … una detta dal peso di 5 once nette … tre pezzi di catenella che pesano 5 once nette.”… magro bottino tutto compreso !



Precorrendo i tempi difficili realizzati dai Francesi, già nel 1799 s’era pensato di chiudere in isola la Scuola del Sacro Nome di Gesù(con Mariegola del 1516) e la Veneranda Scuola di Sant’Andrea e San Giuseppe(fondata circa nel 1653)… Poi d’un colpo solo, come per “una passata d’inzuppata spugna”, si fece scomparire in fretta la Schola dei Pescatoridi Burano ospitata nella sala superiore dell’Ospedaletto di San Martino che divenne in seguito l’Oratorio di Santa Barbara… Giunsero al termine della loro storia secolare pure la Schola della Beata Vergine della Concezione (ossia quella che aggregava i Centureri della Madonna di Burano. Rimangono ancora due registri molto interessanti delle “Entrate ed Uscite della Schola”); venne soppressa la Schola di San Martino sorta nel 1682; la Schola delle Anime del Purgatorio(ha lasciato un unico “Registro dei ricoveri della Schola”); la Schola di San Nicolò e Sant’Antoniodalla quale i Francesi prelevarono cioè rubarono: “… un Giglio d’argento del peso di 7 once nette …”;la Schola e Suffragio dei Morti; e la Schola di San Rocco che gestiva il primo altare in chiesa entrando a sinistra, dal quale i Francese predarono tutta una serie d’oggetti: “… una lampada mezzana del peso di 80 once nette … una statua di getto di San Sebastiano dal peso di 90 once nette … una detta di lastra rappresentante San Rocco del peso di 55 once nette … due bordoni con cappellini del peso di 19 once lorde … un paio di stivali del peso di 14 once nette … una Corona da capo del peso di 6 once nette … un diadema ad uso della statua di San Rocco dal peso di 2 once nette…”

Che ve ne pare ? … Burano pur essendo un’isoletta non mancava di certo di storiche e partecipate realtà aggregative.
E non fu tutto …. Venne soppressa e chiusa anche la Schola del Santissimo Rosario(fondata nel 1621) che possedeva in San Martino una bella Madonna vestita”e tutta una serie di oggetti che il Commissario Francese raccattò e prelevò elencandoli ancora una volta diligentemente: “Una Croce con anima de legno del peso di 40 once lorde … Quattro candelieri ridotti in 20 pezzi del peso di 118 once nette … Una lampada grande del peso di 144 once nette … Tre lampade piccole del peso di 44 once nette … una Pace disfatta del peso di 12 once nette … una Corona da capo dal peso di 14 once nette … una detta piccola dal peso di 6 once nette … un piccolo Globo dal peso di 1, ½ once nette … uno Scettro di foglie d’argento con legno che pesa 3 once lorde … quattro piccoli Reliquiari animati di legno per un totale di once 52 lorde …”



La stessa Schola del Rosario comunque “mai spenta del tutto”, attestava ancora nel 1885 di continuare a lucrare in qualche maniera delle numerose "Indulgenze concedute dai Sommi Pontefici alli Confratelli e Consorelle della Compagnia del Santissimo Rosario di Burano"… Sono duri da “forgiare e mettere sotto” i Buranelli …

Rimase attiva in isola, come ovunque in giro per Venezia e l’Italia, la sola Schola del Santissimo o Compagnia del Corpo del Signore o del Corpus Domini che annoverava 400 iscritti tutti di Burano. Sopravvisse allo sfacelo generale perché considerata un’Associazione “d’utilità sociale”: si occupava, infatti, del sostentamento dei numerosi poveri dell’isola gestendo la Fabbriceria delle chiese di San Martino e Santa Maria delle Grazie. In realtà amministrava scarsi beni rimasti e le modeste offerte dei pescatori Buranelli appena sufficienti a mantenere attivo il culto con le sue attività collaterali. Fra le altre cose, la Schola del Santissimopagava per mantenere accesa giorno e notte la lampada accanto al Tabernacolo in chiesa, accompagnava “il Sacramento”a casa dei Buranelli infermi concedendo specifiche indulgenze, e si occupava dell’insegnamento della Dottrina Cristiana a 300 maschi e 350 femmine … I filo Francesi commentarono:“…tutto compreso la Schola male non fa ai Buranelli”… e forse neanche s’accorsero dei danni indiretti che provocò sulla fragile economia dell’isola la cancellazione della presenza secolare dei Monasteri, Monache, Preti e Chiese. Attorno a loro, infatti, s’era creata tutta una fitta rete di servizi e una serie di forme di sussidiarietà reciproca che erano state espletate e alimentate per secoli … Insomma: tutte quelle grandi e piccole realtà Religione ed Ecclesiastiche in maniera più o meno indiretta avevano contribuito a dare anche da vivere a parecchi dell’isola.



I rappresentanti dei Francesi provvidero inoltre a inventariare scrupolosamente tanti altri beni presenti a Burano: “In “Contrada de Cào Molèca” si registrò al n° 214 una casa con bottega della Comunità di Burano … c’erano accanto le case con bottega e corte di Giovanni e Bortolo Gianolla detti: “Fòlpo”; poco distanti c’erano quelle di Giuseppe Baronzelli, Bernardo Vidali, Giovanni Basadonna, Nicola Mioni detto: “Speziale”, Francesco Rossi detto: “Cùcola”, Marco Tagliapietra detto: “Sùcca”, Antonio Orio detto: “Stramassèr” e di Liberale Costantini detto: “Bacièri” ...  Nella “Contrada della Piazza” davanti alla chiesa Parrocchiale sorgeva il Cimitero del Comune di Burano … Mentre nella Contrada o Càvo dei Morti c’erano altre case con bottega e corte di Giovanni Trevisan detto: “Cimiliàn”, di Gaetano Antonelli, Girolamo Baffi, Andrea Corner, Giovanni Gianolla e l’orto, casa e osteria di Angelo Toselli detto: “Pèrla” ... Al n° 525 c’era la casa ad uso caserma del Demanio Militare, e gli immobili del Prete Angelo Basadonna (possibilmente da incamerare e vendere) ... Nella Contrada di Gòtolo e Rio Piccolo: al n° 610 c’era la casa con bottega del Prete Giovanni Bressanello detto: “Muzionzìni” (possibilmente da incamerare e vendere), e al n° 616: la casa con bottega di Giorgio Bernarche … In Pontinello e San Mauro: c’erano lo Squero di Giovanni Minio detto: “Fèrro”, e le case con bottega di Albano Gianolla detto: “Fabbro”, di Francesco Trevisan detto: “Sècco”, di Maria Tagliapietra detta: “Marùssa”, di Giuseppe Pedrocchi, e la “Casa da Massaro” già passata al Demanio Militare come la casa al n° 841 divenuta Caserma del Ministero della Guerra ... Nella Contrada di San Vito sorge la chiesa di San Vito della Vigna con i vari luoghi annessi, al n° 1060: la casa ad uso Carceri della Comunità di Burano; al n° 1061-1062: la Sede del Demanio Militare; al n° 1073: una casa e luogo terreno ad uso Oratorio; al n° 1090-1091: edifici del Demanio e del Ministero della Guerra utilizzati da Zerbo come fortino; e al n° 1245: casa con bottega e corte di Maria e Bernardo Buono detto: “Spezièr”… Infine nella Contrada della Zuecca di Burano sorgeva: il Monastero, Chiesa, cavana e una casa appatenuti alle Reverendissime Monache Cappuccine di Santa Maria delle Grazie che sono tutti da vendere …”



Nel luglio 1810 Don Giovanni Trevisan Piovan de Buran chiese e ottenne da Domenico Orlandini Vicario Capitolare della Diocesi di Torcello d’interessarsi presso il Ministero del Culto perché le Reliquie di Santa Barbara e San Sisino Martiri venissero preservate da eventuali atti sacrileghi dovuti alla desolazione e all’abbandono in cui versavano i luoghi di San Giovanni Evangelista di Torcello trasferendoli nella Parrocchiale di San Martino di Burano ... Alla fine del gennaio seguente le autorità civili accolsero la proposta del Piovano di Burano disponendo per la “traslazione dei corpisull’altar deSan Roccodella suddetta Parrocchiale di Burano”... Le lungaggini dell’attesa furono dovute al fatto che si tergiversò non poco con una richiesta di pagamento rivolta ai Buranelli per ottenere l’artistico altare dedicato alla Santa (è l’attuale altare dell’Oratorio di Santa Barbara) ... Ogni occasione era buona per far soldi per i Francesi.

Di nuovo alla fine del gennaio 1815, si provvide a stilare un nuovo dettagliatissimo: “Elenco dei locali ed orti da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezia nei giorni d’asta 12 e 16 febbraio seguenti.”


Per quanto concerneva Burano, si elencavano aln° 15 della lista: “Monastero delle Cappuccine di Burano: locale, chiesa, tre orticelli, e una casetta.”… al n° 41: “Monastero dei Santi Mauro, Vito e Modesto di Burano con magazzeno al n. 113 di Calle San Mauro”… dal n° 73 al n° 76 si elencarono le proprietà della Schola del Rosario di Burano: “ … una caxetta al n° 58 di Calle della Comunità di Burano affittata a Seno Antonio detto: “Garùzolo” per 14:736 annue … un’altra caxetta al n° 146 di Calle Basadonna affittata a Calesseri Liberal detto Molin per 13:00 … una caxetta al n° 207 di Calle Gianella affittata a Vidà Bortolo per 13:304 … e una caxetta al n° 403 di Calle Carabba affittata a Moro Gianni Albano per 15:350”.

Ancora al punto n° 77 della “lista di messa in vendita”si segnalavano: “… una caxetta terrena al n° 270 di Calle Amadi … una stanza terrena al n° 285 di Calle Gallizzi affittata a Carlo Gibaldo per 12:280.” Erano immobili appartenenti alla Schola della Concezione di Burano alla quale s’era provveduto a sequestrare cinque-sei oggetti preziosi frammentati in diversi pezzi.

Ai punti n° 79-80 della stessa lista si elencava: “una caxetta terrena al n°96 di Terranova affittata a D’Este Lorenzo per 40:116 … un’altra caxetta terrena in Fondamenta del Duomo affittata a Rossi Filippo detto: “Malcotto” per 13:00 …” Questi erano tutti edifici appartenenti alla Schola di Sant’Alban di Burano:

Dal n° 81 all’84 si numerava ancora: “… una caxa al n° 27 di Terranova affittata ad Alban Vito detto: “Chinetto” per 7:972 … una caxetta al pian terreno al n° 33 di Calle Frane … una stanza terrena al n° 196 di Calle Gianella … una caxetta in Terranova al n° 226 …” tutte ex proprietà della Schola del Suffragio dei Morti di Burano.

Al n° 85 si segnalarono: “… una stanza terrena in Contrada dei Morti e una caxetta in Contrada del Duomo affittata per 13:00 a Pietro Pippa ...”cose tutte della ex Schola Oratorio di San Silvestro di Burano dalla quale s’erano prelevate anche: “… due piccole lampade, due angioletti dal peso di 5 once nette, e un piccolo Reliquiario da 4 once nette …”

Al n° 86 e 87 c’erani i beni in vendita appartenuti alla Fraterna dei Poveri di San Martin de Buran, ossia: “… una caxetta al n° 225 di Terranova affittata per 15:964 a Liberal Memo, e una casa e bottega al n° 230 della Contrada della Vigna affittata a De Dominici Bortolo per 61:402 ...” (La Pia Fraterna possedeva inoltre un ingente patrimonio costituito da preziosi argenti e opere pittoriche prodotte anche da Cima da Conegliano, Paris Bordon, Maganza e Loth, e gestiva ancora nel 1804 un “Legato Fiscer” e i lasciti testamentari di Nicolò Sagredo Vescovo di Torcello).

Infine … quasi in calce dello stesso elenco al n°88, si segnalò che in una zona adiacente a Burano c’era:“… una caxetta che è stata della Schola del Rosario di Mazzorbo situata al n° 25 presso la chiesa Vecchia di Mazzorbo, affittata a Giovanna Goattina per 19:034 annui”.


Una domanda forse banale da parte mia, ma che credo pertinente e forse un tantino curiosa:“Quanto avranno offerto e di quanto si saranno privati i Buranelli lungo i secoli per mettere in piedi e incrementare tutto quell’ingente patrimonio mantenendo vive tutte quelle forme aggregative ?”

Ve li immaginate poi i Buranelli e le Buranelle di quel tempo costretti a subire tutte quelle angherie, e a vedersi privati di tante cose che faticosamente avevano messo in piedi, realizzato, conservato e tramandato lungo i secoli ? … Io provo a pensarli … quasi quasi ne intravedo e indovino le facce bellicose e arrabbiate … Qualcuno/a avrà di certo stretto i pugni e si sarà trattenuto dal prendere qualcun altro per i capelli come mi è capitato di vedere in isola durante la mia infanzia.


Poi a Venezia e in Laguna, e perciò anche a Burano giunsero gli Austriaci ... ma questa è un'altra storia.



“L’uragano del 25 settembre 1867 a Burano … e altro.”

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“Una Curiosità Veneziana per volta.” – n° 168
tratta da: “Lampi da Burano nel 1800” cioè il Capitolo 11: di “Buranèo … e Prete per giunta”-autobiografia di Stefano Dei Rossi.

“L’uragano del 25 settembre 1867 a Burano … e altro.”

Circa verso metà 1800, Don Jacopo Modenato Piovan de San Martin de Buran, si prodigò per rinnovare la pericolante navata centrale della chiesa conservandone però l'antica architettura. Sempre lui fu fra i firmatari di una Petizione al Governo Austriaco per far abolire la Commissione per la gestione degli ex beni Capitolari ed Ecclesiastici ridotti ormai ad un terzo dell’originale ... In quegli stessi tempi, il Reverendo Don Celestino Pittoniera Ispettore Scolastico della Forania Lagunare che annoverava: le Parrochie di Santa Maria Assunta di Torcello, San Michele del Quarto,San Martino di Burano, San Giovanni Battista di Cavazuccherina(Jesolo), Santa Maria Concetta di Grisolera(Eraclea), San Magno delle Tre Palade(Portegrandi), San Pietro e Caterina di Mazzorbo, Santa Trinità di Treporti, Santa Maria Elisabetta del Cavallino, Santo Stefano di Caorle, Santa Resurrezione di Ca’ Cottoni e Santa Maria e Donato e San Pietro Martire di Murano.

A Burano s’erano fondate e tenute attive e aperte solo la I° e la II° classe delle Scuole Elementari Maschili e Femminili: c’erano due scuole distinte per bambini e bambine con due appositi Insegnanti: uno era “Supplente”con un assegno annuale di lire 460, e Antonio D’Este, invece, era “Titolare”percependo un assegno annuale di lire 600 ... A volte gli Insegnanti Supplenti provenivano da città lontanissime come: Verona, Brescia, Pavia, Udine e Catania ... La Scuola funzionava 172 giorni l’anno: da ottobre a luglio, quattro ore e mezza al giorno: due ore e mezza al mattino dalle 10 alle 12 e 30, e due ore il pomeriggio dalle 14 alle 16 con orari leggermente diversi durante il periodo invernale … 
Quel che è interessante notare è chela Scuola era frequentata quasi da nessuno: i ragazzi lavoravano in barca “da pescatori” fin dalla più tenera età, e le ragazze si davano da fare per casa. Con grande fatica nel 1872 si arrivò alla frequenza saltuaria di una ventina in tutto fra bambini e bambine provenienti da ogni parte della Laguna. Erano solo il 15% del totale dei nati in età scolare che nel Comune di Burano era di almeno 160 unità … Solo all’inizio del 1900 i bimbi frequentanti divennero: 70 ossia il 30% sui 220 in età scolare. Qualche anno dopo ancora, i Buranelli e Buranelle che frequentavano la Scuola erano: 107 alunni maschi divisi in 2 classi, e 92 femmine riunite in un’unica classe …

Pensate: una classe di 92 bambini ! … Quale metodo avrà utilizzato il Maestro ? … e come avrà fatto a catturare la loro attenzione mantenendo un minimo di disciplina e organizzazione ?

Erano altri tempi però … Esisteva un altro modo di percepire l’Autorità, e di certo un’altra maniera d’interessarsi e approssimarsi alla Cultura e all’Educazione.
Francesco Zanotto nel 1858, nella “Nuovissima guida di Venezia e delle isole”scriveva fra le altre cose circaBurano: “… Quantunque non molto estesa, è però popolatissima noverando da oltre 8.000 abitanti; parte Marinai, parte Pescatori e parte Ortolani usi alle fatiche e all'industria ... Alcune delle sue donne girano per Venezia acquistando e rivendendo cenci e vecchie vestimenta ... Molte però intendono al lavoro de' Merletti detti “a punto in aria” celebratissimi; dalla quale industria, un tempo, ne veniva molto utile all'isola. Il dialetto, o meglio l'accento particolare di Burano, distinguesi su tutti gli altri delle isole e di Venezia, dacché son pronunziate le vocali allungandole e addoppiandole ... Le fabbriche son qui gremite e più gentili che nelle altre isole, ne ha che una sola chiesa Parrocchiale dopo che si soppressero tre Monasteri … Dista da Venezia intorno a cinque miglia; un miglio da Torcello …”


Fra un’alta marea e un’altra degli anni ‘60 venne soppresso il Porto Franco di Burano, e comunque Venezia continuò a versare all’isola per 10 anni un sussidio annuale di 17.000 lire ... Poi un improvvido tornado si rubò per sempre l’Angelo del campanile di San Martino di Burano, devastando l’intera Laguna e parte del Litorale. Nella “Gazzetta di Venezia si poteva leggere al riguardo: “Riassumiamo le notizie che abbiamo circa gli infortuni avvenuti in seguito all’uragano di ieri sera. Tre potenti trombe marine hanno in brevi istanti, circa alle 6 pomeridiane. Compiuto la loro opera devastatrice alla Rana presso Mestre, e successivamente nei paesi di Chirignago, Carpenedo, Campalto, Mazzorbo e Burano. Crollarono varie case, furono abbattuti i pali del telegrafo, schiantati molti alberi e fatalmente rimasero morte cinque persone e varie ferite. La gragnuola potè misurarsi in grani di una grandezza, che a memoria d’uomini non si ricorda ...
A Campalto, l’osteria restava danneggiata, oltrechè parecchi capanne di paglia sarebbero state completamente distrutte. Nel circondario di quel paese una barca di contrabbandieri andava sommersa ... A Mazzorbo la sentinella di Finanza che se ne stava sugli spalti entro la garretta fu trasportata nel paludo sottoposto ... Il più terribile dell’uragano si è scatenato sopra Burano: moltissime case dalla parte verso la Fondamenta Nuova furono ridotte ad un mucchio di sassi, e le rimanenti in quel punto rimasero senza tetto.
Quello che è più doloroso sono le molte vittime che si hanno a lamentare. Furono estratti dalle macerie sette cadaveri, tre individui mortalmente feriti, e dodici circa leggermente ... La truppa, la Guardia Nazionale e tutti i cittadini si prestarono con uno zelo esemplare sotto l’imperversare del temporale: molti dei feriti furono portati al nostro ospitale … La Laguna tempestosa non permise che si avessero le nuove sino a questa mattina … Anche ora le barche possono venire a Burano, ma pel vento contrario è assai pericoloso l’andarvi … Il Regio Prefetto appena ricevuta la notizia del disastro fece allestire un apposito vapore delle Marina Militare e si recò nell’isola per prestarvi i primi soccorsi, e dare gli opportuni provvedimenti ad attenuare una così grave sciagura … In città abbiamo soltanto alcune piante rovesciate in Campo Rotto, e un camino danneggiato in Calle Larga San Marco ...”

Il giorno dopo sul turbine del 24 settembre 1867, scriveva sempre la stessa “Gazzetta di Venezia”:“… raccogliamo i seguenti ragguagli da notizie ufficiali pervenute da Burano. Abbiamo ricevuto il numero preciso delle case rovinate dall’uragano di martedì sera: sono completamente cadute 42 case, sono da atterrarsi altre 28, hanno il tetto sconnesso e sofferto parziali guasti altre 140 case … Le barche fracassate furono in tutto: 50 … L’uragano ha colpito anche Treporti Frazione del Comune di Burano. Ivi pure sono a lamentarsi tre vittime, cioè: Alessandro Zanella d’anni 54, Antonio Zanella d’anni 25 e Luigia Mavaracchio d’anni 19 i quali riparatisi sotto un casono che investito dal tifone rimasero morti oltre a parecchi altri feriti. Siccome nei tre cadaveri non si riscontrarono lesioni corporali assolutamente mortali è a supporsi che la stessa colonna d’aria del turbine possa aver agito o mediante soffocazione o ammaccando profondamente i visceri nobili da farne conseguire la morte ... Le tre vittime del Comune di Mestre sono Giovanni Andreatta d’anni 67, Pasquale Busso detto Guòn di anni 60, e Giovanni Brusson d’anni 14. Essi morirono schiacciati sotto le macerie di case abbattute dall’uragano ... Il Regio Prefetto ieri visitò tutti i luoghi del Distretto di Mestre che furono colpiti dall’uragano, recando da per tutto parole di conforto e lasciando lire 200 per i più immediati bisogni ...”

In definitiva quello fu uno storico quanto tragico sconquasso, che turbò non poco tutte le genti della Laguna e della Terraferma, oltre e soprattutto quelle di Burano.



In quello stesso 1867, il Piovano di Burano fece la conta di 5.897 Buranelli di cui almeno 300 considerò: “Reprobi e Inconfessi” … Per fortuna che c’erano anche altre 3.600: “Anime da Comunione” … Nello stesso resoconto si segnalò anche che in isola esercitavano: tre Barbieri, diciassette Barcaroli proprietari di barca, nove Calzolai, tre Fabbri, otto Falegnami, due Finestreri, un Imprenditore, un Materassaio, un Murèr, e un “Paste da minestra” che corrispondeva alla Ditta D’Este Eugeniodetto: “Manèsse” figlio del defunto Antonio, che produceva con un unico operaio: 3,9974 kg di pasta. Non riusciva tuttavia a tener testa e reggere alla concorrenza degli altri produttori lagunari dotati di maggiore forza motrice e capaci di migliore produzione … Sempre in Burano c’era attiva una “macina da pino”, lavoravano tre Prestinai, un Lavoratore in vimini, sei Bettolierio Bettolini, un Biade-Granaglie Coloniale, sei Caffettieri, sei “legna-carbone”, due Fornitori de Commestibili, un unico Farmacista, quattro Fruttaroli-Verdurai, due Vendiotori di liquori, due Macellai e Becchèri, tredici fra: Osti, Tavernieri e Rivenditori di vino sfuso, e dodici Pizzicagnoli e Salsamentariper servire ad ogni necessità dei Buranelli.

E per oggi … basta così su Burano e dintorni.



“Strano connubio fra Burano e Santa Marta di Venezia.”

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“Una Curiosità Veneziana per volta.” – n° 169 tratto dal Capitolo 06: “Lampi da Burano nel 1300” dell’autobiografia “Buranèo … e Prete per giunta” di Stefano Dei Rossi.

“Strano connubio fra Burano e Santa Marta di Venezia.”

… E siamo già ai fatti di Giacomina Scorpioni “Onesta Matrona” e Conversa Professa Benedettina del Convento di San Mauro di Burano, che nel 1316 fondò col permesso del Vescovo di Castello Giacomo degli Albertinie con l’aiuto dei Nobili Filippo Salomon e Marco Sanudo Torsello la chiesa col titolo di Sant’Andrea Apostolo e Santa Marta Verginenel Sestiere di Dorsoduro a Venezia (la Santa Marta nel quartiere del Porto dove abito adesso io) con accanto un “Hospeàl par poveri infermi della Contrada e par Pellegrini de passaggio a Venessia”.


In cambio la Monaca avrebbe versato un annuo e perpetuo censo al Capitolo dei Preti di San Nicolò dei Mendicoli, ma avrebbe avuto anche facoltà d'essere Priora a vita della nuova istituzione, e di provvedere a scegliersi un proprio Confessore, ed eleggere la sua successione ... Dopo la sua morte tutto il complesso sarebbe andato in eredità al Nobilhomo Filippo Salomon e ai suoi eredi … Si decretò inoltre: “… che tutti gli abitatori dell'Hospedal fossero tenuti a pregar Dio per l'Anime di Marco Sanudo Torsello “primo benefattore”, e di Filippo Salomon Protettore e Procuratore.”

Fu Giovanni Zane Vescovo di Caorle a porre entusiasta la prima pietra della nuova Chiesa-Ospizio, ma poi i lavori procedettero a rilento per mancanza di fondi, tanto che i Preti Capitolari di San Nicolò chiesero al Vicario Generale del Vescovo di Castello di minacciare di scomunica la Monaca Scorpioni se non avesse portato a compimento al più presto l’opera che aveva iniziato accogliendo i poveri della Contrada come aveva promesso.

La Monaca Scorpioni di rimando si appellò al Patriarca di Grado, e nel 1316 ottenne dal suo Vicario una sentenza favorevole che contestava il provvedimento ingiusto emesso nei suoi confronti dal Vicario del Vescovo di Castello che l’aveva scomunicata … Alla fine della fine: nel 1318, la stessa Monaca finì col litigare con i Preti di San Nicolò dei Mendicoli che la convocarono a Giudizio davanti al Vescovo di Castello richiedendo di rescindere quanto s’era stabilito con loro ... Il Vicario confermò i patti stabiliti, e obbligò la Monaca Scorpioni ad accettare i poveri nel nuovo Ospizio de Sant’Andrea e Santa Marta.



Suor Giacomina Scorpioni comunque non disarmò, e presentatasi davanti al nuovo Vescovo di Castello Giacomo impetrò e ottenne dallo stesso la grazia di poter mutare l'Ospitale in Monastero ospitando alcune Monache provenienti dall’isola ormai quasi abbandonata e sommersa dalle acque di San Lorenzo d’Ammiana ... Il primitivo progetto dell’Ospedale di Contrada venne così abortito nel giugno 1318 a favore della costruzione di un ennesimo benestante Monastero: le Monache avrebbero potuto eleggersi la propria Abbadessa, e: “…scegliersi un Sacerdote che alle Religiose ivi adunate così inferme come sane amministrar dovesse tutti gli Ecclesiastici Sacramenti, obbligando il Monastero all' annuo censo di una libbra di cera da offrirsi al Vescovo Castellano nella solennità di San Pietro … Il giorno primo del susseguente luglio Giacomina Scorpioni Fondatrice e Padrona del Monastero dei Santi Andrea Apostolo e Marta Vergine da essa fondato elesse da presentarsi per Abbadessa del detto Monastero: Margarita Trivisana Monaca Benedettina in San Lorenzo dell'Isola d'Ammiano … e perciò le Monache colà introdotte abbracciarono, e professarono poscia la Regola di San Benedetto ... Restò nel giorno penultimo d'ottobre confermata la nuova eletta Abbadessa dal Vescovo Castellano, il quale nello stesso giorno decretò che dovessero le Abbadesse di Santa Marta in avvenire far presentare al Nobilhomo Filippo Salomone o ai di lui eredi ogni anno in perpetuo una rosa di seta quasi in risarcimento del Jus ch'egli perdeva d'istituir la Priora dell'Ospitale, e che onestamente fosse ricercato il di lui assenso, o de' suoi eredi nel caso dell'elezioni già consumate dell'Abbadesse ... Inutilmente insorse con nuove pretese il Collegio Capitolare di San Nicolò dei Mendicoli, ma dopo brevi contese le parti convennero egualmente d’accordarsi in pace.”



In un documento del 13 luglio 1330, infatti, si legge: “… i possedimenti del Convento di Santa Marta si estendono dalla palude dell’isola di San Giorgio in Alga fino ad un orto lungo 20 passi e largo quanto vorranno giudicare giusto gli Ufficiali del Piovego, purchè non nuoccia al passaggio del vicino Canale di Comenzera …" 

Le Monache, insomma, s’erano impossessate praticamente dell’intera zona periferica e terminale di Venezia alla Punta de i Lovi e Santa Marta con buona pace del Capitolo dei Preti di San Nicolò ... e anche dei poveri della Contrada che rimasero in balia di se stessi.




“Scherzetto ai Preti ... nel 1714 a Venezia”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 170.

“Scherzetto ai Preti ... nel 1714 a Venezia”

Si va a Pasqua anche quest’anno … “Pasqua con chi vuoi” si dice ancora, anche se sotto sotto la Pasqua rimane una cosa che sentiamo un po’ “da Preti e da Chiesa” ... Per questo allora metto ancora un paio di Preti come “cacio sui maccheroni” rispolverando degli episodi, che qualcuno forse conoscerà già, in cui sono stati coprotagonisti loro malgrado nella Venezia del 1714.

Sempre di mezzo Venezia ! … e quando mai non lo è ? … e sempre in maniera curiosa.

I Preti coinvolti furono quelli della chiesa di San Mattio di Rialto e di San Giovanni o San Zuàn Novo nei pressi di San Marco. Il primo Prete ci cascò in pieno e un po’ da sprovveduto nello “sherzetto”, mentre il secondo si dimostrò un po’ più scaltro e avveduto, e dopo essere passati entrambi attraverso le maglie strette del vaglio attentissimo della Serenissima, finirono entrambi seppure in maniera diversa per spuntarla e vincerla uscendo dalla loro incresciosa situazione … un po’ a caro prezzo magari.


Quella di San Mattio di Rialto, come sapete meglio di me, è stata una Contrada piena di vita proprio nel cuore dell’Emporio Realtino. Lì c’era sempre un gran via vai giorno e notte di Mercanti, Lavoranti, Forèsti e Veneziani di ogni sorta, e non mancavano affatto Taverne, Bèttole, Locande e postriboli … visto che a soli due passi sorgeva l’enclave un po’ “esotica”delle Carampàne, e tre passi oltre ancora c’erano i famosi Ponte e Corte delle Tette dove alcune Veneziane mettevano in mostra e offerta la loro “preziosa mercanzia”. Non era di certo il posto migliore adatto a un Prete quindi … Ma si sa, in certe epoche a Venezia tutto si mescolava, girava e s’amalgamava in una certa maniera, e quindi anche i Preti sapevano cavarsela, frammischiarsi, confondersi, galleggiare e destreggiarsi in ambienti di ogni sorta.


La Contrada di San Giovanni Novo, invece, era più centrale e verso Piazza San Marco. Si trovava proprio nella prima periferia, appena fuori dei grandi scenari pubblici che contavano della Piazza. Oggi esiste ancora quella chiesetta, sebbene sia chiusa “da notte” ormai da un bel pezzo, si trattava comunque di una chiesetta popolare, un po’ “di seconda categoria”, al pari di San Mattio di Rialto che, invece, oggi non esiste più. D’interessante c’era in San Zuane Novo, che proprio lì fra il Campo omonimo e i sottoportici limitrofi sorgevano le temibilissime carceri del Santo Uffizio dell’Inquisizione Veneziana ... Il Prete quindi doveva essere un po’ più sveglio e smaliziato dell’altro.

Il vero autore e protagonista dei fatti, anzi: di un doppio imbroglio, fu, invece, un Veronese che da diversi anni viveva ormai stabilmente a Venezia. Era un vero e proprio imbroglione, un truffatore nato che aveva fatto di quel modo d’essere un vero e proprio mestiere: aveva indotto nella sua lunga carriera diversi Chierici e Preti a subire prigione, condanne e perfino la Morte ... Era un impenitente quindi, un gran bastardo e figlio di buonadonna … Si recò per primo dal Prete-Piovano di San Mattiochiedendogli la Confessione, e durante questa si dichiarò particolarmente povero e bisognoso riuscendo a strappare al Prete la concessione di una “patente scritta d’indigenza” che lo autorizzava ad elemosinare in giro per tutta Venezia. L’imbroglio vero e proprio però scattò in seguito. Non si seppe mai bene né perché, nè per quale causa o chissà quale rivalsa, o se fosse stato soltanto per il gusto di nuocere e abbindolare, il Veronese prese allora la Patente rilasciata dal Prete, e copiandone la scrittura e grafia mise in scena un falso atto in cui simulava che il Prete aveva scritto al Re di Francia rivelando segreti di Stato della Serenissima … 

Fatto questo, il meschinello si recò a denunciare il Prete alla Magistratura Veneziana esibendo tanto di prove … Figuriamoci Venezia ! … che era sempre stata gelosissima dei suoi segreti e dei sui suoi affari: le bastava un niente per accendersi come un pagliaio su cui si buttava un fiammifero. Agli Inquisitori di Stato Veneziani pareva spesso di vedere e riscontrare spioni e ipotetici nemici anche dove forse proprio non ce n’erano … Comunque andarono così i fatti: la Serenissima saltò addosso all’ignaro e innocente Prete, lo incartò per benino, e lo cacciò in fondo a una prigione di Palazzo Ducale buttando via la chiave … Giustizia sembrava fatta … e di certo il Veronese se la rise soddisfatto non poco, mentre il Prete sventurato rimase a languire per anni nella prigione che divenne per lui un incubo non proprio comodo.


Visto il successo della sua prima impresa, il Veronese Venezianizzato si recò allora davanti al Prete di San Giovanni Novo per ripetere il suo abile e fortunato giochetto. Si Confessò anche stavolta, fece la solita richiesta della Patente, copiò la grafia del Prete e mise in piedi la solita lettera fasulla che indicava il Prete come rivelatori di segreti di Stato a qualche nemico della Patria … Poi forse non soddisfatto, mise in piedi la seconda parte del suo arcigno piano: mostrò al Prete la lettera falsa e provò a ricattarlo iniziando a chiedergli 100 Zecchini: 50 subito, e altri 50 a distanza di otto giorni … Ovviamente minacciò il Prete di denunciarlo alla Repubblica Serenissima se non avesse accettato la sua proposta … Insomma il Veronese mise in piedi un vero e proprio subdolo ricatto.

Però stavolta il Prete non si arrese, e dopo un breve consulto con un suo amico Cavaliere, decise di passare da gabbato a gabbatore dando al Veronese quel che si meritava … Si presentò in gran segreto dai Magistrati dell’Inquisizione della Serenissima, e raccontò tutta la storia per filo e per segno professandosi innocente … e già che c’era chiese aiuto per uscire da quella pesante frode che gli sarebbe potuto costare parecchio cara.

La Serenissima per non dimostrarsi un po’ troppo credulona e facilona nei suoi interventi, prese innanzitutto il Prete e lo strapazzò un pochetto … Così … tanto per fargli saggiare di quanto la Serenissima sarebbe stata capace … Poi, visto che quello non desisteva dai suoi propositi e dalle sue rimostranze, finì per credergli sul serio … Si decise allora d’indagare e perseguire il Veronese “furbetto” prestandosi inizialmente al gioco-truffa che aveva imbastito invischiando il Prete, e al momento della consegna della seconda trance del ricatto, i Fanti della Serenissima travestiti da Preti, stavolta saltarono addosso all’imbroglione cacciandolo anch’esso come si meritava nella più buia delle prigioni di Palazzo Ducale … Giustizia fu fatta per davvero stavolta.

E il primo Prete sfortunato ? … Erano trascorsi ormai ben tre anni da quando era stato dimenticato in prigione reo d’aver rivelato quei benedetti preziosi Segreti di Stato a Potenza Straniera … La Serenissima in quell’occasione “fece uno più uno fa due”, e provò a mettere insieme i due casi attribuendoli allo stesso autore … Tortura qua, e smanaccia e minaccia là … alla fine il Veronese finì col confessare tutto scagionando il povero Prete di San Mattio ormai ridotto all’osso dopo tutto quel tempo trascorso nell’incubo della Prigione.

Come pena per le sue insolenze e i suoi misfatti il Veronese venne condannato ad essere strangolato in carcere, e poi a venire impiccato e messo a penzolare pubblicamente “fra le due colonne” di Piazza San Marco … Lì lo “spettacolo” scabroso fece scatenare il ludibrio dei Veneziani, che poco o niente sapevano dei retroscena di tutta quella storia contorta.

Quando il Prete innocente venne liberato e riabilitato se ne venne a sapere un po’ di più … e si disse anche che in quel giorno ci fu una grande festa a Venezia con grande partecipazione e solidarietà dei Veneziani verso quel povero Prete imbrogliato … e si disse e scrisse anche, che si finì persino con i fuochi artificiali … Povero Prete di San Mattio però ! … Tre anni di vita persi … Se ne tornò di nuovo e forse un po’ provato e pesto a recitare il suo vecchio Breviario nello stesso malfamatissimo posto accanto a Rialto … dove che fosse Pasqua o Natale … poco importava a molti, anzi: forse faceva lo stesso … La vita quotidiana era una faccenda fin troppo pratica e diversa, e l’importante per molti era “vivere e tirare a campà”.

Anche questo quindi accadde a Venezia, insieme a tutto quell’imponente e mai abbastanza raccontato contenuto Storico che ha riempito per secoli la nostra Laguna … ed è ancora con questa scusa e occasione che finisco con l’augurare: Buona Pasqua a tutti quelli che pazientemente mi leggono !

“Una cruda lettera su quelli di San Marcuola nel 1820.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 171.

“Una cruda lettera su quelli di San Marcuola nel 1820.” (parte prima)

Questa che vi propongo è proprio una lettera dura, cruda per davvero, un documento che oggi farebbe inasprire gli animi, monterebbe un caso e farebbe sorgere mille conflittualità, diatribe e polemiche. Quella volta nel 1820, invece, no … perché le considerazioni che conteneva erano considerate “normali e ovvie” condivise da molti per non dire quasi da tutti … erano un “sentire comune” insomma, o perlomeno dei più ... Anzi: arrivo a dire che per gli “addetti ai lavori”, ossia “quelli di Chiesa” e del loro entourage di pensiero e convinzioni, le cose scritte in quella lettera erano “sacrosanta verità e aspirazioni legittime e benedette”, cioè oggettiva descrizione della situazione Veneziana di quell’epoca, e valutazioni sincere con sacrosante aspettative su come sarebbe potuto diventare ed essere.

Prima di offrirvi alla lettura il documento devo però per forza fare tre brevi precisazioni che secondo me aiutano a comprendere meglio se non appieno.

La prima:è la collocazione della lettera nel suo contesto, ossia spiegare un attimo a quale “spicchio” della Venezia ottocentesca si riferiva.

La seconda: segnalare che più che una semplice lettera si trattava di una relazione previa di Don Giovanni Rado Piovano di San Marcuola indirizzata al Patriarca di Venezia:Giovanni Ladislao Pirker von Oberwartper preparare la sua imminente Visita Pastorale alla Contradaillustrandone quelle che secondo lui erano le caratteristiche e le urgenti necessità da correggere ed emendare.

La terza e ultima nota: potrebbe essere utile dopo aver letto questa “lettera” dedicarsi un attimo a scoprire quale è stata, dov’era e com’era la realtà di quella particolare “Contrada allargata di San Marcuola”: una “piccola Venezia” in Venezia, e soprattutto chi erano e com’erano quei Veneziani che l’hanno abitata descritti da quel Prete.

Iniziamo allora con le brevi precisazioni …

La lettera-documento va collocata negli anni in cui era già passato per Venezia il “tornado devastante e distruttivo”di napoleone con la sua Rivoluzione concreta, pratica e dei pensieri. S’era chiuso “baracca e burattini” di tante realtà storiche, e di tante istituzioni, enti ed opere pie, ed era rimasto vivo e attivo poco o niente: solo “gli scheletri” o poco più di tante cose. “Certezze di sempre” come la Nobiltà, l’“autorevolezza Eterna proveniente dal Cielo” del Clero, e certi“Principi e regole del vivere”scricchiolavano parecchio, o avevano già perso buona parte dei contenuti storici del loro blasone … e anche il popolino “gregge sempre docile e obbediente”,il resto dei Veneziani di un tempo, s’era ormai infiltrato di una strana voglia di novità e cambiamento che nel giro di pochi decenni avrebbe portato tutti ai sommovimenti politici e sociali del 1848. Decisamente il mondo stava cambiando in quegli anni … Ma su tante cose, quasi su tutte, si era ancora “fermi e stabili lì”.

La seconda considerazione è legata alle intenzioni e propositi del Piovano di San Marcuola, capo del Capitolo dei Preti di San Marcuola e … cosa che spesso non si sa e si considera poco … vero e proprio “Boss” dell’intera Contrada Veneziana (molto più dei Nobili e dei Capi Cantrada). I Preti accanto e insieme e di più degli uomini della Serenissima erano un gruppo autorevole e ristretto di persone che determinava fattivamente, ispirava e controllava il destino di buona parte dei Veneziani di quella zona dell’Arcipelago Veneziano. “Non si muoveva foglia … che i Preti non volessero” nella vita della gente di allora, e tutto e tutti nascevano, crescevano, vivevano, lavoravano, amavano, socializzavano e morivano secondo le indicazioni e sotto l’egida attenta del ridotto numero dei Preti della Contrada, che erano dei veri e propri “controllori delle chiavi” dell’esistenza di ciascuno … Per chi si discostava ? … La pena era: Purgatorio e Inferno ! … o viceversa: il Paradiso Eterno in premio.

A differenza di noi di oggi, che in buona parte facciamo il sorrisetto indifferente e distratto di fronte a certi contenuti, per la gente di allora certi principi erano fondamentali e basilari, irrinunciabili, tanto da giocarci e investirci il proprio quotidiano in ogni angolo e casa della Contrada … e pure oltre.

I tempi e le persone sono molto cambiati, si sa … ma allora era così.

Terzo e ultimo appunto: la zona “d’influenza” considerata dal Piovano di San Marcuola era quella parte ben precisa del Sestiere di Cannaregio che andava grossomodo dal Ponte delle Guglie fino al Ponte e Rio di Noale nei pressi della chiesa di San Felice della moderna Strada Nòva. Ci sarebbe molto da dire e sapere su questo “enclave Veneziano”.


Dovete sapere, ad esempio e tanto per incominciare, che San Marcuola in realtà coincideva con quattro chiese.

Quattro ?

Si … Perché per diversi secoli intorno al Capitolo dei Preti di San Marcuola si è coagulata la vita e l’attività dei Veneziani e dei Preti anche delle piccole Contrade limitrofe e confinanti di: Santa Fosca, Santa Maria Maddalena e San Leonardo o San Lunardo Eremita (la chiesa poco distante dal Ponte delle Guglie). Praticamente quell’ampia area ha formato “un unicum” inscindibile e fortemente interconnesso, che per secoli è vissuto sotto l’egida e il “controllo subliminale” diretto dei Preti di San Marcuola.

Subliminale ? … Non è troppo ?

Non esagero nel definirlo “subliminale”, l’ho fatto a posta … perché si potrà dire e scrivere più avanti fino a quale alto e profondo grado, e quasi totalità di controllo sociale sono stati capace di arrivare nella loro gestione i Preti di San Marcuola … I Veneziani, forse inconsapevoli, ignoranti  o “rassegnati”da parte loro, sono andati loro dietro e li hanno assecondati per secoli … mica un giorno o un paio di mesi e anni.

Detto questo, eccovi buona parte dello scritto che ho ridotto brevemente nelle parti ripetitive togliendovi “i doppioni” e qualche parte accessoria superflua segnata come: […]. Non ho tolto nulla d’importante del contenuto originale, proprio per poter cogliere fino in fondo “lo spessore” di quel curioso quanto originale scritto che merita considerazione (almeno secondo me).

Come potrete leggere fra un paio di righe in questo documento-lettera che potremmo titolare:“Quadro della posizione morale di San Marcuola in occasione della Visita del Patriarca Giovanni Ladislao Pirker nel 1821.”, il Pre’ di San Marcuola ne ha avute un bel po’ per tutti, non ha risparmiato nessuno.


“… Il carattere morale della Parrocchia è meno impotente di quello ch’esser potrebbe: un numero di poveri, che forma oltre il quarto della Parrocchia, e di questa la maggior parte in situazione la più commovente, dovrebbe far vedere il quadro de’ vizii plebei marcato con tinte spaventevoli. Vi si aggiunga l’incuria colla quale per tant’anni è stata lasciata questa massa importante nell’ignoranza della Religione, si è guardata come la feccia parrocchiale e come il rifiuto della Natura, anzichè come una importante porzion dell’ovil della Chiesa … e si vedrà che l’immoralità non è assolutamente proporzionata al fermento che avrebbe potuto portarla agli eccessi.
Il Parroco attuale non si rifiuta di trovarsi al letto de’ miseri personalmente nell’alta notte, e volendo che le tumulazioni dei più pezzenti abbian gli onori funebri, somministrando del proprio le cere occorrenti, al che esemplarmente è secondato da tutto il Clero, che di buona voglia concorre al funeral di ogni povero, ha svegliata la sensibilità di questa classe infelice: la cura di profittar d’ogni occasione per istruirla, la fermezza di rifiutar gli appoggi della carità al povero che non frequenta la chiesa, ha dato al Ministero Parrocchiale un ascendente sui miseri che va a farsi decisamente vantaggioso alla generale loro moralità. Se i fondi parrocchiali potessero supplire a vacui che necessariamente ci sono, ad onta de’ vistosi soccorsi della Beneficenza, i ruinosi consigli della fame farebbero men luttuosa impressione in questa classe alle imperiose esigenze dell’inopia talora calamitosamente sacrificata. Quello che scema ognidì più i mezzi, coi quali un Pastor cordiale potrebbe accorrere ai bisogni per lo meno i più urgenti, è la infezione inevitabile dipendente dalla libertà data agli Ebrei di abitare fuori del loro Ghetto.
Nella Parrocchia di San Marcuola si combina il loro genio d’emanciparsi dall’antica servitù, e la loro ostinazione di bere nelle loro scuole le follie carnali della proscritta loro credenza; così quelli tra gl’Israeliti, che Atei non sono ancora […] affettano di tenersi nelle vicinanze alle lor Sinagoghe. Di qua l’invasione della Parrocchia: ventotto delle migliori abitazioni Parrocchiali sono appigionate ad Ebrei. Queste, che abitate da Cristiani, sarebbero un fondo utile ai pesi che gravitan necessariamente sul Parroco, sono invece un fondo non solo sterile per Parroco, ma contagioso per la Parrocchia. L’area occupata da’ Poveri resta la stessa; fassi anzi maggiore ognidì: quella che avrebbe potuto fruttar soccorsi, è invasa dai nemici del Vangelo, né può quindi sperar il Pastore non solo gli straordinari, ma neppure gli ordinarii soccorsi, coì quali far fronte agl’imperiosi pericoli dell’indigente suo ovile.
Questo è ancor poco. Oltre alle ventotto case migliori da’ Giudei occupate, avvenne di costoro che viziosi, sdruciti e sfrontati, prendono a pigione appartamenti, stanze, catapecchie in cui abitano insiem co’ Cristiani: e dove si dee passar pella stanza dell’Ebreo a visitar il Cattolico moriente: dove si sorprende l’Ebreo che dorme nella stanza istessa, in cui dimora insieme coll’avara appigionatrice, e tiensi con essa, e colle figlie, e co’ figli di lei in infame contatto. I sarcasmi sacrileghi sulla nostra Religione Santissima, le lezioni d’incredulità, le tentazioni alla turpitudine, le violazioni di ogni legge e di ogni diritto debbono esserne e il son purtroppo le conseguenze.Di qua i riflessibili abusi.

Primo che col pretesto di società si mantengono concubinati sfrontatamente tra Ebrei e Cattoliche, da’ quali nascendo figli, le prostitute si sgravano fuor di Parrocchia, e i figli poscia all’Ebraismo, benchè usciti da battezzata donna, clandestinamente sono educati.

Secondo che i più ricchi da’ matrimoni loro avendo prole, la vogliono allattata da nodrici Cristiane, e a conviver seco loro le allettano colla vistosità degli stipendi. In conseguenza non contenti di veder che di latte battezzato si nutran bamboli, che cresceranno all’odio della Croce, sforzan la vile Cristiana che le mammelle sue appigionò, a pascersi de’ loro cibi, a vivere alla lor foggia, a trascurar Sacramenti, a conculcar digiuni ed astinenze , insomma a Giudaizzare per necessità fin che allatta, e finita la nodritura, ad esser senza religion per sistema.

Terzo che tutti coloro che sono in grado di mantener fantesca, la voglion Cristiana, la cercan giovane, e senza riguardo la si tengono in casa la notte. Satanasso sa ben quel che succede. Noi lo vediamo allora, che il delitto si è fatto pubblico, e siam costretti a fremere, vedendolo, baldanzoso e impunito. Ne’ tempi dell’antico Governo gli Ebrei, comechè imprigionati nel Ghetto loro, eran tenuti a pagar un canone alle Parrocchie ne’ confini delle quali esso è posto, onde supplire alla sterilità di quel fondo che la lor dimora rendea infecondo a’ parrocchiali bisogni. Quanto non sarebbe equo ora, che non abitano il fondo Ebraico, ma invadono senza freno il Cattolico, che l’Ebraica Università compensasse i Parrochi del danno che porta alla Parrocchia il loro domicilio, e questo in ragione de’ fondi, che voglionsi da loro occupati ?

I Parrochi non sarebbero dell’intutto sacrificati, ed avrebbon con che accorrere a que’ bisognosi, che depositati all’orecchio del Pastore né debbono, né ponno esser portati alla conoscenza delle Fraterne ed assoggettati a’ provvedimenti della Beneficenza. Questo provvedimento però non sarebbe che estrinseco, né porterebbe vitalmente riparo al disordine.

I definitivamente utili rimedi sarebbero:

Primo a salvar le Parrocchie di San Marcuola, di San Geremia e di San Marziale invase a trabocco da questi ospiti contagiosi, e il fissar il numero delle case che possono essere appigionate agli Ebrei.

Secondo: il divieto che possan costoro prender a locazione porzion di casa abitata da Cristiani.

Terzo: la proibizione d’aver in casa nodrici Cattoliche. E finalmente il divieto di tenersi a pernottar fantesche e servi battezzati.  Sarebbero queste Parrocchie […] salvate allora, e si potrebbe veder tolto il maggior de’ pericoli a quella classe di popolazione che dalle ristrettezze dello stato suo suol essere più facilmente vittima della seduzione.

A questo scoglio che fa abortire una parte delle parrocchiali sollecitudini, si aggiunge il secondo, ed è quello della libertà indisciplinata delle popolari osterie dette Magazzeni. Questi covili d’intemperanza e di fornicazione sono il teatro scandaloso ove ogni giorno s’insulta alla decenza e alla legge, ma nel dì festivo a spese della Religion si tripudia pubblicamente. La Polizia con una sapientissima prescrizione avea limitato il libertinaggio alle 10 ore della sera; ma hanno ben costoro trovato il modo di render inoperosa la sanzione religiosissima rivendicando al turbine petulante la libertà dell’intiera notte. Poco sarebbe s’ei sepellisse nelle tenebre l’obbrobrio di plebei stravizii: il peggio è che nell’ore delle Sagre Funzioni, in quelle della Cristiana Dottrina sono aperti a chiunque sì fatti luoghi né quali alla vigilanza Parrocchial si sottraggono quelli, che più degli altri abbisognano d’istruzione.

Due sono questi luoghi di scandalo e di seduzione incommodi al pubblico costume della Parrocchia. Uno è il così detto Magazzino delle Campane, la posizione del quale sulla strada maestra deì due ponti fa di lui un richiamo potente ai scapestrati della Parrocchia di San Marcuola e delle limitrofe. Ah perché la nostra città non mantiene l’antico uso delle venete Città che sì fatti luoghi sieno rigorosamente chiusi dalle 10 ore della mattina fino alle 2 prima della sera ?

Perché non si puniscono coll’arresto i ritrovati in questi luoghi nelle ore della Dottrina Cristiana ? Il si fa pur nel territorio Padovano, il si fa pure a Chioggia ... E perché non si carica d’una multa gravosa il Magazziniere irremissibile ?

Pur si potrebbe applicarla agl’imperiosi bisogni delle Parrocchiale Fraterna convertendo la pena del delitto a sovvenimento degli esposti a commetterne. La Municipalità ha caricata la mano su qualche Macellaio e su qualche Artista (iscritto a Schole di Arte e Mestiere) che le feste non rispettò: e come non ispiega il suo carattere e lo smentì con costoro che profanano, e cagion sono che da tanti sien profanate ?

Più ruinoso ancora dell’accennato è un secondo Magazzino aperto precisamente rimpetto alla succursale di Santa Fosca. Di questo può dirsi che l’effumazione del tempio di Satana imbarazzano, controbilanciano, soffocano i timomi (le produzioni, i doni) del vero Iddio. Lo speculator senza fede ha estorto il permesso della Politica Autorità promettendo che nel suo negozio non avrebbe dato diritto di fermarsi ed annegarsi nel vino agl’intemperanti. Ad onta degli ossequiosi reclami del Parroco che prevedeva l’insidia di quel ricorso; ad onta dell’interesse de’ Nobilhomeni Giuseppe ed Antonio Giovannelli per impedire lo scandalo, l’onnipotenza del ricorrente trionfò.

Oggi si lupaneggia a man salva ... Si è appigionata una corte contigua in cui nessun freno ha la licenza. I vicini che doveano esser interpellati, e nol furono, fremono sulla sfrontatezza, con cui s’insulta alla loro pace, ed assediano il Parroco perché ponga riparo alla seduzione delle lor vergini, fino alle quali giunge purtroppo il fremito corrompitore della avvinazzata dissolutezza.

Che può fare il Parroco ? In confronto della prostituzione purtroppo la voce del Parroco ci va a perdere, ed è tutto quello che puossi sperar da’ Comissariati Politici è una officiosa esortazione ad avere pazienza. Una interposizione potente della Patriarcale venerata autorità potrebbe sola porr’argine a quest’obbrobrio, volendo disciplinato il Magazzino alle Campane, e chiuso definitivamente quello di Santa Fosca.

A questa potente interposizione la Polizia non rifiuterebbe la espulsione della Parrocchia di certe Scanferla madre e figlia, che abitano una casipola attaccata al campanile di detta chiesa appigionata loro dall’imbecille Don Carlo Panà Primo Beneficiato della medesima Succursale. Fanno costoro della lor catapecchia mercato laido a cui esca è la giovane.

Il Parroco ch’espulse le volle fu minacciato bruscamente dal figlio della vecchia, di professione satellite, ed avendo portata la cosa alla conoscenza superiore n’ebbe per conforto l’insinuazione d’aver pazienza e lasciar correre. Perché tuttociò che all’occhio Patriarcale vogliono aperto i Canoni, si faccia noto, due scandalosi concubinati nella Parrocchia ci sono. Uno è di certo Brambilla venditor di frutti nel confine del circondario della Maddalena. Costui cacciata la moglie legittima vive cola coadultera, e si beffa delle insinuazioni del Parroco, sicuro che più là dell’ “argue”, “obsecra”, e rare volte “increpa” la voce parrocchial non procede.

L’altro è di certo Giacomo Mazzuccato detto Cristo (denominazione che in lui è bestemmia) venditor di carnami. Questi convive sì colla moglie, e talor si frena per riguardo al Parroco del caricarla di percosse e strapazzi, ma senza riguardo veruno mantiene la tresca adultera cui fa abitar presso al magazzino rimpetto alla Succursale di Santa Fosca.

Son queste le gangrene della Parrocchia delle quali la massima è il concubinato di certa giovine Faccio coll’Ebreo Sulam già più volte (ed anche recentemente) madre clandestina, come sopra fu detto.

Altre ci sono piaghe, ma non contagiose tanto e le più contingenti. Conforta intanto che nella feccia plebea son tutte.

Le case di qualche entità sono tutte morali: alcune di esse luminosamente esemplari. Le Famiglie Nobili poi: Giovannelli, Correr, Grimani, Sughi, Martinengo, Gritti, Contarini, Quirini, Vendramin, Marcello ecc … sono la consolazione del Governo, l’edificazione della Parrocchia, e l’onor della Religione.

Non è del mio genio che il guardo Patriarcale discenda fino ad occuparsi del poco che ha potuto vantaggiar in fatto di culto e di disciplina la chiesa mia […]

Venezia presenta a chi si fa a considerarla in argomento di Religione un’opposizione che di primo aspetto sorprende. Il popolo è religiosissimo: lo provano tanti tempii eretti, tante solennità istituite, tanta frequenza che si vede nelle chiese ne’ dì solenni. Il Clero all’incontro è tutt’altro in pien che devoto: ceremonie storpiate, riti ignorati, uffiziatura non curata, dottrine dai più abbandonate, sono i più piccoli de disordini che si veggono. In nessuna delle Venete Città il Clero è in Coro sì irriverente come a Venezia. Anche dove il Coro è in Presbiterio si veggono i Preti parlar a vicenda la maggior parte del tempo che dura l’uffiziatura, abbandonar il Coro a mezza la Messa ed il Vespro, venirci al fine alcuni, i più non intervenir che ad uffiziatura avanzata. Nel tempo della Predica sono pochissime le chiese nelle quali si vegga il Clero unito a coronar il pulpito.  Sta ad oziar nelle Sagristie, alterca intanto, parla di tutti e di tutto, e per di più su gli occhi de’ secolari, de quali esser dovrebbe Maestro, e fassi spettacolo per lo meno.

Assiduo alle funzioni di lucro, per quelle di rito è indifferentissimo, né raro è che veggasi una chiesa che conterà venti alunni (Preti da Coro), non averne che cinque o sei in Coro ne’ dì festivi. Vien da ciò che le funzioni da Canoni prescritte, quelle che son volute da fondazioni, delle quali o non si esigono o son depreziati i Capitali che le han fondate, ad onta degli obblighi assunti si lasciano nella più indecorosa dimenticanza.

A cercare la origine di questo disordine, per cui tanti che secolari sarebbero fervosissimi, sono scioperatissimi Preti, non saprei vederne altra più vera, della facilità che ci fu a quest’ultimi tempi d’essere Ordinati a titolo di servitù. La porta del Santuario divenne speculazione delle famiglie, rifugio che assicura l’ignorante, allo scioperato, all’uom insomma del più basso popoletto, una via sicura e facile di onore e di lucro. Che spirito può esserci in chi si è senza spirito votato agli altari ?

A questa fatalmente troppo vera causa si aggiunge la seconda, ed è: che il Clero delle chiese attualmente è Clero Collettizio formato degli alunni di Parrocchie soppresse che la necessità ha costretti ad aggregarsi alle sussistenti. Son questi tanti figliastri che trovano matrigna o difettosa, o non interessante, ed ordinariamente anzichè d’aiuto servono d’imbarazzo alla chiesa che li raccolse. La mia Parrocchia per un tempo risentissi ella pur del miasma desolator che il culto minaccia. Ormai tolto è deì suoi mali il più. Ma alcuni ne restano, ch’io non posso non destramente attaccarli, né spero di vincerli se non con guerra e lunga ed incerta.

Primo male. Un tempo si cantava la Messa Conventuale ogni giorno, e doveano tutti assistervi Beneficiati ed Alunni: a questa Messa si fea preghiera particolar quotidiana per una testatrice che ha beneficiato i Titolati ed il Parroco. Dopo di questa Messa si cantavano le Litanie della Santissima Vergine. Tutto questo da qualch’anno arbitrariamente si trascura, perché i Sacerdoti ed i Beneficiati in principalità ricusarono d’intervenirvi, e i Parroci antecessori forza non ispiegarono per obbligarveli. Questa stessa loro indolenza ha lasciata e la mia e molt’altre Sagrestie alla balia di un solo Sagrestano. Un tempo eran due, e gl’incovenienti eran minori. In mano d’un solo sta adesso tutta la sostanza della chiesa, un solo tiene i fondi pella celebrazione delle Messe, un solo riceve le Messe Avventizie. Giuda trovò la sua tentazione nella Cassa, ed era Apostolo, perché non potrebbe trovarvela il Sagrestan d’una chiesa, il quale per lo più non ha verun degli Apostolici numeri ?

S’ei manca intanto, restano chiesa e Sagristia in custodia dei Nonzoli: chi può garantir che se, finchè son soli, vengon limosine per Messe, non vadano a naufragar nella saccoccia di costoro ?

Il Parroco che intende che allo scrigno della chiesa ci vorrebbe tre chiavi, che due potrebbero esser in man de’ due Sagrestani, la terza in man sua, dove i due Sagrestani ci sono, può facilmente mantenerli: ma dove han cessato d’esser due non può introdurre il secondo senza far nascere de’ scismi, qualor il comando del Superiore non degni egli stesso di prescriverlo.

Figlio di questo è un altro disordine, che ho trovato e desidero tolto nella mia Sagrestia.Come il Sagrestano non può essere per tutto e far tutto, se se può, non vuol sempre, così usa del Ministero di qualche secolare addetto alla Sagrestia. A San Marcuola il privilegiato è un sudicio beccamorti il quale a premio della sua fedeltà ha il diritto di trattar Reliquie, di maneggiar calici, cose che a Chierici di permettono dalla sola Curia.

Secondo male: che non ci sia nelle Sagrestie un registro formale per le Messe Avventizie. E’ vero che per queste si rlascian le ricevute; ma di questa cauzione non riguarda che quello che portò la elemosina. Un amministratore non delicato può violar la Giustizia: primo registrando le Messa senza indicar l’oblazione, e quindi trattenersi il più; secondo: indicar l’offerta ordinaria semplicemente; terzo: senza registrarle celebrar egli stesso le Messe delle quali le offerte sono lusinghiere.

Queste violazioni e della Giustizia e dell’Ordine sottraggono alla conoscenza del Parroco l’amministrazione della Sagristia, fanno del Sagrestano un despota, e lo espongono a concentrare a vantaggio proprio quelle vantaggiose eventualità che la Giustizia vorrebbe ripartite dalla Parrocchiale sorveglianza. Si torrebbe il pericolo qualora nelle Sagrestie tolte le ricevute volanti, fosse tenuto un Libro dove ci fossero ricevute come suol dirsi: madre e figlia. Il registro dovrebbe farsi in tutte due: la figlia sottoscritta dal Sagrestano dovrebbe essere passata all’Offerente, e la madre sottoscritta dall’Offerente, o non sapendo egli scrivere, da un Sacerdote qualunque di Chiesa, restando in Libro, sarebbon tolti gli abusi.

La mia Parrocchia avrebbe un monumento prezioso della Visita di Vostra Eccellenza Reverendissima se la sua sapienza trovasse di presidiar i buoni miei desiderii, adottando un piano di Provvidenze relative ai suindicati bisogno. Il materiale della Parrocchia legittimato, il Moral presidiato, il Canonico sistemato, ed il disciplinare regolato, cospirerebbero ad attirar prosperamente il sistema del Culto, a ravvivar il genio del Clero, ed a felicitar un uomo di buona volontà il cui solo voto è che su base solida cresca sempre più florido il Regno di Gesù Cristo, e frutti benedizione al Pastor insigne, che dato gli avesse ad incrementare il felicissimo impulso…”


Lo stesso Patriarca profondamente filoImperiale non mancò nell’occasione della sua Visita Pastorale su ogni Parrocchia e Contrada di Venezia di relazionare all’Imperatore “sullo status e la condizione della città un tempo Serenissima”. Ne venne fuori una specie di radiografia, un’immagine sintetica, un volto, che rendeva di certo l’idea di come quella ex Repubblica ormai trapassata e più che decadente fosse diventata solo l’immagine sbiadita di quel che era stata un tempo.

Relazionò il Patriarca Giovanni Ladislao Pirker all’Imperatore Austriaco: “Dal 1797 ad oggi (1824) lo status e l’entità della popolazione Veneziana sono cambiati: i Nobili da 3.477 sono diventati 2.164, i Cittadini da 5.099 sono scesi a 3.339 ... Il numero dei plebei popolani è preponderante, anche se sono decresciuti sensibilmente da 122.530 a 84.827 a causa del decremento demografico e dell’esodo della popolazione, mentre il numero dei Religiosi e delle Monache è rimasto più o meno lo stesso perdendo la categoria solamente 250 unità circa. (I Religiosi e le Monache abitano in più di 3.000 nei Monasteri e Conventi Lagunari, e quasi tutti percepiscono una valida pensione ad personam) ... Per qualche Contrada e Parrocchia di Venezia non esiste altro che poveraglia di vago mestiere e disoccupati colti da estrema indigenza che necessitano urgentemente ogni giorno della Pubblica Assistenza … Esistono 40.764 poveri Veneziani aiutati dalla Commissione Generale di Pubblica Assistenza, e il numero degli “aspiranti in attesa di una piazza” è infinito … I ricoverati negli ancora numerosissimi Ospizi, Ospedali e Ospedaletti di Contrada sono saliti da 1.446 a 4.919, mentre quelli che godono di una “pensione vitalizia” sono 2.909 ... 14.599 persone vengono assistite dalle 92 Fraterne Parrocchiali che possiedono ancora un capitale in Zecca di 407.777 lire (di cui 159.441 gestite direttamente dalla Fraterna Grande di Sant’Antonin) … In città sono attivi: Magistrati che da 3.477 che erano prima del “grande storico ribaltone”, ora assommano a 2.397 unità … Una sola terza parte dell’infelice e buona popolazione che a primo aspetto potrebbe sembrare neghittosa e creduta infingarda potrà calcolarsi non dirò doviziosa, ma provveduta … Questa eterogenea folla è composta di Marinai e Lavoranti nell’Arsenale di Marina(Gli Arsenalotti sono scesi a 773 (300 tra Ufficiali, Militari e Impiegati e 400 Maestranze) dai 3.302 che erano (compresi Ufficiali e Impiegati), i Gondolieri dei Traghetti si sono ridotti a 607 da 1.088 che erano, mentre i Barcaroli de Casàda sono 297 invece che 2.854 (nel  1797 si contavano a Venezia: 3.000 gondole di cui 1.000 destinate all’uso pubblico dei Traghetti che davano lavoro a 4.000 Veneziani, mentre altre 2.000 gondole era a servizio delle Casàde private), Macellai e venditori di carnami, poveri Artisti e Fabbricatori, Squeraioli e Battellanti, Pescatori e Guardie di Finanza appartenenti al Corpo degli Zappatori ... Ci sono agiati negozianti il cui commercio va declinando e scemando: Banchieri, Padroni di Navi, Orefici e Commercianti di Sete sono diventati 3.628 da 10.884 che erano, gli Artigiani sono 2.442 da 6.200 ... e alcuni Capitani Mercantili si querelano del loro ozio … Nelle Parrocchie sono in gran voga le Separazioni matrimoniali o  “unioni coniugali rotte”, e il concubinato è sempre più diffuso segnando un notevole degrado morale ... Gli Ebrei in città sono cresciuti di numero: da 1.642 a 1.980 ...”


Infine ancora un dettaglio sul Piovan di San Marcuola… A differenza di altri Piovani Veneziani, come quello dell’Anzolo Raffael, dei Santi Giovanni e Paolo, Santo Stefano, Burano, San Pietro di Murano, Caorlee l’Economo Spirituale di Treporti e dell’Arciprete di San Marco, non venne segnalato all’Imperatore fra le persone “distinte per zelo, attività ed intelligenza con cui sostengono le loro incombenze a vantaggio della Chiesa e dello Stato”... In quella stessa occasione si proclamarono anche “degni d’elogio” anche il Rettore del Seminario, il Direttore degli Orfanelli, le Priore degli Esposti di Sant’Alvise e delle Zitelle, la Marchesa di Canossa, il Provveditore del Liceo (Santa Caterina ossia l’attuale Foscarini delle Fondamente Nove), l’Ispettore Capo delle “scuole triviali” e il Direttore della Scuola Normale… ma non ci fu neanche una seppur minima menzione per il Piovan di San Marcuola: niente di niente … Forse perché nella sua cruda missiva oltre aver detto cose anche assurde, rabbiose, acerbe e fin troppo di parte, aveva però messo anche il dito su alcune piaghe, “gangrene” ha scritto lui precisamente, che c’erano nel mirabile secolare meccanismo dei Preti del Capitolo di San Marcuola… Qualcosa stava scricchiolando del sofisticatissimo e secolare apparato Ecclesiastico Veneziano ... già da allora.

Che cosa ?  …………. (fine della prima parte/continua)



“Una cruda lettera su quelli di San Marcuola nel 1820.” (parte seconda)

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“Una curiosità Veneziana per volta.” -  n° 172.

“Una cruda lettera su quelli di San Marcuola nel 1820.”
(parte seconda: “la maxiContrada”)

Per chiarezza e a scanso d’equivoci, non esiste come qualcuno ha inteso una seconda o terza parte della lettera di Don Rado Piovan di San Marcuola

Si capisce dall’auspicio delle ultime righe scritte dal Piovano che la lettera è conclusa. Quindi la “secondo, terza … o forse centesima parte” di cui vado cianciando e scrivendo, è il desidero secondo me curioso d’intuire com’era fatto quel microcosmo della Contrada allargata di San Marcuola: “la maxi Contrada del Piovano Rado” a cui si riferiva e aveva chiaramente in mente scrivendo al Patriarca Pirker.

Secondo il suo Cooperatore Don Pietro Grigato, e secondo quanto detto dal laico Antonio Tagliaferri, il “buon Don Rado”(ex Padre Somasco di origine Dalmata divenuto Piovano di San Marcuola e autore del “Quadro ragionato della Parrocchia di San Marcuola”): “…quando predica ha delle espressioni che si oppongono alla gravità e alla Santità con cui deve essere esposta la Parola Divina.”

Ahia ! … Primo giudizio severo nei confronti di Don Rado da parte di chi gli stava parecchio vicino e lo conosceva piuttosto bene. Si diceva inoltre di lui che usava parole banali e volgari nelle prediche: “… gli manca un certo grado di moderazione per essere esimio.” lo bollò in conclusione, come vi dicevo, il Patriarca Pirker… Come non bastasse, un rapporto della Direzione Generale di Polizia al Governatore di Venezia qualificò lo stesso Don Rado come: “personaggio noto per il suo stravagante carattere e per l’imprudente suo modo d’agire e pensare.”

E con questo sono due i giudizi negativi sul mittente della lettera, e per di più sono valutazioni anche un tantino pesanti … Come avete potuto leggere, infatti, il Piovano Rado era molto esplicito e non le mandava tanto a dire … “Ci andava giù abbastanza pesante”esprimendo un suo punto di vista “un po’ così”… costasse quel che costasse.

Destinatario della lettera-presentazione della Parrocchia-Contrada di San Marcuola era come vi dicevo il Patriarca Giovanni Ladislao Pirker: “El vècio Pirker … Vècio de testa, de mentalità e de comprendonio s’intende … venuto a Venezia dalla Todescheria.” così scriveva un Prete Veneziano sinteticamente su di lui.


Giovanni Ladislao Pyrker Von Oberwart era Ungheresedi nascita (Nagyláng 1772), Cavaliere di Prima Classe dell'Ordine della Corona Ferrea dell’Impero Austro-Ungarico, scrittore classicista, e poeta epico-drammaturgico poco apprezzato da quelli della sue epoca: lo soprannominarono: l’“Omero della Germania”. Di nobile famiglia, dopo aver a lungo viaggiato in giro per l’Italia, entrò dal 1792 nell'Abbazia Cistercense di Lilienfeld nella Diocesi di Passavia nell’Austria Inferiore(fondata nel 1202 dal Duca Leopoldo VI di Babenberg ) di cui poco dopo divenne Abate. Giusto nel 1820 (anno della lettera del Piovano di San Marcuola), dopo essere stato Vescovo di Spiš venne eletto a Patriarca di Venezia per espressa volontà del Governo Austriaco dei cui principi, modi e valori il Pirker fu sempre strenuo assertore, difensore e propugnatore. Impettito, Tedesco, deciso, quadrato e tutto d’un pezzo, in realtà raggiunse la città Lagunare soltanto un anno dopo accontentandosi di governarla a distanza, anche perché l’antico palazzo del Patriarca a San Pietro di Castello era stato ormai trasformato in Caserma... Pure il Papa di Roma non aveva affatto gradito quella nomina a Patriarca considerandola un sopruso del Governo Austriaco ... Venezia comunque per ospitarlo e farlo giungere finalmente in Laguna, gli destinò un’ala di Palazzo Ducale in attesa che gli fosse costruito un nuovo palazzo, o trovata perlomeno una degna sistemazione. Dopo Venezia, infine, Pirker passò ad esercitare il ruolo di Arcivescovo di Eger o Agria in Ungheria fino alla morte a Vienna che lo colse nel 1847 … Curiosità: quando se ne andò via da Venezia, non si dimenticò di portarsi appresso almeno 190 quadri di Scuola Veneziana recuperati in giro per la città e tutta la Laguna ... piccolo souvenir ?

Spreco ancora e comunque altre due parole sul quel Patriarca Pirker che dava l’impressione di voler essere un tipo piuttosto tosto …  Con una certa grinta esortava i Preti a esercitare adeguatamente il loro Ufficio di Dispensatori dei Divini Misteri, e ad essere maggiormente a disposizione dei loro fedeli che invitava ad accostarsi spesso ai Sacramenti.

Non aveva peli sulla lingua il Pirker, e mostrava di sapere il fatto suo. Gli Atti della sua Visita Pastorale rilevarono, ad esempio, che i Fabbriceri di San Salvador erano “indolenti” perchè per alimentare le celebrazioni liturgiche pretendevano di sottrarre i “diritti di stola” del loro Piovano … A San Felice, invece, i capifamiglia conflittuavano col Piovano per la nomina del Sacrestano, mentre i Fabbriceri di Santa Maria Elisabetta del Lidoavevano eletto un Parroco: “senza le occorrenti intelligenze e concerti col Vicario Capitolare”… Ancora i Fabbriceri della soppressa chiesa e parrocchia di San Gregorio nel Sestiere di Dorsoduro protestavano perché il Piovano traslato a San Barnaba s’era portato via numerosi e ricchi arredi sacri in accordo col Patriarca (?) … C’erano vertenze in corso anche a San Marziale nel Sestier di Cannaregio, e perfino di fuori in campagna, cioè nelle parrocchie di Terraferma: a Quarto d’Altino …

Il Prefetto di Venezia scrisse preoccupato al Patriarca per tutte quelle insolite contestazioni: “C’è da temere l’esecrazione del Popolo semplice e religioso che ad essi (ai Preti) attribuisce la decadenza del culto.”

Di severità Monastica ed essenzialità Cistercense nell’esercitare il Culto, Pirkerebbe quasi l’ossessione di togliere e ridurre gli abusi e le ridondanze delle Liturgie e delle chiese di Venezia“rendendo più seria la Pietà”. Secondo lui tutto quell’eccesso di Reliquie, statue vestite, sopraqquadri era inutile e fuorviante: sono stravaganze che fomentano la superstizione per le quali esiste un’inutile richiesta continua di soldi … Le statue vestite vengano ridotte almeno ad una sola … Si sostituiscano con semplici e buone statue … Si tolgano con prudenza, senza clamori e senza urtare il popolo le corone dai quadri della Madonna facendo dei Fabbriceri laici gli autori di quella sostituzione o eliminazione …” diceva.

Il Patriarca dovette subire diversi attacchi e proteste per quella sua smania di ridurre le“Musiche clamorose e le eccessive pompe di addobbi e apparati delle funzioni di Chiesa. Impediscono al Popolo di stare raccolti, e sono pure sorgente primaria di profanazione del Santo Tempio di Dio: le frequenti Processioni, le esposizioni delle Statue Sacre Vestite, e le “Esposizioni per Carta del Santissimo” ( si dicevano “per carta” per via di una stampa annuale a calendario mandata in giro per Venezia e affissa sulle porte delle chiese. Le Esposizioni duravano di solito giorni su giorni con abbondante aggiunta di Processioni e Prediche e richiamavano tantissima partecipazione da ogni parte della città) ... Erano entrate e soldi, oltre che benefici spirituali a cui dicevano tanto di tenere i Preti.

Per certe funzioni nelle Contrade Veneziane non si badava a spese, anzi si faceva a gara a chi preparava meglio spendendo ogni volta un capitale cioè:“un sproposito per finanziar l’oratoria dei predicatori di grido”, e per allestire numeri infiniti di luminarie e cere: “ogni cièsa gèra na’ Galeggiante” ... Il Patriarca Pirker incazzoso stabilì:“il numero de’ ceri non sia minore di 24 né maggiore di 30 per l’Altar Maggiore, e di 6 o 4 dove si riporrà la Sacra Pisside, e di 2 per ogni altro altare”.

Un anonimo Veneziano gli scrisse protestando:“Patriarca tanto zelo xe una cossa mal intesa che no giova no alla Chiesa ma pol farla vacillar … Nu ghe fèmo veder che tra nu Sior Lutero no xe vegnù.”… Il Patriarca non lo degnò d’ascolto, sapeva bene che fare.

Criticando gli orari d’apertura delle Chiese Veneziane prescrisse con un decreto dell’agosto 1821 che dovevano essere aperte al levar del sole dal maggio alla fine di agosto, e alle sei di mattina da settembre ad aprile chiudendole sempre non oltre il tramonto:“Si deve evitare che nelle chiese buie aperte troppo presto o chiuse troppo tardi avvengano scandali”.

ASan Cassiano nel Sestiere di San Polobrontolò contro l’eccessiva ostentazione dell’immagine in cera del“Cristo Morto e Deposto” collocata sulla mensa dell’Altar Maggiore:“Tocca agli Illuminati e veramente pii Fedeli decidere se quello della compunione sia il sentimento che desta quella Sacra Immagine … La plebe dei Teologi dichiarebbe eretico chi dicesse che un’immagine materiale tanto disposta ad agire sui sensi di chi la mira corra il pericolo di usurpare le adorazioni che la fede vuole tributare alla reale presenza dell’Eucarestia … Sembra che in questo caso l’Anima non sia assistita da quella rappresentazione simile …”

Su San Trovaso nel Sestiere di Dorsoduro disse, invece: “Merita riflesso e provvidenza la circostanza che nella parrocchiale, meno uno solo dei molti altari che esistono, in tutti sono stranamente agglomerate le immagini e i quadri coprendo talvolta il quadro principale di qualche merito [artistico].”

E ancora suSanta Maria Materdomini e San Cassiano (che non doveva essergli molto simpaticacome Parrocchia, perché lì si celebravano ben 7.000 Messe di cui i Preti si rammaricava di continuo di non riuscire a riscuoterne del tutto le rendite): “Le Reliquie vengano disposte con meno galanteria … Certi Corpi di Santi assomigliano a fanciulli adagiati sopra culle graziose … Si dissipi il prestigio di presentar come intatti i Corpi che non lo sono, e si esibiscano quelle Sacre Reliquie alla pubblica venerazione col sincero titolo di “Ossa Sanctorum”.”

I Veneziani chiamavano il Patriarca Pirker:“nemico giurato delle campane”, e a tal proposito gli rimproveravano la mentalità troppo Monastica e Tedesca che intendeva soppiantare quella Veneziana, tradizionale e popolare. Il 28 novembre 1822 il Patriarca emanò il“Decreto sul suono delle campane, soprattutto quelle della Basilica di San Marco” che fece inviperire buona parte dei Veneziani. Dovevano essere suonate senza strepitio e senza rompere il sonno dei Veneziani:“non a lungo nè troppo pesto” (ossia alle 9, alle 12, alle 14, al tramonto e con la Marangona di mezzanotte) non di continuo, al massimo con qualche segno speciale nelle Feste e nelle Vigilie”.

Vi potrà sembrare un po’ strana quella protesta dei Veneziani … ma quelli di allora erano dei “gran campanari” abituati a suonare a distesa “ogni quattro e quattro otto”, e a “sonàr a festa un dì si e un altro anche … e per ottenere la pioggia, scongiurare il maltempo, e invocare il sereno”… e poi come si sarebbe mai potuto rinunciare “alla campana delle Tre del Venerdì per la Crocifissiòn e Morte de Nostro Signòr” … e come non chiamàr a raccolta con le campane se si esponeva la Madonna Nicopeia in San Marco, o se si “fasèva Banca e Capitolo”, o se il Doge andava in chiesa, e si esponeva il Santissimo Venerabile nelle chiese Veneziane ? … Per buona parte dei Veneziani era sempre “cosa buona e giusta … dàrghe de campana!”

Perciò dopo un anno il Patriarca fu costretto a rivedere le sue decisioni, anche perché parecchi Veneziani gli stavano diventando ostili:“Le campane no se tòcca !” gli gridavano dietro per strada, “… a Venessia se deve sonàr !”.

E non era ancora tutto, perché Pirker ne aveva sempre per tutti:“… la Messa Cantata o Granda e le Prediche dell’Avvento e della Quaresima devono terminare sempre prima di Mezzogiorno per favorire la partecipazione alla Dottrina Cristiana” diceva ancora severo.

Ai Gesuati sulle Zattere (dove la popolazione fatta perlopiù di battellanti e barcaroli di fatica aveva carattere forte per cui i figli dovevano essere condotti quasi con forza a frequentare la Dottrina), il Patriarca Pirker osservò che c’era un’organista troppo esuberante da correggere ed eventualmente licenziare perché secondo lui suonava in chiesa “cantate da teatro”… Nella Basilica di San Marco decise di rendere più austero e di minore spesa il canto dellaCappella Marcianaintroducendo il ricorrente Canto Gregoriano. A tal proposito alcuni dissero: “Ha fatto bene ! … Ha anche epurato il Coro da tutti quei vecchi soprani castrati introducendo a cantare i bambini delBrefotrofio e Orfanatrofio cittadino.”

Mentre il Clero Veneziano lamentava carenza di Vocazioni dicendo:“le messi sono molte, ma pochi gli operai”, i Veneziani, invece, ne deploravano piuttosto gli abusi e disordini, e l’inerzia pastorale spesso ritenuta esosa e interessata. Il Patriarca Pirker considerò al riguardo:“… si troveranno sempre meno quanti possono essere Ordinati Preti sulla base di un patrimonio” … Le relazioni che gli arrivavano sui Preti di Venezia erano preoccupanti: i Titolati delle 61 Collegiate Veneziane spesso desistevano dalla frequentazione del Coro ed erano carenti di attitudine alla cura d’Anime ... l’insegnamento della Dottrina Cristiana era in grande decadimento e sofferenza … s’erano ridotte le dispute pubbliche, e non si distribuivano più ogni domenica i“Premi (buoni libro soprattutto) e le Grazie”… All’insegnamento della Dottrina Cristiana si dovevano destinare di solito almeno dieci persone“mature, caritatevoli e pazienti capaci d’istruire i giovani loro affidati e d’infondere nei cuori il Sacro Timor di Dio e di eccitare il genio e il gusto per le cose del Signore.” Sitenevano lezioni per un’ora estate e inverno, seguite da un ulteriore mezz’ora gestita direttamente dalle esortazioni del Piovano.

Centrale come sempre era la domenica giorno della frequenza di precetto e della Dottrina … La partecipazione dei fedeli in chiesa doveva essere intensiva: di mattina la Messa, fino a oltre mezzogiorno la Dottrina(destinata a uomini e donne, grandi e piccini: la quinta classe era quella degli adulti, c’era la classe:“Misteri e Atti”, e la “classe Bellarmino” destinata agli adolescenti). Di pomeriggio-sera si celebravano l’Esposizione del Santissimo e il Canto dei Vespri ... I Parroci Veneziani si lamentavano della scarsa partecipazione degli adulti delle classi più basse del Popolo “che s’attardano a lavorare anche nel giorno Festivo rimanendo senza alcuna ulteriore istruzione dopo il Catechismo imparato da fanciulli.”

Il Parroco dei Tolentini attestava con rammarico: “… diversi Madri non fanno accostare i loro fanciulli alla Confessione perché li fanno lavorare nei giorni Festivi …”
Un esercito di Confessori era sempre a disposizione: ce n’erano 14 ai Santi Giovanni e Paolo (dove su 3.600 parrocchiani: 3.000 si accostavano regolarmente alla Comunione Pasquale: erano un esempio !) … ma c’erano altrettanti Confessori nella piccola e periferica San Marziale, 20 erano quelli di San Geremia“anche se spesso fin troppo anziani, scarsamente assidui, e non tutti premurosi di attendere al loro Ministero ... La maggior parte se ne stava in chiesa e Sacrestia a petulare e chiacchierare …”

Che ve ne pare ? … Un bel tipino quel Patriarca Pirker… No ? … ma lasciamolo perdere e torniamo piuttosto alla nostra “maxi Contrada” di San Marcuola gestita dal Piovano Rado.

Innanzitutto l’ampia area omogenea di Venezia di cui era “responsabile”, e a cui faceva riferimento nella sua lettera il Piovano Rado di San Marcuola, era compresa fra il Canal Grande (confine naturale: “de Citra” e “de Ultra”) da una parte, e il Rio de Cannaregio, Rio de San Leonardo o Lunardo, Rio dei Servi e di Santa Fosca dall’altra fino alla confluenza col Rio de Noale(dalla famiglia Anovàl o Novàl o Anovàle che abitava là in zona, giunta a Venezia da Noale verso il 982. Su alcuni di quella famiglia si racconta che vennero inviati nel 1212 da Venezia come contingente di cavalleria nell'isola di Candia-Creta, e che nel 1379 i Noàl contribuirono ai prestiti allo Stato per la Guerra di Chioggia, e che si estinsero nel 1583).

Lo stesso spicchio di Venezia inoltre era“framezzato per lungo e traverso” dal Rio di San Marcuola, dal Rio del Cristo, Rio drio alla Cièsa, e dal Rio della Maddalena che attraversavano la “PluriContrada”come arterie insite dentro a un unico corpo e “sistema”.

Lo so che non è facile, ma dovete pensarla diversa da oggi quella Contrada di Venezia: più separata e ricca di Canali e Canaletti bordati da sottili Fondamente spesso in terra battuta, e senza tutti i Rio Terà che ci sono oggi, che non sono affatto pochi. Quella di San Marcuola era una Contrada “più navigabile e sull’acqua”, con meno terraferma calpestabile, in cui era fondamentale per vivere e lavorare servirsi dell’apporto dei strategici Traghettio utilizzare una propria barca ... se la si possedeva.

Serve aggiungere un’altra nota importante, cioè che tutto il territorio della “maxiContrada” era circondato “come a corona” dalla vivissima zona della cintura periferica costituita dalle ampie proprietà, e dalla notevole presenza Monasteriale di Cannaregio. Mi riferisco alle zone di Santa Maria dei Servi dei Padri Serviti(dove abitava il famoso Paolo Sarpi), alla Madonna dell’Orto ossia San Cristoforo Martire degli Umiliati e Cistercensi, a San Joppo o Giobbe dei Frati Minori Osservanti e Mendicanti, a San Bonaventura ancoradei Frati Minori, e alle aree d’influenza delle potenti quanto industriose e regolate Monache Agostiniane di Sant’Alvise e di San Girolamo delle Monache Gerolimine, che consideravano la Venezia di loro pertinenza come un grande Monastero allargato e diffuso tutto da governare … Non dimentichiamo di aggiungere da una parte il non lontano influsso e interesse delle Monache Agostiniane del Santa Caterina, e quello degli altrettanto famosi e potenti Frati Crosicchieri o Crociferi verso le Fondamente Nove sostituiti poi dai Gesuitiugualmente siti in Santa Maria Assunta.

Insomma la larga Contrada di San Marcuola era come circondata “a salvagente” da quella potente cerchia di figure Regolari e Monastiche, che venivano considerate anche … a suon di liti, processi e cause … comeun’aspra “concorrenza” sia dal punto di vista economico, che per le competenze specifiche e le implicazioni di natura religiosa.
Oltre il Ponte di Noale da una parte sorgeva poi l’altra “maxiContrada” unitaria dei Santi Apostoli, Santa Sofia, San Felice e San Cancian che includeva la zona dei Birie delle Fondamente Nove; mentre dalla parte opposta oltre il Ponte delle Guglie sorgeva la Contrada similare di San Geremia con i vari “Conventi satelliti” delle Monache Agostiniane del Corpus Domini e del Santa Lucia, quello di Santa Maria di Nazareth dei Carmelitani Scalzi, San Giobbe e il singolare complesso delle Penitenti(oltre il Rio di Cannaregio).



Rientrando nello specifico di San Marcuola, va detto che come tante altre zone di Venezia era zona d’Ospizi (Ospedaèto Bonzio e Hospeàl de Messer Gesù Cristo), e di Pizzocchere ed Eremite o Romite… Ancora nel 1740, ad esempio, oltre alle Pizzocchere Servite di Santa Maria dei Servi, esistevano le Pizzocchere di San Marcuola(anche se in realtà abitavano in Fondamenta di San Girolamo oltre il Ghetto) che possedevano una rendita annuale di 40 ducati provenienti da affitti di beni immobili posseduti in Venezia.

Come ho già avuto modo di dire, le prima tre e poi sei Eremite di San Marcuola abitavano sostenute esclusivamente da elemosine e seguendo la Regola di Sant’Agostino nell’aereo “romitorio” collocato sopra al portico antistante e il tetto della chiesa. C’era una traballante scaletta esterna che s’arrampicava sulla facciata di San Marcuola permettendo d’accedere al piccolo Oratorio-Dormitorio ben dotato di paramenti e ornato da dipinti di Girolamo Pilotti, Matteo Ponzone e Palma il Giovane. Dopo infinite diatribe col Capitolo dei Preti di San Marcuola, le Romite dovettero finalmente traslocare nel dicembre 1695 andando a vivere in Contrada di San Trovaso nel Sestiere di Dorsoduro, dove divennero le famose Romite di San Trovaso sostituite molto più tardi dalle Suore Cannossiane.

Ai margini della Contrada di San Marcuola sorgeva e sorge ancora oggi oltre l’omonimo Rio e Ponte, il temibile Ghetto dei Giudei citatimo e deploratissimo nella lettera di Don Rado … Quello del Ghetto, come potete evincere chiaramente dalle parole del Piovano di san Marcuola, fu per secoli un grosso problema non solo logistico soprattutto per il Capitolo dei Preti di San Marcuola… anche se di fatto la presenza degli Ebreia Venezia è sempre stata una grossa opportunità per molti. Per i Veneziani Cristiani tuttavia, soprattutto quelli “assidui, accaniti e proprio de cièsa”, quella con gli Ebrei con i loro tre Ghetti era una “contrapposizione severa” e una “spina dolorosa nel fianco”. I “Perfidi Judeos” erano il “nemico giurato della Chiesa e della Cristianità” collocato oltre il Rio del Ghetto, che era come la trincea di un confine da difendere, e “un Atavico Male” da cui trovare riparo. Non servono giri di parole per comprendere come per il Piovano di San Marcuola (così come per buona parte dei Veneziani dell’epoca) la presenza dei Giudei in Laguna fosse considerata una vera e propria peste e calamità. Il “posto-insula dei Giudei” erano un “insediamento Demoniaco da temere e da cui grandemente difendersi tenendosi a debita distanza” ... L’Ebreo veniva considerato con ostilità: “era vile, Satanico, maledetto da Dio e dagli uomini, scarto della Storia, e demoniaco in ogni sua espressione … bambini e vecchi compresi”… Il peggio erano “le perverse donne Ebree”, e i Mercanti-Commercianti considerati sentina e concentrato di ogni malizia, inganno e vizio. 

Quello dell’Ecclesia Cattolica Veneziana era un sentimento viscerale, quasi angosciante e ossessivo, una sensazione di vera e propria ripulsa storica che alcuni fra i Veneziani provavano nei riguardi di quel “Popolo Dannato Crocifixòr del Salvadòr del Mondo” … Va detto e aggiunto però sinceramente, che “tutto quel che non poteva entrare ufficialmente dalla porta entrava tranquillamente dalla finestra” in quanto i Veneziani della Contrada di San Marcuola e delle altre Contrade Veneziane hanno sempre intrattenuto per secoli formidabili relazioni sociali e commerciali con gli Ebrei, che sono stati protagonisti veri e propri dei Commerci e delle economie della Venezia Mercantile e Bancaria ... e non solo (tutto questo meriterebbe un interessantissimo quanto curioso discorso a parte. Esiste una splendida e ricchissima bibliografia al riguardo … ma non è questo il luogo e il caso per affrontarla).

Rimanendo ancora sul pezzo, cioè sulla “maxiContrada” di San Marcuola, se proverete ancora oggi a scrutare con un po’ d’attenzione i Niziolètti che tappezzano i muri delle case e dei palazzi della Contrada, non potrete non avere di rimando quello che è stato il volto ben preciso di quel che era la Contrada di ieri. I toponimi Veneziani non mentono, sono come una fotografia verosimile, anzi: una radiografia di quel che è stato il posto e le persone … lo raccontano in un certo senso. Basta leggerli e lasciarsi condurre un poco dalla fantasia, e si vedrà subito com’era animata e vissuta quella Contrada.

C’erano i luoghi dei Mestieri e delle Arti dei Veneziani: Calle Fighèro, Calle del Tabacco, il piccolo dedalo di Calli e Callette della "Calle dei Colori" dov’era presente un opificio che lavorava colori: verderame, cinabro, prussiato di ferro, azzurro e altro per tingere tessuti. Nei pressi di San Lunardo in un edificio di Calle Da Mosto o dei Colori, sorgeva l’Ospedàl de Messer Gesù Cristo o Pisani di cui non si sa molto, se non che nel 1538 la Nobildonna Cecilia Bernardo-Pisani fondò un Ospedaèto e testò a suo favore: affinchè potessero essere ricoverate lì almeno tre povere donne … alle quali si doveva elargire trentasei ducati annui ciascuna, assieme ad una botte di vino e altri generi di conforto”. L'Ospizio era affidato alla gestione e cura dei Procuratori de San Marco de Citra, e rimase attivo fino alla caduta la Repubblica nel 1797 quando l'edificio venne avocato al Demanio e venduto a privati che lo trasformarono in abitazioni mettendo fine al suo secolare scopo … Percorrendo la Contrada si calpestano “i masègni” di Calle del Zavatèr, Calle de a Pàgia, Calle del Luganghèr, Calle del Magazèn, Calle e Sottoportego del Pegolòto, Ramo e Corte del Tagiapièra, la Calle e Ponte dell’Aseo dove sorgeva un'antica fabbrica d'aceto già nel 1400-1500, di cui forse era proprietario Missier Anzolo da l'Aseo morto per ferite in Contrada secondo i Necrologi Sanitari della Parrocchia: “adì 13 Zenèr 1587” ... Dello stesso Ponte dell'Aseo scrive anche il solito Diarista Marin Sanudo in data 28 luglio 1499: “E' da saper ieri fo ritenuto per il Consejo dei Diese uno Citadin vechio e richo nominato Pasqualin Milani, qual teneva una botega de ojo, et una di tele, et fo per sodomia con un Vincenzo Sabatin, et fo trovato in casa di una meretrice al Ponte del’Axeo ...”

Annotava anche il Gallicciolli: “un gran incendio sviluppatosi íl 3 agosto 1725 al ponte medesimo.”… e ancora si potrà trovare: Calle de le Pignàte, Sottoportego e Campiello del Bottèr, Calle del Pistòr, Calle del Zolfo, Calle del Tiracàna, delle Conterie, dei Perlèri, e Calle della Màsena dove nel 1661 in Ramo e Calle della Masena c’era “una casa da Masena da Lin voda” di proprietà di Paolo Marioni.

Segue ancora: Calle Spezièr, Calle del Specchièr, Sottoportego e Corte del Diamantèr, Campiello e Fondamenta dei Fiori, Calle del Forno, Campiello del Remèr, Fondamenta de la Pescaria, Corte e Calle Correra, e la Corte dell’Ogio dove sulla sinistra c’era il grande deposito visibile ancora oggi dove s’immagazzinava e stoccava il prezioso liquido untuoso che andò storicamente e clamorosamente a fuoco il 28 novembre 1789 … rappresentato da  Francesco Guardi: “… non lungi dal Campiello del Tagiapiera ai Santi Ermagora e Fortunato (San Marcuola) arse il dì 28 novembre un memorabile incendio, di cui nel Giornale Veneto: “Il Nuovo Postiglione o Novelle del Mondo” si trovano i cenni seguenti: “Accesosi fortuitamente in uno dei magazzini da olio, trascorse come torrente pel vicino canale; distrusse d'un lato le case adiacenti lungo il Campiello, le Colombine, ed il Volto Santo, e dall'altro tutto lo spazio tra il canale stesso ed il Campiello dell'Anconetta ... Le case perdute furono circa 60, abitate da 140 desolate famiglie, tra le quali 50 composte da circa 400 indigenti” … Pietro Gradenigo nei suoi “Notatori” precisò: “… i predetti magazzini appartenevano alla ditta Giovanni Heilzelmann, ed erano pieni di 240 mila libre d'olio, e l'incendio ebbe origine dal fuoco ivi tenuto per disgelare l'olio, o dalla dimenticanza di spegnere la lucerna pendente dal soffitto” ... Continuò ancora a scrivere “Il Nuovo Postiglione”: “… il medesimo Doge soccorse i danneggiati dell’incendio con 24.000 lire; Giulio Corner con 16.000; Giulio Contarini con 5.000; e la Società del Nobile Casino di San Samuel con 4400. Aprironsi inoltre offerte volontarie nelle chiese dei Santi Ermagora e Fortunato (San Marcuola), San Polo, San Giovanni in Bragora di Castello, e San Zuliàn di San Marco.” ... Ancora i giornali ricordarono: “… in seguito, alcuni buoni temponi o male intenzionati s'aggiravano di notte quasi fantasmi per le macerie delle fabbriche incendiate, spaventando i passanti.”

Fra i tanti Mestieri e Arti della Contrada va sottolineata l’importanza fondamentale e l’operato irrinunciabile dei vari Traghetti “de fòra”, “de dèntro” e “da paràda” presenti in zona. Oltre a segnalare i confini precipui e i limiti fisici e dell’azione economica della Contrada, i Traghetti hanno giocato un importante ruolo d’unione e integrazione fra tutti quelli della Contrada … I Traghetti erano come il riassunto e l’emblema del formidabile brulichio formicolante che ogni giorno investiva e riempiva la vita della tipica Contrada Veneziana di San Marcuola: erano un continuo tramestare produttivo e laborioso dall’alba al tramonto ... nonché occasione d’incontri, scambi, contatti e interrelazioni polivalenti e spesso fruttuose di ogni sorta.



Dal 1494 s’incominciò ad ospitare nella chiesa della Maddalena su concessione dei Giustizieri Vecchi la Schola-Fraglia del Traghetto di Santa Maria Maddalena “per San Stae”. Quello della Maddalena era uno dei “Traghetto de Dentro” più antichi della città (il settimo più vecchio), con posto d’attesa principale o Stazio nella Calle e Sottoportico del Traghetopoco distante “dalla Riva de Citra situata in Fondamenta de le Colonete”a pochi passi dalla chiesa della Maddalena. Sulla sponda opposta del Traghetto, cioè: “de ultra el Canal”, c’era San Stàe(che sarebbe Sant’Eustachio nel Sestiere di Santa Croxe), dove esisteva un pregevole altarolo dei Gondolieri decorato con un bassorilievo lombardesco rappresentante una “Vergine e Santi”(oggi al Museo Correr).… Il Traghetto praticava soprattutto il passaggio trasversale del Canal Grande: era cioè un “Traghetto da Paràda … Se veniva “parài”, cioè spinti, condotti e trasportati al di là del Canal Grande”, ma poteva anche condurre ovunque in giro per Venezia e la Laguna applicando tariffe di Categoria con supplemento esposte in ogni Stazio delle Gondole.

Il Traghetto della Maddalenapossedeva 25 barche di cui 12 in servizio notturno, ed altrettante “Libertà”cioè: posti di lavoro, o “diritto acquistato od ereditato d'occupare un posto nel Traghetto esercitando il mestiere di Barcaiolo” ... Negli Statuti del Traghetto scritti nella Mariegola era previsto che all’atto dell’iscrizione quando si doveva versare una “Tassa di Benintrada e Luminaria”, non si dovesse avere più di 40 anni ... Sempre nella Mariegola si descriveva l’organizzazione delle Cariche Direttive della Fraglia: “la Banca”, e gli obblighi verso i Compagni poveri dell’Arte che sarebbero stati soccorsi in Vita e sepolti in Morte a spese della Schola ... Nel 1503 su iniziativa della Banca del Traghetto, i Capi Sestiere di Cannaregioapprovano la decisione di comminare una multa ai Compagni che si fossero serviti delle Rive del Tragheto dal suono della“marangona di mezzanotte” fino alle due di notte … Sette anni dopo, 30 Gondolieri addetti allo Stazio della Maddalena, ricordando che fra loro c’erano sei Gondolieri-Barcaroli “vecci et impotenti” che non potevano versare il contributo mensile per aiutare i malati, e la concorrenza serrata dei vicini 36 Gondolieri del Traghetto del Gètto Vècio de San Job, e dei Traghetti del Ghetto Novo, Santa Sofia, San Felise, Riva de Biasio, San Marcuola-Riva dei Turchi, San Marcillian e della Madona de l'Orto che faceva ridurre di parecchio i guadagni, chiesero ai Proveditori de Comun di non rimpiazzare i Compagni “passati a miglior vita”, e di ridurre il numero delle barche a 20 e poi a 15 per contenere le spese … Visti però gli scarsi vantaggi conseguenti a quella scelta, di nuovo si chiese nel 1528 agli stessi Proveditori de Comun di aumentare il numero delle barche di una unità al fine di utilizzare il maggiore guadagno per aiutare i soliti Confratelli bisognosi del Traghetto … “Tira e molla … càva e metti e zònta e barche”… Il Capitolo dei Gondolieri propose di approvare una multa contro chi occupava “la Cavanella de San Stàe” (ormeggio coperto), e di multare di 10 soldi anche i Compagni che non utilizzavano “il fèlze de copertura” nelle giornate di pioggia, o quelli che facevano aspettare inutilmente le persone in attesa sull’altra sponda … Di rimando e in parallelo, gli stessi Proveditori da Comun ordinarono anche che la prima e la seconda barca che iniziava il “servizio da nolo” al mattino provvedesse a tenere puliti i gradini della riva … Che “el primo nolo” inoltre “impìssa el feràl de la Madonna, pena un quarto d’olio”… Costatando inoltre che c’erano spese eccessive per restaurare le rive in prossimità degli Stazi della Madalena e San Stàe, ordinarono anche l'elezione di due Sindaci Supervisori precisando: “el Traghetto spende impunemente màssa schèi ...”



Recitavano le Mariegole dei Traghetti, ossia la “Màre di tutte le Regole” per gli Stazi e dei Gondolieri: “Tutti gli appartenenti ai Traghetti di questa città vivano con timidità di Dio e con qualche ordine … non vi debba essere tra loro: risse et costiòn, inzurie e litigi … non si manchi di rispetto a chi chiede prestaziòn de servizio.” … “In ogni barca non ci siano più di quattro persone a lavorare” … “Gli uomini dei Traghetti accompagnino i Confratelli e le Consorelle ai Funerali portandoli in barca fino al Cimitero eccetto che in tempo de Pestilenzia” … “sepoltura gratuita a spese della Schola per i frari e le soròre poveri” … “si paghi un soldo al mese di Luminaria per Nostra Donna … la Madonna”, e 4 soldi al mese “per l’ammalà” che dava diritto a ricevere 40 soldi alla settimana in caso di malattia …  Era previsto il pagamento di penalità in cera e olio, e sospensioni se si offendevano gli Ebrei. Si veniva banditi dal Traghetto dai Provveditori da Comun se le colpe erano gravi … “Se fàssa paràda senza impegno (si traghetti gratuitamente) per Frati, Monache e Clero”… e i Gondolieri frequentavano d’obbligo il Catechismosettimanale in una precisa chiesa loro assegnata, con pene e multe se erano assenti o si presentavano in ritardo. (Ve li immaginate i Gondolieri di oggi al Catechismo obbligatorio ?) … Il 3 dicembre 1781Gastaldo e Compagni del Traghetto della Maddalena-San Stàedenunciarono aiProvveditori da Comunil Gondoliere recidivo Antonio Pelosi (già sospeso dal lavoro del Traghetto) “per non essere andato una domenica alla lezione della Dottrina Cristiana, per essersi dato a giochi violenti nel nostro confin, per aver preteso di aver sempre la prima barca, per aver fatto aspettare i passeggeri, minacciato bruscamente chi osava riprenderlo, per dire di non voler badare a nessuno ...” Venne condannato dopo avergli già tolto “la vòlta (il lavoro), a pagare quattro libbre di cera ai Provveditori da Comun, e due libbre al Capitello del Traghetto .. e finalmente si calmò.

Pagava pena di 20 soldi e allontanamento dal lavoro del Traghetto per quindici giorni chi offendeva il Gastaldo (raddoppiata la pena se si rifiutava di pagare) … “Chi compie “noli di barca” abusivi paghi ammenda da uno fino a 25 ducati” che veniva spartita a metà fra il denunciante, mentre l’altra metà andava utilizzata: “per l’escavasiòn de Rii e Canali de questa nostra città.”“Chi gioca sulla riva del Traghetto sia soggetto a multa di 4 soldi e perda “una volta” di lavoro”.

Dal maggio 1858 il Municipio di Venezia fece sostituire l’antica “provvidenza giornaliera de un soldo per l’ammalà” costituendo un nuovo: “Fondo di Soccorso per i Barcaruoli dei Traghetti per il comodo pubblico ed il benessere della numerosa classe dei Barcajoili e delle loro famiglie”. Contemporaneamente tutte le Fraglie o Compagnie dei singoli Traghetti Veneziani costituirono un ulteriore fondo che contribuiva al sostegno presente e futuro dei propri Gondolieri tramite un esborso giornaliero di 6 centesimi da maggio ad ottobre associato ai cespiti delle multe inflitte per le contravvenzioni. Di conseguenza ai Gondolieribisognosi”si corrispondeva: lire una al giorno estendibile a lire due per quelle situazioni che le singole Fraglie avessero segnalato come particolarmente bisognose d’assistenza. Agendo in quella maniera, le entrate e le uscite del Fondo di Soccorso per i Gondolieri per quell’anno furono di: lire 3.960,12 da Esazioni; lire 54 da multe; e lire 1.000 da una Largizione del Comune da parte del Principe Ereditario ... Si spesero, invece: lire 1.220 per pagamenti ad ammalati; lire 194,40 per spese amministrative ed altro, e ci fu un Civanzosulle esazioni di lire 2.545,72.

E così la vita e il lavoro dei Veneziani nella “maxiContrada di San Marcuola” si concretizzava e realizzava sotto l’egida altissima e assidua della Serenissima … e dei Preti del Capitolo di San Marcuola: erano questi due gli “osservatori e i motori”che facevano “girare” e dettavano“le regole” della vita e delle attività di tutti.

Accanto all’attività preziosa e irrinunciabile dei Traghetti, fin dal maggio 1474 il Consiglio dei Dieci concesse di aggregarsi in Arte et Schola anche al singolare gruppo dei Fenestrèri e Piombadòri, che andarono “a riunirsi pagando affitto”presso la chiesa della Maddalena: “…Magister Fenestrarum Viticarum Venetiae [potranno avere] Scolam et locum in quo possint, apud aliquam ecclesiam, reducere se, sub titulo et nomine alicuius Sancti.”



L’Arte dei Finestreriraccoglieva e consociava gli Artigiani che fabbricavano e vendevano telai per finestre e piombi per fissare le lastre di vetro. Secondo la statistica del 1773-79 in città erano circa 131-135 (52 garzoni e 78 lavoranti), e costruivano in 52 botteghe finestre di due tipi: a rulli tondi di vetro uniti da piombo filato, oppure a vetri in forma ottagonale alternati a lastre più piccole romboidali sempre tenute insieme dal piombo. La “Proba d’Ammissione all’Arte”consisteva nel saper realizzare una finestra quadrata di 5 piedi per lato con telaio e solo sportello con vetro tondi a squadra. Per lungo tempo i Finestraiformarono “corpo unico”(chissà per quale analogia di mestiere ?) con gli Acquavitai, gli Arrotini e i Pestrinai, ed erano caratterizzati da un’insolita apertura di assunzioni verso “Garzoni Forèsti (esteri) che provenivano dalle terre suddite Protestanti dei Grigioni Italo-Svizzeri. Questa particolare condizione di tolleranza creò non poche diatribe, polemiche e questioni, soprattutto col Clero Veneziano (in particolare con i Preti di San Marcuola), tanto che il Senato della Serenissima giunse a decretare: “… che niuno possa essere eletto per CapoMastro nelle Arti dei Finestrai, se i votanti della Banca e Capitolo non fossero almeno per due terzi appartenenti al Cattolicismo” ... Ancora nel 1742 i Finestraisi lagnavano della cattiva qualità dei “rui da vètro da finestra” la cui produzione era monopolio esclusivo di Stefano Motta(per 10 anni consecutivi Gastaldo dei Verieri) contestandone il privilegio. Non ci fu però nessuno che si propose per sostituirlo ... e tutto proseguì come sempre, come s’era fatto per secoli.

Altra figura“un po’ a parte” ospitata nella Contrada di San Marcuola era la Natiòndei Lucchesi: una sorta di comunità di “rifugiati politici” antelitteram presente a Venezia, e ancora attiva nel 1884 ... “Lucchesi … co a spùssa sotto al naso”dicevano i Veneziani della Contrada, forse invidiosi per via della singolare storia, l’avvedutezza commerciale, la riconosciuta abilità manuale, e la capacità di guadagno dei Lucchesi. Fin dal 1398, infatti, scappando via dalla Toscana sconvolta dalle lotte fra Guelfi e Ghibellini e dalle persecuzioni di Uguccione della Faggiola e Castruccio Castracani, i Lucchesi erano giunti a Venezia dove avevano acquistato dal Nobilomo Marco Barbarigo: " un terren vachuo ne la Contrada de San Marcuola per prescio di ducati duxento d'oro lo qual'è per mezzo la Chiesa oltre l'orto.”… un fondo incolto insomma, dove s’erano costruiti il loro Ospizioe “… fabbricato due rughe o strade di case spendendo 14.000 ducati."Si trattava della Corte del Volto Santo visibile ancora oggi (in Strada Nova poco distante dal Casinò Municipale e da San Marcuola)circondata dall’acqua come un piccolo Ghetto, col pozzo in mezzo, la Schola, e le sette caxette dell’Ospizio intorno. I Lucchesi quindi vivevano un po’ al margine della vita della Contrada (risiedevano un po’ ovunque nel Sestiere di Cannaregio). Infatti, non a caso crearono la loro “sede religiosa” della loro Schola: “oltre il Rio de la Contrada”, presso Santa Maria dei Servi, quasi a volersi tenere “a debita distanza” da quelli di San Marcuola, cioè “liberi”dal controllo talvolta ingerente e pressante anche dei Preti del Capitolo di San Marcuola. Come ben sapete, i Lucchesi hanno vissuto una loro particolare vicenda storica all’interno di Venezia che li ha a lungo cercati, ospitati, cazziati e utilizzati fino a incorporarne del tutto buona parte ... Nel 1506 la Schola del Volto Santo dei Lucchesi aveva già depositato e accumulato nelle casse del Monte Vecchio di Venezia 17.000 ducati … e nel 1678 venne coinvolta e partecipò “liberalmente e con generosità” alla rifabbrica della chiesa di Santa Fosca offrendo ancora 6.000 ducati.

E con questo abbiamo detto“un poco del tanto” che brulicava quotidianamente in Contrada di San Marcuola, che formò per secoli come vi dicevo un secolare “unicum Foraniale di quattro chiese”: San Marcuola, Santa Maria Maddalena, Santa Fosca e San Leonardo, cioè un’enclave solidale e fortemente interdipendente, correlato e profondamente connesso d’intenti nel cuore del Sestiere di Cannaregio. Lungo i secoli è accaduta come un’unica “gestione” (non solo spirituale) di tutta la zona da parte del Capitolo dei Preti di San Marcuola, che ebbero sui Veneziani della zona un influsso molto superiore a quello che fu dei Nobili e dei CapiContrada. (Questo è un aspetto poco studiato della Storia di Venezia. Si potrebbero aprire praterie infinite d’indagine e studio considerando nei dettagli il singolare epifenomeno delle Contrade Veneziane ... Chissà, magari prima o poi qualcuno si dedicherà a farlo … Sarebbe una ricerca e un arricchimento culturale dei Veneziani davvero curioso quanto interessante).

Ora diamo brevemente uno sguardo sull’altra faccia della gente che popolava la Contrada allargata di San Marcuola, cioè consideriamo i ricchi e i Nobili che popolavano in gran numero la “maxiContrada”. Secondo quanto scrivevano i Preti del Capitolo di San Marcuola, i Nobili erano: “Classi Distinte, di civile ed agiata condizione … ma anche società pervertita, introversa e oscura” I redattori degli Atti della Visita del Patriarca Pirker hanno, ad esempio, commentato e rimproverato in certe righe: “… nell’Oratorio Azzo si nota una pittura che ha della immodestia vedendosi Maria Vergine con una mammella scoperta ... E’ un’indecenza !”... I Nobili di Venezia tuttavia, come si scriveva all’epoca, erano: “… razza eletta, scelta nel mazzo del qualunquismo, benedetta dall’Alto, destinata a godere in anticipo delle cose del Celesti … e perciò esente da tanto putridume del comune e ordinario vivere sociale”.

Però ! … Che alta considerazione che avevano di se ! … Tutt’altro che meritata in molti casi leggendo com’è andata la Storia.

Nella Contrada allargata di San Marcuola esistevano diverse famiglie Nobili “Antiche e Originarie”: c’erano quelle “della prima ora e di Casa Vecchia”, quelle del secondo e terzo momento: “di Casa Nuova o Casanova o Novissime”, e quelle divenute “Nobili per soldo” cioè comprandosi a più riprese il titolo nobiliare … Dentro a quella “folla di Nobili” esisteva tutta una scaletta di valenze e privilegi che contraddistinguevano e spesso contrapponevano i Casati fra loro. Si rivaleggiava e primeggiava l’uno sull’altro a suon di capitali, patrimoni sparsi in giro per il mondo, e capacità di emergere politicamente e sui mercati.

Basterà ancora una volta leggere i soliti Nizioletti dipinti sui muri della“maxiContrada” per individuare e ritrovare tutti gli epiteti pomposi, i nomi e i titoli Nobiliari “spalmati”sulla realtà urbana dove sorgevano i preziosi e lussuosissimi palazzi dei Nobili di Contrada. Nei pressi della Calle dei Colori verso San Lunardo, c’era ad esempio la Calle Da Mosto dove abitava un “Gaspare Mosto da San Leonardo”che nel 1300 fece parte della Scuola di Santa Maria della Misericordia. La famiglia Mosto, o Da Mosto, o CàdaMosto proveniva da Padova o da Oderzo ... Un Alvise Da Mosto fu famoso viaggiatore Mediterraneo ed Europeo durante il 1400: navigando verso le Fiandre fu costretto per i venti contrari a fermarsi a Gibilterra dove incontrò uno dei figli del Re del Portogallo Enrico di Aviz, che lo convinse ad esplorare le coste Africane prospettandogli ingenti guadagni col commercio delle Spezie. Partito quindi nel 1455, il Da Mosto toccò: Madeira, le Canarie, Capo Bianco e raggiunse la foce del fiume Senegàl ... Poi insieme al Genovese Antonio Usodimare raggiunse anche le foci del Gambia dove andò a sbattere contro l'ostilità degli indigeni. Un anno dopo ritentò l'impresa risalendo il Gambia per 70 miglia e raggiungendo il Senegal meridionale, le Isole Bijagos e avvistando l'Arcipelago di Capo Verde ... Vittore Da Mosto, invece, fu Governatore di Nave nel 1701, Almirante delle Navi nel 1708, e Provveditore di Santa Maura nel 1709: morì insieme a 260 persone nell’incendio che fece esplodere la sua nave carica di munizioni ... Questo per dire come in certi angoli di Venezia si riassumevano volti ed esperienze capaci di coinvolgere e d’interessare luoghi lontanissimi del mondo: Venezia era per davvero Porto di Mare spalancato e disponibile ad ogni esperienza, in un certo senso era per davvero una “caput Mundi” singolare.

In Calle Rabbia(che non si chiamava probabilmente così per l’impeto rabbioso con cui la Peste aveva colpito quella zona della Contrada, ma più verosimilmente perché lì abitava una famiglia borghese di cognome Rabbia), un Mercante Francesco Rabbiaaiutò nel 1374 Lucia Tiepolo a fondare la chiesa e Monastero del Corpus Domini(dove sorge oggi la Stazione Ferroviaria e il Ponte di Calatrava) ... Un altro Paolo Rabbia Mercadante navigò nel 1421 nonostante una furiosa tempesta nei pressi del Golfo del Quarnaro in Istria. Riuscì abilmente a salvare se stesso, l’equipaggio, la nave, e soprattutto il suo prezioso carico, perciò giunto a Venezia andò a fare voto di ringraziamento davanti alla Reliquia della Santissima Croce della Schola Granda di San Giovanni Evangelista ... Anche il solito Diarista Marin Sanudoriferì qualcosa nel febbraio 1508: "si fece festa etiam in Cannaregio per le nozze del fio di Fazio Tomasini con una Rabbia"



Potremmo procedere a raccontare in questa maniera quasi all’infinito: in Contrada abitavano i Nobili Giovannelli: Bergamaschi da Gandino, Mercanti di seta e oro, proprietari di miniere di preziosi nell'Europa orientale, Nobili e Magnati del Regno d’Ungheria, Conti del Sacro Romano Impero e di Morengo e Carpenedo, feudatari dei Castelli di Telvana e Castel San Pietro in Trentino, e dei villaggi di Caldaro, Castel Varco e Baumgartnoss in Tirolo, e proprietari di numerosi e sontuosi palazzi a Gandino e Clusone, a Venezia, Morengo, Padova, Torreglia e Noventa Padovana, Lonigo di Vicenza e Roma ... I Giovannelli divennero Patrizi Veneziani dal dicembre 1668 sborsando i famosi 100.000 ducati nelle Casse della Serenissima impegnata nelle spese per la Guerra di Morea ... Dalla famiglia nacque lo schivo e riservato Federico (Ferigo) Maria ultimogenito di Giovanni Paolo e della seconda moglie Giulia Maria Calbo, che il Senato con 146 voti a favore e 63 contrari votò, elesse e mise a governare Venezia come Patriarca dal 20 maggio 1776.

Di lui si raccontò che s’insediò pomposamente in Venezia scortato da un seguito sfarzoso di quasi tutti i Patrizi Veneziani vestiti in toga rossa. Lo accompagnarono lungo tutte le Merceriee fino alla Sala del PienCollegio in Palazzo Ducale dove ricette l'investitura a Patriarca da Paolo Da Ponte Vescovo di Torcello. Poi da lì in compagnia del Doge Alvise Mocenigo si portò fino alla Sede Patriarcale di San Pietro di Castello con un corteo acqueo simbolico di 72 "peòte"(una per ogni Parrocchia-Contrada di Venezia) ... Si scrisse ancora di lui che usufruendo del suo ingente patrimonio fu prodigo nel soccorrere i numerosissimi poveri Veneziani, che  promosse il Culto dei Santi e le Liturgie, e curò la formazione del Clero che era scadentissima … Nel 1779 consacrò la nuova chiesa di San Marcuola, e negli anni seguenti non mancò d’inaugurare e consacrare quelle rinnovate di: San Basso, Santa Margherita e San Barnaba... Si disse e scrisse ancora: “ch’era Patriarca un po’ scalcinato”perché in uno dei suoi discorsi alla città si spinse a definire Venezia: “Città non del tutto cara e ben accetta alla Provvidenza Divina.”, e che dietro di lui ci fosse sempre lo zampino pronto e attivo di sua madre, sua ispiratrice e accompagnatrice per quasi tutta la vita … Quasi cieco, il Giovannelli visse la caduta della Serenissima nel maggio 1797, e andò a giurare fedeltà al nuovo regime accompagnato dai Canonici, dai Piovani delle Contrade e dal buona parte del Clero Veneziano, invitando i Veneziani a obbedire “alle nuove leggi… rispettando però la Religione”… Identica cosa fece quando arrivarono gli Austriaci a Venezia, tanto che l'Imperatore lo designò come: “suo intimo e personale consigliere”… Se non è stato opportunismo questo ? … “Sono cambiati i gestori della cosa pubblica, ma l’osso da spolpare rimane sempre lo stesso, e su di esso avidamente s’avvanzano e si gettano illustri cani affamati di ogni sorta ... Povera Venezia !” commentarono con un certo sarcasmo alcuni Veneziani di quegli anni (non è cambiato molto a confronto con oggi)… Il Patriarca Giovannelli morì di colpo apoplettico a Conclave in corso durante l’elezione che generò Pio VII nell’Isola di San Giorgio Maggiorea Venezia giusto nell’anno 1800. I Cardinalirinchiusi dentro al Conclave vennero a sapere della sua morte soltanto quattro giorni dopo, e per omaggiarlo gli pagarono le spese del funerale che venne celebrato privatamente e senza alcun apparato e pompa in San Francesco della Vigna ... Solo 40 giorni dopo (!) il Governo Austriaco concesse ai Veneziani il permesso di celebrarne le Esequie Solenni nella chiesa Cattedrale di San Pietro di Castello ... e questo a dire quale fosse in realtà la scarsa considerazione di cui godeva il Patriarca da parte dall’Imperatore. 


Nel Casato dei Giovannelli Veneziani ci fu anche un Benedetto Giovannelli “Cavalier ricchissimo, devoto, di nobilissimo cuore e caritatevole con i poveri, che non voleva denaro ma l’abbondanza di tutti”, che esercitò da Podestà di Treviso nel 1696 in tempo di carestia. Fece rifornire Treviso di vettovaglie, frumento e granoturco, sorgo e miglio facendoli vendere a proprie spese a prezzo minorato (nei mercati di Montebelluna e Badoere si vendeva il sorgoturco a 30 lire, il sorgorosso a 17 lire, il miglio a 20, il frumento da 36 a 55 lire lo staio, e lui lo faceva dare a 26 lire pagandone la differenza e spendendo fino a 20.000 ducati);costrinse i Mercanti che tenevano chiusa e nascosta “la ròba” a venderla sul mercato, e i Fornai a panificare e vendere a prezzo bassissimo la farina gialla (quattro soldi la libbra, quando tutti la davano a sei soldi):“… la gente veniva a Treviso dalle ville di campagna dove si moriva di fame e miserie, e si portava via i sacchi pieni … Alla mattina si trovavano i morti di fame per strada … e alle nove del mattino i forni e le botteghe erano già vuote…”
C’era insomma “una foresta di Nobili” nella Contrada allargata di San Marcuola… di tutti i tipi, borse e qualità ... che fra l’altro si spostavano di continuo di palazzo in palazzo, e da una parte all’altra di Venezia seguendo il successo commerciale, economico e politico, e scegliendo di volta in volta palazzi sempre più arditi e prestigiosi tanto da dare nome a parti intere, Corti, Ponti, Fondamente e Campielli della Contrada.

Nella sub-Contrada della Maddalena risiedevano i Barbaro di San Cassan: Nobili di V Classe residenti in un palazzo affacciato sul Canal Grande; c’erano poi gli Emo “sul Canal Grande” provenienti dalla Grecia; i Molin-Erizzo della Maddalena (originari di Capodistria e giunti a Venezia nell’800) divenuti tali a seguito del matrimonio di Giacomo Erizzo con Cecilia Molin nel 1650; e i Molin-Querini-Gaspari della Maddalena “sul Canalàsso”. Entrambe le famiglie erano Nobili di III Classe, e possedevano un palazzo con facciata giusto sulla curva del Canal Grande all’imbocco del Rio della Maddalena dove nacque e visse il Doge Francesco(1646-1655).


Non mancarono in Contrada i Nobili Magnooriginari di Oderzo, che abitavano proprio accanto alla chiesa della Maddalena. Si misero un gran rilievo di San Magno in facciata (rimasto visibile seppure consumatissimo ancora oggi); i Marcello-Del Majno della Maddalena di Classe IV, imparentati con i Nobili Pindemonte-Papadopoli, e con i Sangiantoffetti. C’erano i Nobili Moro, gli Zen, e i Marcello che avevano palazzo in Corte Erizzo dove nacquero diversi personaggi famosi: Lorenzo Marcello(1603)Capitano da Mar che durante l’assedio turco di Candia bloccò lo stretto dei Dardanelli, e quasi entrò in Costantinopoli senonchè una cannonata lo spazzò via costringendo i Veneziani a desistere; sempre nello stesso posto nacque Benedetto Marcello (1686) celebre compositore e musicista. C’erano i Nobili Soranzo di III Classe: “Longhi di Casa Vecchia” provenienti da Santa Margherita, e divenuti Piovene dal 1760 quando Cecilia, figlia di Piero Soranzo, sposò Gerolamo Piovene portandosi in dote il palazzo Lombardesco del 1500; c’erano i Nobili Padovani Contin residenti in un sontuoso palazzetto gotico: “Ribelli ad Agnadello” erano stati definiti a Venezia, ma erano stati anche primi deditori di Padova a Venezia, e fra i Contin si scelse nell’aprile 1618 Tommaso Contin come perito (insieme a Giovanni Alessandro Galesi e Camillo Guberni)per individuare la causa della strana morte di otto Monache di San Maffio di Mazzorbo: … le Monache di San Maffio di Mazzorbo presentarono una supplica per considerare le cause per le quali il mal d’aere possi aver preso tanta forza … che in pochi giorni habbi cagionato la morte di otto d’esse Reverende Monache …”

Tommaso Contin e compagni alla fine individuarono la causa di quelle strane morti nel fatto dell’afflusso delle acque dolci provenienti dai fiumi Marzenego, Dese, Zero e Sile che entravano a sfociare in Laguna. Le acque s’erano inquinate, frammischiate, stagnate e imputridite, e le Monache avevano bevuto dal loro pozzo: “acqua marcia maleficata” che le aveva fatte morire ... Sempre lì nella stessa Contrada stavano i Nobili Donà dalle Rose, e i controversi Nobili Torniello di origine Milanese: che ebbero un Stefano Torniello che venne impiccato a Venezia nel 1659 per ordine del Consiglio dei Dieci, e un Giorgio Torniello che più tardi nel 1797, fu viceversa uno dei 25 illustrissimi Segretari del Senato, e Baldissera e FrancescoTorniello: due illustri Notai Ducali dell’Extraordinario.

Nella vera e propria Contrada di San Marcuola cuore della “maxiContrada” abitavano in Fondamenta dei due Ponti i Balbo di San Marcuola Nobili di IV Classe; c’erano poi i Duodo di San Marcuola di III Classe poi trasferitisi a San Barnaba; i Grimani-Calergi di San Marcuola considerati fra i 15 Casati più ricchi di Venezia;  i Mora di San Marcuola di IV  Classe; i Da Mosto di San Marcuola di V  Classe;  Michiel; Vendramin-Calergi; i Zorziinsediati dal 1762 in un palazzo archiacuto affacciato sul Canal Grande; e i Rubini o Rubin di San Marcuola Nobili di IV  Classe d’origine Bergamasca, Mercanti di Seta prima e poi Mercanti di Sapone(divenuto più redditizio della seta), divenuti “Patrizi Veneziani per soldo” nel 1646 subito dopo e insieme ai Labia, e ai vari nuovi Nobili: Widmann, Zaguri, Tasca, Correggio, Antelmi, Medici, Gozzi e Zenobio ... I Rubin però vennero accettati nel Patriziato Veneziano con ben 50 voti contrari, segno di disagio nei loro riguardi da parte dei Nobili Originari, che li consideravano a loro dire:“bassi gestori al tacito servizio del vero potere che conta”. In seguito i Rubin appartennero alla ristretta cerchia dei Cittadini Originari Veneziani che si presero cura della Cancelleria Ducale fino ad essere Segretari del Senato e dei grandi Consigli di Stato ... Furono fra le famiglie nobiliari che ebbero maggiore accesso a rilevanti Cariche Ecclesiastiche: stavano stabilmente all’interno della Corte Pontificia, e furono insieme ai Surian, Ottoboni, Medici, Zon, Vianol, Donini, Zaguri, Piovene, Feramosca e Tascafra le 11 “famiglie Aggregate” che fornirono in quantità e continuità i Giudici della Quarantia Criminal della Serenissima … Un Michele Rubin fu Guardian Grando della Scuola Grande dei Carmini nel 1622: giusto poco prima della “grande Moria” del Voto della Madonna della Salute ... Un nipote di Donà Rubin che di nome faceva GiovanBattista, dopo essere stato Governatore di Spoleto, Frosinone, Viterbo e Macerata, venne eletto nel 1684 a Vescovo di Vicenza, e nel 1690: “assunse a Cardinale” ... I Rubinisi estinsero nel 1756 in un Antonio quondam Camillo, nipote dell’Illustrissimo quanto Eccellentissimo Cardinale Alessandro.

Ancora in Contrada c’erano: i Nobili Venier di San Lunardo di V Classe; i Nobili Caotorta: esclusi e poi riammessi al Maggior Consiglio, proprietari a Meianiga nel Padovano di: “… domus magna de muro, cum una alia domo parva et curtivo, et cum campis duobus terre partim brolive et partim arative…”. Furono prossimi ad estinguersi nel 1527, Segretari Ducali ancora e invece nel 1731, Notai Ducali dell’Extraordinario nel 1797 alla fine della Serenissima, e “riciclati” ancora dagli Austriaci come “Nobiltà valida” nel 1819.

C’erano: i Correr-Contarini; i Donà-Tedesco; i Grimani-Mayer; iGritti-Dandolo di San Marcuola di III Classe; Longo; Loredan-Gheltoff di San Marcuola di IV Classe; i Memmo di IV Classe, che nel 1761 disponevano di: 4 gondole, 12 servitori e 3 massere ... Nel 1791, corsi e ricorsi storici: “… il Memmo non ha più barca, è ridotto in miseria.”, e divennero Martinengo-Mandelli-Donà delle Rose.

Non mancavano in Contrada i Casati considerati “minori”, ma pur sempre prestigiosi e ricchi: Marini, Zecchin-Della Torre, e i Nobili Nani di Casa Nuova ma di origine Altinate, definiti: “casetta” dagli altri Nobili per non aver mai avuto Dogi in famiglia, e considerati: “una fra le case più basse e meno prestigiose condannate ad eterno quanto disperato tramonto”… Non era vero, forse era tutta invidia degli altri Nobili, perché i Nani dal 1310 al 1407 erano stati una fra le 15 Famiglie più importanti di Venezia capaci d’imporsi e prevalere fino a partecipare al temutissimo e potentissimo Consiglio dei Dieciinsieme ai Contarini, Morosini, Michiel, Dolfin, Loredan, Venier, Marcello, Corner, Trevisan, Foscari, Molin, Soranzo, Zorzi e Falier ... Fatalità: buona parte di quelle famiglie risiedevano nella “maxiContrada” di San Marcuola, e nel 1797: la biblioteca privata aperta a pubblico profitto dai Nani di San Trovaso era considerata una delle sette principali delle famiglie Patrizie Veneziane e dell’intera città.

Nella parte della Contrada che riferiva a San Lunardo risiedevano: i Cappello di San Lunardo di Classe II, dei quali Piero Andrea Cappello quondam Piero Girolamo di San Leonardovedovo di Elena quondam Giobattista Albrizzi prese in moglie nell’ottobre 1423 la NobilDonna Eleonora figlia di Odoardo dei Collalto del Ramo di San Lunardo Damigella della Regina d’Ungheria dove il Cappello era Ambasciatore.  Si diceva in giro per la Contrada che la dote della sposa fosse misera: di soli 2.000 fiorini, quasi come una Cittadina o una fortunata popolana qualunque … ma si aggiungeva anche che la Reginale aveva regalato una collana di perle del valore di 11.000 fiorini ... Nella stessa zona abitavano anche i Querini Papozze di San Lunardo di I Classe; i Venier di San Lunardo di V Classe che si spostarono presto ad abitare verso San Marcuola in un palazzo maggiormente confacente alla loro condizione; i Correr-Contarini; e i Nobili Emo in un palazzo del 1700.

Nella zona di Santa Fosca, invece, in Corte Barbaro abitavano ovviamente i Nobili Barbaro; c’erano inoltre i Barbarigo, i Bragadin-Vellutiin Calle e Corte Bragadin; al Ponte e Calle Correr abitavano i Correr-Contarini di Santa Fosca: Nobili di II Classe in palazzo archiacuto del 1400; c’erano ancora: i Costa;  in Calle, Campiello e Fondamenta Diedo risiedevano i Diedo di Santa Fosca Nobili di III Classe in palazzo del 1700 attribuito ad Andrea Tirali che secondo la tradizione eresse un palazzo tale da far ombra a quello vicino di Francesco Grimanidistrutto nel secolo scorso; c’erano i Donà dei Santi Apostoli divenuti poi Giovannelli di Santa Fosca di II Classe: una delle 25 Famiglie Ducali, Nobili di III Classe, poi spostatisi a Riva di Biasio oltre il Canal Grande. Abitavano un palazzo archiacuto della fine del 1300 che Filippo Calendarioarchitetto di Palazzo Ducale pare ne abbia seguito la costruzione. Nel 1538 venne ceduto ai Donà di Urbino e in esso si celebrarono famosissime feste: quella per le nozze di Guidobaldo II d’Urbino con Vittoria Farnese nel 1640, ad esempio, e quella pomposissima del 1709 durante il soggiorno a Venezia di Federico IV Re di Danimarca. Il palazzo passò quindi ai Principi Giovannelli che vi raccolsero un’importante collezione d’opere d’Arte andata oggi dispersa fra cui sembra ci fosse anche “la Tempesta” del Giorgioneche venne poi comprata dallo Stato per la neonata Galleria dell’Accademia.



In Fondamenta Grimani abitavano i Grimani da San Moisè di III Classe; i Nobili Michiel stavano in un palazzo del 1500-1600, mentre al Ponte Pasqualigo risiedevano i Nobili Pasqualigo poi Giovannelli in un altro palazzo del 1500. I Gussoni di Santa Fosca che risiedevano al Ponte di Noale erano originari di Cividale del Friuli e passati per Torcello, risiedevano come Gussoni della Vida in Calle Minio in un palazzo costruita nel 1500 dal Sanmicheli con facciata sul Canal Grande affrescata dal Tintoretto e col cortile interno dipinto da Gianbattista Zelotti. Anche i Gussoni erano considerati fra le 15 Casade più ricche e intraprendenti di Venezia: furono spesso Podestà e soprattutto Ambasciatori della Serenissima, e alla fine del 1600 palazzo Gussoni di Santa Fosca conteneva una celebre collezione di quadri raccolta dal Cavalier Vincenzo, e ospitava l’Accademia Delfica detta Gussonia: “solita occuparsi d’esercizi di eloquenza estemporanea e bel parlare”, di cui il Senatore Francesco Gussoni insieme a Zuanbattista Corner e Alvise Duodo erano i Protettori. L’emblema dell’Accademia Letteraria Delficache era anche filoSarpiana, era un tripode col motto: HINC ORACULAne faceva parte anche un poetastro d’epoca Cristoforo Ivanovich”recita una nota storica sull’AccademiaGiustiniana Gussoni fuggì nel 1731 da Venezia insieme al Conte Francesco Tassis di Bergamo, col quale si sposò con matrimonio clandestino, e rimasta vedova cinque anni dopo, si risposò con Pietro Martire Curti, morendo a soli 27 anni, e venendo sepolta nella chiesa degli Scalzi a Venezia … Sempre negli stessi anni i Gussoni finirono con l’estinguersi col Senatore Giulio che nel 1739 lasciò i suoi beni per metà alla moglie Faustina Lazzari, e per metà alla figlia Giustiniana. Il palazzo di famiglia di Santa Fosca passò nel 1747 per via ereditaria ai Nobili Minio con l'obbligo ai beneficati di aggiungere al proprio cognome quello dei Gussoni, e mancando eredi maschi, il palazzo sarebbe dovuto diventare proprietà della Casa Professa dei Gesuiti delle Fondamente Nove di Venezia … che una sentenza provvide ben presto e prontamente ad escluderli.

Quasi come un largo fiume che fluisce di continuo e senza fine, c’erano ancora in Contrada: i Priuliin un palazzo del 1600 con aggiunte del 1700; i Ruoda diventati Nobili nel 1685“per la Guerra in Morea”; i Tirabosco in palazzo del 1500; i Longo di Classe V in un palazzetto gotico d’inizio 1400; i Pesarodi origine romagnola, che stavano in un altro palazzo archiacuto del 1400, divenuto proprietà nel 1615 dei Nobili Pappafava per via del matrimonio di Pesarina Pesaro con Bonifacio Pappafava… In Fondamenta Vendramin c’era il loro Palazzo di fine del 1400; c’erano i Lucadi Santa Fosca di III Classe; e i Zulian-Priuli di Santa Fosca in Corte Zulian di III Classe poi andati in Contrada di San Felice … Nella Contrada allargata di San Marcuola-Santa Fosca-San Lunardo e della Maddalena abitavano insomma un po’ tutti: c’era anche la così detta: Ca’ del Duca dove nel 1531 il Duca di Urbino Francesco Maria della Rovereamico di Alfonso D’Este ed il Leonardi, suo rappresentante stabile presso il Governo Veneziano, discutevano dell’arte della guerra antica e moderna, degli ordinamenti di campo, di macchine ossidionali, di castrametazione, di progettazione di piazzeforti, di città murate, della progettazione di architetture di porte urbane, della struttura di ponti da buttare attraverso i fiumi e del rapporto tra organizzazione e le decisioni relative a tutto questo e dell’arte del governare ... Il Duca come s’intende era un esperto d’armi e della guerra, e arrivò a realizzare nell’Arsenale dei Veneziani dei pezzi d’artiglieria capaci di allungare di 2 miglia il tiro contro i Turchi … Infine c’erano i Moro e i Da Canal nelle Fondamente che portavano il loro stesso nome; i Nobili Zen di Santa Foscaconsiderati fra i dieci Casati più poveri di Venezia; e gli Zancani o Zantani o Centani di Casa Nova oriundi di Jesolo nell’omonima Calle e Ponte: “Negligenti nell’essere Nobili e nel Consiglio”, avevano altri Rami del Casato a San Tomà e San Vio nel Sestiere di Dorsoduro … Un Nicolò Zancani venne eletto Piovano di San Pantalon nel 1315 … Andrea Zancani fu Ambasciatore di Venezia a Costantinopoli nell’ultimo anno del 1400, e l’anno prima ad Antonio Zancani Consigliere a Candia venne rifiutato da Antonio Baffo e Bernardino PolaniConsiglieri di Rettimol’accesso all’isola come nuovo Governatore. I colpevoli vennero condannati a un anno di prigione, e all’esclusione per 10 anni da ogni Ufficio dell’isola di Creta … Antonio Zentani nel 1500 si dedicò alla costruzione dell’Ospedale degli Incurabili sulle Zattere di cui gli Zentani furono spesso Governatori e munifici benefattori essendo un po’ “i boss” e notevoli proprietari di case nella limitrofa Contrada di San Vio del Sestiere di Dorsoduro.

Mi fermo qua … Non sarebbe più finita … E’ come scoperchiare una scatola cinese dentro alla quale ne trovi sempre un’altra, poi un’altra e un’altra ancora senza mai finire … E poi non voglio stancarvi e annoiarvi troppo ancora una volta … Ci tengo a non sfiancare del tutto i miei “due…”illustri e pazienti lettori che seguono le mie “Una curiosità Veneziana per volta”… Tutto quanto ho riassunto sulla “maxiContrada” comunque è solo come “la cornice”, un assaggio, un accenno, il contenitore o se volete il palcoscenico del “ricchissimo copione” descritto nella lettera di Don Rado e accaduto dentro alla“Contrada allargata” di San Marcuola a Venezia.

Mi chiedo però: chi era quel Don RadoPiovan di San Marcuola, o meglio: … quale ruolo interpretavano i Preti del Capitolo di San Marcuola sulla vita e la storia delle gente di quella Contrada Veneziana ?

Mi risponderete: facile ! … I Preti facevano i Preti ! … Che altro vuoi che facessero ? … Si sa bene che cosa fanno e facevano.

Ne siete proprio sicuri ?

Ritengo, invece, che i Preti del Capitolo di San Marcuola al pari di quelli degli altri Capitoli delle chiese Veneziane, Lagunari e della Terraferma, abbiano “avvertito come nessun altro il polso degli accadimenti e della gente”, avuto una consapevolezza particolare della Contrada, “giocato” un ruolo specialissimo, esercitato un “influenza e un condizionamento forte”… che neanche immaginiamo, e che soprattutto non merita d’essere dimenticato.

E cioè ? … Quale sarebbe ? … Che cosa intendo dire ? ... e a quali fatti e considerazioni mi riferisco ?

(fine della seconda parte/continua con la terza parte: "La “macchina subliminale e le Consuetudini” dell’Archivio della Contrada.")


“Inverno 1709 … Laguna gelata … ghiacciava anche la pipì.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 173.

“Inverno 1709 … Laguna gelata … ghiacciava anche la pipì.”

Si parla ancora a Venezia del memorabile ghiaccio del 1929 quando la gente camminava sulle acque della Laguna ghiacciate … Ci sono ancora alcune sbiadite foto che lo testimoniano … E’ sempre curioso vedere le persone “camminare sulle acque”… Ha un sapore di miracolo e di eccezionale … anche se in realtà si tratta solo di una delle tante cose insolite che possono capitare.

Infatti capitò diverse volte nel lungo corso della Storia di Venezia … E fra le tante, esiste una vecchia Cronaca, “campagnola” in verità quindi non tanto nostrana Veneziana, che racconta di una mirabile e singolare “ghiacciata”accaduta nel lontano gennaio 1709. Quell’anno e quell’inverno nevicò tantissimo: in certi posti del Dominio Veneto non molto lontani da Venezia la neve era salita alta fin quasi a due metri, tanto che non si era più potuto neanche aprire Forni, mercati e botteghe.

In poco tempo ghiacciò tutto prendendo molti alla sprovvista, e gelò anche la Laguna di Venezia di un ghiaccio così spesso e solido che ci si poteva camminare sopra tranquillamente anche portando un sacco pieno in spalla ... Faceva un “freddo cane” ovunque, anzi: “un freddo bècco” come diceva la Cronaca … La gente e i vecchi fragili morivano per il gran freddo nelle case, e si trovavano i miseri morti sotto ai portici, o sotto la prua di qualche barca dove andavano in cerca di un ultimo riparo per sfuggire alla Morte che andava a ghermirli fin là sotto … “Morirono anche dei Nobili che contro gelo e peste non sanno trovare scampo neppure loro sebbene possiedano la borsa forte appesa.”… Si diceva che perfino la pipì urinando si ghiacciasse appena toccava terra per strada, e che perfino lo sputo si coagulasse in aria appena usciva fuori dalla bocca … Se ne dicevano tante in giro in quei giorni: più del solito … e Venezia dopo un po’ di giorni si ritrovò nelle ristrettezze perché non potendo transitare e navigare le barche vennero a mancare anche i rifornimenti.

Si raccontava che per chi andava o stava a Venezia la spesa principale era quella di riscaldarsi e trovare e pagare legna da ardere ... Era andata a ruba del tutto, e la poca rimasta era diventata così preziosa che ci fu anche chi s’arricchì vendendo quattro legnami scadenti …  “Quattro stizzetti striminziti di legno costavano un soldo … roba da ricchi !”… In giro per le Contrade Veneziane si sentirono raccontare storie insolite: c’era chi bruciava nel camino le tavole staccate dalle soffitte, chi il manico della scopa di casa, o ogni altra cosa considerata inutile … perfino le “zampe dei letti” ... e c’era perfino chi vagava nottetempo per la Laguna ghiacciata andando a rubare i legni dei capanni lagunari, e perfino i pali delle “Palàde di confine della Serenissima”… che essendo marce e quasi distrutte dal tempo, non ci misero nulla a finire arse scoppiettanti nel fuoco facendo felice qualcuno … Era tanto il disagio, che chiunque pur di non soffrirne era disposto a inventarsi qualcosa.


Arrivarono a Venezia anche alcuni echi di storie della Terraferma, da dove giungevano più che spesso discorsi di cose strane e strampalate: si raccontava che era tutto bianco ghiacciato come in preda a “una stregonica e deleteria magia”, che erano andate a male tutte le coltivazioni, e che erano morti orti, giardini, coltivazioni, campi e tutti gli agrumi … e che gli animali gemevano nelle stalle per la mancanza d’acqua e di giusto fieno … Un giorno giunse anche la storia di una giovane donna che vinta dal freddo e dalla miseria accese un fuoco di braci sotto al letto del suo pargolo prima di uscire alla ricerca di qualcosa da mangiare … Il letto prese fuoco, e al suo ritorno trovò l’intera casa carbonizzata compresa la sua creatura … Una storiaccia … purtroppo … E ci fu anche chi, sempre nelle aspre lande desolate della Terraferma, pensò bene di sfidare la sorte e cercare qualche buon affare recandosi “sacco in spalla” fino a Venezia attraversando la Laguna ghiacciata … S’era sparsa voce nelle campagne che a Venezia dove il gelo spaccava tubi e bottiglie nottetempo: “se moriva de fame e freddo pur avendo i denari”… Perciò qualche logoro e polveroso contadino munito di pesanti “sgàlmare chiodate” prese più di qualche volta un paio di polli, delle uova, e una gallina dal pollaio, un’altra prese un sacco di farina dal granaio, un agnellino o un porcellino dalla stalla, o dei salami preziosi dalla dispensa, e si avviarono alla volta di Venezia biancovestita pregustando il lauto guadagno e spingendo il loro carretto o traballante biroccio fino sull’orlo della Terraferma dove iniziava la Laguna paralizzata ... 

Arrivavano a Venezia arruffati e col cappellaccio storto in testa al mattino presto dopo aver attraversato lo specchio ghiacciato nelle prime ore dell’alba, e se ne andavano soddisfatti prima della campana del mezzogiorno “sacco vuoto”, ma sorridenti dei loro denti marci e ingialliti. Prima di calcare di nuovo lo specchio pallido della Laguna, s’infilavano dentro a qualche lurida bettola “per bagnarse el bècco alla Salute dei Veneziani” che in quei giorni erano diventati la loro fortuna … Poi scomparivano nelle luci lunghe e basse dell’imminente tramonto “camminando sulle acque come Santi del Cielo e improvvisati Angeli della Provvidenza”, e se ne tornavano per notte ai loro improvvidi covili.

A Venezia tutto quanto era commestibile era divenuto carissimo … Bottegai, becchèri e salsamentari erano considerati come orefici: il manzo si vendeva a 30 soldi la libbra, il vitello a due lire, un paio di capponi costava 24 lire, e tutto il resto costava: “un eccesso”.

Il fenomeno, fortunato e fruttuoso per qualcuno, durò quasi un mese … Non si poteva neanche pescare in Laguna, serviva spingersi fino in Mare aperto per prendere qualche pesce … Ma arrivarci al Mare ! … con tutta quella distesa gelata era praticamente impossibile … Le Pescherie di Rialto e San Marco, ma anche delle isole, languivano pure loro con i banchi quasi vuoti e senza acquirenti salvo qualche Nobile o benestante: “che avido e sospettoso apriva la saccoccia guardandosi attentamente intorno” ... Era singolare vedere le barche sempre libere di andare ovunque, imprigionate nella morsa candida del ghiaccio che le stringeva fino a farle scricchiolare … Dalle campagne giunse anche notizia che perfino i “fiumi grandi” s’erano temporaneamente ghiacciati, e che le ruote dei mulini erano imbrigliate dal gelo, e che nella primavera prossima tutto sarebbe costato di più perché non si riusciva a macinar farina.

Quell’insolita stagione fu proprio un guaio per Venezia, i Veneziani e tutti quelli delle Lagune.

E ci fu anche chi, nonostante la disgrazia di quei giorni, non perse la voglia di divertirsi ulteriormente approfittando dell’occasione … Spuntarono scivolose slitte di provvisoria e artigiana fattura, e improvvidi cassonetti rotanti adatti a scivolare sopra la Laguna pietrificata … e ci fu anche chi, uomo e donna, finì gambe all’aria pagando salata quella ludica caduta rovinosa, che gli rimase nella memoria insieme a quella “storica ghiacciata”.

Infine il gelo allentò finalmente la sua drammatica stretta, e tutto ciò che doveva essere fluido tornò ad esserlo … Tornò la normalità di sempre, svanirono tante paure, e si spensero tante predizioni apocalittiche e drammatiche che il tepore dell’imminente primavera pensò a stemperare portando il buon tempo e la promessa del solito normale raccolto.

Rimase la Storia con la memoria di quel gelido evento invernale.




“Singolari Preti di Contrada Veneziana.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 174.

“Singolari Preti di Contrada Veneziana.”

Prima d’addentrarmi a parlare della “macchina subliminale”dell'Archivio e delle Consuetudini della Contrada di San Marcuola”(la terza parte della curiosità sulla lettera del 1820 scritta dal Piovano Don Rado di San Marcuola), credo sia necessario provare a intuire se non comprendere chi erano, com’erano e come si comportavano certi Preti che per secoli hanno formato i Capitoli Titolati del Clero delle Parrocchie-Contrade Veneziane.

Non è facile ricostruire tutte quelle identità eterogenee, e soprattutto lontane nel Tempo e dalla nostra sensibilità attuale, ma provo a delinearne qualche tratto lo stesso a partire dalle esperienze che ho avuto di alcuni di loro in prima persona … Ritengo, infatti, d’aver avuto modo di conoscere e approcciare più o meno direttamente quelli che sono stati gli ultimi Preti da Contrada Veneziana, perché quel tipo di Preti oggi non esiste più.

Per intenderci meglio: oggi buona parte del Sestiere di Cannaregio di Venezia(quello in cui sorgeva la Contrada di San Marcuola di Don Rado di cui stavamo parlando)è affidata a pochissimi Preti rimasti. Il buon Don Stefano Costantini, ad esempio, è oggi Parroco-Piovano felice dell’Unità Pastorale unificata che comprende tantissime di quelle che sono state un tempo le piccolissime Parrocchie-Contrade di Cannaregio. Sotto la sua sapiente quanto umana guida di Pastore (è mio compaesano, lo conosco fin da bambino, e quindi so bene chi è)“sopravvive il gregge” di parte dei pochi Veneziani rimasti delle Parrocchie di San Marcuola, Santa Maria Maddalena, San Lunardo, Sant’Alvise, San Gerolamo, Santa Foscae altro ancora (queste scelte conglobanti obbligate di Parrocchie sono dovute alla fortissima diminuzione del numeri dei Fedeli Veneziani, oltre alla crisi vocazionale che ha ridotto grandemente il numero dei Preti impedendone il “fisiologico” ricambio generazionale nei luoghi … Buona parte dei Preti Veneziani sono ormai anziani o quasi, e non godono più dell’accondiscendenza e del seguito dei Veneziani di un tempo).

Anche dal punto di vista “preteresco”è rimasto “poco o niente” di quel che è stata la variegata e intensa vita quotidiana delle Contrade Veneziane, ci sono come “i fantasmi e le ombre delle memorie” di quell’esperienza e di quella presenza che è stata più che assidua … Sono cambiati inoltre anche i tempi, i modi, e perfino i “contenuti e le proposte religiose”, oltre che le persone Sacerdotali con la loro tipicità nell’esserci ed operare inseguendo il loro scopo precipuo. Possiamo dire che una certa stagione delle Contrade Veneziane è tramontata definitivamente, e che una certa “identità Contradariale”è andata ormai cancellata per sempre.

Sopravvive “qualcosa”, qualche memoria sbiadita … ma forse … in qualche nostalgico e arroccato sostenitore del “tempo che fu”, ma si è di certo persa quella consapevolezza solita che formava l’identità spicciola e giornaliera della Contrada … e questo, male o bene che sia, oggi è storia e purtroppo realtà.

Dicevo, che ho fatto a tempo a vedere, conoscere e incontrare … fortuna o sfortuna non so … quelli che considero gli ultimi Preti delle Contrade Veneziane, forse gli “eredi”di quel Don Rado di San Marcuola che è arrivato a scrivere quella lettera cogente al Patriarca Pirker nel 1820.

Posso dire intanto e sicuramente, che diversi Preti dei Capitoli e delle Contrade Veneziane sono stati dei personaggi singolarissimi, non degli stereotipi ma dei tipi originali, quasi delle macchiette qualche volta, di sicuro: personalità ambiziose d’altri tempi, uomini oggi forse obsoleti e improponibili, ma che allora hanno goduto di una loro indubbia bontà, valenza ... e forse anche ambiguità.

Quel che conta poi, ai fini del nostro “curiosare Veneziano”, è che quelli che abitavano in quel che rimaneva delle Contrade Veneziane, hanno avuto a che fare direttamente e continuativamente con loro. Hanno dovuto rapportarsi più o meno per forza con quei tipi, e quasi ogni giorno hanno dovuto declinare la propria esistenza a seconda del loro modo d’essere, di atteggiarsi, di proporsi e d’intervenire. Non si viveva in Contrada a prescindere dai Preti del Capitolo.

Con questo discorso comunque non intendo entrare in merito alle qualità intime e intellettuali di quegli uomini e Preti, non tocco l’argomento delicatissimo della loro formazione, né la loro consapevolezza Dottrinale e Teologica sulle quali ci sarebbe parecchio da dire ed eccepire, né voglio sindacare sulla loro coerenza e fedeltà, o l’unione d’intenti col Patriarca e col lor mandato Sacerdotale. Voglio piuttosto accennare al loro “modus” umano di presentarsi e presenziare in Contrada, e di come certe volte la gente Veneziana si rapportava con quei Preti e uomini chiamati ad indirizzare fortemente e con insistenza la loro vita fin nel profondo.

Quale sia stato l’intento e l’obiettivo dei Preti si sa: “è quello”… C’è poco da spiegare e aggiungere, ma certi Preti delle Contrade possedevano “un quid speciale” nel viverlo e interpretarlo, che merita d’essere raccontato … (sempre secondo me ovviamente).


Sostanzialmente nella mia mente fin da giovane ho sempre identificato due tipi di Preti, quasi come due aspetti di un’unica medaglia Preteresca e Contradariola. Non distinguo affatto fra “Preti buoni o cattivi”… Dio mi strafulmini se intendessi arrogarmi e azzardarmi in giudizi … Dico e scrivo piuttosto di due modi diversi di porsi e di fare che ho avuto modo di conoscere ed esperimentare direttamente vivendo a Venezia qualche decennio fa, e ascoltando attentamente le testimonianza e i ricordi di diverse persone.

Di certo entrambe le categorie dei Preti erano immerse dentro fino al collo e oltre in quel mondo effimero, pomposo, aulico e caramelloso e ipergentilino tipico del Clero, della Frateria e delle Monache non solo Veneziani … Da una parte devo dire che sono esistite belle e brave e buone persone, “luminosi esempi di Prete” degni di rispetto e forse anche di qualche elogio: Preti, insomma, degni del loro ruolo, e coerenti con loro mandato interiore … Erano un po’ rari però e purtroppo, questo devo aggiungerlo, non sono stati la normalità come sarebbero dovuti essere.

Fra i tanti voglio ricordare, come esempio positivo, “il vecchio” Don Marchetti Piovano di San Zaccaria… Ho avuto modo di conoscerlo direttamente a suo tempo, e ho più volte parlato direttamente e ricevuto molte testimonianze da certi che l’hanno visto nottetempo portare a spalla materassi di lana nuovi a chi ne era rimasto sprovvisto a causa dalla miseria ... Se non portava quelli, Don Marchetti portava, sempre nottetempo, qualche grosso pentolone fumante di minestrone o pasta e fagioli, e se non era quello ancora: portava qualche vestito per i bimbi, qualcosa per andare a scuola, o qualche spicciolo che non guastava mai per continuare a tirare avanti … insieme a “una buona parola”… Nottetempo: era importante ! … perché si andava a lenire certe povertà coperti dalla discrezione del buio, e a sopperire senza apparire a quella che a volte era vera e propria fame oltre che plateale indigenza.

“A zènte e le famègie a volte proprio soffre per tanti motivi e avversità … e lo fanno in silenzio e nel nascondimento … Magari mangiano polenta, e pane condito col profumo della carne, o con una misera sardèlla … Però si vergognano di ammetterlo perché hanno una loro dignità da difendere …Tòca al Prete andarli a scovare e aiutarli senza umiliarli ... con rispetto, e fraternamente, come è chiamato a fare.”

A differenza di tanti altri Preti considerati “validi” secondo eterogenei parametri considerati “dall’alto”, Don Marchettiè diventato Monsignore “per meriti sul campo”, cioè perché ha incarnato generosamente un modo sincero d’essere e di dedicarsi meritevole d’elogio, ammirazione … e perché no … anche d’imitazione.

I Preti come Don Marchetti(perché non era l’unico a comportarsi così, ma era un “tipus”di Prete), andavano in giro con la veste talare consumata e smunta, riciclata a volte da un altro Prete morto, o altre volte di misura fin troppo corta tanto da far risaltare a distanza i candidi calzini delle gambette magre … Don Marchetti era “secco e tirato come un chiodo”, ed era così perchè viveva povero dando più che poteva e tempestivamente a chi aveva per davvero bisogno ... Un bel esempio di generosità e umiltà ! … pur senza volerlo monumentalizzare … Non so se oggi esistano ancora personaggi del genere ? … Si lo so: è ovvio che la Carità va fatta di nascosto, e che tante cose buone fatte non si verranno mai a sapere … Però, come nel caso di Don Marchetti, se c’è stata una buona attitudine, poi è finita con l’emergere e venire allo scoperto … Era la gente delle Contrade Veneziane che non sapeva né voleva tacere certe cose … anzi.

I Preti come Don Marchetti era facile ritrovarli intenti a “breviariare o rasariare”in tondo alla chiesa, o in qualche angolo in penombra ... A volte entrando non intravedevi nessuno, avvertivi solo un sommesso borbottio. Poi mettevi a fuoco e abituavi gli occhi al buio della grande aula liturgica, e vedevi quello lì, vestito di nero sullo sfondo scuro, che pareva confondersi con i dipinti delle secolari pareti … Sembrava quasi un’emanazione di quelle vecchie storie raccontate e dipinti sui muri.

Certi Preti simili a Don Marchetti, li ho visti direttamente con i miei occhi vestirsi mettendo gli elastici sui pantaloni o sulle maniche delle camicie troppo larghi e lunghi nascosti dalla lunga veste nera … Qualche volta indossavano scarpe usate da altri, anche di due numeri più grandi … “ma ancora bòne”… Li ho visti portare d’estate sotto alla nera tonaca talare bottonuta lunga fino ai piedi, dei polsini candidi e inamidati a manicotto, “tagliati quanto bastava fino al gomito”, al posto dell’intera camicia … Alla stessa maniera indossavano un “finto collo bianco”ugualmente sagomato e tagliato e ridotto “alla fattura da Prete” che si facevano confezionare dalla Mamma, o dalla sorella o dalla cugina Perpetua … o dalla Suore, o da qualche “bàbba-zitella” di fiducia residente della Parrocchia … Il Prete usava quel ritrovato per difendersi dall’eccessiva calura che gli comportava indossare di continuo quel sottanone pesante e sempre lo stesso (estate-inverno). Era come una divisa irrinunciabile, anzi di più: come una seconda pelle da cui non ci si poteva affatto e mai discostare … neanche per andare al bagno un momento: “La veste talare nasconde tante magagne e qualche miseria.” mi confidava e ripeteva spesso (ero giovinetto e meravigliatissimo di quell’insolito abbigliamento)… Altre volte ancora sotto quella tonaca i Preti indossavano un po’ di tutto: calde bluse e maglie fornite nella brutta stagione dalla Perpetua, o ricevute dalla gente della Contrada: non aveva importanza se erano un modello femminile, “imbottonato da donna”, o di colore celestino, rosetta o tinta giallino-crema … “Scaldano ! … e questo basta … Noi Preti dobbiamo essere poveri … e non solo dicendolo dal pulpito … Dobbiamo essere d’esempio con i fatti.”

Ne hanno sentite tante i miei orecchi, e gli occhi hanno visto altrettanto.

Una volta, dopo tanti giorni che uno di quei Preti-Piovani era imprigionato a letto per colpa dell’influenza, sono riuscito finalmente ad ottenere dalla sua Perpetua,“potente mastino da guardia”, un molosso in gonnellone fino a terra sempre all’erta, il permesso di salire in camera a salutare il mio “amico”Piovano … Insisti insisti, ce l’avevo fatta … Anzi: era stato il Piovano in persona a concedere alla “Tòtta”(così la soprannominava) di lasciarmi brevemente salire … Perciò affrontai finalmente i gradini scricchiolanti dell’erta scala in legno della Canonica.

“Una ròba svelta eh ! … Fa presto né !”mi raccomandò la Tòtta,“Vedi de non far stancàr el Sior Piovan ch’el xe fragile e pien de debolessa … No fàrghe tanti discorsi e storie: un saludìn su e via … e basta … Se no, no te o permettarò più.”

“Obbedisco !” esclamai ironico e scattando sull’attenti, e m’infilai divertito su per la scala semibuia.

Sotto a una calottina da testa mai vista in vita mia, e dentro a un camicione candido da notte d’altri tempi stava il Piovano ammalato e con la barba insolitamente sfatta. Indossava una certa canottiera bucata, consunta e giallastra: “Vien avanti … Scusa il deshabille … So un fià da casa.”… Le ciabatte che indossava allineate ai piedi del letto: “Sono quelle ancora bòne de a me povera Mamma.” Si affrettò a spiegarmi … Sotto al comodino teneva ancora “el bocàl da notte”. In un’altra occasione, infatti, ci spiegò come non era affatto comodo recarsi di notte d’inverno, col buio e col freddo fino al gabinetto ch’era situato dall’altra parte dell’appartamento della Canonica ... “Pensate che una volta il cesso del Piovano si trovava in fondo al giardino … M’immaginate con un bisogno urgente alle tre di notte ? … La necessità aguzza l’ingegno e induce alla praticità.”
“Tanto chi è vede e sa ?” si schermiva altre volte di fronte alle nostre osservazioni, “Chi oserà mai andare a vedere com’è conciato un Prete sotto alla sua tonaca o in casa sua?”

“Ma se un giorno le prendesse un malore e si dovesse soccorrerla ? … Che figura farebbe ?”

“Eh ! … Quante storie ! … Perché mai dovrebbe succedere ? … Ciò ! … Non ciamàr minga pègola e malòre !”

Mai in ferie per tanti anni di seguito, al massimo si allontanava dalla Contrada per la settimana degli “Esercizi Spirtuali” dalla quale tornava sempre provato considerandola un’esperienza “sempre indigesta”: “Dove ti vol che vada ? … Non so dove andàr … In verità me scoccia lassàr soli i me Parrocchiani, o darli in man ad altri che no i li conòsse e che me tòca anca pagàr … E po: còssa ti vol andar in ferie ? … che me casca i còppi de a cièsa in testa, e me piove dentro sora a la Madonna ? … A cièsa xe piena de debiti da pagàr … E cosa fa el Piovan ? … El va a divertirse a spese de i so Parrocchiani ? … Non sarà mai.” … e trascorreva la parte più calda nell’orto-giardino della Canonica, seduto sulla sua seggiola di vimini nell’ora più calda, a cacciar via le zanzare, e pisolare col Breviario in mano, e con due candidi fazzoletti addosso: uno intorno al collo, e uno a quattro ciocche annodate calcato sulla testa: “Tanto … Chi è che mi vede ? … e po in ogni caso … caldo o no caldo, e abbigliamento o non abbigliamento … resto sempre el Piovàn.”

Il suo era un vero e proprio amore viscerale verso quelli della Contrada che considerava come una sua “creatura”, era quasi un’ossessione benevola che lo impegnava ogni giorno fin da quando apriva gli occhi, e ben oltre la campana del tramonto … Era come l’attenzione premurosa e assidua, quasi morbosa, di una madre verso il proprio figlio … e non credo di esagerare nel valutarlo tale.

In una Contrada c’era un biavaròl scapolo che portava avanti fra alti e bassi la bottega di famiglia fin dal dopoguerra. Durante il conflitto i suoi avevano fatto fortuna procurando dalla campagna, e vendendo da mangiare un po’ a tutti: Veneziani e non, Tedeschi, Partigiani, Fascisti, e a chiunque fosse disposto a pagarli in una maniera o nell’altra, poveri e ricchi, buoni e cattivi, uomini e donne, credenti e miscredenti: non faceva alcuna differenza ... Quella famiglia di Biavaròli (alimentaristi) erano diventata il punto di riferimento alimentare di tutta la Contrada … Poi in quattro e quattr’otto i genitori erano diventati anziani, e s’erano come inseguiti nell’affrettarsi a morire … E il figlio biavaròl rimase solo, con quell’unica attività da portare avanti che gli riempiva la vita dall’alba al tramonto di ogni santo giorno dell’anno.

Aveva solo un vezzo, visto che le donne per lui erano un impegno fin troppo gravoso e complesso: il gioco … e quasi ogni volta che chiudeva bottega, andava a fare le ore tarde al Casinò, o in qualche bisca clandestina delle osterie, dove si perdeva a giocare a carte con dei conoscenti fidati Nobili e no, che aveva amici da sempre. Amici si può essere di tutto, si sa … ma fuorchè nei soldi … perché man mano che il Biavaròl perdeva somme su somme, e perdeva quasi sempre, “gli amici” non gli restituivano mai quanto gli avevano vinto … E gioca oggi e gioca domani, e gioca sempre in ogni occasione che poteva per tutto l’anno … Giunse a mangiarsi un intero capitale, compresi gli immobili dell’eredità prima, e la casa di famiglia in cui viveva poi, nella quale passò a vivere in affitto … Infine, per “foraggiare” quella fame insaziabile di giocare che era diventata incontenibile e ingovernabile peggio di una malattia, s’impegnò anche la bottega ... E non fu ancora tutto: perché s’indebitò coi fornitori del negozio che non riusciva a saldare, e i debiti e le pendenze si trasformarono in pignoramenti, cause e processi con privati e con le banche, finchè si arrivò alla dichiarazione di fallimento con la perdita anche della licenza di vendere … e il rischio perfino di finire recluso in carcere.

Povero biavaròl ! … E chi è che andò ad aiutarlo in quei frangenti mettendo una buona parola anche davanti al Giudice ? … Il Piovano della Contrada s’intende ! … che alle dieci di sera, mentre il Biavaròl se ne stava ancora chiuso in bottega a provar a far tornare i magri conti impossibili, e a provare a inventariare e far girare l’attività in qualche ultima maniera; andava a bussare la porta per chiedergli una “crosta di formaggio e un bicchiere di vino”… che era disposto a pagargli: anche un milione !

E questa è stata un’altra storia, anche se l’aiuto del Piovano non bastò a salvare il Biavaròl di Contrada… Ci pensò, invece, il destino a risolvere tutto in fretta e furia scrivendo l’ultima pagina della vita di quel commerciante-artigiano. Si concluse così quell’annosa vicenda, e anche la sua esistenza: il cancro se lo portò via in pochissimi mesi.


C’era in una Contrada anche una donna, madre di un unico figlio handicappato, vedova da fin troppi anni del suo marito. Almeno una volta alla settimana si recava dal Piovano della Contrada a chiedere sostegno, ma lo faceva con garbo, quasi con riluttanza, a nome di quell’unico suo figlio “difficile”… Il Piovano che sapeva bene, non faceva una piega: quelli erano soldi giusti e ben spesi … Perciò dava, elargiva ogni volta puntualmente: un’altra volta copriva l’importo di una bolletta della luce non pagata, un’altra volta quella del gas, o le spese del fruttivendolo e dell’alimentarista, o le riparazioni pagate all’idraulico per mettere il riscaldamento in casa … Il Piovano dava e continuava a dare, pur senza abbondare ed esagerare: c’erano anche gli altri della Contrada … Qualcosa si fece pervenire alla vedova anche attraverso la Fraterna di Carità della Parrocchia … e la donna di poche parole ringraziava ogni volta, e se ne andava riconoscente per la sua strada … e così si proseguì per diversi anni.

Finchè gli occhi e gli orecchi lunghi e spalancati delle donnine della Contradascoprirono un arcano: la donna usciva dalla chiesa, compiva il giro dell’isolato, ed entrava ogni volta nella Ricevitoria del Gioco del Lotto dove si giocava tutti i soldi che le aveva dato il Piovano, per di più quasi sempre senza vincere nulla … come raccontava “a bottega” alle comari della Contrada ... E se non era col Lotto, l’avevano vista anche entrare all’osteria, dove con altre donne se ne rimaneva qualche ora davanti“a un’ombra da bere”, e se ne stava a giocare “a rubamazzetto, a tresette e a scopa”finchè le tasche glielo permettevano, cioè finchè le rimanevano vuote. Poi rientrava a casa, dove aveva lasciato “quel figlio” alle cure premurose della zia e sorella.

“E brava quella donnina !” esclamò irritato il Piovano … Venne quindi richiamata, smascherata e rimproverata aspramente dal Piovano … La cosa divenne di pubblico dominio, e per il disonore della figuraccia la vedova si ritrovò costretta a cambiare casa andando ad abitare con quel figlio a casa di un’altra sorella nel Sestiere di Castello: dall’altra parte di Venezia … e vicino a un’altra Ricevitoria del Lotto.

In seguito, parlando fra Compagni Preti di Contrada durante una convivialità di una riunione di Piovani, si ritrovarono a raccontarsi, scambiarsi e condividere le esperienze vissute nella propria Parrocchia … Capitò così che riscontrarono che forse una stessa persona s’era comportata allo stesso modo in posti diversi di Venezia … Era insolita la coincidenza: la donna possedeva le stesse caratteristiche, lo stesso modo di fare, e gli stessi problemi: era sempre lei … S’era cambiata e trasferita di Contrada, ma non aveva dismesso il vizietto di spillare soldi ai Piovani “per poi andarseli a mangiare al gioco” ... Stavolta ci scappò una bella denuncia dei Piovani aiCapiContrada.

C’era ancora un altro uomo di Contrada, un padre di famiglia benestante e con diversi figli, che possedeva diversi stabili in Venezia, fra cui una caxetta data in affitto a una vedova anch’essa piena di numerosi figli da mantenere. Anche in quel caso i soldi scarseggiavano, perciò la riscossione degli affitti languiva … E via una volta, e poi via un’altra, quel padre di famiglia padrone di casa finì con l’accettare d’essere“pagato” dalla vedova in maniera alternativa … Avete già intuito tutto (la disperazione a volte porta ad escogitare e imbarcarsi in soluzioni drammatiche e pesanti), e così il vizio travalicò ed esplose nella sua incontrollabilità, e dalla madre il padrone passò alle figlie, e dalle figlie ai fratelli … e fu tutto un gran casino impossibile che segnò quella disgraziata famiglia per sempre nel più totale dei nascondimenti.

Il Piovano però … mezza parola qua e un’altra là … venne a sapere tutto … e come da “Consuetudine dei Piovani della Contrada”, convocò quel padrone di casa disonesto, e lor redarguì come meglio poteva e doveva. Inizialmente l’uomo sembrò capire e correggersi, ma dopo un po’ il Piovano venne di nuovo a sapere dagli attenti vicini di casa della vedova, che era ricaduto nel suo perverso modo, e aveva ripreso a comportarsi nella stessa maniera facendo quasi ogni sera visita a quella famiglia verso il tramonto e prima di rientrare a casa sua.

Che fare ? … Era minato anche l’onore e il buon nome della famiglia del Commerciante, la moglie tradita, l’educazione dei figli, il buon esempio da padre.

Pensa e ripensa, il Piovano una bella sera di maggio radunò una cinquantina delle sue “accolite fidatissime”, quelle zitelle e donnine sempre pronte ad accorrere in chiesa e dal Piovano “a fin di bene e ad ogni suono di campana”, e con la scusa del Fioretto Mariano di maggio, andò a piazzarle tutte cinquanta a “tirare il Rosario e cantare cose di chiesa” giusto davanti alla porta di quella casa incriminata dove verso sera s’era già visto entrare ancora una volta l’ometto in questione. Il Piovano sapeva che a quell’ora quel padrone stava compiendo quel suo “tremendo gioco”… Prega e canta, canta e prega ad oltranza … Alla fine l’uomo se ne uscì dalla casupola andando dritto a chiedere spiegazioni al Piovano.

“Che è questa cosa Piovan ?”

“Questo è solo l’inizio” gli spiegò il Piovano, “perché visto che le mie sole preghiere non sono sufficienti a farti redimere, ho deciso che da oggi in poi mi servirò ogni giorno di queste cinquanta sante donne per provare ad indurti a dire “basta” alla tua ignobile causa ... Se sarà il caso ti seguiremo anche in Processione dovunque andrai … fino al giorno in cui sprofonderai nel più profondo degli Inferni nonostante le nostre preghiere.”

Il padrone di casa maniaco e perverso non disse nulla e si allontanò. Da quel giorno però lasciò in pace quella disgraziata famiglia, che tornò “a respirare” pur portando per sempre sulla pelle le tracce di quel pesante maltrattamento. Il Commerciante donò la caxetta alla Parrocchia, che così la concesse “gratis et Amore Dei” alla povera vedova e ai suoi figli maltrattati e indotti a quella vita scellerata.

In un’altra Contrada c’era un Nònzolode Cièsa(Sacrestano) che era ladro: s’impadroniva di buona parte delle elemosine che i Veneziani offrivano alla Parrocchia … Il Piovano aveva notato sui Registri di Cassa della Parrocchia una flessione delle entrate … ma era stato il figlio del Sacrestano a metterlo definitivamente in allarme quando un giorno se n’era venuto candidamente fuori davanti a lui dicendo: “Il mio Papà si prende sempre i biglietti rossi delle cassette” spiegò ingenuamente, “e poi se li porta a casa, e la Mamma ride contenta.” Il Piovano ovviamente “fece uno più uno” nella sua testa, e andò a contare il contenuto delle cassette delle elemosine prima che il Nonzolo passasse a vuotarle. Poi attese il momento giusto, e si presentò cogliendo sul fatto il Sacrestano giusto “con le mani nel sacco”

Dopo aver chiuso la chiesa e svuotato e raccolto tutto, il Sacrestano stava dividendo il gruzzolotto in due parti nette mentre riteneva che il Piovano stesse intento a cenare. Da una parte, cioè la sua, aveva messo: “il cartaceo grosso”insieme a metà delle monete, mentre dall’altra, cioè quella della chiesa, aveva messo il resto delle elemosine “purgate dal prezioso cartaceo”“Se almeno fossi stato più furbo e meno esoso, non mi sarei accorto delle piccole mancanze.” lo redarguì il Piovano,“ma arraffando troppo mi hai costretto ad accorgermi degli ammanchi ... Sei fortunato che hai una famiglia: perciò mi accontenterò che per un po’ di anni lavorerai gratis per me ... e senza più toccare i soldi delle elemosine.”

Nell’Asilo dei bimbi di un’altra Contrada, invece, c’era anche una Suora Superiora: un donnone agguerritissimo e pimpante. Sembrava un vero monumento alla Religiosità, anche perchè era ormai presente in Contrada da più di trent’anni, e aveva visto passare e crescere nella sua Scuola generazioni su generazioni di bimbe e bimbe della zona ... Era una garanzia, un’istituzione, un punto di riferimento, senonchè aveva un difetto: man mano che trascorrevano gli anni era sempre più incapace d’essere paziente con i bimbi sempre più vispi, perciò si faceva obbedire e ascoltare a suon di sonore bacchettate calate sulle mani. Chi non era attento/a e tranquillo/a, o non rispettava puntualmente le sue indicazioni: “Man sul banco !” decretava, e: tàn ! … tàn ! tàn ! dava una lunga serie di bacchettate robuste con una sua bacchetta che si portava sempre dietro.

Le bimbe soprattutto, con le quali in “quanto future donne, moròse, spose e madri”sembrava avere un conto sempre aperto … dai una volta, e dagli un’altra, andavano a casa a protestare dalle Mamme presentando le mani gonfie e i lividi sul corpo … Le Mamme si decisero perciò a presentarsi dal Piovano per protestare: “Ma ghe par modo ? … Una Suora poi ?”

Quel pomeriggio quando le donne se ne andarono, il Piovano passeggiò a lungo pensoso avanti e indietro per il corridoio della Canonica. Poi a un certo punto andò nel sottoscala, prese fuori la cassetta degli attrezzi di casa, prelevò un grosso martello e lo mise dentro a una busta di carta candida … Vi aggiunse un biglietto scritto di suo pugno di poche righe, e fece portare il tutto dal Sacrestano nelle mani della Superiora delle Suore “incriminata”.

Sul biglietto c’era scritto: “Visto il ruolo di responsabilità che Lei ricopre, e la delicatezza paziente con cui ha fatto voto di dover aiutare ed educare il suo Prossimo, le consiglio ogni sera di picchiarsi proporzionalmente le mani con questo martello in riparazione del male che provoca alle sue giovani studentesse … In fede: il suo Piovano.”

La Suora rossa in volto, massiccia, tetragona e furibonda, offesa e risentita per quello scritto, andò a presentarsi subito dal Piovano esigendo spiegazioni. Sembrava un fiume in piena, era arrabbiata: voleva sapere chi l’aveva segnalata, i nomi e cognomi … per qualche attimo il Piovano pensò che volesse picchiare le mani pure a lui, reo d’aver scritto quelle crudi e ironiche parole. Poi il Piovano rimanendo placido alzò lo sguardo dal suo scrittoio e sussurro: “Se non le garba questo mio modico invito, forse potrà piacerle meglio quello d’essere pubblicamente richiamata davanti al Popolo dal pulpito della mia chiesa durante le funzioni condannando la sua maniera … Se lo preferisce ?”

La Suora si voltò e se ne tornò senza replicare al suo Asilo-Convento, e per qualche tempo dopo “il cicchètto” del Piovano sembrò aver compreso la lezione tanto da ridimensionare le reazioni spropositate nei riguardi dei bambini … Poi però riprese la sua solita maniera:“E giù ! … Dagli ancora di bacchetta !”e ritornarono a presentarsi le Mamme dal Piovano.

“Non va così !” si limitò il Piovano un giorno quasi borbottando contro la Suora incontrata per strada. Il Piovano veniva di continuo aggiornato su quella faccenda, perché oltre le Mamme c’erano anche le sue fide “bàbbe di chiesa” che erano anche Nonne, Zie e amiche di famiglia di tanti bimbi e bimbe.

“Che Vuole farci ?” rispose la Suora ironica con un certo sorrisetto sarcastico, “Dopo una certa età è sempre difficile cambiare … Lei dovrebbe saperlo … Per una povera Suora poi, cambiare è forse difficile ancor di più.”

Il Piovano contraccambiò il sorrisetto senza aggiungere altro, ma a metà estate alla Suora giunse l’invito a far fagotto, anzi: ad allestire la sua valigia di cartone, e trasferirsi in un paesetto di montagna di poche persone anziane, dove di asilo di bimbi non c’era neanche l’ombra … Il Piovano quella sera aveva scritto in confidenza alla Madre Provinciale delle Suore… che con grande discrezione e determinazione aveva risolto il problema delle eccessive “bacchettate”. Fra le altre cose, la Suora ebbe l’obbligo prima di partire di andare a salutare il Piovano e di consegnargli “a ricordo” quella sua “preziosa bacchetta”.

“Il troppo stroppia sempre … Dovrebbe saperlo.” si limitò a dirle il Piovano, e quella stessa sera gettò nel fuoco del camino della cucina della Canonica quella benedetta bacchetta.

In una Contrada limitrofa a quella di quel Piovano, era attivo e lavorava un intraprendente Parrucchiere e Barbiere. Ci sapeva veramente fare con rasoi e forbici, ma era soprattutto abile a far invaghire di se e conquistare le donne … soprattutto quelle giovani e avvenenti, anche se non disdegnava anche le meno giovani. Era un donnaiolo avveduto, insomma, bravo a trattare i capelli delle donne … e non solo quelli. Usava il retrobottega del suo negozio come luogo dove teneva le sue tresche ... e finirono coinvolte e impelagate con lui più di qualche donna della Contrada: Nobile e non nobile, ma quasi sempre e in ogni caso: donne giovani, fresche e belle ... anche se sempliciotte a volte. Tutto filò liscio per un bel pezzo nascosto nell’omertà della Contrada, e nei segreti delle donne, finchè capitò che un marito innamoratissimo della sua moglie e della sua famiglia, andò a confidarsi e sfogarsi col Piovano, che era già superinformato di tutto.

Era quel che sperava il Piovano, non gli servì altro: quella era “la molla” in cui sperava per risolvere quella brutta faccenda … Era ora e tempo di far qualcosa “d’efficace” per il bene delle donne, delle famiglie, e di tutta la Contrada … Ma che cosa fare ?

Di certo si doveva risparmiare le donne, che erano colpevoli si in quanto “c’erano cascate”, ma era stato il Parrucchiere-Barbiere a sollecitarle e indurle a “combinare il pastrocchio”… Perciò il Piovano, vista la segnalazione ufficiale, convocò in Casa-Canonica le sue solite “fedelissime”, e chiese loro consiglio su come si sarebbe potuto agire “da donne a donne” tirando fuori le altre dall’inghippo, e inchiodando “una tantum” l’uomo alle sue responsabilità: “Ne va dell’intera Contrada !” si limitò a sottolineare il Piovano … “e anche della Morale, e del bene della Chiesa !” aggiunse come sentenziando … e le donne annuirono consenzienti.

Pensa e ripensa, le proposte furono le più disparate: qualche idea fu anche a dir poco strana e un po’ ardita e pericolosa. Una donna propose di dar fuoco alla bottega del Parrucchiere … Un’altra piuttosto di fargli rompere l’osso del collo accidentalmente da un suo cugino che ci sapeva fare.

“Di certo costui la deve smettere di procurar danni …” ingiunse il Piovano, “ma vediamo anche di non esagerare ... Procediamo con una certa delicatezza, ma con fermezza.”… e così alla fine spuntò fuori la soluzione giusta. Le donne fecero presente che in Contrada abitava un Becchèr(Macellaio) grande e grosso, e furibondo di carattere, irascibile al punto tale che bastava guardarlo storto perché si accendesse come un fuoco in un pagliaio. Costui aveva una bella figlia giovane che era “la pupilla dei suoi occhi”, praticamente la sua unica ragione di vita, stravedeva per lei … Avrebbe fatto qualsiasi cosa per favorirla … Figuriamoci per difenderla !

Fu sufficiente che “il tam-tam” invisibile ma eloquente delle donne gli facesse pervenire certe giuste insinuazioni nella bottega. Bastarono poche mezze parole dette e non dette, che ottennero immediatamente il giusto effetto sul Beccàio, che s’accese e partì “in quarta” con la stessa prepotenza ed efficacia di una freccia rilasciata dalle dita su di un arco teso.
“Stia attento Mastro … che lei ha una bella e giovane figlia … e quello non guarda in faccia a nessuno … le insidia proprio tutte.”

Il Beccàio smise sul bancone la pesante mannaia affilata e insanguinata, strinse i denti, e spalancò gli occhi: “Mia figlia ? … E che c’entra mia figlia ?”

“Tutto e niente.” si affrettò a rispondere una delle donnette in attesa di ordinare la sua spesa, “Ma quello sa fare gli occhi dolci a tutte ... le ammalia e poi le prende, soprattutto se viene a sapere che hanno rendite e facoltà … e sua figlia possiede una bella bottega ben avviata: la sua Maestro !”

“Possibile ? … Con tutte le donne che ci sono in Contrada ?” provò a sorridere e precisare il Macellaio,“volete proprio che vada a insidiàr la mia ?”

“Mah … io fossi lei, Mastro Sior Carne, starei attento a sottovalutare questa faccenda … perché l’ho già visto più volte adocchiare sua figlia e salutarla gentilmente facendole “belle e belline” ... Non fosse mai ! … Ma quello là ha già rovinato diverse famiglie, e fatto salatre per aria più di qualche matrimonio in gran segreto.”

“Ah maledetto !” esplose il Bèccaio, “Non gli darò il tempo di provare a rovinare mia figlia.” E toltasi di colpo la traversa imbrattata che  gettò alle spalle e all’aria, uscì di fretta dalla bottega con la testa che gli bolliva, e stringendo nella destra la sua fida mannaia.

Il Parrucchiere ignaro vide improvvisamente spalancarsi la porta della sua bottega … Le poche donne che si stavano intrattenendo dentro se la svignarono fuori in un solo istante comprendendo “la brutta aria” che tirava, e la porta si rinchiuse alle spalle del Macellaio agguerrito. Nessuno mai seppe che cosa, come e con quale tono, parola o maniera il Macellaio spiegò le sue ragioni al Parrucchiere … Sta di fatto, che qualche giorno dopo il Parrucchiere chiuse del tutto la bottega della Contrada, e si trasferì ad esercitare il suo mestiere dall’altra parte dell’Italia … con buona pace di tutti quelli e quelle della Contrada … e anche del Piovano soddisfatto.

Infine c’era anche un Erbivendolo-Fruttarolo di Contrada… Come avete capito non si trattava sempre e solo della stessa Contrada, nè dello stesso Prete-Piovano, ma di Preti e circostanze e Contrade diverse, a volte prossime, vicine o confinanti, altre volte più lontane, magari dall’altra parte di Venezia.

L’Erbivendolo vendeva ogni giorno buoni e freschi prodotti dalla campagna, e per di più a buon mercato e prezzo. Solo che quanto le donne della Contrada gli dicevano: “Segna ! … Che te pagarò quando me marìo me portarà a casa i schèi.” lui segnava, ma quando giungeva il momento d’essere pagato esigeva dalle donne un prezzo maggiorato di parecchio ... Esigeva, insomma, degli esosi interessi, o qualcosa del genere, non dico il doppio dei soldi, ma di certo molto di più di quanto avanzava.

“E che credete ?” si giustificava ogni volta con le donne, “Che a me le cose me le regalino ? … Non posso mica dire ai miei fornitori: vi pagherò il mese prossimo … Quelli vogliono il denaro subito, e quindi devo ogni volta metterci del mio … Ed io non sono affatto “la Provvidenza e l’Angelo Custode” di tutta la Contrada.”

E via con una e via con un’altra, e dai una volta, e dai un’altra ancora … La gente della Contrada si accorse che col trascorrere degli anni quell’Erbivendolo era stato capace di mettere insieme una piccola fortuna: s’era comprato prima una caxetta nei pressi della bottega, e poi un casòn cioè una casa più grande poco più in là, accanto al Ponte di Confine della Contrada. Si diceva anche che quando si sarebbe sposata sua figlia gli avrebbe regalato una bottega da Frutta nella vicina Contrada.

“Andando avanti così prima o poi si comprerà anche un bel palazzo contando sulle nostre spalle.” brontolava la gente della Contrada, e andò sempre più spesso acriticarlo davanti al Piovano:“Quell’uomo tiranneggia le tasche della povera gente !”

“Verrà finalmente il momento giusto per richiamarlo !” si ripeteva spesso il Piovano fra se e se .. e l’occasione venne, e il Piovano non perse l’occasione. Morì, infatti, la Madre del Fruttivendolo-Erbarolo, e la chiesa il giorno del Funerale si gremì di gente all’inverosimile perché era stata una gran brava donna generosa … a differenza del suo avido figliolo.

Quando il figlio dopo la cerimonia si recò col cappello in mano in Sacrestia dal Piovano per “pagare” il Funerale e il sontuoso corteo funebre che aveva accompagnato la “sua buona Mamma” fino al Riva o verso il Cimitero, il Piovano gli disse: “Lasci stare ! … Non voglio niente da lei oggi … Pagherà tutto al momento del suo Funerale e davanti al Padre Eterno … anche con i dovuti interessi che dovrà a tutti quelli della Contrada che ora sta derubando ...”

A quelle parole l’Erbivendolo-Fruttarolo esplose di rabbia: sbattè la porta dell’Archivio del Piovano tanto che sembrò voler farla saltare via dai cardini per corrergli dietro ... e non lo si vide più mettere piede in chiesa per tutto il resto della sua vita. Smise però anche di tiranneggiare le tasche della gente della Contrada: aveva imparato la lezione dal Piovano … Se avanzava venti: venti esigeva, e neanche un “bèzo in più” ... e il Piovano sorrise a quella notizia.


Ci sarebbe poi l’altra faccia della medaglia dei “Preti da Contrada”, quella che rivela, invece, personaggi di cui non posso rivelare il nome, e che possedevano diciamo “un modo e una levatura” diversa … Qualcuno forse potrà riconoscere il tratto di qualcuno, o magari intuirlo fra le righe di quanto vado scrivendo e dicendo … Per qualche altro Prete-Piovano di Contradache ho conosciuto direttamente, era importante ogni mattina iniziare la giornata attingendo e spremendo con attenzione e “fino all’ultima goccia” i fatti e le cronache, e perfino ogni singolo necrologio del Gazzettino: “il giornale delle comari, dei barbieri e delle massère di Venezia”… Risolta questa prima impegnativa incombenza che li tratteneva per la prima parte della mattinata: dall’apertura della chiesa con la prima Messa, durante la colazione, e fino all’ora della seconda Messa di metà mattina … il Prete lasciava “in custodia” la chiesa con le sue incombenze al Nonzolo, e si dedicava ad accompagnare con gran calma e attenzione la Mamma, o la sorella Perpetuaquando uscivano per fare la spesa:“E’ necessario ogni volta scegliere con oculatezza ed estrema cura dal banco della Pescheria … Non tutti i pesci sono degni della tavola del Prete … Serve soppesare e sottoporre ad accurata valutazione … e solo i meritevoli “potranno andare verso mezzogiorno”… Non vorrai mica che mangiamo robaccia ?”

“Scopro l’acqua calda” dicendo che i Preti hanno sempre goduto di fama di buongustai, e di non far mancare mai niente dalla propria tavola … ben oltre il superfluo … Ricordo certe luculliane mangiate periodiche fra Preti, che facevano a gara per primeggiare e ben figurare gli uni sugli altri … “El vin Santo da Messa xe bòn anca da tavola … e cusì posso scaricarlo segnandolo sulle spese della Sacrestia della chiesa.”mi spiegava un Piovano gongolandosi per la sua acuta furbata.

Ricordo anche di certe vacanze raccontate ed esibite, quasi dissertate come un “giro del mondo in ottanta giorni” da qualche Prete di Contrada d’indole “leggermente diversa” da quella del Piovano Marchetti … Mi procurava un certo fastidio vederli letteralmente “impongàrsi, trastullarsi e infervorarsi”nel raccontare agli altri delle loro crociere e dei loro lunghissimi viaggi (mica sempre solo spirituali … Non erano sempre devoti e penitenti Pellegrinaggi … soprattutto per via di certi succulenti dettagli).

Più tardi ancora e fino a mezzogiorno, se non c’era qualche “noioso Funerale di mezzo”, ci si poteva dedicare a contrapporsi “con opportune visite e giuste parole”a certi Preti: “vicini scomodi”. Certi Piovani facevano “fuoco e fiamme” contro i Confratelli rei di “rubare loro i clienti dei Sacramenti”… Ne ricordo uno in particolare, che con grande foga si lamentava affermando che: “In sta maniera e de sta cassèlla, cioè cusì fasèndo se andrà a diminuir ancor più i già magri proventi e introiti del nostro Ministero Pastorale e Parrochiale … Non ti pòl robàrme i Parrocchiani fradèo ! … Quei che sta nei miei Confini: i xe ròba mia ! … mia spettànza … Altrimenti xe come un furto fra Preti ! … che dovarò andàr  a segnalar al Patriarca.”

Ricordo ancora di un altro vecchio “Prete di Contrada”… E’ un ricordo nitido, come se ce l’avesse seduto davanti, a tu per tu, proprio adesso … E’ stato una figura storica ormai tramontata, ma che è rimasta indelebile e popola ancora qualche anfratto della mia mente … Amava perdersi dentro alla nuvola profumato del suo costoso sigaro pregiato, in alternativa e aggiunta non disdegnava una buona presa di tabacco tratta dalla un’artistica scatoletta: c’era una veduta del Canal Grande dipinta sul coperchio, un po’ in stile Canalettiano … D’inverno lo ricordo avvolto nel suo pesante tabarro … Era un uomo oltre che un Prete arcigno, aspro di modo e maniera, “un austero cèrbero” che conosceva e interpretava secondo lui alla perfezione la “nobile Arte” del saper “pascere il suo Gregge”, e del scrutare e soppesare le persone che incontrava ... Ovviamente prediligeva quelle della sua Parrocchia e Contrada.

Quando incontrava uno o una, si soffermava ogni volta a scrutarli dalla testa ai piedi con uno sguardo truce e indagatore, come con un’estemporanea e veloce radiografia, uno scandaglio … Poi strizzava gli occhi come a soppesare e mettere a fuoco la persona, e dentro di se ne ricapitolava le gesta, precedenti, doti e difetti traducendoli un attimo dopo in un approccio conseguente … Ogni parola che gli usciva fuori in seguito assomigliava ogni volta di più ad una obbligatoria valutazione, o a un estemporaneo piccolo processo con tanto di subitanea sentenza ... I Preti di Contrada per via delle confidenze, delle notizie riportate, e soprattutto tramite la Confessionee la Direzione Spirituale sapevano tutto di tutti e di ciascuno: pregi, difetti, successi ed insuccessi, limiti e segreti … Tante persone davanti ai Preti erano come nudi, un libro aperto, come di fronte allo specchio … Sembrava che ogni volta incontrandoli, il Prete fosse tenuto come da obbligo “a far loro i conti in tasca”… 
Da un apparentemente generico “Come va ?” che riassumeva tutto e niente per chi era estraneo e non sapeva, il Prete e l’interessato, invece, risalivano e richiamavano immediatamente tutta una serie di contenuti condivisi, e un’intimità e un vissuto ricapitolato e rivelato apertamente da chissà quanti anni. Ne veniva fuori ogni volta una sfilza di veloci consigli, prescrizioni, raccomandazioni e indirizzi esistenziali spiccioli da cui il casuale “l’incontrato/a” non poteva mai esimersi.

“Me raccomando !” concludeva immancabilmente il Prete-Piovano, “Fa il bravo/a ! … Ti ti sa be perché te digo cusì !”

Era come un veloce check-up, una ripassatina in giudizio svelta svelta … che però ogni volta colpiva il segno e lasciava un suo invisibile effetto … La sensazione che provavo in quel momento era come di un elegante violenza, come se il Prete in maniera impalpabile denudasse l’intimo delle persone mettendolo nella piazza della sua comprensione e gestione … Non so perché, ma incontrare lui per i suoi Parrocchiani era un po’ come doversi presentare all’Ufficio di Polizia per un controllo obbligatorio.

Quando intravedeva per strada certe facce, lo sguardo del Piovano s’incupiva e faceva febbrile e indagatore … Era come se corresse a leggere in rapidità dentro di se un dossier, una pagina spalancata di un libro invisibile che teneva sempre aggiornato e disponibile da leggere, pronto per ogni evenienza ... Più di qualche volta neanche salutava e rispondeva alle sollecitazioni e al saluto di qualcuno/a se secondo lui “non erano persone degne e meritevoli”(come era riassunto dentro se stesso).

A volte proprio si portava appositamente da una parte all’altra della sua Contrada: “per aver meglio sott’occhio il mio Gregge … Io conosco bene le mie bestie ... So con quale stampo sono fatte.”

Terminato poi quel suo giro di controllo “sulla normalità” della Contrada, se ne tornava sui suoi passi fino a rientrare in chiesa: “ovile e casa di tutti”… dove lì sembrava proprio a suo agio, e dotato di quella dimestichezza, disinvoltura, abilità e scioltezza con cui un vero pastore governava le pecore e i caproni a lui affidati.

“In cièsa e nei luoghi annessi e limitrofi, come la Canonica e gli Oratori, sono “nel mio”, come un pesce dentro all’acqua.”… Anche lì il suo atteggiamento era sempre deciso: se ne stava sempre sulla difensiva o piuttosto pronto all’attacco di chiunque non difendesse o amasse i “Sani Principi del vivere, i Santi Pilastri, cioè i dettami e le Sante Dottrine Eterne ed immutabili della Fede e di Madre Chiesa”

Certi Preti di Contrada erano nelle loro Chiese come Giudici Apocalittici, quasi“padroni e gestori delle cose Rivelate e della Verità Etico-Morale del Vivere”… A tutti sapevano indicare dal pulpito(a volte con autentica veemenza) la “giusta direzione”… e allo stesso tempo sembravano dei San Michele con la bilancia del Giudizioin mano, capaci di soppesare l’essenza di tutti ... soprattutto degli inadempienti, che erano la quasi totalità di quelli della Contrada.

Chi poteva mai dichiararsi senza peccato, non emendabile, non passibile di miglioramento o “a posto” ?

Nessuno.

“Il Prete”, m’istruivano: “E’ importante che sia sempre “convinto”, che possieda ovunque e in ogni circostanza un buon contegno, il giusto cipiglio, che sia assertore dell’ordine e della buona costumanza, e che sia consapevole della sua alta dignità.”

Usciva “sull’Altar a dir Messa” lo stesso, anche se su Venezia si stava abbattendo un violento nubifragio e temporale … In fondo alla chiesa c’era solo la solita vecchia zitella mezza sorda, persa e odorosa, e completamente inzuppata  (in tutti i sensi) … Pareva una mezza strìga avvolta nel suo scialle di lana nero … Di solito non diceva neanche mezza parola, neanche se le pestavi i piedi, ma non mancava mai di presenziare in chiesa … Il Prete le si rivolgeva lo stesso: le faceva un fervorino e un predicozzo sul Santo del giorno, anche se era da sola in chiesa: “E che debbo forse aspettar sempre i comodi de stàltri par dir sta Messa ? ... Quando xe ora xe ora ! … Chi c’è c’è … e chi non màgna gha magnà … Mi pàrto lo stesso … Dio xe sempre puntuale e presente … Non manca mai … Sèmo noàltri ad essere sempre rovèrsi e assenti … Se anche questiòn de bòna educasiòn … e de disponibilità.”

Era sempre così, con quelle sue continue “cavatèlle”, e con quel suo modo a volte indisponente fatto di battute e continue ironie e sarcasmi, che lo facevano sempre sembrare: gajardo, vispo, e sempre impegnato e dedito sul pezzo da mettere in scena sul palcoscenico della Contrada … Anche se non era proprio così, e non era affatto vero … Spesso c’era molta apparenza, e si faceva parecchio credito su molte cose all’occorrenza, soprattutto quando ci andavano di mezzo i suoi interessi.

A volte finiva col strafare: una volta durante la “festa feriale” della Madonna di Pompei(usanza e devozione sempre poco sentita a Venezia e nel Veneziano), un attimo prima di mezzogiorno, mi disse: “Dàghe de campane ! … Che recitarèmo a Supplica alla Madonna … Se ciàpa anca l’Indulgenza ... a zènte vegnarà.”

Risultato ? … Chiesa piena ? …Tutto un accorrere di quelli della Contrada ? … Macchè ! … Dopo l’intenso scampanio in chiesa non si presentò nessuno: neanche uno o una ... era l’ora di pranzo fra l’altro, e faceva un caldo “boia”.

“Che si fa adesso Monsignore ? … Desistiamo ?” chiesi dieci minuti dopo a chiesa ancora deserta.

“Ma che scherzi ? … E che vuoi fare ? … Si va lo stesso !”

“Ma come ? … Io e lei e basta ?”

“Davanti a Dio e alla Madonna conta sempre anche uno solo ... Anche perché si presenta a nome di tutti … Come Mosè sul Monte delle Tavole delle Leggi ... Come il Cristo issato da solo sul Calvario ... e poi: io e te siamo già in due … Andiamo quindi ! … Procedamus ! … Bisogna avere sempre un po’ di Speranza … Non vorrai mica essere un incredulo miscredente ?”e ci avviammo nella chiesa completamente e desolatamente vuota.

“Mmm … saranno anche giusti questi discorsi, ma qui non si vede nessuno.” ho detto a me stesso senza il coraggio d’esternarlo temendo la reazione del Piovano.

“Gnnèèèè …” fece dopo un altro quarto d’ora una porta cigolando in fondo alla chiesa.

“C’è un fedele finalmente ? … Anche se un po’ ritardatario…” pensai.

No … era solo un titubante turista, che spintosi dentro nell’androne della chiesa avvolta da una penombra attraversata da raggi di sole, si mise timidamente a inquadrarci e fotografarci mentre eravamo intenti, ginocchioni per terra sui gradini dell’Altare della Madonna, a recitare la nostra “quasi disperata” Orazione e Supplica alla Madonna di Pompei.

“C’è gente ?” mi sussurrò a un certo punto il Piovano senza voltarsi e senza alzare lo sguardo dal suo libretto dorato rivestito di lucido cuoio.

“No … e solo un turista.”

“Caccialo via ! … Non venga qui a rompere le scatole e disturbare il Rito Sacro.”

“Ma quale Rito ? … Siamo solo noi due.”

“Mandalo via ti ho detto ! … Ogni Rito Liturgico merita rispetto … La chiesa non è mica un bazar … e neanche il posto delle giostre.”

“Gnnèèèè …” ripetè di nuovo la porta rugginosa: il turista se n’era andato spontaneamente. Non era affatto interessato a quanto stava succedendo lì dentro … Con un breve sguardo aveva già visto tutto … e quella volta le cose andarono così.

Di solito quando giungeva a suonare la campana del mezzogiorno, come puntuale arrivava a campanare “l’Ave Maria della sera” che segnava la fine del giorno, il Piovano rientrava nella Canonica: “Andiamo a mettere le gambe sotto alla tavola, a farèmo onor al rinomato desco della Santa Provvidenza” ripeteva ogni volta… Faccia paffuta e rubiconda, e pancione abbondante e sempre più prominente tanto che non si riusciva quasi più a cingerlo con la fascia bordata di autorevole rosso, che si doveva per forza immancabilmente allargare … mi diceva: “Mangiare e bere è come un trionfo, è come partecipare al suono di un orchestra … La buona tavola è come una suadente e piacevole sinfonia, come un rito importante a cui non si può mancare … Potrò forse quasi proferire bestemmia o affermazione sacrilega … ma la tavola vale quasi quanto l’Altare.”(e a volte anche di più a giudicare dal suo atteggiamento, e vista l’intensità e il gusto, nonché l’assiduità con cui si dedicava ampiamente a quell’amabile incombenza).

Un giorno un carcerato esagitato, alticcio ed euforico appena uscito fuori di prigione, sentendosi quasi offeso nel ricevere l’obolo che il Piovanotraeva ogni mattina per la lunga fila dei questuanti che s’assiepavano ogni mattina sulla porta della chiesa e nei dintorni della Canonica quasi braccandolo; gli prese il borsellino nero da donna degli spiccioli strappandoglielo di mano, e messagli una mano direttamente sul collo e spingendolo su per il muro esterno della chiesa, gli disse ruvidissimo: “Tu sei un cane, non un vero Prete ! … Sei un cane ricco e rabbioso che abbaia a tutti … Possibile che tu non riesca a concedere un osso vero a chi ha più fame di te ?”

Poi lo lasciò lì terrorizzato e ansimante, sudato zuppo dalla testa ai piedi, e tremante e senza parole con quella faccia minacciosa che dal quel giorno gli pareva di avere e vedersi sempre davanti di continuo. L’energumeno aveva poi buttato all’aria il borsellino con tutti gli spiccioli incurante di tenerseli, poi se n’era andato scomparendo nei meandri delle calli della Contrada.

Non gli era mai successa una cosa del genere in vita sua al Prete. Si strappò in fretta il collare da Prete che gli pareva insolitamente soffocarlo … Poi a stento si trascinò “al sicuro” in chiesa gridando aiuto, ma senza aggiungere una sola parola di spiegazione. Ci raccontò tutto solo molto più tardi. In quel momento provava solo una chiara sensazione in testa, che ci riassunse poi con queste poche parole: “Io non sono un cane … E’ questo nostro mondo di oggi che è diventato una razza rabbiosa, violenta, senz’Anima e senza Dio … Questa umanità viscida e impazzita s’accontenta sempre di meno … A niente gli serve e gli basta la Carità … Vuole tutto a suo modo, che è quello sgarbato e violento, quello da parassiti che non hanno nulla da perdere … Non sanno neanche loro che cosa vogliono … Sono come bestie nello stagolo che grufolano grattando la terra … Neanche il carcere sarà sufficiente: dentro o fuori che stiano sarà sempre la stessa minestra, la stessa cosa  … C’è in atto una vera e propria lotta per la sopravvivenza, e non sempre qualcuno ce la fa … Tanti hanno un Dio per conto loro, e non so se sia un Dio come quello nostro dei Preti che abita in aria … A volte nonostante tutte le nostre scoperte, le Matematiche, le Scienze, le Economie e le Filosofie … mi vien da pensare che l’umanità sia solo una bestia priva di sentimento, e di qualche fine e utilità ... Altro che Speranza …e disegno d’Amore e Salvezza !”

E detto questo, si lasciò accasciare nel seggiolone del suo studiolo, e preso dal tavolo uno dei suoi sigari profumati, ne sputò via un pezzo, e provò ad accendere il resto mimetizzandosi dentro alla nuvola del fumo. Trascorse soltanto un attimo, uno soltanto, e come nauseato e schifato con un gesto brusco e nervoso l’ho visto schiacciare il sigaro nel portacenere di bronzo, e poi buttarlo fuori dalla finestra spalancata sul giardino: “Anche i sigari non sono più gli stessi ! … Non hanno più gusto neanche loro.” ha concluso, e se n’è andato via scuotendo la testa, e sbatacchiando la porta … ma senza aggiungere più nulla.

Ecco raccontato parte di ciò che intendevo riferirvi sui Preti di Contrada.

Come potete intuire non è affatto tutto … Anzi ! … Servirebbero mille post come questo per poter dire meglio e di più, e forse non basterebbero lo stesso … Le cose dette sono solo qualche briciola di un tanto vivissimo che è accaduto intensamente ogni giorno per secoli dentro alla Contrade dei Veneziani. L’ho scritto per riferire di un mondo recondito ormai scomparso, e di figure reali che hanno a lungo popolato e “guidato”, un po’ a modo loro se volete, gli spicchi e gli angoli remoti (cioè le Contrade) della nostra Venezia.

Con quanto detto non intendo affatto infierire sulla categoria dei Preti e sulla loro Memoria. Ricordando questi aneddoti e questi singolari personaggi ho solo voluto indicare uno speciale “substrato umano” su cui collocare quanto dirò e scriverò la prossima volta circa “l’Archivio e le Consuetudini deiPreti della Contrada di San Marcuola” ...

In un certo senso i Preti dei Capitoli delle chiese e delle Contrade Veneziane sono stati dei personaggi che hanno incarnato e vissuto e condotto personalmente “il destino” della Contrada, servendosi di alcuni “strumenti operativi” e di alcuni “strani apparati” che sono stati: l’Archivio, le Consuetudinie lo Schedario della Contrada, che sono stati come “il cuore, la sintesi e forse anche la molla propulsiva” della vita della Contrada.

Ma ne parlerò meglio la prossima volta, quando vi dirò finalmente circa: “La “macchina subliminare” dell’Archivio e delle Consuetudini della Contrada di San Marcuola.” di cui spero d’avervi agevolato e favorito il senso e la comprensione.




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